#Federico Della Croce
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Alessandro Gilioli
Può sembrare che un po' abbiano ragione i fascisti di Acca Larenzia: la commemorazione con i saluti romani c'è sempre stata, dal 1979 in poi, perché quindi lo scandalo a questo giro?
Forse, tuttavia, un breve - brevissimo - riassunto di storia recente può darci qualche informazione in più, sul perché.
Storia molto recente: siamo nel gennaio del 2012. Quando, sempre nel giorno dell'anniversario, i neofascisti cambiarono in via Acca Larenzia una serie di cose, a iniziare dalla targa che commemorava le tre vittime.
Quella precedente era stata posta nel 1978 in una cerimonia guidata da Gianfranco Fini, allora segretario generale del Fronte della Gioventù, l'organizzazione giovanile del Msi. Le tre vittime della strage, in quella prima lapide, erano definite "vittime della violenza politica". C'era anche un appello: "Per la libertà e per un'Italia migliore".
Ecco, in quel sabato 7 gennaio 2012 quella lapide venne sostituita da un gruppo di ex missini che contestavano a Fini la sopravvenuta svolta moderata e la condanna del fascismo. Sulla nuova targa c'era scritto che i tre erano stati uccisi "dall'odio comunista e dai servi dello Stato". La firma: "I camerati". I muri attorno alla targa vennero dipinti con murales d'ispirazione tra il romano-imperiale e il fantasy ma soprattutto con una gigantesca croce celtica.
Chi erano quei giovani ex missini che nel gennaio del 2012 inscenarono un restyling commemorativo così identitario, rivendicativo del fascismo e di fatto polemico verso Fini?
Era il gruppo che solo dieci mesi dopo avrebbe fondato Fratelli d'Italia, inclusa l'attuale premier Giorgia Meloni. Con lei, a deporre la targa firmata "i camerati", c'erano tra gli altri Federico Mollicone e Fabrizio Ghera, entrambi tra i fondatori di Fratelli d'Italia. Con loro, quasi tutti i camerati di Colle Oppio, l'ex sede del Msi di Meloni da cui è uscito l'attuale gruppo dirigente del Paese.
In altre parole: quella commemorazione del 2012 - con i suoi saluti romani, la sua nuova targa, la sua grande croce celtica, i suoi richiami imperiali e i suoi "presente!" - è di fatto l'atto fondativo del partito che oggi governa l'Italia. Una fondazione realizzata in contrapposizione al vecchio gruppo dirigente finiano che dal Msi-An era confluito nel Pdl.
Forse per questo ha qualche senso parlarne. E forse per questo Meloni non è esattamente estranea alla sceneggiata dell'altro ieri.
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Palermo: restaurati gli affreschi della Caserma Ruggero Settimo e la "Cavallerizza" di Palazzo dei Normanni
Palermo: restaurati gli affreschi della Caserma Ruggero Settimo e la "Cavallerizza" di Palazzo dei Normanni. Completati i lavori di recupero in due edifici di valore storico a Palermo. Grazie alla collaborazione tra l'Esercito Italiano e la Soprintendenza per i Beni culturali e ambientali del capoluogo siciliano, nell'ex convento di San Francesco di Paola, oggi caserma Ruggero Settimo, è stato possibile restaurare cinque dei nove affreschi rinvenuti sulle pareti dell'ingresso della sala della Congregazione dell'Immacolata, ricoperti da uno spesso strato di intonaco. Giunti a conclusione anche i lavori di recupero della "Cavallerizza" di Palazzo dei Normanni, ubicata all'interno del bastione che accoglie i giardini pensili dell'Assemblea regionale siciliana e attualmente in uso al Comando militare Esercito "Sicilia". L'immobile torna al suo antico splendore dopo un'importante opera di riqualificazione, che ha consentito lo sgombero del grande spazio interno dalle strutture prefabbricate e la riqualificazione della scuderia reale in un salone monumentale per le conferenze. «Grazie alla proficua collaborazione tra istituzioni civili e militari – ha detto l'assessore regionale ai beni Culturali e identità siciliana Francesco Paolo Scarpinato - siamo riusciti a recuperare nell'ex convento di San Francesco le decorazioni di importante valore storico e artistico, che si pensava fossero perdute. La disponibilità e sensibilità degli uomini dell'Esercito Italiano e il lavoro svolto con professionalità e dedizione dalla Soprintendenza, ci incoraggia a proseguire questa fruttuosa collaborazione. Per quanto riguarda il recupero della Cavallerizza di Palazzo dei Normanni, grazie al progetto redatto dalla Soprintendenza è stato possibile dare corso ad una definitiva sistemazione e valorizzazione degli spazi». Nel caso della Caserma Ruggero Settimo, le scene raffigurate rappresentano momenti della passione e resurrezione di Cristo: Gesù nell'orto degli ulivi, la flagellazione, la crocifissione, Gesù muore sulla croce, Cristo risorto, Cristo risorto appare alla Madonna, ascensione di Gesù Cristo, la Pentecoste, la morte della Vergine. Per quanto riguarda la Cavallerizza del Palazzo Reale ci sono voluti 265 giorni per completare il restauro, eseguiti dalla ditta Cassano srl di Mazara del Vallo. I lavori, finanziati con 720 mila euro attinti dalle risorse del "Piano sviluppo e coesione 2014-2020 " della Regione Siciliana, sono stati svolti nell'ambito dell' accordo sottoscritto nel 2020 tra l'Assemblea regionale siciliana – Fondazione Federico II e il Comando militare Esercito "Sicilia" per la valorizzazione e la fruizione culturale degli ambienti, sino ad oggi inaccessibili, grazie al progetto redatto dalla Soprintendenza per i Beni culturali e ambientali di Palermo. Gli interventi hanno riguardato il rinvenimento di una pavimentazione cinquecentesca, mantenuta a vista; l'adeguamento energetico dell'edificio, oltre alla spazzolatura, pulitura e consolidamento delle pareti, con la collocazione di nuovi infissi in legno e degli impianti. Nel corso degli scavi archeologici all'interno della Cavallerizza sono state trovate tracce di pavimentazione preesistente, ancora in corso di studio. «Grazie a quest'intervento - ha detto la Soprintendente di Palermo Selima Giuliano - è stato possibile consolidare le strutture, recuperare l'autenticità del luogo, migliorandone l'accessibilità, ma soprattutto arricchire l'offerta culturale della città che si riappropria di un bene storico».... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Corri Catania: Il percorso e gli orari della XVI edizione. Si correrà domenica 12 maggio
La sedicesima edizione della "Corri Catania" è alle porte, pronta a coinvolgere cittadini e appassionati di corsa in un evento solidale e emozionante. Prevista per domenica 12 maggio, la corsa camminata di 5 km, aperta a tutti, promette di unire sport, solidarietà e divertimento. Durante la conferenza stampa di presentazione, presieduta dal sindaco Enrico Trantino e dall'assessore allo Sport Sergio Parisi, sono stati illustrati i dettagli del programma di quest'anno, inclusi il percorso e le iniziative collaterali al Corri Catania Village, che è stato allestito in piazza Università già dal 9 maggio. Tra gli ospiti illustri presenti, spiccano nomi del panorama sportivo locale come Salvatore “Occhi di Tigre” Cavallaro, il primo catanese a partecipare al pugilato alle imminenti Olimpiadi di Parigi, Giusi Malato, una figura di rilievo della pallanuoto catanese, Salvo Campanella (lotta) e Raimondo Alecci (tennistavolo). Il cuore dell'evento sarà il progetto solidale "Officina del Cuore", a sostegno della Croce Rossa Italiana-Comitato di Catania. I fondi raccolti saranno destinati alla realizzazione di un'area cardiologica attrezzata all'interno dell'ambulatorio medico solidale della Croce Rossa, per offrire servizi di prevenzione e cura alle persone economicamente svantaggiate e ai più vulnerabili della comunità. Il percorso della corsa partirà alle ore 10:00 da piazza Università e si snoderà attraverso le principali vie della città, offrendo agli partecipanti un panorama suggestivo e variegato. Lungo i 5 km, i corridori attraverseranno via Etnea, via Argentina, via Sant’Euplio, viale Regina Margherita, Villa Bellini, via Santa Maddalena, via Gesualdo Clementi, piazza Dante, via Quartarone, via Teatro Greco, piazza San Francesco, via Gagliani, via Garibaldi, via Castello Ursino, piazza Federico di Svevia, via San Sebastiano, via Transito, via Auteri, piazza Mazzini e via Garibaldi, per poi giungere in piazza Duomo e fare ritorno in piazza Università, dove si terrà la festa finale. La "Corri Catania" non è solo un evento sportivo, ma un momento di unione e solidarietà per la città, che si impegna a sostenere chi è nel bisogno attraverso l'impegno concreto e la passione per lo sport. Read the full article
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Il dipinto del giorno: la Deposizione del Barocci
Il dipinto del giorno che vi propongo oggi, con l’avvicinarsi della Pasqua, è la Deposizione di Federico Barocci, dipinta fra il 1579 e il 1582 per la chiesa di Santa Croce a Senigallia. L’opera tutt’oggi custodita nella chiesa per la quale fu realizzata, mostra la straordinaria perfezione stilistica del Barocci. Una composizione a lungo studiata con numerosi disegni che trae ispirazione dalla…
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Sul twit di ieri... quello sulla crudeltà o meno di cibarsi di animali, per intenderci...
Cari amici, l'esperimento svolto ieri è grandemente utile per noi ricercatori spirituali, in quanto misura la nostra attuale incapacità di percepirci almeno su due piani differenti, ovvero quello dell'identità e quello divino spirituale.
Vedete, a livello d'identità possiamo discutere all'infinito, e, pur che le argomentazioni possano essere interessanti, sempre sul piano mortale resteremmo...
Ora la domanda è? Possiamo trovare risposte sostanziali a ciò che siamo spiritualmente se non riusciamo a uscire dal piano della morte?
Ebbene la risposta è no!
Fino a che non riuscirete a percepirvi oltre la mente e le emozioni e le azioni, tutto ciò che farete, direte o ascolterete apparterrá al mondo della crudeltà. Questo è il principio.
