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#Fotografia e inconscio tecnologico
marcogiovenale · 5 months
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fotografia e inconscio tecnologico
un libro fondamentale per chiunque scriva. se, leggendo, sostituite “poesia” o “scrittura” a “fotografia”, ottenete un manualetto validissimo per oggi e per domani. «Non è importante che il fotografo sappia vedere, perché la macchina fotografica vede per lui. […]La fotografia è un segno strutturato dell’inconscio tecnologico del mezzo fotografico e in questo senso essa è una ‘scrittura…
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lamilanomagazine · 2 years
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Modena, in uscita l'ebook Carezze al mondo
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Modena, in uscita l'ebook Carezze al mondo. È on line il nuovo ebook del Dondolo "Carezze al mondo", il testo inedito che Michele Smargiassi, giornalista e studioso della fotografia, dedica all’amicizia poetica e intellettuale del fotografo Luigi Ghirri, di cui ricorre il trentennale della morte, con lo scrittore Gianni Celati. Il nuovo ebook, come gli altri pubblicati dalla casa editrice digitale del Comune di Modena diretta da Beppe Cottafavi, si può scaricare gratuitamente dalla piattaforma digitale Mlol. Luigi Ghirri, il più importante fotografo italiano della nostra epoca, nasce il 5 gennaio 1943 a Scandiano, vicino a Reggio Emilia e muore improvvisamente nella sua casa di Roncocesi il 14 febbraio 1992. A conferma che la fotografia entra a far parte di una nuova narrazione del paesaggio italiano insieme ad altre "scritture", per la mostra "Viaggio in Italia" nel libro con il testo critico di Arturo Carlo Quintavalle appare lo scritto di Gianni Celati, uno dei maggiori scrittori della nostra epoca, "Verso la foce. Reportage per un amico fotografo". Di questa amicizia dà conto il testo di Smargiassi. Luigi Ghirri ha vissuto e lavorato per molto tempo a Modena dove conosce l’artista concettuale Franco Vaccari e con lui approfondisce alcune fondamentali riflessioni intorno al ruolo della fotografia nell’ambito dell’arte contemporanea. Nel 1972 a Modena, presso la hall del Canalgrande Hotel – circolo Sette Arti Club, presenta la sua prima mostra personale intitolata "Luigi Ghirri. Fotografie 1970-71", frutto di una selezione realizzata insieme a Franco Vaccari, autore dell’introduzione al catalogo. Realizza poi Km 0.250, la riduzione fotografica in scala 1:10 del muro perimetrale dell’autodromo di Modena ricoperto di manifesti pubblicitari. A metà degli anni 70 va a vivere con Paola Borgonzoni in un appartamento del centro storico di Modena. Nella penombra della nuova casa inizia un nuovo lavoro, "Identikit". Fotografando in luce naturale i propri oggetti, i dischi, i libri della sua libreria, realizza una dichiarazione di identità ma al tempo stesso un diario intimista di quei giorni e di quel luogo. Uscendo appena di casa e girando tra le bancarelle del mercatino dell’antiquariato di piazza Grande, intraprende un percorso ancora nuovo nel mondo delle immagini e dei segni, concependo così la serie Still-Life. Pitture, fotografie incorniciate, cataloghi, manoscritti, vecchie cose affastellate, si propongono al suo sguardo trasformandosi in “luoghi” in cui cogliere possibili stratificazioni: anche gli oggetti che sembrano essere interamente descritti dalla vista possono essere, nella loro rappresentazione, come le pagine bianche di un libro non ancora scritto. Nel 1978 fonda la casa editrice Punto e Virgola e pubblica il suo primo libro, "Kodachrome". Qui pubblica anche il saggio di Franco Vaccari "Fotografia e Inconscio Tecnologico".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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fotopadova · 7 years
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Fotografia: l'io, il corpo e il reale
 --- di Nicola Bustreo
 - Intervista a Francesca Della Toffola:
 Francesca Della Toffola: who , what , when , where , why
 La passione per la fotografia nasce durante gli anni universitari a Venezia anche se un segnale di quella che sarebbe stata la “malattia” che non mi avrebbe più abbandonata c’è stato all’età di 12 anni: ordino per posta un libro di tecnica sull’acquarello e me ne arriva uno sulla fotografia (la scusa era che erano terminati)….con mia grande delusione subito naturalmente accantonato. Oggi lo conservo ancora.
