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#Francesco Cataluccio
queerographies · 9 months
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[Testamento][Witold Gombrowicz]
Clicca qui per acquistare il libro Titolo: TestamentoScritto da: Witold GombrowiczTitolo originale: Testament: rozmowy z Dominique de RouxTradotto da: Vera VerdianiEdito da: Il SaggiatoreAnno: 2023Pagine: 184ISBN: 9788842824626 Nel 1968, pochi mesi prima di morire, Witold Gombrowicz incontra lo scrittore e editore Dominique de Roux per intrattenere con lui un dialogo ragionato attorno alle…
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mayolfederico · 4 years
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ventitré dicembre
Virgilio Guzzi, Nudo sul fianco, 1974   Anne Hathaway ‘E a mia moglie lascio il mio letto, non il migliore…’ (dal testamento di Shakespeare) Il letto in cui ci amavamo era un mondo vorticoso di foreste, castelli, fiaccole, scogliere, mari in cui lui si tuffava in cerca di perle. Le parole del mio amore erano una pioggia di stelle cadenti come baci su queste labbra; il mio corpo faceva col suo…
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garadinervi · 4 years
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Bruno Schulz, La repubblica dei sogni, [«Tygodnik Ilustrowany», 29, 1936], in Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi, e i disegni, Translations by Anna Vivanti Salmon, Vera Verdiani, and Andrzey Zieliński, Edited and with a text by Francesco M. Cataluccio, «Letture Einaudi» 8, Einaudi, Torino, (2001-)2008, pp. 394-400
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ksiazkowa-dietka · 5 years
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Ale czy ktoś, kto udaje wariata, nie jest nim choć trochę?
"Czarnobyl" Francesco M. Cataluccio
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fashionbooksmilano · 5 years
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Marco Petrus
Trieste al centro
testi critici di Luca Beatrice e Francesco M.Cataluccio
Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2009, 176 pagine, 170 ill. a colori,      ISBN  9788836615353, italiano e inglese
euro 25,00
email if you want to buy [email protected]
Marco Petrus, uno degli esponenti di maggior rilievo del rinnovamento della pittura italiana dell’ultimo ventennio, torna a presentare al pubblico i suoi quadri ‘di architettura dipinta’ in una grande mostra all’ex-Pescheria di Trieste, accompagnata dalla pubblicazione di questo volume. Petrus, dopo aver scandagliato l’architettura di Milano, fulcro della sua indagine negli anni passati, e di grandi metropoli come Londra, New York, Shanghai e Mosca, ferma il suo sguardo sul centro dell’Europa.
Partendo da Trieste – di cui offre dettagli di architetture dai primi del '900 (con gli edifici di Max Fabiani), agli anni quaranta (con i palazzi progettati da Umberto Nordio), fino all'Ospedale di Cattinara costruito nel 1965 da Luciano Semerani – Petrus compie un viaggio nella Mitteleuropa, proseguendo con scorci architettonici di Vienna, Lubiana, Praga, Budapest. L’intento della sua pittura – rigorosa nella riproduzione delle architetture realmente esistenti ma, allo stesso tempo, fantastica e straniante – è quello di evocare mondi, di costruire un immaginario che partendo dal reale possa trasportare altrove.
Il catalogo accoglie i testi critici di Luca Beatrice e Francesco M. Cataluccio.
Trieste, ottobre - dicembre 2009
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pangeanews · 5 years
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Nel lato oscuro di Peter Pan. I manoscritti di J. M. Barrie e una lettera da Antartide
Nel nome è tutto. Peter è Pietro, la pietra su cui fondare un regno di sogni, l’uomo che possiede le chiavi della terra di nessuno, della contea del mai, Never Land. Pan è il figlio di Ermes, il demonio dei boschi, l’etica della foga. Peter Pan è il bimbo eterno che non ha ombra – è pura luce o puro inganno – e come le divinità non puoi sfiorarlo, “Nessuno mai deve toccarmi”, dice, in una delle sue prime battute, il bimbo eterno, a Wendy. Peter Pan non immagina, vive nel proprio immaginario fino alla lacerazione di ogni cronologia: Peter Pan non ricorda, dimentica, brucia (“Buffo che tu abbia dimenticato i ragazzi perduti. E perfino Capitan Uncino”, lo rimprovera con delizia Wendy). Nel suo perpetuo presente, bianco, la ripetizione è una novità e niente è innocuo.
