#Georges Perec saggi
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pier-carlo-universe · 26 days ago
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Georges Perec: Genio della Letteratura Sperimentale e Maestro del Lipogramma. Recensione di Alessandria today
L’uomo che ha rivoluzionato la scrittura con creatività, rigore e straordinaria immaginazione.
Scopri la vita e le opere di Georges Perec, il maestro del lipogramma e membro dell’Oulipo. Un innovatore della letteratura che ha trasformato i vincoli in arte. Approfondisci su Alessandria Today. L’uomo che ha rivoluzionato la scrittura con creatività, rigore e straordinaria immaginazione. Introduzione alla figura di Georges Perec. Georges Perec (1936-1982) è stato uno degli autori più…
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rideretremando · 2 years ago
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Qualche consiglio di lettura di ALBERTO SAIBENE:
Cari tutti,
qualche consiglio di lettura per restare a lungo al fresco.
Buona estate,
Alberto
ROMANZI ITALIANI
Vincenzo Latronico, Le perfezioni (Bompiani). Tom e Anna sono una
coppia di giovani italiani impiegati nelle nuove professioni
‘digitali’ che si trasferiscono a Berlino per vivere nel cuore del
presente. Sul calco de Le cose di Georges Perec, un romanzo breve
molto ben congegnato, specchio di una generazione che si perde nei
riflessi dei social e non distingue tra reale e artificiale.
Nadia Terranova, Trema la notte (Einaudi). Sullo sfondo del terremoto
di Messina, le vicende parallele del dodicenne Nicola e della giovane
Barbara, personaggi che la storia sottrae al loro destino. La forza
del destino è appunto il motore di un intenso romanzo storico “in
miniatura” di una delle nostre migliori scrittrici.
Matteo Melchiorre, Il Duca (Einaudi). L’ultimo erede di una famiglia
nobile sceglie di vivere nella casa di campagna sul limitare del bosco
dovendo affrontare le trappole della vita di una piccola comunità.
Dopo una serie di saggi molto promettenti, Melchiorre, storico di
professione, scrive un romanzo con una voce nuova e distinta che,
rinnovando un antico canovaccio, risulta un perfetto punto di fusione
tra natura e cultura.
I PIACENTINI
Goffredo Fofi, raggiunti gli 85 anni, è instancabile come sempre. Sono
nato scemo, morirò cretino (Minimun Fax), a cura di Emiliano Morreale,
raccoglie i suoi scritti su cinema, letteratura, politica e società (e
altro ancora) tra il 1956 al 2021, a cui si aggiunge Caro agli dèi
(E/O), una raccolta di profili di amici morti troppo presto.
Piergiorgio Bellocchio, Diario del Novecento (Il Saggiatore), a cura
di Gianni D’Amo. Da una posizione defilata l’intellettuale piacentino
vede tramontare le speranze del Novecento e, con estrema lucidità,
registra l’arrivo di un’epoca di plastica. Uno zibaldone destinato a
diventare un classico sull’identità italiana.
SORELLE
Wanda Rotelli Tarpino, Lo spettacolo dell’asta (Officina Libraria). Il
primo libro italiano che ripercorre, a livello internazionale, la
storia delle aste di opere d’arte dalla fine del Settecento al
presente, scritto da chi ha lavorato per oltre 35 anni in quel mondo.
Antonella Tarpino, Il libro della memoria (Il Saggiatore).
Un’indagine, attraverso esempi tratti dalla letteratura di tutti i
tempi, tra dimore, stanze e oggetti divenuti deposito della nostra
memoria. Un libro che completa le riflessioni della nostra massima
storica su questi temi.
NOTIZIE DA NAPOLI
Luca Rossomando, Le fragili alleanze.Militanti politici e classi
popolari a Napoli (1962-1976). Un rigoroso saggio storico su una
stagione di trasformazioni sociali della città partenopea, in buona
parte costruito su una raccolta di testimonianze tra chi partecipò
alle speranze di quegli anni. Un libro che restituisce il sapore di
un’epoca pubblicato da Napoli Monitor.
Giovanna Silva- Lucia Tozzi. Napoli. Contro il panorama (Nottetempo).
Mentre Lucia Tozzi ricostruisce la vicenda urbanistica cittadina dal
dopoguerra al presente, Giovanna Silva fotografa una Napoli fuori da
ogni cliché. Un’opera stimolante per riflettere sul futuro di una
città che andrebbe prima di tutta manutenuta.
VIAGGI IN EUROPA
Francesco M. Cataluccio, Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania
(Humboldtbooks). La repubblica baltica è un Paese piccolo ma con una
forte tradizione culturale, nonché dotato di una lingua propria.
