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#Giovanni Teresi
lorenzospurio · 4 months
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N.E. 02/2024 - "Sole!", poesia di Giovanni Teresi
A te volgo il pensiero nella buia notte dove altre stelle offrono le  luci lontane. Nell’ansia di rivedere il tuo volto, pongo gli affetti, la vita in versi aspettando le albe, i vespri e i tramonti. Senza di te non c’è amore, il tiepido, caldo abbraccio sin dal primo dì. Per te si aprono le corolle, cantano gli uccelli, le generose api impollinano i fiori, futuri frutti. Cosa…
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our-verystudentgarden · 6 months
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La bruma avvolge le vie, i lenti passi lungo l’oscuro cammino. Silenzio nell’umida sera. I lumi, ai margini del selciato, sono anime spente. Sul ponte miagola un gatto, fa le fusa al compagno ringhioso dallo sguardo verde acceso come il piccolo lago ove si riflette l’opaca luna. Sensazione di pace … Alle finestre colorate luci, piccole come le lontane stelle. Sulla vuota panchina frasi e cuori di giovani innamorati. Anche i fiori sopiti attendono i raggi del sole. Brusii, note lontane tessono la musica nell’ansia cullata dal vento.
(Giovanni Teresi)
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giancarlonicoli · 1 year
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20 lug 2023 19:44
“IN VIA D'AMELIO INCIAMPAI IN UN TRONCO ANNERITO, ERA IL CORPO DI PAOLO BORSELLINO” – GIUSEPPE AYALA, EX PM DEL POOL ANTIMAFIA, RICORDA LA STRAGE DEL 19 LUGLIO 1992: “CI SONO ANCORA ZONE D'OMBRA SUL DEPISTAGGIO, SU QUELL'AGENDA ROSSA CHE NON È MAI STATA TROVATA” – “COSA NOSTRA HA CAMBIATO STRATEGIA: NON AMMAZZA PIÙ, NON FA PIÙ STRAGI, È PIÙ DEBOLE” – SUL CONCORSO ESTERNO, CHE IL MINISTRO NORDIO VORREBBE ABOLIRE: “È UN REATO MOLTO DEFINITO E FISSATO DA CRITERI BEN PRECISI” -
Estratto dell’articolo di Laura Anello per “La Stampa”
Lui c'era, in mezzo al fumo, all'asfalto sventrato, ai corpi di Borsellino e dei suoi cinque agenti di scorta in via D'Amelio. Era lì il 19 luglio del 1992 Giuseppe Ayala, magistrato di lungo corso, pm del primo maxiprocesso, amico di Falcone e di Borsellino, parlamentare nell'anno delle stragi.
«Abitavo lì vicino – racconta Giuseppe Ayala –, ho sentito un botto incredibile e mi sono precipitato, in mezzo al fumo. Lì sono inciampato in qualcosa che all'inizio non avevo capito che cosa fosse, era un tronco annerito, senza braccia né gambe, color carbone, ci ho messo qualche istante a capire che era Paolo».
A trentuno anni dalle stragi, il ministro della Giustizia Nordio ha sollevato un vespaio annunciando la volontà di abolire il reato di concorso esterno, prima di essere stoppato dalla premier Meloni. Lei che cosa ne pensa?
«Io credo che dopo le parole di Meloni, il tema sia abbondantemente chiuso. Conosco e stimo molto il ministro Nordio, siamo entrati in magistratura insieme, ma le sue prime sortite a riguardo mi hanno molto sorpreso. Mi pare non ci sia alcuna esigenza di tipicizzare, termine che usa il ministro, un reato che mi sembra molto definito e che viene fissato da criteri ben precisi in una sentenza del 2005 […]».
[…] Il fratello di un agente di scorta di Borsellino, Luciano Traina, ci ha detto che lo Stato ha fallito su tutti i fronti contro la mafia, che non l'ha voluta combattere. Lei che bilancio fa?
«La cosa più importante da sottolineare è che Cosa nostra ha cambiato strategia: non ammazza più, non fa più stragi, è più debole, anche se non del tutto debellata. Lo Stato si è attrezzato e ha messo a segno colpi importanti. L'arresto di Matteo Messina Denaro è uno di questi, seppur tardivo, seppure denso di interrogativi, anche se io non credo alle teorie dietrologiche sul fatto che sia stato un arresto, per così dire, concordato.
Forse bisogna ricordarsi più spesso che fino al 29 settembre 1982 nel codice penale italiano non esisteva la parola mafia, fu introdotta dopo l'uccisione del generale Dalla Chiesa. La mafia è un fenomeno umano, ha avuto un suo inizio a avrà una sua fine, come diceva Falcone. Non so quando succederà, ma mi piacerebbe moltissimo esserci».
Non crede che ci siano ancora delle zone d'ombra da chiarire nelle stragi?
«Certo che sì, soprattutto sulla fine di Paolo, sul depistaggio, su quell'agenda rossa che non è mai stata trovata. La speranza dopo trentuno anni si è affievolita, ma è ancora viva».
Agenda rossa contenuta nella borsa su cui lei è un testimone prezioso. Ha raccontato di essersela ritrovata in mano in mezzo alle macerie e di averla consegnata a un ufficiale dei carabinieri in divisa. Ma Giovanni Arcangioli, l'ufficiale dei carabinieri fotografato in maniche di camicia con la borsa in mano, sostiene che gliela portò, la aprì davanti a lei e al suo collega Giovanni Teresi e che constataste insieme che era vuota.
«Come ho già detto, è pura invenzione».
Secondo la Cassazione, la trattativa Stato-mafia non c'è mai stata.
«Io sono un magistrato all'antica, le sentenze le rispetto». […]
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Giovanni Teresi Giovanni Teresi (Marsala, 1951) è docente in pensione. Cultore sin da giovane dell’arte in tutti i suoi aspetti, ha pubblicato diversi testi di…
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paoloxl · 4 years
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Appello per la liberazione immediata di Dana Lauriola firmato da oltre un centinaio di membri del corpo accademico, giuristi, intellettuali ed esponenti del mondo della cultura. Dana, attivista notav, è detenuta in carcere da ormai quasi sei mesi per aver parlato in un megafono durante una manifestazione contro il raddoppio della Torino-Lione
Alla Ministra della Giustizia
prof. Marta Cartabia
Al Garante nazionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale
Mauro Palma
Al Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale per il Piemonte
Bruno Mellano
e, per conoscenza
Al Tribunale di sorveglianza di Torino
Dana Lauriola, militante No Tav, è in carcere dal 17 settembre 2020 ‒ e, dunque, da quasi sei mesi ‒ in esecuzione di una condanna a due anni di reclusione per il reato di violenza privata (per il quale, con il bilanciamento tra aggravanti e attenuanti, la pena prevista dalla legge parte da 15 giorni).