*
L’anniversario non è rotondo – 115 anni dalla prima rappresentazione di Peter Pan: the Boy Who Wouldn’t Grow Up, era il 27 dicembre – però ogni pretesto è valido per omaggiare la creatura di J.M. Barrie, capace, con potenza mitica rarissima – ne ricordo altri due, bambini uguali&diversi, in quel giro di anni: l’Alice del reverendissimo Carroll e il Mowgli dell’inquieto Kipling – di sfuggire dal proprio creatore per diventare noto a tutti, spaziando nel tutto (pan, appunto). Per la cura di Jessica Nelson, infatti, in formato elegantissimo – direi, ‘natalizio’ – SP Books (sottopancia: publisher of manuscrits) pubblica il manoscritto – appunto – di Peter Pan & Wendy, la versione romanzata, del 1911, dell’originario testo teatrale.
*
La scansione esatta è questa. Nel 1885 Barrie, scozzese, sbarca a Londra. È un poverello, si paga il primo romanzo (Better Dead, 1887), fa amicizia con George Meredith, che lo foraggia, e con Robert Louis Stevenson, che lo incoraggia dalle Samoa. Il matrimonio con Mary Ansell, attrice che gode nel cornificarlo, è un netto disastro: ma è proprio al culmine del precipizio che Barrie, portando a passeggio il cane a Kensington Park – la storia è volgarizzata in Neverland, 2004, con Johnny Depp nel ruolo di JM e Kate Winslet in quello della fascinosa Sylvia Llewelyn Davies – incontra i Davies. Per loro, rivivendo la propria infanzia, Barrie inventa Peter Pan, che prima appare in The Little White Bird (1902), poi esplode nel testo teatrale del 1904, segue una avventura preliminare nel 1906 (Peter Pan in Kensington Gardens), infine evolve in romanzo nel 1911. Nel tempo perso, Barrie gioca a cricket e fonda una squadra dilettantistica, gli “Allahakbarries”, nelle cui fila hanno militato, in quella Never Land della letteratura, H.G. Wells, Kipling, Conan Doyle, Jerome K. Jerome, Chesterton, P.G. Wodehouse, mica male.
*
Il bello del manoscritto pubblicato è che possiamo osservare i patimenti e i pentimenti operati da Barrie. In questo modo è ancora più evidente ciò che è chiaro da mo’, cioè che Peter Pan non è il bambino felice che piroetta nel cielo disneyano. Peter è un dio selvaggio, un dio pericoloso. “Il manoscritto dimostra che nell’edizione del 1911 Barrie attenua alcuni caratteri scontrosi di Peter Pan. Ad esempio, cancella la descrizione dell’eroe come di ‘un ragazzo elfo’ che parla ‘con aria di sfida… più sprezzante che mai’”, ha detto la curatrice del fatal tomo al Guardian. “Dai testi manoscritti appare una creatura più oscura, disumana, direi più cattiva… Barrie non aveva paura di frequentare i luoghi oscuri dell’uomo: nel suo libro ci dice che i bambini possono essere feroci”.
*
Sembra qui – nella ferocia – il punto di giunzione tra Peter Pan e i bambini perduti nella selvaggia Never Land di William Golding, descritti ne Il Signore delle Mosche. I bambini, privi di legacci sociali e di legami parentali, naufraghi su un’isola, costruiscono un mondo orientato alla ferocia, desunto dalla sopraffazione (“Ai maiali si taglia la gola per farne uscire il sangue, disse Jack. Sapevano benissimo perché non avevano colpito la bestia: per quell’enormità del coltello che scendeva a immergersi nella carne viva, per quella cosa insopportabile, quel sangue… Sfoderò il coltello d’un colpo e lo conficcò in un tronco d’albero. Un’altra volta, niente pietà”). Golding ribalta la concezione di Robinson Crusoe – l’uomo non è connaturato al buon senso, tenta di ornare il caos di vizi – e riempie la sua isola di famelici Peter Pan.
*
Nel testo teatrale del 1904, in effetti – cito dall’edizione Feltrinelli 1992, con bella introduzione di Francesco M. Cataluccio –, i rapporti, pur velati dal magico, sono cruenti. Peter Pan scappa di casa “perché ho sentito papà e mamma parlare di quello che sarei dovuto diventare quando fossi stato uomo”; d’altronde, la madre non lo ha voluto indietro (“mia madre mi aveva completamente dimenticato”), e i “ragazzi perduti… sono i bambini che cadono dalla carrozzina mentre la governante sta guardando da un’altra parte” e che “nessuno più reclama”. Il mondo degli uomini è retto e corrotto dal denaro (“Tutto quello che ricordo di mia madre è che diceva spesso a papà: ‘Oh, come vorrei avere un libretto degli assegni tutto mio’”), quello di Peter dalla ferocia di dimenticare tutto, di slegarsi da tutti.
