#Galleria Arte Moderna Roma Capitale
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OSVALDO PERUZZI: Splendore geometrico futurista
Osvaldo Peruzzi è stato uno degli ultimi futuristi che dopo la stagione eroica dell’aeropittura ha rivolto lo sguardo all’idealismo cosmico e a preludi astratti
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Latina, altra opera di Cambellotti concessa in prestito. Il sindaco Celentano: "La cultura non ha confini"
Latina, altra opera di Cambellotti concessa in prestito. Il sindaco Celentano: "La cultura non ha confini". All'indomani del documentario "Duilio Cambellotti, arte senza fine", andato in onda su Rai 5, la giunta del sindaco Matilde Celentano ha concesso in prestito un'opera dell'artista alla mostra "Appia Moderna". Si tratta del disegno "Tre finaletti: teschio di capra, teschio di bue, spiga", realizzato da Cambellotti nel 1923. L'opera, conservata nell'omonimo museo civico, mostra l'attenzione all'osservazione dei dettagli per il mondo animale e della natura durante tutto il suo percorso artistico vissuto anche nell'Agro Pontino. Il disegno sarà esposto dal 19 maggio al 13 ottobre 2024 nell'esposizione organizzata dal Parco Archeologico dell'Appia Antica di Roma. "L'amministrazione comunale ha tra i suoi obiettivi strategici – ha affermato il sindaco Celentano - quello di perseguire una politica culturale, che attribuisce all'arte un valore strategico per la crescita sociale ed economica della popolazione, del territorio e considera il patrimonio culturale un'importante risorsa da salvaguardare, sostenere, valorizzare e promuovere. Il prestito delle opere d'arte contribuisce al raggiungimento di queste finalità. A settembre abbiamo concesso alla Galleria nazionale di Arte Moderna e Contemporanea l'Annunciazione di Pippo Rizzo, appartenente al patrimonio del Comune di Latina. Visitando la mostra, ho avuto modo di verificare il grande potenziale di questo tipo di operazioni. Ritengo che la cultura non abbia confini. Per una città, come la nostra, finalista del concorso nazionale Capitale Italiana della Cultura 2026, il prestito delle opere d'arte rappresenta un punto di forza". "Tornando all'artista Duilio Cambellotti, in questo periodo è al centro di diverse iniziative culturali. Già a gennaio, infatti, ci sono stati richiesti due disegni, il Prospetto e l'Assonometria de 'La grande capanna artistica' del 1911. Li abbiamo concessi in prestito e saranno esposti a Genova dal 24 aprile al primo settembre 2024 con la mostra 'Nostalgia. Storie ed espressioni di un sentimento'. A seguire sarà l'opera concessa in prestito con la delibera di oggi ad essere apprezzata nella rassegna romana. Ieri sera è andato in onda, con un'iniziativa di Rai Cultura, il documentario su Cambellotti, scritto e diretto da Claudia Pampinella e prodotto da 'D4 srl'. Un ottimo lavoro, seguito da un pubblico variegato e interessato. Mi complimento con la regista".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Dal 9 febbraio al 26 maggio 2024, Palazzo Merulana, residenza della Fondazione Elena e Claudio Cerasi gestita da CoopCulture, si trasforma in uno scrigno di arte con "Antonio Donghi. La Magia del Silenzio", una mostra curata con maestria da Fabio Benzi. L'evento, prodotto da CoopCulture e sostenuto come main sponsor da UniCredit, presenta un'affascinante collezione di 16 opere di Donghi, provenienti dalla straordinaria raccolta esposta a Palazzo De Carolis. Il contributo della Regione Lazio e il patrocinio di Roma Capitale completano il quadro di un'esposizione imperdibile. Antonio Donghi, eminente interprete del realismo magico in Italia, ha catturato l'immaginario collettivo con la sua fusione di astrattismo e realismo. Dopo un lungo silenzio critico, negli anni ottanta la sua opera ha riacceso l'interesse degli studiosi e del pubblico, conquistando un posto di rilievo nelle rassegne internazionali degli anni venti e trenta. La mostra si propone di esplorare non solo le fonti culturali eclettiche che hanno ispirato Donghi, ma anche il ruolo fondamentale svolto dalle collezioni pubbliche romane nel far conoscere e diffondere la sua arte. Gli affascinanti nuclei espositivi provenienti da istituzioni come la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, la Banca d’Italia, la collezione UniCredit, e la Fondazione Elena e Claudio Cerasi, narrano l'intero percorso artistico dell'artista. Oltre trenta opere, predominantemente acquisite durante le principali mostre del tempo, si uniscono in un racconto visivo unico. La mostra, in particolare, approfondisce il ricco patrimonio pittorico della Fondazione Elena e Claudio Cerasi, che vanta capolavori come "Lavandaie" (1922-23), "Gita in barca" (1934), e "Piccoli saltimbanchi" (1938). Questi dipinti rivelano l'evoluzione artistica di Donghi, un genio chiuso e difficile, ma al contempo creatore di opere intrise di un'atmosfera sospesa e dense di interrogativi. La mostra "Antonio Donghi. La Magia del Silenzio" si configura come un passo fondamentale per approfondire la comprensione del ruolo, del metodo e delle aspirazioni di un artista che ha lasciato un'impronta indelebile nell'arte italiana.
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Arturo Schwarz, viene voglia di cominciare il racconto della sua vita con l'incipit di Cent' anni di solitudine di Gabriel García Márquez: «Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato...». Cosa pensava lei, in quella primavera del 1949, prima di salire sul patibolo in Egitto?
«Patibolo, esatto. Non mi aspettava un plotone, ma il nodo scorsoio: mi avevano condannato all' impiccagione lasciandomi tutto il tempo per riflettere sugli anni vissuti fino ad allora, 25, pochi ma intensi. Da tempo sapevo in cosa credevo e cosa volevo dalla vita. Come disse lo scultore Constantin Brancusi: "Tutte le mie opere sono databili dall'età di quindici anni". Per me, forse, da prima ancora».
Riavvolgiamo il nastro: com'era finito un italiano, quasi settant' anni fa, in una galera egiziana con la pena capitale pendente sulla testa? E com' è che oggi, a 94 anni, è qui, di fronte a noi, nella sua casa di Milano, zeppa di capolavori e libri, con una moglie giovane e bella, Linda, a raccontarcelo?
«Sono nato ad Alessandria d'Egitto da padre tedesco di Düsseldorf e da madre milanese, Margherita Vitta, figlia di un colonnello dell' esercito italiano. Entrambi ebrei. Si conobbero lì e si sposarono. Avevo la doppia cittadinanza ma nel 1933, con l'ascesa di Hitler al potere, rinunciammo a quella tedesca e mio padre, separatosi da mia madre e trasferitosi al Cairo, mi vietò di rivolgermi a lui nella sua lingua madre.
