#Giovanna Lo Monaco
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marcogiovenale · 3 months ago
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'l'illuminista' n. 66 (2023): "sessantatré sessant'anni: dietro i novissimi (e gli altri)", a cura di cecilia bello minciacchi e tommaso pomilio
cliccare per ingrandire Giusto nel cadere del sessantesimo anniversario della nascita del Gruppo 63, appare irrinunciabile riportarsi nel vivo di un’esperienza intellettuale che non smette di apparire propulsiva e inesauribile, nel turbinante prisma delle forme e lingue già sedimentate in parte ma che in quel tempo, o da quel tempo, sbocciarono, senza mai irrigidirsi. Nel dar voce soprattutto a…
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personal-reporter · 1 year ago
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Don Carlos alla Scala di Milano
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La Stagione 2023/2024 del Teatro alla Scala partirà giovedì 7 dicembre alle 18 con Don Carlos di Giuseppe Verdi nella versione approntata dal compositore per la Scala nel 1884. Come sempre lo spettacolo sarà ripreso dalle telecamere di Rai Cultura e trasmesso in diretta televisiva su Rai1 e radiofonica su Radio3, inoltre la Prima sarà preceduta domenica 3 dicembre dall’Anteprima per gli Under30 e seguita fino al 2 gennaio da 7 rappresentazioni tutte esaurite. L’opera, che ha inaugurato la Stagione nel 1868, 1878, 1912, 1926, 1968, 1977, 1992 e 2008 verrà diretta dal Direttore Musicale Riccardo Chailly sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala con un cast che schiera Francesco Meli come Don Carlo, Anna Netrebko come Elisabetta di Valois, Michele Pertusi come Filippo II, Elīna Garanča come Principessa d’Eboli, Luca Salsi come Marchese di Posa e Ain Anger come Grande Inquisitore. Un protagonista di non minore rilievo sarà il Coro del Teatro alla Scala diretto da Alberto Malazzi, le scene sono di Daniel Bianco, i costumi di Franca Squarciapino, le luci di Pascal Mérat, i video di Franc Aleu e la coreografia di Nuria Castejón. La vicenda, ambientata alla fine del Cinquecento in Spagna vede Don Carlos, l'infelice erede al trono, segretamente innamorato della matrigna Elisabetta, figlia del re di Francia. Ma la principessa di Eboli, dama di compagnia della regina, scopre tutto e denuncia i due all'Inquisizione. Il re Filippo, per salvare il figlio e erede, chiede aiuto all'Inquisitore che però gli chiede in cambio di incastrare il marchese di Posa, da sempre caro amico di Carlos. L'accordo riesce e il marchese viene ucciso mentre Carlos riesce a fuggire dalla prigione del palazzo reale. Tuttavia Filippo decide di uccidere i due amanti, ma un monaco misterioso salva la vita di Carlos, che scompare per sempre dal mondo. Per Riccardo Chailly Don Carlos sarà il compimento di una riflessione sul potere estesa su tre inaugurazioni di Stagione, dopo Macbeth di Verdi nel 2021 e Boris Godunov nel 2022, ma si tratta anche di un ritorno al Verdi della maturità dopo le tre inaugurazioni dedicate all’evoluzione delle opere giovanili con Giovanna d’Arco nel 2015, Attila nel 2018 e Macbeth nel 2021. Chailly inoltre ha proposto anche Aida in forma di concerto nel 2020, dopo averla diretta nell’allestimento di Zeffirelli il 7 dicembre 2006.  Nel suo nuovo approccio a Don Carlos, che aveva diretto ad Amsterdam nel 2010 in un allestimento di Willy Decker, il Maestro torna alle edizioni dirette da Claudio Abbado nel 1968 e 1977, di cui aveva seguito le prove, ma fa riferimento anche allo studio diretto dei manoscritti messigli a disposizione da Ricordi. Come nell’edizione di Abbado, si ascolterà l’introduzione al monologo di Filippo affidato alla fila dei violoncelli secondo partitura e non al violoncello solo come spesso avviene. Inoltre con i complessi scaligeri Riccardo Chailly ha recentemente diretto la scena di Filippo con Ildar Abdrazakov nella serata …A riveder le stelle del 7 dicembre 2020, l’aria di Elisabetta in concerto con Anna Netrebko e il coro del II atto in disco e in tournée. Read the full article
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lamilanomagazine · 2 years ago
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Piacenza, tornano gli appuntamenti di "Estate Farnese"
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Piacenza, tornano gli appuntamenti di "Estate Farnese"   Ritorna dopo la pausa ferragostana, nel cortile di Palazzo Farnese, “Estate Farnese”, una grande festa culturale e popolare aperta a tutti e promossa dall’assessorato alla Cultura dal Comune di Piacenza in collaborazione con la Fondazione Teatri. Nel weekend e nella serata di martedì prossimo, andranno in scena tre iniziative di grande impatto, per un pubblico di tutte le età. Sabato 27 agosto, alle 21, sarà la volta di “Shakespeare’s Women”, la produzione originale del Theatre Of Eternal Values (Tev) che racconta storie e drammi delle celebri eroine del grande Bardo. Il tutto recitato in inglese con sottotitoli in italiano (all’ingresso ai presenti verrà fornito un libretto con i testi in italiano). Lo spirito di William Shakespeare incontra dunque i suoi personaggi femminili sulle rive del Tamigi, alla scoperta del loro pensiero, di come loro vedono il proprio ruolo nella storia. Da Ofelia a Lady Macbeth, le eroine shakespeariane si raccontano, si confidano e si confrontano, cercando la propria identità e rivelando vissuti attuali, vicini a quelli delle donne odierne. Sul palco Ofelia (Monia Giovannangeli), Lady Macbeth (Alexandra Maitland Hume), Caterina D’Aragona (Nicolette van T’hek), Titania (Adda Van Zanden), Giovanna D’Arco (Deborah Eckman) e lo stesso William Shakespeare (Victor Vertunni). Lo spettacolo è scritto da Monia Giovannangeli e diretto da Eric Loren. I costumi sono di Caterina Monaco. Musiche suonate dal vivo da Emma Turley e Alessandro Martin e luci di Maxim Vertunni. “L’idea dello spettacolo - spiegano gli autori - nasce dal desiderio di comprendere l’evoluzione sociale della donna. Le parole di Shakespeare sono alla base di un’opera dinamica che intreccia la grandezza del linguaggio del Bardo con le modalità espressive di oggi”. Domenica 28 agosto alle 21, primo e unico appuntamento teatrale di questa stagione targata Fedro cooperativa, con il comico emergente Max Angioni, reduce dai successi di Italia’s Got Talent, Zelig, Le Iene e LOL2. “Miracolato” – questo è il titolo dello spettacolo – propone con sferzante ironia i monologhi dello stesso Angioni incorniciati nella scena minimalista, in cui il comico racconta un condensato delle proprie esperienze: dalle conversazioni ai tempi dei social alla sua relazione con lo sport, con uno sguardo originale ed esilarante sulla realtà quotidiana. La comicità diventa uno strumento, divertente ed inaspettato, per rendere accessibili argomenti apparentemente troppo sacri per concedersi all’ironia, e per divulgare le storie più antiche del mondo, filtrandole attraverso una lente leggera e brillante. Di sé il comico ha detto: “Assecondando l’immaginazione rielaboro le mie sciagure attraverso la comicità, uso il palcoscenico per esorcizzare la mia realtà, nonché per offrire uno spunto agli altri per affrontare la propria”. Suggestivo show musicale, infine, martedì 30 agosto, dal titolo “Claudio Baglioni Vs Renato Zero”, in cui gli artisti sono interpretati rispettivamente da Igor Minerva e da Daniele Quartapelle (alias Daniele si Nasce) in una sfida canora in cui i due interpreti proporranno brani e canzoni che appartengono alla storia del nostro costume e alla vita di tutti noi. Una carrellata di motivi senza tempo, di due grandi protagonisti della canzone italiana. Minerva e Daniele si Nasce hanno preso parte a programmi televisivi come “Tale e Quale Show “ e “Tu si que vales”. L’uno di Crema e l’altro di Roma, hanno saputo ritagliarsi uno spazio nell’universo canoro. Possibilità di prenotazione online attraverso TicketOne; è possibile acquistare direttamente i biglietti prima degli spettacoli alla biglietteria di Palazzo Farnese dal martedì al sabato dalle 10 alle 13 e la sera stessa degli eventi. Per informazioni CONSULTA IL SITO scrivere a [email protected] oppure telefonare al 331.3821441.  ... Read the full article
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annalisalanci · 4 years ago
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Il tesoro delle scienze occulte. Gli stregoni. Il sabba
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La partenza per il Sabba di Hans Baldung, 1514 Museo di Monaco. Il tesoro delle scienze occulte. Gli stregoni. Il sabba
Una volta compiuti tutti i preparativi nelle loro riunioni parziali, streghe e stregoni potevano avviarsi verso la grane assemblea plenaria: il sabba. Questa adunata maledetta, una delle pagine più inquietanti del medioevo, rappresentava il capolavoro satanico. Aveva luogo, per l'Europa occidentale, nelle pianure del menhir di Carnac in Bretagna, o in Germania sulla vetta del Bloksberg, o nella chiesa demoniaca di Blokula in Svezia, o ancora, sulla cima del Puy Dòme in Auvergne. Il primo a parlarne nel IX secolo fu il benedettino Réginon de Prum, nel suo De ecclesiasticis disciplinis, in cui raccomanda di indagare se per caso non esistano nella parrocchia persone che affermano di andare alle assemblee di demoni che di notte vanno a cavallo di animali, perché in tal caso si deve provvedere ad allontanare dalla comunità. Il sabba più conosciuto e più frequentato era certamente quello della montagna di Brocken e Bloksberg nell'Hartz. Questa, una delle regioni della Germania occidentale, fa parte della Foresta Nera e proprio là, nel paese di Schelrke, Goethe pose, attenendosi alla tradizione, il sabba del suo Faust, che è più una scena di fantasia e di critica che non un vero documento. L'importanza del sabba del Brocken era così grande che verso la metà del secolo XVIII i geografi che disegnavano carte di quella regione non omettevano di disegnarvi anche delle streghe a cavallo del loro manico di scopa. Una di queste strane carte tedesche fu realizzata nel 1732 da un ingegnere di nome L.S. Bestehorn, e poi fu pubblicata nel 1749 e nuovamente nel 1751 da un editore di Nurimberg che, fa qualche riserva sulle eventuali aggiunte fantastiche dell'incisore. In mezzo alla carta si innalza maestosamente il monte Brocken, dominante tutte le circostanti montagne. Per il cielo giungono a cavallo di scope, sei streghe, da Holberstadt, da Weringerode, da Zellerfeld e da tutta la Germania. La didascalia annessa alla carta ci informa che vicino si trova il famoso <<Spiazzo delle streghe, dove si svolge il sabba: vicino, un altare consacrato nel passato a un falso dio dei pagani e una fantasia, ambedue utilizzati nelle cerimonie diaboliche. Il sabba si teneva, nel cuore della notte e l'arrivo delle streghe doveva essere piuttosto sinistro se giudichiamo dall'incisione di Amaliet tratta del quadro di Teniers, che è complementare alla Partenza per il sabba dello stesso maestro. La strega, che si è spogliata delle sue vesti, avanza tra i diavoli e, consegnando il manico di scopa a un demone a forma di ornitorinco, ne riceve in cambio una traccia con cui si rischiara il cammino. Esseri fantastici, pipistrelli e barbagianni la circondano, uno strano omuncolo se ne sta ritto nella sua minuscola statura davanti a una lanterna posta a terra, mentre un cartello, che si staglia contro il cielo come un pipistrello, indica il limite del territorio satanico. L'Assemblea del sabba non seguiva tuttavia un rito fisso e invariabile. Se è pur vero che in sostanza la cerimonia era sempre la stessa, non seguì però un rituale fisso. Satana, vi si presenziava di persona, sotto forma di rospo piumato, di corvo, di gatto nero o più spesso di caprone. L'imprigionamento avvenuto nel 1460 ad Atras di diversi individui accusati di <<vaulderie>, cioè di patto col demonio, era motivato dal fatto che, essi andavano al sabba <<e lo ritrovarono un diavolo in forma di caprone, di cane, di scimmia, e qualche volta d'uomo>>. Alcune di queste forme bizzarre le vediamo nelle incisioni, tratte da un libro del R.P. Guaccius intitolato Compendium Maleficarum, pubblicato a Milano nel 1626. Nella prima illustrazione, in cui riceve l'omaggio degli stregoni giunti al sabba, il diavolo siede su un trono e presenta fattezze inequivocabilmente caprine. Nella seconda, in cui rivolge un discorso edificante ai suoi seguaci, pur mantenendo più o meno quella forma, ha un muso più lungo, che rassomiglia quasi a un becco d'uccello. Nell'altra ancora, in cui richiede imperiosamente un patto ai nuovi adepti, presenta un muso più schiacciato, quasi scimmiesco. Abbiamo una descrizione