Appena prima della guerra russo-ucraina un profondo conoscitore
dell’Europa orientale vi è ritornato compiendo un reportage narrativo
in luoghi che non frequentava dai tempi dell’URSS.
Karel Čapek, Viaggio al Nord (Iperborea). Appena prima della Seconda
guerra mondiale il grande scrittore ceco attraversa la Scandinavia per
un viaggio a Capo Nord osservando e disegnando quello che ha davanti a
sé. Un libretto delizioso di un fuoriclasse della letteratura
mondiale.
BIOGRAFIE
Peter-André Alt, Sigmund Freud. Il medico dell’inconscio (Hoepli). Una
nuova biografia di uno grandi pensatori che, insieme a Darwin e Marx,
hanno dato una forma al nostro tempo. L’autore, un critico letterario,
iscrive la parabola di un uomo che ha inventato una disciplina nella
cornice del proprio tempo.
Victoria De Grazia, Il fascista perfetto (Einaudi). La storica
americana ricostruisce in modo dettagliato e appassionante la parabola
esistenziale di Attilio Teruzzi, gerarca di seconda linea, offrendo
una sintomatologia perfetta dell’eterno fascismo italico.
E poi naturalmente ci sarebbe da leggere Stalingrado di Vasilji
Grossman (Adelphi). Speriamo di farlo prima che la guerra finisca.
Ancora buone vacanze
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sogniesintomi · 8 years ago
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Un pensiero errante nel flusso della storia
Sorridente, con il vezzo incessante di usare l’amata pipa per dare ritmo alle parole delle quali non era avaro. Da ieri, lo sbuffo di fumo che accompagnava le conversazioni di Zygmunt Bauman non offuscherà più il suo volto. La sua morte è arrivata come un colpo in pancia, inaspettata, anche le sue condizioni di salute erano peggiorate negli ultimi mesi. E subito è stato apostrofato nei siti Internet come il teorico della società liquida, una tag che accoglieva con divertimento, segno di una realtà mediatica tendente alla semplificazione massima contro la quale invocava un rigore intellettuale da intellettuale del Novecento.
Spesso si inalberava. «Di liquido mi piace solo alcune cose che bevo», aveva affermato una volta, infastidito del suo accostamento ai teorici postmoderni o ai sociologi delle «piccole cose». La sua modernità liquida era una rappresentazione di una tendenza in atto, non una «legge» astorica che vale per l’eternità a venire. Per questo, rifiutava ogni lettura apocalittica del presente a favore di un lavoro certosino di aggiungere tassello su tassello a un puzzle sul presente, che avvertiva non sarebbe stato certamente lui a concludere. Bauman, infatti, puntava con disinvoltura a non far cadere nel fango la convinzione di poter pensare la società non come una sommatoria di frammenti o di sistemi autoreferenziali, come invece sostenevano gli eredi di Talcott Parson, studioso statunitense letto e anche conosciuto personalmente da Bauman a Varsavia nel pieno della guerra fredda.
OGNI VOLTA CHE PRENDEVA la parola in pubblico Bauman faceva sfoggio di quella attitudine alla chiarezza che aveva, non senza fatica, come ha più volte ricordato nelle sue interviste, acquisito negli anni di apprendistato alla docenza svolto nell’Università di Varsavia. Parlava alternando citazioni dei «grandi vecchi» della sociologia a frasi tratte dalle pubblicità, rubriche di giornali. Mettere insieme cultura accademica e cultura «popolare» era indispensabile per restituire quella dissoluzione della «modernità solida» sostituita da una «modernità liquida» dove non c’era punto di equilibrio e dove tutto l’ordine sociale, economico, culturale, politico del Novecento si era liquefatto alimentando un flusso continuo di credenze e immaginari collettivi che lo Stato nazionale non riusciva a indirizzarlo più in una direzione invece che in un’altra.
E teorico della società liquida Bauman è stato dunque qualificato. Un esito certo inatteso per un sociologo che rifiutava di essere accomunato a questa o quella «scuola», senza però rinunciare a considerare Antonio Gramsci e Italo Calvino due stelle polari della sua «erranza» nel secolo, il Novecento, delle promesse non mantenute.
Nato in Polonia nel 1925 da una famiglia ebrea assimilata, aveva dovuto lasciare il suo paese la prima volta all’arrivo delle truppe naziste a Varsavia. Era approdato in Unione Sovietica, entrando nell’esercito della Polonia libera.