Non feci fatica: mi sentivo italiano, studiavo in scuole prima inglesi e poi francesi, e avevo una naturale repulsione per la Germania. Mio padre era influente in Egitto: aveva inventato la formula per disidratare le uova e le cipolle, dando un grande impulso alle esportazioni di un Paese esclusivamente agricolo.
Nel '38, a 14 anni, ero già trotskista. Con un paio di amici copti e uno musulmano, io, ateo, fondai la sezione egiziana della Quarta internazionale, voluta da Lev Trotskij da poco riparato in Messico. Aspetti, le mostro una reliquia che ha segnato tutta la mia lunga esistenza...».
(Si alza, stacca dalla parete un quadretto e me lo mostra) Ma questo è il biglietto da visita di Trotskij. Lo ha incontrato?
«Me lo fece avere dal poeta Benjamin Péret. Doveva essere il lasciapassare per il mio viaggio in Messico. Due mesi prima della partenza, però, i sicari di Stalin lo assassinarono e io decisi di dedicare la mia esistenza ad affermare le sue idee. Nel frattempo era scoppiata la Seconda guerra mondiale ed entrai, come volontario, nella Croce Rossa. Ero ad El Alamein a caricare i feriti sulle ambulanze, italiani o inglesi che fossero, e mi presi qualche scheggia nel polpaccio.
Di notte scrivevo poesie, come ho fatto per tutta la vita. Mandai le prime ad André Breton. Avevo letto il Manifesto del surrealismo ed avevo chiesto all' ambasciata di Francia al Cairo chi fosse questo Breton. Dissero che faceva lo speaker di Radio France Libre a New York. La risposta mi giunse sei mesi dopo, sfidando l'Atlantico infestato dagli U-Boot nazisti. Cominciò allora a trattarmi come fosse un padre. Mi incoraggiava, mi coccolava quasi. Finita la guerra mi iscrissi a medicina ma non dimenticai Trotskij».
Fu per causa sua che venne arrestato?
«Sì, aprii una libreria e cominciai a pubblicare i suoi libri in Egitto. All'alba di una mattina del gennaio 1947, la polizia irruppe in casa mia. Ero accusato di sovversione. Regnava Re Farouk. Da giovane sembrava potesse diventare un governante illuminato ma si rivelò un despota crudele.
Aveva abbandonato persino le buone maniere, a tavola mangiava come un animale, per dimostrare che a lui tutto era concesso. Mi trascinarono nella prigione di Hadra e mi rinchiusero nei sotterranei, in una cella piccola, senz' aria, solo con topi e scarafaggi. Dopo qualche settimana cominciarono le torture, mi strapparono le unghie dei piedi, causandomi la cancrena e la perdita di un dito, ma non parlai. Non era comunque necessario, perché l' amico musulmano spifferò tutto, raccontò della cellula trotskista, della nostra visione del mondo, dei contatti internazionali.
Mi trasferirono al campo di internamento di Abukir, dove venni a sapere della condanna a morte. Non la eseguirono subito perché servivo loro come ostaggio. Era scoppiata la guerra arabo-israeliana, e io ero ebreo. Dopo due anni di prigionia, l' impiccagione venne fissata per il 15 maggio, ma poche settimane prima Egitto e Israele firmarono l'armistizio. Negli accordi era prevista la liberazione dei prigionieri ebrei detenuti in Egitto.
Una mattina mi rasarono, lasciandomi credere che di lì a poco sarei salito sul patibolo. Invece mi accompagnarono al porto e mi imbarcarono su una nave diretta a Genova con il foglio di via e stampato, su tutte le pagine del passaporto, "Pericoloso sovversivo - espulso dall' Egitto". Così com' ero, senza poter rivedere i miei genitori, né procurarmi un ricambio d' abito».
Come le apparve l'Italia, quando sbarcò a Genova?
«Il paradiso terrestre. Raggiunsi Milano e trovai lavoro da un ebreo, Marcus, che aveva un ufficio d' import-export dietro al Duomo. Allora nessuno conosceva bene l'inglese e il francese. Appena possibile, una notte presi il treno per Parigi. Alle sei del mattino salii su un taxi, lasciai la valigia in un albergo di quart' ordine, e bussai alla porta di 42 rue Fontaine, a Montmartre. Aprì Breton, lo vedevo per la prima volta, ma mi abbracciò come fossi un vecchio amico.
L'appartamento era piccolo, il letto in un angolo e ogni spazio occupato da oggetti e opere d' arte. Sul muro, in fondo, occhieggiava una raccolta di bambole Hopi. Nello studio, straordinarie sculture africane e, sotto la finestra, La boule suspendue di Alberto Giacometti. Alle pareti, Giorgio De Chirico, Marcel Duchamp, Yves Tanguy, Max Ernst, Man Ray, Dalí... Salvador Dalí non mi è mai piaciuto, non era dei nostri, era Dalí e basta. Come, da trotskista, non ho mai accettato l' approccio commerciale di Pablo Picasso».
Quando decise di tornare a fare il libraio, l'editore e poi il gallerista?
«Un fratello di mia mamma, direttore di una filiale della Comit, mi fece avere un piccolo fido. Pubblicavo libri difficilmente commerciabili, giovani poeti e saggistica: Breton, Einstein e, soprattutto, Trotskij. Mandai in stampa La Rivoluzione tradita con una fascetta gialla: "Stalin passerà alla storia come il boia della classe operaia". Sa cosa accadde? Me lo confidò, tempo dopo, Raffaele Mattioli, amministratore della Comit e uomo di grande cultura.
Lo chiamò personalmente Palmiro Togliatti, chiedendogli di togliere il fido "alla iena trotsko-fascista di Schwarz". Così finì la mia prima esperienza di editore: per rientrare dovetti vendere tutto il magazzino a meno del 10% del prezzo di copertina e anche la libreria rischiò di chiudere. Per sopravvivere, cominciai a organizzare mostre di incisioni, acqueforti e libri illustrati dagli artisti.
Mi aiutarono molto Carlo Bo, Raffaele Carrieri, Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo e molti altri amici. Non potendomi permettere l' arte contemporanea che andava per la maggiore (e nemmeno m' interessava), decisi di sfidare la legge capitalistica della domanda e dell' offerta: recuperai il Dadaismo e il Surrealismo che nessuno voleva. Feci uscire dalle soffitte le opere di Marcel Duchamp, che da tempo si era ritirato e non era più interessato ad esprimersi artisticamente. Con lui il rapporto fu meraviglioso: presi lezioni di scacchi dal maestro Guido Capello per un anno intero per poter giocare contro di lui. Rimase imbattibile, ma qualche soddisfazione riuscii a togliermela».