I fatti per cui è stata condannata risalgono a nove anni fa e sono stati commessi nel corso di una manifestazione di protesta e di solidarietà con Luca Abbà, agricoltore valsusino in quei giorni in bilico tra la vita e la morte dopo essere rimasto folgorato su un traliccio dell’alta tensione su cui si stava arrampicando, inseguito da un agente di polizia, in un’azione dimostrativa contro l’apertura del cantiere della Nuova linea ferroviaria Torino-Lione. La manifestazione si concluse con il blocco, per alcuni minuti, delle sbarre dei caselli di accesso all’autostrada Torino-Bardonecchia. Il danno subito dalla società concessionaria dell’autostrada per il mancato pagamento del pedaggio da parte degli automobilisti in transito è stato quantificato dal tribunale in 777 euro e a Dana Lauriola è stato contestato «di avere, usando un megafono, intimato agli automobilisti di transitare ai caselli senza pagare il pedaggio, indicando le ragioni della protesta». Diventata definitiva la sentenza, Dana Lauriola ha chiesto di scontare la pena in misura alternativa, ma il Tribunale di sorveglianza di Torino ha respinto l’istanza, pur in assenza di precedenti condanne definitive e nonostante l’esistenza di un lavoro stabile di notevole responsabilità e le valutazioni ampiamente favorevoli dei servizi sociali dell’amministrazione della giustizia. La motivazione del rigetto è che Dana Lauriola «non ha preso le distanze» dal movimento No Tav e che il suo domicilio «coincide con il territorio scelto come teatro di azione dal movimento No Tav, il quale ha individuato il cantiere di Chiomonte per la realizzazione della futura linea dell’Alta Velocità come scenario per frequenti manifestazioni e scontri con le Forze dell’ordine».
La vicenda ci lascia sbigottiti/e e preoccupati/e, come cittadini e cittadine impegnati/e nell’associazionismo, nella politica, nell’informazione, nel mondo dell’arte e della cultura. Per la sorte di Dana e per il trattamento del dissenso nel nostro Paese.
Non entriamo, qui, nel merito della qualificazione giuridica dei fatti e di altri aspetti (pur inquietanti) inerenti la ritenuta responsabilità di Dana e la concezione del concorso di persone nel reato sottesa alla condanna, ma denunciamo, da un lato, l’evidente sproporzione tra i fatti (commessi senza violenza alle persone e con un danno patrimoniale di assoluta modestia) e la pena e, dall’altro, la sorprendete anomalia della mancata concessione di una misura alternativa al carcere (pur consentita dalla legge e coerente con le condizioni soggettive di Dana). Il nostro stupore e la nostra preoccupazione, poi, aumentano guardando alle motivazioni con cui l’istanza di misura alternativa è stata respinta: Dana non può beneficiare della pena alternativa e, quindi, merita il carcere per aver tenuto fermi i propri «ideali politici» e la propria opposizione al Tav e perché abita nella valle in cui ci sono i suoi affetti, i suoi interessi, i suoi compagni di vita e di militanza!
Percepiamo la carcerazione di Dana come una grave ingiustizia sul piano personale e come un pesante attacco alla libertà di tutti di manifestare ed esprimere le proprie idee e di dissentire da scelte politiche ritenute sbagliate e dannose. La nostra denuncia e la nostra preoccupazione sono condivise dalla grande maggioranza di una valle che da trent’anni chiede inutilmente di essere ascoltata e da molti cittadini e cittadine che non sono contrari alla Nuova linea ferroviaria ma hanno a cuore le libertà e i diritti fondamentali.
Per questo vi chiediamo, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, di adottare ogni iniziativa utile a favorire l’immediata scarcerazione di Dana: per porre rimedio a un’ingiustizia in atto, per dare un segnale di attenzione ai temi implicati dalla vicenda, per ripristinare condizioni di agibilità politica anche (e soprattutto) per chi dissente.
4 marzo 2021
FIRMATARI
1) Maria Luisa Boccia (Centro per la Riforma dello Stato)
2) Daniela Dioguardi (Udipalermo)
3) Ketty Giannilivigni (Udipalermo)
4) Franco Ippolito (Fondazione Basso)
5) Livio Pepino (Volere la luna, Edizioni Gruppo Abele)
6) Tamar Pitch (Università di Perugia)
7) Grazia Zuffa (Società della ragione)
8) Alessandra Algostino (Università di Torino)
9) Stefano Anastasia (Università di Perugia)
10) Gaetano Azzariti (Università di Roma La Sapienza)
11) Letizia Battaglia (fotografa)
12) Mauro Biani (vignettista)
13) Alessandra Bocchetti (saggista)
14) Luciana Castellina (politica e scrittrice)
15) Franco Corleone (già sottosegretario alla Giustizia)
16) Maura Cossutta (Casa internazionale delle donne)
17) Maria Rosa Cutrufelli (scrittrice)
18) Teresa Degenhardt (Queen’s University, Belfast, Studi sulla Questione criminale)
19) Giuseppe De Marzo (Libera – Rete dei Numeri Pari)
20) Ida Dominijanni (filosofa e giornalista)
21) Claudio Fava (presidente Commissione antimafia Regione Sicilia)
22) Lorenzo Fazio (direttore editoriale casa editrice Chiarelettere)
23) Luigi Ferrajoli (Università di Roma3)
24) Angelo Ficarra (Anpi, Palermo)
25) Marcello Fois (scrittore)
26) Maria Grazia Giammarinaro (magistrata)
27) Elisabetta Grande (Università del Piemonte orientale)
28) Sabina Guzzanti (attrice e regista)
29) Loredana Lipperini (giornalista, scrittrice e conduttrice radiofonica)
30) Luigi Manconi (A Buon Diritto)
31) Lea Melandri (saggista)
32) Luca Mercalli (climatologo e giornalista scientifico)
33) Paolo Mondani (giornalista)
34) Tomaso Montanari (Università per stranieri di Siena)
35) Michela Murgia (scrittrice)
36) Francesco Pallante (Università di Torino)
37) Giovanni Palombarini (già magistrato)
38) Valeria Parrella (scrittrice)
39) Mariella Pasinati (Udipalermo )
40) Valentina Pazé (Università di Torino)
41) Marco Revelli (Università del Piemonte orientale)
42) Maria Concetta Sala (Udipalermo, Palermo)
43) Giorgia Serughetti (filosofa politica)
44) Evelina Santangelo (scrittrice)
45) Vincenzo Scalia (Università di Winchester, Studi sulla Questione criminale)
46) Anita Sonego (presidente Casa delle donne Milano)
47) Armando Sorrentino (avvocato)
48) Sergio Staino (vignettista)
49) Vittorio Teresi (già magistrato)
50) Chiara Valerio (scrittrice)
51) Simone Furzi, ricercatore
52) Laura Cima, ecofemminista
53) Alberto Castiglione, regista
54) Alessandra Sarchi, scrittrice
55) Helena Janeczeck, scrittrice
56) Teresa Ciabatti, scrittrice
57) Rossella Milone, scrittrice
58) Caterina Bonvicini, scrittrice
