#Gestione locale gastronomico
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campadailyblog · 5 months ago
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Ristorante: Passi essenziali per avviare il tuo Locale
Aprire un ristorante è un sogno per molti imprenditori italiani. Però, richiede una pianificazione attenta e conoscere i requisiti e le procedure. Questa guida ti guiderà passo dopo passo per aprire il tuo locale di successo. Ti mostreremo come scegliere l’idea giusta, fare un business plan solido, ottenere le licenze e molto altro. Seguendo i nostri consigli, puoi trasformare la tua passione per…
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caseificiosanguedolce · 3 years ago
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Il Disciplinare della Burrata IGP di Andria
Un nuovo articolo è stato pubblicato su https://www.sanguedolce.com/il-disciplinare-della-burrata-igp-di-andria/
Il Disciplinare della Burrata IGP di Andria
La Burrata di Andria IGP è sempre più popolare a livello globale. Il formaggio nato nel periodo a cavallo delle due guerre mondiali dal genio di un casaro pugliese intenzionato a non sprecare il prodotto di precedenti lavorazioni, è infatti oggetto di un gradimento sempre più diffuso, anche sui mercati internazionali. Tanto da ispirare imitazioni le quali puntano soprattutto a sfruttare la reputazione guadagnata dall’ennesima eccellenza del Made in Italy agroalimentare, senza comunque riuscire a raggiungerne la bontà. Contraffazioni le quali, però, sono molto pericolose, proprio perché possono dare adito a pericolosi equivoci in grado di danneggiare non solo le imprese pugliesi specializzate nella sua produzione e commercializzazione, ma anche la sua giusta fama. Proprio per cercare di reagire ad un andazzo sempre più diffuso, è stato quindi formato il Consorzio di tutela della Burrata di Andria IGP.
A proposito del Consorzio di tutela della Burrata di Andria IGP
Il Consorzio di tutela della Burrata di Andria IGP si è formato nel febbraio del 2017 assumendosi il compito di valorizzare e promuovere il prodotto a marchio d’origine, per poi essere riconosciuto dal Mipaaf nel maggio del 2018. La sua formazione è derivante dalla presa d’atto di una necessità ben precisa, ovvero quella di tutelare una vera e propria eccellenza dalle imitazioni. Le tante contraffazioni di cui la Burrata di Andria è stata oggetto non solo in Italia, ma anche all’estero, hanno infatti come pratico risultato quello di intaccare una fama costruita nel corso del tempo. Portando ad un uso improprio anche del termine, il quale va invece ad indicare, nella sua accezione originaria il formaggio pugliese. Per riuscire nella sua missione, il consorzio ha così fatto ricorso a quel logo IGP, acronimo di Indicazione Geografica Protetta, il quale rende possibile indicare al consumatore di ogni parte del globo l’originalità del prodotto. Impedendo in tal modo che chi non ne ha diritto possa sfruttarne la giusta fama.
Il Disciplinare della Burrata IGP di Andria
Tra i compiti istituzionali spettanti al Consorzio di tutela, c’è anche quello relativo alla scrittura del Disciplinare della Burrata IGP di Andria. Di cosa si tratta, precisamente? In pratica per disciplinare di produzione si intende la serie di disposizioni di legge le quali devono essere seguite e rispettate nel dettaglio quando si intende produrre alimenti i quali siano stati gratificati del riconoscimento DOP, STG, DOCG e IGP. Per la gestione e la tutela di alcuni prodotti, infatti vengono istituiti dei Consorzi cui spetta il compito di far rispettare queste norme. Nel caso in cui il disciplinare di produzione venga violato, chi lo fa incappa in un vero e proprio reato. Anche per la Burrata di Andria è stata seguita questa strada, a seguito del conseguimento del marchio IGP.
I cambiamenti apportati di recente al Disciplinare di produzione
Per quanto riguarda il Disciplinare del formaggio pugliese, va sottolineato come proprio di recente, nel mese di marzo, il documento sia stato oggetto di variazioni. Le quali sono state pubblicate all’interno della Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, come prevede la prassi. Qual è il motivo che ha spinto a queste modifiche? In particolare l’intenzione di rispondere in maniera più puntuale alle caratteristiche che sono proprie della materia prima locale. Permettendo per questa via anche ai piccoli produttori di poter aderire con maggiore facilità al Piano dei controlli, di indicare con maggior precisione le dimensioni della chiusura apicale (la testa) e le modalità di sfilaccio manuale del ripieno (la stracciatella). Per effetto delle nuove disposizioni, gli sfilacci/lucini, non potranno subire processi di rottura che possano trasformarli in un ammasso tritato. Proprio lo sfilaccio manuale rispetto ad una pasta tritata riesce a differenziare in maniera decisiva la Burrata di Andria, in quanto permette alla panna di amalgamarsi alla pasta filata, conferendole un gusto unico, il quale riesce a caratterizzarsi in sede di degustazione per la giusta umidità, la morbidezza e l’esaltazione dei sentori di latte fresco. In pratica, proprio grazie alle disposizioni contenute all’interno del nuovo Disciplinare sarà possibile garantire meglio l’artigianalità del formaggio, differenziandolo in maniera decisiva dalle produzioni meccanizzate. E dare in tal modo un’arma in più non solo ai piccoli produttori, ma anche ai consumatori. I quali potranno distinguere meglio le tante contraffazioni che ormai da tempo colpiscono anche la Burrata IGP di Andria. 
Il legame tra Burrata di Andria e territorio
Come si può facilmente comprendere, uno dei tratti distintivi della Burrata di Andria IGP è costituito dal fortissimo legame con il territorio. Sono stati proprio il coordinatore del Consorzio di tutela, Francesco Mennea, e il presidente dello stesso ente, Salvatore Montrone, a ricordare nel corso di una intervista come la Burrata di Andria IGP rappresenti l’espressione agroalimentare più alta e rappresentativa della Puglia. Configurandosi alla stregua di un esempio della capacità di fare di necessità virtù ed evidenziando come il sapere e la cultura di un territorio possano non solo contribuire alla risoluzione di un problema, nel caso specifico la necessità di gettare gli scarti delle lavorazioni, ma addirittura contribuire alla creazione di una vera e propria eccellenza. Un unicum che non si limita all’ambito gastronomico, ma si allarga al campo culturale, sino a proporsi come il legittimo rappresentante di un intero territorio, con i suoi valori, la sua storia e i suoi residenti. 
Quali sono i mercati che stanno premiando la Burrata di Andria IGP?
Se il principale mercato della Burrata di Andria è naturalmente costituito dall’Italia, va però ricordato come il formaggio pugliese abbia sin dagli esordi messo in mostra una spiccata vocazione internazionale. Tanto da conquistare ben presto alcuni mercati esteri che gli hanno consentito di farsi un nome di prestigio, da utilizzare alla stregua di prezioso grimaldello. Proprio da questa constatazione muove il Consorzio di Tutela della Burrata di Andria IGP, che fa della glo-calizzazione, intesa come diffusione globale e difesa allo stesso tempo dell’originalità della sua cultura produttiva, una vera e propria missione. La sua diffusione infatti, viene portata avanti cercando di schivare i pericoli derivanti dalla trasformazione in un prodotto di massa. Solo in tal modo può diventare possibile  preservarne il carattere artigianale, la freschezza e la qualità.