Poi, una mattina del 1974, senza avvisare nessuno, chiuse la sua galleria, ormai divenuta mitica, per dedicarsi agli studi di arte, di alchimia, di kabbalah. Cominciò a collocare (spesso donandole), in giro per il mondo, le sue collezioni. Sentiva il bisogno di prendere le distanze dal passato?
«No. E poi non le chiami collezioni, è una parola che non mi piace. Sentivo il bisogno di trasmettere un patrimonio senza smembrarlo. Resto trotskista e surrealista, ho venduto opere d' arte, ma ne ho anche donate moltissime, chiedendo in cambio che fossero trattate in maniera scientifica: catalogate, documentate, fatte sopravvivere, insomma. Del denaro non ho mai fatto una necessità, ho sempre cercato di sfuggire alla logica del suo dominio. Tutto questo ha a che fare anche con gli studi alchemici e cabalistici. Mica andavo cercando l' oro materiale, cercavo quello spirituale».
L' Italia, come ha detto lei, è stata il suo «paradiso terrestre», però molte delle sue opere sono finite in musei all' estero. Come mai?
«Un migliaio sono in quattro grandi musei internazionali, però un consistente nucleo di opere surrealiste e dada sono alla Galleria d' Arte Moderna di Roma. Non ha idea di quanto sia stato difficile. La burocrazia italiana è un nemico spietato: devi giustificarti per il tuo atto di liberalità, vissuto quasi con sospetto, mentre lo Stato non fornisce garanzie di corretta gestione. Mi sono anche visto rifiutare la donazione dei testi dada e surrealisti. Qualcuno pare li abbia definiti "robaccia pornografica". Li ho così regalati a Israele»
Per cosa combatte ora il trotskista Arturo Schwarz?
«Per l' amore di Linda. Così come ho amato la mia prima moglie, Vera, strappatami vent' anni fa da un tumore. E per un soffio d' aria fresca e pulita, un bisogno lasciatomi da quei mesi passati nei sotterranei di una prigione egiziana»
[Pier Luigi Vercesi]
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Gli Imperiali e l'arte. Uno studio sul collezionismo in Terra d'Otranto
Castello-Residenza Imperiali, Francavilla Fontana (Foto Alessandro Rodia)
di Mirko Belfiore
L’edificio che più di tutti testimonia il potere degli Imperiale nel Salento è sicuramente il Castello-residenza di Francavilla, sede di una delle corte fra le più vivaci dell’area. Sopravvissuto alla caduta del potere feudale e divenuto fra il XIX e il XX secolo, sede del potere civile, Esso è stato recentemente sottoposto a un importante progetto di recupero. Ristrutturato nelle linee architettoniche quanto negli ambienti interni, ciò che si sta delineando per questo edificio è un nuovo ruolo da protagonista come contenitore culturale cittadino, progetto che ha avuto come prima tappa la realizzazione del polo museale archeologico del MAFF.
Il visitatore che percorre queste stanze rimane piacevolmente entusiasmato dalla vista di una moltitudine di elementi che nel corso dell’età moderna hanno portato questo complesso a trasformarsi da rocca fortilizia cinquecentesca a dimora nobiliare: la Sala del camino, il loggiato barocco, l’importante atrio d’ingresso con l’elegante scalone monumentale, l’imponente ballatoio interno, gli affreschi della cappella gentilizia e il caratteristico fossato, antico luogo di “delizie” floreali.
Si volesse trovare il lato negativo nell’analisi delle opportunità offerte da questo interessante luogo, unico nel suo genere anche per il contesto in cui si trova, questo lo possiamo riscontrare nella totale assenza di quelle testimonianze artistiche, arredi o suppellettili che durante i secoli XVII e XVIII, si disponevano nei diversi vani e di cui oggi poco o nulla è rimasto.
La prova che all’interno di questo edificio fosse presente un cospicuo numero di manufatti, anche di un certo valore e fattura, non è il risultato di ricostruzioni a posteriori o ipotesi azzardate, ma è l’esito di un’analisi approfondita di alcuni degli inventari notarili fatti redigere dai principiali membri di Casa Imperiali. In queste importanti carte ritroviamo una consistente lista di oggetti d’arte, opere cartacee e mobilio di pregio, tutti facenti parte di un’importante collezione creata durante i due secoli di governo della famiglia in Terra d’Otranto e disposta non solo in questo luogo ma in altre residenze di proprietà.
Tramite la lettura di questi elenchi possiamo comprendere non solo l’entità del patrimonio immobiliare che la famiglia accumulò, successivamente vittima di smembramenti e dispersioni, ma cogliere anche importanti informazioni sul gusto e sulle scelte di indirizzo artistico che essi perseguirono. A seconda delle opportunità presentatesi, Essi poterono accaparrarsi capolavori provenienti da tutt’Italia, chiamare a servizio maestranze provenienti dalla madre patria genovese, servirsi dell’operato di artisti di grido della scena napoletana o romana, contesti che fra l’altro ben conoscevano, o impiegare artisti facenti parte della vivace scuola pittorica locale, creatasi all’ombra del loro mecenatismo.
Prima di avventurarci nella lettura dei numerosi inventari di Casa Imperiale a noi pervenuti, argomento dei prossimi articoli, trovo illuminante fare chiarezza sulle dinamiche che hanno portato alla realizzazione di queste interessanti raccolte.
Lo studiolo di Federico da Monetefeltro a Urbino (XV secolo)
Decifrare in poche righe il “mestiere” del collezionista non è un proprio un compito facile, visto che lo stesso rimane un percorso affascinante e dai mille risvolti, che nella scena italiana trova numerosissimi spunti e approfondimenti. Tentando di tracciare alcune linee guida, possiamo rimandare alla seconda metà del Quattrocento, durante quel periodo passato alla storia come il Rinascimento, il punto di svolta per la nascita di alcune delle più famose collezioni d’arte.
Tutto ebbe inizio nelle dimore principesche di alcune città del Nord Italia, sedi di corti sfarzose, e dove uomini e donne di alta caratura, amanti di qualsiasi tipo di espressione artistica, fecero realizzare dei piccoli ambienti privati: gli studioli o camerini. Quivi, immersi fra volte affrescate o arredamenti dai pregevoli intarsi lignei, si trovavano gelosamente custoditi un numero impressionante di manufatti: dipinti, sculture, opere in porcellana, gemme preziose, monete antiche e tutto ciò che incuriosiva o accarezzava la curiosità del nobile proprietario. Questo era un luogo intimo e riservato, perfetta sintesi dello status, del carattere personale e degli interessi del committente e dove lo stesso poteva coltivare le proprie passioni nei momenti di riflessione dalle fatiche del quotidiano. Fra i più celebrati ricordiamo quello di Federico di Montefeltro a Urbino, Isabella d’Este a Mantova, Francesco I de’ Medici a Firenze e Alfonso I d’Este a Ferrara. Tutto ciò, naturalmente, era a uso e consumo esclusivo del proprietario di casa, il quale poteva decidere di aprire la visita di questo luogo alla sua cerchia ristretta o consentire visite a personaggi di una certa importanza e di passaggio come potenti, diplomatici o ecclesiasti. Con la realizzazione di questi spazi si delinea un vero e proprio passaggio di consegne fra l’ambiente monastico, fino allora principale tenutario di tutto ciò che era sapere e arte, a quello umanistico, nuovo luogo di sviluppo e proliferazione del clima intellettuale dell’epoca.