FINITA LA GUERRA, la prima scelta da fare: rimanere nell’esercito oppure riprendere gli studi interrotti bruscamente. Bauman fa suo il consiglio di un decano della sociologia polacca, Staninslaw Ossowski, e completa gli studi, arrivando in cattedra molto giovane. E nelle aule universitarie si manifesta il rapporto fatto di adesione e dissenso rispetto al nuovo potere socialista. Bauman era stato convinto che una buona società poteva essere costruita sulle macerie di quella vecchia. A Varsavia, la facoltà di sociologia era però un’isola a parte. Così le aule universitarie potevano ospitare teorici non certo amati dal regime. Talcott Parson fu uno di questi, ma a Varsavia arrivano anche libri eterodossi. Emile Durkheim, Theodor Adorno, Georg Simmel, Max Weber, Jean-Paul Sartre, Italo Calvino, Antonio Gramsci (questi due letti da Bauman in lingua originale). Quando le strade di Varsavia, Cracovia vedono manifestare un atipico movimento studentesco, Bauman prende la parola per appoggiarli.
È ORMAI UN NOME noto nell’Università polacca. Ha pubblicato un libro, tradotto con il titolo in perfetto stile sovietico Lineamenti di una sociologia marxista, acuta analisi del passaggio della società polacca da società contadina a società industriale, dove sono messi a fuoco i cambiamenti avvenuti negli anni Cinquanta e Sessanta. La secolarizzazione della vita pubblica, la crisi della famiglia patriarcale, la perdita di influenza della chiesa cattolica nell’orientare comportamenti privati e collettivi. Infine, l’assenza di una convinta adesione della classe operaia al regime socialista, elemento quest’ultimo certamente non salutato positivamente dal regime Ma quando, tra il 1968 e il 1970, il potere usa le armi dell’antisemitismo, la sua accorta critica diviene dissenso pieno. Gran parte degli ebrei polacchi era stata massacrata nei lager nazisti. Per Bauman, quel «mai più» gridato dagli ebrei superstiti non si limitava solo alla Shoah ma a qualsiasi forma di antisemitismo. La scelta fu di lasciare il paese per il Regno Unito.
Il primo periodo inglese fu per Bauman una resa dei conti teorici con il suo «marxismo sovietico». L’università di Leeds gli ha assicurato l’autonomia economica; Anthony Giddens, astro nascente della sociologia inglese, lo invita a superare la sua «timidezza». È in quel periodo che Bauman manda alle stampe un libro, Memorie di classe (Einaudi), dove prende le distanze dall’’idea marxiana del proletariato come soggetto della trasformazione. E se Gramsci lo aveva usato per criticare il potere socialista, Edward Thompson è lo storico buono per confutare l’idea che sia il partito-avanguardia il medium per instillare la coscienza di classe in una realtà dove predomina la tendenza a perseguire effimeri vantaggi.
TOCCA POI ALL’IDENTITÀ ebraica divenire oggetto di studio, lui che ebreo era per nascita senza seguire nessun precetto. La sua compagna era una sopravvissuta dei lager nazisti. E diviene la sua compagna di viaggio in quella sofferta stesura di Modernità e Olocausto (Il Mulino). Anche qui si respira l’aria della grande sociologia. C’è il Max Weber sul ruolo performativo della burocrazia, ma anche l’Adorno e il Max Horkheimer di Dialettica dell’illuminismo. La shoah scrive Bauman è un prodotto della modernità; è il suo lato oscuro, perché la pianificazione razionale dello sterminio ha usato tutti gli strumenti sviluppati a partire dalla convinzione che tutto può essere catalogato, massificato e governato secondo un progetto razionale di efficienza. Un libro questo, molto amato dalle diaspore ebraiche, ma letto con una punta di sospetto in Israele, paese dove Bauman vive per alcuni anni.
CAMMINARE NELLA CASA di Bauman era un continuo slalom tra pile di libri. Stila schede su saggi (Castoriadis e Hans Jonas sono nomi ricorrenti nei libri che scrive tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta del Novecento) e romanzi (oltre a Calvino, amava George Perec e il Musil dell’Uomo senza qualità). Compagna di viaggio, come sempre l’amata Janina, morta alcuni anni fa. Manda alle stampe un saggio sulla globalizzazione che suona come un atto di accusa verso l’ideologia del libero mercato. E forte è il confronto, in questo saggio, con il libro di Ulrich Beck sulla «società del rischio», considerata da Bauman un’espressione che coglie solo un aspetto di quella liquefazione delle istituzioni del vivere associato. La famiglia, i partiti, la chiesa, la scuola, lo stato sono stati definitavamente corrosi dallo sviluppo capitalistico. Cambia lo «stare in società». Tutto è reso liquido. E se il Novecento aveva tradito le promesse di buona società, il nuovo millennio non vede quella crescita di benessere per tutti gli abitanti del pianeta promessa dalle teste d’uovo del neoliberismo. La globalizzazione e la società liquida producono esclusione. L’unica fabbrica che non conosce crisi è La fabbrica degli scarti umani (Laterza), scrive in un crepuscolare saggio dopo la crisi del 2008.