  Per maggiori informazioni visita il sito del Consorzio Burrata di Andria
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freedomtripitaly · 5 years ago
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Dopo l’Umbria e la tappa in Sicilia, Chiara Ferragni e Fedez, con il piccolo Leone, sono volati alle Baleari per godersi il mese di agosto in una delle mete più in voga tra i vip che amano le spiagge frequentate, la movida serale e rilassarsi sullo yatch in qualche caletta irraggiungibile. L’influencer e il rapper, con figlio e amici, hanno trascorso qualche giorno in spiaggia a Ibiza e, qui, hanno ammirato e raggiunto la magica e misteriosa isola di Es Vedra, isolotto roccioso a 2 km al largo della costa occidentale di Ibiza, proprio di fronte a Cala d’Hort. Es Vedra è da sempre avvolta da miti e leggende: dimora delle sirene, modello per la costruzione delle Piramidi, punta della civiltà sommersa di Atlantide, insomma, pura magia che regala grotte e insenature nascoste, acqua cristallina e insolite formazioni rocciose. Durante la loro vacanza tra Ibiza e Formentera, Chiara e Fedez hanno poi apprezzato la cucina mediterranea in alcuni dei migliori locali della zona. A Ibiza si sono fermati all’Hostal La Torre, intimo, tranquillo, in mezzo alla natura e con una squisita e curata cucina mediterranea. Il ristorante con terrazza dell’Hostal La Torre è situato sulla cima di una scogliera da cui è possibile ammirare l’isolotto di Conejera e il miglior tramonto sul mare. Altro locale che li ha accolti è l’Agroturismo Atzaró, incantevole hotel in stile rustico, immerso in un aranceto nella campagna di Ibiza che dispone di un ristorante gastronomico dove gustare una creativa cucina mediterranea, e il ristorante La Veranda, dove apprezzare la cucina fusion. A Formentera, invece, i Ferragnez sono stati ospiti del Es Moli de Sal, uno dei ristoranti più famosi ed esclusivi dell’isola, a pochi metri dal mare, nel bel mezzo della spiaggia di Illetas. Da qui si gode di una vista mozzafiato su due delle spiagge più belle di Formentera, Es Cavall d’En Borràs e Platja de Ses Illetes, e sul Parco Naturale di Ses Salines. Le prelibatezze del ristorante? Paella, pesce fresco, riso e carne e il rinomato stufato di aragosta. Per organizzare la loro vacanza da sogno, Chiara e Fedez si sono affidati a CavaGroup, azienda leader nell’assistenza personale premium, il cui carattere distintivo si manifesta in un’arte del servizio senza compromessi, offrendo ai suoi clienti un senso di prestigio, serenità, ordine e organizzazione e risparmiando loro tempo. Il servizio risponde a tutte le esigenze del cliente, dalle attività quotidiane coinvolte nella gestione di una famiglia ai servizi completi di viaggio e turismo, prenotazioni in ristoranti esclusivi, biglietti per eventi culturali, di intrattenimento e sportivi e molto altro. Vorreste organizzare anche voi una vacanza super esclusiva come quella di Chiara Ferragni? Un volo privato in jet da Milano Linate a Ibiza ha prezzi a partire da € 10820.00 (spese e tasse incluse) con un light jet e a partire da € 18440.00 (spese e tasse incluse) con un medium jet. Per quanto riguarda il noleggio di yacht a Ibiza, un’imbarcazione di lusso di 14 metri ha un prezzo a partire da 1300/1400 euro al giorno, uno yacht di 15 metri tra i 1700 e 2175 euro al giorno in base alle caratteristiche; dai 16 ai 23 metri il prezzo parte dai 2000 euro al giorno. Si trovano anche offerte per yacht di 14 metri a 700 euro al giorno e di 8 metri a 550 euro al giorno. Soggiornare in una villa a Ibiza con 12 posti letto costa da 371 a 700 euro a notte, con 10 posti letto da 229 euro a notte, con 12 posti letto da 758 euro a notte, con 14/16 posti letto da 414 euro a notte, con 22 posti letto da 585 euro a notte. Il prezzo varia in base alla posizione, alle caratteristiche e ai servizi della villa scelta. https://ift.tt/30zEcze Jet privato, yacht e villa: quanto costa una vacanza a Ibiza come Chiara Ferragni Dopo l’Umbria e la tappa in Sicilia, Chiara Ferragni e Fedez, con il piccolo Leone, sono volati alle Baleari per godersi il mese di agosto in una delle mete più in voga tra i vip che amano le spiagge frequentate, la movida serale e rilassarsi sullo yatch in qualche caletta irraggiungibile. L’influencer e il rapper, con figlio e amici, hanno trascorso qualche giorno in spiaggia a Ibiza e, qui, hanno ammirato e raggiunto la magica e misteriosa isola di Es Vedra, isolotto roccioso a 2 km al largo della costa occidentale di Ibiza, proprio di fronte a Cala d’Hort. Es Vedra è da sempre avvolta da miti e leggende: dimora delle sirene, modello per la costruzione delle Piramidi, punta della civiltà sommersa di Atlantide, insomma, pura magia che regala grotte e insenature nascoste, acqua cristallina e insolite formazioni rocciose. Durante la loro vacanza tra Ibiza e Formentera, Chiara e Fedez hanno poi apprezzato la cucina mediterranea in alcuni dei migliori locali della zona. A Ibiza si sono fermati all’Hostal La Torre, intimo, tranquillo, in mezzo alla natura e con una squisita e curata cucina mediterranea. Il ristorante con terrazza dell’Hostal La Torre è situato sulla cima di una scogliera da cui è possibile ammirare l’isolotto di Conejera e il miglior tramonto sul mare. Altro locale che li ha accolti è l’Agroturismo Atzaró, incantevole hotel in stile rustico, immerso in un aranceto nella campagna di Ibiza che dispone di un ristorante gastronomico dove gustare una creativa cucina mediterranea, e il ristorante La Veranda, dove apprezzare la cucina fusion. A Formentera, invece, i Ferragnez sono stati ospiti del Es Moli de Sal, uno dei ristoranti più famosi ed esclusivi dell’isola, a pochi metri dal mare, nel bel mezzo della spiaggia di Illetas. Da qui si gode di una vista mozzafiato su due delle spiagge più belle di Formentera, Es Cavall d’En Borràs e Platja de Ses Illetes, e sul Parco Naturale di Ses Salines. Le prelibatezze del ristorante? Paella, pesce fresco, riso e carne e il rinomato stufato di aragosta. Per organizzare la loro vacanza da sogno, Chiara e Fedez si sono affidati a CavaGroup, azienda leader nell’assistenza personale premium, il cui carattere distintivo si manifesta in un’arte del servizio senza compromessi, offrendo ai suoi clienti un senso di prestigio, serenità, ordine e organizzazione e risparmiando loro tempo. Il servizio risponde a tutte le esigenze del cliente, dalle attività quotidiane coinvolte nella gestione di una famiglia ai servizi completi di viaggio e turismo, prenotazioni in ristoranti esclusivi, biglietti per eventi culturali, di intrattenimento e sportivi e molto altro. Vorreste organizzare anche voi una vacanza super esclusiva come quella di Chiara Ferragni? Un volo privato in jet da Milano Linate a Ibiza ha prezzi a partire da € 10820.00 (spese e tasse incluse) con un light jet e a partire da € 18440.00 (spese e tasse incluse) con un medium jet. Per quanto riguarda il noleggio di yacht a Ibiza, un’imbarcazione di lusso di 14 metri ha un prezzo a partire da 1300/1400 euro al giorno, uno yacht di 15 metri tra i 1700 e 2175 euro al giorno in base alle caratteristiche; dai 16 ai 23 metri il prezzo parte dai 2000 euro al giorno. Si trovano anche offerte per yacht di 14 metri a 700 euro al giorno e di 8 metri a 550 euro al giorno. Soggiornare in una villa a Ibiza con 12 posti letto costa da 371 a 700 euro a notte, con 10 posti letto da 229 euro a notte, con 12 posti letto da 758 euro a notte, con 14/16 posti letto da 414 euro a notte, con 22 posti letto da 585 euro a notte. Il prezzo varia in base alla posizione, alle caratteristiche e ai servizi della villa scelta. Chiara Ferragni e Fedez sono volati alle Baleari per il mese di agosto. Quanto costa organizzare una vacanza da sogno come la loro a Ibiza?
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uomoallacoque · 5 years ago
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Esplorare il piacentino in cerca di posti per una buona mangiata è come aggirarsi per i campi di calcio brasiliani a caccia di funamboli del pallone: dovunque si caschi, si casca bene. Metafora forzata, ma utile a rendere l’idea di quanto Piacenza e la sua provincia siano patria di una cultura del mangiare e bere che ha davvero pochi eguali. Una cucina fatta di sapori genuini, sinceri, che parlano semplice e che arrivano diretti a conquistarti.
Riuscire a distinguersi in questa terra di campioni del mangiar bene significa dunque essere dei veri fuoriclasse del gusto. E’ il caso del Ristorante Bellaria di Rivergaro, del quale sono onorato di schiudervi idealmente le porte.   .  
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Una vista da cartolina sulla Val Trebbia
Situato in corrispondenza del bivio tra le strade SS45 e SP 40, si presenta come un casolare perfettamente incastonato nel contesto che lo circonda. E il contesto è quello della Val Trebbia, di cui il Ristorante Bellaria offre una splendida vista. Le ampie vetrate che circondano le sale interne sono, infatti, affacciate su campi e boschi verdeggianti, dove una strada serpeggia arrampicandosi per i colli vicini. Laggiù, nascosto, scorre il fiume Trebbia, come una vena pulsante nel cuore di questa generosa terra. Una vista da cartolina, che fa da sfondo ai tavoli, ben distanziati e disposti in modo da godere sia della luce viva del giorno, sia di quella rosea e romantica del tramonto. Un locale che, pur rinnovato di recente, mantiene lo stile semplice della tradizione. Quella che ispira anche e soprattutto la proposta culinaria.
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  La tradizione piacentina protagonista
Il menù abbonda di specialità tipiche della tradizione piacentina. A partire dagli antipasti, coi taglieri di salumi accompagnati da l’irrinunciabile gnocco fritto, qui noto come chisolino. La versione del ristorante Bellaria si presenta piuttosto bassa e caratterizzata da qualche bollatura in superficie. Non tra le mie preferite, sembra più una frittellina, anche se ha il pregio di risultare leggera e non particolarmente salata. I salumi, invece, sono di gran qualità. Del resto, la zona vanta DOP, quali: Salame Piacentino, Pancetta Piacentina e Coppa Piacentina. Tre campioni di gusto che rispecchiano la tradizione contadina legata all’allevamento del maiale e all’arte norcina, molto radicata in tutto il piacentino. Ma al ristorante Bellaria non mancano le altre due eccellenze della cultura emiliana in fatto di salumi, ovvero il Prosciutto di Parma e il Culatello di Zibello. Salumi che qui sono trattati come dei veri tesori. Vengono, infatti, lasciati invecchiare nell’antica cantina in sasso del locale, in modo da poterli servire sempre al giusto grado di stagionatura.
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Passando ai primi piatti, troviamo gli immancabili pisaréi e fasò, una sorta di gnocchetti a base di pangrattato conditi con un sugo di fagioli, pomodoro e cotiche. Uno di quei “piatti poveri” capaci però di ripagare con tanto gusto. Gusto della semplicità che si ritrova perfettamente anche nei turtéi. Si tratta di tortelli di magro, ripieni di ricotta e spinaci e chiusi a forma di caramelle. Vengono serviti nelle due tradizionali versioni: in burro e salvia o con salsa di pomodori e funghi. Se la prima si distingue per delicatezza e per come sa esaltare consistenza e ripieno del tortello, la seconda sorprende per il modo in cui i funghi non annegano nel pomodoro, ma riescono, al contrario, a caratterizzarlo e ad arricchirne il sapore. A completare la proposta  della tradizione piacentina in fatto di primi, ecco gli anolini: una sorta di ravioli, a forma di mezzaluna, ripieni di stracotto di carne. Le versioni tipiche sono in brodo, con sugo rosso di funghi o al ragù. Specialità imprescindibili in un ristorante come il Bellaria, che le propone rigorosamente fatte a mano.
