#Francesco Bellissimo
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Vincent Price
Art by...
1) Richard Pace
2) Basil Gogos
3) Jeremy Haun
4) Dave Acosta
5) Charles Burns
6) Zach Bellissimo
7) Zach Bellissimo
8) The Great Mouse Detective
9) Francesco Francavilla
10) Roger Stine
#Vincent Price#Horror#Horror Films#Film#Famous Monsters Of Filmland#Cinefantastique#Art#Abominable Dr Phelps#The Abominable Dr Phillips#Great Mouse Detective#Witchfinder General#Madhouse#Francesco Francavilla#Basil Gogos#Dave Acosta#Zach Bellissimo#Charles Burns
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Dopo essere stato molestato in modo imbarazzante da un anziano con brutte intenzioni, pare che Papa Francesco abbia alfine dichiarato:
"C'è troppa frociaggine qui al #G7"
(Bellissimo lo sguardo terrorizzato di Milei, che probabilmente c'era già passato) 😂
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Alto Bordo
Come mi ero promesso, ogni trimestre sto recuperando un classico in lettura. Martedi ho finito di leggere La Signora Delle Camelie di Alexandre Dumas Figlio. Pubblicato nel 1848, capolavoro della letteratura dell'Ottocento, Dumas racconta la storia d'amore tra Marguerite Gautier e Armand Duval, un affresco incredibile, e dai tratti molto moderni (soprattutto per quanto riguarda il carattere e le idee di Gautier, tanto che all'epoca fece scandalo e trascinò il romanzo ad un tumultuoso successo) di quel demi monde del tempo, cioè un ambiente sociale corrotto e che ostenta gli atteggiamenti propri di un ceto elevato (lo stesso Dumas scrisse una commedia nel 1855 dallo stesso titolo, e fu lui l'inventore di questo termine).
Più che la storia, celeberrima anche perchè Dumas ne ricavò un'opera teatrale in 5 atti e Giuseppe Verdi ne musicò una versione su libretto di Francesco Maria Piave, La Traviata (1853 la prima rappresentazione) considerata il suo capolavoro e che fu tratta direttamente dalla trasposizione teatrale di Dumas e da allora una delle opere liriche più famose e rappresentate del mondo, c'è un particolare meno noto.
A fine libro Dumas scrive: "...scrissi questa storia esattamente come mi era stata raccontata. Essa ha un solo merito che le sarà contestato, quello di essere vera". Non è solo un espediente narrativo, ma è davvero la realtà: Dumas infatti si ispirò alla sua relazione con Marie Duplessin per il personaggio di Marguerite. Eccola in un bellissimo quadro dell'artista Édouard Vienot
Nata poverissima in Normandia, fu presto abbandonata dalla madre. Il suo vero nome era Alphonsine Rose Plessis, e quando arrivò giovanissima a Parigi, lavorando come sarta, un negoziante, per cui lei lavorava, nel 1839, quando ha solo 15 anni, diviene il suo primo amante. Inizia così una scalata sociale incredibile, in pochi mesi diviene l'amante di personaggi sempre più illustri e la protagonista delle serate mondane parigine. Cambia nome in Marie Duplessis, in cui l'aggiunta del du al cognome d'origine, conferisce un tocco aristocratico, impara non solo a leggere e scrivere (arriverà ad avere una biblioteca enorme) ma anche a suonare il pianoforte, diviene l'amante di uno dei più potenti aristocratici parigini, e fece scandalo incredibile la sua relazione con Agénor de Gramont duca di Guichem, che innamorato pazzo di lei si fa vedere ovunque con Marie, tanto che la famiglia, scandalizzata dalla frequentazione di tale personaggio, gli impone di lasciare Parigi. Con Dumas, ebbe una relazione di circa un anno, dal settembre 1844 all'agosto 1845. Alexandre e Marie trascorrono un periodo insieme in campagna a Saint-Germain-en-Laye, un piccolo comune dell'Ile de France a poca distanza da Parigi (episodio che verrà replicato identico nel libro, quando Armand e Marguerite vanno a Bougival, paesino che diventerà una sorta di mito dei dintorni di Parigi per il romanzo e perché buen ritiro dei maggiori pittori impressionisti). Dumas la lascia con una famosa lettera, che esiste ancora, dopo l'ennesimo tradimento. Tra gli amanti famosi, anche il compositore Franz Listz, il conte svedese von Stakelberg, ambasciatore a San Pietroburgo e il conte Édouard de Perrégaux col quale convola a nozze a Londra nel 1846. Travolta dai debiti e soprattutto debilitata dalla tisi, muore il 3 febbraio 1847. Ai suoi funerali partecipa una folla enorme e la vendita all'incanto dei suoi beni, disposta per risarcire i numerosi creditori, vedrà i partecipanti strapparsi di mano, con morbosa attrazione, gli oggetti andati all'asta, e tra i pezzi forti le opere prime di famosi romanzi dell'epoca firmati per lei dai più grandi autori (anche questo fatto ripreso pari pari nel romanzo). Aveva passione per i gioielli, per le stole di pellicce, per i cavalli e soprattutto per le camelie, sempre presenti nel suo appartamento: spesso rosa e bianche, rosse quando non poteva ricevere i suoi amanti.
Marie Duplessis è la più famosa delle lorette: il termine fu coniato dal giornalista Nestor Roqueplan in un articolo del 20 Gennaio del 1841 su uno dei primi giornali autoprodotti, una cosiddetta Nouvelles à la main, che aveva indicato le cortigiane con un certo gusto e stile con questo termine, preso in prestito dalla Chiesa della Madonna di Loreto (Notre Dame De Lorette, nel IX arrondissement.