del sabba che avveniva tutti i mercoledì e i venerdì dell'anno sul Puy de Dome; tale descrizione è opera d'un consigliere del Parlamento di Bordeaux del XVII secolo, Florimond de Rémond. Nel suo libro, L'Antipapesse, egli racconta che in un campo, verso la mezzanotte della vigilia di San Giovanni, si riunirono circa sessanta persone intorno a un caprone che era il diavolo, quindi tutti andarono a porgergli uno sconcio saluto. Il caprone aveva una candela nera tra le due corna, ch'egli aveva acceso <<provocando il fuoco con la coda>>, tutti i persenti che portavano una candela simile l'accesero a quella del caprone. <<In quell'assemblea si diceva la messa in cui colui che officiava volgeva le spalle all'altare, era vestito d'una cappa nera senza croce e innalzava una fetta di rapa colorata di nero invece dell'ostia>>. Una testimonianza ancora più attendibile è quella della reverendissima madre Francoise-Madeleine de Chaugy, che fu segretaria di santa Giovanna di Chantal e superiora del primo monastero della visitazione. In un libro sulla vita delle religiose di questo monastero, che ella pubblicò ad Annecy nel 1659, si trovano i seguenti particolari a proposito di Anne-Jacqueline Coste, una delle più devote di quelle monache. Era una donna di montagna e <<durante la notte della festa di San Giovanni Battista, questa devota contadina e le sue consorelle udirono un rumore e un frastuono spaventoso; guardando da tutte le parti per vedere da dove potevano venire quelle urla orribili e quelle strida d'animali di ogni genere, scorsero ai piedi della montagna figure di gatti, caproni, serpenti e draghi, e d'ogni altro tipo di animali impuri e immondi, che tenevano il loro sabba, accoppiandosi, profferendo le parole più infami e sacrileghe che si possano immaginare e riempiendo l'aria delle più esecrabili bestemmie>>. Ci sono due principali rappresentazioni del sabba: una è una stampa dell'incisore polacco I.Zianko, che si trova talvolta accostata ad alcuni esemplari dell'oscuro libro di Pierre de Lancre: Tableau de l'incostance des mauvais anges et démons, où il est amplement traicté des sorciérs et de la corcellerie, Parigi, 1610; l'altra è quella del quadro si Spranger, di cui è andato perso l'originale ma di cui esiste un'eccellente incisione nella bizzarra opera dell'abate Bordelon, Histoire des imaginations extravagantes de Monsieur Oufle, Amsgterdam, 1710. Queste due composizioni sono animate da un movimento impetuoso, da quell'irresistibile turbinio e da quella febbrile agitazione scomposta e folle che trascina tutti i personaggi in un giardino infernale, simile a quello che avveniva durante i baccanali e i saturnali degli antichi. Ambedue racchiudono le stesse scene e particolari identici; la prima, quella di Ziarnko, è accompagnata da una scritta che ci permette di esaminarla traendone nozioni precise, come ben di rado avviene in questo campo. Il sabba è presieduto da Satana che, è seduto su un seggio e ha la forma di caprone, con cinque corna di cui quella mediana arde per accendere tutte le candele e i fuochi del sabba>>>. Questo caprone contrassegnato con la lettera A è veramente e completamente un animale. L'aspetto di caprone conferito a Satana nel sabba è un evidente retaggio dell'antichità: il Mendés dell'Egitto decadente è un miscuglio di fauno, satiro e Pan che tende a diventare la sintesi definitiva dell'antidivinità. Il caprone è talvolta la cavalcatura di Venere ed è l'animale sacrificato a Dioniso che si veste con la sua pelle; presso gli ebrei esso era il capro espiatorio di tutti i peccati d'Israele; per questo miscuglio di paganesimo e storia biblica, esso è l'entità invariabile e consacrata che presiede a tutti i sabba dell'Europa. Al di sopra della lettera B, <<La regina del sabba incoronata>> e, a sinistra del diavolo, <<una meno favorita>>. Sono le streghe privilegiate che appaiono anche al sabba di Spranger, e una delle quali è curva verso il bracciolo del trono di Satana. Egli ha infatti tra le streghe le favorite con le quali spesso tiene anche il commercio amoroso. L'intimità dei
diavoli con le donne è cosa frequente e infatti Ulrich Molitor nel suo severo libro ci mostra una strega che stringe amorosamente tra le braccia di un uomo che non sospetteremmo essere un demonio se non fosse per gli artigli da uccello rapace che tradiscono la sua cera identità. Davanti al trono del caprone satanico, segnato con la lettera C, vediamo una strega che presenta un bambino, certamente rubato. Satana è molto avido di queste reclute in tenera età, tanto che le streghe se non potevano rubare il bambino d'una vicina, erano costrette a portare al sabba, se ne avevano, i propri figli, a rischio altrimenti di fare cattiva figura agli occhi del padrone dell'inferno. Nel quadro di Spranger una delle due streghe favorite presenta infatti un bambino al diavolo e questa stessa scena la ritroviamo nell'opera dell'eccellente padre Guaccius, che ci servirà da guida sicura in tutte le cerimonie del sabba. Il diavolo dava un padrino e una madrina al bambino, gli faceva rinunciare a Dio e gli apponeva sull'occhio sinistro un marchio con la punta d'una delle sue corna. Ed ecco ora nell'angolo di destra in basso il pranzo del sabba, contrassegnato con la lettera D. Alcune streghe sostenevano che la tovaglia era dorata e che le vivande e i vini serviti erano squisiti, mentre molti autori tre cui il de Lancre derivano la scena in termini poco invitanti: <<Ecco le convitate dell'assemblea, ciascuna con un demonio vicino e in questo pranzo non si serve altra carne che di carogne e di impiccati, cuori di bambini non battezzati e animali immondi; di tutto insomma all'infuori delle cose comuni dei cristiani, e tutto insipido e senza sale>>. Sono proprio le membra squartate d'un bambino che si vedono nel nefasto piatto, come nella stampa di Spranger, ma il pasto di cui padre Guaccius ci ha lasciato una preziosa illustrazione: è servito da diavoli maschi e femmine e i piatti ch'essi portano sono numerosi e appetitosi e sembrerebbe quindi rendere ragione a quelle streghe che sostenevano di ricevere al sabba un trattamento di prim'ordine. Vicino ai convitati si notano dei personaggi ammessi soltanto a titolo di spettatori: sono <<parecchie povere streghe confinate negli angoli che non osano avvicinarsi alle grandi cerimonie>>. <<Dopo il pasto viene il ballo, perché infatti dopo essersi saziati di carni, o evanescenti e illusorie o dannose e abominevoli, ciascun demonio conduce la sua vicina di tavola sotto quell'albero maledetto e là, l'uno col viso verso il centro della danza, e l'altro verso l'esterno, danzano, ballano e si divertono con i movimenti più indecenti e spudorati>>. L'artista ha messo un secondo gruppo di danzatrici <<donne e fanciulle che danzano tutte col volto volto verso l'esterno del circolo, i musicanti suonano gli strumenti comuni dell'epoca: viola ad arco ricurvo, violoncello, corno, flauto e arpa. Anche nel sabba del padre Guaccius si balla al suono di un violoncello, che un musicista strimpella standosene accovacciato tra i rami di un albero ma con meno foga che le quadro di Spranger, dove la danza ha veramente l'andamento scatenato e galoppante che conviene a una tregenda. I quattro personaggi che davanti al trono diabolico eseguono danze acrobatiche con pericolose piroette, il vero ballo satanico, il vero tripudium, degli antichi, in cui l'individuo, sotto l'influenza dello spirito che lo possiede, scopre in se stesso risorse muscolari ignote e si lancia in esercizi che sarebbe incapace di compiere in condizioni normali, come quello stregone che con grande stupore dei suoi vicini e delle comari della cittadina olandese esegue sul proprio letto un ballo da sabba, la vignetta 'T Olgerkut Mom-Ansight der Tooverye, Amsterdam, Andriés van Damme, 1725, conservato nella Biblioteca dell'Aia. Abbiamo già parlato del crogiuolo delle streghe che appare in tutte le assemblee preliminari al sabba. Lo ritroviamo anche nel sabba stesso e de Lancre fornisce la seguente spiegazione: <<Ecco sul fuoco la caldaia per preparare ogni sorta di veleni che facciano morire o soffrire l'uomo e che danneggiano il
bestiame, una tiene i serpenti e il rospo in una mano, l'altra taglia loro la testa e li scortica quindi li getta nel crogiuolo>>. Il ruolo di questa caldaia è importantissimo perché alcuni addirittura dicono che esso sia l'essenza stessa del sabba ed è per questo che lo ritroviamo in primo piano sul forntespizio di due opere del XVII secolo in cui si parla diffusamente dei diavoli e del sabba: il primo di Hemigus Grosius intitolato Magica de Spectris et apparitionibus Spiritum, Leida 1656; il secondo di Louis Lavater, eminente teologo come dice il titolo, e che tratta De Spectris, Lemuribus varsique prestagitionibus, Tractatus vere aurucs, Leida 1659. Durante tutto il tempo del sabba, streghe arrivano sui manici di scopa e altre su caproni, queste ultime, più rare rappresentano le privilegiate. I becchi che esse montano non sarebbero altro che demoni trasformati e su un caprone montò la strega della cattedrale di Lione, e ancora su un giovane caprone, a cui non sono ancora spuntate le corna, cavalca lo stregone che ci presenta Ulrich Molitor e che, attraverso un paesaggio della Svezia, si reca a qualche misteriosa riunione dei suoi confratelli. Il becco è anche la cavalcatura che padre Guaccius assegna alle streghe. E ce le mostra mentre superano colline e valli per accorrere al richiamo del padrone. Pare che streghe e stregoni abbiano un marchio impresso da Satana su qualche parte segreta del corpo, dove una specie di dolorosa fitta li avverte quando devono recarsi al sabba. Nell'incisione del sabba di Ziarnko un gruppo compatto di personaggi molto eleganti se ne stanno, senza partecipare apparentemente a nessuna delle attività. <<Sono, grandi signori e le grandi dame, e le altre persone ricche e potenti che trattano gli affari del sabba nel quale comparivano velate le dame mascherate per rimuovere sempre nascosti e incogniti>>. Il sabba era frequentato da persone d'alto rango e si sbaglierebbe se si pensase che gli spettatori e gli attori fossero soltanto <<misere streghe>> o genticola ingnorante. Si può vedere nelle numerose incisioni che qui presentiamo dell'opera di padre Guaccius che i personaggi del sabba sono vestiti riccamente, alla moda opulente dell'epoca di Luigi XIII: brache a sbuffo con nastri alle giarrettiere, sottane con guardinfante, colli