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Nei secondi piatti, invece, la bandiera della tradizione piacentina è tenuta alta dalla piccola di cavallo, uno stracotto di carne macinata, insaporito con un soffritto a base di cipolla, condito con sugo di pomodori e peperoni e servito con la polenta. Altre specialità tipiche sono la tasca alla piacentina (ovvero la punta di vitello accompagnata da una salsa di verdure) e l’anatra, preparata al forno e insaporita con erbe aromatiche.
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Ce n’è per tutti i gusti
A rendere la proposta del Bellaria completa ci sono poi le altre specialità di carne, dall’arrosto ai nodini di vitello, fino alle costolette d’agnello. E ancora, costata, tagliata e filetto di manzo, la fiorentina, i crudi, come tartare e carpaccio e, in stagione, il cinghiale in umido con la polenta, per un grande classico autunnale. Non mancano, infine, opzioni di pesce, come il branzino al forno, servito con verdure di stagione.
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Nonostante la cucina piacentina non vanti una grande tradizione in fatto di dolci, il ristorante Bellaria offre una discreta proposta di dessert fatti in casa. Tra le specialità, il tiramisù, la crostata con marmellata di prugne e la mousse al cioccolato e caffè con granella di nocciole. Nessuno mi ha conquistato in modo particolare, ma si percepisce e si apprezza il tratto inconfondibile delle cose fatte in casa. Quelle che non cercano scorciatoie, ma parlano un linguaggio sincero, fatto di passione e di ingredienti genuini.
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Il fungo porcino nella sua massima espressione
A fare però del ristorante Bellaria di Rivergaro una delle tappe irrinunciabili nei miei viaggi da buongustaio sono le specialità a base di funghi porcini. Oltre ai due classici primi piatti, risotto e tagliolini, sempre presenti nel menù, durante la stagione vengono proposte portate in cui il porcino diventa protagonista assoluto: trifolato con olio, aglio e prezzemolo, alla brace, al forno (condito con un filo d’olio e aromatizzato con aglio e rosmarino) oppure impanato e fritto. Quattro modi diversi, uno più buono dell’altro, per assaporare il re del bosco. Se il fritto è notoriamente goloso, le versioni al forno e alla brace permettono di apprezzare ancora di più la freschezza e la qualità della materia prima. A mio parere però la più riuscita tra le quattro è quella trifolata: qui il porcino esprime tutto il suo potenziale, col soffritto d’aglio olio e prezzemolo che sembra fatto apposta per riprenderne e amplificarne al meglio profumo e aroma. In ogni caso, la scelta di inserire queste specialità in menù solo in stagione è fatta proprio nell’ottica di rispettare e valorizzare questo autentico dono della natura. Nel periodo da giugno a ottobre si può così assaporare il fungo porcino nella sua massima espressione. Ai piatti citati prima si aggiungono anche le insalate di funghi a crudo, come quella a base di ovuli, carciofi e scaglie di grana e soprattutto la mitica terrina porcini e patate. Personalmente considero quest’ultima un’invenzione capolavoro. I funghi vengono dapprima fatti saltare in padella e insaporiti con olio, aglio e prezzemolo, alla maniera dei trifolati. Poi sono disposti a strati, in una terrina, insieme alle patate tagliate sottili, stile chips, e ripassati al forno. Il risultato è un’esperienza gustativa semplicemente spettacolare: le sfoglie di patata, appena ammorbidite, s’impregnano del sentore dei porcini, in un riuscitissimo matrimonio di consistenze e di sapori. Un’esplosione di gusto che lascia la sua impronta anche ben oltre l’ultimo sospirato boccone. Una delizia unica, da assaporare con un profondo crescente senso di gratitudine verso chi ha avuto genio nel concepirla e sapienza nel prepararla.
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Il valore della conduzione familiare
Una sapienza tanto antica quanto rara e preziosa oggi. Se il ristorante Bellaria sa distinguersi per qualità e per la proposta di piatti che rispettano la tradizione piacentina è grazie a chi sta dietro le quinte. A lavorare e sudare tra forno e fornelli, impastando con infaticabile energia, tirando sfoglie e dando forma a manufatti dal gusto impagabile, c’è la signora Loredana. E’ lei – mamma di Sara e Marina, che, insieme a papà Maurizio, gestiscono il locale – la regina della cucina. Colei che ancora oggi supervisiona la preparazione dei piatti, in cui è affiancata da uno staff di assoluto livello. Un ristorante a gestione familiare dunque, con una storia importante dietro. Quella di Maurizio e Daniele Merlini, i due fratelli che hanno coronato una lunga carriera professionale in ambito gastronomico dando vita al Bellaria. Da qualche anno Daniele ha lasciato l’attività a Maurizio e alla sua famiglia, ma è rimasta l’impronta indelebile di ciò che ha ispirato tutto. Ovvero, la passione e l’amore per la tradizione piacentina. Una tradizione da rispettare e proporre nella sua versione migliore. Per donarla infine a chi ha il privilegio di poterla provare. Venire a mangiare qui, al ristorante Bellaria di Rivergaro, è davvero come ricevere un dono. Qualunque sia la vostra scelta, c’è da credere che ne uscirete appagati.
Ristorante Bellaria Rivergaro
Via Genova, 88
29029 Rivergaro (PC)
Telefono: 0523 958612
http://www.ristorante-bellaria.it/
  Ristorante Bellaria Rivergaro: la tradizione piacentina nel cuore… e nel piatto! Esplorare il piacentino in cerca di posti per una buona mangiata è come aggirarsi per i campi di calcio brasiliani a caccia di funamboli del pallone: dovunque si caschi, si casca bene.
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giancarlonicoli · 6 years ago
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7 gen 2019 09:19
MANGIA E GODI CON CRISTIANA LAURO - IMPARATE AD APPREZZARE I RISTORANTI ANCHE ATTRAVERSO IL SERVIZIO DI SALA E SE VOLETE SAPERNE DI PIÙ, E CAPIRE COSA C’E’ DIETRO LA PROGETTAZIONE E LA GESTIONE DI UN LOCALE, E’ UTILE LEGGERE IL LIBRO “SALA E CANTINA” DI GIUSEPPE PALMIERI, MANAGER SOMMELIER DE “L’OSTERIA FRANCESCANA” DI MASSIMO BOTTURA
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Cristiana Lauro per Dagospia
Lavoro nel settore enogastronomico da anni, ma quando parlo di un ristorante lo faccio sempre e solo da cliente. Non mi piace sparare sentenze e se in un posto mi trovo male semplicemente non ci torno. Ma non bisogna demolire il lavoro di tante persone con tre righe di commento su Trip Advisor. Il lavoro e la fatica meritano rispetto. La critica gastronomica, quella vera e riconosciuta come tale, non si fa su Trip Advisor. Impariamo a essere clienti così, magari, iniziamo anche a fare un utilizzo sensato di Trip Advisor.
Il senso della ristorazione - oggi più che mai - passa attraverso l’idea di mettere in agio il cliente. Riguarda l’accoglienza, il benessere inteso come stare bene (sennò che ristoro è?) e non solo l’esecuzione di piatti indimenticabili. La sala è anche “fattore umano”. Non a caso è stato il tema - decisamente centrato - che ha dato il titolo all’ultima edizione di Identità Golose, il congresso gastronomico internazionale di Paolo Marchi che si svolge ogni anno a Milano.
La sala - ovvero l’insieme di ambiente, servizio, cantina e fattore umano - è un elemento importante esattamente quanto la cucina, altrimenti in un ristorante il cliente prova disagio e il disagio non piace a nessuno. Per questo sostengo le idee dell’associazione Noi Di Sala, che negli ultimi anni cerca di spiegare come fare ripartire un ciclo, per guardare al futuro del settore a cominciare proprio dalla sala del ristorante. Se non lo facciamo noi, considerando che l’Italia è al vertice della ristorazione internazionale e della produzione di materie prime e di vini fra i migliori del mondo, chi altri dovrebbe farlo? Tanto per chiarirci.
Giuseppe Palmieri, restaurant manager e sommelier dell’Osteria Francescana a Modena (primo ristorante al mondo per la seconda volta, caso unico che è bene ricordare), insiste attraverso una “sana retorica” come lui stesso la definisce, perché le idee e i concetti vanno ripetuti al fine di rendere l’argomento un tema diffuso.
Lo fa attraverso il suo libro “Sala e Cantina” che ho appena finito di leggere e ho trovato molto chiaro e correttamente divulgativo. Un libro che Palmieri ha scritto per farsi capire, per arrivare, non per escludere e allontanare come qualcuno fa attraverso un linguaggio che parla ai muri.
Ma i muri sono stanziali, immobili, sono privi di emozioni e sentimenti. Non decidono, non creano, mentre le persone sì. Al ristorante andiamo noi che siamo persone e nei nostri locali vengono ogni anno migliaia di stranieri da tutto il mondo. Viaggiano a lungo per provare la nostra grande ristorazione. Ma, ahimè, abbiamo anche una scuola alberghiera che andrebbe riprogettata tutta da capo, diciamo le cose come stanno.
Sala e cucina devono essere messe sullo stesso piano, è questo il futuro. “Negli ultimi quindici anni abbiamo consolidato la credibilità dei Cuochi a livello internazionale...” ma, prosegue Palmieri: “ Cresce il numero di ristoratori preoccupati e impegnati nella ricerca di figure di Sala e Cantina”.