Lì si radunavano le giovani donne con stile, che si contrapponevano alle grisette (le sartine), che popolavano il quartiere latino, che erano ragazze che vivevano fuori dalla famiglia che accettavano regali dagli uomini di ceto sociale più elevato, senza necessariamente prostituirsi: grisette deriva da quello di una stoffa adatta da lavoro, con la quale si confezionavano vestiti di basso valore, spesso di colore grigio. È interessante come dei toponimi indicassero in maniera elegante un mestiere che sebbene all'epoca niente affatto scandaloso, veniva "nascosto" perchè in società non si poteva dire.
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robenedict: You did it again #Roma. Thank you @jusinbellocon and @serendipityhope for hosting another fantastic weekend celebrating love, friendship and (SPN) family. E stato Bellissimo. #jibcon #spn #spnfamily @jensenackles @drakerodger @jojoflei_ @jeffparise @billy.moran @jasonmannsmusic @paulcarella @dicksp8jr #francesco, #michele 📸 me, @jensenackles, @housecatsswain, some other people
#jensen ackles#jason manns#paul carella#jeffrey parise#drake rodger#billy moran#jojo fleites#rob benedict
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I don’t remember if anyone here posted the video of “FRANCESCO SEI BELLISSIMO!
- NON È VERO”
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Il prato del cimitero
Nel vecchio cimitero di C., dove è sepolto mio nonno, c’è tra i sepolcri un largo spiazzo ricoperto da un folto prato verde. È un punto ben esposto sia al sole che alla pioggia, e in mezzo a quel tappeto color smeraldo si affollano fiori di ogni tipo: margherite e calendule in primavera, tarassaco, papavero e fiordalisi in estate, gli astri in autunno e qualche raro fiore di anemone in inverno. Quella distesa, in mezzo alla sfilza di pareti di morti impilati fittamente uno sopra l’altro, è un punto di sollievo, dove l’occhio finalmente può riposare. In autunno e in primavera non è raro sentire nell’aria fin da quando si varca la soglia del cimitero l’odore di erba tagliata, e un familiare ronzio in lontananza fa intuire che il prato era di nuovo diventato troppo alto. Passiamo davanti a edifici che una volta saranno sicuramente stati monumentali, ma che adesso non sono altro che fatiscenti: le crepe attraversano le colonne, il tufo bianco dei cornicioni si sbriciola e dai frontoni spuntano cespugli ed erbacce. Alcuni loculi sono vuoti, e da lontano queste vecchie casupole sembrano delle bocche sdentate. I morti sono incasellati alla rinfusa, senza un ordine cronologico, e non è raro trovare in nicchie adiacenti due persone morte a un secolo di distanza l’una dall’altra. “Dovrebbero toglierli, questi vecchiacci, e metterli in un ossario,” brontola, come sempre, mia nonna. Cammina lenta, il ginocchio fa male, si appoggia al mio braccio. Io annuisco. Da una fotografia in bianco e nero racchiusa in un ovale mi guarda un uomo baffuto. Nardò Francesco, lavoratore, d’affanni pieno e di virtù, qui ebbe pace e riposo nell’età di anni sessanta il 28 novembre 1927. “Se togliessero questi qua e restaurassero gli edifici vecchi probabilmente non ci sarebbe bisogno di costruire un cimitero nuovo,” dico. “Eh!” esclama lei, senza aggiungere altro: so già come la pensa. La costruzione del cimitero nuovo è argomento di accese discussioni a C.: troppo vicino alle case e all’ospedale, e pare che l’assegnazione dell’appalto non sia stata poi così trasparente. “Alla fine, si potrebbe utilizzare l'area dove adesso c’è il prato,” ragionavo una ventina di minuti prima col fioraio, mentre ci incartava un bel mazzo di anthurium e gerbere rosse. “Piuttosto che costruire da un’altra parte, tanto vale usare quello spazio, no?” “Non si può,” mi ha risposto il fioraio, tagliando con gesto abituale i gambi dei fiori. “Per legge i cimiteri devono sempre avere dello spazio in più." Vedendo la mia espressione confusa, ha aggiunto: "In caso di epidemie.” Dopo aver depositato il mazzo di anthurium e gerbere davanti al loculo dove riposa mio nonno, a piccoli e lenti passetti ci avviamo verso l’uscita; alla nostra sinistra, il vento gioca in mezzo ai lunghi fili d’erba del grande prato. Lo fisso ripensando alle parole del fioraio: sarà vero quello che ha detto? Che assurdità, sembra un retaggio medievale! Non viviamo mica ai tempi della peste bubbonica. Figurati se una cosa del genere potrebbe mai accadere oggi. Il sole splende alto, rassicurante, e per essere una giornata di metà febbraio fa particolarmente caldo. Il 2020, penso, sarà un anno bellissimo.
(aprile 2020)
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https://www.instagram.com/p/CtuU8D9P96W/?igshid=Y2I2MzMwZWM3ZA==
I’m sorry if you’ve already discussed this or weren’t really following JIb and for the upcoming rant, but I’ve been out of the loop due to travelling home from JIB and only saw this on instagram today.
I’m sorry, but Rob is such a petty (or insensitive) asshole:
//You did it again #Roma.
Thank you @jusinbellocon and @serendipityhope for hosting another fantastic weekend celebrating love, friendship and (SPN) family.
E stato Bellissimo.