Questo percorso vide un decisivo sviluppo nel periodo a cavallo del XVI e del XVII secolo, quando quel piccolo spazio andò a trasformarsi in un ambiente più ampio, più sontuoso e aperto al pubblico: la galleria. Si decise che l’espressione artistica doveva diventare anche e soprattutto esaltazione del potere raggiunto, dove il padrone di casa, nobile o arricchito che fosse, potesse mettere in mostra i propri “muscoli” ostentando la ricchezza, il ruolo politico e il livello del bagaglio di conoscenze culturali e filosofiche raggiunte.
In Italia, gli esempi di questo genere si sprecano. Non si possono non conoscere le vicende di corti principesche dagli echi leggendari come quelle sviluppatesi a Mantova con i Gonzaga, a Ferrara con gli Estensi, a Milano con gli Sforza, a Firenze con i Medici e a Roma con i vari papi saliti al potere, dove artisti dai nomi celebri vennero protetti da mecenati altrettanto celebri come Lorenzo il Magnifico, Vincenzo I e Ferdinando Gonzaga, papa Giulio II o Ludovico il Moro. Questi personaggi ben conoscevano il massaggio che questo genere di opere veicolava, tale da poter garantire una più rapida ascesa nel consenso.
Questa trasposizione di valori avvenne più velocemente e in maniera più diffusa nell’ambito dell’Italia centro-settentrionale, rimanendo inizialmente più anonimo nel contesto meridionale. Persino in un centro importante come Napoli, una città fra le più grandi e popolose dell’epoca, capitale del Regno sia in età angioina che in quella aragonese, non si rintraccia una collezione regia valevole di questo nome. Questa mancanza si rifletteva sicuramente sulle nobiltà partenopea quanto su quella sparsa nelle province periferiche, le quali senza un modello da imitare, non si posero mai il problema o l’obiettivo di realizzare tali raccolte, con tutti i risvolti poc’anzi elencati. Sia chiaro, non che mancassero uomini di cultura, mecenati o artisti di grido, ma la “febbre” del collezionismo mancava ancora di quella spinta che arriverà solo fra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento.
Ciò che scaturì in questo frangente fu una sorta di scontro fra le numerose sollecitazioni esterne e la nascita di una specificità culturale, dibattito che ebbe come risultato l’esplosione di una vera e propria stagione artistica, carica di novità e originalità. Il punto di non ritorno può essere fatto risalire alla diffusione delle disposizioni scaturite dal Concilio di Trento e dal successivo movimento controriformato, evento epocale che dalla seconda metà del XVI secolo ebbe un’influenza diffusa in tutti i campi dello scibile umano. Tutto ciò si tradusse in arte in quella esperienza culturale passata alla storia come Barocco e della quale sempre Napoli fu una delle massime interpreti.
Concilio di Trento, incisione (1545-1563)
Al sorgere del XVI secolo, il Regno di Napoli era entrato ufficialmente a far parte dei domini spagnoli, e con l’istituzione del Vicereame, tutto il Meridione si ritrovò inserito nel composito Sistema imperiale iberico. Questa nuova condizione non si tradusse in una completa subordinazione alla Spagna asburgica, grazie anche al governo di alcune figure di rilievo come il Viceré Don Pedro de Toledo che contribuì alla diffusione di una certa vivacità in tutti i campi, fra i quali la cultura.
Ritratto di Don Pedro Álvarez de Toledo con le insegne dell’Ordine di Santiago(Tiziano Vecellio, 1542, Monaco di Baviera, Alte Pinakothek)
L’influenza dell’autorità spagnola, la Controriforma e la massiccia affluenza di genti straniere (fiamminghi, castigliani, toscani e soprattutto genovesi) spostarono sempre di più il baricentro della tradizione partenopea verso una soluzione molto più internazionale. In campo artistico fu paradossalmente sotto una dominazione come quella iberica, che la città conobbe un periodo di ricchezza e prosperità. Questa venne contraddistinta da una maturazione artistica senza precedenti che sfociò in un linguaggio riconoscibile in architettura, nelle decorazioni marmoree, negli stucchi e anche in pittura, grazie alla nascita di una maniera raffinata e fastosa che ben si sposò con l’animo passionale partenopeo. Volendo cogliere gli effetti scatenanti di questa nuova stagione, si possono identificare due eventi nodali.
Le sette opere di Misericordia (Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, 1606-1607, olio su tela, Napoli, Quadreria del Pio Monte della Misericordia)
In primis, tutto l’ambiente partenopeo venne sconvolto dall’energia cupa e dall’estremo naturalismo dell’artista lombardo Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, presenza che diede un ulteriore spinta alle trasformazioni già in atto. Questi, in fuga da Roma per l’omicidio del rivale Ranuccio Tomassoni da Terni, si rifugiò a Napoli in due occasioni, nei bienni 1606-1607 e 1609-1610, venendo assoldato da committenze partenopee per la realizzazione di alcuni dipinti, vista la grande fama di artista rivoluzionario e dannato.
Ritratto del Cardinale Filomarino (Giovan Battista Calandra, 1642, olio su tela, Napoli, Chiesa dei Santi Apostoli)
Il secondo grande contributo lo possiamo ricondurre alla comparsa in città di alcune figure di notevole carisma come il Cardinale Ascanio Filomarino, potentissimo vescovo di Napoli dal 1641 al 1666 e il fiammingo Gaspar de Roomer. Il primo fu un riconosciuto protettore delle arti e facoltoso collezionista, mentre il secondo era un ricchissimo mercante giunto a Napoli da Anversa nel 1634, e proprietario di una notevole raccolta di dipinti che annoverava più di 1500 tele. A tutto ciò va aggiunta la fervente attività dei vari ordini mendicanti, figli dell’azione controriformata e attivi in città già dalla fine del XVI secolo.
Queste circostanze diedero l’opportunità ai pittori locali, in alcuni casi già tecnicamente validi, di poter essere presi in considerazione in misura maggiore dalla committenza napoletana. Quest’ultima, naturalmente, non smise mai di accaparrarsi i servigi artistici di maestri provenienti da lontano come Guido Reni (documentato in città nel 1612 e nel 1621-22), Domenichino (presente in città fra il 1631 e il 1641 per dipingere la Cappella del Tesoro di San Gennaro nel Duomo) e Lanfranco (attivo a Napoli fra il 1634 e il 1646), o di accaparrarsi testimonianze pittoriche di artisti stranieri fiamminghi quotati come il Rubens o il Van Dick. Essa incominciò a prendere in considerazione gli artisti della scuola locale, i quali avevano dimostrato di aver maturato una nuova maniera pronta a rispondere alle loro esigenze.