Le lezioni di Italo Zannier stimolano la mia curiosità e così la magia della fotografia mi cattura in camera oscura, il mio primo ingranditore russo acquistato in un piccolo negozietto in Calle Sechera: le sperimentazioni e le riflessioni di Moholy Nagy, di Man Ray, di Luigi Veronesi mi affascinano.
E poi arriva lo studio sulla bellezza, sulla verità, “Sulla soglia dell’immagine. La fotografia di Wim Wenders” ,  sul cinema e l’esigenza della sequenza: non mi basta più una singola immagine, lavoro a dittici e trittici da subito.
Nel 2001 dopo un workshop sulla creatività con Franco Fontana a Massa Marittima, altro luogo importante per la mia crescita fotografica, nascono i DITTICI e la LINEA NERA, segno del tempo, impronta di sequenza spezzata. Proprio in Toscana incontrerò amici con cui condivido i miei pensieri e le mie fotografie ancora oggi.
E’ in quel momento che decido di dedicare e approfondire le mie ricerche sul colore, mettendo da parte il b/n.  Luigi Ghirri con “Niente di antico sotto il sole” e Francesca Woodman con i suoi autoritratti “mimetici” accompagnano le mie riflessioni.
 Poi Milano, l’Istituto Italiano di fotografia, lo still life, la moda, la professione.
 Nel 2004 ancora la Toscana, incontrerò lì Arno Rafael Minkkinen. Un incontro molto importante. Mi incoraggia a credere nel mio lavoro, nella mia forma di espressione.
La mia fotografia è riflessione su se stessi, è un continuo specchiarsi-spezzarsi. Quando ci si guarda allo specchio ci si vede sempre a metà (non vedi quello che c’è dentro), a volte solo pezzi confusi e rotti.Ogni volta con l’autoritratto si rinnova questa frattura di sé per poi ricomporsi nell’immagine finale.
Ho poi bisogno di racconto, di una breve sequenza, non mi basta più una singola immagine. Due, tre immagini mi aiutano ad esprimermi meglio. Nascono così le mie immagini come “fotomontaggi semplici” ispirati da un luogo e dai colori. 
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• La tua produzione fotografica è tanto particolare quanto introspettiva. Non solo ritratto ma anche autoritratto entrambi immersi in contesti dove la relazione con il corpo è fondamentale sul piano visivo e dell'emozione.  Qual’e’ la tua  filosofia ma soprattutto la filologia visiva ? 
Fotografia come poesia, espressione del mio sentire. Attraverso questa forma di linguaggio senza parole, fatto di colori e forme, di luci e ombre, di ricordi e sensazioni riesco a far emergere la parte più nascosta della mia persona: è come togliere il “velo di maya” (Schopenauer). Non tutto si riesce a spiegare, naturalmente, rimane sempre il mistero. Svelare non significa comprendere a pieno.
Io sono un essere umano che fa parte del mondo. Il corpo è l’unico strumento con il quale posso far sì che la mia parte interiore, invisibile, inafferrabile tocchi il mondo, la realtà, quello che mi sta intorno.
La fotografia, il corpo, l’autoritratto in particolare, permette il pieno contatto con il reale.
Corpo come sema-soma gabbia, prigione dell’anima da cui uscire, liberarsi e ancora corpo come peso-gravitas, un corpo pesante, ingombrante che non permette di comunicare.
Ecco il bisogno di togliere peso al corpo, ecco la necessità di mimetizzarsi con il mondo, con la natura.  Nella serie Stanze e Immaginarsi il corpo è vissuto come ingombro, in Pelle a pelle e Immobili evasioni il corpo si mimetizza sempre più, con Appesi all’attimo diviene pura ombra e luce, per approdare, infine, alla trasparenza, alla leggerezza di Accerchiati incanti. 
Sicuramente le immagini di Francesca Woodman hanno influenzato la mia fotografia: il suo modo di raccontare gli stati d’animo, la sua malinconia sono vivi ed emozionano. Anche la Body art è stato un argomento di mio interesse, pur non condividendo le ricerche più estreme: non cerco la sofferenza del corpo ma la leggerezza. Tra gli autori che mi affascinano: Bill  Brandt e i suoi corpi deformati e dilatati; Arno Rafael Minkkinen con il suo corpo duttile, nervoso, adattabile come la natura stessa e poi Jerry Uelsmann perché trasforma il corpo in un contenitore di racconti, di sogni.