59) Hamid Ziarati, scrittore
60) Elvira Seminara, scrittrice
61) Marta Bellingreri, reporter l’Espresso, Al-Jazeera English
62) Alessio Mamo, fotoreporter l’Espresso, Guardian
63) Vittoria Tola, UDI
64) Giulia Potenza, avvocata, responsabile nazionale UDI
65) Adriana Laudani, avvocata
66) Emma Dante, regista
67) Valentina Chinnici, insegnante, consigliera comunale Palermo
68) Lorenzo Teodonio, fisico climatologo
69) Lorenzo Coccoli, storico
70) Rita Di Leo, docente di relazioni internazionali
71) Giulio De Petra, docente di tecnologie digitali
72) Carmelo Caravella, sindacalista Cgil
73) Luisa Simonutti, ricercatrice di filosofia politica, Cnr
74) Alessandro Montebugnoli, economista
75) Bianca Pomeranzi, esperta di cooperazione e politiche di genere
76) Fulvia Bandoli, politica ecologista
77) Mario Dogliani, costituzionalista
78) Alberto Olivetti, filosofo di estetica
79) Caterina Botti,  filosofa morale
80) Laura Bazzicalupo, filosofa politica
81) Claudio De Fiores, costituzionalista
82) Chiara Giorgi, storica
83) Laura Ronchetti, costituzionalista
84) Nicola Genga, Ministero dei Beni culturali,
85) Rocco D’Ambrosio, sacerdote filosofo politico
86) Giuseppe Cotturri, docente di teoria del diritto e delle istituzioni
87) Stefania Vulterini, saggista
88) Emilio Giannelli avvocato
89) Gisella Modica Udipalermo
90) Giovanna Martelli, già parlamentare
91) Claudia Pedrotti, avvocata Udipalermo
92) Rita Barbera, già direttora istituti di pena
93) Elvira Rosa, coordinamento antiviolenza palermo
94) Gisella Costanzo, attrice
95) Sandra Rizza, giornalista
96) Laura Piretti, UDI
97) Alida Castelli, UDI
98) Liviana Zagagnoni, UDI
99) Pina Mandolfo, operatrice culturale
100) Francesca Traina, Udipalermo
101) Loredana Rosa, Il femminile è politico: potere alle donne
102) Rita Calabrese, Udipalermo
103) Marina Leopizzi, Udipalermo
104) Giovanna Minardi, docente Università Palermo
105) Mimma Grillo, Forum antirazzista Palermo
106) Ida La Porta, Udipalermo
107) Bice Grillo, Udipalermo
108) Toni Casano, redattore Pressenza
109) Alessandra Notarbartolo, coordinamento antiviolenza Palermo
110) Agata Schiera, Udipalermo
111) Beatrice Monroy, scrittrice
112) Emi Monteneri, Udipalermo
113) Angela Militello, Udipalermo
114) Etta Sgadari, Udipalermo
115) Elena Diliberto, Udipalermo
116) Mimma Argurio  (segretaria generale Fisac Sicilia)
117) Elvira Morana (CGIL Sicilia)
118) Anna Maria Tirreno (segretaria Camera del lavoro CGIL Palermo)
119) Rita D’Ippolito (insegnante in pensione)
120) Rosario Nicchitta (architetto)
121) Novella Nicchitta (formatrice)
122) Ornella Russo (insegnante)
123) Anna Di Salvo (Città Felice, Rete la Ragna-Tela)
124) Enza Longo (Coordinamento antiviolenza 21luglio Palermo)
125) Maria Rosa Turrisi (preside in pensione)
126) Angela Galici (Coordinamento antiviolenza 21 luglio Palermo)
127) Simona Sorrentino (medica)
128) Elvira Rosa (Il femminile è politico: potere alle donne)
129) Gemma Infurnari (UDIPalermo)
130) Elisa Romano (Università di Pavia)
131) Maddalena Giardina (avvocata, UDIPalermo)
132) Anna Marrone (docente, UDIPalermo)
133) Emilia Martorana (Coordinamento antiviolenza 21luglio Palermo)
134) Katia Orlando (insegnante, consigliera comunale Palermo)
135) Maria Concetta Pizzurro (UDIPalermo)
136) Silvia Miceli, docente (UDIPalermo)
137) Maria Grazia Patronaggio (Le Onde onlus)
138) Valeria Andò (docente Università di Palermo)
139) Benita Licata (dirigente Scolastica)
140) A. Maria Catalano (dirigente Scolastica)
141) Gaia Nicita (docente)
142) Valeria Ferrauto (docente)
143) Margherita La Porta (funzionaria MEF)
144) Giusi Vacca (agente pubblicitaria)
145) Flora Arcuri (docente)
146) Cetti Iovino (imprenditrice agricola)
147) Alessandra Jaforte (docente)
148) Claudia La Franca (architetta)
149) Virna Chessari (docente)
150) Gilda Messina (docente)
151) Valeria Adamo (docente)
152) Giorgia Calì (docente)
153) Nadia Saputo (docente)
154) Claudia Calzolari (docente)
155) Gabriella Pucci (imprenditrice agricola)
156) Daniela Gennaro (dirigente scolastica)
157) Cristina Fatta del Bosco (imprenditrice agricola)
158) Amelia Crisantino (docente/scrittrice)
159) Anna Maria Ruta (dirigente scolastica)
160) M. Antonietta Spadaro (storica dell’arte)
161) Anna Cottone (docente Università Palermo)
162) Tommaso Di Caccamo (redattore tecnico)
163) Agostina Passantino (bibliotecaria)
164) Licia Masi (pensionata, operatrice sociale volontaria)
165) Rossella Reyes (dipendente regionale)
166) Sabina Cannizzaro (pensionata regionale)
167) Cristina Pecoraro (pensionata regionale)
168) Rosalba Rinaudo (insegnante in pensione)
169) Carmelo Lucchesi (insegnante in pensione)
170) Francesca Citarrella (operatrice sociale)
171) Laura Zizzo (guida turistica)
172) Michela Fiore  (casalinga)
173) Antonia Cascio (pensionata)
174) Adriano Di Cara (ingegnere)
175) Antonino Di Cara (operatore sociale)
177) Sandra Giovanna Cascio (casalinga)
178) Alessandra Bruno (avvocata)
179) Emilia Esini (Maghweb)
180) Gabriele Tramontana (Maghweb)
189) Fabrizio Cacciatore (Maghweb)
190) Vincenzo Allotta (Maghweb)
191) Sofia Calderone (Maghweb)
192) Epifania Lo Presti (Maghweb)
193) Elisa Chillura (Maghweb)
194) Chiara Ercolani (Maghweb)
195) Marianna Castronovo (Maghweb)
196) Giuseppe Grado (Maghweb)
197) Marta Cutrò (docente)
198) Sebastiana Zangla (docente)
199) Maria Clara Provenzano (docente)
200) Maria Oliva Caldarella (docente)
201) Emanuela Bajardi (docente)
202) Candida Di Franco (docente)
203) Alessandra Martorana (docente)
204) Gabriella Costanzo (docente)
205) Teresa Burderi (docente)
206) Elvira Leone (pediatra)
207) Gisella Duci (docente)
208) Maria Di Chiara (docente)
209) Donatella Lombardo (docente)
210) Francesca Koch (storica)
211) Francesca Martino (musicista)
212) Ugo Mattei (Università di Torino, Generazioni Future)
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misschloris · 4 years
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Analiza rzeźby Giovanniego Lorenzo Berniniego - „Ekstaza świętej Teresy”
„Ekstaza świętej Teresy” jest wyjątkową rzeźbą autorstwa Giovanniego Lorenzo Berniniego. Stanowi jedną z najbardziej rozpoznawalnych rzeźb baroku. Powstała w latach 1647 – 1652 na zamówienie kardynała Cornaro do jego rodowej kaplicy w kościele Santa Maria della Vittoria w Rzymie. Dzieło to jest najbardziej kontrowersyjnym i podziwianym w dorobku artysty. Jest to rzeźba dekoracyjna, przedstawiająca – pełno postaciowa.