Come vogliamo essere accolti noi clienti in un ristorante? Come scrive Palmieri, con un benvenuto cordiale e mai servile, con un sorriso sincero e rassicurante. Poi c’è l’assegnazione del tavolo, perché i tavoli non sono tutti uguali e non è un problema di clienti di serie A o di serie B.
La postazione in penombra nell’angolo è più indicata per una coppia di innamorati che non per i due appassionati gourmet di mezza età, in abiti eleganti e giunti dall’estero per provare quel ristorante. Inoltre ci sono la carta dei vini e la cantina. Insomma, le regole sono tante e tutte insieme - in armonia con la cucina - devono suonare un accordo perfetto che definisca il senso della sala.
Durante il periodo delle festività natalizie sono tornata in diversi ristoranti non solo stellati, ovviamente. Il discorso vale per tutti, a maggior ragione per i luoghi dove ci rechiamo più frequentemente. Il servizio e la sala, insieme alla cucina, sono il vero senso della ristorazione a qualsiasi livello. Quindi smettiamo di domandarci semplicemente se in un ristorante abbiamo mangiato bene. Chiediamoci, invece, come siamo stati in quel ristorante. Altrimenti non vale la pena di tornarci.
Ecco dove ho trovato recentemente un grande senso della sala. Sono locali di diverse tipologie, nei dintorni di Milano e Roma. Vanno dalla trattoria al Tre Stelle Michelin. Di sola carne o solo pesce, etnici e via dicendo. Indicati tra parentesi trovate i nomi dei responsabili del servizio di sala. I nuovi angeli, diciamo.
Osteria Francescana, Modena (Giuseppe Palmieri).
Cracco in Galleria, Milano (Alex Bartoli)
Bu:r di Eugenio Boer, Milano (Simone Dimitri)
Ceresio 7, Milano (Marco Civitelli, Edoardo Grasso e Luca Pardini)
Bulgari hotel, Milano (Anca Elena Buric)
Rovello 18, Milano. (Corina Cotoara)
Gong, Milano. (Giulia Liu Gong)
Glauco. Milano (Antonio Tomaino)
Langosteria, Milano (Alessandro Zingarello)
Langosteria Cafè, Milano (Domenico Bagnato)
Dal Bolognese, Milano (Alfredo Tomaselli e Stefano Virga)
La griglia di Varrone, Milano (Massimo Minutelli e Tony Melillo)
Osteria del Gallo. Gaggiano, Milano (Paolo Reina)
Al Gambero. Calvisano, Brescia (Gino Gavazzi)
La Pergola dell’Hotel Cavalieri Hilton, Roma (Simone Pinoli)
Il San Lorenzo, Roma (Elena ed Enrico Pierri)
Dal Bolognese, Roma (Ettore Tomaselli, Antonello Delrio
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snapblog-blog1 · 8 years ago
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Marco Di Stefano *campagnacultura
Come si chiama? Marco Di Stefano
Di che si occupa? Falegnameria virtuale
Secondo lei, quali sono le funzioni della cultura nella società contemporanea? Sollazzare le elites economiche e soddisfare le elites culturali nel sollazzarle.
E quindi, entrando più nello specifico, quali potrebbero/dovrebbero essere le funzioni della cultura a Molfetta? Per esempio, la cultura, in questa comunità territorialmente circoscritta, a quali bisogni potrebbe rispondere? Allo stato attuale, la cultura a Molfetta si esplica in un intrattenimento che non abbia eccessive pretese e non sforzi troppo i neuroni ad un’utenza medio – borghese impigrita e consuetudinaria. E’ difficile dire quali siano i bisogni per una generazione successiva o con altre necessità, forse il godimento di spazi collettivi serviti per i più piccoli e non solo (parco urbano di lama Martina), sicuramente un miglioramento della qualità della vita che parta dai servizi alla collettività.
Secondo Lei la cultura a Molfetta esercita le sue funzioni in riferimento ai ceti popolari? I ceti popolari oggi non hanno il tempo o la necessità di aver bisogno della cultura oppure seguono i loro codici che non trovano rispondenza nella élite medio – borghese che si occupa di cultura. Spesso il mancato approfondimento è figlio della mutata fruizione o del completo assorbimento dettato dalla necessità di sopravvivere. In questo scenario, forse, sarebbe più interessante lavorare sulla didattica con gli istituti scolastici per lo sviluppo delle sensibilità nei più piccoli, ma serve una disponibilità dei dirigenti a tenere aperti gli spazi in orari extra – scolastici (difficile con i pochi soldi a loro disposizione) ed un investimento del pubblico nella formazione che vada oltre la scadenza amministrativa (l’utopia della politica migliore dei cittadini che la votano) o sulla commistione dei linguaggi alti e bassi (per cui servirebbero operatori di estrema sensibilità).
Quali sono i principali problemi che un amministratore della cultura a Molfetta deve affrontare per svolgere al meglio la sua funzione? La destinazione delle risorse pubbliche; la necessità di immaginare dei nuovi scenari di gestione dei beni paesaggistici e culturali coinvolgendo le elites economiche della città e non solo (ammesso che esistano), prima che gli stessi deperiscano per il mancato utilizzo o siano oggetto di estrazione selvaggia di valore a seguito del loro abbandono (es. il Pulo, Oasi Torre Calderina).
Essere un operatore della cultura spesso è difficoltoso. Quali sono i bisogni di chi produce o promuove la cultura a Molfetta? E secondo Lei, qual è il principale. Che esistano occasioni di raccordo tali da permettere a coloro i quali si sono formati (anche fuori) di portare, seppur temporaneamente, le loro conoscenze o i loro progetti in città.
Focalizziamo l’attenzione sulle strutture a disposizione degli operatori, nella nostra città: ci sono, sono sufficienti, sono adeguate agli scopi? Oggi, se possibile, la presenza di spazi a disposizione dell’utenza è financo eccessiva. Questo determina una qualità non sempre all’altezza (più nella proposta che nel servizio) per far quadrare i costi vivi di gestione a scapito del personale che vi opera.
Cosa vorrebbe che si facesse della Cittadella degli Artisti? La Cittadella è uno spazio nato e cresciuto sotto quattro diverse amministrazioni, sviluppato a partire da esigenze di alta formazione e soddisafacimento dei bisogni di elites culturali ed economiche medio – alto borghesi, oggi, in rapida sparizione. I costi di gestione sono e restano elevatissimi a fronte di una penuria assoluta di portatori d’interessi economici disponibili ad assumersene la responsabilità. Allo stato attuale, può servire a dare una casa alle molteplici realtà che in maniera episodica vogliano usufruire delle sue strutture, ma è difficile immaginarne una gestione continuativa a meno di una grossa sinergia tra pubblico (con il bilancio sempre più in rosso e continui tagli lineari alla spesa corrente) e privato o privati sensibili.
Il Forum della Cultura è stato un momento quasi “rivoluzionario” per la vita culturale cittadina, almeno nelle intenzioni. Ritiene che questa realtà abbia apportato i benefici sperati? E perché? Il Forum della cultura poteva essere un’occasione per mettere in contatto chi lavora nel campo della cultura, ovvero, ci vive, con chi opera in maniera semi - amatoriale (seppur degnissima) o amatoriale in senso puro. Le varie conoscenze ed approfondimenti dovevano essere utili a coadiuvare le linee di politica culturale prestabilite o a formarle in caso di difficoltà di una pubblica amministrazione nell’elaborarle; a mettere a sistema gli spazi culturali della città; ad aprire una discussione su come reperire risorse economiche e su come investirle nell’ottica della crescita di un nuovo pubblico e di maggiore conoscenza del territorio.
A suo avviso quale riterrebbe il principale errore che un amministratore potrebbe commettere nel tentativo di attuare politiche culturali in una città come Molfetta? Quello di non avere una visione chiara di ciò che intende fare e la capacità di saper coinvolgere gli attori della città, oltre a valorizzare le eccellenze della stessa che è conoscenza del territorio e lungimiranza del decisore politico.
Il 2013 rappresenta uno storico spartiacque politico. Sotto il profilo delle politiche della cultura, ci direbbe cosa è cambiato rispetto al passato? E cosa si aspettava che cambiasse? Il 2013 rappresenta soltanto un cambio di leadership politica, per il resto, i nodi della cultura restano aperti e nessun processo è stato avviato per risolverne almeno uno di questi, preferendo gestire le problematiche nella consapevolezza che la politica possa fare poco o nulla per cambiare gli indirizzi.
Abbiamo parlato della funzione alta della cultura in una comunità, ma Lei ritiene che una corretta strategia delle politiche culturali possa generare anche ricchezza? E se sì, pensa solo agli operatori diretti o anche ad un indotto più ampio? Affinché la cultura possa generare economie, ovvero, attività lavorativa che venga retribuita, servirebbe individuare degli obiettivi o dei luoghi che rappresentino una particolarità del territorio non solo nord barese ed investire sugli stessi in competenze e conoscenze, ma alla base ci deve essere la necessità che persone laureate e formate si mettano in gioco in una prospettiva imprenditoriale (non solo cooperativa di servizi, ma fondazione pubblica/privata dei beni culturali). In questo contesto due obiettivi concreti possono essere il Pulo e l’Oasi di Torre Calderina.