*
La ‘Lilly Library Digital Collections’ della Indiana University custodisce “il manoscritto originale autografo di Peter Pan” che comprende “correzioni, variazioni e le illustrazioni di Barrie”. Il testo è digitalizzato quindi potete togliervi lo sfizio di sfogliarlo: la scrittura di Barrie è microscopica, come una civiltà di insetti. Le indicazioni cartografiche per l’Isola Che Non C’è sono tutte lì.
*
Secondo Diogene Laerzio, alla compagnia degli efesini, che gli chiedono di redigere per loro la costituzione, Eraclito preferisce quella dei bambini, giocando con loro a dadi, all’ombra del tempio di Artemide. I bambini, nel racconto morale, sono fuori legge, sotto egida del caos (i dadi), per questo prossimi al sacro. Per questo Gesù vuole i bambini a sé (“chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli”, Mt 18, 4), perché vivono l’insolito, oltre il fango della legge: a patto che non si confonda il bambino con il pio inetto (“divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino”, 1 Cor 13, 11).
*
La biografia di Barrie ghiaccia. Ultimo di dieci figli, si fa obbligo di consolare la madre dopo la morte del prediletto, David. A volte lo imita – morì, quattordicenne, pattinando sul ghiaccio – indossando i suoi vestiti, per estorcere un sorriso alla madre in verticale depressione. Segue il matrimonio bianco, presto defunto e il rapporto, ai limiti dello stralunato, con i figli di Sylvia e Arthur Davies, che di fatto saranno suoi dopo la morte dei genitori – nel 1907 il padre e tre anni dopo la madre. La sfortuna mina la vita dei Davies, che hanno ispirato Peter Pan. “George, ammazzato, nel 1915, sul fronte francese; Michael, scopertosi omosessuale, si uccide gettandosi in un lago ghiacciato, nel 1921, con l’amico del cuore; Peter, che aveva fatto l’editore e pubblicato alcuni libri su Barrie, si buttò, nel 1960, sotto il treno della metropolitana, nella stazione di Sloane Square, pochi mesi dopo la morte del fratello Jack” (Cataluccio). Barrie morì in giugno, nel 1937. In tasca, custodiva un cimelio: la lettera che Robert Falcon Scott gli aveva scritto poco prima di morire, tra i ghiacci, nel 1912. Erano amici, Barrie aveva da poco pubblicato il romanzo di Peter Pan, Scott gli affidava la cura del figlio, di cui JM era padrino, che si chiamava Peter, pure lui. Antartide, forse, agli occhi di entrambi, era una specie di Never Land. (d.b.)
*In copertina: Maude Adams, il primo Peter Pan a teatro, nel dicembre del 1904
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rideretremando · 2 years
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Qualche consiglio di lettura di ALBERTO SAIBENE:
Cari tutti,
qualche consiglio di lettura per restare a lungo al fresco.
Buona estate,
Alberto
ROMANZI ITALIANI
Vincenzo Latronico, Le perfezioni (Bompiani). Tom e Anna sono una
coppia di giovani italiani impiegati nelle nuove professioni
‘digitali’ che si trasferiscono a Berlino per vivere nel cuore del
presente. Sul calco de Le cose di Georges Perec, un romanzo breve
molto ben congegnato, specchio di una generazione che si perde nei
riflessi dei social e non distingue tra reale e artificiale.
Nadia Terranova, Trema la notte (Einaudi). Sullo sfondo del terremoto
di Messina, le vicende parallele del dodicenne Nicola e della giovane
Barbara, personaggi che la storia sottrae al loro destino. La forza
del destino è appunto il motore di un intenso romanzo storico “in
miniatura” di una delle nostre migliori scrittrici.
Matteo Melchiorre, Il Duca (Einaudi). L’ultimo erede di una famiglia
nobile sceglie di vivere nella casa di campagna sul limitare del bosco
dovendo affrontare le trappole della vita di una piccola comunità.
Dopo una serie di saggi molto promettenti, Melchiorre, storico di
professione, scrive un romanzo con una voce nuova e distinta che,
rinnovando un antico canovaccio, risulta un perfetto punto di fusione
tra natura e cultura.
I PIACENTINI
Goffredo Fofi, raggiunti gli 85 anni, è instancabile come sempre. Sono
nato scemo, morirò cretino (Minimun Fax), a cura di Emiliano Morreale,
raccoglie i suoi scritti su cinema, letteratura, politica e società (e
altro ancora) tra il 1956 al 2021, a cui si aggiunge Caro agli dèi
(E/O), una raccolta di profili di amici morti troppo presto.