e collari con rigonfi e pieghettature, la cui complicata inamidatura incornicia il viso in una spumeggiare di merletti, come nei ritratti di Pourbus, Mierevolet e van Dyck. Molti signori <<dame onorate>>andavano non di meno al sabba e ritenevano un onore grande quello di essere prescelti a reggere la coda del diavolo nelle processioni grottesche che vi avvenivano; ci fu persino un certo curato d'Acain, in Guascogna, oggi ridente e località del cantone di Saint-Jean-de Luz, che rinunciò al sacerdozio divino per officiare solennemente al sabba. La didascalia, descrive il gruppo dove secondo quanto spiega de Lancre, <<ci sono piccoli bambini che con bacchette e verghe, a una certa distanza dalle cerimonie custodiscono i greggi di rospi che le donne hanno l'abitudine di portare al sabba>>. A questa innocente occupazione infatti erano messi i novizi, già presentati al diavolo, ma ai quali la tenera età non permetteva di partecipare attivamente a veri e propri riti demoniaci. Vi venivano ammessi più tardi, e i diavoli approfittavano persino di questa occasione per unirli, come qui vediamo, in vincoli incestuosi. Avvenivano al sabba al tre cerimonie particolari, la maggior parte delle quali erano abitudinarie nei patti conclusi col demonio al di fuori del sabba. I nuovi arrivati venivano marcati dal diavolo con un segno d'unghia sotto la palpebra sinistra. Nella stampa dell'incisione la sua tavola sarebbe stata capovolta, ci presenta qui un Satana che incide il suo segno sull'occhio destro del novizio. Il demonio poi obbligava i nuovi amici a camminare sulla croce; essi vengono rappresentati ciechi, in questo i loro occhi erano effettivamente chiusi alla luce divina. Veniva quindi consegnato loro un libro nero in cambio del libro dei Vangeli, a cui essi rinunciavano, e
venivano persino ribattezzati con qualche misterioso liquido. Satana infine incominciava personalmente a spogliare i <<nuovi stregoni>> e li invitava a mettersi nel costume adamitico lo stesso adottato da molti dei partecipanti al sabba, nonostante non fosse questa una regola generale. Quando streghe e stregoni arrivavano al sabba si affrettavano ad andare a rendere omaggio al diavolo, omaggio che consisteva in una cerimonia, omessa volontariamente dallo Ziarnko nella sua magistrale opera sul sabba, ma che Spranger, ha rappresentato senza vergogna. Tale cerimonia consisteva nel dare un bacio sul posteriore del diavolo, insigne onore in cambio del quale il diavolo donava alla fedele un pidocchio d'argento. C'erano streghe fanatiche che ripetevano questo rito diverse volte nel corso del sabba e anzi baciavano il deretano di tutti i demoni che incontravano: nell'incisione dello Spranger ne vediamo, con una candela in mano, bacia quella specie di secondo volto d'un demonio. Le streghe giustificano questo loro gesto: <<Non è un deretano>>, dicevano con santa indignazione <<ma un secondo viso ch'egli ha sotto la coda!>>. Esse avevano perfettamente e teologicamente ragione; abbiamo segnalato l'esistenza di questo secondo volto del diavolo delle cattedrali, che spesso ne aveva un terzo sul ventre. Padre Guaccius tuttavia non ha tenuto conto di questa sottigliezza e quello che la nobile dama lascia nella figura ch'egli disegnò per il suo libro. Questa era nelle sue grandi linee l'inimitabile, augusta e grottesca cerimonia del sabba, che stende un velo d'orrore su tutta l'Europa del XV secolo dal XVII secolo e che trascina nel turbine in personaggi più umili e quello più illustre che turba le menti di teologi e magistrati, che ispira agli artisti le loro più efficaci composizioni, perché inquieta persino sovrani e re, come Giacomo II d'Inghilterra, che si preoccupò di servire una feroce requisitoria contro le streghe. Esistevano a Parigi sotto Carlo IX, a quanto si dice, trentamila stregoni, e centomila in tutta la Francia. Non è difficile immaginare quale spaventoso ballo scatenato doveva fare una tale orda nelle notti fatidiche, sulla vita delle montagne maledette o ai crocicchi delle grandi strade. La descrizione è conforme a questo ci hanno tramandato su tale argomento da una parte i demonologhi e dall'altra le numerose rappresentazioni che di secolo in secolo si rinnovano con scrupolosa esattezza il che dimostra il persistere d'una tradizione e di forme rituali scrupolosamente osservate. Nel corso del sabba avevano luogo anche alcune cerimonie particolari, ma avremo occasione di descriverla nel parlare di patti e di altre opere sataniche. Qui ci limitiamo a menzionare, alcune illustrazioni del sabba, disegnate o incise nel XVIII secolo, che si distaccano totalmente dal sabba tradizionale o sono parto gratuito dell'immaginazione di artisti che non si sono curati di documentarsi nemmeno in minima misura. Appartiene a questa categoria il sabba di Gillot; si tratta d'una bellissima composizione di innegabile effetto decorativo, ma nella quale non si ritrovano gli elementi essenziali del sabba classico. Vediamo, a destra un caprone incoronato di fuori che dà la mano a una donna che probabilmente è la regina del sabba, ma egli dirige il ballo in modo strano, senza scomodarsi dal sedile di pietra sul quale troneggia. Una strega appollaiata su un'alta roccia e con un gufo sulla testa e lo zodiaco a bandoliera legge il libro di magia, con grande gioia dei diavoli e di quel caprone simile a un anagro che sembra ridere dello scherzo d'un diavolo.
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navigamus-blog-a-vela · 4 years ago
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SAIL 2018 - Venice Hospitality Challenge Gran Premio della Città di Venezia - 2018
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Milano 13 giugno 2018. Presentata ieri a Milano presso lo Show Room Expérience Pommery la quinta edizione della Venice Hospitality Challenge. Il fascino della grande vela e un’eccellenza alberghiera famosa in tutto il mondo tornano riunite anche quest’anno sotto il segno di questa regata, vero e proprio Gran Premio della Città di Venezia poiché è l’unica che si disputa nelle acque interne di una città, la Serenissima. Sportività, luxury e lifestyle sono i mondi di riferimento di questa competizione che vedrà partecipare undici Maxi Yacht che hanno firmato pagine indimenticabili nella storia della vela abbinati ad altrettante famose realtà dell’alta hôtellerie veneta. I Team, guidati da skipper di fama internazionale, scenderanno sul campo di regata per contendersi l’ambito cappello del doge, realizzato appositamente per la Venice Hospitality Challenge 2018 dalla storica vetreria muranese F. B. Signoretti. Gli hôtel che parteciperanno a questa quinta edizione sono: Hilton Molino Stucky Venice; Hôtel Danieli, a Luxury Collection Hôtel, Venice; Belmond Hôtel Cipriani; SINA Centurion Palace; Palazzina; The Westin Europa & Regina, Venice; The Gritti Palace, a Luxury Collection Hôtel, Venice; Ca’ Sagredo Hôtel; Hôtel Excelsior Venice Lido Resort; Falisia, a Luxury Collection Resort & Spa, Portopiccolo e Hôtel Almar Jesolo Resort e Spa. Quest’anno la Venice Hospitality Challenge vede inoltre l’adesione dello Yacht Club Venezia, promotore della regata, alla “Charta Smeralda”, il documento firmato dalla Principessa Zahra Aga Kahn, presidente del Consiglio Direttivo dello Yacht Club Costa Smeralda (YCCS) e dal Commodoro Riccardo Bonadeo al termine di One Ocean Forum, progetto che si pone come obiettivi l’apertura di un dialogo a livello internazionale sulla sostenibilità degli oceani e la creazione di una rete volta ad aumentare la consapevolezza sui temi e sulle problematiche inerenti l’ecosistema marino. “Charta Smeralda” è un vero e proprio codice etico di condotta e Venezia, città da sempre unita indissolubilmente al mare, sarà in prima fila in questo importante momento di sensibilizzazione con il celebre skipper Mauro Pelaschier, ambasciatore di “Charta Smeralda” alla Venice Hospitality Challenge 2018. “La peculiarità di questa regata consiste nel portare imbarcazioni con una lunghezza minima di 60 piedi in un circuito cittadino estremamente spettacolare – sottolinea Mirko Sguario, ideatore e organizzatore dell'evento e Presidente dello Yacht Club Venezia – ed è per questo che ormai possiamo considerare a giusto titolo la Venice Hospitality Challenge il Gran Premio di Venezia per la vela, così come lo è il Gran Premio di Monaco per la Formula 1. Una scelta che richiama ogni anno un gran numero di partner prestigiosi, segnale che la città crede in questo evento, guardando al connubio tra sport e accoglienza come motivo di richiamo non solo per i tanti appassionati di vela ma anche per tutti i visitatori della Serenissima”. I relatori Lorenza Lain – Cà Sagredo Hôtel, Constance Stancanelli - Hilton Molino Stucky, Giampaolo Ottazzi - Belmond Hôtel Cipriani, Giovanna Caprioglio - Palazzina, Alessandra Pagano – Westin Europa e Regina, Paolo Lorenzoni - The Gritti Palace, Antonello De Medici - Hôtel Danieli, Daniele Trombacco - Excelsior Palace, Micaela Scapin - SINA Centurion, Francesca Picciafuochi - Falisia Portopiccolo e Claudia Zanotto - Almar Jesolo hanno confermato con soddisfazione il loro sostegno per questo evento esclusivo che, associando l’hospitality di alto livello allo sport velico, colloca anche quest’anno la città di Venezia al centro del palcoscenico mondiale. Mimma Posca, CEO Vranken-Pommery Italia, ha commentato con entusiasmo “Abbiamo l’onore di partecipare a questa iniziativa per la condivisione dei valori che rispecchiano la filosofia della nostra Maison: l’arte di vivere rappresentata anche attraverso la competizione di una regata di imbarcazioni di prestigio, con il patrocinio dell’arte del ricevere e l’arte dell’ospitalità che da Venezia è famosa in tutto il mondo. La Maison Pommery si unisce con l’arte ed il gusto del savoir-faire per celebrare ed esaltare i momenti di eccellenza.” Il Commodoro dello Yacht Club Costa Smeralda Riccardo Bonadeo e Mauro Pelaschier hanno invece ricordato l’importanza di portare i valori di Charta Smeralda non solo agli equipaggi e agli hôtel partecipanti alla regata ma anche a tutta la città per formare una sensibilità nuova verso il rispetto per il mare. La scorsa edizione ha visto una netta vittoria di Spirit of Portopiccolo – Ca’ Sagredo grazie a un’ottima partenza e conduzione dello skipper Furio Benussi. Secondo e terzo posto per Nuova Maxi Jena – The Gritti Palace e Pendragon VI – Hilton Molino Stucky. Alla cerimonia di premiazione sono intervenuti personaggi di alto rilievo della vela italiana e internazionale: Kim Andersen Presidente della Federazione della vela mondiale World Sailing, Andrew Mc Irvine segretario generale IMA (International Maxi Yacht Association), Francesco Ettorre Presidente FIV, il Contrammiraglio Marcello Bernard della Marina Militare Italiana e Ermelinda Damiano, Presidente del Consiglio Comunale di Venezia. La Venice Hospitality Challenge 2018 gode dell’Alto Patrocinio del Comune di Venezia, Media Partner sono Excellence Magazine Luxury, Wonder World, Wonder Cortina e Venezia Made in Veneto alle quali si aggiunge la preziosa collaborazione di Alilaguna, CMV Panfido, Venezia Unica e VYP Venice Yacht Pier. Il via alla regata è previsto per le 13.30 di sabato 20 ottobre e base della flotta sarà il Marina Santelena mentre il bacino di San Marco, punto focale del percorso, permetterà al pubblico di seguire dalle rive una competizione spettacolare nella cornice della città più bella del mondo. Le premiazioni avranno luogo alle Zattere presso la banchina VYP Venice Yacht Pier a diretto contatto con la cittadinanza.