Risposta flash: la cultura a Molfetta oggi solo con tre parole Elitaria e piccolo - borghese
Risposta flash: il suo personale maggior rammarico per Molfetta, rispetto alle politiche culturali. Non aver realizzato un database aggiornato di operatori/trici culturali del territorio (anche operanti fuori) che sia d’ausilio per il lavoro dell’ente pubblico; l’aver accettato di non entrare nella vita della Fondazione Valente; la perdita di milioni di euro per progetti di riqualificazione non rispondenti alle reali esigenze (ieri la Cittadella, oggi, forse, il palazzo di piazzetta delle Erbe), ma piuttosto a quelle di gruppi d’interesse precisi
Risposta flash: ancora solo tre parole per dirci come immagina la cultura a Molfetta nel domani migliore Qualità della vita
Potendo realizzare un suo desiderio nell’ambito delle politiche culturali, cosa farebbe a Molfetta? Investirei le poche risorse nella ruralità del territorio e comincerei a promuovere, magari con l’ausilio di banca etica, nuove forme di gestione dei beni pubblici (es. parco di mezzogiorno).
Ora facciamo un gioco: io le dirò delle affermazioni e Lei dovrà dirmi se le trova auspicabili o meno. Risponda in maniera secca e diretta, spiegando in pochissime parole il motivo della sua risposta.
1.    Nel 2018 il programma culturale di Molfetta sarà inserito in un cartellone unico che parte da Barletta e arrivi a Giovinazzo Sarebbe solo uno strumento di marketing, se alla base ci fosse solo l’esigenza, da parte delle varie amministrazioni, di stare tutti insieme, facendo sempre le stesse cose o promuovendo i soliti carrozzoni.
2.    Con un solo ticket un turista potrà muoversi su bus e treni, dentro e fuori città. Con lo stesso ticket potrà ottenere riduzioni e sconti per spettacoli, visite museali, esposizioni, eventi culturali. Questa è una buona idea, ma andrebbe verificata con gli enti sovraordinati e non deve andare a discapito della proposta culturale, ovvero, peggiorando le condizioni economiche degli operatori.
3.    Ogni comunità del nostro SLOT (Sistema Locale di Offerta Turistica) avrà proprie specificità culturali, enogastronimiche, ambientiali e di intrattenimento da promuovere dentro un bacino attrattivo più ampio della sola Molfetta. L’importante è che l’aspetto eno–gastronomico non diventi prevalente rispetto a quello culturale e sia occasione di veicolare percorsi che portino alla conoscenza del territorio, di chi lavora realmente nella filiera corta e della biodiversità, ovvero, sia occasione di crescita per l’utenza (g.a.s. di quartiere o scolastici).
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tmnotizie · 5 years ago
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MARTINSICURO – Si è svolta questa mattina la conferenza stampa di chiusura della 4° Vongolata al Molo di Martinsicuro, evento di promozione della Vongole dell’Adriatico “Venus gallina“, prodotto locale dell’O.P. VO.CO.TER con la più grande affluenza di ogni anno!
Pieno successo inaspettato hanno dichiarato gli organizzatori Vespasiano Corsi, Presidente OP VO.CO.TER. e Giovanni Di Mattia, Presidente COGEVO Abruzzo
Nella serate sono stati premiati con targa e vongola d’oro il Presidente Avv. Manola Di Pasquale dell’Istituto Zooprofilattico di Sperimentale Abruzzo e Molise «G Caporale» (IZSAM) di Teramo e la Biologa Dott.ssa Carla Giansante Direttore Tecnico ARTA Abruzzo, Claudio Bernetti, Tenente di Vascello della Capitaneria di Porto di Giulianova e il Debora Ferioli Tenente di Vascello Capitaneria di Pescara per la collaborazione per la gestione della risorsa vongola nell’adriatico e l’80enne pescatore di vongole Rosa Oreste.
Grande successo anche per i due  show cooking nelle serate a cura dall’Accademia Cucina Teramana che ha visto coinvolti gli chef Annarita Di Domenico, chef Marco Lucchetti e Walter Squeo Consorzio CO.GE.VO Abruzzocon la ricetta  tipica del teramano ravioli di pasta all’uovo fatta a mano con ripieno di scambi e zucchine al sugo di vongola, arrichito con pistilli di zafferano della piana di Navelli, e la seconda serata a cura di Alessandro De Antoniis,chef e patron del Ristorante Cipria di Mare di Martinsicuro, con ricetta per promuovere la vongola del’Adriatica con il risotto alla vongola presso area eventi della 4° Vongolata al Molo.
L’evento realizzato dall’Organizzazione dei Produttori Vongole Costa del Teramano – VO.CO.TER, con l’obiettivo di promuovere la Vongola locale in collaborazione con la Partners In Service srl titolare del CEA «Ambiente e Mare», R. Marche ha avuto un grande successo.
Allo stand gastronomico, è stato possibile gustare, le eccellenze marinare a base di vongole dell’Adriatico,“mezze maniche con vongole e Soutè di vongole”  pescate fresche in Adriatico, preparate e servite nei modi tipici dai Pescatori dell’O.P. Vongole Costa del Teramano “VO.CO.TER. L’evento è stato accompagnato daproiezioni video, laboratori informativi e educativi per bambini e adulti, esperti del settore e ogni sera intrattenimento musicale.
Quest’anno il calendario è stato più che mai ricco di eventi ed intrattenimenti per tutte le età: per i più piccoli tutte le sere dalle ore 19.30 alle 22.30, nell’Area eventi della 4^” Vongolata al Molo” i due laboratorio didattico “Il Gioco del Cavalluccio Marino” e “Il Gioco del Mare Adriatico”, un tappeto pedagogico (3×2 m)per educare i bambini alla sostenibilità sin dalla giovane età (attività consigliata a bambini dai 4 a 12 anni), in presenza di educatori qualificati del CEA.
Sono state distribuite in modo gratuito le ricette a base di vongole realizzate ad hoc “secondo stagione” e le matite a marchio O.P. “VO.CO.TER.” Vongole Costa del Teramano. Si ringranzia l’amministrazione comunale di Martinsicuro nella persona del sindaco Avv.Massimo Vagnoni. Si ringrazia inoltre Fabrizio Biagi presente all’evento per aver offerto i vini della Cantina Biagi. 
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italianaradio · 6 years ago
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I 10 migliori ristoranti che hanno aperto nell'ultimo anno
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/i-10-migliori-ristoranti-che-hanno-aperto-nellultimo-anno/
I 10 migliori ristoranti che hanno aperto nell'ultimo anno
I 10 migliori ristoranti che hanno aperto nell’ultimo anno
Ogni anno, in Italia, aprono quasi 10 mila nuovi locali. Secondo i dati Unioncamere del 2016 si tratta di piadinerie, caffè, pizzerie, ristoranti, bistrò, osterie: l’ospitalità nel nostro Paese ha assunto forme varie, mutuando dall’etnico al tradizionale per adattarsi a qualunque disponibilità economica, perché i 12 milioni di italiani che mangiano fuori casa spendono, secondo la Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe), circa 76 miliardi di euro ogni anno. Sempre secondo i dati Unioncamere, però, circa la metà di questi nuovi locali supera il terzo anno di vita. Ed è per dare un impulso a quelle nuove aperture (o cambi di gestione) di qualità che è nato il premio The Fork, che ogni anno va a caccia dei migliori esordi per segnalarli.
Il premio, consegnato durante un galà nel ristorante romano di Antonello Colonna, funziona così: 71 top chef, quali Berton, Bottura, Cannavacciuolo, Cracco, Oldani selezionano le novità più interessanti dell’attuale panorama gastronomico che il pubblico ha poi votato, giungendo così a una Top 10  che mette d’accordo critica, stelle della cucina e voto popolare. La Top 10 evidenzia anche i trend gastronomici dell’estate 2019 ovvero convivialità e ricerca, attenzione ai lievitati, cucina della memoria, ecosostenibilità, cibo come ponte tra culture e multisensorialità.
il ristorante più votato dell’edizione 2019 è il milanese L’Alchimia (Milano) voluto da Alberto Tasinato. Due locali distinti e un unico ingresso, a sinistra il Lounge Bar e a destra il ristorante aperto tutti i giorni sia a pranzo sia a cena. La cucina proposta dallo chef Davide Puleio punta a una creatività che risulti comprensibile a tutti, ma al tempo stesso intrigante e contemporanea. L’Alchimia è stato proposto dagli Chef Andrea Berton e Antonino Cannavacciuolo e rientra nella tendenza a luoghi che mettono al centro un nuovo concetto di convivialità.
Salvo (Napoli): consigliato dallo chef Pietro Leemann, è una nuova pizzeria della  Riviera di Chiaia, uno dei quartieri storici più amati di Napoli, aperta da Francesco e Salvatore Salvo. Forti del successo del loro locale a San Giorgio a Cremano, i due fratelli hanno portato nel cuore della città partenopea la loro proposta fatta di pizze classiche, montanare, pizze moderne, ripieni e percorsi degustazione. La qualità degli ingredienti scelti, l’attenzione a farine e lievitazione, la tecnica acquisita grazie a una lunga tradizione di famiglia sono i tratti distintivi di questo nuovo indirizzo per la pizza a Napoli. L’attenzione ai lievitati è il leitmotiv di questo ristorante.
Rimessa Roscioli (Roma): un’istituzione che dal 2018 ha subito una trasformazione, che non è passata inosservata anche agli occhi di Roy Caceres, chef di Metamorfosi che lo ha consigliato. Cucina a vista, tavoli sociali, bancone in stile giapponese dove si può mangiare e bere scegliendo da una carta ricca di proposte enologiche e gastronomiche che vengono direttamente dalla dispensa Roscioli. Convivialità e ricerca sono le parole d’ordine di questo ristorante.