Vedete, l'uomo uccide qualsiasi cosa in base al proprio livello di coscienza: uomini per rabbia e paura, animali e piante per nutrirsi e curarsi, aria per respirare, minerali per costruire, raggi solari per vedere... l'uomo è naturalmente un assassino... e poco importa se una cosa è più grave dell'altra... sul piano dell'identità ogni argomentazione a difesa della bontà orizzontale dell'uomo non regge... ed è perfetto così. Mi seguite?
La perfezione non la potrete mai trovare negli uomini ma solo in Dio.
E se non riuscite a essere seduti in Dio e quindi comunicare da lì rivestendo la consapevolezza di parole, non significa che altri non lo possano fare.
Avete citato passi biblici, citato il silenzio dei Maestri, parlato di giudizio, di anima, ma chi eravate in quel momento ve lo siete chiesto?
Se la vostra memoria oggi scomparisse del tutto e con lei il corpo, e la paura, e i desideri di piacere, cosa resta?
Chi sei? Questo io ho chiesto in quel twit.
Mangiare o non mangiare carne;
Aiutare o non aiutare il prossimo;
Giudicare o non giudicare - su questo principio vedo che la confusione regna ancora sovrana -, ebbene, cosa cambia se non sei chi sei?
Non saranno forse solo delle nuove identificazioni?
Mi seguite?
Qual è l'inghippo ancora una volta? Chi non percepisce di esistere oltre l'identità - sapere di essere un anima vale meno di un cazzo -
per lenire un senso più o meno diffuso d'inadeguatezza che ne deriva, e per pigrizia, è costretto a sparare la sua abbassando ciò che sente e legge al suo livello di comprensione e sguardo. Invece di cercare di alzarsi lui, porta la conversazione sul suo piano... un po' come quando, in Mt 27, gli scribi e gli anziani invitano il Capo dei Capi a scendere dalla croce e lui, non rispondendo, risponde "muovete il culo voi e raggiungetemi..."
È un problema? Certo che no, solo l'ennesimo trucco dell'identità per chiudere l'anima nell'illusione.
"Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio", non è una disquisizione razionale esterna, non ha nulla di quantitativo, non è un invito a fare certe cose e non farne delle altre, bensì la chiara consapevolezza che vi sono dimensioni differenti su cui muoversi.
Capire questo è capire tanto della partita...
"Sì Fede ok, ma quindi chi mangia carne..."
🖕
Federico Cimaroli
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Personaggi, Creature e Simbolismi raffigurati nel Pulpito Romanico di Ferrazzano, Federico II e la maestria di Alfano Da Termoli.
La Regione Molise, sin dal primo istante della sua nascita, così come nella precedente parte di secolo, ha dimostrato di possedere una lunga lista di misteri accumulatisi con il tempo, man mano che le migliori menti erudite del passato, ponevano questa circoscrizione giuridica sotto la loro ‘’lente d’ingrandimento’’, quando s’imbatterono in sempre più copiose scoperte o riscoperte nell’ambito dell’archeologia antica e medievale, constatando sempre più della enorme variegatura che presentava non soltanto la storia insediativa del Molise in sé, ma della enorme familiarità artistica e culturale che tale territorio aveva nei confronti delle vicine regioni attualmente contigue, come la Campania, Puglia ed Abruzzo.
Nella nostra opinione, per quanto di modesta rilevanza ma di dovuta formulazione, il concetto di ‘’isolamento’’ che postularono i tanti eruditi che qui misero piede ed occhi nel corso delle loro ricerche, era dettato dalla stessa decadenza dell’ultima età contemporanea che subirono molte regioni meridionali, tra cui proprio il Molise, che finì per sigillarsi in questa giurisdizione politica e sociale, che poco ha comunicato e poco comunica con le vicine regioni italiane, il che spiegherebbe grossomodo come mai ancora in questi anni ci sia bisogno di incentivare ed ampliare lo sguardo su molte questioni culturali del nostro territorio, per vari settori e anche per varie epoche specifiche, ma dove ormai, l’unica cultura tradizionale che la gente locale percepisce come sua unica entità, è proprio quella sub-cultura collegata all’ultimo ‘800 e ‘900, dove le grandi realtà del Regno e delle sue contee, provincie e feudi, erano ormai degradate a piccoli sobborghi diruti, modeste regioni e rovine infestate e spoliate delle loro vesti marmoree, utili più ai minuti abitanti della natura come loro dimora, che non ai ricchi signori del tempo, parodia degli antichi reali, cosa che dunque spinse la critica storica italiana a definire la nostra come un’area artistica di tipologia minore, riprendendo le parole della storiografa Luisa Mortari, argomento quello dell’entità di un’importanza historica di una produzione artistica, molto discusso nel vecchio secolo, in cui il fuoco di questa dinamica artistica viene spesso associato ai grandi centri contemporanei che sono sopravvissuti alla ghigliottina dei secoli e della labilità politica e demografica, facendo cadere tutto ciò che è considerato ‘’alla periferia’’ di tali fuochi nel grosso calderone delle modeste botteghe locali e prive d’inventiva, unico rifacimento di qualcosa di già visto e mai sperimentato, che per fortuna pare sia un concetto volto quasi al suo crepuscolo.
Di recente i nostri viaggi e sopralluoghi per la terra molisana, ci hanno condotto in una bellezza, che nella gioventù dei nostri avi, non potevamo di certo immaginare, o quantomeno comprendere.
Siamo giunti nel Comune di Ferrazzano, che con la sua mole, si arrocca e cinge a guisa della sua splendida chiesa matrice dedicata al culto della Vergine Maria Assunta in cielo, una basilica suggestiva, che nel suo sagrato è guardata da una croce viaria, come quasi ogni luogo di culto della Contea di Molise e della Capitanata, e del cui uso e ambito storico abbiamo già avuto modo di discutere in tante occasioni.
L’aspetto odierno configurato dal tempio non è di certo quello ch’ebbe in origine, vista la sua fondazione medievale tra XI e XII secolo, non escludendo la presenza di fasi più antiche come dimostrano alcuni elementi strutturali dell’edificio, con molti rifacimenti ed ampliamenti tra i secoli XIII, XIV e XV, certamente incentrati in molti accadimenti, dalle dotazioni alle ricostruzioni per causa accidentale dopo la distruzione causata da uno o più sismi, e anche eventi atmosferici inaspettati.
L’impianto attuale, tra i vari cuci-scuci e ristrutturazioni, viene certamente dall’opera del Mastro Ludovico da Pescopennataro (XVIII sec.), il quale ne eseguì una rivoluzione degli interni e parzialmente degli esterni, in pieno stile barocco, dandole la conformazione finale ad aula che vediamo ancora oggi, sin dalla sua riconsacrazione nell’anno 1730, ad un anno dal completamento del cantiere, che ancora doveva vedere finita l’alzata della torre campanaria, crollata nel 1658 a causa di un fulmine, ma che in verità cedette per annosi problemi strutturali.
Sebbene della vecchia basilica resti poco, tra i molti dettagli dei portali, lunette e colonnine, c’è un particolare del suo arredo liturgico davvero singolare, unico e molto enigmatico, che rimanda ad un passato di questa terra che nel tempo è andato a disgregarsi, ovviamente si sta parlando del pittoresco Pulpito romanico di Ferrazzano, posizionato al lato destro del presbiterio, che fa capolino negli occhi d’ogni passante che staziona per la larga navata, come un antico urlo di storia che affiora dalle pietre della chiesa matrice, volenteroso di poterla raccontare e preservare nonostante le impervie strade del tempo.
Questo prezioso arredo si mostra oggi con un ricco carme micro-architettonico, che nella totalità strutturale è inscritto in una struttura detta ‘’a cassa’’, sorretto nei quattro vertici da colonne munite di plinto classico, del medesimo marmo bruno rossastro, a carattere misto, sia omogeneamente cilindriche, ottagonali e tortili come nel caso dello schema retrostante.
La struttura continua verticalmente su una doppia coppia di capitelli ‘’a crochets’’, decorati da figure zoomorfe ed antropomorfe centrali, costeggiate dai getti di acanto spinoso contorto in un ricciolo nelle punte, ma anche di altre tipologie fitomorfe più semplici e massicce, tipiche delle influenze di matrice gotica, il tutto terminante con i tre paramenti a cassa, sorretti da tre archetti, due dei quali trilobi e decorati da una cornice ‘’a palmetta casauriense’’.
Gli abachi dei capitelli sono alquanto semplici anche se dimostrano in più punti di non essere stati portati a compimento, e di aver subito molteplici danni al seguito di un urto, probabilmente registratisi nelle cause che fanno evidenziare in maniera palese un riassemblaggio del registro superiore, come si evince dalle interruzioni dei tralci floreali, delle firme non terminate o cancellate come si può leggere su di uno ‘’…HOC OPUS F…’’, e anche nel contrasto tra i due corpi sovrapposti, nel cui primo troviamo, come grande evidenziatrice di detta suddivisione cronologica, una cornice che cinge il piano, alternata a girali fruttificati e piccoli individui intrecciati al loro interno, originati dalle bocche di mascheroni sputa-racemi posti agli spigoli.
La cosa più complessa di questa opera d’antica mano, è la immensa simbologia che essa porta su di se, che sembra balzare in maniera bivalente tra gli elementi del sacro e del profano, portandoci a molte riflessioni sulla ricerca di una o più chiavi di lettura possibili sul suo conto, visto soprattutto che nella storia dell’arte e dell’architettura nulla è dato dal caso, e non sempre ha la spiegazione più semplice, ma come in questo caso, ci ha condotti a dover approfondire numerose ricerche d’archivio e a chiedere un parere ai più disponibili.
Partendo proprio dai personaggi sopracitati, che troviamo nel primo capitello di destra, essi sono stati il particolare che più ci ha colpito di tutta la costruzione, soprattutto per la finezza dei dettagli e per le caratteristiche ‘’tipiche’’ con cui sono stati eseguiti sulle quattro facce, e che sembrerebbero avere un simbolismo univoco, o apparentemente unito da una filologia ricercata ed arcana per una mente contemporanea.