SONO GLI ANNI dove l’amore è liquido, la scuola è liquida, tutto è liquido. Bauman sorride sulla banalizzazione che la stampa alimenta. E quel che è un processo inquietante da studiare attentamente viene ridotto quasi a chiacchiera da caffè. Scrolla le spalle l’ormai maturo Bauman. Continua a interrogarsi su cosa significhi la costruzione di identità patchwork (Intervista sull’identità, Laterza), costellata da stili di vita mutati sull’onda delle mode. Prova a spiegare cosa significhi l’eclissi del motto «finché morte non ci separi», vedendo nel rutilante cambiamento di partner l’eclissi dell’uomo (e donna) pubblico. La sua critica al capitalismo è agita dall’analisi del consumo, unico rito collettivo che continua a dare forma al vivere associato.
È MOLTO AMATO dai teorici cattolici per il suo richiamo all’ethos, mentre la sinistra lo considera troppo poco attento alle condizioni materiali per apprezzarlo. Eppure le ultime navigazioni di Bauman nel web restituiscono un autore che mette a fuoco come la dimensione della precarietà, della paura siano forti dispositivi di gestione del potere costituito, che ha nella Rete un sorprendente strumento per una sorveglianza capillare di comportamenti, stili di vita, che vengono assemblati in quanto dati per alimentare il rito del consumo.
BAUMAN NON AMAVA considerarsi un intellettuale impegnato. Guardava con curiosità i movimenti sociali, anche se la sua difesa del welfare state è sempre stata appassionata («la migliore forma di governo della società che gli uomini sono riusciti a rendere operativa»). Nelle conversazioni avute con chi scrive, parlava con amarezza degli opinion makers, novelli apprendisti stregoni dell’opinione pubblica, ma richiamava la dimensione etica e politica dell’intelelttuale specifico di Michel Foucault, l’unico modo politico per pensare la società senza cade in una arida tassonomia delle lamentazioni sulle cose che non vanno.
Benedetto Vecchi
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pangeanews · 7 years ago
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Meglio Bob Dylan di Borges, e non parlatemi dei Caraibi… Intervista furibonda a Jorge Fondebrider
Fermo immagine. Cosa ci fa l’argentino in Galles? Didascalia – prodotta dalla Cinnamon Press di Gwynedd. “Jorge Fondebrider, noto come uno dei maggiori critici e storici della cultura argentina è anche – anzi, soprattutto – un eminente poeta e traduttore di poeti, dal francese e dall’inglese. La poesia di Fondebrider è meditativa, malinconica e ironica, tuttavia sa essere selvaggia nella sua indignazione verso l’ipocrisia e la violenza”. Riassunto. Fondebrider è uno dei massimi poeti argentini di oggi. Classe 1956, animatore culturale, dall’arguzia spinata, Fondebrider è un grande traduttore (e promotore del Club de Traductores Literarios de Buenos Aires). Svaria dal classico al contemporaneo, dal francese all’inglese, nelle sue varianti periferiche (gallese, irlandese). Tra i tantissimi, ha tradotto Georges Perec, Patricia Highsmith, Guillaume Apollinaire, Gustave Flaubert, Jack London. L’altro lato di Fondebrider, però, è quello dell’accanito promotore della poesia argentina. Certo dell’assoluta unicità della poesia del suo Paese – per pigrizia, ignoranza e insipienza, ci dice, sconosciuta ai più – ha curato quattro antologie di poesía argentina oltre all’opera di Joaquín O. Giannuzzi e di César Fernández Moreno. Convinto che “Borges, come poeta, è del tutto ininfluente in Argentina”, Fondebrider, che ha cominciato traducendo i Beatles e Bob Dylan, è soprattutto poeta, appunto. Autore raffinato e parco (cinque raccolte in 35 anni, l’ultima, nel 2016, La extraña trayectoria de la luz, è invero una raccolta di poemas reunidos), ancora colpevolmente intradotto in Italia (appare nell’antologia Il fiore della poesia latinoamericana d’oggi, Raffaelli, 2016, per grazia di Emilio Coco), saggista di estrema intelligenza (per l’editore Lom ha pubblicato una Historia de los ombre lobos e uno sfizioso volume su Cómo se ordena una biblioteca), è uno con cui vale la pena dialogare.