Seu Pizza Illuminati (Roma): consigliato dallo chef Gianfranco Pascucci, a Porta Portese è un nuovo progetto firmato fa Pier Daniele Seu. Forte del successo riscontrato nello spazio del Mercato Centrale, e col supporto della compagna Valeria Zuppardo e dell’amico Gabriele Bonci, Pier Daniele ha finalmente uno spazio dove dare vita al suo ideale di pizza “illuminata”: una pizza alta con cornicioni vaporosi e ampie alveolature con topping sia “old school” sia creativi.  Anche qui tornano la ricerca e l’importanza data alle lievitazioni.
Pianoalto Cucina e Terrazza (Roma): consigliato dallo chef Francesco Apreda è il nuovo progetto gastronomico targato dal quartetto femminile di Pianostrada. Un cocktail bar con una terrazza mozzafiato che si affaccia su Roma in uno dei suoi quartieri più suggestivi, Testaccio. L’arredamento ha un tocco retrò e non mancano fiori e piante ad animare lo spazio disposto su due piani. Focacce, panini, piatti che entrano nella definizione del comfort food e proposte più innovative si abbinano a cocktail interessanti e una buona scelta di vini.
Luciano, Cucina Italiana (Roma): consigliato dallo chef Antonello Colonna, è un Ristorante – pastificio nel centro di Roma situato a Campo de’ Fiori. Lo Chef Luciano Monosilio propone una cucina italiana conviviale e autentica con grande attenzione alle materie prime. Luciano Monosilio è stato per anni associato alla sua Carbonara inserita nel menu del ristorante Pipero. Ora, alle redini della sua realtà imprenditoriale, punta sulla pasta e suoi sapori tradizionali, familiari. Quindi grande spazio ai primi con i classici della romanità, ma largo anche alle paste contemporanee come i “Rigatoni con salsiccia, broccoletti e spuma di pecorino”, e poi le “Polpette di bollito”, il “Vitello tonnato”, il “Galletto Arrosto” e il “Babà con la crema”. La cucina della memoria si mescola con la ricerca.
Zia (Roma): Trastevere è un quartiere storicamente vocato alla ristorazione turistica, con alcune piccole “oasi” gastronomiche di alto livello. Tra queste c’è Zia Restaurant. Consigliato da Anthony Genovese (chef de “Il Pagliaccio”), Zia è il locale dal design moderno ed essenziale, di Antonio Ziantoni, già allievo dello stesso Genovese. Il menù propone una cucina moderna dove ingredienti e tecniche di cottura tradizionali si sposano alla perfezione a idee innovative e divertenti.
Badalì Osteria (Firenze): consigliato da Maria Probst e Cristian Santandrea, si trova appena fuori dai circuiti turistici, lontano dalla cultura massificata e dalle cucine d’élite. La sua proposta affonda “nella terra” la creazione dei piatti, enfatizzando le materie prime trattate. Guardando al passato, tralasciando la ricerca dell’innovazione a tutti i costi, propone un’esperienza nella memoria gastronomica collettiva, attraverso l’uso di ingredienti esclusivamente stagionali, con il minimo impatto sull’ambiente. Menzione d’onore per la brace a legna, che ogni giorno cuoce bistecca alla fiorentina e molto altro.
Sestogusto (Torino): il sesto gusto, secondo i ricercatori, è la sensibilità della bocca al sapore dei carboidrati, che ci fa provare un grande amore per la pizza, il pane e tutti gli impasti a base di grano. Lo stesso amore che ci spinge a esplorare combinazioni nuove partendo dai cibi più genuini, attraverso le specialità delle regioni d’Italia e del mondo. Massimiliano Prete da anni sperimenta i modi migliori di combinare la grande tradizione della pizza e la precisione della pasticceria, testando sempre nuovi impasti e combinazioni. Una scommessa vinta se il ristorante è consigliato anche dallo chef Ugo Alciati.
Condividere (Torino): consigliato dallo chef Moreno Cedroni, Condividere esalta la dimensione umana tipica della convivialità mediterranea: mangiare insieme intorno allo stesso tavolo, nelle domeniche in famiglia. ll progetto ha l’obiettivo di combinare l’eccellenza gastronomica all’allegria che caratterizza lo stare a tavola tutto italiano. Il menù è il risultato di un lungo percorso che parte dagli albori della cucina italiana e mediterranea. Lo studio e la ricerca hanno guidato lo chef Federico Zanasi, con la guida di Ferran Adrià, lungo sentieri meno battuti, con l’obiettivo di creare un’esperienza autentica, comprensibile e proiettata al futuro.
Ogni anno, in Italia, aprono quasi 10 mila nuovi locali. Secondo i dati Unioncamere del 2016 si tratta di piadinerie, caffè, pizzerie, ristoranti, bistrò, osterie: l’ospitalità nel nostro Paese ha assunto forme varie, mutuando dall’etnico al tradizionale per adattarsi a qualunque disponibilità economica, perché i 12 milioni di italiani che mangiano fuori casa spendono, secondo la Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe), circa 76 miliardi di euro ogni anno. Sempre secondo i dati Unioncamere, però, circa la metà di questi nuovi locali supera il terzo anno di vita. Ed è per dare un impulso a quelle nuove aperture (o cambi di gestione) di qualità che è nato il premio The Fork, che ogni anno va a caccia dei migliori esordi per segnalarli.
Il premio, consegnato durante un galà nel ristorante romano di Antonello Colonna, funziona così: 71 top chef, quali Berton, Bottura, Cannavacciuolo, Cracco, Oldani selezionano le novità più interessanti dell’attuale panorama gastronomico che il pubblico ha poi votato, giungendo così a una Top 10  che mette d’accordo critica, stelle della cucina e voto popolare. La Top 10 evidenzia anche i trend gastronomici dell’estate 2019 ovvero convivialità e ricerca, attenzione ai lievitati, cucina della memoria, ecosostenibilità, cibo come ponte tra culture e multisensorialità.
il ristorante più votato dell’edizione 2019 è il milanese L’Alchimia (Milano) voluto da Alberto Tasinato. Due locali distinti e un unico ingresso, a sinistra il Lounge Bar e a destra il ristorante aperto tutti i giorni sia a pranzo sia a cena. La cucina proposta dallo chef Davide Puleio punta a una creatività che risulti comprensibile a tutti, ma al tempo stesso intrigante e contemporanea. L’Alchimia è stato proposto dagli Chef Andrea Berton e Antonino Cannavacciuolo e rientra nella tendenza a luoghi che mettono al centro un nuovo concetto di convivialità.
Salvo (Napoli): consigliato dallo chef Pietro Leemann, è una nuova pizzeria della  Riviera di Chiaia, uno dei quartieri storici più amati di Napoli, aperta da Francesco e Salvatore Salvo. Forti del successo del loro locale a San Giorgio a Cremano, i due fratelli hanno portato nel cuore della città partenopea la loro proposta fatta di pizze classiche, montanare, pizze moderne, ripieni e percorsi degustazione. La qualità degli ingredienti scelti, l’attenzione a farine e lievitazione, la tecnica acquisita grazie a una lunga tradizione di famiglia sono i tratti distintivi di questo nuovo indirizzo per la pizza a Napoli. L’attenzione ai lievitati è il leitmotiv di questo ristorante.
Rimessa Roscioli (Roma): un’istituzione che dal 2018 ha subito una trasformazione, che non è passata inosservata anche agli occhi di Roy Caceres, chef di Metamorfosi che lo ha consigliato. Cucina a vista, tavoli sociali, bancone in stile giapponese dove si può mangiare e bere scegliendo da una carta ricca di proposte enologiche e gastronomiche che vengono direttamente dalla dispensa Roscioli. Convivialità e ricerca sono le parole d’ordine di questo ristorante.
Seu Pizza Illuminati (Roma): consigliato dallo chef Gianfranco Pascucci, a Porta Portese è un nuovo progetto firmato fa Pier Daniele Seu. Forte del successo riscontrato nello spazio del Mercato Centrale, e col supporto della compagna Valeria Zuppardo e dell’amico Gabriele Bonci, Pier Daniele ha finalmente uno spazio dove dare vita al suo ideale di pizza “illuminata”: una pizza alta con cornicioni vaporosi e ampie alveolature con topping sia “old school” sia creativi.  Anche qui tornano la ricerca e l’importanza data alle lievitazioni.
Pianoalto Cucina e Terrazza (Roma): consigliato dallo chef Francesco Apreda è il nuovo progetto gastronomico targato dal quartetto femminile di Pianostrada. Un cocktail bar con una terrazza mozzafiato che si affaccia su Roma in uno dei suoi quartieri più suggestivi, Testaccio. L’arredamento ha un tocco retrò e non mancano fiori e piante ad animare lo spazio disposto su due piani. Focacce, panini, piatti che entrano nella definizione del comfort food e proposte più innovative si abbinano a cocktail interessanti e una buona scelta di vini.
Luciano, Cucina Italiana (Roma): consigliato dallo chef Antonello Colonna, è un Ristorante – pastificio nel centro di Roma situato a Campo de’ Fiori. Lo Chef Luciano Monosilio propone una cucina italiana conviviale e autentica con grande attenzione alle materie prime. Luciano Monosilio è stato per anni associato alla sua Carbonara inserita nel menu del ristorante Pipero. Ora, alle redini della sua realtà imprenditoriale, punta sulla pasta e suoi sapori tradizionali, familiari. Quindi grande spazio ai primi con i classici della romanità, ma largo anche alle paste contemporanee come i “Rigatoni con salsiccia, broccoletti e spuma di pecorino”, e poi le “Polpette di bollito”, il “Vitello tonnato”, il “Galletto Arrosto” e il “Babà con la crema”. La cucina della memoria si mescola con la ricerca.