#jibcon #spn #spnfamily @jensenackles @drakerodger @jojoflei_ @jeffparise @billy.moran @jasonmannsmusic @paulcarella @dicksp8jr #francesco, #michele
*i me, @jensenackles, @housecatsswain, some of her people//
The guy literally tags Jensen twice, every guest EXCEPT Jared, HIMSELF, had a panel with Jared (which I enjoyed at the time because they were very good together on stage), has the nerve to use #spn and #spnfamily, while excluding ONLY the lead of Supernatural. The guy who made it a “family.”
I get that he might not have hung out with Jared at JIB, and Jared wasn’t at his bedside when he had his stroke so he isn’t an automatic BFF for life, but they were literally on-stage together, getting a picture wouldn’t exactly be hard. Hell, he didn’t even have to include a picture of Jared, but to leave him as the only person in attendance who he didn’t tag is some serious BS. It’s also unprofessional.
These extras are such ungrateful trash, I’m disgusted that I finally caved and spent money on an op with this fool (at least it’s not just him in the picture and I can maybe crop him out).
Like, if Jared hadn’t stayed for years longer on a show that he was thinking about leaving, these jerks would have lost their money train years sooner. But all he gets is slighted and to be made the butt of their jokes. He was even nicer to Rob onstage than any of the other guys. He is more successful than all of them, and they should all frankly be kissing his ass for keeping them employed.
I guess now I really see why Rob will never be cast for even a bit part on Walker despite whining about it on his podcast.
Good for you Jared, keep distancing yourself from these petty losers!
Side note: I had a meet and greet with Jared at JIB and he was in a super good mood, probably because Gen was on her way there.
Again, sorry for the rant, but I had to get it out or explode.
I'm sorry you were close to exploding, I hope this helped!
As for Rob's post... I didn't really get that annoyed about it, and hopefully my reasoning will help you feel a bit better. I did see the post when it initially came out, and I also saw that in his Stories, Rob did include a picture of Jared, so he didn't forget about him completely.
The best way I can put it is to liken it to the corporate world class system. It's like if the SPN/Convention crew all worked in the same division together for 10+ years. With the ending of SPN, Jared was promoted into a separate division while everyone else either stayed in that division, or made a lateral transfer. In the corporate world, even if you were good friends with a co-worker, once they move up in the world, a different kind of relationship developers. So, Jared still attends the same company meetings and get-togethers as his coworkers from the old division, but the same kind of friendship doesn't exist because he's now in a different peer group (or class). They're all still the same people, but how they see and interact with each other has changed. And since I know that Jared is finding success outside the SPN family, and more importantly, is happily vacationing with Gen, I'm not bothered by Jared's exclusion from the tags.
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C'è ancora domani: il bellissimo (e arrabbiato) esordio alla regia di Paola Cortellesi
C'è ancora domani, esordio da regista più che convincete di Paola Cortellesi, qui anche sceneggiatrice e interprete: un film da vedere, magari insieme ai propri figli.
Non importa a quale estrazione sociale appartengano e indipendentemente dal livello di istruzione ed economico, tutti gli uomini del film d'esordio da regista di Paola Cortellesi dicono alla protagonista Delia, interpretata dalla stessa Cortellesi, che "se deve impara a sta' zitta". Ma L'attrice più popolare del cinema italiano contemporaneo non ci sta e, preso in mano il microfonoe la macchina da presa, ne ha diverse di cose da dire. Alla faccia di chi fa notare con pregiudizio e senza domandarsi mai realmente cosa abbiano da raccontare, fermandosi solamente al perché - come mai negli ultimi anni, sempre più attrici stiano passando dietro la macchina da presa. Con C'è ancora domani si può dire che Cortellesi ha stupito: non è soltanto perchè è importante ciò che dice, ma anche come.
C'è ancora domani: foto di gruppo del cast
Il film è ambientato in un Italia del primissimo dopoguerra, e per essere precisi nel 1946, nei giorni che precedono il voto tra Repubblica e Monarchia, primo vero suffragio universale del nostro paese. In un bianco e nero che ricorda i film del Neorealismo, la fotografia è di Davide Leone, ci si accorge subito che la vita di questa donna non è semplice: oltre a curare la casa e prole fa tre lavori diversi. Ma nonostante il suo impegno quotidiano, niente sembra sufficiente per il marito Ivano. Un Valerio Mastandrea che raramente ha ricoperto un ruolo così cattivo sul grande schermo. L'uomo la umilia e la svaluta continuamente. E soprattutto la picchia, o come si dice a Roma la mena. Tanto, ed a ogni minimo cambiamento d'umore. Persino la mattina appena svegli.
Ma nonostante tutto, Delia lavora, per i tre figli, in particolare la maggiore, Marcella (Romana Maggiora Vergano). La ragazza vorrebbe continuare a studiare, ma il padre invece pensa solamente a farla sposare bene, in modo da togliersi dalle spalle una bocca in più da sfamare. E magari nel mentre guadagnarci pure. Sì perché nella casa, oltre ai genitori e ai tre ragazzi, c'è anche il nonno Ottorino (Giorgio Colangeli): e sentendolo parlare si capisce subito da dove provenga la violenza di Ivano. Ma l’uomo non è il solo a prendersela con Delia: anche la figlia maggiore la insulta, le dice che non vale niente e accusandola di essere debole perché non reagisce. In realtà la ragazza rivede nella madre il suo futuro.