Quando sorge l’ispirazione poetica, quando ha cominciato a scrivere poesia? E poi, in fondo, cos’è la poesia?
“L’ispirazione arriva da qualunque parte, in qualsiasi momento. Ci sono, ovviamente, stati propizi che ciascuno deve scoprire, perché non sono comuni a tutti. Ad alcuni piace l’estate; io la detesto. Certa gente adora i Caraibi; per me sono uno dei peggiori incubi. Ci sono certi che ascoltano musica tropicale; per me è una schifezza insopportabile. Quindi, so che scrivo meglio in autunno o in climi autunnali. Inoltre, so che mi piacciono paesaggi desolati come la Patagonia, il Connemara in Irlanda, o la Scozia, in generale. Preferisco una certa musica (il jazz, genericamente). Però, insisto, l’ispirazione non dipende dalla volontà. A volte basta una parola, una sequenza di parole, un suono, una immagine a fungere da innesco. Allora, devi metterti al lavoro. Quanto alla seconda domanda, persone diverse, con idee contrarie, usano la stessa parola, poesia, per definire una cosa che varia a seconda della percezione che se ne ha. Per questo, non ho una definizione che desidero condividere. Borges ha detto che poesia è tutto ciò che qualcuno percepisce come poesia. È qualcosa di tautologico, ma non potrei trovare un punto di vista migliore senza offendere gli altri”.
Lei ha tradotto molto, da Georges Perec a Jack London e Flaubert. Che ruolo ha la traduzione nel suo lavoro poetico? Perché sente la necessità di tradurre? Chi sono i suoi ‘maestri’?
“Da quando ho iniziato a scrivere, mi accompagna la traduzione. Ho tradotto per prima cosa i testi dei Beatles, per capire cosa dicevano. Questo mi ha portato a Bob Dylan, e Bob Dylan alla poesia statunitense. Poi venne l’inglese. E dunque l’irlandese, il gallese, lo scozzese. Vale a dire: prima di tradurre romanzi o saggi, ho tradotto poesia, una pratica che mantengo e che mi consente di leggere in profondità gli autori che ammiro. Credo che mi sia rimasto impressa una parte delle cose buone che quegli autori hanno scritto. La traduzione amatoriale mi ha portato a un tipo di traduzione professionale. Cominciò quando mi sono occupato di altre forme di scrittura. Da tutto si impara qualcosa. Flaubert è praticamente un poeta e il suo livello di perfezione mi lascia a bocca aperta. Jack London mi ha insegnato come andare al cuore di qualcosa senza perderlo di vista. Georges Perec mi ha insegnato i metodi dell’autobiografia, senza che l’autore appaia in primo piano. Ma in molti altri autori ho trovato ispirazione. Per aggiungere altri che ho tradotto, mi è piaciuto molto lavorare con l’irlandese Moya Cannon, ma anche con Richard Gwayn e R. S. Thomas, entrambi gallesi, e con un magnifico scrittore irlandese che raccomando vivamente: Claire Keegan”.
Lei ha redatto una antologia della poesia argentina. Che poesia si legge oggi in Argentina, quali sono i temi dominanti? Che ruolo ha un autore come Jorge Luis Borges, che in Italia è l’autore argentino più noto?
“Non ho pubblicato una antologia di poesia argentina, ma quattro. Ho l’impressione che, rispetto ad altre nazioni latinoamericane, gli argentini non abbiano saputo promuoversi bene perché, quando lasci il paese, capisci che se ne sa molto poco. Sono certo che se menziono Joaquín O. Giannuzzi, Francisco Madariaga, Alberto Girri, Arnaldo Calveyra o Juan José Saer, per dirne alcuni, né lei né i suoi lettori sappiano a chi mi riferisco, eppure si tratta di alcuni dei più grandi poeti argentini di ogni tempo. Forse la sorprenderà, ma, Borges, come poeta, non ha alcuna importanza in Argentina. La sua poesia è sempre stata recepita come troppo eloquente e ‘letteraria’. Per tanto, per la maggior parte dei poeti argentini è stata importante la sua prosa, mentre la poesia è del tutto ininfluente. Ora: la ricchezza della poesia argentina è enorme e sono certo che in Italia se ne sa molto poco. In generale, la pigrizia e l’ignoranza – una cattiva combinazione – ci collocano in un tutto informe che si chiama ‘poesia latinoamericana’, che è a sua volta incluso in un tutto ancora più informe che si chiama ‘poesia spagnola’. Il problema è che la prosodia latinoamericana si è separata da quella spagnola più di un secolo fa e quasi non c’è alcun contatto tra i poeti delle due sponde dell’Atlantico. Poi, ogni paese del Latinoamerica ha la propria storia e le proprie tradizioni: non sono la stessa cosa un poeta cubano, che tende naturalmente al barocco, e un poeta cileno, che ha la propensione all’epica. Sono caratteristiche che, in generale, il termine ‘latinoamericano’ tende a cancellare. È come se uno pensasse con l’etichetta ‘poesia europea’ di includere allo stesso modo un inglese, un tedesco e un albanese. Sono tradizioni distinte, approfondite da linguaggi diversi. Ma la lingua comune tende a ingannare”.