La prima figura che accoglie il passante, è quella di un fiero Re, dalla grande corona tricuspidata, con una posa benedicente ‘’alla greca’’, recante nella mano sinistra un manoscritto, circondato poi, nella faccia sinistra da un dromedario dai dettagli impeccabili, a destra da un uomo che uccide una creatura alata dalla lunga coda, e nel suo retro da una fanciulla che si regge con la mano le lunghe vesti, e al contempo dona un fiore, una rosa canina forse, seguendo le principali infiorescenze del panorama simbologico del romanico centro-meridionale.
Certo abbiamo avuto non poche difficoltà per postulare determinate ottiche in corrispondenza di una ‘’traduzione’’ d’un così articolato rompicapo, che nel passato magari avrebbe dato minor filo da torcere ai fedeli che ivi esercitavano la loro fede.
Tanto per gettare le prime basi, ci siamo concentrati sulla figura del barbuto Re, che troneggia nella parte riferibile come soggetto di questo significato nascosto, e quasi immediatamente si era interposta anche da parte del clero locale, la possibilità, pressoché tradizionale, di vedervi la leggendaria figura del Re Bove, una storia folkloristica che si sviluppò nell’alto Molise in tempi remoti, che vede come protagonista un Re, che pur di sposarsi con una sua congiunta di cui era invaghito, scenderà a patti con Lucifero.
La leggenda prevede che questo Re avrebbe dovuto costruire molteplici chiese in un tempo esiguo, e che nella sua ricca enumerazione faccia capolino proprio la basilica matrice di Ferrazzano, com’anco pensano generalmente gli eruditi locali, seppure come già abbiamo avuto modo di esporre, l’antica favola sia più recente di quanto non ci si aspetti, visto che in realtà risiede nelle ricerche del canonico ferrazzanese Francesco De Sanctis (XVII secolo) che nel suo ‘’Notizie Istoriche della Terra di Ferrazzano (1699)’’ in epoca Ferentino del Sannio, descrive il pulpito in questo modo;
‘’il Pergamo fa qualche buona figura con pietre lavorate composte con non dispregevole disegno, situato sopra quattro colonnette, che sebbene siano di pietre del paese, con tuttociò rilevano colori diversi, e rimantengono lo lustrore, i capitelli sono con vari, ed intrecciati lavori rilevati, e contornati, ed in uno di esse vi è la figurina d’un Re anche con la corona in testa seduto in trono, dicono essere del Re fondatore della Chiesa, la quale all’uso di que’ tempi non era in perfetta simetria, e consiste nella nave di mezzo di proporzionata lunghezza, e larghezza, gli archi che divideano la nave di mezzo dall’altre due in cui eran le cappelle, eran diseguali, ed incorrispondenti, la soffitta con travatura scoperta…’’.
Il De Sanctis proseguiva nei confronti di detto re come di seguito;
‘’Quindi per dare qualche notizia della fondazione della nostra Chiesa Arcipretale, è necessario che mi avvalga della Tradizione del Volgo favolosa in quanto al nome del Fondatore; essendoché da vecchi Cittadini, così di Ferrazzano, come di altre convicine terre è precorsa sempre voce, che un certo Re Bove avesse edificato sette Chiese nella nostra Provincia, e che una riguardasse l’altra, e tutte dedicate alla gran Madre di Dio; la prima sarebbe quella nel feudo di Monteverde della giurisdizione della Terra di Mirabello, la seconda la nostra di Ferrazzano, la terza la Collegiata di S. Lonardo in Campobasso, la quarta Santa Maria di Cercemaggiore, la quinta Santa Maria della strada della terra di Amadrice, la sesta il Duomo della Catedrale di Volturara, e della settima non hò notizia; e tutte sono di una medesima costruttura, cioè le mura esteriori con pietere lavorate a scalpello: nella cima, ed in altri luoghi rilevano alcune teste di Bue, da cui è nata la mentovata tradizione, che il Re Bove ne sia stato il fondatore ingiontole per penitenza spirituale dal Papa per la dispenza ottenuta di potersi sposare una congiunta in moglie‘’, egli diede molta più importanza alla leggenda, imbattendosi poi nell’arca funeraria trecentesca del conte Berardo D’Aquino, nella badìa di Santa Maria Della Strada, da cui avrebbe mal interpretato l’inizio d’attribuzione dell’opera ‘’HOC’’ con ‘’BOE’’ o boa, collegandoci di conseguenza una enorme ricerca incentrata sulla figura di questo misterioso Re Bove, nel cui operato avrebbe marchiato le chiese da egli costruite con il suo essere di bestia, e la cui persona avrebbe collegamenti ancestrali con la nascita della stessa Bovianum, o come alcuni hanno ipotizzato, sarebbe da rintracciarsi nella figura di Guglielmo il Buono, anche se negli scritti il De Sanctis riuscì a dare luogo ad una complessa ricerca su base di signorìe del tempo, estrapolando come identità del famigerato Re Bove, quella del Re Ferdinando D’Aragona ‘’Re Delle Spagne’’, che qui vi edificò o meglio ‘’ri-edificò’’ numerosissime chiese matrici e cattedrali, compresa buona parte della cattedrale di Termoli in virtù dei danni cagionati dal terremoto di Santa Barbara nel dicembre del 1456, espandendo così il numero reale delle suddette chiese nominate nella leggenda, discostandosi definitivamente dalle strutture d’età arcaica, fermo restando che tutte queste teorie sono comunque decadute a prescindere, proprio per via dell’ origine della loro formulazione, incentivata da un errore di traduzione o lettura dei caratteri epigrafici della tomba di Matrice, seppure sembra esser certa la nascita attorno alla figura di Ferrante I.
Escludendo il folklore locale, ci si potrebbe muovere in altre direzioni, in una che le vede come frutto di una simbologia sacra, come largamente venne presentato negli studi storiografici dei luoghi di culto, oppure, seguendo una più moderna ed elaborata riflessione, seguire una linea filologica di carattere profano, com’anche è stato riscontrato in molteplici opere dello stesso ambito a cui appartiene il pulpito di Ferrazzano.
Seguendo la prima, nell’ambito sacro non c’è figura regnante più comune e significativa per antonomasia del Re Salomone, che si ricollegherebbe grossomodo con la fanciulla presente nel lessico, se ci basiamo sulle scritture del Primo Libro dei Re, nell’Antico Testamento, in cui la Regina Saba, andò al cospetto del Re Salomone per testare il suo intelletto mediante enigmi e trabocchetti, seguita nel suo cammino verso Gerusalemme, dalle sue genti e servitù, in groppa a moltitudini di cammelli e grandi ricchezze da porgere in dono al Sovrano della futura Terrasanta.
La figura della Regina equivarrebbe a quella della chiesa stessa, e come si evince nell’Historia Trium Regum di Johannes De Hildesheim, ella sarebbe collegata alle figure dei Re Magi, come loro antenata, e il cui tesoro donato al sovrano, in parte arriverà dopo vari scambi, al cospetto del figlio di Dio.
In correlazione con le tre figure analizzate, vi sarebbe poi l’individuo che, con un’accetta, uccide fermamente una creatura dalla lunga coda che si avvinghia alle sue gambe, ricoperta di squame che paiono mescolarsi a corte piume, specialmente nelle ali ritratte, e che dal volto sauresco sembrerebbe mostrarci l’uccisione di un drago, o meglio, di una figura che nel vasto simbolismo religioso è accomunata a quella del drago e della viverna, una creatura che specialmente in questi anni, i più giovani ed amanti del fantasy hanno portato alla loro attenzione, anche se con una forma ben diversa dalla sua originale sembianza mitologica, e sto ovviamente parlando del Basilisco, creatura che nella cultura occidentale europea mantiene delle similarità con altri ibridi fantastici tipo il Bisso Galeto in Nord Italia e la Coccatrice, che a differenza del colossale serpente albergante la Camera Dei Segreti, si trattava più propriamente di un essere abominevole, di più modeste dimensioni, dal corpo altresì ibrido, metà rettile e metà gallo, spesso raffigurato in bassorilievi come si nota nei girali della Cattedrale di Bitonto, in varie basiliche di matrice visigotica della giurisdizione di Burgos, nel battistero di parma e nel paramento papale della basilica di San Francesco d’Assisi, seguiti ovviamente da innumerevoli bestiari e incisioni in cui allo stesso modo la fiera è mostrata con un volto draconico o da volatile, e da un non preciso numero di zampe posteriori, alternate da lunghe code talvolta terminanti con una seconda bocca grottesca, ed ali strappate a mò di pipistrello o di entità demoniaca.
Elemento fondamentale di ogni studio basato sui bestiari, è ovviamente il trattato Physiologus, dove fanno capolino numerosissime fiere ed animali esotici e non, specie botaniche ed eventuali esseri mistici del folklore medievale.
Ed è proprio in questo, come ovviamente nei più celebri bestiari, che ricorre anche il simbolismo sacro nascosto dietro le bestie prese in dettaglio, dove il significato più comune è quello della contrapposizione tra il bene e il male, la forza della sfera sacra contro quella blasfema, più propriamente descritta dalla Vittoria dell’uomo contro le tentazioni del peccato, che riscontriamo copiosamente soprattutto nei programmi iconografici di detto ambito romanico, con un esempio vivido nelle sculture leonine della cattedrale di Termoli (Leone destro che agguanta un serpente), di quella di Bitetto e così via anche nella basilica di San Pietro a Pistoia, ove la creatura incarnate il male è trasposta proprio dal basilisco.
Il concetto poi, è spesso trasposto da una figura umana che incarna il potere della chiesa, la quale trafigge a morte il rettile maligno tenendo una postura vittoriosa e di resistenza, che facilmente è riscontrabile nel panorama culturale italiano, in cui è molto vasto il numero d’entità sacre che uccidono il maligno, monaci missionari, arcangeli ed anche cavalieri, come nel caso di San Mauro, Teodoro d’Amasea e del più celebre San Giorgio Martire, il cui culto è molto sentito nella nostra regione dopo quella principale per l’indiscusso Arcangelo Michele, che a sua volta incarna questo lessico ardito nella forma più primitiva e chiara, dove la creatura maligna è mostrata nelle sue reali sembianze umane.