Paola Cortellesi ha scritto, insieme agli sceneggiatori Furio Andreotti e Giulia Calenda, diretto e interpretato un film, anche se ambientato negli ultimi anni quaranta del secolo scorso è pieno di "rabbia giovane". Questo perché la rabbia delle donne non conosce tempo: in un mondo fatto su misura per gli uomini, rientrare nel genere che viene considerato "minore" è un peccato originale con cui bisogna fare i conti ogni giorno. Soprattutto quando capisci che, per quanto tu possa lavorare sarai molto spesso pagata meno e considerata meno. Anche fastidiosa, specialmente quando cercherai di dire la tua. Perché "quello è omo!", come dice a Delia il datore di lavoro, quando gli chiede spiegazioni sulla differenza di compenso con il nuovo apprendista. Nonostante le donne come lei, madri, nonne e sorelle, siano state e sono le fondamenta su cui si basa la società, la nostra incrollabile cultura patriarcale, forse ora in modo meno sfacciato, dice sempre "e ringraziate che vi facciamo esistere".
C'è ancora domani: un primo piano di Valerio Mastandrea
E all’interno del film questo è evidente quando il fidanzato di Marcella, Giulio (Francesco Centorame), nonostante si presenti come un bravo ragazzo dolce e innamorato, ripete presto nei confronti della ragazza schemi già visti: possesso, violenza, prevaricazione. Ecco perché il film di Paola Cortellesi ha una forza che serve come non mai, soprattutto al giorno d’oggi, quando pensiamo che la società abbia fatto grandi passi avanti invece orrendi fatti di cronaca ci smentiscono quotidianamente. L'utilizzo di canzoni moderne in un film ambientato quasi 80 anni fa non è per nulla casuale. Perché storie come questa possono anche sembrarci lontane, ma accadono quotidianamente, anche nel "civile" 2024. E dare per scontati diritti come quello del voto, al divorzio e all'aborto, conquistati se ci fermiamo a pensare praticamente ieri, è un pericolo insidioso. quindi anche in tempi moderno e più “civili” non bisogna abbassare la guardia.
Cortellesi non lo ha fatto di certo e ha avuto la grande intelligenza di rendere anche istruttivo il proprio film, senza però mai fare la morale o uno "spiegone-manifesto". Ma nonostante la pesantezza del tema, C'è ancora domani risulta essere anche un film divertente - grazie a quell'ironia popolare e acutissima della Cortellesi, spalleggiata nel film in modo sublime da Emanuela Fanelli, che ha il ruolo di Marisa, migliore amica della protagonista -, dal ritmo incalzante, che, anzi, ha proprio come impronta stilistica quella di smorzare e dissacrare ogni climax emotivo, che esso sia positivo o negativo. Ed ecco quindi che l'ennesima scarica di schiaffi diventa un ballo in cui i lividi spariscono o una scena d'amore viene "sporcata" da della cioccolata rimasta tra i denti.
È un esordio alla regia più che riuscito quello di Paola Cortellesi, in cui si trova finalmente qualcuno nel cinema italiano che non è nostalgico del passato ma, anzi, è invece totalmente proiettato verso il futuro. C’è ancora domani è un film che sarebbe bello le madri vedessero insieme alle figlie e, si spera, vedano anche padri e figli. Per capire che non basta dire "io non sono così", ma è il momento di dire: non voglio che queste cose succedano ancora e ancora, quindi cosa posso fare per cambiare le cose?
In conclusione C'è ancora domani, il film esordio di Paola Cortellesi alla regia, è più che convincente: ed è un film che bisognerebbe far vedere a quanti più giovani possibile, per mostrare come una società che considera meno, e umilia, più della metà della sua popolazione sia una società malata. Divertente in diversi punti e con tante scelte di regia interessanti estremamente consapevoli e con un cast perfetto sicuramente una delle pellicole migliori del 2023 per quanto riguarda il cinema italiano.
👍🏻
- La regia di Paola Cortellesi, strepitosa e piena di idee interessanti.
- La recitazione di tutto il cast.
- Il ritmo incalzante.
- La scrittura, che si poggia su un'ironia dissacrante.
👎🏻
- Non c’è nulla che non vada in questo film ma qualcuno potrebbe non apprezzare l'utilizzo di musiche moderne per un film d'epoca ma in realtà il loro utilizzo è una scelta perfettamente coerente con quanto viene raccontato.