Mi incuriosisce il titolo di uno dei suoi libri, “Come si ordina una biblioteca”. Come è nata l’idea di un libro simile?
“Come si ordina una biblioteca è il primo libro di una raccolta che dirigo per l’editore cileno Lom. L’idea è nata pensando alle diverse strategie con cui persone diverse ordinano i propri libri. Io ho molti libri, con i problemi logistici che questo comporta. Poi ho voluto sapere come hanno fatto altri scrittori, editori, traduttori, storici, antropologi, archeologi, scienziati e almeno due direttori di biblioteche nazionali (dell’Argentina e del Messico). In quel libro registro quelle idee”.
Il titolo di uno dei suoi libri di poesia mi affascina. “Imperio de la luna”. Cosa significa? Che tipo di poesia le piace leggere?
“Imperio de la luna ha a che fare con due cose: molti anni fa ho letto un poema di Wallace Stevens (Domination of Black) che, per qualche strana ragione, il traduttore aveva deciso di intitolare Imperio del negro. Non si tratta di un ‘impero’ nella sua definizione formale, ma di qualcosa che sta sopra tutto, dappertutto. E la luna, onnipresente nelle mie poesie a quel tempo (e in ogni tempo), mi si è imposta. Per questo, ho deciso di chiamare il libro a quel modo”.
Le interessa la cultura italiana? Che idea ha della letteratura italiana?
“Per buona parte della mia giovinezza ho letto molti autori italiani. Pavese, fino ad oggi, resta uno dei miei scrittori preferiti. Poi Ungaretti, Montale, Quasimodo, che mi interessano ancora. All’epoca, ho letto tutto ciò che potevo: Papini, Guareschi, Beppe Fenoglio, Natalia Ginzburg, Pasolini, Svevo, Moravia etc. Più tardi, quando ho smesso di leggere il romanzo in generale, l’Italia si è riassunta nella poesia. Negli ultimi anni ho letto con grande piacere Patrizia Cavalli e Valerio Magrelli (che ho avuto il piacere di conoscere anni fa, e con cui sono ancora in contatto) e molti altri poeti tradotti diligentemente da Jorge Auicino, uno dei migliori poeti argentini e grande traduttore dall’italiano, che pubblica nel suo blog, Otra Iglesia Es Imposible. Certamente, tutto questo è poco, ma abbiamo una vita soltanto, giusto?”.
Ora a cosa sta lavorando, cosa sta scrivendo?
“Non lavoro mai a un solo progetto. Scrivo poesie, ma non sono prolifico. Pubblico un libro ogni dieci anni, più o meno. Nel 2016 è uscita la raccolta delle mie poesie e lì ho incluso due libri inediti. Ora, con mia sorpresa, sto scrivendo un altro tipo di poesia, e non mi dispiace. Sto scrivendo un libro su Dublino per l’editore spagnolo Pre-Textos e sto traducendo diverse cose: ho appena terminato Dead as Doornails, un memoriale sulla vita letteraria a Dublino e a Londra negli anni Cinquanta, di Anthony Cronin; al momento sto lavorando a una edizione annotata dei Tre racconti di Flaubert; mi aspettano un libro di poesie dell’irlandese Michael O’Laughlin, un libro di memorie del gallese Patrick Macguire e nel tempo libero sto terminando una Breve storia della poesia argentina contemporanea, a cui lavoro da dieci anni. Progetti ne ho molti, tempo ne ho molto poco, denaro pochissimo”.
*
Definizioni
                                                                        V.E.
Se io dicessi che il vento
è la corrente d’aria che si produce nell’atmosfera
quando muta la pressione,
sarei astratto.