Piergiorgio Bellocchio, Diario del Novecento (Il Saggiatore), a cura
di Gianni D’Amo. Da una posizione defilata l’intellettuale piacentino
vede tramontare le speranze del Novecento e, con estrema lucidità,
registra l’arrivo di un’epoca di plastica. Uno zibaldone destinato a
diventare un classico sull’identità italiana.
SORELLE
Wanda Rotelli Tarpino, Lo spettacolo dell’asta (Officina Libraria). Il
primo libro italiano che ripercorre, a livello internazionale, la
storia delle aste di opere d’arte dalla fine del Settecento al
presente, scritto da chi ha lavorato per oltre 35 anni in quel mondo.
Antonella Tarpino, Il libro della memoria (Il Saggiatore).
Un’indagine, attraverso esempi tratti dalla letteratura di tutti i
tempi, tra dimore, stanze e oggetti divenuti deposito della nostra
memoria. Un libro che completa le riflessioni della nostra massima
storica su questi temi.
NOTIZIE DA NAPOLI
Luca Rossomando, Le fragili alleanze.Militanti politici e classi
popolari a Napoli (1962-1976). Un rigoroso saggio storico su una
stagione di trasformazioni sociali della città partenopea, in buona
parte costruito su una raccolta di testimonianze tra chi partecipò
alle speranze di quegli anni. Un libro che restituisce il sapore di
un’epoca pubblicato da Napoli Monitor.
Giovanna Silva- Lucia Tozzi. Napoli. Contro il panorama (Nottetempo).
Mentre Lucia Tozzi ricostruisce la vicenda urbanistica cittadina dal
dopoguerra al presente, Giovanna Silva fotografa una Napoli fuori da
ogni cliché. Un’opera stimolante per riflettere sul futuro di una
città che andrebbe prima di tutta manutenuta.
VIAGGI IN EUROPA
Francesco M. Cataluccio, Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania
(Humboldtbooks). La repubblica baltica è un Paese piccolo ma con una
forte tradizione culturale, nonché dotato di una lingua propria.
Appena prima della guerra russo-ucraina un profondo conoscitore
dell’Europa orientale vi è ritornato compiendo un reportage narrativo
in luoghi che non frequentava dai tempi dell’URSS.
Karel Čapek, Viaggio al Nord (Iperborea). Appena prima della Seconda
guerra mondiale il grande scrittore ceco attraversa la Scandinavia per
un viaggio a Capo Nord osservando e disegnando quello che ha davanti a
sé. Un libretto delizioso di un fuoriclasse della letteratura
mondiale.
BIOGRAFIE
Peter-André Alt, Sigmund Freud. Il medico dell’inconscio (Hoepli). Una
nuova biografia di uno grandi pensatori che, insieme a Darwin e Marx,
hanno dato una forma al nostro tempo. L’autore, un critico letterario,
iscrive la parabola di un uomo che ha inventato una disciplina nella
cornice del proprio tempo.
Victoria De Grazia, Il fascista perfetto (Einaudi). La storica
americana ricostruisce in modo dettagliato e appassionante la parabola
esistenziale di Attilio Teruzzi, gerarca di seconda linea, offrendo
una sintomatologia perfetta dell’eterno fascismo italico.
E poi naturalmente ci sarebbe da leggere Stalingrado di Vasilji
Grossman (Adelphi). Speriamo di farlo prima che la guerra finisca.
Ancora buone vacanze
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degradoquotidiano · 3 years
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Non è colpa dell'Occidente - Francesco Cataluccio
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3nding · 7 years
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queerographies · 3 years
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[Ferdydurke][Witold Gombrowicz]
Il trentenne Giuso, perditempo e lavoratore occasionale, si sveglia e scopre di essere tornato adolescente. Il suo aspetto non è cambiato, eppure… Alla porta di casa bussa un arcigno professore: entra, lo interroga, gli rifila voti bassi e lo rispedisce a scuola. È l’inizio di una delle storie più folgoranti della letteratura europea, un lampo di allucinazione che il genio di Witold Gombrowicz ha…
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fashionluxuryinfo · 6 years
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23 MARZO 2019 – Jiří Kolář | Alberto Casiraghy Assonanze allo specchio Inaugurazione mostra: sabato 23 marzo, ore 18.30 Incontro: La Praga magica di Jiří Kolář raccontata da Francesco M. Cataluccio: Sabato 13 aprile, ore 18.00 Durata: 23 marzo – 30 aprile 2019 Orario: da martedì a domenica 16 – 19; altri orari su appuntamento.