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PARAVENTI:FOLDING SCREENS FROM THE 17TH TO 21ST CENTURIES
C'è un'illustrazione degli anni Settanta di Bruno Munari che riproduce una sedia realizzata nei diversi stili riconducibili ad un artista, così abbiamo una sedia cubista alla Pablo Picasso, una dadaista alla Marcel Duchamp, una surrealista alla René Magritte e così via. Ecco la mostra "Paraventi. Folding Screens from the 17th to 21st Centuries", in corso alla Fondazione Prada di Milano e curata da Nicholas Cullinan (aperta fino al prossimo 22 febbraio), concettualemnte mi ha fatto tornare in mente quell'immagine così sinteticamente efficace. Il "Podium", nei suoi due piani espositivi, raccoglie una serie di paraventi che sembrano piccole cifre stilistiche di tanti artisti, quasi degli autografi anche un po' prevedibili, pur trattandosi di oggetti pregevolissimi, delle "quasi-opere d'arte" che riassumono per il visitatore le tappe dell'arte antica, moderna e contemporanea. Come volete che sia un paravento decorato da Yves Klein? Blu, naturalmente. e quello a firma di Jim Dine? Sgocciolante come i suoi cuori, va da sé. Quello di Alvar Aalto? Di legno di pino ondulato, impossibile sbagliare. Vediamo se indovinate quello di Cy Twombly... un foglio scarabocchiato e macchiato. Insomma, qualche buon grado di prevedibilità, in questi oggetti liminari che stanno sulla soglia tra intimità e mondo esterno era prevedibile, ma non in dosi così massicce. Questo però riguarda fortunatamente solo i nomi degli artisti più celebrati ed esposti al secondo piano del Podium. La musica cambia decisamente però quando ci troviamo di fronte ad un Coromandel cinese del XVII secolo (tanto amati da Coco Chanel) o quando ci pariamo dinnanzi a qualche originalissima creazione contemporanea come quella di Francesco Vezzoli, "The assasination of Trotsky" un paravento specchiato sul quale campeggiano le riproduzioni fotografiche a grandezza naturale di Romy Schneider, Alain Delon e Leone Trotsky appunto, allusione all'omonimo film progettato dallo stesso Delon (forse per non lasciar decadere la sua già notevole autostima). La mostra, benché dall'impianto non originalissimo e con le massicce dosi di prevedibilità di cui si è già detto, può essere affrontata come una caccia al tesoro che ci rivela non poche preziose ed originalissime scoperte, sia nell'arte antica, sia in quella moderna e contemporanea. E' il caso del paravento di Pedro de Villegas del 1718, con la raffigurazione di una mirabile conquista del Messico da parte delle truppe di Cortes e con scene descrittive di grande valore documentario, oltre che decorativo. Che demone abbia nella mente il committente di un simile soggetto su un paravento, non è dato sapere, ma certamente si tratta di un bellissimo oggetto. Molto particolare il paravento-arazzo, ideato da William Morris (e realizzato da Elizabeth Burden) che ritrae Lucrezia, Ippolita ed Elena protagoniste del poema trecentesco di Geoffrey Chaucer (quello dei "Racconti di Canterbury) di sapore Preraffaellita, molto molto "Art and Craft". Tra quelli di realizzazione piu recente, non posso passare sotto silenzio quello di Lisa Brice, una tempera sintetica e pastello che raffigura un mondo tutto al femminile e godereccio, dove tra queste pittrici-amazzoni c’è chi ridipinge il celeberrimo quadro di Courbet “L'origine du monde”, come fosse un autoritratto della stessa pittrice; un soggetto quantomai criptico anche se si dà per scontato che l’artista produca un’opera dall’evidente significato anti-patriarcale. Tra gli strabilianti, sicuramente il paravento di Kelichi Tanaami, una "Guernica" del 2023, per così dire rivisitata e intrista di Pop Art e Manga, da dove occhieggiano, paludate tra una fauna immaginifico-fumettistica, anche le figure picassiane della grande tela. L'elenco potrebbe continuare molto a lungo, ma come tutte le liste, per citare Umberto Eco, anche questa rischia di diventare una vertigine e allora la cosa migliore da fare è sbrigarsi ed andare a dare un'occhiata in loco, magari sbirciando da dietro un paravento...
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Mi chiamo Alice, ho 27 anni, e domani mi sposo. Mi trema il cuore dalla felicità. Sento tutte le farfalle nello stomaco, di tutto il mondo, tutte dentro. Sposo Luigi, l’amore della mia vita, l’amore che arriva e ti ci butti dentro. Ed è bellissimo.
Mi chiamo Alice, ho 30 anni, e sono incinta. Ho la nausea alla mattina, appena mi metto seduta sul letto dopo aver aperto gli occhi. E la sera mi viene una fame, una fame di cose introvabili nel frigo, così Luigi deve farsi un paio di supermercati prima di accontentare il piccolo che mi vive in pancia e che reclama cibo. Luigi dice che sono bellissima, io mica gli credo, sono ingrassata di dieci chili, ma mi faccio coccolare lo stesso.
Mi chiamo Alice, ho 31 anni, e da qualche mese stringo fra le braccia Francesco. È buono Francesco. E sa di latte dappertutto, sui capelli, manine, piedini. Lo guardo con meraviglia. Ma, per davvero, l’ho fatto io? Ma, per davvero, e’ venuto fuori da me? Mi commuovo per ogni cosa. Luigi, no. Luigi alza la voce. “Fallo smettere di piangere, Cristo.”. Ieri gli è scappata una mano sulla mia faccia. L’ho perdonato subito. È stanco. Questa paternità lo trova impreparato.
Mi chiamo Alice, ho 32 anni, e, oggi, guardandomi allo specchio ho notato un livido sul braccio destro, uno su uno zigomo, e uno vicino al labbro. Ora mi trucco per bene e sparisce tutto.
Mi chiamo Alice, ho 33 anni, e, stasera, sono finita al pronto soccorso. Tre costole rotte. Luigi mi ha mandato un calcio su un fianco. Ma non è colpa sua. Non è colpa sua. Lui è così stanco, ed io così distratta che sono caduta in cucina, mentre gli portavo in tavola il piatto e le posate. “Mio marito ha provato ad aiutarmi a rialzarmi, invece mi è caduto addosso.”, così ho detto in ospedale. “Sicura?”. “Sicura.”, ho risposto piano, col dolore che mi tagliava il respiro.
Mi chiamo Alice, ho 35 anni, e, stamattina, Luigi mi ha ficcato un coltello in gola. Ho sentito la lama entrare nella carne. Per qualche secondo ho trattenuto il fiato, e ho pensato “ma sta capitando a me? per davvero sta capitando a me?”. Sono morta dopo qualche ora. Senza più sangue.