FROM http://www.navigamus.info/2018/06/si-prepara-al-via-la-venice-hospitality.html
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taccuinidicinema · 4 years ago
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Robert Bresson, Il processo a Giovanna D'arco, 1962
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Il film inizia con un primo piano di piedi. Piedi di una persona che cammina. Non è un inizio scontato, da tutti. Attira subito a sé l'attenzione. E' evidente che siamo già da subito nel vivo nel film.
Di chi sono i piedi?
Sono i piedi della madre di Giovanna d'arco, che viene   portata ad un interrogatorio. Sarà dunque lei, la madre, con la sua viva voce ad introdurci al processo che occuperà l'intero film.  
Entra in scena la protagonista. Viene subito travolta dall'incedere delle domande degli accusatori. Un autentico incedere. Domande in alcuni casi difficili, filosofiche. A cui lei risponde, concisamente, senza mai esitare. Una sola semplice frase, una sola affermazione. Ferma decisa.
Il film si basa interamente su questo. Campo e controcampo. Domanda e risposta. Frasi brevi. Seguire tutto, capire tutto, è molto difficile. La visione ne risulta parecchio faticosa, e questo può risultare non gradito a molti.
Credo che Bresson volesse trasmettere senza veli il profondo disagio provocato da questa aggressione indiscriminata. Tutti contro di lei, con tutta una serie di domande impossibili, inframezzate da insinuazioni assurde, fuori tema. Improvvisamente qualcuno alludeva a visioni di fate. E dalle fate al demonio, nella  mente di un inquisitore, il passo è breve.
L'intento di quest'opera è porre in evidenza il vergognoso operato dell'inquisizione, i suoi metodi discutibili. Rimarcare l'autentico lavaggio del cervello cui sottoponevano i malcapitati di turno.
Giovanna è attenta, ferma, irremovibile. E' forte della sua convinzione: che tutte le sue azioni le sono suggerite  dalle apparizioni che ha quotidianamente. Santi e Sante, inviati da Cristo stesso.
Certamente “questa” Giovanna d'arco non è neanche un personaggio semplice da digerire Non ci viene mostrata come una santa umile, ma come una guerriera, pur con i suoi (pochi) comprensibili momenti di debolezza. Le sue stesse risposte generano dubbi ed interrogativi. Che certamente non giustificano da soli né un processo, né tanto meno una condanna al rogo.
Oltre ai numerosi accusatori Giovanna sembra trovare alcuni alleati: qualcuno che si rifiuta di partecipare alla farsa.  Un monaco si distingue per i suggerimenti muti che lancia alla santa. Segni e sguardi, che arrivano a destinazione.
Rientrata nella stanza Giovanna d'arco si riposa ed attende la fase successiva del processo. E' una pausa rigenerante anche per lo spettatore, sottoposto a sua volta alle domande incessanti.
Nella stanza Giovanna viene spiata. Nel buio, che è un buco nel muro, vediamo un occhio che scruta. Si studia ogni sua reazione, ogni suo movimento. Si cerca in ogni modo di coglierla in fallo, di trovare una giustificazione in vista del rogo.
La cella è claustrofobica, tanto e quanto l'asfissiante serie di interrogatori.
La scena finale, quella del rogo, viene annunciata dall'inquadratura dei piedi della santa, che cita la scena iniziale, quella dei piedi della madre. Il film finisce com'è iniziato. Seguono solo le immagini delle fiamme, le croci esibite ed imposte, il popolo che insulta la pulzella. Ed infine il palo bruciato, fumante, tutto ciò che è rimasto. Toccante.
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fondazioneterradotranto · 5 years ago
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Francavilla Fontana: una probabile superfetazione celebrativa del suo stemma?
di Armando Polito
Nella Biblioteca Pubblica Arcivescovile “Annibale De Leo” di Brindisi è custodito un volume manoscritto (ms_B/62 ) della prima metà del XVIII secolo dal titolo Copia de “Constitutiones Religionis Clericorum Regularium Pauperum Matris Dei Scholarum Piarum”. Le carte 1r-50v contengono il testo delle Constitutiones come vennero promulgate da Gregorio XV il 31 gennaio 1622, dopo che aveva elevato la compagnia ad ordine regolare il 18 novembre 1621. Le carte 50v-51v ospitano il breve pontificio che le accompagna; le carte 52r-52v contengono l’indice. In calce all’ultima carta (52v) compare lo  stemma che ho appena riprodotto e che replico con a fronte quello attuale.
  Sulla fondazione delle Scuole Pie a Francavilla Fontana un quadro esauriente è quello tracciato da Pietro Palumbo in Storia di Francavilla, Tipografia editrice salentina, Lecce, 1869, pp. 171-174, in cui ricostruisce il ruolo avuto da protagonisti quasi a gara tra loro. Andrea Imperiali rimasto fino al 1677 in Genova, dove aveva sposato Pellina Grimaldi, sorella del principe di Monaco, nel 1678 si trasferì a Napoli distinguendosi per la munificenza, ma trascorse gli ultimi mesi della sua vita a Francavilla, dove morì il 25 novembre di quello stesso anno, dopo aver dettato le sue ultime volontà al notaio Paolo La Marina.
Di chi doveva egli ricordarsi? Certamente dei suoi poveri, e dei vassalli che da un anno appena aveva conosciuti! Lasciò molti legati pii e fra questi ducati duemila da comperarne beni, per introdurre i Padri delle Scuole Pie, e di questo lasciò l’esecuzione alla madre e alla moglie, tutrici del figlio Michelino … Brigida e Pellina Grimaldi1 aperto ai 28 novembre il testamento del defunto principe Andrea, e conosciute le disposizioni, s’affrettarono ad eseguirle. Comperarono a nome dei Padri delle Scuole Pie mille ducati di censi da Giuseppe Maddalone di Lecce; altri ducati settecento cinquantasette investirono in una masseria su quel di Ceglie. All’annunzio del testamento di suo fratello Giuseppe Renato Imperiale, allora chierico della Camera Apostolica, volle concorrere a beneficare il suo luogo natio (essendo egli nato ai 28 aprile 1651 nel Castello di Francavilla) e vi aggiunse il dono di altri cinquecento ducati. L’Università la quale ammirava il lustro che derivava alla Terra da questa fondazione, entrò terza a gareggiare con gl’Imperiali e dopo Parlamento tenuto il 7 luglio 1680 entre tre mesi ottenne regio assenso di permutare alcuni ulivi e case vicino la chiesa di S. Sebastiano … A questo l’Università aggiunse un’annua rendita di ducati trecento assicurata su diversi dazi. Niente più mancava per l’introduzione dei padri, nemmeno il consenso del Papa e quello di monsignor Cuzzolini vescovo di Oria, per la qual cosa il 20 gennaro 1682 giunti da Brindisi il P. Gregorio da San Gennaro, P. Giuseppe da S. Giovanni, P.Francesco da S. Lorenzo e P. Felice M. da S. Vittore, ricevettero dalle mani del Dr Giuseppe Benaducci sindaco dell’Università il possesso del luogo e ne ascoltarono i patti in presenza del Notare Marrucci . I monaci promisero “e solennemente (adoperiamo le parole della scrittura) s’obbligarono d’allora in poi  fondare la loro casa o convento nella Terra di Francavilla e proprio nella chiesa di S. Sebastiano ed ivi fare le scuole con imparare tanto grammatica quanto altre dottrine ai figliuoli e giovani da essere approvati dal loro superiore, dal Marchese e dall’Università, con ogni carità a zelo in conformità delle loro Regole e Costituzioni, con mettere le suddette scuole ad ogni richiesta della M. Università.2
Per quanto riguarda l’origine dello stemma, ecco cosa si legge in Giovanni Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, Parrino, Napoli, 1703, tomo II, p. 120: Nel 1310 il Principe [Filippo I D’Angiò, principe di Taranto] cominciò la fabbrica della Collegiata cento passi in circa lontana dalla Villa del Salvadore, dove poi dagl’Antichi fu trasportata la Sacra Imagine, e perché concorrevano d’ogni tempo le genti ad ottenere molte grazie, il Principe osservando la gran divozione de’ Popoli, publicò per i contorni, che donava à chi voleva venire à fabricare vicino à detta Villa, comodità di poderi gratis per dieci anni, franchi, ed immuni d’ogni peso, e però le diede nome di Francavilla, alla quale dal medesimo Principe fu dato all’Università Francavillese per impresa l’Olivo simbolo della pace, e dell’Abondanza.
Confrontando l’aspetto attuale dello stemma con quello del manoscritto, l’attenzione è subito attratta dai due putti alati che sorreggono lo scudo. Mi chiedo se questo dettaglio sia puramente decorativo o abbia una funzione più complessa, alluda, cioé, ad un’informazione supplementare.
A  Francavilla nella chiesa di S. Sebastiano l’altare dedicato a sant’Elzeario de Sebran reca uno stemma che è stato oggetto di dettagliato studio da parte di Marcello Semeraro, del quale è pure la foto che di seguito riproduco3.
Si tratta, egli ci ci informa, dello scudo di Irene Delfina di Simiana (1670*-1725), figlia di Carlo, marchese di Pianezza e principe di Montafia, e di Giovanna Maria Grimaldi. Nel 1691 andò sposa a Michele Imperiali (*1673-1738), principe di Francavilla, acquisendo, così, il titolo di principessa. Lo scudo reca, perciò, a sinistra per chi guarda l’insegna degli Imperiali (di argento, al palo cucito di oro, caricato di un’aquila col volto abbassato di nero, coronata di oro, a destra quella dei Simiana di Piemonte (di oro, seminato di gigli alternati a torri). Irene Delfina, continua il Semeraro, fu, in virtù di una speciale devozione al santo4, la committente dell’altare a lui dedicato.
Chiudo con una raffica di domande, la cui sintesi era già nel titolo e alle quali, essendo, oltretutto, totalmente digiuno di araldica, non so rispondere. La presenza dei due putti nello stemma del manoscritto è casuale, oppure fu ispirata proprio dall’analogo dettaglio di quello dell’altare? Se è così, è legittimo supporre che esso sia la sintesi grafica di quanto a proposito degli attori protagonisti della fondazione dell’ordine è detto nel brano su riportato del Palumbo, cioè Imperiali/Grimaldi, con successivo aggiornamento/coinvolgimento Simiana (cui, oltre ai putti, potrebbero essere riferiti i tre gigli che campeggiano sul pino?),  e l’Università (per la parte dello scudo coincidente con lo stemma attuale)?