Giovanni Lorenzo Bernini był barokowym rzeźbiarzem i architektem. Oprócz wspomnianej wcześniej grupy rzeźbiarskiej wykonał prace takie jak „Apollo i Dafne”, „Porwanie Prozerpiny” oraz „Dawid”. Już za lat swej młodości został dostrzeżony jako rzeźbiarz przez ówczesnego papieża. Przez innych ludzi uważany był bezapelacyjnie za mistrza na polu rzeźbiarskim. Rywalizował jednak z Francesco Borrominim na polu architektury.
„Ekstaza świętej Teresy” nie jest jedynym dziełem artysty, które wzbudziło mieszane emocje wśród Rzymian. Już wcześniej jego realizacja popiersia swej kochanki Constanzy Bonarelli wzbudziła wiele dyskusji.
W rzeźbie wykonanej na zamówienie kardynała Bernini ukazał dynamicznie cielesność, namiętność i erotyzm, nie pokazując tym samym wiele nagości i samego ciała. Bernini przekazuje widzowi jego dzieła to, co chce, aby ten zobaczył za pomocą wyrazu twarzy świętej Teresy, która wyraża emocje towarzyszące zazwyczaj kobiecie podczas miłosnego uniesienia. Poza tym szaty postaci są skłębione i jakby falujące podczas gdy sama sylwetka, którą opływają zdaje się lewitować. Wymienione silne emocje targają nie zwykłym śmiertelnikiem, a osobą świętą, doświadczającą spotkania duchowego ze Stwórcą, bowiem święta Teresa z Avili przedstawiona jest podczas opisywanych przez siebie widzeń, w których spotkała anioła celującego strzałą w jej serce. Właśnie sposób przedstawienia uczuć świętej Teresy wywołał tyle spornych opinii. Nigdy wcześniej nikt nie ukazał świętej podczas spotkania z samym Bogiem, jak kobiety przeżywającej, kolokwialnie mówiąc, orgazm.
Ilustracja tychże zdarzeń została wykonana przez Berniniego w marmurze. Bernini posługuje się tu iluzyjnością, narracyjnością i doprowadzonymi do mistrzostwa portretowością oraz psychologią postaci. Kompozycja ta przedstawia dwie postacie – anioła i świętej Teresy – i jest otwarta. Nie jest to jednak przypadkowy zabieg, gdyż po lewej oraz po prawej stronie, z zewnątrz kaplicy w wyrzeźbionych lożach przedstawiono fundatorów tegoż dzieła, którzy z szokiem lub zainteresowaniem obserwują uchwycone za pomocą dłuta przez Berniniego spotkanie świętej z aniołem. Z uwagi na to kompozycja tegoż dzieła jest również luźna, wielopłaszczyznowa i dośrodkowa. Bryła rzeźby jest raczej rozczłonkowana i złożona, o silnym (charakterystycznym dla baroku) światłocieniu, a faktura gładka, aczkolwiek jednocześnie urozmaicona, by realistycznie odwzorować różne materiały i tworzywa.
„Ekstaza świętej Teresy” stanowi nie tylko popis rzeźbiarskich, ale również architektonicznych umiejętności Berniniego, bowiem całą niszę, w której znajduje się rzeźba Bernini zaprojektował i wykonał osobiście, włącznie z posadzką przed rzeźbą. Giovanni Lorenzo Bernini sam wybierał wszystkie materiały, zaprojektował okno oraz pozłacane druciki, po których przemieszczało się światło słoneczne. Dlatego też tę rzeźbę uważa się za najdoskonalszą pod pewnymi względami w jego dorobku. Łączy ona obie dziedziny, w których Bernini był mistrzem – rzeźbę oraz architekturę.
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źródło: google grafika
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newsintheshell · 5 years
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Shinko e la magia millenaria, online il trailer italiano del film
Il premiato lungometraggio diretto da Sunao Katabuchi (In questo angolo di mondo) sarà proiettato al Lucca Comics & Games 2019.
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Yamato Video ha pubblicato un primo trailer per l’edizione italiana del film d’animazione “Shinko e la magia millenaria” (Mai Mai Shinko to Sennen no Mahou o Mai Mai Miracle).
Il premiato lungometraggio diretto da Sunao Katabuchi (In questo angolo di mondo, Black Lagoon) presso lo studio Madhouse, uscito nel 2009 in Giappone, sarà proiettato doppiato in occasione del Lucca Comics & Games 2019, sabato 1 novembre alle ore 18:00 presso il Cinema Astra di Lucca. In apertura dell’evento ci sarà un’introduzione a cura di Gualtiero Cannarsi, mentre a seguito della proiezione si darà spazio al commento e al dibattito col pubblico.
youtube
Tratto dal romanzo del 2004 “Mai Mai Shinko” di Takagi Nobuko, il film della durata di 95 minuti circa, si avvale delle musiche di Shusei Murai (Silver Spoon, Aiura) e dei fondali realizzati da Shin’ichi Ueara (Paranoia Agent, Paprika, The Tatami Galaxy). 
Di seguito trovate il cast italiano del film.
AOKI SHINKO – Chiara Fabiano
SHIMAZU KIIKO – Vittoria Bartolomei
AOKI KOUTARO – Luca Biagini
AOKI NAGAKO – Benedetta Ponticelli
AOKI MITSUKO – Anita Ferraro
AOKI HATSUE – Barbara Castracane
AOKI TOUSUKE – Edoardo Stoppacciaro
SIGNOR SUZUKI – Massimiliano Virgilii
SIGNOR SHIMAZU – Raffaele Carpentieri
KIYOHARA NAGIKO – Carolina Gusev
KIYOHARA NO MOTOSUKE – Silvio Anselmo
TATARA KEN – Pierluigi Astore
SHICHIRO – Leonardo Caneva
SENKO – Agnese Marteddu
MADRE DI SENKO – Tiziana Martello
SUZUKI TATSUYOSHI – Riccardo Suarez
MARUKI SHIGERU – Mattia Fabiano
MITSURU – Tito Marteddu
TACHIKAWA IPPEI – Diego Follega
HITOSHI – Vittorio Thermes
YOSHIOKA KIMIKO – Luna Iansante
MAESTRA MURAKAMI HIDZURU – Rossa Caputo
MAESTRO HANADA – Nicola Braile
SIGNOR FUJIIWARA – Gaetano Lizzio
ARCHEOLOGO – Gianluca Solombrino
SIGNOR EJIMA – Mauro Magliozzi
SIGNOR YOSHIMURA – Guido Sagliocca
BOSS YAKUZA – Stefano Thermes
BIONDA DEL BAR CALIFORNIA – Cristina Poccardi
Altre voci: Edoardo Benedetti, Fabiola Bittarello, Christian Borromeo, Giovanni Caravaglio, Veronica Cuscusa, Daniele DeLisi, Luca Ghillino, Dario Follis, Carmen Iovine, Giulia Lozi, Alessandro Messina, Sarah Nicolucci, Mirta Pepe, Arianna Polidori, Germana Savo, Serena Sigismondo, Francesca Teresi, Annalisa Usai, Rachele Vaganrelli.