  Non direi, per esempio, che è la cresta che si forma
sulla superficie delle onde
quando stiamo seduti io e te
a guardare l’orizzonte una giornata di gennaio
e i tuoi occhi, molto azzurri,
propongono un altro cielo.
  Non parlerei del cappello che vola via,
né direi che corriamo a cercarlo,
sorpresi forse del fatto che dopo anni
continuiamo, insieme, a guardare l’orizzonte,
una giornata di gennaio.
  Io e Moya Cannon continuiamo a camminare
  A Dublino mi dicesti che a novembre
Buenos Aires si tinge di viola,
ed era autunno a St. Stephen’s Green e persino negli uccelli.
Anche nelle mie scarpe.
Quella volta pensai che noi due
siamo nati in diverse latitudini
ma lo stesso anno;
che le tue poesie hanno freddo;
fondamenta di una casa,
avi, compassione.
Le mie, mi dissero, fanno disperare.
I tuoi occhi sono azzurri.
Jacaranda, ti dissi.
Costeggiavamo il lago.
Continuiamo a camminare.
  Jorge Fondebrider
(trad. it. di Mercedes Ariza)
  *
How does poetic inspiration arise in you, when you begin to write poetry? What is poetry in your opinion?
La inspiración aparece en cualquier parte y en cualquier momento. Hay, por supuesto, estados propicios que cada cual tiene que descubrir, porque no son comunes a todo el mundo. Hay gente a la que le gusta el verano; yo lo detesto. Hay gente que adora el Caribe; para mí es una de las peores pesadillas. Hay gente que escucha música tropical; para mí es una porquería insoportable. Entonces, yo sé que escribo mejor en otoño o en climas otoñales. También sé que me gustan paisajes desolados como los de la Patagonia, o Connemara en Irlanda, o Escocia en general. Eso y ciertas músicas (generalmente el jazz). Pero, insisto, la inspiración no depende de la voluntad de uno. A veces hay una palabra o una secuencia de palabras, un sonido, una imagen, y eso sirve como disparador. Después hay que ponerse a trabajar.
Respecto de la segunda pregunta, personas muy diferentes, con ideas muchas veces enfrentadas, usamos la palabra poesía para llamar de esa manera algo que varía con la percepción. Así que no tengo una definición que quiera compartir. Borges decía que poesía es lo que cada cual percibe como poesía. Es algo tautológico, pero no podría mejorar ese punto de vista sin ser ofensivo con otras personas.
I read that you have translated a lot. Georges Perec, Jack London, Flaubert. What role does the translation play in your poetic inspiration? Why did you feel the need to translate? Who are your ‘masters’?
Desde que empecé a escribir la traducción me acompañó. Traduje primero letras de los Beatles para entender qué decían. Eso me llevó a Bob Dylan y Bob Dylan a la poesía estadounidense. Y después vinieron los ingleses. Y luego, los irlandeses, galeses y escoceses. Vale decir, antes de traducir ficción o ensayo, traduje poesía, práctica que todavía mantengo y que me permite leer en profundidad a autores que admiro. Confío que algo de lo bueno que esos autores escriben se me haya pegado.
La traducción amateur me llevó a otra más profesional. Ahí es cuando empecé a ocuparme de otras formas de escritura. De todos uno aprende algo. Flaubert es prácticamente un poeta y su nivel de perfección a veces me deja con la boca abierta. London me enseñó cómo ir al centro de algo sin perderlo de vista. Perec me enseñó maneras de la autobiografía en las que el autobiógrafo no se pone en primer plano. Pero en muchos otros autores encontré inspiración. Para sumar algunos otros que traduje, me gustó mucho trabajar sobre los poetas Moya Cannon de Irlanda, Richard Gwyn de Gales, R.S. Thomas también de Gales y sobre una magnífica cuentista irlandesa que recomiendo enfáticamente: Claire Keegan.
I saw that you built an anthology of Argentine poetry. What poetry is read today in Argentina, what are the dominant themes? What role does an author like Jorge Luis Borges, in Italy well known and translated?
No publiqué una antología de poesía argentina, sino cuatro. Tengo la impresión que, respecto de otras naciones de Latinoamérica, los argentinos no hemos sabido promocionarnos bien porque, cuando uno sale del país, nota que lo que se conoce es muy poco. Estoy seguro que si yo te menciono a Joaquín O. Giannuzzi, Francisco Madariaga, Alberto Girri, Arnaldo Calveyra o Juan José Saer, por decir algo, ni vos ni tus lectores sabrías quiénes son, y se trata de algunos de los más grandes poetas de Argentina de todas las épocas. Para tu sorpresa, Borges no tiene, como poeta, la menor importancia en la Argentina. Su poesía siempre fue percibida como demasiado elocuente y “literaria”. Por lo tanto, para la mayoría de los poetas argentinos fue un ejemplo por su prosa, no por su poesía que no resultó nada influyente.