Qui subentra un dettaglio interessante, in quanto nelle terre umbre è possibile trovare una delle poche sculture davvero simili al rilievo del pulpito di Ferrazzano, se non un suo sosia esatto, che si specchia quasi nella sequenza posta alla base del rosone della basilica intitolata a San Felice di Narco (Santa Anatolia di Narco), dove si scorge il padre, San Mauro appunto, immortalato nell’atto dell’uccidere un drago ‘’pestilenziale’’ nel luogo in cui, secondo l’agiografia, esso edificherà il ricco complesso monastico, dove in precedenza si aveva un luogo immondo ed infecondo, denso di maleodoranti acquitrini ed abitato dal rettile malefico.
Un simbolismo che si divide sia nell’assonanza con la santificazione del luogo privo d’un dio, sia nelle grandi similarità lessicali che si trovano nella produzione artistica umbra e marchigiana, ove l’uccisione del rettile viene accompagnata alla celebrazione della bonifica di un territorio ‘’malarico’’ ed occupato da acque infeste.
Allo stesso modo si può leggere una piccola e singolare scultura mozza, che si poggia su una delle foglie del terzo capitello di sinistra, in cui sono riconoscibili le gambe d’un uomo nudo che è avvinghiato dal corpo di un altro rettile per adesso anonimo, ma che sembrerebbe essere simile ad una salamandra, che nei bestiari la si può trovare spesso legata al concetto della resistenza alle fiamme, in cui essa dimora, sia con quello della resurrezione dopo la morte, e quindi evidenziandosi come uno dei pochi rettili con accezione anche positiva nel linguaggio sacro.
Questo è un caso molto curioso, che dà una certa importanza alla lettura del pulpito, quasi isolando la faccia del capitello dal collegamento filologico di tutta l’opera, e portandoci quindi ad optare in una sorta di seconda lettura del paramento ecclesiastico, quasi come identificandosi in una chiave d’ambito profano anziché sacro, e ce lo fanno capire molteplici dettagli, ad iniziare dalla composizione del tutto, come trasposizione di una scena da ricca corte, come nelle pitture di Palazzo Finco di Bassano del Grappa e via via discorrendo, portandoci su una conclusione che ci sembra molto possibile analizzando vari punti, in primo caso la simbologia esecutoria dei personaggi nel contesto politico duecentesco e delle maestranze che lo hanno modellato.
Un dettaglio fondamentale potrebbe essere quello del Re in posa trionfante, che come si era spiegato in precedenza, manterrebbe le caratteristiche di una figura benedicente, elemento comune dei personaggi sacri che nella loro iconografia si mostrano al fedele tendendo sul petto la mano chiusa, con sollevate le tre dita.
Ebbene la mano di quest’uomo potrebbe celare un simbolismo ricercato di matrice classica, tipico delle produzioni sperimentali dell’età federiciana, in special modo se legate strettamente alla figura di Federico II di Svevia, dove egli è ritratto in una sorta di ambito ideologico e tipicizzato, che va dai molteplici esempi, per altro simili, delle effigi sveve della zecca e delle molte miniature come nel manoscritto ‘’De Arte Venandi Cum Avibus’’, e tante altre com’anco nella cerchia degli imperatori del Sacro Romano Impero, dove lui figura alla fine del sarcofago di Carlo Magno nella cattedrale di Aquisgrana.
Lo Stupor Mundi in tali occasioni si mostra non solo con la caratteristica tipica del ‘’Cesar Semper Augusti’’ per quanto riguarda il suo volto limpido e giovanile, ma anche con un vero e proprio sigillo identitario che lo mostra assimilabile alla figura del Re di Gerusalemme, in cui Federico si riconosceva in quanto tale, troneggiante e con la mano in posa regale ed al contempo giudicatrice della sorte altrui, una tradizione figurativa originaria della Roma Imperiale e che secondo numerosi storiografi del secolo, sarebbe da ricondursi a progenitrice della stessa mossa austera del Cristo Pantocrator ancor più che benedicente, come dio reincarnato che soppesa la nostra persona e la sua stessa esistenza, e la scruta con lo sguardo severo.
Questo dettaglio potrebbe indurci quindi a pensare di trovarci proprio al cospetto dell’Imperatore svevo, e ad aiutarci per una più vasta chiave di lettura c’è proprio una produzione letteraria contemporanea dello stesso, un trattato dell’astrologia medievale, commissionato da Federico II al noto astrologo siciliano che identifichiamo con lo pseudonimo di Georgius Zothorus Zaparus Fendulus, che traducendo le opere dell’astrologo arabo Abu Ma’shar, diede alle ‘’stampe’’, il Liber Astrologiae, in cui sono appunto presenti vari elementi zodiacali, costellazioni e così via, alternati da personaggi a loro volta reali ed anche ispirati agli stessi.
Nel manoscritto di Fendulus troviamo proprio una scena che collegherebbe in qualche modo le figure di Federico II, del dromedario e della fanciulla con l fiore, siccome è presente come vi mostriamo, una scena che ci mostra l’imperatore sul suo trono e con la posa sopra descritta, seguito nella lettura da una fanciulla in groppa ad un dromedario, il tutto cinto dalle parole che seguono;
‘’Iuxta indos camelum sedens pilosa pannis induta cum Kartan e veste pilei, inter manus ei castella redimiculata continens’’
Tradotto; ‘’vicino a lui siede un cammello vestito di manto peloso, con un kartan e un copricapo, che nelle mani tiene le castella riscattate’’.
A questo insieme si aggiunge certamente la componente delle committenze e delle maestranze attorno cui ruota questo arredo liturgico del ricco vestimento, e pertanto si può andare ad analizzare una piccola raccolta d’informazioni archivistiche trapelate per giunta dai regesti Gallucci, della diocesi bojanense di cui faceva parte questo tempio, e potrebbe rientrare nel primo documento che è un Instrumento redatto da Guglielmo de Bojano nell’anno 1241, in cui fa capolino l’inventario commissionato dall’Imperatore a Giovanni Capuano Da Napoli, come espone come segue; ‘’dello thesoro e de tutte le cose pretiose delle chiese delle diocesi di Venafro, Isernia, Boiano, Guardia Alfiera e Trivento, ossia dell’oro, argento, pietre pretiose e paramenti di qualsivoglia sorta e forma si fossero’’, ulteriori riferimenti diretti alla cittadella di Ferrazzano, si hanno nell’anno 1212 dove si legge d’un privilegio dell’Imperatore in favore del camerario Villio de Ferrazzano.
Non essendoci dunque dei legami strettissimi con Federico II ma esclusivamente circostanziali, la lettura federiciana e di devozione verso quest’ultimo, la si deve ricercare nel magister che ha operato in questa basilica, e che probabilmente veniva da altri luoghi in cui magari egli si è formato ed ovviamente ha dato alla luce una ricca produzione artistica.
Qui si riprende anche il concetto della cultura artistica sviluppatasi in queste aree geografiche centro-meridionali a ridosso dell’età delle crociate e della ricca comunicazione tra maestranze incentivata soprattutto e perfezionata sotto l’impero del puer apuliae, dove ebbero il loro inizio molti esponenti appartenuti alle vaste cerchie di prediletti tramandatori di questo stile sperimentale, sviluppatosi a qaunto pare proprio nel territorio intermedio tra il meridione e settentrione.
La vivida plasticità e ricerca ardita della fattura classica e iperrealistica, ci dimostra d’essere pienamente una componente artistica della tipica produzione federiciana della metà del XIII secolo, all’incirca tra gli anni che vanno dal 1220 e il 1240, un ventennio pregno di evoluzioni d’uno stile romanico che si considererebbe di ambito pugliese, espansosi e fiorito in altre località come la campania e gli abbruzzi, nonché la basilicata e talvolta se pur in maniera alterata, giungendo tardivamente nelle coste opposte dell’Adriatico, come a Ragusa e Zara, ed anche più a nord della penisola come nelle Marche, al seguito di cooperazioni d’ambito commerciale intrattenute dai centri costieri del territorio apulo, in cui si annoverava la città fortificata di Termoli, sede di molteplici maestranze federiciane, di ricche committenze basso-campane e di commende crociate che usufruirono della cittadella come sbarco ed imbarco per la Terra Santa.
Le tracce di questa architettura, che potremmo considerare un Gotico Nascente, si rintracciano nella fusione di elementi classici dell’architettura romanica tradizionale del XII secolo, impregnata di maestria orientale, araba e bizantina, unita al carme stilistico dei paramenti di derivazione profana, riconvertiti in ambito sacro, con l’unione della verticalità e solidità compatta delle maestranze francesi, probabilmente di ritorno dalla Terra Santa, e che a loro volta influenzarono ed appresero nuovi ed avanguardistici metodi esecutivi, che traducevano al meglio una unione con le maestranze di origine araba, che a loro volta operarono nelle nostre terre, in gran parte nelle colonie saracene del Regno di Sicilia, ma anche nelle suddette rimpatriate al seguito di una crociata.
È chiaro alla nostra mente quanto non possano essere trascurabili le influenze di matrice islamica nella produzione artistica locale, che avrebbe generato un vero e proprio centro nella terra di Capitanata, dei cui principali cantieri, riferibili come fuochi di questo movimento, si riscontrano quelli del complesso di San Clemente a Casauria, il cantiere federiciano della Cattedrale di Santa Maria della Purificazione a Termoli, quello iniziale della basilica di San Giovanni in Venere a Fossacesia, e per quasi terminare grossolanamente, nel cantiere della Cattedrale di Foggia, da cui sarebbe propriamente partito il tutto essendo una perfetta riassunzione delle leggiadre movenze che si possono ammirare nelle rispettive chiese, comprese le micro-architetture degli arredi liturgici come nei ciborii e nei pulpiti, oltre che nei portali e nelle bifore.
Tra i maggiori esponenti del secolo in questo floreale canto artistico, non si possono non citare il grande Bartolomeo da Foggia, che operò in vari cantieri della città imperiale, tra cui proprio la cattedrale ed il palazzo di Federico II, purtroppo scomparso ma di cui ci resta la preziosa testimonianza del portale, con archivolto fitomorfo ed una splendida armonia ad arco moresco, da cui poi si scaturirono ulteriori tratti della collegiata di Foggia che la avvicinano molto ai concetti delle basiliche di Termoli e Fossacesia, e che tramandano una splendida fusione con la bicromia e simbologia orientale e la schematizzazione pisana delle facciate, scandite da variopinte colorazioni di breccia e marmi, tutti elementi che nel territorio molisano si possono trovare, in compendio con i racemi, le figure umane e i mascheroni, agli schemi della Fontana Fraterna d’Isernia, della Chiesa di San Niccolò Papa a Guglionesi e nella chiesa di Santa Maria delle Monache, sempre ad Isernia.