Nel Giappone degli anni '50, Shinko è una vivace bambina di campagna con uno ciuffo ribelle sulla fronte, da lei chiamato "ghibizzo", che sembra renderla capace di vedere le epoche passate, in un magico vortice di fantasia, realtà storica e immaginazione. L'arrivo in paese di una timida ragazzina di città nome Kiiko farà nascere una nuova amicizia in grado di superare le differenze sociali, i piccoli e grandi traumi della crescita, e persino la distanza millenaria di epoche lontane.
La pellicola è già stata mostrata in anteprima da TIMVision lo scorso luglio al Giffoni Film Festival. 
Autore: SilenziO))) (@s1lenzi0)
[FONTE]
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toscanoirriverente · 6 years
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La Trattativa Stato-Mafia e “una sentenza che non convince per niente”. Parla Macaluso
I giudici hanno "condannato tre ufficiali dei Carabinieri ma nessuno che avesse un ruolo istituzionale nel 1993" 
"Le sentenze si rispettano, mancherebbe altro, ma si possono criticare” mi dice Emanuele Macaluso, che aggiunge subito: “Questo criterio generale vale per tutti, con una sola eccezione: i magistrati devono evitare giudizi pubblici su sentenze di colleghi, specie se relative a vicende di cui anche loro si occupano. Eppure il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, quando una sentenza assolse il generale Mori, accusato dalla Procura di Palermo di avere volontariamente evitato di catturare Bernardo Provenzano, non solo la criticò ma le mise anche il voto. Merita un quattro, stabilì”.
Per la verità quella sentenza, che Marco Travaglio definì una bomba devastante per le tesi della Procura sulla trattativa, fu confermata in appello e resa definitiva dalla Cassazione. “Appunto. Dunque posso ben dire che la sentenza di primo grado pronunciata venerdì scorso non mi convince per niente. Leggo titoli dei giornali che parlano di una sentenza che conferma come effettivamente avvenuta una trattativa scellerata fra stato e mafia. In realtà il dispositivo condanna tre ufficiali dei Carabinieri ma nessuno che avesse un ruolo istituzionale nel 1993. Presidente della Repubblica era Oscar Luigi Scalfaro, presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi, ministro della Giustizia il professore Giovanni Conso, insigne giurista e uomo probo, che pure fu indagato. Assolti altri due ministri imputati, Nicola Mancino e Calogero Mannino, non resta che chiedersi se davvero la Corte d’assise pensa che i mandanti del Ros siano stati Scalfaro e Ciampi. Davvero nelle motivazioni scriveranno questo?”. Non resta che aspettare tre mesi. “Certo, leggeremo le motivazioni con la dovuta attenzione e le metteremo a confronto con le altre sentenze sulla stessa vicenda che nel frattempo sono divenute definitive. Intanto nel dispositivo lo stato non c’è, mentre campeggia nei titoli dei giornali. Penso sarebbe necessaria almeno po’ di prudenza”.
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purpleavenuecupcake · 4 years
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Chi si nasconde dietro le quinte? Con Falcone tanti i morti ammazzati per mano della mafia
(di Rossella Daverio) Oggi 23 maggio 2020, ventottesimo anniversario della strage di Capaci, la Fondazione Falcone ha invitato i cittadini ad appendere alle loro finestre un lenzuolo bianco. Bianco come la pulizia, come la luce, come la verità.
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È un bel simbolo, che sollecita il risveglio delle coscienze. Perché di pulizia, di luce e di verità intorno all’omicidio di Giovanni Falcone ce ne sono poche. La ragione della sua morte risiede senza dubbio nell’eccezionalità della sua vita. I mandanti dell’atto terroristico che l’ha ucciso restano invece nell’ombra. Giovanni Falcone fu un uomo e un giurista fuori del comune. Conciliò — come scrive stamani il gip di Palermo Piergiorgio Morosini — due virtù rare e raramente associate tra loro: operosa combattività quotidiana e lucidità nell’immaginare il futuro. Questi talenti si tradussero concretamente in «un forte senso di autonomia dai centri di potere» che gli permise di innovare il ruolo del magistrato e modificare l’assetto normativo di lotta alla criminalità organizzata. Se non ci fosse stato Giovanni Falcone, oggi non avremmo le Direzioni Distrettuali e la Direzione Nazionale Antimafia, le norme sui collaboratori di giustizia e il 41 bis. Un uomo di tale calibro era ovviamente assai pericoloso per i suoi nemici, i cui tentacoli andavano ben oltre i confini di Corleone per arrivare ai vertici dello Stato, delle sue istituzioni e dei centri decisionali occulti che ne determinavano i destini: banche, narcotrafficanti, fabbricanti d’armi, logge massoniche, servizi deviati sulle due sponde dell’Atlantico. Occorrevano molta intelligenza e molto coraggio per opporsi a un sistema talmente radicato da considerarsi intoccabile. Giovanni Falcone possedeva entrambi. Perciò andava eliminato, in un modo o nell’altro. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, divenne urgentissimo farlo in quell’estate del ’92. Il 17 febbraio precedente era successo qualcosa d’inquietante a Milano: l’arresto di Mario Chiesa e l’apertura, in Procura, di un faldone con scritto sopra «Mani Pulite». I complici del potere mafioso che «avevano invaso come cancro l’intero corpo della nazione» (per citare un memorabile editoriale di Alberto Cavallari dopo l’omicidio Dalla Chiesa) vedevano incrinarsi per la prima volta quel complesso status quo, fondato su sottili equilibri d’interesse, in cui avevano prosperato per decenni in totale impunità. E sapevano bene come e quando Giovanni Falcone, che con Milano già stava collaborando, avrebbe inferto loro il colpo di grazia.