La Galleria Melesi ospita la mostra “Assonanze allo specchio”, a cura di Giovanna Canzi, dedicata a due artisti Jiří Kolář (Protivín, 1914 – Praga, 2002) e Alberto Casiraghy (Osnago, 1952)
https://www.fashionluxury.info/it/
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Una grande conchiglia sonante è il simbolo del Natale di Tridicino, pescatore di Vigàta, nella storia di Andrea Camilleri, decisamente miticomediterranea, in contrasto con lo spirito fiabesco e invernale. Anche i racconti che seguono parlano di Natali straordinari, e fuori dai migliori (o dai peggiori e più comuni) sentimenti, immaginati da alcuni tra i più originali scrittori del momento. Quello di Giosuè Calaciura è forse un racconto morale sulla diversità e la sua conciliante poesia. Antonio Manzini, intreccia una Vigilia beffarda ai danni di un poveraccio vittima dell’ingiustizia, di classe, dell’amore. L’eroe natalizio di Fabio Stassi è un detenuto in trasferimento verso un’isola. In un laboratorio misterioso nel mare greco si svolge l’avventura onirico virtuale inventata da Francesco Cataluccio. Il pranzo di Natale nell’autogrill isolato nella neve è comico assurdo e cinicamente ironico, specchio autentico dell’umanità come è per Francesco Recami. Alicia Giménez-Bartlett rappresenta un Natale borderline, claustrofobico, come può essere quello con la sola compagnia casuale di una fanatica religiosa. Così Storie di Natale forma un campionario molto vario delle versioni possibili del classico racconto: un Natale che persiste perché non può che resistere nel desiderio di ognuno, ma si sfilaccia, si deforma, si modella sulle vite d’oggi..... #libridisecondamano #ravenna #bookstagram #igersravenna #raccontidinatale #libreriscattisparsi #libriusati#libridaleggere #libridinatale #ioleggo #myravenna #sellerio (presso Libreria Scattisparsi) https://www.instagram.com/p/BrcCLhMnyhf/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1hmgdxurmulvx
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rideretremando · 5 years
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rideretremando · 8 years
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Il tono di Bauman, col passare degli anni divenne più quello di un filosofo che di uno studioso di Sociologia. La sua preoccupazione per il destino dell’umanità e per il pericolo di nuove barbarie era sincera. Trasformò il suo impegno e le sue illusioni giovanili, passate attraverso cocenti delusioni, in uno slancio etico, quasi visionario, che piaceva molto alle varie correnti nelle quali si articola il cosiddetto “movimento no global”. Negli ultimi anni, e la cosa gli piaceva, era diventato una sorta “Socrate della postmodernità”: critico acuto delle contraddizioni del nostro mondo e tenace suggeritore di un percorso etico di salvezza.
Francesco Cataluccio
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pangeanews · 5 years
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“Quali terribili sofferenze mi è costata – e mi costa tuttora – questa sete di credere”: da Dostoevskij a Chernobyl, eremiti, folli e demoni nella letteratura russa
Una volta un professore mi raccontò di come in Russia, dopo decenni di comunismo e propaganda antireligiosa, i giovani cresciuti sotto la falce e il martello riscoprissero Cristo leggendo i romanzi di Dostoevskij. In effetti, dopo aver letto Delitto e Castigo ebbi come l’impressione di aver letto un libro su Dio; anche se l’autore non lo nominava mai, si avvertiva chiaramente la sua presenza, anche nelle scene più oscure, anche negli atti più abietti. Dio era presente, quasi che tutto il male di cui l’uomo è capace non fosse sufficiente a spegnerne la luce.
Questa “resistenza” di Dio la considero un tratto fondamentale della religione ortodossa. I paesi dell’Est Europa non possono dire di aver goduto un rapporto sereno con l’Altissimo: la loro storia è costellata di orrori indicibili, mostruosità tali che sarebbe facile considerare il mondo ortodosso come una terra dimenticata da Dio. Ma non è così.