Nelle mie fotografie il corpo è sempre inserito in un ambiente, è parte indispensabile della realtà che muta, che cambia come il corpo stesso. Fondamentale poi è il colore che riempie e svuota il corpo, così la mente, l’immaginazione può volare alta.
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• Entriamo ancora più nel particolare: la fotografia è il mezzo di diplomazia comunicativa, ma il corpo sembra intrapporsi tra la tua idea visiva e questo strumento. Uno spettatore che osserva le tue fotografie come deve intendere il “ tuo corpo fotografato”? 
Per diplomazia comunicativa intendi che ognuno ci legge ciò che vuole?
Credo che qualcuno riesca a leggerci la “mia idea visiva”, intendo la necessità di diventare un tutt’uno con le cose, di entrare nel mondo, di farci parte appieno. Certo posso capire che per altri non sia così immediato ma è un po’ quello che succede con la poesia, ci sono poesie che entrano nelle viscere anche se non si capiscono del tutto e altre magari molto conosciute che lasciano indifferenti. E’ una questione di empatia.
Il “mio corpo fotografato” è uno strumento che mi permette di comunicare in modo più diretto, più coinvolgente, più sincero anche (credo), perché non mi vedo e non posso “controllarlo” totalmente; il mio corpo si adatta alle cose, alle sensazioni, odori compresi di quella situazione che avviene lì, in quel solo momento. Ecco perché dico che istinto e casualità sono presenti nelle mie fotografie. Metto in scena me stessa come in un piccolo teatro personale e come a teatro possono succedere degli imprevisti…a volte meravigliosi come quando la mia gattina dal pelo bianco e nero si avvicina incuriosita mentre sto distesa sulla neve.
Faccio parte del mondo e ovviamente ascolto, amo, soffro di fronte alle storie, gli accadimenti della vita. Ecco quel teatro vorrei fosse letto come universale, vorrei che lo spettatore, di fronte alle mie immagini, non guardasse il mio corpo pensando che è il mio. Il mio corpo è solo un pretesto per raccontare la fragilità che ci accomuna.
Racconto “una storia”, la mia, ma potrebbe essere di chiunque.   
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• Per te può esistere il concetto di Fotografia Introspettiva?
 Credo si possa parlare sempre e comunque di fotografia introspettiva. Volendo leggere tra i pixel o gli alogenuri delle immagini c’è sempre l’autore dietro che sceglie quando scatta, che sceglie in base ai propri ideali, sensazioni, esigenze, necessità. Il fotografo è sempre coinvolto, con il pensiero, con il corpo, con il cuore, con la propria parte interiore, invisibile, che si fa visibile attraverso l’immagine.
In fondo la fotografia è latente in ognuno di noi, per rivelarsi ha bisogno dello scatto, dell’azione, del pensiero.
L’inconscio tecnologico proprio della fotografia si rivela in tutta la sua naturalezza. C’è una parte tecnica, propria del mezzo e una parte interiore, propria del fotografo che scatta in quel momento e non in un altro, che sceglie un soggetto e non un altro.
Se vuoi dire che la mia fotografia è introspettiva, certo né più né meno di qualsiasi fotografia.
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runfastbitehard · 9 years
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etereblu · 12 years
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La parola non è mai contemporanea all'evento, in quanto la parola è sempre una forma di giudizio. Fotografia e inconscio tecnologico Franco Vaccari
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marcogiovenale · 2 years
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rai radio techetè: due puntate su franco vaccari
Rai Radio Techetè (su Rai Sound) oggi 17 e domani 18 ottobre, speciale audio ‘Racconti di Fotografia: Franco Vaccari’, a cura di Francesca Vitale. Per l’ascolto in diretta h.6:00, 14:00, 22:00.Puntate poi riascoltabili nell’Archivio Speciali di Radio Techetè, sul sito del canale.L’occasione per questo speciale sono i 50 anni dalla partecipazione di Vaccari alla Biennale di Venezia del 1972, dove…
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