Dalla scuola di Foggia del Magister Bartholomeus, ebbero la loro formazione personaggi importanti come Alfano Da Termoli, a cui sono attribuiti elementi della cattedrale termolese (1235), di Lagopesole, nella Cattedrale di San Sabino a Bari tra il 1228 e il 1233 (ciborio) e nella cattedrale di Foggia soprattutto nella cripta.
Qui troviamo immediatamente l’opera orientale del magister Isamel, originario della Palestina, che sarebbe giunto in Italia a ridosso della quinta crociata nel 1221 circa, in cui avrebbe partecipato anche lo stesso Alfano, e da cui avrebbe appreso molte particolarità dell’ingegneria militare Ospitaliera e dei vari concetti stilistici orientali, soprattutto nella fattura dei modelli e nel tipo di significato attribuibile.
All’opera del Magister Ismaele non si legherebbero solamente i diversi paramenti ed arredi del Castello di Bari e Lagopesole, ma anche della Cattedrale di Termoli, specialmente nell’esecuzione delle arcate moresche a ferro di cavallo, simili ad una produzione artistica duecentesca che si può ammirare nella spianata della moschea di Al-aqsa, in varie strutture interne ed esterne come nel Burhan ad-din minbar, dove si ricollega prepotentemente all’ausilio delle colonnine trilobate, espediente che come gli archetti trilobi, è tipico dell’architettura federiciana, come un vero e proprio marchio, in egual modo degli altri espedienti sopraelencati, che si nota pienamente nelle esecuzioni della cattedrale di Termoli, nella porta maggiore, e anche nei cantieri del Castello Maniace di Siracusa e del vicino Castel Del Monte ad Andria e nel pulpito di Nicola Pisano, al duomo di Pisa, per non tralasciare la produzione lucerina che si riassume in quasi tutte le precedenti seppur nella maggior parte dei casi in elementi erratici o residuali, come anche nell’insediamento ecclesiastico di Santa Maria di Canneto a Roccavivara.
Da ciò deriverebbero anche i mastri Nicola di Bartolomeo da Foggia, figlio del proto-magister Bartolomeo, Anseramo da Trani e Pietro Facitolo di Bari, ai quali, come si evince nella relazione post-restauro del 1910, redatta dalla Sopraintendenza dei Monumenti della Puglia e del Molise, rinvenuta nell’Archivio di Stato Centrale, sarebbe stata attribuita l’esecuzione o anche la scuola d’appartenenza dello stesso pulpito di Ferrazzano, che non si escluderebbe aggiungere altri nomi o migliorarne la stesura vista la molto vetusta postulazione.
Proprio secondo questa analisi esaustiva, dei più minimi dettagli visivi e comparati nell’ambito culturale in cui è stata ritagliata la neonata regione Molise, si può essere d’accordo con l’ipotesi del Professor Francesco Aceto, che attribuisce alla mano dello stesso Alfano da Termoli, una parte di questo decoro liturgico, probabilmente avvalso di un suo vicino co-magister in grado di definire al meglio i dettagli romanici orientali ed al contempo quelli proto-gotici che oggi rimiriamo in un così vivo pulpito.
Questo potrebbe facilmente ricollegarsi non soltanto alla familiarità con il mondo arabo in cui egli avrebbe operato sotto veste di crociato giovannita, ma anche dalla forte vicinanza alla figura di Federico II, che lo reputava uno dei suoi Architetti Palatini più celebri dopo il Da Lentini, e si potrebbe ricollegare proprio alla metrica allusiva dei lessici profani imperiali, come egli avrebbe verosimilmente svolto nella realizzazione dello schema superiore nella facciata della Cattedrale di Termoli, ove affiora una delle probabili più antiche rappresentazioni dello svevo su un monumento religioso, seguito da una linea probabilmente dinastica che stiamo cercando di decifrare e di cui prossimamente parleremo in maniera più precisa.
Stando a queste conclusioni, la lettura del capitello nel suo insieme, come nel caso del basilisco della seduta papale di San Francesco D’Assisi, potrebbe alludere ad un momento della vita dello stupor mundi, ricollegandosi al lessico della chiesa impersonata dal leone, che richiamerebbe a Papa Alessandro III che doma suo nonno, Federico Barbarossa, simboleggiato dal basilisco ritorto verso il gallo, che nel pulpito di Ferrazzano potrebbe invece simboleggiare la prima scomunica dell’Imperatore cagionata da Gregorio IX nel 1239, simboleggiata dalla chiesa che uccide il potere ghibellino come esegue l’uomo isolato nella faccia destra del capitello che decolla la fiera immonda con una roncola, che potrebbe anche legarsi ad una diversa ragione, dove la scena viene letta in un’ottica totalmente laica, riprendendo l’iconografia umbra di San Mauro come opera bonificatrice, riferita all’operato dello stesso Imperatore nel territorio in cui vige il potere della chiesa, il tutto seguito dal resto del lessico alludente alla visione mecenatica dell’imperatore, e della vasta opera ch’egli lasciava ai posteri, come fosse una eterna rimembranza in grado di scalfire la più dura delle damnatio memoriae, simboleggiata dalla risurrezione eterna della salamandra, figlia del fuoco, al pari dell’araba fenice.
Si ringrazia Valeria La Porta per la collaborazione fotografica ed anche la direzione dell’archivio di stato di Roma per averci permesso di ottenere i documenti voluti.
Bibliografie di riferimento:
Un inedito affresco di soggetto cortese a Bassano del Grappa: Federico II, Immagini e Potere, Maria Elisa Avagnina, 1995.
Die Süditalienische Bauplastik Im Königreich Jerusalem Von König Wilhelm II, Bis Kaiser Friedrich II, Helmut Buschhausen, 1978.
Storia dell’arte nell’Italia Meridionale, dai longobardi agli svevi, Francesco Abbate, 1997.
Scultura pugliese di epoca sveva, in Federico II e l’arte del duecento italiano, Pina Belli D’Elia, 1980.
Il maestro dei capitelli, un ignoto scultore meridionale nella cattedrale di Tarù, Pina Belli D’Elia, 1992.
Bollettino d’arte: Magistri e cantieri nel Regnum Siciliae: l’Abruzzo e la cerchia federiciana, Francesco Aceto, 1990.
La scultura di età normanna tra Inghilterra e Terrasanta, questioni storiografiche, Francesco Aceto, 2001.
Fossanova e Castel del Monte, in Federico II e l’arte del duecento italiano, Antonio Cadei, 1980.
San Felice di Narco ieri e oggi, Bruno Bruni, 2001.
L’art dans l’Italie méridionale, de la fin de l’Empire Romain à la conquete de Charles D’Anjou, Emile Bertaux, 1904.
Il Molise medievale e moderno, storia di uno spazio regionale, Giovanni Brancaccio, 2005.
Il Fisiologo di Smirne, Massimo Bernabò, 1998.
Due Cattedrali del Molise, Termoli e Larino, Maria Stella Calò Mariani, 1979.
Aspetti della scultura sveva in Puglia e Lucania, Maria Stella Calò Mariani, 1973.
L’arte nel duecento in Puglia, Maria Stella Calò Mariani, 1984.
Archeologia, storia e storia dell’arte medievale in Capitanata, Maria Stella Calò Mariani, 1992.
Foggia medievale, Maria Stella Calò Mariani, 1996.
Capitanata medievale, Maria Stella Calò Mariani, 1998.
Nota sulla scultura del XIV sec. nel Molise, in Almanacco del Molise, Corrado Carano, 1978.
I regesti Gallucci, documenti per la storia di Bojano e del suo territorio dal 1000 al 1600, Gianfranco De Benedittis, 1990.
Scultura Medievale in Abruzzo, l’età normanno-sveva, Francesco Gandolfo, 2004.
La scultura romanica nel Molise, Bernardino Incollingo, 1991.
Santa Maria di Ponte, studio su una pieve medievale in Valnerina, Francesco Gangemi, 2006.
Die Kathedrale S. Maria Icona Vetere in Foggia, Fritz Jacobs, 1968.
Storia di un colore, il nero, Michael Pastoureau, 2008.
Profilo di storia dell’arte dal Medioevo ai giorni nostri, in Molise, Valentino Pace, 1980.
Le sculture lignee medievali nel Molise, Luisa Mortari, 1982.
Appunti per una storia dell’arte, Luisa Mortari, 1984.
Il Molise dalle origini ai giorni nostri, Giovan Battista Masciotta, 1952.
Bollettino d’arte: Architettura medievale nel Molise, Guglielmo Matthiae, 1937.
Die Kanzeln der Abruzzen im 12. Un 13. Jahrhundert, Otto Lehmann-Brockhaus, 1944.
Storia pittorica dell’Italia dal Risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII secolo, Luigi Lanzi, 1974.
Arte medioevale nel Molise, Ada Trombetta, 1971.
Arte nel Molise attraverso il Medioevo, Ada Trombetta, 1984.
Storia dell’arte italiana, il Medioevo, Pietro Toesca, 1927.
Bollettino d’arte: L’anastilosi del Ciborio di Alfano nella cattedrale di Bari, Francesco Schettini, 1953.
Notizie istoriche della terra di Ferrazzano, Francesco De Sanctis, 1699.
Specchio del Mondo, i bestiari fantastici delle cattedrali, la cattedrale di Bitonto, Felice Moretti, con prefazione di Franco Cardini, 1995.
Iconographie de l’art chrétien, Louis Réau, 1959.
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Mostra personale dell’artista Antonietta Viganone presso gli spazi D&G Martini a Milano
A poco più di un anno dalla sua costituzione, la Fondazione Antonietta Viganone ETS, presieduta da Francesco Fabbiani, organizza presso gli spazi espositivi DG Martini, corso Venezia n. 15 a Milano, la mostra personale dell'artista Antonietta Viganone, con la curatela artistica e scientifica di Marco Eugenio Di Giandomenico.
L'iniziativa ha un duplice target promozionale: la presentazione del programma di attività 2024 della Fondazione e l'esposizione di alcune opere (sculture) della Viganone.