*
Nel 1928 lo scrittore Boris Zaitsev compie un pellegrinaggio in uno dei luoghi più suggestivi della terra: il Monte Athos, una penisola verdeggiante a strapiombo sul mar Egeo dove vivono soltanto monaci. Laggiù si sente davvero la voce di Dio, e Zaitsev descrive questo suo viaggio nel libro Monte Athos (Castelvecchi): i racconti delle vite dei monaci, dei santi eremiti che si nascondono nelle celle sperdute sulle pendici dei monti, si mescolano alle albe nebbiose e ai cieli violacei della vastità del mare. Durante questo pellegrinaggio, è impossibile per Zaitsev non pensare alla sua patria, a cosa è diventata la Santa Madre Russia: alle storie miracolose di santi che convivono con gli orsi, si è sostituita la sanguinosa burocrazia dei Soviet. Perfino l’Athos resta qualcosa di così lontano che è difficile credere possa esistere un posto simile, dove Dio è visibile in ogni riflesso, in ogni brina mattutina, ed è facile perdere il contatto con la realtà. Ma un monaco, sollecitato da un viaggiatore che vorrebbe spazzar via i bolscevichi, risponde che il martirio della Russia è un segno di favore celeste. È difficile, anzi impossibile per noi laici comprendere il martirio. Qualcuno magari intravede i segni della rassegnazione, ma non è certo il caso. Gli eremiti mettono a dura prova il fisico e la mente proprio perché convinti che soltanto attraverso le privazioni ci si possa avvicinare a Dio, quasi che la religione riveli la sua essenza più vera nelle grandi avversità.
*
Gli stessi eremiti conducono una vita estrema, spesso nutrendosi di nulla e regalando quanto più possono ai bisognosi; uomini che vivono con appena due stracci buttati addosso, lasciati poi in eredità ad altri eremiti come vere e proprie reliquie (nel libro Gli eremiti del deserto, Quodlibet, 2016, Ermanno Cavazzoni racconta la vita di molti eremiti, fra realtà e fantasia). Compagno inseparabile di questi monaci è il Diavolo, che mai li abbandona per un secondo, ingaggiando una vera e propria lotta: “Per il monaco il diavolo è sempre vicino, qui accanto, con le fauci aperte, con gli artigli allargati: basta un momento di distrazione perché ci salti addosso. C’è anzi una speciale teoria: il nemico si occupa poco della gente qualunque. I suoi sforzi sono diretti contro quelli che si pongono scopi più alti: perciò lo attraggono particolarmente i monasteri” (B. Zaitsev, Monte Athos).
*
Io stesso, quando seppi che sull’isola di Cefalonia c’era un monastero, e sotto di esso l’antica cella dell’eremita San Gerasimos, volli vedere con i miei occhi. Il monastero si erge in una piana verdeggiante, vi si arriva scendendo lungo un viale alberato e il mattino sembra più bello, senza una precisa ragione. La costruzione è magnifica, l’interno è una festa di ori e icone coloratissime, ma in un punto si apre una piccola botola e una scaletta a pioli scende nell’oscurità. Laggiù, in un buco scavato nella roccia, si trova la dimora di San Gerasimos. Appena una tana. Risulta difficile credere che un essere umano, a poca distanza dalle splendide spiagge che sa offrire Cefalonia, abbia deciso di rinchiudersi di sua spontanea volontà in un simile tumulo di pietra. Eppure Gerasimos è rimasto lì per anni, e su quel niente di pietra è cresciuta oggi, come per miracolo, una magnifica chiesa; quasi che la grotta del Santo costituisse le fondamenta per la vita monastica.
*
Se nei paesi su cui sono passati gli scarponi chiodati dell’URSS sopravvive la religione ortodossa è anche per questo motivo: Dio si rivela nelle avversità, è quella linea di luce che brilla nell’ombra, che le dà una forma, che la rende meno spaventosa. È per questo che la letteratura russa è costellata di presenza demoniache, quasi una componente necessaria non solo per spiegare il male e la sofferenza, ma anche per trovare Dio. Francesco M. Cataluccio in Chernobyl (Sellerio, 2011) abbozza una carrellata di apparizioni diaboliche nella letteratura russa, fino a raccontare come persino il disastro nucleare in Ucraina fosse visto da alcuni come opera del Demonio.
*
La storia di quei giovani che scoprono Dio attraverso Dostoevskij è un’altra delle numerose meraviglie di cui è capace la letteratura. In Dostoevskij stesso, per sua ammissione, è insita questa resistenza. Egli si considerava figlio del suo secolo, dove l’ateismo era sulla via del trionfo: “Quali terribili sofferenze mi è costata – e mi costa tuttora – questa sete di credere, che tanto più fortemente si fa sentire nella mia anima quanto più fortemente mi appaiono gli argomenti ad essa contrari! Cionondimeno Iddio mi manda talora degl’istanti in cui mi sento perfettamente sereno; in quegl’istanti io scopro di amare e di essere amato dagli altri” (F. Dostoevskij, Lettere sulla creatività, Feltrinelli, 2017).
Non sono bastate le persecuzioni e la propaganda a fermare la ricerca di Dio. Anche nei momenti peggiori, soprattutto nei momenti peggiori, Dostoevskij, e con lui il cristianesimo ortodosso, sembrano dirci che Dio è ancora lì per noi, magari chiuso in una grotta in attesa che su di essa nasca una nuova Chiesa.