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In tale quadro mutante, chi furono davvero coloro che prima lo denigrarono con un’intricata trama di dossieraggi, poi lo minacciarono, infine ne sentenziarono la morte? Lui stesso definì i suoi nemici «menti raffinatissime». E non si riferiva di certo ai viddani di Corleone. Chi sedeva dunque dietro il monitor di regia? Chi fu inviato in Sicilia prima e a Roma poi per spiarne le mosse? Chi lo tradì in occasione dell’attentato fallito dell’Addaura e di quello, malauguratamente riuscito, di Capaci, rivelando i suoi programmi e i suoi spostamenti, che erano secretati, cioè noti a un numero di persone che si contavano sulle dita di una mano? In questi giorni è riemerso con prepotenza, in seguito alla trasmissione televisiva Atlantide de La7, il nome di Bruno Contrada che, tra tutti i presunti traditori del giudice palermitano, è da anni il più accreditato. Alfredo Morvillo, cognato di Falcone e anche lui magistrato, ha dichiarato ad Atlantide che Giovanni gli rivelò di essere stato tradito da «un alto ufficiale delle forze dell’ordine». Il che avvalora l’ipotesi Contrada, che fu poliziotto e capo della Mobile di Palermo, oltre che dirigente del Sisde (come si chiamavano allora i servizi segreti interni). Personaggio viscido e ambiguo, che si è mosso con gran disinvoltura nella zona grigia tra legalità e illegalità, Bruno Contrada è certamente di quelli che non amano il bianco. Arrestato nel dicembre 1992 per concorso esterno in associazione mafiosa, è stato tuttavia scagionato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Cassazione italiana e reintegrato, da pensionato, nella Polizia di Stato. E soprattutto si è sempre difeso con tenace accanimento dalle accuse a suo carico durante gli anni di prigionia e oltre. Davanti a chi, come lui, proclama la propria innocenza per tutta la vita, è legittimo — ai sensi della Costituzione, che impone di rispettare le sentenze — porsi la domanda: e se avesse ragione? Chi sarebbero in tal caso le persone vicine a Giovanni Falcone che lo hanno tradito più volte? Sono ancora attive e magari ricoprono ruoli di responsabilità nel paese? Lo lascerebbe intendere una dichiarazione recente di Vittorio Teresi, coordinatore del pool di inquirenti nell’inchiesta Stato-mafia. Se Falcone avesse potuto completare il pacchetto normativo che aveva in mente — ha detto Teresi — sarebbe riuscito a conseguire «l’obiettivo di noi tutti: cioè la distruzione totale, completa e irreversibile delle mafie». E ha aggiunto. «Questo obiettivo è contrastato ancora da molti Stati. E da molti esponenti di questo Stato». Analogamente la natura stessa del sistema mafioso potrebbe indurre a pensare che dietro Contrada ci fosse ben altro. La criminalità organizzata e i suoi padrini, palesi e occulti, vivono di apparenze. Nulla di quello che si vede è reale. Rispettabilità di facciata, formalismo e burocrazia sono le quinte teatrali che nascondono le macchine di scena. Dietro i «moventi prossimi» di un crimine, che appaiono sotto gli occhi di tutti, si celano sempre «moventi remoti», che pochissimi conoscono. E ci sono infine, nella recitazione mafiosa, protagonisti e controfigure: poiché il protagonista non può correre rischi, si usa al suo posto una controfigura che gli somigli e sia possibile bruciare. Non è un caso che Giovanni Falcone stesso dichiarasse che la mafia «è tutta un teatro». E se allora Bruno Contrada fosse stato, in tutti questi anni, soltanto la controfigura precisa di qualcun altro, collocato molto più in alto di lui negli interessi della mafia e nell’organizzazione dello Stato? «Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi», scrisse nel 1974 Pier Paolo Pasolini in un articolo famoso e profetico. «So perché leggo, mi informo, coordino fatti anche lontani, metto insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero e coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero». È oggi una certezza che ci siano state molta logica e poca follia nella morte di Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e dei suoi agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Ma, purtroppo, permane il mistero. Sarebbe tempo che chi sa parli. E chi non sa indaghi o domandi. Altrimenti la lotta alla mafia resterà una partita truccata. Altrimenti non si annienterà mai il serpente, perché non se ne colpirà la testa. Altrimenti non saremo mai una democrazia autentica, dato che il popolo non può esercitare il potere che gli appartiene senza la consapevolezza che nasce dalla verità. Altrimenti Giovanni Falcone — e con lui Paolo Borsellino, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Piersanti Mattarella, Boris Giuliano, Pio La Torre, Rocco Chinnici, Ninni Cassarà e troppi altri — continueranno a essere uccisi di nuovo, ogni giorno. Read the full article
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latinabiz · 4 years
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Operazione antimafia tra Palermo e Milano: 91 persone arrestate
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Arresto E' stata condotta con successo dalla Guardia di Finanza nelle città di Palermo e Milano una  importante operazione antimafia, con l'emissione di 91 ordinanze di custodia cautelare, assestando un duro colpo verso i clan mafiosi dei mandamenti dell' Arenella e dell'Acquasanta. Gli arrestati sono accusati dei reati di estorsione, associazione a delinquere di stampo mafioso, ricettazione, riciclaggio, intestazione fittizia di beni, traffico di stupefacenti, truffa e frode sportiva. Tra le attività dove gli appartenenti alle famiglie mafiose sono riusciti ad infiltrarsi anche società di commercializzazione  di cialde di caffè e anche una cooperativa operante al porto di Palermo. Nel mirino delle Fiamme Gialle, coordinati dalla Dda di Palermo guidata da Francesco Lo Voi,  sono finiti boss, gregari e anche insospettabili che hanno agito per nome e per conto dei capi mafia.  Due sono state le famiglie decimate dalla giustizia da questo maxiblitz: le famiglie mafiose dei Fontana e dei Ferrante. L'elemento di spicco risulta essere Gaetano Fontana, più volte condannato ed uscito per decorrenza dei termini nel corso dell'ultimo decennio. Con lui sono stati arrestati i fratelli Giovanni, considerato dalla magistratura un elemento pericolo per la società, con un lungo elenco di precedenti penali a suo carico, e Angelo, dal 2012 sottoposto a soggiorno obbligato a Milano. I fratelli fontana sono figli di un fedelissimo dell'ex capo dei capi Salvatore "Totò" Riina,  Stefano Fontana. In manette anche la figlia di Stefano, Rita e la moglie Angela Teresi. Tra gli insospettabili coinvolti in questa vicenda giudiziaria risulta coinvolto anche un concorrente del Grande Fratello 10, l'ex broker finanziario Daniele Santoianni. Le cosche lo hanno contattato e convinto ad assumere la carica di rappresentante legale della Mok Caffè srl, società costituita per il commercio del caffè in cialde, ma in realtà è risultata essere una attività di copertura. Santoanni si trova adesso agli arresti domiciliari presso la sua abitazione. Una inchiesta che ha disarticolato i clan coinvolti, facendo emergere un quadro di molteplici attività esercitate dagli affiliati, tra le quali il racket presso i commercianti palermitani, il traffico di droga e le scommesse clandestine nelle corse dei cavalli. C'è stata anche una pesante ingerenza negli appalti pubblici e privati, da sempre fonte di guadagno illecito sicuro per la mafia. L'operazione di polizia, che ha impiegato circa cinquecento uomini della Guardia di Finanza, con l'utilizzo di mezzi aerei e di unità cinofile,  ha interessato, oltre la Lombardia, che è la sede principale del clan Fontana, e la Sicilia, anche le regioni Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Campania. Gli inquirenti hanno stabilito, nel corso delle indagini, che i mafiosi hanno portato aventi i loro affari senza esercitare una particolare coercizione, ma come ha affermato il gip  Piergiorgio Morosini nel corso della sua relazione, "una contaminazione silente che si è insinuata nel tessuto economico dell'economia nazionale". Il giudice, che ha evidenziato come le estorsioni nella regione siciliana sono state il punto di forza delle cosche, ha fatto osservare che con la situazione economica che si è determinata attraverso il lockdown dovuto all'emergenza sanitaria, ha aperto ancora di più le porte per una massiccia infiltrazione mafiosa, "acquisendo a poco prezzo aziende in evidente situazione di difficoltà", e quindi ha invitato a tenere alta la guardia. Read the full article
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lorenzospurio · 6 months
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N.E. 02/2024 - "L'antica tradizione e l'origine del Presepe", articolo di Giovanni Teresi
Le prime testimonianze storiche del presepe risalgono al III-IV secolo, quando i cristiani raffiguravano nei loro luoghi di ritrovo, come ad esempio le catacombe romane, le immagini di Maria con il piccolo Gesù in grembo. Quando il Cristianesimo uscì dalla clandestinità, le immagini della natività cominciarono ad arricchire le pareti delle prime chiese; mentre nel 1200 si iniziarono a vedere le…
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abr · 7 years
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La comiche finali del processo stato-mafia - Dopo 4 anni e 8 mesi di dibattimento e 210 dieci udienze, nel processo più folle mai celebrato in Italia, quello sulla fantomatica "trattativa" fra lo Stato e la mafia, si è giunti alla fine della requisitoria dei pubblici ministeri Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, e alle conseguenti (e incredibili) richieste di condanna per gli imputati: 15 anni per l'ex generale del Ros Mario Mori (l'uomo che ha catturato Totò Riina) e 16, appena uno in più, per il sanguinario boss Leoluca Bagarella; 12 anni per l' ex senatore Marcello Dell'Utri e per gli ex ufficiali del Ros Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, e 12 anche per il medico mafioso Antonino Cinà. Sei anni per l'ex ministro Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza, mentre per il pentito Giovanni Brusca (quello che scioglieva i bambini nell'acido, ndr) la procura di Palermo ha chiesto l'applicazione di attenuanti speciali (...)