La Fondazione, costituita su disposizione testamentaria dell’artista Antonietta Viganone (esecutrice testamentaria: dott.ssa Domenica D’Elia) e iscritta al RUNTS nel settembre del 2022, nel valorizzare il patrimonio e la memoria della fondatrice svolge attività di studio e ricerca, formazione e promozione in campo artistico e culturale.
Antonietta Viganone (1928 - 2022) è stata pittrice, scultrice, incisore, scrittrice e autrice di libri d’artista. Docente di storia dell’arte negli istituti di istruzioni secondaria, ha realizzato, in quasi sessant’anni di attività di produzione artistica, più di 500 incisioni e stampe d’arte e più di 200 opere di pittura e scultura. Compagna di vita del noto editore di libri d’artista Franco Sciardelli, nel 2004 ha realizzato la stele in memoria del Maresciallo Capo Croce d’Onore Daniele Ghione, vittima dell’atto terroristico a An Nassiriya (Iraq) il 12 novembre 2003, esposta permanentemente in luogo pubblico a Finale Ligure (SV). E’ stata autrice di illustrazioni e incisioni per libri d’artista, promuovendo anche opere letterarie di grandi personalità della cultura del ‘900, tra cui Leonardo Sciascia. Ha partecipato a mostre e manifestazioni di rilievo internazionale e le sue opere sono acquisite al patrimonio di importanti istituzioni culturali.
La Fondazione Viganone, sotto la direzione artistica e scientifica del critico d’arte Marco Eugenio Di Giandomenico e in linea con la volontà della fondatrice, vuole costituire una sorta di laboratorio permanente di approfondimento di tematiche artistiche e di promozione dell’arte contemporanea, sostenendo con borse di studio il percorso formativo in discipline umanistiche di studenti meno abbienti. Sostiene, infatti, con cinque borse di studio il Corso di Perfezionamento post universitario di Sociologia Visuale, Filosofia Estetica, Psicologia Analitica e Critica D'arte dell’Università degli Studi Statale di Milano, diretto da Federico Boni (professore ordinario UNIMI). Nel 2024 è previsto un contributo anche a un istituto di scuola secondaria ove Antonietta Viganone ha insegnato storia dell’arte negli ultimi anni della sua carriera scolastica.
«La Fondazione Antonietta Viganone – afferma il presidente Francesco Fabbiani – vuole interagire con università, accademie, istituzioni culturali nazionali e internazionali, pubbliche e private, nel promuovere l’arte e la memoria della sua fondatrice, e la produzione artistica contemporanea. Nel 2024 abbiamo previsto un programma di attività denso e interessante, tra cui l’organizzazione di una mostra personale dell’artista presso l’Università Cattolica Comillas di Madrid».
All’evento è prevista la partecipazione di varie autorità istituzionali e accademiche, nonché di personalità del mondo dell'arte, della cultura e delle professioni.
L'evento gode del patrocinio del Comune di Milano (Municipio 1), dell'Università Cattolica Comillas di Madrid, di Ethicando Association e del Centro Studi Orange Table, nonché del supporto mediatico di Betting On Italy, Beesness Magazine, Estro Digitale.
La partecipazione è possibile solo su invito, previa registrazione al link eventribe:
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Verrà proiettato domenica 26 novembre 2023 alle ore 11.00 presso la Biblioteca Comunale “Al Tempo Ritrovato” di Sacrofano (RM) nell’ambito degli eventi connessi alla Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne il cortometraggio di Francesco Greco Testa o Croce. Con il regista interverranno Lorella Porrini (giornalista), Massimo Marcelli (produttore), Simona Barone (psicologa), Monica Federico (presidente dell’associazione “La Voce dell’Essere”) e Valentina Mezzacappa (sceneggiatrice). Sarà presente anche tutto il cast artistico e tecnico che ha lavorato al corto. «La mia passione per il cinema e per la regia nasce dall’esigenza di realizzare da me ciò che scrivevo. In passato ho realizzato sceneggiature per altri registi, che naturalmente interpretavano a loro modo [...]. Nutrita questa passione, oggi posso realizzare prodotti che, dalla scrittura della sceneggiatura, arrivano alla costruzione delle scene. [...] Quello che mi lascia qualcosa di intenso sono i set, la costruzione, le persone con le quali ho lavorato. E di ogni set porto con me tanti bei ricordi, così tanti da non poterne scegliere uno. [...] Il lavoro di squadra è tutto. Ho grande fiducia nei miei collaboratori, perché remiamo sempre tutti nella stessa direzione; ognuno fa girare alla perfezione la sua piccola ruota, rendendo il meccanismo perfetto. [...] Uno studente, ma anche un adulto, può ascoltare migliaia di storie di violenza, di bullismo e di tanti altri argomenti sui quali è necessaria la sensibilizzazione, la denuncia. Ma se ne sentono così tante ormai che a volte si fa finta di nulla, e non perché si è disattenti. Con l’audiovisivo si può davvero lasciare il segno: un cortometraggio ben fatto sa essere molto più efficace di parole o di uno scritto. Senza nulla togliere allo scritto, parte fondamentale del mio lavoro. [...] A Sacrofano sono cresciuto e ho creato alcuni dei rapporti più importanti della mia vita. Ho girato moltissime scene qui perché, conoscendo ogni angolo del paese, riesco sempre a trovare il posto più adatto per girare una scena. [...] Testa o Croce tratta il tema della violenza sulle donne. Rispetto a Bolle di sapone, altro cortometraggio in cui ho trattato questa tematica, in questo ho deciso di essere più crudo e di creare più suspence, ma sempre con l’obiettivo di sensibilizzare su una tematica importantissima e, purtroppo, attuale» (Francesco Greco in Madia Mauro, Intervista a Francesco Greco, «Agrpress», 28 ottobre 2023) Francesco Greco è un giovane e talentuoso regista che ha già al suo attivo numerosi premi. Comincia la sua carriera come sceneggiatore sia in televisione sia al cinema per poi passare alla regia di programmi come Fashion night ed opere prime. Il suo Bolle di sapone, un cortometraggio che affronta con delicatezza la tematica della violenza domestica raccontata dal punto di vista di una bambina, ottiene applausi e riconoscimenti. Il corto viene presentato nelle scuole e divulgato su vari canali, attirando l’attenzione di testate giornalistiche nazionali. Nel 2022 F. Greco ha vinto il primo premio internazionale “Bulli ed Eroi”, nella categoria “giovani registi” con il cortometraggio I colori del silenzio. Nel 2023 lo stesso festival ha deciso di premiarlo come Miglior Regista per la sua capacità di affrontare tematiche sociali difficili e delicate con sorprendente sensibilità. Il suo Un fiore nella rete aiuta a riflettere ancora una volta su un tema giovanile importante. Ha inoltre diretto la serie Matt, Gio’ e la bolla di Nerone, L’Elisir, Uno di troppo… Il suo ultimo lavoro da regista, finito di girare nell’ottobre 2023 proprio a Sacrofano, è Turannah. Si tratta di una tecno-opera prodotta da LP Produzioni che ha come obiettivo fondamentale la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla sicurezza stradale. Testa o Croce di Francesco Greco -��sceneggiatura e regia: F. Greco; direzione della fotografia: Denis Paul; interprete: Luca Del Prete; produzione: LP Produzioni, Massimo Marcelli; con
avallo e supporto sociale di ETS - La Voce dell’Essere - verrà proiettato nella Biblioteca Comunale “Al Tempo Ritrovato” di Sacrofano domenica 26 novembre 2023
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Rinvenuto affresco del '300 a Verucchio sulle colline di Rimini
Grande emozione alla Chiesa di Santa Croce, a Villa Verucchio, nel Riminese, per il rinvenimento di un affresco del ‘300 che sarebbe riconducibile alla bottega di Pietro da Rimini. La scoperta fatta nel maggio scorso è stata mostrata al pubblico solo ora dopo mesi di pulitura e messa in sicurezza. Frate Federico dell’ordine dei Frati minori cercava una presa della corrente dietro il coro…
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Secondo posto per ANPAS Piemonte al Torneo Sanitario Nazionale
La squadra che ha rappresentato Anpas Piemonte al Torneo Sanitario Nazionale che si è svolto a Borgo Val di Taro in provincia di Parma, dal 23 al 25 giugno, si è posizionata al secondo posto, vincendo in premio un defibrillatore trainer. L’equipaggio di Anpas Piemonte che ha partecipato alla gara nazionale di primo soccorso sanitario era composto da Elisa Borgna, team leader, volontaria soccorritrice della Croce Bianca di Garessio, Federico Curti e Alice Fiorini volontari soccorritori della Croce Bianca Fossano, Luigi Afferni e Igor Parodi volontari soccorritori della Croce Bianca di Garessio. La squadra è stata supportata da Luca Ortu, referente Formazione Anpas Coordinamento provincia di Cuneo e vicepresidente della Croce Bianca Fossano. A vincere il primo premio, una sedia portantina con dispositivo scendiscale, è stata l’Assistenza Volontaria Collecchio-Sala Baganza-Felino che si è classificata al primo posto, portando a casa anche il titolo di miglior equipaggio. Terza classificata la Pubblica Assistenza Città di Bologna che ha vinto uno zaino di soccorso e una borsa di emergenza. Il Torneo ha visto la partecipazione di 15 squadre ed è stato organizzato da Anpas Nazionale, in collaborazione con l’Assistenza Pubblica Volontaria di Borgotaro-Albareto e il Comitato Regionale Anpas Emilia-Romagna. Il fine era quello di testare le modalità di intervento nella gestione di un soccorso complesso, con più enti impegnati nell’evento in coordinamento con il Sistema di Emergenza Sanitario. Nelle prove, strutturate in sei scenari, sono stati simulati eventi di tipo traumatico e non traumatico. A giudicare gli interventi di soccorso sono stati medici, infermieri, volontari del movimento Anpas e dell’area Emergenziale 118 della regione Emilia Romagna e i protocolli di valutazione hanno tenuto conto delle differenti modalità di intervento delle diverse realtà regionali. Domenica 25 giugno si è inoltre svolto un evento formativo rivolto ai Gruppi Giovani Soccorritori Anpas d'Italia dai 14 ai 18 anni di età con scenari di addestramento a loro dedicati e con formatori Anpas a disposizione. Anpas Piemonte ha già vinto la prima edizione del Torneo nel 2018 e conquistato il secondo posto nell’edizione del 2019, quando a vincere fu squadra della Valle d’Aosta. Dopo due anni di sospensione del Torneo, a causa della pandemia, la squadra di Anpas Piemonte tornò a vincere nel 2022. L’Anpas (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze) Comitato Regionale Piemonte rappresenta oggi 80 associazioni di volontariato con 10 sezioni distaccate, 10.310 volontari (di cui 4.122 donne), 5.245 soci, 670 dipendenti, di cui 76 amministrativi che, con 436 autoambulanze, 230 automezzi per il trasporto disabili, 264 automezzi per il trasporto persone e di protezione civile e 2 imbarcazioni, svolgono annualmente 570.082 servizi con una percorrenza complessiva di 18.784.626 chilometri. Read the full article