Il Paradiso, particolare della cupola (Domenichino, Giovanni Lanfranco, pittura a fresco, 1630-1643, Napoli, Real cappela del Tesoro di San Gennaro)
Questa azione congiunta diede una spinta rivoluzionaria, tale da alimentare quella splendida stagione artistica che contraddistinguerà Napoli durante tutto il Seicento e buona parte del Settecento e che non si limitò ad essere solamente una copia del caravaggismo e dei suoi interpreti più importanti, ma che possedeva la forza di trasformarsi in una fucina creativa molto prolifica. Fra gli artisti che per primi reinterpretarono la lezione caravaggesca troviamo i nomi di Battistello Caracciolo, Artemisia Gentileschi, Jusepe de Ribera, Belisario Corenzio e per i quali venne coniato il termine di “tenebrosi”, epiteto assegnatogli per il potente iperrealismo e l’uso di toni cupi e pacati. Se l’arrivo del Merisi fu l’ascendente sugli artisti della prima metà del secolo, i restanti cinquanta furono condizionati dai traumi della grande peste del 1656, tragico evento che decimò violentemente la popolazione napoletana. Le reazioni a questo avvenimento fecero emergere una decisa avversione al precedente realismo, soluzioni che portarono all’utilizzo di quell’acceso cromatismo di derivazione veneta che andò a illuminare a giorno i colori tenebrosi e gli sfondi scuri delle realizzazioni precedenti. Gli artisti protagonisti e principi di questa stagione furono sicuramente: Luca Giordano e Francesco Solimena, senza dimenticare Mattia Preti e Paolo de Matteis.
Rappresentazione della peste del 1616 (Carlo Coppola, XVII secolo, olio su tela, Napoli, Museo di San Martino)
Nella capitale partenopea si diffuse quella carica innovativa che oltre a trovare terreno fertile in città, seppe diffondersi capillarmente nelle aree periferiche del regno che, rotte le prime resistenze, non fecero altro che uniformarsi alla nuova tendenza. Ai confini di questo fenomeno emerse nella sua particolarità il territorio salentino, dove si svilupperà una cultura figurativa che coinvolgerà tutte le arti maggiori e che prese il nome di “Barocco leccese”.
L’ambiente pugliese, molto tradizionalista, rimase inizialmente arroccato sulle proprie tradizioni tardomanieriste di ambito veneto, vere e uniche protagoniste dei primi vent’anni Seicento, favorite dalla presenza continua e costante, soprattutto nelle aree del barese e del brindisino, di quei mercanti veneti in viaggio da e verso la Serenissima. Il punto di svolta arriva nel terzo decennio, allorquando incomincerà a farsi spazio la spinta incontenibile del nuovo gusto napoletano, il quale decreterà con le sue novità una vera e propria rivoluzione.
Annunciazione (Artemisia Gentileschi, 1630, olio su tela, Napoli, Museo di Capodimonte)
Basta elencare le numerose testimonianze dirette di tutti i dipinti che con abbondanza giunsero in Puglia dalle botteghe di pittori affermati e attivi a Napoli come Pacecco de Rosa, Andrea Vaccaro e Jusepe de Ribera, tendenza che continuerà durante tutto il Settecento con le opere di Luca Giordano, Francesco Solimena e Mattia Preti. In aggiunta a ciò, vanno registrati i soggiorni di artisti che a Napoli si formeranno ma che in Puglia troveranno importanti committenze come: Paolo Finoglio a Conversano, Francesco Guarini a Gravina e Cesare Fracanzano a Barletta. Infine, il meglio della pittura pugliese attiva più o meno stabilmente nella regione, fu totalmente influenzata dalla maniera napoletana. Questa tendenza fu incrementata dal fenomeno cosiddetto degli “artisti vicari” e che portò molti artisti delle provincie a spostarsi verso Napoli per apprendere uno stile affermato e prestigioso. Questi poi, ritornando nei luoghi d’origine, diffusero il nuovo “verbo” accaparrandosi le committenze della nobiltà locale desiderosa dei lori servigi.
Il giudizio di Salomone (Francesco Solimena, 1707, olio su tela, collezione privata)
Ciò fu possibile in maniera evidente in Puglia, dove la nobiltà trovava negli artisti locali una risorsa a buon mercato e molto più incline ad accontentare i propri voleri e i propri capricci.
In Terra d’Otranto e a Francavilla in particolare, gli esempi più rilevanti sono da ricondurre ad alcuni artisti: Domenico Antonio Carella, presente in numerosi centri del barese, del brindisino e del tarantino, Ludovico delli Guanti e la sua bottega, molto attivo a Francavilla, i fratelli Bianchi di Manduria o i maestri cartapestai Pinca e Zingaropoli.
Questa specie di “provincializzazione” o riduzione allo standard napoletano non deve essere letta come una discesa a un livello inferiore perché, mediante il tramite partenopeo, la cultura figurativa pugliese si spostò verso: “una scena ben più ampia e organica di quella alto adriatica e greco bizantina, permeata ancora da influenze lombarde e toscane tutto sommato minori che per decenni erano stati i principali stimoli esterni di differenziazione e di originalità rispetto alle restanti aree meridionali fino a tutto lo stesso periodo umanistico” (G.Galasso).
Basilica di Santa Croce a Lecce, particolare del rosone, massimo esempio del barocco leccese.
Tutto ciò fu possibile perché la feudalità pugliese non ricevette dall’autorità spagnola duri colpi come nelle altre zone del Meridione. Anzi, antiche e nuove famiglie come gli Acquaviva di Conversano, gli Orsini di Gravina, i Carafa d’Andria e i Caracciolo di Martina Franca, insieme agli Imperiali di Francavilla, raggiunsero proprio nel XVII secolo, il culmine della loro fortuna. Essi incrementarono il loro collezionismo privato commissionando cicli pittorici e creando consistenti quadrerie da inserire nei sontuosi palazzi di proprietà. Questi dovevano essere arredati secondo una vera e propria parata ufficiale, tanto da assomigliare palesemente alle fastose dimore partenopee, sia che questi si trovassero nella provincia più sperduta quanto nella centralissima Napoli.
Collezioni sterminate che avevano una collocazione ben precisa, e che nel caso degli Imperiali erano disseminate lungo le numerose proprietà di famiglia, dal nucleo feudale francavillese fino ai palazzi di Latiano, Manduria o Avetrana, senza dimenticare le dimore stagionali di Massafra, Carovigno e Mesagne, tutti luoghi dove questi manufatti era disposti con attenzione e cura e che proprio tramite la lettura degli inventari notarili possiamo tentare a riordinare.