Valerio Ragazzini
*In copertina: Mikhail Nesterov, “La visione del giovane Bartolomeo”, 1889-1890
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pangeanews · 5 years
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Bisogna leggere Bruno Schulz, “un espulso dalla vita”, per capire la realtà
Soffriamo di troppa realtà. Pensiamo che la realtà sia, semplicemente, ciò a cui ci addestra l’illusione ottica, e questa realtà entra dalla finestra, dalle fessure della porta, soffocandoci. Che peccato! Gli scrittori pensano che basti scrivere pane per evocare il pane: la grande letteratura ce ne fa sentire l’odore, l’entità fragrante, il ruggito della crosta. Questo difetto di sguardo ci censura all’ovvio, all’epoca in cui l’arte della parola è diletto, dileggio del vero.
*
Per questo, Le botteghe color cannella di Bruno Schulz (l’edizione fondamentale, che raduna “tutti i racconti, i saggi e i disegni” è Einaudi, 2001; 2008, con un saggio di Francesco M. Cataluccio) è un libro salvifico, da tenere sempre sotto la giacca. Quando la realtà vi morde fino a sfinirvi, sfibra il sogno in sabba di grigiori, aprite quel libro a caso. Vi solleva, vi salva. Esempio: “E quando stendevo la mano per cogliere l’azzurro, passava per le vie, attraverso tutte le finestre, il riflesso di una primavera di cobalto, si aprivano tintinnando i vetri, uno dopo l’altro, pieni di azzurro e di fuoco celeste, le tende si alzavano come per un allarme, e una corrente gioiosa e lieve trascorreva quella spalliera di ondeggianti mussole e oleandri sui balconi vuoti, come se all’altro capo di quel viale lungo e chiaro qualcuno fosse apparso molto lontano e si avvicinasse raggiante, preceduto da avvisi, da un presagio, preannunciato da voli di rondini, da segnali luminosi, diffusi di luogo in luogo”. Così termina la seconda stanza di un racconto memorabile, L’epoca geniale. Vedi? Leggi e ne sei travolto, stai già meglio, ti siedi sulla testa di Bruno a spigare l’azzurro del cielo.
*
Per parlare di Bruno Schulz bisogna partire dalla fine. Siamo a Drohobyč, è il 19 novembre del 1942, Bruno ha 50 anni, pochi anni prima, nel 1937, ha pubblicato Il sanatorio all’insegna della clessidra, che si è illustrato da sé, è uno scrittore delicatamente riconosciuto (nel 1938 è premiato dall’Accademia polacca di letteratura). Bruno cammina. Ama Irène Némirovsky (“questo eccellente libro”, giudica La carriera) e Ivo Andrič, “questo straordinario poeta-scrittore”. Un uomo gli si fa accanto. Bruno ha comprato il pane. L’uomo gli spara alla testa: è un ufficiale tedesco della Gestapo. Gli spara così, senza avviso, senza prurito verbale, come si spara a un barattolo. Uccide uno dei grandi scrittori del secolo così, per gioco. Del corpo di Bruno Schulz, schiaffato in una fossa comune, non si sa niente. Ucciso per scherzo, con agghiacciante crudeltà, per strada, il pane in mano. Il corpo scomparso in uno sbadiglio della Storia. In questo desolato spreco – la sparizione dello scrittore – c’è, a posteriori, il senso di una scrittura, sgargiante sul nulla.
*
Penso che la vita di Bruno Schulz sia riassunta nell’incipit di un racconto che si intitola Il Libro. “Lo chiamerò semplicemente Libro, senza alcuna definizione o epiteto, e c’è in questa astinenza e restrizione un sospiro di perplessità, una tacita capitolazione di fronte all’inafferrabilità del trascendente, giacché nessuna parola, nessuna allusione riuscirà mai a brillare, odorare, scorrere con quel fremito di terrore, presentimento della cosa senza nome, il cui solo primo gusto sulla punta della lingua va oltre la capacità della nostra estasi”. In quel brillio della “cosa senza noma”, in quell’estasi dell’ignoto è Schulz – in una alterità del linguaggio al di là di ogni borghesia borgesiana.