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1 Su Brigida Grimaldi vedi Castrignano dei Greci, Francavilla e il Principato di Monaco in https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/10/07/castrignano-dei-greci-oria-francavilla-principato-monaco-12/
2 Op. cit., passim
3   Note di araldica: lo stemma della principessa di Francavilla Irene Delfina di Simiana, in Il delfino e la mezzaluna, Periodico della Fondazione Terra d’Otranto, anno V, nn. 6-7, gennaio 2018, pp. 441-443
4 Le figure del santo di origine francese e di sua moglie, la beata Delfina di Signe, ispirarono infatti l’onomastica dei primogeniti usciti dal matrimoniotra Carlo di Simiana e Giovanna Maria Grimaldi (op. cit, p. 443)
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giancarlonicoli · 5 years ago
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3 GEN 2020 15:21
“NEL GIRO DI SEI MESI SISTEMO TUTTO, TI BANDISCO UN ALTRO POSTO, SONO D’ACCORDO CON IL RETTORE” – CHIUSE LE INDAGINI VERSO DIECI DOCENTI DELL’UNIVERSITÀ DI CATANIA PER I CONCORSI TRUCCATI: TRA LORO C’È L’EX RETTORE BASILE, CHE SECONDO I PM SAREBBE STATO “IL CAPO DELL’ASSOCIAZIONE” - LA CHIAMATA DEL FIGLIO E IL CONCORSO FANTASMA: COME FUNZIONAVANO LE PROCEDURE TRUCCATE…
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Giovanna Trinchella per www.ilfattoquotidiano.it
“… Quello che ti chiedo è che la cosa vada avanti in questi termini … vorrei che tu facessi un passo indietro e non ti presentassi a questo concorso… io nel giro di sei mesi sistemo tutto… ti bandisco un altro posto… sono d’accordo con il Rettore”. Funzionavano così le procedure per i concorsi, alcuni a cattedra altri per ricerca, all’Università di Catania, sconvolta la scorsa estate dall’inchiesta che svelato un vero e proprio gruppo di potere di professori che decideva chi poteva partecipare a un concorso e chi lo avrebbe vinto.
Una sorta di cupola dei concorsi truccati. Nei giorni scorsi gli inquirenti hanno chiuso le indagini nei confronti di dieci docenti – tra cui due ex rettori e un ex prorettore – mentre per gli altri professori di altri atenei si procede separatamente. Verso il processo per associazione a delinquere e, a vario titolo altri reati, ci sono l’ex rettore Francesco Basile, il suo precedessore Francesco Pignataro, i docenti Giuseppe Barone, Michela Maria Bernadetta Cavallaro, Filippo Drago, Giovanni Gallo, Giovanni Monaco, Roberto Pennisi, Giuseppe Sessa e l’ex prorettore Giancarlo Magnano di San Lio. Dopo le dimissioni dai ruoli di vertice e di dirigenza dei dipartimenti il giudice per le indagini preliminari ha revocato la misura interdittiva emessa a giugno.
La procura: “Il rettore Basile capo dell’associazione a delinquere” – Nelle 34 pagine firmate dai pm Marco Bisogni, Raffaella Vinciguerra, Santo Distefano e vistate dall’aggiunto Agata Santonocito, si legge che gli indagati “orientavano il reclutamento del personale docente e (non) da parte dell’Università degli Studi di Catania”. Ad alcuni sono contestati anche “abuso d’ufficio, induzione indebita a dare e promettere utilità, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, falso ideologico e materiali”.
I reati, scrivono i pm, sarebbero stati “finalizzati a garantire la nomina come docenti, ricercatore, dottorandi e personale amministrativo di soggetti preventivamente individuati dagli stessi associati”. Anche in assenza di requisiti. Per la procura Francesco Basile, nella qualità di rettore dal febbraio 2017 “avrebbe ricoperto il ruolo di capo dell’associazione coordinando l’attività degli altri associati. Determinava, inoltre, la composizione degli organi collegiali dell’Ateneo in modo da poterne influenzare gli orientamenti, interveniva nella programmazione e nello svolgimento dei concorsi – anche attraverso la commissione di molteplici reati – curava il mantenimento dei rapporti tra i diversi direttori dei dipartimenti appartenenti all’associazione”.
Giacomo Pignataro, rettore fino al novembre 2017, invece “avrebbe avuto il ruolo di promotore dell’associazione”. Il professore “avrebbe individuato il suo successore (Basile, ndr) pianificando la composizione degli organi collegiali in modo da poter contribuire a determinare gli orientamenti, e dopo la sua decadenza da rettore, sarebbe intervenuto nello svolgimento dei concorsi assicurandosene il controllo”. Avrebbe avuto il ruolo di “partecipe” l’ex prorettore Magnano Di San Lio. Quest’ultimo secondo i pm avrebbe “comunicato agli altri associati le determinazioni del Rettore (al fine di influenzare la composizione degli organi collegiali”. E inoltre avrebbe “curato i rapporti tra Basile e Pignataro”.
I candidati estromessi e quelli compiacenti – Drago (Scienze Biomediche e Biotecnologie), Cavallaro (Economia), Gallo (Matematica e Informatica), Monaco (Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali) Barone (Scienze politiche e sociali) e Pennisi (Giurisprudenza), direttori di dipartimento, sono considerati partecipi dell’associazione a delinquere. E avrebbero consentito “all’associazione di controllare i principali organi collegiali”, mantenere “il controllo dei bandi” di fatto consolidando “il potere” del ‘cartello’ di Basile e Pignataro arrivando anche a “sanzionare” gli estranei e quindi coloro che “tentavano di entrare all’interno dell’Ateneo attraverso la libera partecipazione ai concorsi”.
Sì perché almeno in un caso avrebbero detto a una concorrente di revocare la domanda. “Scusami Lucia (Malaguarnera) insomma questo è il concorso di Massimo (Libra, ndr) non è che hai speranza” le parole di Basile riferendosi al concorso a professore di prima fascia per la cattedra di Patologia generale. E così sono stati inquinati altri concorsi per Chirurgia generale, Diritto amministrativo, Scienza e tecnologia dei materiali, Analisi, Filosofia del diritto e altre materie. E così capitava che venissero estromessi candidati maggiormente titolati.
C’è stato anche il caso di una impugnazione di un bando indetto dal Dipartimento di Scienze del Farmaco, a chi si era rivolto al Tar era stata poi offerta, in cambio della rinuncia, l’indizione di un altro concorso. Oppure il caso in cui un concorrente era stato informato dei nominativi degli altri partecipanti in modo da fargli verificare i curricula. Non manca la chiamata per il figlio di un professore: Pignataro voleva inserire Antonio Barone, figlio di Giuseppe, e quindi dopo aver diramato un finto interpello aveva contattato i direttori dei dipartimenti interessati “imponendo loro di non avanzare alcuna richiesta“. Infine c’è l’episodio di un convegno fantasma “I volontari italiani in Russia durante la grande guerra” ideato per poter rimborsare le spese a un commissario di concorso: 460 euro il volo Napoli-Catania e 300 euro per il vitto.
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marcogiovenale · 4 years ago
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esce "ticontre", fascicolo xiv del 2020
esce “ticontre”, fascicolo xiv del 2020
Con la fine del 2020 è uscito il numero XIV di Ticontre. Con una sezione monografica dedicata alle riviste di poesia degli anni ’70-’90 (interventi di Gianluigi Simonetti, Giacomo Morbiato, Jordi Valentini, Claudia Crocco, Massimiliano Manganelli, Roberto Deidier, Stefano Dal Bianco, Biagio Cepollaro, Sergio Scartozzi, Edoardo Zuccato, Giovanna Lo Monaco) a cura di Claudia Crocco, Carla Gubert e…
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pangeanews · 5 years ago
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“Silence” è il film più incompreso (e meno redditizio) di Scorsese. Peccato. È un capolavoro perché investiga il lato oscuro della fede, l’abiura come mistica, l’inganno come liturgia
Visto che è in uscita The Irishman, proposto come il film definitivo di Martin Scorsese, quasi un testamento, in tivù – su Rai Movie – è andato il film precedente, Silence. Come si sa, Silence è un mezzo disastro commerciale – per alcuni è il film più brutto di Scorsese. Non è così, è semplicemente il film incompreso.
*
Per paradosso, Silence è il film teneramente costruito da Scorsese per anni. La storia ha come scenografia la diffusione del cristianesimo in Giappone, tramite i gesuiti, nel XVII secolo. Il centro della storia è la figura – realmente esistita – di Cristóvão Ferreira (1580-1650), che fece voto a Coimbra, a 18 anni, a 20 attraccò a Macao per padroneggiare il giapponese, nel 1609 atterrò a Nagasaki. Missionario di rara intelligenza, Ferreira, durante gli anni della soppressione del culto cristiano da parte dello shogun, fu arrestato, nel 1633 abiurò il cristianesimo, divenne monaco Zen, con moglie giapponese in dote. Pare che sia l’autore del trattato, L’inganno svelato, in cui vengono confutati i precetti della religione di Cristo; pare, piuttosto, che sia lui ad avere ingannato i suoi persecutori, restando fedele, ‘nel cuore’, a Cristo.
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La storia di Ferreira è raccontata nella Istoria della Compagnia di Gesù di Daniello Bartoli, edita in sei volumi tra 1650 e 1673. Il volume su Il Giappone, che racconta il successo e il disastro della missione evangelizzatrice, suppone il tardivo ritorno alla religione originaria di Ferreira, che sarebbe morto martire. La fonte di Silence, in ogni caso, è il romanzo dello scrittore giapponese cattolico – semplificato come “il Graham Greene giapponese” – Shūsaku Endō (1923-1996), Silenzio, edito in origine, in Italia, da Rusconi, ora da Corbaccio. Il romanzo racconta la pericolosa impresa di due giovani gesuiti (interpretati nel film di Scorsese da Andrew Garfield e dal bravissimo Adam Driver) che sbarcano nel Giappone in cui i cristiani vengono traumatizzati da torture per capire se Ferreira (Liam Neeson nel film) abbia davvero abiurato. Endō è uno scrittore autentico – Silenzio è romanzo pieno di raffinatezze stilistiche, il resoconto di una religione che vegeta nella sconfitta – di cui resta, nel catalogo editoriale odierno, la Vita di Gesù (per Queriniana), Il samurai (per Luni), Il giapponese di Varsavia (per Edb). Persi per strada – e andrebbero recuperati – i romanzi Vulcano e Scandalo, già editi da Rusconi.
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Beh, il film di Scorsese è lento, ha una fotografia magnifica (di Rodrigo Prieto, lo stesso di The Irishman), è pieno di momenti memorabili. Certo, la trama è smilza, i monaci sconfitti sono meno efficaci dei mafiosi d’America, le immagini del martirio sono atroci. Soprattutto, è il messaggio a scandalizzare: il cristianesimo è autentico quando soffre, quando è una religione di ribelli; il cristianesimo si tradisce in San Pietro, si traduce in verità vergine nelle catacombe, nel nascondimento, nel rischio. Il cristianesimo c’è quando per viverlo rischi la vita. D’altronde, nasce in contrasto alla religione del Tempio.