Zia (Roma): Trastevere è un quartiere storicamente vocato alla ristorazione turistica, con alcune piccole “oasi” gastronomiche di alto livello. Tra queste c’è Zia Restaurant. Consigliato da Anthony Genovese (chef de “Il Pagliaccio”), Zia è il locale dal design moderno ed essenziale, di Antonio Ziantoni, già allievo dello stesso Genovese. Il menù propone una cucina moderna dove ingredienti e tecniche di cottura tradizionali si sposano alla perfezione a idee innovative e divertenti.
Badalì Osteria (Firenze): consigliato da Maria Probst e Cristian Santandrea, si trova appena fuori dai circuiti turistici, lontano dalla cultura massificata e dalle cucine d’élite. La sua proposta affonda “nella terra” la creazione dei piatti, enfatizzando le materie prime trattate. Guardando al passato, tralasciando la ricerca dell’innovazione a tutti i costi, propone un’esperienza nella memoria gastronomica collettiva, attraverso l’uso di ingredienti esclusivamente stagionali, con il minimo impatto sull’ambiente. Menzione d’onore per la brace a legna, che ogni giorno cuoce bistecca alla fiorentina e molto altro.
Sestogusto (Torino): il sesto gusto, secondo i ricercatori, è la sensibilità della bocca al sapore dei carboidrati, che ci fa provare un grande amore per la pizza, il pane e tutti gli impasti a base di grano. Lo stesso amore che ci spinge a esplorare combinazioni nuove partendo dai cibi più genuini, attraverso le specialità delle regioni d’Italia e del mondo. Massimiliano Prete da anni sperimenta i modi migliori di combinare la grande tradizione della pizza e la precisione della pasticceria, testando sempre nuovi impasti e combinazioni. Una scommessa vinta se il ristorante è consigliato anche dallo chef Ugo Alciati.
Condividere (Torino): consigliato dallo chef Moreno Cedroni, Condividere esalta la dimensione umana tipica della convivialità mediterranea: mangiare insieme intorno allo stesso tavolo, nelle domeniche in famiglia. ll progetto ha l’obiettivo di combinare l’eccellenza gastronomica all’allegria che caratterizza lo stare a tavola tutto italiano. Il menù è il risultato di un lungo percorso che parte dagli albori della cucina italiana e mediterranea. Lo studio e la ricerca hanno guidato lo chef Federico Zanasi, con la guida di Ferran Adrià, lungo sentieri meno battuti, con l’obiettivo di creare un’esperienza autentica, comprensibile e proiettata al futuro.
Agi
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jucks72 · 7 years ago
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Allo storico “Del Cambio” di Torino un menu speciale per i 260 anni
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Allo storico “Del Cambio” di Torino un menu speciale per i 260 anni
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Per celebrare i 260 anni di “Del Cambio” lo stellato Matteo Baronetto ha creato un nuovo menu-manifesto autunnale dal nome essenziale “Nel Tempo”, che affianca piatti in versione tradizionale e in versione rivisitata.
Un’operazione di revisione e di inedito re-engineering culinario che coniuga memoria e innovazione con cultura e curiosità e che ha per oggetto alcuni piatti iconici ma spesso inesorabilmente vintage: le pennette al salmone, la milanese, le acciughe al verde, i gamberetti in salsa cocktail, il brasato al Barolo… piatti “pop” per definizione, ma qui elevati al rango di “alta ristorazione”.
Matteo Baronetto (foto Tommaso Chiarella)
Questi gli 11 piatti che compongono il menu “Nel Tempo”, che sarà disponibile dal 15 ottobre per tutti i clienti di Del Cambio: Acciughe al verde, Penne al salmone, Vitello tonnato, Milanese, Gamberi in sala cocktail, Brasato al Barolo, Finanziera, Lasagna al ragù di vitello, Bonèt, Peperoni e acciughe, Gnocchi alla Bava. Ogni piatto sarà disponibile in due versioni, quella tradizionale, realizzata esattamente come si faceva in passato, e quella attualizzata, rivisitata in chiave creativa e innovativa. Da un lato, quindi, verrà offerta una “fotografia d’epoca” del piatto, dall’altro si mostrerà come questo si sia trasformato… nel tempo, appunto.
Serata di presentazione del menu “Nel Tempo” (foto Tommaso Chiarella)
Per la cena di presentazione che si è svolta il 5 ottobre, giusto in occasione del compleanno del locale, abbiamo potuto assaggiare alcune delle proposte del nuovo menu: Gamberi in sala cocktail, Vitello tonnato, Gnocchi alla Bava, Milanese, Finanziera e Bonèt. Per la grande ricerca e l’equilibrio dei sapori, ci hanno particolarmente colpito le versioni “attualizzate” della Milanese, degli Gnocchi alla Bava e del Bonèt, ma in tutte le portate entrambe le versioni erano decisamente valide e convincenti. In accompagnamento ai piatti sono stati serviti Pinot Bianco Vorberg Doppio Magnum 2011, Langhe Rosso a Valentino Rocche dei Manzoni Doppio Magnum 2000 e Dom Perignon P2 2000.
Serata di presentazione del menu “Nel Tempo” (foto Tommaso Chiarella)
Di seguito i piatti nelle due verisoni: a sinistra quella tradizionale, a destra quella rivisitata.
Gamberi in sala cocktail
Vitello tonnato
Gnocchi alla Bava
Milanese
Finanziera
Bonèt
«“Nel Tempo” – spiega Matteo Baronetto – nasce per curiosità, per ironia, per memoria, per cultura, per raccontare delle storie: un menu-manifesto, che tramuta quelli che sono stati i trend gastronomici degli ultimi decenni del secolo scorso in qualcosa di diverso eppure del tutto riconducibile all’originale. Mi piace pensare a una piccola operazione di “revisionismo culinario” che ha per oggetto alcuni piatti iconici della nostra tradizione: dalle penne panna e salmone alla milanese, le acciughe al verde, i gamberetti in salsa cocktail, il brasato al barolo… Vorrei fotografare un pensiero che duri “nel tempo”, guardando a quello che siamo stati, che siamo e che saremo. Attingendo ai propri ricordi spero che chi assaggerà questi piatti possa divertirsi in un piccolo gioco di confronti, interrogandosi sul gusto che passa e scegliendo di volta in volta la propria versione preferita».
260 anni nel segno della modernità Nel 2017 l’iconico ristorante torinese celebra non solo i 260 anni dalla prima apertura, ma anche il suo terzo compleanno: dopo essere rimasto chiuso per molto tempo, infatti, il locale ha subito un importante intervento di ristrutturazione, riaprendo le porte nel 2014, anno che ha segnato la rinascita e l’avvio di un concept che è già diventato un “case history”.
Sala Risorgimento
Sono trascorsi 260 anni ma il locale in piazza Carignano 2 a Torino è ancora protagonista, come “Caffè” prima, “Ristorante” dopo, e oggi semplicemente “Del Cambio”. La storia del locale si sviluppa da più di due secoli accanto allo svolgersi della vita del nostro Paese e degli uomini e donne che si sono avvicendati in piazza Carignano, partecipando alla sua costruzione, alla sua gestione e, soprattutto, alla sua frequentazione.
Sala Pistoletto
Oggi Del Cambio non è più sinonimo di ristorante storico gastronomico, ma di un progetto solido e visionario allo stesso tempo: diverse realtà, stessa visione. Una vera e propria “maison” in grado di far vivere al cliente esperienze diverse in diversi momenti della giornata. Quello che all’apparenza sembra un portone su piazza Carignano in realtà svela un magico mondo che si articola su più piani e su più offerte. In primis il ristorante gastronomico, guidato dal cuoco Matteo Baronetto che ha fatto dell’equilibrio tra innovazione e tradizione la sua cifra stilistica; affacciato sulla cucina c’è anche il “Tavolo dello chef”, quasi un luogo privato, intimo ed esclusivo.
Tavolo delo chef
Collegata al ristorante c’è poi l’ormai celebre “Farmacia Del Cambio”, caffè-bistrot dove gustare, oltre alle meravigliose creazioni dello chef patissier Fabrizio Galla, un light lunch o un aperitivo, scegliendo tra cocktail signature. La Farmacia Del Cambio si caratterizza anche per essere una gastro-boutique dove acquistare prelibatezze di ogni tipo, dalla pasta fresca ai piatti pronti in formula take-away, alle splendide torte.
Farmacia Del Cambio
Al primo piano si trova il “Bar Cavour”, cocktail bar e bistrot, con cucina dalle atmosfere che rimandano oltreoceano, luogo intrigante per sorseggiare drink internazionali ma anche gustare piatti fino a tarda notte.
Bar Cavour
A fianco troviamo la “Stanza Verde”, un fumoir dove l’ospite può rilassarsi e dimenticare la quotidianità, una piccola Wunderkammer (camera delle meraviglie) nella quale arrendersi alla soverchiante forza del bello, degustando le migliori selezioni di distillati.
Stanza Verde
Ultimo arrivato in ordine di tempo è il “Tavolo della cantina”, uno spazio collocato nelle fondamenta (fisiche e spirituali) del ristorante, due piani sotto terra, dove lo chef Matteo Baronetto e il sommelier Davide Buongiorno propongono serate conviviali e di degustazione, con menu sapientemente abbinati all’ampissima varietà di etichette presenti nella cantina, grazie alle quali Del Cambio ha recentemente ottenuto i 2 bicchieri ai Wine Spectator Awards.
Tavolo della cantina
La cantina conta circa 20mila bottiglie per quasi 2mila diverse etichette, provenienti da tutta Italia e dal mondo, ma in particolare dal Piemonte, dalla Toscana e dalla Francia.