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Descrizione di Bruno Schulz secondo Witold Gombrowicz, anno di grazia 1961: “Gnomo, minuscolo, dalla testa enorme, quasi troppo spaurito per aver il coraggio di esistere, era un espulso dalla vita, uno che sguscia furtivo, sul margine. Bruno non riconosceva a se stesso alcun diritto all’esistenza e cercava il proprio annichilimento: non che sognasse il suicidio, soltanto tendeva al non essere con tutto il suo essere. A mio avviso, in quella tendenza non c’era alcun senso kafkiano di colpa, ma piuttosto l’istinto che impone a una bestia malata di scansarsi, di ritirarsi in disparte”. Come a dire: è lui, Bruno, che ha magnetizzato la pallottola del bastardo verso di sé. Credo che Schulz, piuttosto, i cui disegni sono generati dai Caprichos di Goya, sia un compagno di chiacchiere efficacissimo, sa guardare come nessuno, guardate qui: “Ogni giorno alla stessa ora per il viale del parco passa Bianka con la sua governante? Che dire di Bianka, come descriverla? So soltanto che è meravigliosamente conforme a se stessa, che esegue fino in fondo il suo programma. Col cuore serrato da profonda gioia, la vedo ogni volta entrare nuovamente, passo a passo, nel suo essere, lieve come una ballerina, e inconsapevolmente, con ogni suo gesto, colpire il segno… Una volta alzò gli occhi su di me e l’intelligenza di quello sguardo mi penetrò fino in fondo, mi trafisse come una freccia da parte a parte. Da allora so che niente le è segreto, che conosce tutti i miei pensieri fin dal principio”.
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Amava Gombrowicz (“Nella nostra letteratura siamo da tempo disavvezzi a fenomeno così sconvolgenti, a scariche ideali di tale misura quale il romanzo di Witold Gombrowicz Ferdydurke”), fino a rimproverarlo, con fiera dolcezza (“I tuoi prolissi parlottamenti e negoziati, tutta la tua ambigua e ingarbugliata politica. Per l’amor di Dio, torna in te! Scuotiti dall’accecamento!”), riconobbe subito Il processo di Franz Kafka (“Il suo rapporto con la realtà è del tutto ironico, perfido, animato da cattiva volontà – il rapporto del prestigiatore con la propria attrezzatura. Egli simula soltanto l’esattezza, la serietà, la sforzata precisione di quella realtà allo scopo di screditarla ancor più radicalmente”), che tradusse, insieme alla fidanzata, Jozefina, ma egli, astronomo del microscopico, non è kafkiano. Sapeva che “è l’arte, come espressione spontanea della vita, ad assegnare compiti all’etica e non il contrario. Se l’arte avesse solo la funzione di confermare ciò che è già stato stabilito, sarebbe inutile. Il suo ruolo è quello di una sonda affondata in ciò che non ha nome”.
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La Northwestern University Press pubblica le Collected Stories di Schulz, nella traduzione di Madeline G. Levine. Bruno non ha mai lasciato il suo borgo polacco, ora attracca con enfasi negli immensi Stati Uniti. “Dopo averlo letto, è come svegliarsi da un sogno febbrile”, ha scritto Becca Rothfeld in un lungo servizio pubblicato da “The Nation”, Territory of Dreams. “Di Schulz sopravvivono una manciata di racconti, qualche lettera, alcuni saggi, tutti i lavori occupano un libro di piccole dimensioni. Eppure, questo libro ha una statura incommensurabile. Dopo la sua morte, la vita di Schulz si è liberata da una biografia claustrofobica. Amato da John Updike, V.S. Pritchett, I.B. Singer e Czeslaw Milosz, è stato l’oggetto degli omaggi narrativi di Cynthia Ozick (Il messia di Stoccolma), di Philip Roth (L’orgia di Praga), di David Grossman (Vedi alla voce: amore)”. Insomma, da Schulz discende una generazione di scrittori, una scrittura.
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In un testo del 1936, Schulz capisce la norma che regola l’ordalia dei giorni. “Che cos’è la storia? Chi ha penetrato il segreto delle sue grazie, l’enigma dei suoi favori? Ignoriamo il mistero che si svolge a quattr’occhi tra essa e l’eroe, ignoriamo i patti segreti che stringono tra loro. È forse il segreto tra la fanciulla e il suo prescelto? Quanti ne passa in rassegna con insofferenza, quanti ne sorvola senza uno sguardo, come le pagine non lette di un libro, finché improvvisamente si ferma davanti a uno, fatta di colpo fervida e attenta. Gli altri li consuma in fretta, sommariamente, durano giusto il tempo del fiato contenuto nell’unica parola con cui riescono a rispondere alla sua domanda. Non sono in grado di pronunciare che una sola parola, tutta la loro vita basta ad esprimere una sola sillaba nel verso del suo indovinello”.
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Il proiettile fu una sillaba, la pistola un verbo coniugato male, quell’uomo la creatura senza aggettivi, e Bruno una grammatica, da un foro il fiorire di una storia, dove sono riassunti tutti, assolti e assassini. (d.b.)
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