Mi chiamo Alice, e, ora, sono nuvola, e pioggia, e terra, e mare. E respiro di madre su tutti gli orfani di questo mondo.
Anna Steri
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"Mi chiamo Alice, ho 27 anni, e domani mi sposo. Mi trema il cuore dalla felicità. Sento tutte le farfalle nello stomaco, di tutto il mondo, tutte dentro. Sposo Luigi, l’amore della mia vita, l’amore che arriva e ti ci butti dentro. Ed è bellissimo.
Mi chiamo Alice, ho 30 anni, e sono incinta. Ho la nausea alla mattina, appena mi metto seduta sul letto dopo aver aperto gli occhi. E la sera mi viene una fame, una fame di cose introvabili nel frigo, così Luigi deve farsi un paio di supermercati prima di accontentare il piccolo che mi vive in pancia e che reclama cibo. Luigi dice che sono bellissima, io mica gli credo, sono ingrassata di dieci chili, ma mi faccio coccolare lo stesso.
Mi chiamo Alice, ho 31 anni, e da qualche mese stringo fra le braccia Francesco. È buono Francesco. E sa di latte dappertutto, sui capelli, manine, piedini. Lo guardo con meraviglia. Ma, per davvero, l’ho fatto io? Ma, per davvero, e’ venuto fuori da me? Mi commuovo per ogni cosa. Luigi, no. Luigi alza la voce. “Fallo smettere di piangere, Cristo.”. Ieri gli è scappata una mano sulla mia faccia. L’ho perdonato subito. È stanco. Questa paternità lo trova impreparato.
Mi chiamo Alice, ho 32 anni, e, oggi, guardandomi allo specchio ho notato un livido sul braccio destro, uno su uno zigomo, e uno vicino al labbro. Ora mi trucco per bene e sparisce tutto.
Mi chiamo Alice, ho 33 anni, e, stasera, sono finita al pronto soccorso. Tre costole rotte. Luigi mi ha mandato un calcio su un fianco. Ma non è colpa sua. Non è colpa sua. Lui è così stanco, ed io così distratta che sono caduta in cucina, mentre gli portavo in tavola il piatto e le posate. “Mio marito ha provato ad aiutarmi a rialzarmi, invece mi è caduto addosso.”, così ho detto in ospedale. “Sicura?”. “Sicura.”, ho risposto piano, col dolore che mi tagliava il respiro.
Mi chiamo Alice, ho 35 anni, e, stamattina, Luigi mi ha ficcato un coltello in gola. Ho sentito la lama entrare nella carne. Per qualche secondo ho trattenuto il fiato, e ho pensato “ma sta capitando a me? per davvero sta capitando a me?”. Sono morta dopo qualche ora. Senza più sangue.
Mi chiamo Alice, e, ora, sono nuvola, e pioggia, e terra, e mare. E respiro di madre su tutti gli orfani di questo mondo."
-- Anna Steri
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Poco fa ho visto la produzione del Glyndebourne di Alcina, con la regia di Francesco Micheli. È una produzione fantastica, che si può noleggiare a 11 euro. Ho pensato di postare qui un disegno di due anni fa delle sorelle
Morgana, sebbene non appare nel Furioso, ha un ruolo importante nell'Innamorato di Boiardo, dove è uno degli antagonisti soprannaturali principali del romanzo. Assume aspetti di quasi ogni fata dei racconti bretoni (l'altro mondo subacqueo, l'amante rapito, il cervo bianco dalle corna d'oro) mescolati alla Fortuna personificata dell'immaginario italiano: infatti porta i capelli corti col ciuffo, e Orlando deve rincorrerla e acciuffarla per raggiungere i propri scopi. Come nel ciclo bretone, è un personaggio ambiguo, non buono, ma con aspetti anche umani. Nel folklore italiano è diventata la fata malvagia per eccellenza, e al Sud si dice che viva su un palazzo fluttuante sullo Stretto di Messina. In Sicilia è anche conosciuta come la madre delle fate e delle Donne di Fuora.Alcina appare in entrambi i Romanzi cavallereschi, ed è una maga ingannatrice, che incanta gli eroi Astolfo e Ruggiero per tenerseli sulla sua isola, finchè non se ne annoia e li muta in piante, rocce ed animali. Quando peró Ruggero fugge, grazie all'aiuto della strega Melissa, l'incantevole fata conosce per la prima volta l'abbandono e desidera morire, cosa per lei impossibile. Anche lei trovó gran successo nelle leggende, venendo identificata con la Regina Sibilla, la sovrana delle fate. Da lei Händel trasse la sua omonima operaLogistilla è stata inventata da Ariosto, e le vicende che la riguardano sono un'allegoria per la difficoltà di evitare i piaceri e i vizi, ricompensata però dalla vera gioia della Ragione e Virtù (il suo nome infatti deriva dal greco λόγος, "parola", "ragionamento"): Ruggero per raggiungere il suo bellissimo palazzo che rispecchia i pensieri della gente, pieno di oggetti meccanici o miracoloso, deve prima attraversare l'ardua strada piena di ostacoli sull'isola delle fate, venendo continuamente tentato dalle damigelle di Alcina. Forse è proprio per questa sua natura allegorica, che Logistilla è stata perlopiù dimenticata. Appare solamente nella fiaba della "Regina Marmotta", raccolta da Gherardo Nerucci, e aggiunta alle "Fiabe italiane" di Calvino. Lì il suo nome diventa Lugistella, e così, dato che Alcina nel Furiosa è paragonata al Sole, ho voluto dare alle tre fate un tema astrale.