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Detto fuorilegge dopo un iniziale, improvviso successo – per lo più tra contadini e umiliati – il cristianesimo in Giappone è disintegrato da due momenti: l’uccisione, crocefissi, di ventisei cattolici, tra cui sei francescani e tre gesuiti, il 5 febbraio 1597, i cosiddetti “ventisei martiri”; la “rivolta di Shimabara”, in cui i cattolici in massa, guidati dal ronin diciassettenne Amakusa Shirō, “Il Messia giapponese”, secondo l’intuizione di Ivan Morris (più che altro, una specie di nipponica Giovanna d’Arco in veste di samurai), furono letteralmente spazzati, rifugiati nel castello di Hara, nel 1638, dall’esercito Tokugawa che ne sterminò 27mila circa. “Nonostante la sua storia violenza, il Giappone non aveva una tradizione di persecuzioni o di martirio religioso… Soltanto verso la fine del XVI secolo, quando la diffusione del cristianesimo portò il governo alla decisione di sopprimere questa credenza straniera e sovvertiva, le persecuzioni su larga scala e il martirio fecero la loro lugubre comparsa” (Ivan Morris, La nobiltà della sconfitta). Nelle persecuzioni furono complici i kapò buddisti.
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Da allora nascono i kakure kirishitan, i “cristiani nascosti”: giapponesi che praticano un cristianesimo inteso nell’interiorità, celato, pur frequentando i riti ufficiali, shinto o buddisti. I loro simboli – l’icona della Vergine Maria, ad esempio – sono contraffatti (le statue sono impressionanti: la Madre di Gesù è adornata come il Kannon buddista). Spesso, non ci sono sacerdoti a celebrare il rito, i cristiani fanno tempio nel loro corpo, un vescovato mistico. Si può stare in Dio se si è totalmente soli, senza conforto, in balia del male?
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In fondo: chi tradisce davvero, chi è l’autentico apostata? Il cristianesimo non è una religione di forme, si aliena al formalismo ebraico. Non è religione di ‘divise’. La tradizione orientale, d’altronde (il taoismo; ma pure Eraclito), insegna che il vero non è la verità apparente (detta con un micidiale aforisma dal Daodejing: “la verità è il suo contrario”).
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Negli stessi anni in cui Ferreira si fa monaco zen, nel 1666, il mistico ebreo Sabbatai Zevi, ritenuto da molti il Messia, abiura la sua fede davanti al sultano Mehmed IV, rifiuta l’ebraismo convertendosi all’Islam. La sua scelta provoca una lacerazione profonda nell’ebraismo – la storia di Šabbetay Sevi. Il Messia mistico è oggetto dello studio più importante di Gershom Scholem, edito da Einaudi nel 2001. Lo scandalo coincide con “la dottrina sabbatiana della necessità dell’apostasia del messia”. Insomma, il culmine mistico della fede sarebbe abiurarla, convertirsi a un’altra religione, praticare di nascosto. “Egli dovette agire così a causa dei peccati di Israele, e il suo destino era simile a quello di Ester, che dovette mangiare cibo proibito… I nostri nemici lo vedranno e saranno svergognati”, scrive Nathan di Gaza, il ‘profeta’ di Sabbatai, in una lettera esortativa che cerca di spiegare l’abiura come gesto mistico. I cristiani giapponesi, di fronte ai gesti di Ferreira, agiscono nello stesso modo: la Bibbia, in effetti, offre qualche appiglio (la cattività di Israele in Egitto e a Babilonia; il tradimento di Pietro, l’episodio di Getsemani, l’urlo di Gesù in Croce, dell’abbandonato). Siamo, davvero, nel lato oscuro della fede, nel nero, nel nulla. Scorsese è riuscito a penetrare in questo annientamento – dove tutti cadono, c’è chi trova una fermezza più vasta e nell’abbandono scova la fragilità di Dio. (d.b.)
L'articolo “Silence” è il film più incompreso (e meno redditizio) di Scorsese. Peccato. È un capolavoro perché investiga il lato oscuro della fede, l’abiura come mistica, l’inganno come liturgia proviene da Pangea.
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tmnotizie · 6 years ago
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SAN BENEDETTO – Gli ultimi due precedenti della Samb al Druso di Bolzano sono estremamente positivi per i colori rossoblù. Lo scorso anno finì 1-1 con il gol del pari firmato dal difensore Mattia con un preciso colpo di testa. Nella stagione precedente, invece,  la Samb sbancò il comunale altoatesino con un eloquente 5-2 con Leonardo Mancuso autore di una splendida tripletta. Ma la prima gara ufficiale della Samb a Bolzano risale al campionato di serie C 1954/55 contro il Bolzano. Il 1 maggio del 1955, l’undici allenato da Alfredo Notti fu superato per 3-1 (il gol rossoblù portò la firma di Etro Ferretti).
Un’altra pesante sconfitta arrivò nella stagione 2001-2002 con il Sud Tirol che superò la Samb per 3-0. Un passo falso che costò la panchina ad Enrico Nicolini che era subentrato a Paolo Beruatto. Il patron Luciano Gaucci affidò la squadra a Stefano Colantuono che appese le scarpe al chiodo ed iniziò così la sua carriera da allenatore. Insieme ad Italo Schiavi quella squadra totalizzò nove vittorie consecutive ed approdò in C1 battendo il Brescello nella finale play off.
Domani la musica sarà ben diversa. Da una parte la formazione altoatesina, quinta forza del campionato ed in forte ascesa. Dall’ altra Rapisarda e compagni alla ricerca di una nuova identità con il ritorno di Beppe Magi in panchina. Il tecnico ha chiesto ai suoi ragazzi di giocare liberi mentalmente, più spensierati in modo tale così di sopportare anche meglio la fatica. E’ infatti la condizione atletica a preoccupare. I limiti si sono visti nel secondo tempo di domenica scorsa con la Virtus Verona.
Contro la Samb il tecnico altoatesino Paolo Zanetti non potrà disporre del lungodegente Crocchianti e di Della Giovanna, che sta recuperando da un infortunio di natura muscolare. Da valutare le condizioni di Casale, che non ha potuto allenarsi sempre regolarmente perché ancora sofferente per la contusione rimediata la scorsa settimana al collo del piede destro. Il Sud Tirol è reduce da due pareggi consecutivi, tre nelle ultime quattro giornate.
“Dobbiamo conquistare i punti play off –analizza il difensore Danilo Pasqualoni ai microfoni del sito ufficiale del club altoatesino- e dovremo dovrà avere più fame della Samb per ritornare a vincere in casa e poi per continuare a migliorare. Con il nuovo modulo ci troviamo bene. In settimana lavoriamo molto e bene e poi la domenica viene da sé. Non c’è poi un così grande cambiamento in fase di impostazione dal basso”.
Magi all’ arrivo a Bolzano ha fatto svolgere una seduta di allenamento ai rossoblù, nel corso della quale ha preparato le ultime cose in vista del match di domani (fischio d’inizio ore 16.30). A San Benedetto sono rimasti Calderini per scelta tecnica e Cecchini che non ha ancora recuperato al cento per cento dall’ infortunio.
Il tecnico vuole una squadra più propositiva anche in trasferta e confermerà l’atteggiamento tattico di domenica scorsa con Ilari a ridosso del tandem offensivo Russotto-Stanco. Probabile, anche l’innesto di Signori in mediana a fianco di Gelonese e Rocchi con sugli esterni Rapisarda e Fissori. Confermato l’assetto difensivo con Celjak, Miceli e Biondi davanti a Sala.
“Il Sud Tirol -spiega Beppe Magi- è una formazione ben strutturata che da due anni sta portando avanti un ottimo progetto tecnico. E’ vero, ha cambiato pelle ma gli attori in campo sono sempre gli stessi. E questo dimostra l’intelligenza di una squadra che è capace di adattarsi ad un modulo di gioco più conveniente. E poi si tratta di un anticipo di play off perché se la classifica dovesse restare così affronteremo proprio gli altoatesini. Sarà una bella partita da affrontare contro una squadra forte. La condizione fisica può fare la differenza e mi auguro che la Samb resti in partita sopra i quarantacinque minuti. Se il campo ci darà questa risposta, vorrà dire che siamo sulla strada giusta ed in questo caso potremo aumentare anche l’intensità di gioco. In settimana abbiamo studiato bene ed ora vediamo cosa ci riserverà domenica il compito in classe. I ragazzi devono essere spensierati e con un atteggiamento mentale diverso da quello del secondo tempo con la Virtus Verona. Deve tornare l’entusiasmo –conclude Magi- perché solo così recupereremo il giusto atteggiamento mentale”.
Saranno un centinaio i tifosi rossoblù presenti al Druso. Con loro anche una folta delegazione degli ultras del Bayern Monaco da anni legati da un vincolo di gemellaggio con i supporters della Samb.
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Salerno protagonista dell’arte contemporanea internazionale con una madrina d’eccezione: Mariagrazia Cucinotta
Arte, storia e cultura in una location d’élite: domenica 30 settembre di scena un esclusivo vernissage al Castello Arechi di Salerno.
Non una semplice mostra d’arte contemporanea ma un vero e proprio evento che metterà al confronto artisti del nuovo panorama culturale internazionale con autorità, politici, critici d’arte, e personaggi del mondo dello spettacolo con un unico obiettivo:
Promuovere e valorizzare il turismo culturale a Salerno, come capitale mondiale dell’arte internazionale artisti emergenti del panorama internazionale.
“Un’operazione - afferma il Presidente Marco Giordano - che volge al rinnovamento dell’Italia, nell’immaginario collettivo, troppo spesso associata all’arte rinascimentale. Oggi invece andiamo a scoprire un volto diverso e moderno dell’arte italiana. L’Italia è il paese con il più ampio patrimonio artistico-culturale al mondo e continua ad esserlo. Non solo nel passato, ma anche nel presente con l’arte contemporanea”.
Dunque, Re D’Italia Art, riparte da Salerno. Dopo aver promosso per anni l’arte italiana nel mondo, da Parigi a Milano; da Monaco di Baviera a Sanremo e prossimamente New York, il Presidente torna nella sua città natia, con l’obiettivo chiaro e vincente di portare Salerno nel mondo. L’appuntamento al Castello Arechi, si preannuncia il primo di molti vernissage.  
La madrina dell’evento, Mariagrazia Cucinotta, taglierà il nastro, inauguando il vernissage alle ore 21.00 con un aperitivo, l’evento proseguirà poi fino alle 24.00.
Presenteranno le proprie opere:
Lo scultore Lucio Oliveri; i pittori Paola Ruggiero; Domenico Villano; Antonello Capozzi ; Alessandra Greco; Carlito T. e Giovanna Orlia. Sono solo alcuni dei nomi su cui si sta puntando, attraverso la ricerca costante di talenti del nuovo panorama artistico italiano ed internazionale.
Salerno sarà la città prescelta per attuare un’importante scambio culturale finalizzato allo sviluppo di nuove esperienze artistiche. Negli ultimi mesi in tanti e da ogni parte del mondo, hanno contattato la società italiana per esposizioni ed eventi anche con la finalità di promuovere eventi per il sociale. Un crescendo continuo che ha proiettato Re d'Italia Art nel gotha mondiale delle società più quotate del mondo dell’arte contemporanea.
Con le sue opere, Re d’Italia art, ha conquistato critici e star  internazionali, ma soprattutto ha richiamato l'attenzione di collezionisti di tutto il mondo promuovendo il Made in Italy dell’arte contemporanea nei musei internazionali. Esperienze che andranno ora a convergere verso Salerno con l’obiettivo di farlo diventare centro nevralgico dell'arte contemporanea mondiale.
La mostra al castello Arechi potrebbe diventare un appuntamento di prestigio assumere  ancora più rilievo per la presenza di appassionati d’arte internazionali. Con un costante aumento di presenze, l'evento può diventare un riferimento nell'arte contemporanea, con accesso diretto all'arte per il grande pubblico e la possibilità di incontrare artisti di fama internazionale, parlare direttamente con loro e ascoltare la loro storia, l'origine delle loro creazioni e il loro approccio artistico.