(Continua)
Palazzo Imperiali-Filotico di Manduria e Palazzo Imperiali di Latiano
BIBLIOGRAFIA
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G. Labrot, Baroni in città. Residenze e comportamenti dell’aristocrazia napoletana 1530-1734, ed. Società Editrice napoletana, Napoli 1979.
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A. Foscarini, Armerista e notiziario delle Famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra D’Otranto (oggi province di Lecce, Brindisi e Taranto) estinte e viventi, edizioni A. Forni, Bologna 1971.
L. Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, editori Vincenzo Manfredi e Giovanni de Bonis, Napoli 1797-1805, ristampa anastatica Bologna 1969-1971, libro IV.
G. Coniglio, I viceré Spagnoli di Napoli, Ed. Fausto Fiorentino, Napoli 1967.
P. Palumbo, Storia di Francavilla Fontana, Lecce 1869, ristampa anastatica, ed. Arnaldo Forni, Bari 1901.
#Ascanio Filomarino#Domenico Antonio Carella#famiglia Imperiale#Francavilla Fontana#Gaspar de Roomer#Ludovico delli Guanti#Mirko Belfiore#Arte e Artisti di Terra d'Otranto#Paesi di Terra d’Otranto#Spigolature Salentine
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La cultura non si ferma e mai lo farà. Lo abbiamo dimostrato nei scorsi mesi quando, durante l’emergenza Coronavirus, ci siamo armati di creatività, fantasia e una buona connessione, per aprire una finestra sul mondo dell’arte, attingendo a risorse sul web, organizzando e partecipando a tour virtuali, innescando discussioni interessanti sui social network, tutto questo comodamente seduti da casa. E ora, che tutto sembra tornare alla normalità, lentamente e con le giuste misure di sicurezza, ecco che i luoghi custodi di arte e cultura aprono le loro porte ai visitatori. Questa volta è il turno di Roma, che domenica 7 giugno, renderà gratuito l’immenso patrimonio storico e artistico conservato all’interno delle strutture che fanno parte del sistema Musei in Comune di Roma Capitale. Ritorna quindi, con regole leggermente diverse, il progetto Domenica al Museo, il format che prevede l’ingresso libero, la prima domenica di ogni mese, in alcuni dei musei della capitale. Questa volta però, l’accesso sarà organizzato con prenotazioni obbligatorie, che dovranno essere effettuate chiamando il numero 060608, misura necessaria per regolamentare gli ingressi e rispettare le regole di sicurezza attualmente in vigore nel Paese. Aperte nuovamente anche le aree archeologiche dei Fori Imperiali e del Circo Massimo, chiunque arriverà nella città eterna, potrà visitare le collezioni permanenti dei Musei Capitolini, del Museo di Roma a Palazzo Braschi, del Museo dell’Ara Pacis e ancora potrà entrare all’interno del Museo di Roma in Trastevere, nella Galleria d’Arte Moderna, all’interno dei Musei di Villa Torlonia, e fare una passeggiata nell’incantevole Aranciera di Villa Borghese. Tutti gli ingressi, saranno organizzati in modo da garantire la sicurezza dei visitatori, nel rispetto delle linee guida governative in vigore attualmente nel nostro Paese. Come abbiamo anticipato, la prenotazione sarà obbligatoria e si potrà accedere solo al proprio turno, mostrando la prenotazione, in versione digitale o cartacea. All’ingresso inoltre, sarà rilevata la temperatura corporea che dovrà essere inferiore ai 37.5°. Per la visita all’interno del museo, è obbligatorio l’utilizzo delle mascherine e il mantenimento della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro. Vista dei Fori Imperiali, Roma – Fonte iStock https://ift.tt/3eQ3K1Y Musei civici di Roma: domenica 7 giugno tornano gratuiti La cultura non si ferma e mai lo farà. Lo abbiamo dimostrato nei scorsi mesi quando, durante l’emergenza Coronavirus, ci siamo armati di creatività, fantasia e una buona connessione, per aprire una finestra sul mondo dell’arte, attingendo a risorse sul web, organizzando e partecipando a tour virtuali, innescando discussioni interessanti sui social network, tutto questo comodamente seduti da casa. E ora, che tutto sembra tornare alla normalità, lentamente e con le giuste misure di sicurezza, ecco che i luoghi custodi di arte e cultura aprono le loro porte ai visitatori. Questa volta è il turno di Roma, che domenica 7 giugno, renderà gratuito l’immenso patrimonio storico e artistico conservato all’interno delle strutture che fanno parte del sistema Musei in Comune di Roma Capitale. Ritorna quindi, con regole leggermente diverse, il progetto Domenica al Museo, il format che prevede l’ingresso libero, la prima domenica di ogni mese, in alcuni dei musei della capitale. Questa volta però, l’accesso sarà organizzato con prenotazioni obbligatorie, che dovranno essere effettuate chiamando il numero 060608, misura necessaria per regolamentare gli ingressi e rispettare le regole di sicurezza attualmente in vigore nel Paese. Aperte nuovamente anche le aree archeologiche dei Fori Imperiali e del Circo Massimo, chiunque arriverà nella città eterna, potrà visitare le collezioni permanenti dei Musei Capitolini, del Museo di Roma a Palazzo Braschi, del Museo dell’Ara Pacis e ancora potrà entrare all’interno del Museo di Roma in Trastevere, nella Galleria d’Arte Moderna, all’interno dei Musei di Villa Torlonia, e fare una passeggiata nell’incantevole Aranciera di Villa Borghese. Tutti gli ingressi, saranno organizzati in modo da garantire la sicurezza dei visitatori, nel rispetto delle linee guida governative in vigore attualmente nel nostro Paese. Come abbiamo anticipato, la prenotazione sarà obbligatoria e si potrà accedere solo al proprio turno, mostrando la prenotazione, in versione digitale o cartacea. All’ingresso inoltre, sarà rilevata la temperatura corporea che dovrà essere inferiore ai 37.5°. Per la visita all’interno del museo, è obbligatorio l’utilizzo delle mascherine e il mantenimento della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro. Vista dei Fori Imperiali, Roma – Fonte iStock Torna la Domenica al Museo: la città di Roma Capitale è pronta ad accogliere i visitatori all’interno dei luoghi d’arte e di cultura, in maniera gratuita.