Ahora bien, la riqueza de la poesía argentina es enorme y estoy seguro de que en Italia se sabe muy poco de eso. En general, la pereza y la ignorancia –una mala combinación– nos ubica en un conjunto informe que se llama “poesía latinoamericana”, a su vez incluido en otro conjunto más informe todavía que se llama “poesía española”. El problema es que la prosodia latinoamericana se separó de la española hace más de un siglo y casi no hay contacto entre los poetas de una y otra margen del Atlántico. Luego, cada país de Latinoamérica tiene su propia historia y sus propias tradiciones: no es lo mismo un poeta cubano, que tiende naturalmente al barroco, que un poeta chileno, con propensión a la épica. Son características que, en general, el término “latinoamérico” tiende a borrar. Es como si uno pensara que la “poesía europea” incluye en igualdad de condiciones a un inglés, un alemán y a un albanés. Son tradiciones distintas, profundizadas por idiomas distintos. Pero el idioma común tiende a engañar.
I am curious about the title of one of your books, ‘Cómo se ordena una bilbioteca’. How was the idea of ​​a similar book born?
Cómo se ordena una bilbioteca es el primer volumen de una colección que dirijo para la editorial chilena LOM. La idea surgió a partir de las distintas estrategias que personas muy diferentes se plantean a la hora de ordenar sus libros. Yo tengo muchos, con los consiguientes problemas logísticos que eso implica. Entonces quise saber cómo hacían otros escritores, editores, traductores, historiadores, antropólogos, arqueólogos, científicos y, al menos, dos directores de bibliotecas nacionales (de Argentina y México). En ese libro soy complilador de esas ideas.
The title of one of your poetry books fascinates me: ‘Imperio de la luna’. What does it mean? What kind of poetry do you like to read?
Imperio de la luna tiene que ver con dos cosas: hace muchos años leí un poema de Wallace Stevens (“Domination of Black”), que, por alguna extraña razón, el traductor había elegido titular “Imperio del negro”. No se trata de un “imperio” en el sentido de la definición formal, sino de algo que está por encima de todo y en todas partes. Y la luna, omnipresente en mis poemas de esa época (de todas las épocas), se me imponía. Por eso decidí llamar al libro de ese modo.
Are you also interested in Italian culture? What idea do you have of Italian literature?
Durante buena parte de mi juventud leí a muchos autores italianos. Pavese, hasta el día de hoy, sigue siendo uno de mis escritores favoritos. Luego, Ungaretti, Montale, Quasimodo siempre me importaron. Por supuesto que leí todo lo que podía en ese entonces: Papini, Guareschi, Bepe Fenoglio, Natalia Guinzburg, Pasolini, Svevo, Moravia, etc. Después, cuando dejé de leer novela en general (sólo leo estilistas y pocos), Italia se me redujo a la poesía. En los últimos años leí con mucho gusto a Patrizia Cavalli, a Valerio Magrelli (a quien tuve el gusto de conocer hace años y con quien todavía sigo en contacto) y a muchos otros poetas que traduce diligentemente Jorge Aulicino, uno de los mejores poetas argentinos y un gran traductor del italiano, y que publica en su blog Otra iglesia es imposible. Seguramente todo esto es poco, pero uno tiene apenas una vida, ¿no?
…and now, what are you writing, what are you working on?
Nunca trabajo en un único proyecto. Escribo poemas, pero no soy prolífico. Publicó un libro cada 10 años, más o menos. En 2016 salieron mis poemas reunidos y allí incluí dos libros inéditos. Ahora, para mi sorpresa, estoy escribiendo otro tipo de poesía, y no me quejo. Escribo además un libro sobre Dublín, para la editorial española Pre-Textos y traduzco varios libros: acabo de terminar Dead as Doornails, una memoir de la vida literaria en Dublín y Londres en los años cincuenta, de Anthony Cronin; ahora mismo estoy con una edición anotada de los Tres cuentos, de Gustave Flaubert; me espera un libro de poemas del irlandés Michael O’Laughlin, una memoir del galés Patrick Macguire,  Y en los ratos de ocio, termino una Breve historia de la poesía argentina contemporánea, que empecé hace unos diez años. Planes tengo muchos, tiempo muy poco, dinero poquísimo.
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