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qdmnotizie-blog · 6 years ago
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JESI, 30 maggio 2018 – Da domenica 27 maggio al Palascherma di Jesi ha preso il via il ritiro della Nazionale azzurra di Fioretto sotto la guida del Commissario Tecnico Andrea Cipressa.
La Federazione Italiana Scherma ha scelto le Marche per questo allenamento collegiale di Fioretto Maschile e Femminile in preparazione degli Europei che si terranno dal 16 al 22 giugno in Serbia a Novi Sad.
Nel frattempo si parla di campionati assoluti italiani in calendario a Milano dal 7 al 10 giugno prossimi.
Fino a venerdì primo giugno ventiquattro fiorettisti calcheranno le pedane jesine, questi i convocati dal C.T.: Valerio Aspromonte, Giorgio Avola, Guillaume Bianchi, Andrea Cassarà, Alessio Foconi, Daniele Garozzo, i marchigiani Francesco Ingargiola e Tommaso Marini vincitore del titolo Italiano Giovani a Verona lo scorso week-end, Edoardo Luperi, Lorenzo Nista, Alessandro Paroli, Damiano Rosatelli, Francesco Trani; Elisabetta Bianchin, Claudia Borella, Chiara Cini, Erica Cipressa, Valentina De Costanzo, Arianna Errigo, Camilla Mancini, Beatrice Monaco, Francesca Palumbo, Martina Sinigaglia, Elisa Vardaro e Alice Volpi le marchigiane Elisa Di Francisca ed Elena Tangherlini bronzo agli ultimi italiani giovani di Verona.
Nello Staff tecnico al seguito della nazionale guidata da Cipressa, troviamo cinque Maestri, la marchigiana Giovanna Trillini, Fabio Galli, Eugenio Migliore, Paolo Paoletti e Simone Piccini, la preparazione atletica è affidata ad un’altra marchigiana Annalisa Coltorti, infine lo staff medico con il dottor Luzon David, i fisioterapisti Federica Baldi e Francesca Ebarnabo.
I fioretti degli azzurri saranno messi a punto dallo storico tecnico delle armi jesino Siro Santoni.
Saranno cinque giorni di intensi allenamenti con grandi motivazioni per giungere in Serbia alla conquista dei titoli Europei.
In concomitanza con il ritiro della Nazionale si terrà una sessione d’allenamento nell’ambito del Progetto “Approfondimento Didattico”.
Tale allenamento si svolgerà sotto la supervisione e la responsabilità del Maestro Giulio Tomassini e coinvolgerà le Maestre Costanza Del Bianco e Serena Pivotti ed i marchigiani Francesco Archivio e Maria Elena Proietti Mosca.
Ad un anno dalla nascita del suo primo figlio ritorna in pedana Elisa di Francisca. La campionessa, 35 anni, dovrà riprendere i ritmi dell’attività agonistica ed ovviamente il suo obiettivo sarà a lungo termine con le olimpiadi di Tokio del 2020.
e.s. 
JESI / IL FIORETTO AZZURRO IN RITIRO AL PALASCHERMA DI VIA SOLAZZI, IL RITORNO IN PEDANA DI ELISA DI FRANCISCA JESI, 30 maggio 2018 - Da domenica 27 maggio al Palascherma di Jesi ha preso il via il ritiro della Nazionale azzurra di Fioretto sotto la guida del Commissario Tecnico Andrea Cipressa.
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navigamus-blog-a-vela · 4 years ago
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SAIL 2018 - Venice Hospitality Challenge Gran Premio della Città di Venezia - 2018
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Milano 13 giugno 2018. Presentata ieri a Milano presso lo Show Room Expérience Pommery la quinta edizione della Venice Hospitality Challenge. Il fascino della grande vela e un’eccellenza alberghiera famosa in tutto il mondo tornano riunite anche quest’anno sotto il segno di questa regata, vero e proprio Gran Premio della Città di Venezia poiché è l’unica che si disputa nelle acque interne di una città, la Serenissima. Sportività, luxury e lifestyle sono i mondi di riferimento di questa competizione che vedrà partecipare undici Maxi Yacht che hanno firmato pagine indimenticabili nella storia della vela abbinati ad altrettante famose realtà dell’alta hôtellerie veneta. I Team, guidati da skipper di fama internazionale, scenderanno sul campo di regata per contendersi l’ambito cappello del doge, realizzato appositamente per la Venice Hospitality Challenge 2018 dalla storica vetreria muranese F. B. Signoretti. Gli hôtel che parteciperanno a questa quinta edizione sono: Hilton Molino Stucky Venice; Hôtel Danieli, a Luxury Collection Hôtel, Venice; Belmond Hôtel Cipriani; SINA Centurion Palace; Palazzina; The Westin Europa & Regina, Venice; The Gritti Palace, a Luxury Collection Hôtel, Venice; Ca’ Sagredo Hôtel; Hôtel Excelsior Venice Lido Resort; Falisia, a Luxury Collection Resort & Spa, Portopiccolo e Hôtel Almar Jesolo Resort e Spa. Quest’anno la Venice Hospitality Challenge vede inoltre l’adesione dello Yacht Club Venezia, promotore della regata, alla “Charta Smeralda”, il documento firmato dalla Principessa Zahra Aga Kahn, presidente del Consiglio Direttivo dello Yacht Club Costa Smeralda (YCCS) e dal Commodoro Riccardo Bonadeo al termine di One Ocean Forum, progetto che si pone come obiettivi l’apertura di un dialogo a livello internazionale sulla sostenibilità degli oceani e la creazione di una rete volta ad aumentare la consapevolezza sui temi e sulle problematiche inerenti l’ecosistema marino. “Charta Smeralda” è un vero e proprio codice etico di condotta e Venezia, città da sempre unita indissolubilmente al mare, sarà in prima fila in questo importante momento di sensibilizzazione con il celebre skipper Mauro Pelaschier, ambasciatore di “Charta Smeralda” alla Venice Hospitality Challenge 2018. “La peculiarità di questa regata consiste nel portare imbarcazioni con una lunghezza minima di 60 piedi in un circuito cittadino estremamente spettacolare – sottolinea Mirko Sguario, ideatore e organizzatore dell'evento e Presidente dello Yacht Club Venezia – ed è per questo che ormai possiamo considerare a giusto titolo la Venice Hospitality Challenge il Gran Premio di Venezia per la vela, così come lo è il Gran Premio di Monaco per la Formula 1. Una scelta che richiama ogni anno un gran numero di partner prestigiosi, segnale che la città crede in questo evento, guardando al connubio tra sport e accoglienza come motivo di richiamo non solo per i tanti appassionati di vela ma anche per tutti i visitatori della Serenissima”. I relatori Lorenza Lain – Cà Sagredo Hôtel, Constance Stancanelli - Hilton Molino Stucky, Giampaolo Ottazzi - Belmond Hôtel Cipriani, Giovanna Caprioglio - Palazzina, Alessandra Pagano – Westin Europa e Regina, Paolo Lorenzoni - The Gritti Palace, Antonello De Medici - Hôtel Danieli, Daniele Trombacco - Excelsior Palace, Micaela Scapin - SINA Centurion, Francesca Picciafuochi - Falisia Portopiccolo e Claudia Zanotto - Almar Jesolo hanno confermato con soddisfazione il loro sostegno per questo evento esclusivo che, associando l’hospitality di alto livello allo sport velico, colloca anche quest’anno la città di Venezia al centro del palcoscenico mondiale. Mimma Posca, CEO Vranken-Pommery Italia, ha commentato con entusiasmo “Abbiamo l’onore di partecipare a questa iniziativa per la condivisione dei valori che rispecchiano la filosofia della nostra Maison: l’arte di vivere rappresentata anche attraverso la competizione di una regata di imbarcazioni di prestigio, con il patrocinio dell’arte del ricevere e l’arte dell’ospitalità che da Venezia è famosa in tutto il mondo. La Maison Pommery si unisce con l’arte ed il gusto del savoir-faire per celebrare ed esaltare i momenti di eccellenza.” Il Commodoro dello Yacht Club Costa Smeralda Riccardo Bonadeo e Mauro Pelaschier hanno invece ricordato l’importanza di portare i valori di Charta Smeralda non solo agli equipaggi e agli hôtel partecipanti alla regata ma anche a tutta la città per formare una sensibilità nuova verso il rispetto per il mare. La scorsa edizione ha visto una netta vittoria di Spirit of Portopiccolo – Ca’ Sagredo grazie a un’ottima partenza e conduzione dello skipper Furio Benussi. Secondo e terzo posto per Nuova Maxi Jena – The Gritti Palace e Pendragon VI – Hilton Molino Stucky. Alla cerimonia di premiazione sono intervenuti personaggi di alto rilievo della vela italiana e internazionale: Kim Andersen Presidente della Federazione della vela mondiale World Sailing, Andrew Mc Irvine segretario generale IMA (International Maxi Yacht Association), Francesco Ettorre Presidente FIV, il Contrammiraglio Marcello Bernard della Marina Militare Italiana e Ermelinda Damiano, Presidente del Consiglio Comunale di Venezia. La Venice Hospitality Challenge 2018 gode dell’Alto Patrocinio del Comune di Venezia, Media Partner sono Excellence Magazine Luxury, Wonder World, Wonder Cortina e Venezia Made in Veneto alle quali si aggiunge la preziosa collaborazione di Alilaguna, CMV Panfido, Venezia Unica e VYP Venice Yacht Pier. Il via alla regata è previsto per le 13.30 di sabato 20 ottobre e base della flotta sarà il Marina Santelena mentre il bacino di San Marco, punto focale del percorso, permetterà al pubblico di seguire dalle rive una competizione spettacolare nella cornice della città più bella del mondo. Le premiazioni avranno luogo alle Zattere presso la banchina VYP Venice Yacht Pier a diretto contatto con la cittadinanza.
FROM http://www.navigamus.info/2018/06/si-prepara-al-via-la-venice-hospitality.html
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fortementein · 7 years ago
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Ho incontrato Giovanna Vitacca e ho scoperto la magia del restyling
La moda è superficiale soltanto se lo è il nostro approccio a essa. Se è vero che l’abito non fa il monaco è anche vero che per tutti noi altri può fare una bella differenza. Il vestito giusto è in grado di farci sentire fieri e sicuri, di toglierci la paura, infonderci coraggio. D’altronde, per […]
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laspiait · 7 years ago
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Codici d’onore, uomini d’onore, “la mafia non tocca donne e bambini“, “i mafiosi hanno regole ferree”, “i mafiosi non tradiscono“, “Non si guardano mogli di amici nostri”, “Si deve portare rispetto alla moglie”. E poi ancora: “Non può entrare in Cosa nostra chi ha un parente stretto nelle varie forze dell’ordine”, “chi ha tradimenti sentimentali in famiglia”, e “chi ha un comportamento pessimo e che non tiene ai valori morali”.
Sono tutti falsi miti, falsi luoghi comuni.
Molte di queste “regole” sono state ritrovate, ad esempio, nel decalogo del “perfetto mafioso” che nel 2007 gli inquirenti avevano sequestrato tra i documenti del boss Salvatore Lo Piccolo.
Nulla di più falso anzi, nulla di più drammaticamente falso.
Spesso, ancora oggi, si sente parlare di “regole degli uomini d’onore”. Questi “uomini” non hanno né regole, né onore. Eppure le vittime innocenti delle mafie (LEGGI TUTTI I NOMI) sono più di 900.