Cantina Del Cambio (foto Tommaso Chiarella)
Per informazioni: www.delcambio.it
Gamberi in salsa cocktail
1/22
Peperoni e acciughe
2/22
Acciughe al verde
3/22
Lasagne
4/22
Penne al salmone
5/22
Gnocchi alla bava
6/22
Milanese
7/22
Vitello tonnato
8/22
Brasato al Barolo
9/22
Finanziera
10/22
Bonèt
11/22
Americano
12/22
Matteo Baronetto
13/22
Tavolo della cantina
14/22
Cantina
15/22
Farmacia Del Cambio
16/22
Colazione alla Farmacia Del Cambio
17/22
Torta 1757
18/22
Bar Cavour
20/22
Bar Cavour
21/22
Aperitivo al Bar Cavour
22/22
Stanza Verde
23/22
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Riso & Rose: A maggio un mese di festa fra colline e pianura del Monferrato
La primavera accende il Monferrato, mitica terra del Piemonte Unesco, sospesa fra le colline vitivinicole e la piana del Po dove il mese di maggio vedrà il ritorno della grande kermesse dal titolo “Riso & Rose in Monferrato”. Non un semplice evento né uno specifico luogo: la manifestazione tornerà, alla sua diciassettesima edizione, nella sua consolidata formula diffusa e itinerante, nel tempo e nello spazio. Il tempo è l’intero mese di maggio ed in particolare i suoi quattro fine settimana che vedranno i paesi animarsi con tante iniziative di interesse turistico (in crescita le presenze dall’estero). Lo scorso anno il mese di maggio contò quasi 120 mila presenze registrate agli eventi inseriti nel ricco calendario di “Riso & Rose”, le quali si riversarono su numerosi borghi del territorio. Anche quest’anno lo spazio degli eventi è l’intero territorio del Monferrato con manifestazioni nella sua capitale, la storica città di Casale Monferrato, e in ben una trentina di comuni a cavallo fra Piemonte e Lombardia e fra le province di Alessandria, Asti, Vercelli e Pavia. La rassegna, promossa dal Consorzio Turistico Mon.D.O., proporrà, dal 5 al 28 maggio, eventi di enogastronomia, florovivaismo, hobbistica, musica ma anche occasioni per scoprire il patrimonio di storia, arte, cultura e paesaggio del Monferrato con eventi tematici su un territorio, ricco di borghi di interesse paesaggistico, artistico e costellati di aziende che tramandano la tradizione artigiana del territorio. Ricchissima l’offerta di opportunità, incluse nel nuovissimo calendario unificato degli eventi di richiamo del 2017 denominato “Le stagioni del Monferrato”: dalle visite a castelli, dimore, siti storici e aziende alle degustazioni di vini, artigianato tipico gastronomico e distillati, dai mercatini tematici di hobbistica, vita all’aria aperta e fiori agli eventi musicali e sportivi con proposte che si rivolgono ad un pubblico misto e sono dirette anche alle famiglie. Appuntamenti musicali di elevato livello artistico accompagneranno le visite ai tesori artistici e architettonici di Casale Monferrato: nella capitale del Monferrato Unesco, durante l’intero mese di maggio, avranno luogo concerti e momenti di lettura e incontro nelle cornici più suggestive come le chiese di San Domenico e Santa Caterina, nella pregevole Sinagoga, presso l’Accademia Filarmonica e negli incantevoli cortili cittadini. Il calendario prevede appuntamenti di musica classica, corale ma anche lirica, musica della tradizione ebraica ed esecuzioni con arpa e flauto. Il florovivaismo e le idee per la casa e il giardino sono temi centrali nella rassegna e si sviluppano attraverso appuntamenti di rilevanza internazionale come Coniolo Fiori (20 e 21 maggio) che da diciassette anni attira migliaia di appassionati sulla collina del piccolo paese di Coniolo (Alessandria), proponendo un mercato specializzato nella floricoltura e concorsi che riguardano le piante più belle di rose di ogni categoria. Spicca anche l’evento di Terruggia (Alessandria) “Vivere in Campagna” (6 e 7 maggio) alla sua ventiquattresima edizione con la mostra-mercato nel maestoso Parco della locale Villa Poggio. E poi ancora le visite al Roseto della Sorpresa di Castell’Alfero (Asti) il 28 maggio ed ancora le aperture degli storici giardini delle dimore storiche di Ponzano Monferrato (Alessandria) il 7 maggio.  In altre località sono previsti mercati e opportunità di visita interessanti anche per gli amanti di fiori e giardini. Fra gli appuntamenti curiosi di diverso genere i “Ricami DiVini & Pietra da Cantoni ” a Rosignano Monferrato, la riscoperta di un antichissimo mulino ad acqua a Fontanetto Po, le biciclettate nei paesi della Lomellina, Il Palio dell’Oca Bianca a Quargnento, il viaggio sul Po a bordo dei barcè a Camino, la tappa della Settimana Vivaldiana a Occimiano, l’incanto dei Castelli di Gabiano e Giarole, le sagre dedicate all’asparago a Valmacca e Fubine Monferrato ed ancora le visite alle suggestive cavità sotterrane (i cosiddetti “infernot”) e gli appuntamenti enologici di Cantine Aperte e Di Grignolino in Grignolino. Numerose attività en plein air come camminate e biciclettate, dalla pianura alla collina, consentiranno ai visitatori di vivere momenti a contatto con la natura o di scoprire capitoli di storia produttiva di queste terre, come i tour promossi nell’ambito della Giornata delle Miniere. Per informazioni dettagliate è possibile visitare il sito www.monferrato.org o contattare l'Ufficio Informazioni Turistiche di Casale M.to al numero 0142-444.330 (mart.-dom. 10-13, mart.-giov. 15-18, ven-dom 15-19). Per la presentazione del programma dettagliato si dovrà attendere l’ultima decade di aprile quando verrà indetta la conferenza stampa. La manifestazione Riso & Rose in Monferrato è realizzata con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria e con il Patrocinio di Regione Piemonte, Provincia di Alessandria, Alexala, Associazione Paesaggi Vitivinicoli di Langhe – Roero e Monferrato, Ecomuseo della Pietra da Cantoni, Ente di Gestione dei Sacri Monti http://dlvr.it/NryptB
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jucks72 · 7 years ago
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Pummà porta anche a Milano la pizza di ricerca artigiana
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Pummà porta anche a Milano la pizza di ricerca artigiana
Margherita (Pummà porta anche a Milano la pizza di ricerca artigiana)
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La nuova fiore (Pummà porta anche a Milano la pizza di ricerca artigiana)
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La Milanese… Taaac (Pummà porta anche a Milano la pizza di ricerca artigiana)
3/5
(Pummà porta anche a Milano la pizza di ricerca artigiana)
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Il lievito madre (Pummà porta anche a Milano la pizza di ricerca artigiana)
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  Dopo Milano Marittima (Ra), Bologna e Ibiza è ora il momento di Milano. Pummà apre in centro, via Camminadella, il suo quarto locale di proprietà (non franchising). La formula punta sulla freschezza delle materie prime.
Il menu cambia con il passare delle stagioni con 15 pizze da degustazione servite a spicchi e 8 classiche. E in ogni locale una pizza che si rifà al territorio. Nel nuovo spazio meneghino viene servita “La Milanese…Taaac”, a base di sfilacciato di ossobuco, crema di riso e zafferano, fiordilatte, zafferano. Di rilievo anche La nuovo fiore (mozzarella fior di latte, burrata pugliese, prosciutto di Parma 24 mesi) e La zucca squarciata (crema di zucca arrostita, gorgonzola piccante, lardo stagionato di Colonnata Igp, pepe). Le classiche, Marinara e Margherita in testa, sono un tuffo nei sapori partenopei.
La Milano… Taaac
A sviluppare e impostare le ricette quel Beniamino Bilali che da ‘O’ malomm’ di San Patrignano ha elaborato l’impasto in idrolisi ottenuto con i chicchi di grano spezzati e lasciati fermentare in acqua che producono, senza lieviti aggiunti, una pasta molto leggera, ariosa, alveolata, ma soprattutto gustosa e digeribile. Da Pummà Milano si utilizzano anche altri due impasti, da lievito madre, rinfrescato tre volte al giorno, vivo e vegeto da dieci anni. Quello classico realizzato con farine macinate a pietra di soli grani italiani e quello ottenuto con farina di orzo e avena. Se Beniamino Bilali è il supervisore a livello gastronomico e di formazione del personale nei quattro Pummà, in via Camminadella il maestro Pizzaiolo è Hindrit Haraciu, una giovane stella del firmamento pizza.
Per le farciture è stata selezionata la produzione artigianale lungo tutto il Paese con richiami a presidi Slow Food in abbinamento ai prodotti stagionali del territorio. A monte un’organizzazione di impresa ferrea che gestisce il fresco “in tempo reale” sui tavoli di Milano, come di Ibiza, Bologna o Milano Marittima.
Beniamino Biliali, Marco Baldassari, Indrit Haraciu
Oltre alla carta degli oli e delle birre artigianali italiane, il menu si apre anche a qualche proposta gastronomica extra pizza. Poche, selezionate voci del tenore di Pasta corta con scarola, olive di Gaeta, pomodorini e acciughe, Tortelli di ricotta e spinaci al ragù, Culatello tiepido.
Per garantire una gestione dei tavoli e della cucina sempre ottimali, nonostante i circa 150 coperti, si è deciso di annullare il rischio affanno non servendo più di 100 clienti a sera. Per ora Pummà Milano è aperto solo dalle 19,00 a mezzanotte (venerdì e sabato la cucina chiude alle 00,30) sette giorni su sette.
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