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Domenica al museo. #museo #galleriadartemoderna #roma #rome #art #modernart #love (presso Galleria d'Arte Moderna di Roma Capitale) https://www.instagram.com/p/B7gdDjSorwj/?igshid=1xv88a11o2ssm
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1928 Sunday Afternoon - Gyula Conrad ➖➖➖➖➖➖➖➖➖➖➖➖➖ #museodiartemoderna #roma #sunday #afternoon #theblak #friends #art #arte #artemoderna #music #jazz #rome #italy (presso Galleria d'Arte Moderna di Roma Capitale) https://www.instagram.com/p/B7N9tb8I-xJ/?igshid=1sp0hnf8cfmyq
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Il 2019 di Please Another Book
Sono gli ultimi giorni dell’anno e io sono tornata a Torino dopo aver trascorso i giorni di Natale a casa, dai miei, sulle mie adorate colline. Mai come quest’anno mi è dispiaciuto andare via, un po’ per una mancanza che sento sempre sospesa in una vita a metà tra il passato e il futuro e un po’ perché penso di non essermeli goduta abbastanza. Un altro anno si sta chiudendo, un’intera decade sta finendo ed è giunto il momento della resa dei conti. Il 2019 è stata una pugnalata sotto più punti di vista, ho sofferto molto, ho riso tanto, ma ho arrancato. Però non posso che affermare di essere sopravvissuta come neanche speravo più di fare, non immaginavo neanche di essere la persona che sono oggi ma credo di essere cresciuta molto, di aver raggiunto qualche traguardo e di essermi lasciata alle spalle diverse delusioni. Mi affaccio al nuovo anno con la consapevolezza che ce la metterò tutta e che ci saranno tante novità che sicuramente mi rivoluzioneranno la vita.
Il 22 dicembre, anzi come sempre il 29, Please Another Book ha compiuto 8 anni. È uno di quei momenti che non credevo di vivere, mai come quest’anno ho temuto di non farcela. Ho pubblicato pochissimo quest’anno, tantissime recensioni, ma non credo che in alcun modo avrei potuto fare diversamente. Ci sto provando, ma sono stanca. Arrivo la sera e diventa difficile aprire di nuovo il pc per scrivere un post. La book community si è spostata è finita in altri luoghi, su Youtube ma soprattutto su Instagram che devo dire non fa proprio per me. Ma stiamo andando avanti, c’è ancora spazio per la mia comunicazione e se mi accorgerò che non c’è più tirerò i remi in barca e si vedrà dove ci condurrà la corrente. Intanto tanti auguri a me, tanti auguri a noi!
Il 2019 è iniziato con le mie amiche circondate dalla neve e dagli abbracci e sapete quanto io rifugga il gelo, ma sapete la montagna ha un certo fascino che le riconosco anche io. Tra festeggiamenti di compleanni e Natale in ritardo, a gennaio, sono stata anche un paio di giorni a Roma per lavoro e devo riconoscere che la capitale ha sempre un certo fascino, anche se non mi avrà mai.
Anche il 2019 è stato l’anno dei viaggi e a marzo sono tornata, da turista, in quel di Praga, questa volta con le mie amiche, con cui ho condiviso salite interminabili e il “dove diamine è la funivia”, tanto cibo, mostre, musei, e pochissimo assenzio, giuro.
Marzo è stato il mese in cui più abbiamo vissuto intensamente perché abbiamo salutato due di noi partite per il Giappone, e abbiamo cercato di condensare gli abbracci in ricordi da portare sempre con noi. Ad aprile ho ritrovato una delle mie famiglie “adottive” del cuore e la mia adoratissima Lorena compagna di avvenute e di mostre. Perché devo dire che quest’anno ne ho viste davvero tante. Una delle prime, Giorgio de Chirico. Ritorno al futuro alla Galleria di arte moderna di Torino.
A maggio ho compiuto trent’anni e ancora non me ne capacito. Mi sembrava un numero così lontano nel tempo quando ero una ragazzina, ero sicura ad un certo punto della mia vita che avrei avuto vent’anni per sempre, e invece questi ultimi anni sono letteralmente volati, il tempo mi si è consumato tra le mani con la velocità della luce e mi sono trovata a dover salutare la post-adolescenza prima di quanto credessi. Forse da una certa prospettiva significa perdere la spensieratezza dei vent'anni dall'altra acquisire la consapevolezza che puoi fare tutto quello che vuoi.
A maggio però ho anche “scoperto” Giancarlo Commare (e sorvoliamo su questo scorcio di perdita della dignità).
Soprattutto sono stata al Salone del Libro anche quest’anno con le fedelissime compagne di avventura le Belle de La Bella e il Cavaliere e Lorena di Petrichor. Qui ho avuto modo di abbracciare per la prima volta Stefania Auci e un po’ di commozione c’è stata, lo ammetto.
Al Salone ho anche comprato troppi libri, tanti autografati! Sono naturalmente tornata a Venezia a trovare la mia adorata Martina di Liber Arcanus e ci siamo regalate la mostra Canaletto e Venezia all’interno di Palazzo Ducale (io amo, adoro, venero il Canaletto).
E per non farmi mancare niente nel mese del mio compleanno ho anche sentito le Soundscape 2.0 dal vivo per la prima volta.
A giugno abbiamo organizzato il sesto raduno dei Trentatré Anonimi sempre in quel di Ferrara ed è stato il solito delirio di risate e chiacchiere e lettura. L’estate è volata con le mie amiche, tra viaggi, avventure e cibo, cibo, cibo. Sono anche stata a Courmayeur con i miei zii.
Ma a settembre finalmente sono riuscita a partire per le mie tanto sospirate ferie. Ferie che si sono aperte con il mio primo viaggio all’estero completamente da sola a Barcellona. A quel da sola ho ricevuto i commenti più svariati, molte alzate di sopracciglio e molti io non lo farei mai. Beh ecco probabilmente se le circostanze fossero state diverse anche io sarei partita con qualcuno ma alla fin fine trovare i propri tempi, distruggere gli schemi, cambiare le prospettive serve sempre. Ed è così che in una giornata che più piovosa non si può mi sono avventurata per le strade di Barcellona a respirare le costruzioni di Gaudì e non solo. Che la Sagrada Familia è un sogno e il cielo nero solo una prospettiva. Ho anche scoperto che il mio senso dell'orientamento funziona abbastanza bene e mi sono persa solo per raggiungere l'appartamento in cui dormo. Persa nel senso che ci ho messo un po' di più a trovare la strada.
E poi sono finalmente approdata a Palermo dalla mia adorata Lorena ed è stata una settimana incredibile, in cui ho mangiato e mangiato e mangiato ancora e visitato un sacco di posti meravigliosi (la Cappella Palatina, Monreale, le strade, la gente, il cibo l’ho detto?).
E poi insieme a lei e ad un altro amico abbiamo fatto la follia di andare ad Atene per un weekend. E voi non avete la più pallida idea di quanto io mi sia innamorata di questa città. Credo di soffrire ancora la sindrome di Stendhal. Voglio tornarci per innamorarmi ancora.