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Giovanni Gentile, Sangiuliano: “Giusto rendere merito alla sua azione culturale”
Giovanni Gentile, Sangiuliano: “Giusto rendere merito alla sua azione culturale” “Giovanni Gentile è stato riconosciuto da autorevoli studiosi uno tra i più importanti filosofi europei del Novecento, insieme a Benedetto Croce. La sua è un’elaborazione teorica che offre ancora oggi spunti, dal richiamo al Risorgimento oppure come quando nel saggio postumo ‘Genesi e struttura della società italiana’ individuò il valore della comunità. La stessa scelta del titolo indica una visione: ‘Scendere per strada’ è un motto che lo stesso Gentile adoperò per esortare gli intellettuali a proporre la cultura tra la gente”. Lo ha detto il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, visitando oggi la mostra “SCENDERE PER STRADA. Giovanni Gentile tra cultura, istituzioni e politica” che aprirà al pubblico domani, martedì 16 aprile 2024, a Roma, all’Istituto Centrale per la Grafica (via Poli, 54). All’anteprima erano presenti, tra gli altri, il Presidente del Senato, Ignazio La Russa; il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani; il Sottosegretario alla Cultura, Lucia Borgonzoni; il Sottosegretario alla Difesa, Isabella Rauti; il presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone; il presidente della Commissione Sanità, Lavoro e Affari Sociali del Senato, Franco Zaffini; il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri; i deputati Alessandro Amorese e Ilaria Cavo; gli eredi della famiglia tra cui i due nipoti, il Direttore Generale Educazione e Ricerca del MiC, Andrea De Pasquale; il Direttore generale della Direzione Creatività contemporanea del MiC, Angelo Piero Cappello; il Direttore dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, Giuseppe Parlato; i Presidenti di Cinecittà e Anica, Chiara Sbarigia e Francesco Rutelli, il produttore cinematografico e televisivo, Pietro Valsecchi. LA MOSTRA Settantacinque opere esposte tra originali e riproduzioni provenienti da diverse istituzioni, tra cui la Fondazione Roma Sapienza, l’Archivio Giovanni Gentile, l’Istituto della Enciclopedia Italiana, l’Istituto Italiano di Studi Germanici, l’Istituto Comprensivo Regina Margherita e il Museo delle Civiltà. Un percorso articolato in tre sale per rendere conto della complessa e molteplice azione di politica culturale intrapresa nel corso della sua esistenza. All’Istituto Centrale per la Grafica del Ministero della Cultura, a Roma, a Palazzo Poli, dal 16 aprile al 7 luglio 2024, la mostra “SCENDERE PER STRADA. Giovanni Gentile tra cultura, istituzioni e politica” vuole così ricordare uno dei maggiori e tra i più controversi intellettuali del Novecento italiano nella ricorrenza degli ottant’anni dalla sua morte. Dopo una parte introduttiva dedicata alla biografia e ad alcuni momenti cruciali della sua vita accademica e politica, l’esposizione ripercorre le diverse istituzioni che egli promosse e diresse negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Nella prima sala è dato risalto all’Enciclopedia Italiana, al Centro Nazionale di Studi Manzoniani, all’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente e all’Istituto Italiano di Studi Germanici. Questi ultimi due, nella concezione gentiliana della cultura, dovevano contribuire ad allargare gli orizzonti del sapere al di fuori dei confini nazionali per sprovincializzare la cultura italiana. La seconda sala è incentrata su altre due istituzioni culturali che ebbero un legame forte con Gentile: la Scuola Normale Superiore di Pisa, che lo ospitò prima come studente e poi come direttore, e l’Accademia Nazionale dei Lincei. Sempre in questo ambiente, ampio spazio è dato alla complessa Riforma Gentile pensata ed emanata con una serie di Regi Decreti nel 1923, che diede vita a una scuola selettiva e gerarchica nutrita di tradizioni storiche e studi umanistici. Vi sono anche approfondimenti sull’Istituto Nazionale fascista di cultura e sulla morte del filosofo il 15 aprile del 1944 per mano di un gruppo di partigiani fiorentini. Al termine del percorso, la terza sala ospita un video immersivo, con immagini dell’epoca, che ha lo scopo di fare entrare il visitatore ancor di più nella biografia intellettuale e politica di Gentile. “La difficoltà nella progettazione di questa mostra - dichiara il Direttore generale Educazione, ricerca e istituti culturali, Andrea De Pasquale - ha riguardato principalmente la scelta del tema, poiché Gentile fu uno dei più importanti filosofi italiani del Novecento, ma aderì anche convintamente al fascismo portando la sua scelta fino alle estreme conseguenze. Si è scelto pertanto di presentare laicamente a un vasto pubblico la vita e l’opera di Gentile dando risalto al suo ruolo di organizzazione della cultura. Egli fu infatti l’anima di molte istituzioni che ancora oggi operano nel panorama culturale italiano e il percorso espositivo mira proprio ad evidenziare questa sua influenza sulla vita culturale non solo dell’Italia fascista, ma anche di quella repubblicana”. “Al di là del contesto dittatoriale in cui si svilupparono tutte le iniziative di Gentile - afferma il coordinatore del Comitato scientifico, Giuseppe Parlato - resta un progetto, realizzato, di modernizzazione attraverso un nuovo rapporto tra Stato e cultura che ha influito notevolmente nella società italiana. Nel secondo dopoguerra, in un contesto del tutto diverso a livello politico, rimane vivo il concetto di intellettuale impegnato nella cultura e nella politica e soprattutto resta l’attenzione dello Stato alla promozione della cultura in tutte le sue forme e discipline”. “SCENDERE PER STRADA. Giovanni Gentile tra cultura, istituzioni e politica” Istituto Centrale per la Grafica Palazzo Poli Via Poli, 54 - 00187 Roma PROGETTAZIONE E COORDINAMENTO ORGANIZZATIVO Andrea De Pasquale Direttore generale Educazione, ricerca e istituti culturali COMITATO SCIENTIFICO Coordinatore: Giuseppe Parlato Componenti: Simonetta Bartolini, Giovanni Belardelli, Barbara Bracco, Massimo Bray, Massimo Cacciari, Alessandro Campi, Hervé A. Cavallera, Gianni Dessì, Emma Giammattei, Miguel Angel Gotor, Giacomo Marramao, Guido Melis, Mauro Moretti, Marcello Pera, Francesco Perfetti, Roberto Pertici, Adriano Valerio Rossi, Gennaro Sasso, Paolo Simoncelli, Alessandra Tarquini GIUNTA ESECUTIVA Simonetta Bartolini, Giovanni Belardelli, Alessandro Campi, Gianni Dessì, Giuseppe Parlato, Maura Picciau Si ringraziano: Archivio Centrale dello Stato, Archivio Storico Istituto Luce, Centro Nazionale di Studi Manzoniani, Fondazione Roma Sapienza (Archivio Giovanni Gentile), Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice - Roma, Istituto Comprensivo Regina Margherita - Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, Istituto Italiano di Studi Germanici, Museo delle Civiltà - Roma, Scuola Normale Superiore di Pisa Apertura al pubblico: 16 aprile - 7 luglio 2024 ingresso gratuito orari: 10:00 - 19:00 martedì - domenica, lunedì chiuso ultimo accesso ore 18:30 ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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IL CALVARIO - MOLFETTA
Il Calvario di Molfetta è un piccolo tempio neogotico costruito nel 1856 dall'architetto Corrado De Judicibus in memoria della Missione dei Padri Redentoristi di Napoli.
La torre del Calvario, alta 20 metri, si compone di tre livelli coronati da cuspidi e pinnacoli a forma di croce. Nel 1927 furono piantati alberi ornamentali nello spazio circostante al Calvario.
Corrado de Iudicibus, nasce a Molfetta (BA) il 4 marzo 1887 Muore a Molfetta (BA) il 10 marzo 1959. Corrado De Judicibus, oltre al Calvario di Molfetta, ha realizzato numerose altre opere architettoniche, soprattutto in Puglia
Altamura, tra il 1854 ed il 1860 collaborò con Federico Travaglino (noto architetto di Napoli) ai lavori di restauro interno della Cattedrale;
Ruvo, tra il 1858 e il 1859, progetto per conto del cav. Salvatore Fenicia l’omonimo edificio gentilizio ubicato in Corso Carafa all’esterno dell’antica cinta muraria;
Giovinazzo, nel 1862, progetto in Piazza Vittorio Emanuele il Palazzo del Municipio, abbattuto negli anni ’60 di questo secolo.
Molfetta, il tempio del Calvario nel 1856; la sistemazione urbanistica del Largo “Porticella” (oggi Piazza Garibaldi) nel 1862; l’ampliamento del Seminario Vescovile, con la costruzione del corpo di fabbrica prospiciente l’attuale Piazza Garibaldi nel 1860; il Palazzo Capelluti nel 1862; il Palazzo De Lago (1864 – 1871), ambedue sulla stessa Piazza Garibaldi; i cantieri navali, il cui progetto risale al 1863; il tracciato di Corso Umberto I nel 1864; la nuova chiesa Immacolata nel 1874; il primo piano regolatore generale della Città nel 1870 e i lavori di risanamento alla volta di copertura della Cattedrale e altre opere minori.