Hab vor kurzem die fenomenale Glyndebourne Produktion von Alcina geschaut, also wollte ich mal hier dieses alte Bild von den Mädels posten.
Morgana taucht zwar im Furioso nicht auf, spiel aber im Innamorato eine wichtige Rolle als magische Shurkin. Boiardo gab ihr sowohl Eigenschaften der Bretonischen Feen (unterwasser Zauberwelt, entführter Liebhaber, weißer Hirsch mit goldenem Geweih) als auch der Italienischen Glücksvorstellung: sie trägt nämlich ihr Haar kurz und Roland muss sie verfolgen und am Schopf packen, um zu siegen. Morgana wurde zu der bösen Fee schlechthin im Italienischen Glauben und man sagt, sie lebe auf einem schwebenden Achloss auf der Straße von Messina. In Sizilien glaubt man auch, sie sei die Mutter der Feen und Donne di Fora.Alcina kommt in beiden Ritterepen vor, und ist eine tückische Zauberin, die die Ritter Astolfo und Ruggero bezaubert und auf ihrer Insel fest hält. Danach verwandelt sie sie aus Langeweile in Pflanzen, Steine oder Tiere. Doch als Ruggero dank der Hexe Melissa entkommt, spürt sie zum ersten Mal den Schmerz des Verlassen Werden und wünscht sich den unerreichbar en Tod. Auch sie spielt später eine Rolle in der Italienischen Folklore, wo sie mit der Sibylle, der Feenkönigin gleichgestellt wird. Händel basierte auf Alcina seine gleichnamige Oper.Logistilla wurde von Ariost erfunden und ihre Geschichte ist eine Allegorie für das schwere Überwinden von Genuss und Sünde um Verstand und Tugend zu erreichen (ihr Name selbst kommt vom griechischen λόγος, "Wort", "Gedanken"). Um iheen Fabelhaften Palast, voller technischen und magishen Wundern, muss Ruggero einen weiten schweren Weg überwinden, und den Versuchungen der Alcina wiederstehen. Eben wegen ihrer allegorischen Natur hat sie keinen Platz im Volksglauben gefunden. Nur im Märchen der "Murmeltierkönigin" von Gherardo Nerucci und Italo Calvino gesammelt, taucht sie als Lugistella auf. Darum wollte ich im Bild die Feen mit Himmelskörpern verbinden.
Recentoy watched the amazing Glyndebourne production of Händel's Alcina, so I wanted to post this old picture I had done of the girls.
While not appearing in the Furioso, Morgana plays an important role as Supernatural villain in the Innamorato. Boiardo gave her both elements of Breton fairies (underwater Other World, kidnapped lover, white deer with golden antlers) and of the Italian depiction of Fortune: she has short hair and Roland needs to chase her and grab her by her forelock to succeed. She also found much success in Italian folklore, where she became the go-to evil fairy of Folktales. In the South, she's believed to live on a floating palace on the Strait of Messina and to be the Mother of fairies and Donne di Fora.Alcina appears in both chivalry poems, and is a cunning sorceress who lures the knights Astolfo and Roger on her island and traps them there, before turning them into plants, rocks and animals out of boredom. But when Roger escapes thanks to the witch Melissa, the beautiful Fairy discovers the pain of abandonment and loss. She too found a place in Italian legends, where she was identified with the Sibyll Queen, ruler of the fairies. Händel based his opera "Alcina" on this facinating figure.Logistilla was invented by Ariosto, and her story is an allegory about the hardships at overcomming pleasures and vices in pursuit of reason and virtue (her name comes from the greek λόγος, "word", "reasoning"). Before reaching her truth-revealing castle, full of technological and magical wonders, Roger must go through the dangers of the fairy island, while resisting Alcina's temptations. It's probably because of her allegorical nature that Logistilla barely had an impact on the folk tradition. She only appears in the tale of "the Groundhog Queen", collected by Gherardo Nerucci and Italo Calvino, under the name Lugistella. I tried to use an astral theme with these characters, since Alcina is compared to the Sun too.