http://www.iltempo.it/cronache/2018/01/27/news/le-comiche-finali-della-trattativa-stato-mafia-1047071/
La giustizzia nella buro-italì. Lasciamo stare l’accanimento sui malcapitati, mezzi tipo il frate deforme de “Il nome della rosa” torturati per dimostrare una tesi storico-honestosa che apre il corso a un preciso disegno di potere buro-decrescista isolazionista sullo stile Raggi a Roma; sul piano dei costi per la collettività, ‘sta cosa è paragonabile a lanciare un telescopio Hubble in orbita tarato esclusivamente per dimostrare che la Terra sia piatta. 
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#iorestoacasa: La Storia di Giovanni Teresi Nota biografica a cura di Vito Mauro in www.culturelite.com Giovanni Teresi è nato il 3 novembre 1951 a Marsala.
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giuliocavalli · 7 years
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A proposito di patti di governo: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Stragi ’93? Non era la mafia” dice Graviano in carcere
A proposito di patti di governo: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Stragi ’93? Non era la mafia” dice Graviano in carcere “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza”. E poi: “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa“. E ancora: “Nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia”. La voce del boss Giuseppe Graviano irrompe nel processo sulla Trattativa tra pezzi delloStato e Cosa nostra. Ore e ore di intercettazioni in cui il padrino di Brancaccio parla della Trattativa per alleggerire le condizioni carcerarie dei detenuti mafiosi, tirando in ballo direttamente  Silvio Berlusconi, al quale sembra sembra voler attribuire il ruolo di mandante delle stragi del 1993.  “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi, lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa”, dice intercettato nel carcere di Ascoli il 10 aprile del 2016, mentre parla col compagno di ora d’aria, Umberto Adinolfi, camorrista di San Marzano sul Sarno. Anche Graviano indagato – Trentadue conversazioni, registrate durante le ore di socialità condivise dai due detenuti nel carcere marchigiano tra il marzo 2016  e l’aprile del 2017 che adesso sono finite agli atti del processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. A depositarle il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Nino Di Matteo, Roberto Del Bene e Roberto Tartaglia, che hanno iscritto il nome del boss di Brancaccio nel registro degli indagati con le accuse di minaccia a corpo politico dello Stato in concorso con altri boss. È lo stesso reato contestato ai dieci imputati del processo sulla Trattativa. Secondo gli inquirenti le parole di Graviano rappresentano un elemento di prova nel procedimento attualmente in corso davanti alla corte d’assise di Palermo. Durante la sua ora di socialità, infatti, il boss di Brancaccio parla delle stragi del 1993, del 41 bis, dei dialoghi con le istituzioni. Ma soprattutto parla di una persona, parla di Silvio Berlusconi. “La cortesia al Berlusca” – “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia: per questo c’è stata l’urgenza. Lui voleva scendere… però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe unabella cosa“, dice Graviano: per i pm allude all’intenzione di Berlusconi di entrare in politica già nel  1992. Una frase che sempre gli investigatori interpretano come la necessità di un gesto forte in grado di sovvertire l’ordine del Paese. Come una strage appunto. Impossibile infatti non ricollegare quella “cortesia” fatta con “urgenza” al “colpetto” che secondo il pentito Gaspare Spatuzza si doveva dare per ordine dello stesso Graviano. Il collaboratore ha raccontato di aver incontrato il suo capomafia a Roma il 21 gennaio 1994. “Incontrai Giuseppe Graviano all’interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia. Quindi mi spiega che grazie a queste persone di fiducia che avevano portato a buon fine questa situazione, che non erano come quei quattro crasti dei socialisti”.   Il colpetto in via Veneto – A quel punto arriva la richiesta: “Graviano mi dice che l’attentato ai carabinieri si deve fare lo stesso perché gli dobbiamo dare il colpo di grazia“. Il riferimento è all’attentato allo stadio Olimpico contro il pullman dei carabinieri che gestiscono il servizio d’ordine pubblico durante le partite di calcio. Sarebbe stata l’ennesima strage di quel biennio ma fortunatamente alla fine era saltata a causa di un guasto al telecomando collegato all’autobomba. È quella la “cortesia” che Graviano sostiene di avere fatto a Berlusconi? Impossibile dirlo. È un fatto però che nello stesso periodo in cui Graviano incontra Spatuzza a Roma, Marcello Dell’Utri si trova nella capitale a pochi metri dal bar Doney di via Veneto: il 22 gennaio 1994, infatti, era in programma una convention di Forza Italia all’hotel Majestic, sempre in via Veneto e secondo gli accertamenti della Dia l’arrivo di Dell’Utri in albergo è registrato il 18 gennaio. È possibile che Graviano abbia incontrato Dell’Utri negli stessi giorni in cui dava quegli ordini a Spatuzza? “Silvio traditore: gli faccio fare una mala vecchiaia” – Di sicuro c’è solo che pochi giorni dopo – il 27 gennaio del 1994 –  il boss di Brancaccio viene arrestato a Milano. Intercettato in carcere Graviano oggi prova sentimenti di vendetta nei confronti dell’ex cavaliere.  “Berlusconi – dice – quando ha iniziato negli anni ’70 ha iniziato con i piedi giusti, mettiamoci la fortuna che si è ritrovato ad essere quello che è. Quando lui si è ritrovato un partito così nel ’94 si è ubriacato e ha detto: Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore“. Un concetto – quello del tradimento – sul quale Graviano torna più volte. “Venticinque anni mi sono seduto con te, giusto? – dice in un altro passaggio delle intercettazioni – Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi. Dice: non lo faccio uscire più, perché sa che io non parlo, perché sa il mio carattere. Perché tu lo sai che io mi sto facendo, mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta e senza soldi: alle buttane  glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni, i giorni passano, gli anni passano, io sto invecchiando e tu mi stai facendo morire in galera“. Quindi il mafioso stragista continua:  “Al Signor Crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia. Pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com’è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste“. “Stragi ’93 non erano mafiose” – Già le cose vergognose. Graviano parla anche di quelle. “Poi nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia. Allora il governo ha deciso di allentare il 41 bis, poi è la situazione che hanno levato pure i 450″, dice il boss intercettato. Per i pm è un passaggio che dimostra come tra gli oggetti della cosiddetta Trattativa ci fosse l’allentamento del carcere duro: in cambio Cosa nostra avrebbe fatto cessare le stragi. E a questo proposito il boss ricorda il suo soggiorno nel supercarcere di Pianosa. “Pure che stavi morendo dovevi uscire e c’era un cordone, tu dovevi passare nel mezzo e correre. Loro buttavano acqua e sapone”. Una condizione che in passato era stata alleggerita. “Andavano alleggerendo del tutto il 41 bis – dice il boss – Se non succedeva più niente, non ti toccavano, nel ’93 le cose migliorarono tutto di un colpo”. “Non avrebbero resistito a colpo di Stato” – “Graviano commenta anche quanto accaduto la notte del 27 luglio 1993, cioè la notte degli attentati contemporanei al Padiglione di arte contemporanea di Milano e alle basiliche di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio al Velabro, a Roma. Si temette un golpeanche perché i telefoni di Palazzo Chigi rimasero del tutto isolati per alcune ore. “Quella notte si sono spaventati, un colpo di Stato, il colpo di Stato e Ciampi è andato subito a Palazzo Chigi assieme ai suoi vertici, fanno il colpo di Stato. Loro, loro hanno voluto nemmeno la resistenza, non volevano nemmeno resistere. Avevano deciso già… In quel periodo il 41 bis è stato modificato e 300 di loro…”. Nel novembre del ’93, in effetti, l’allora ministro della Giustizia Giovanni Conso decise di non prorogare il ‘carcere durò per oltre 300 detenuti, quelli indicati dal boss Graviano nella intercettazione con Adinolfi. “Ho messo incinta mia moglie al 41 bis” – Ma in carcere il boss parla anche di altro. Si lascia andare a confidenze e persino a vanterie. Come quando sostiene di avere messo incinta la mogliedurante la detenzione al carcere duro. Alla donna sarebbe stato permesso di entrare nell’istituto di pena e stare col marito. È lo stesso Graviano a raccontarlo a un compagno di detenzione.”Dormivamo nella cella assieme“, dice Graviano.”Mio figlio è nato nel ’97 – racconta Graviano – ed io nel ’96 ero in mano loro, i Gom (gli agenti di polizia penitenziaria ndr)”.  “Ti debbo fare una confidenza – prosegue il boss – prima di nascere il bambino, prima di incontrarmi con mia moglie, siccome una cosa del genere mi era successa in altre occasioni pure, io ho detto: no ci devo provare. Io sapevo che doveva venire la situazione, io tremavo…nascosta poi ad un certo punto … nascosta ni robbi (nascosta nella biancheria ndr) e dormivamo nella cella assieme. Cose da pazzi, tremavo. Quando è uscita incinta mi è finito quel tremolizzo, l’ansia che avevo”. Ufficialmente per la verità il figlio di Graviano sarebbe nato in provetta. Nel 1996 Giuseppe e Filippo Graviano  – detenuti al 41 bis già dal 1994 – sarebbero riusciti a fare uscire dal carcere le provette con il proprio liquido seminale, senza alcuna autorizzazione. Le loro mogli, Rosalia e Francesca, partorirono due bambini nati a distanza di un mese l’uno dall’altro. Una versione – quello del figlio in provetta – che viene adesso messa in dubbio da Graviano. Graviano ai pm: “Non rispondo però vi verrò a cercare”- Il 28 marzo scorso, i pm della procura di Palermo sono andati a interrogare Graviano in carcere per contestargli le parole intercettate durante le due ore di socialità. “Quando sarò in condizioni sarò io stesso a cercarci e a chiarire alcune cose che mi avete detto”, ha detto il boss che si è avvalso della facoltà di non rispondere a causa delle sue “condizioni di salute che oggi non mi consentono di potere sostenere un interrogatorio così importante ed anche a causa del mio stato psicologico derivante dalle condizioni carcerarie che mi trovo costretto a vivere”. “Io – ha detto Gravian o ai pm – sono distrutto psicologicamente e fisicamente con tutte le malattie che ho, perché da 24 anni subisco vessazioni denunciate alle procure e le procure niente. Da quando mi è arrivato questo avviso di garanzia, entrano in stanza, mi mettono tutto sottosopra. I documenti processuali sono strappati. Mi hanno fatto la risonanza magnetica perché mentre cammino perdo l’equilibrio e hanno trovato una patologia che mi porterà a perdere la memoria, sarà tra cinque o dieci anni. Io assumo ogni giorno cinque capsule di antidepressivi, solo di antidepressivi e subisco vessazioni dalla mattina alla sera. Entrano in stanza e mi fanno tre perquisizioni a settimana”. Ghedini: “Parole destituite di fondamento” – Alle intercettazioni di Graviano replica l’avvocato Niccolò Ghedini, legale dell’ex cavaliere. “Dalle intercettazioni ambientali di Giuseppe Graviano –  dice l’avvocato –  depositate dalla Procura di Palermo, composte da migliaia di pagine, corrispondenti a centinaia di ore di captazioni, vengono enucleate poche parole decontestualizzate che si riferirebbero asseritamente a Berlusconi. Tale interpretazione è destituita di ogni fondamento non avendo mai avuto alcun contatto il Presidente Berlusconi né diretto né indiretto con il signor Graviano”.
“Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza”. E poi: “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa“. E ancora: “Nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia”. La voce del boss Giuseppe Graviano irrompe nel processo sulla Trattativa tra pezzi delloStato e Cosa nostra. Ore…
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lorenzospurio · 2 years
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"Ponti di rive opposte" di José Russotti. Recensione di Giovanni Teresi
Recensione di GIOVANNI TERESI Nella silloge “Ponti di rive opposte” del poeta José Russotti s’avverte il suo pensiero sul significato e il mistero del mondo che si fa costante, un’idea quotidiana che si traduce in un incessante dialogo; ciò perché, come diceva Heidegger, non smettiamo mai di parlare, di colloquiare con il mondo e con noi stessi: «L’uomo parla. Noi parliamo nella veglia e nel…
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