I BAMBINI UCCISI DALLE MAFIE
Basti pensare alle 108 bare bianche disseminate dalle mafie da Nord a Sud.
Bambini, alcuni anche neonati, uccisi a freddo con un colpo di pistola, colpiti da esplosioni e proiettili con la sola colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma anche sequestrati, dati in pasto ai maiali, sciolti nell’acido e bruciati.
La vittima più piccola si chiama Caterina Nencioni, di soli 53 giorni, uccisa con la sorella Nadia, di otto anni, nell’esplosione di via dei Georgofili a Firenze del 1993. Valentina Guarino, invece, aveva solo sei mesi quando è stata colpita da una raffica di proiettili, a Taranto, nel 1991, in braccio alla sua mamma. Giuseppe Bruno di mesi ne aveva 18 mesi l’11 settembre del 1974. A Seminara, nella piana di Gioia Tauro, si è consumando la guerra sanguinosa tra i Gioffré e i Pellegrino. Dopo cena, il papà Alfonso porta Giuseppe a letto a cavalcioni sulle spalle, passando per una scala esterna. Dietro a una siepe lo aspetta un killer che gli spara un solo colpo di lupara. Il padre viene colpito solo di striscio, per Giuseppe non c’è niente da fare. Un mese e mezzo dopo i killer portano a termine il compito, a Bagnara, scaricando addosso al papà di Giuseppe un intero caricatore di pistola.
Invece di guardare fiction fantasiose che sembrano accreditare questi falsi miti dell’onore, sarebbe da leggere il libro “Al posto sbagliato” di Bruno Palermo (Rubbettino) che raccoglie le loro storie in ordine cronologico.
La prima è Emanuela Sansone, uccisa nel 1896 a 17 anni a Palermo mentre si trova nel negozio di famiglia.
Nel tragico elenco (LEGGI ARTICOLO) si trovano anche Giuseppe Letizia, 13 anni, probabilmente avvelenato in ospedale dopo aver assistito all’omicidio di Placido Rizzotto, ed Emanuele Riboli, di 17 anni, figlio di un imprenditore del varesotto, sequestrato nel 1974, avvelenato e dato in pasto ai maiali. E poi ancora Pinuccia Utano, 3 anni, raggiunta da un proiettile mentre dorme sul sedile posteriore dell’auto del suo papà. Freddata nella notte, proprio come Annalisa Angotti, 4 anni, uccisa dall’esplosione di un’auto parcheggiata davanti alla sua casa delle vacanze di Siculiana, Agrigento.
Oltre al tristemente famoso caso di Giuseppe Di Matteo, ucciso e sciolto nell’acido.
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Giuseppe Di Matteo
Giuseppe Letizia
Emanuele Riboli
Caterina Nencioni
LE DONNE UCCISE DALLE MAFIE
E poi le donne, ben 157 (LEGGI ELENCO INTERO). Anche qui altro che dicerie popolari secondo cui “la mafia rispetta le donne e i bambini”. No. La realtà è molto diversa.
Lo dimostra il dossier realizzato dall’associazione “daSud” che censisce ben 157 storie di donne ammazzate da cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita.
L’elenco si apre, come visto prima, con una ragazzina palermitana: Emanuela Sansone, 17 anni (LEGGI L’ARTICOLO). Fu uccisa il 27 dicembre 1896, perché si sospettava che la madre avesse denunciato i picciotti che falsificavano bancanote.
Graziella Campagna, stessa età, venne uccisa nel 1985: lavorava in una lavanderia e in una camicia da pulire aveva scoperto l’agendina di un latitante.
Altre donne sono state uccise assieme ai loro compagni, per rendere ancora più plateale la ferocia delle esecuzioni: come Emanuela Setti Carraro, morta al fianco del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa nel 1982. O Francesca Morvillo, morta insieme a Giovanni Falcone il 23 maggio del 1992.
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Graziella Campagna
Emanuela Setti Carraro
Francesca Morvillo
E poi ancora Rita Atria, cresciuta in una famiglia di boss, a 17 anni testimonia davanti a Paolo Borsellino e viene ripudiata dalla madre. Si ucciderà pochi giorni dopo la strage di via D’Amelio, prima di diventare maggiorenne. L’ultima storia che ha commosso l’Italia è quella di Lea Garofalo. Vedova, sorella e compagna di trafficanti, nel 2002 decide di testimoniare contro di loro. Vive sotto protezione ma nel 2009 la rapiscono e la uccidono a 34 anni. Nel processo sono determinanti le testimonianze della figlia, che accusa suo padre e lo fa condannare per omicidio. Il segno che il coraggio delle donne di tutte le età non si fa piegare.
Ma anche fra mafiosi si uccidono le mogli: è il caso di Carmela Minniti, moglie dello storico capomafia Nitto Santapaola. La Minniti venne uccisa il primo settembre del 1995.
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Lea Garofalo
Rita Atria
SEI BOSS, SEI ESEMPI DI REGOLE INESISTENTI
A conferma dalle “loro” (inesistenti) regole, Vi offriamo le storie di sei boss siciliani.
IL BOSS CHE PICCHIA LE DONNE
Gionbattista Ventura
La storia dei Ventura, ad esempio, che spadroneggiano a Vittoria. Abbiamo raccontato tempo fa (LEGGI ARTICOLO) la vicenda che il collaboratore di Giustizia Rosario Avila ha testimoniato nelle aule di Tribunale di Ragusa.
Per fermare la sua relazione con la Maria Concetta Ventura, figlia del reggente del clan, Giambattista (detto Titta), non esiteranno a picchiarla.
Le parole del collaboratore di Giustizia:
“Poi hanno acchiappato Maria Concetta, e l’hanno riempita di botte, le hanno fatto cadere due denti, a una donna. Ma perchè non si vergognano? Questi sono i Ventura”.
Avila racconta che, in una spedizione punitiva contro di lui “scappò dalla finestra” mentre la figlia di Giambattista Ventura
“Quando sono sfuggito poi hanno acchiappato Maria Concetta, e 1’hanno riempita di botte, le hanno fatto cadere due denti, a una donna”.
La figlia di Gimabattista, picchiata da padre e cugini, finì all’ospedale ma non denunciò mai.
“Maria Concetta disse all’ospedale che era caduta” – racconta il collaboratore – perché “è stata minacciata. Hanno detto che se diceva qualcosa la ammazzavano”.
IL BOSS CHE FA UN FIGLIO CON LA MOGLIE DELL’AFFILIATO
Antonino Pinuccio Trigila
Antonino (detto Pinuccio Pinnintula) Trigila è il capo indiscusso dell’omonimo clan della parte meridionale della provincia di Siracusa (Noto, Avola, Rosolini, Pachino e Portopalo). U “zu Pinuccio” è in galera da anni, più volte al 41bis, non rivedrà più la libertà per gli ergastoli a cui è condannato.
Quando Pinuccio Trigila si trovava in libertà, fra un omicidio ed un atto criminale, tradiva tranquillamente e regolarmente la moglie (Nunziatina Bianca, che oggi con la figlia Angela è la messaggera del marito) con diverse donne.
Il più clamoroso dei tradimenti Pinuccio Trigila lo consumò con la moglie del suo autista, Franco De Grande (inteso “piritu i mulu”): il marito era stato da poco arrestato e Pinuccio pensò bene (a proposito delle “regole del buon mafioso”) di consolarne la moglie mettendola incinta.
IL BOSS CHE TRADISCE LA MOGLIE CON LA SORELLA
Angelo Monaco
Un altro storico boss del clan Trigila è Angelo Monaco. Angelo Monaco, per anni consuocero del capomafia Pinuccio Trigila, è stato anche il reggente del clan.
Monaco era sposato con Maria Di Mari, dalla quale ebbe due figli (Piero e Giovanna).
Elisabetta, sorella di Maria (cognata di Angelo Monaco, per chi abbia difficoltà con le parentele!), rimase vedova a causa di un incidente stradale che coinvolse il marito.
Il “buon” Angelo Monaco propose alla moglie di ospitare la sorella a casa loro per “consolarla” dall’infausto destino. Fu così che, poco dopo, lo stesso Monaco tradì la moglie con la sorella, fino a scappare con lei e fare un’altra figlia (Valeria, moglie di un altro affiliato del clan, Paolo Mirmina Spatalucente).
IL BOSS DALLE TRE MOGLI (E TRE FIGLI)
Piero Monaco
Altro caso di “infami d’onore” che citiamo è quello di Piero Monaco, figlio del boss Angelo. Dal padre ha preso le condanne per mafia ed anche il trasgredire alle “regole d’oro”.
Piero Monaco era sposato con Angela Trigila, figlia del capomafia Pinuccio.
Monaco, fra un delitto e l’altro, consumati anche grazie alla fama di genero del capomafia, tradì la propria moglie. E fin qui, se quelle famose regole iniziali valessero, ne avrebbe trasgredito una (“non tradire la propria moglie”).
Lo stesso Monaco, però, volendo andare fino in fondo nella “trasgressione”, tradì anche la seconda compagna (con la quale, intanto, fece una figlia). 
Così si arriva alla terza compagna di Piero Monaco. Monaco, infatti, infrangendo qualsiasi altra regola del “buon mafioso”, mette incinta la convivente di un affiliato al clan Bottaro (altro clan del siracusano), che in quel momento si trovava in galera (Angelo Iacono, oggi defunto), dall’unione nascerà un’altra figlia.
IL BOSS CHE FA UNA FIGLIA CON LA “CAMERIERA” DELLA MOGLIE
Waldker (detto Rino) Albergo è stato un altro dei reggenti del clan Trigila di Noto, già condannato e più volte tratto in arresto.
Rino Albergo, per rispettare la tradizione dei boss “senza onore”, tradì la moglie con la ragazza che faceva i “servizi” sia a casa che nell’attività commerciale familiare. Non fu un semplice tradimento (altrimenti non lo avremmo citato), ma ci aiuta a far comprendere il concetto di “onore” di questi “gentil signori”: infatti dall’unione dei due (mai consacrata dal matrimonio) nacque anche una figlia.
Stessa strada di Rino Albergo è quella percorsa da un altro esponente del clan Trigila, Giuseppe Crispino (detto Peppe u barbieri). Anche Crispino, infatti, ha una figlia fuori dall’unione matrimoniale.
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Wadlker (Rino) Albergo
Giuseppe Crispino (detto Peppe u barbieri)
Dalle uccisioni dei bambini, a quelle delle donne, fino ai pestaggi ed ai tradimenti. Le loro “regole” sono solo specchietti per le allodole.
Nessun onore, nessun rispetto.
Il tutto in un filo comune che lega regole per loro inesistenti con uomini che le infrangono, trasformandoli in mostri che si servono di princìpi universali al solo scopo di farsi grandi.
Per non dimenticare mai che la violenza delle mafie non è nè uno scherzo nè un gioco.
Per far sì che, come Libera ricorda ogni anno, si abbia verità e Giustizia per chi non c’è più.
E, infine, per trovare il coraggio di denunciare: questi malacarne sono solo “mezzi uomini”, per dirla con Sciascia. Conoscere per riconoscere e scegliere da che parte stare, ma basta indifferenza!
Dall’uccisione di bambini e donne ai tradimenti: il falso ‘onore’ delle mafie fino ai boss Trigila, Ventura e Monaco Codici d’onore, uomini d’onore, "la mafia non tocca donne e bambini", "i mafiosi hanno regole ferree", "
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