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Juice Sanguinis
Francesco Paolo de Ceglia è stato già protagonista di uno dei miei post bibliofili, qualche anno fa, quando scrisse un libro eccezionale sulla Storia del Miracolo di San Gennaro, che fu una lettura entusiasmante. È con lo stesso spirito di curiosità che ho comprato il suo ultimo, lavoro, dal titolo, non si può dire altro, gotico:
Anche in questo caso si tratta di una Storia Naturale, intesa come studio e descrizione dei componenti della natura, che stavolta riguarda i vampiri. Dico subito una cosa: non esiste una traduzione precisa del concetto di “vampiro” e persino la sua etimologia è oscura e misteriosa (va da sé, visto l’argomento, si potrebbe pensare), ma è chiaro che la nostra idea di “Vampiro” un succhiasangue spesso ben vestito che abita un castello terrificante sta al termine come Babbo Natale sta alla Coca-Cola. E lo spiega, con la sua scrittura precisa e barocca, il professore de Ceglia, che insegna Storia della Scienza presso l’Università di Bari, intraprendendo un percorso affascinante che parte da un dato storico: a metà del 1700, un po’ per pruderie editoriali un po’ per motivi politici, alcuni resoconti di ufficiali dell’Impero Austro-Ungarico, mandati da Vienna in sperduti angoli orientali dell’Impero, scoprirono che le popolazioni locali avevano “problemi” riguardanti dei “ritornati”, persone cioè morte ma che continuavano a disturbare la popolazione, soprattutto i familiari. Si fecero indagini, autopsie, e tra il preoccupato e lo scettico quei documenti arrivarono a Vienna, e segretamente poi pubblicati e ripresi da numerose Riviste Scientifiche e letterarie che accesero la miccia sui morti viventi dell’Europa orientale. Da qui, con un lavoro filologico e storico impressionante (oltre 1000 note, più di 400 tra Autori e Testi citati) de Ceglia indaga a ritroso sulle tradizioni legate a queste presenze, al ruolo che la Chiesa ha giocato sulla loro diffusione o sul loro confinamento, sulle problematiche teologiche, storiche e persino economiche. E si scopre che sotto la definizione vampiro si annidano figure che adesso definiamo con altri nomi, come gli zombie, ma che a seconda del contesto avevano caratteristiche specifiche, e molte altre comuni, che attraversano per centinaia di anni alcune zone dell’Europa. La storia è, il più delle volte, sempre la stessa: dopo il suo decesso, un membro marginale della comunità, spesso segnato da caratteristiche fisiche peculiari, ritorna col proprio corpo (e non semplicemente come spettro evanescente) a tormentare la popolazione del proprio villaggio, del tutto indifferente alla ratio che vorrebbe un corpo sepolto, e riesumato solo per accertarne l’assenza di decomposizione o eventualmente arderlo, inamovibile e del tutto incapace di vagare quando cassa e terra lo abbracciano. Ma non fu sempre così, e la categorizzazione delle varie differenze è meravigliosa, come lo scoprire perchè, e nel libro è prontamente spiegato, ci sono intere fasce di territorio europeo dove questo fenomeno non si riscontra.
Ma Dracula? Beh, questo lo posso svelare: fu un bellissimo ma cagionevole di salute scrittore irlandese, che nel 1890 stava scrivendo un libro, dal titolo provvisorio di Conte Wampyr lo inventò. Si imbattè in un libello nascosto in una biblioteca, Resoconto sui principati di Valacchia e Moldavia, nel quale aveva letto: “Dracula in lingua valacca significa Diavolo. I Valacchi avevano l’abitudine all’epoca, e ce l’hanno ancora oggi, di dare questo soprannome a tutte le persone che si distinguono per coraggio,. azioni crudeli o abilità”. Persino il riferimento a Vlad III Dracula, detto l’Impalatore (Tepes, nomignolo che si sarebbe affermato dopo la sua morte) è piuttosto occasionale. Quando uscì il suo romanzo, nel 1897, il clamoroso successo e l’imperitura trasfigurazione in opere teatrali e soprattutto cinema e televisione (potere dell’immagine, punto dell’era contemporanea) Dracula si trasformò in un elegante mordicollo, che odia la luce, che preferisce le tenebre e che trasforma chi morde in vampiro (che leggendo il libro sono caratteristiche che non si riscontrano, se non in minima parte, nelle storie dei vampiri “naturali” e sono tutta farina del sacco di Stoker).
Soprattutto, e qui sta la bellezza secondaria, è un grande affresco sul ruolo storico, culturale, politico e simbolico del rapporto con l’altro, con il diverso e, en passant, con la morte. E ci sono delle osservazioni che davvero entusiasmano (per chi leggerà il libro, raccomando particolare attenzione all’introduzione dell’idea del Purgatorio o come, per evitare pericolose contaminazioni, i segnali di santità sui corpi cambino repentinamente per non confondersi con quelli dei “non morti”).
È una lettura impegnativa, sia per l’argomento, per il tono da pubblicazione accademica (ma molto ironica e in alcuni passaggi esilarante) e anche per il prezzo del volume (34€) ma che scandaglia la storia dai miti greci fino a Buffy L’ammazzavampiri e True Blood o Twilight, nuovi fenomeni che cambiano ancora radicalmente la figura del vampiri, regalandole nuove e inaspettati rappresentazioni. D’altronde il possesso della conoscenza non uccide il senso di meraviglia e mistero. C’è sempre più mistero (Anaïs Nin).
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Francesco Bellissimo chef is chilling in Sapporo, Hokkaido⛄️❄️ 空手のお陰でマイナス10℃でも気持ち良いね🥋 Sempre massicci anche sotto la neve di Hokkaido a meno 10 gradi👍 #ベリッシモ #料理研究家 #francescobellissimo #chef #cheflife #celebritychef #イケオジ #イケメン #イケメン男子 #空手家 #karateka #外国人タレント #俳優 #モデル #髭 #髭男 #イタリア人 #italian #italianstyle #italianman #theromangladiator #hokkaido #hokkaidolove #sapporo #北海道 #札幌 #カッコいい #scuoladifanteriacesano #personaggiopubblico #enjoylife (at Sapporo, Hokkaido) https://www.instagram.com/p/Coyl5ddrUy3/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Grazie, per lo spazio (post) dedicato a questo dondolamento all’interno del suo bellissimo sito Vengo dal mare, a Marina Tommasini (grazie a Mario Sboarina - che ha inoltre ripulito il suono -, a Martina Campi, Dorinda Di Prossimo e Francesco Balsamo per quella serata insieme e tanto altro - indimenticabile):
https://vengodalmare.com/2023/01/21/dondola-giampaolo-de-pietro-con-francesco-balsamo-e-robert-lax/
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E come in un romanzo io scriverò di te
Di quello che c'è stato che adesso sai non c'è
Mi inventerò due righe come piaceva a te
E con semplici parole dirti che
Era bellissimo
Stare con te, con te, con te
Era fantastico
Abitare dentro di te
Ma sai che c'è, che c'è
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