Dopo Atene sono tornata a Venezia per un’altra mostra, da Tiziano a Rubens ma soprattutto per incontrare Jay Kristoff grazie alla Mondadori, a Martina e a un gruppo di altri entusiasti blogger. Passeggiare e conversare con lui è stata un’esperienza molto bella e allo stesso tempo un po’ alienante.
Ad ottobre sono stata a Milano a vedere una mostra veramente molto bella “Preraffelliti Amore e Desiderio” a Palazzo Reale, che forse è stata una delle più belle che ho visto quest’anno.
Ho anche partecipato ad un incontro organizzato da Il circolo dei lettori con Sandra Newman l’autrice de “I cieli” un libro che mi è piaciuto moltissimo e che mi ha molto colpito e di cui non vedo l’ora di leggere altro. Ovviamente ancora mi mangio le mani perché non sono riuscita a vedere Isabel Allende di passaggio proprio qui a Torino.
Ho anche approfittato del regalo che Giulia Valentina ha fatto ai suoi followers per andare a vedere la World Press Photo Exhibition e devo dire che è stata una vera pugnalata. È una delle più grandi mostre di fotogiornalismo del mondo ed è organizzata dalla Fondazione World Press Photo. È veramente incredibile ci sono foto che espongono problemi di natura ambientale, sportiva, sociale, politica, culturale. A volte non ci rendiamo conto di quante situazioni esistono al di fuori dei confini della nostra realtà che urgono di attenzione. È stata l'occasione ancora una volta per fare qualcosa da sola e per me stessa, in un momento in cui esplorare solo con le mie gambe.
A novembre ho fatto un salto a Novara in cui non ero mai stata e sono andata alla Libreria in via Carlo Alberto qui a Torino per ascoltare Alice Basso che ha presentato Barbara Fiorio e il suo C'era una svolta. Che la Basso fosse una donna spumeggiante eravamo sicuri, che la Fiorio sia di una ironia pungente, una narratrice incantevole e di una simpatia unica una vera e propria scoperta.
A dicembre ho visto le ultime due mostre a cui sono stata insieme a due mie amiche sempre a Milano:
Canova e Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna in Galleria d’Italia in cui non sono mai stata e in cui vi consiglio di andare perché sono di una bellezza unica e Il libro promosso che invece era all’interno di Casa Manzoni, dove non ero mai stata a che aveva una guida molto preparata.
Si è stato un anno ricco che si è concluso con un mare di belle notizie e non ho la più pallida idea di cosa aspettarmi dal futuro, non so davvero cosa ne verrà fuori. Ho solo la speranza di essere ancora serena, di poter ancora attraversare il mondo con i miei amici, con la mia famiglia, con la voglia ancora di non arrendermi ma di essere ancora piena di energie e di idee. Spero di leggere ancora tanto, di vivere ancora immensamente e di viaggiare ancora a lungo. Vi auguro un buon anno nuovo e di trovarvi ancora qui, a vivere altri 365 giorni, anzi 366 che il 2020 è bisestile e nasconde disgrazie.
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Galleria Nazionale di Arte Moderna 📌 giugno 2018 ⏩Roma: capitale d' arte, di bellezza e di cultura https://www.instagram.com/p/B2gMqkqAZFf/?igshid=1xa0xv2jzkymo
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Luci e Geometrie. . . . #lights #art #rome #italy #white #sun #geometry #architecture #wallpaper (presso Galleria d'Arte Moderna di Roma Capitale) https://www.instagram.com/p/B1LvOnXI7zv/?igshid=1vog9r8dclv7e
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Roma, oltre 37mila i visitatori dei Musei Civici il 3 marzo, per la prima domenica del mese a ingresso gratuito
Roma, oltre 37mila i visitatori dei Musei Civici il 3 marzo, per la prima domenica del mese a ingresso gratuito. Sono stati complessivamente 37.336 i visitatori dei Musei Civici di Roma ieri, in occasione della prima domenica del mese a ingresso gratuito. La tradizionale possibilità di visitare gratuitamente gli spazi del Sistema Musei di Roma Capitale e alcune aree archeologiche della città ha registrato un picco di 4.612 ingressi ai Musei Capitolini, 4.199 ai Musei di Villa Torlonia, 3.100 alla Centrale Montemartini, 2.936 ai Mercati di Traiano, 2.275 a Palazzo Braschi dove sono in corso le mostre "Ukiyoe" (2.190 ingressi) e "Giacomo Matteotti. Vita e morte di un padre della democrazia", 2.490 al Museo di Roma in Trastevere, che ospita la mostra su Rino Gaetano ieri visitabile gratuitamente. Sempre ieri sono stati 1.530 i visitatori del nuovo Museo della Forma Urbis e 1.238 quelli dell'Area Sacra di largo Argentina. "Il successo di visitatori ieri per i Musei civici di Roma conferma la bontà dell'iniziativa di fruizione libera dell'offerta culturale del nostro Sistema dei Musei con le domeniche a ingresso gratuito. Molto visitate anche le mostre in corso presso i nostri spazi museali, sia quelle a ingresso gratuito sia le altre a pagamento, con ingresso ridotto per i possessori della MIC Card, che hanno tutte registrato numeri positivi. Roma si conferma città inclusiva attraverso un'idea di cultura aperta e accessibile che permette di vivere appieno il suo patrimonio culturale e archeologico", commenta l'assessore alla Cultura di Roma Capitale, Miguel Gotor. "L'insieme di collezioni permanenti ed esposizioni temporanee, caratterizzate da una grande diversità, rende unico il patrimonio culturale dei musei civici di Roma Capitale. In questi mesi abbiamo lavorato a un'offerta culturale pensata per andare incontro a tutti i pubblici e a interessi differenti: dalle importanti aperture di nuove aree archeologiche a mostre di arte classica come "Fidia" ai Musei Capitolini o di arte moderna dal respiro internazionale come "Ukiyoe" sul Giappone, a esposizioni che documentano la nostra storia contemporanea, come quella dedicata a Giacomo Matteotti a Palazzo Braschi o a Rino Gaetano al Museo di Roma In Trastevere", dichiara Claudio Parisi Presicce, Sovrintendente Capitolino ai Beni Culturali. Questi i musei civici aperti ieri in occasione della gratuità: Musei Capitolini, Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali, Museo dell'Ara Pacis, Centrale Montemartini, Museo di Roma a Palazzo Braschi, Museo di Roma in Trastevere, Galleria d'Arte Moderna, Musei di Villa Torlonia, Serra Moresca di Villa Torlonia, Museo Civico di Zoologia, Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco, Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese, Museo Napoleonico, Museo Pietro Canonica a Villa Borghese, Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina, Museo di Casal de' Pazzi, Museo delle Mura, Villa di Massenzio. L'iniziativa è stata promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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