Fonte : Giramolfetta
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🌴 SAVE THE DATE: martedì 28 marzo alle ore 17:00 presso l'Auditorium del Castello comunale di Mesagne, Claudio Forleo e Giulia Migneco (coautori) presenteranno il loro libro "La pandemia da azzardo. Il gioco al tempo del covid: rischi, percorsi e proposte di riforma", l'evento è curato da Avviso Pubblico, Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie. 🌴 GLI AUTORI Claudio Forleo è giornalista e Responsabile dell’Osservatorio parlamentare di Avviso Pubblico. Giulia Migneco è Responsabile Comunicazione di Avviso Pubblico. Sono entrambi autori di “Lose for life. Come salvare un Paese in overdose da gioco d’azzardo”(Altreconomia) 🌴 AVVISO PUBBLICO Avviso pubblico è l’associazione nazionale che mette in rete gli Enti Locali e le Regioni impegnate in attività e progetti di formazione civile contro le mafie e la corruzione e per una cittadinanza responsabile. Circa 500 gli enti e le Pubbliche Amministrazioni che aderiscono. Il progetto è in collaborazione con il Master in “Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione” dell’Università di Pisa. 🌴 I CONTRIBUTI ILLUSTRI Prefazione di Federico Cafiero De Raho, Procuratore nazionale antimafia. Introduzione di Roberto Montà, Presidente di Avviso Pubblico. Interventi di Mauro Croce, psicologo, psicoterapeuta e criminologo, Paolo Jarre, Direttore del Dipartimento delle patologie da dipendenza della Asl TO3, Giovanni Tiziano, giornalista di Domani. • • • #visitmesagne #visitmesagnecuordisalento #visiting #mesagne #cuordisalento #cosafareamesagne #mesagnetop #lacittadellamore #lacittadelcuore #welcometomesagne #momentisenzafiltri #madeinmesagne #mesagneinlove #mesangeles #portiamomesagnenelmondo #mesagnedavedere #viveremesagne #mesagnemylove #mesagneview #mesagnemoremio #a2passinelmondo #mesagnea2passidalmare #tradizionepopolare #tradizionemesagnese #folklore #cultura (presso Mesagne) https://www.instagram.com/p/CpkEYvCMeGr/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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VENERDI 03 MARZO 2023 - ♦️ 🔸 SANTA CUNEGONDA🔸♦️ Cunegonda (Lussemburgo o castello di Gleiberg presso Gießen, 978 circa – Kaufungen, 3 marzo 1039) chiamata anche Cunegonda di Lussemburgo, fu imperatrice del Sacro Romano impero, regina consorte d'Italia e fu proclamata beata e santa. Figlia di Sigfrido, primo conte di Lussemburgo e di Edvige di Nordgau, discendente in linea diretta da Carlo Magno, sposò nel 998 Enrico IV, duca di Baviera, che divenne imperatore (Enrico II) e fu anch'egli canonizzato. Alla morte di Ottone III, che non aveva eredi, Enrico, il 6 giugno 1002, fu incoronato re di Germania da Willigis, arcivescovo di Magonza. Cunegonda venne incoronata regina il 10 agosto a Paderborn. Secondo una certa tradizione, d'accordo col marito, fece voto di virginale continenza[1]. Secondo il cronista loro contemporaneo, Rodolfo il Glabro, Enrico, dopo aver constatato la sterilità della moglie, non volle ripudiarla, come gli consentiva il diritto matrimoniale germanico, e per il grande amore che nutriva per lei e per la comunanza di ideali di vita religiosa che li univa, preferì rinunciare ad avere degli eredi al trono pur di continuare a vivere insieme alla moglie. Questo, probabilmente, fece nascere intorno a loro la leggenda del cosiddetto “matrimonio virginale di San Giuseppe”. Alla morte del papa Sergio IV, Enrico e Cunegonda scesero a Roma e diedero il loro sostegno all'elezione di Benedetto VIII contro la fazione dei Crescenzi; furono poi incoronati imperatori dal nuovo papa il 14 febbraio 1014. Nel 1007 avevano fatto costruire la cattedrale di Bamberga, che dedicarono a san Pietro e a san Giorgio e un'abbazia benedettina dedicata a san Michele, che poi furono consacrate da Benedetto VIII in persona. Cunegonda con la sua dote costruì poi un secondo monastero dedicato a santo Stefano ed un terzo nel 1021 a Kaufungen, vicino a Kassel, per religiose, dedicato alla Santa Croce, per adempiere ad un voto fatto durante una grave malattia da cui era guarita. Come era tradizione dell'epoca, partecipò al governo dell'impero, sostituendo anche l'imperatore quando questi andò in guerra contro vari signori ribelli, come il cognato Federico conte di Lussemburgo.... (presso Luxembourg) https://www.instagram.com/p/CpU1BySoJhB/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Le Opere di Alberto Borgogno
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Sul suo canale YouTube i video delle sue canzoni e composizioni. Il docente universitario, saggista e scrittore Mantovano raccoglie le sue opere musicali
I suoi lavori possono essere suddivisi in 4 categorie: - brani puramente strumentali, senza parole, di cui ha composto per intero la musica («Sonatina per fisarmonica e trio di fiati», «Gavotta paesana», «Mattinata senese», «Sera fiorentina», «Incanto ligure», «Frammento di pura melodia», «Scherzo», «Barcarola Mantovana», «Divertimento», «Cantabile», «Piccola Sonata», «Notturno»); - brani di cui ha composto sia la musica sia le parole: parole da lui create che non si riallacciano ad alcun testo poetico preesistente («Sei tu opera d’arte», «L’abbigliamento di una ragazza», «A Perinaldo»); - brani di cui ha composto sia la musica sia le parole, ma queste parole sono una dichiarata rielaborazione, o una libera traduzione, o uno sviluppo di celebri testi letterari di grandi autori (es.: «Lezione d’aritmetica secondo Prévert», «Federico García Lorca di fronte al vecchio ramarro», «La bella Dorotea di Charles Baudelaire», «Pablo Neruda al cospetto della Croce del Sud», «Canto di Saffo», «Favola di Esopo», «Il canto delle Sirene di Ulisse»); - brani che ha composto per musicare poesie di vari autori senza intervenire sul testo, anzi seguendo fedelmente il dettato originale, con scrupolo filologico («La leggenda di Teodorico» del Carducci, «Il privilegio di Dante», «Il prode Anselmo», «La Signorina Felicita» di Gozzano, alcune poesie di Trilussa, «Il brindisi di Girella» di Giuseppe Giusti, «I Martir ad Belfior» di Ferruccio Ferretti, i versi dialettali di Anfibio Rana).
Alberto Borgogno nasce a Mantova, nel febbraio del 1945, dove trascorre i primi 19 anni tra le corse in bicicletta fino alla riva del Po, a Borgoforte, le esplorazioni delle rovine dell’antico Forte di Pietole, borgo in cui nacque Virgilio, e i giochi coi coetanei che si spingevano fin dentro al Palazzo Te, nella Sala dei cavalli di Giulio Romano. Ama fin da subito la musica, suona la fisarmonica e gli viene riconosciuto l’ orecchio assoluto; studia con passione la teoria musicale, sotto la guida di alcuni professori del Conservatorio di Mantova. Ma ama molto anche la lingua e le opere degli antichi Greci, e legge a più non posso Omero, i Lirici, i Tragici, Platone, per poi laurearsi in lettere classiche nell’Università di Pavia. Insegna prima al liceo Dante di Firenze e poi Letteratura Greca nell’Università di Siena, per più di quarant’anni. In epoca pandemica smette l’insegnamento e si dedica a pieno tempo alla composizione musicale. Risiede a Firenze, ma si reca spesso a Mantova e a Perinaldo, il paese dell’estremo ponente ligure da cui ha origine la sua famiglia. Ha scritto numerosi articoli sulle riviste specializzate nel campo della filologia classica e ha pubblicato studi e commenti su Menandro, Callimaco, Teocrito, Erodoto, Polibio; ha tradotto le «Argonautiche» di Apollonio Rodio, i «Romanzi Greci» del periodo ellenistico e greco-romano, l’«Edipo Re» di Sofocle, la «Medea» di Euripide, la «Storia Vera» di Luciano. Nel 2019 ha anche pubblicato un suo romanzo, «Amanti beati», tuttora disponibile presso le librerie.
Proprio i mesi di forzata clausura e la pausa dagli impegni accademici lo hanno riportato alla musica e a capire che poteva facilmente coniugare la sua disposizione creativa musicale con le conoscenze letterarie acquisite in una vita da professore di lettere. Ha ripescato i suoi vecchi manoscritti, ha passato molte ore al pianoforte, ha scritto sul pentagramma nuovi pezzi destinati a una esecuzione puramente strumentale. Partendo da poesie celeberrime (di Omero, Saffo, Dante, Neruda, García Lorca, Carducci, ecc.) e abbinando lo sforzo creativo musicale allo sforzo interpretativo, ha ottenuto come risultato musiche fra loro diverse, nello stile e nel tono, perché ciascuna di esse voleva mettersi in sintonia con le immortali parole di poeti diversi, in modo da far comprendere pienamente le intenzioni espressive e le significazioni di questi grandi artisti: cosa che di solito è preclusa al blateramento dei critici di professione. Tutto questo con la collaborazione, per gli arrangiamenti e le esecuzioni, di musicisti eccellenti, capaci di accontentarlo con grande intelligenza e straordinaria precisione.
Infine, ha pubblicato i suoi brani in Youtube: il suo canale contiene soltanto sue creazioni, mai pubblicate in precedenza.
YouTube
https://www.youtube.com/@albertoborgogno
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Anticipazioni Uominiedonne. Lavinia non ha scelto. Riccardo ricerca Gloria.
Veniamo quindi a quelle che sono le ultimissime Anticipazioni di Uominiedonne di Maria de Filippi trono Over e trono Classico. E seguiamo il percorso che è stato fatto in puntata ossia cominciamo dal trono Classico. Ma prima due precisazioni, si pensava che la tronista Lavinia Mauro non ha scelto, dato che è molto vicina a Alessio il biondo, e questa puntata la rivedremo a gennaio.
Anticipazioni Trono Classico .
Quindi si passa al trono Classico. Dove era presente solo il tronista Federico Dainese che ha fatto il covid e ovviamente è guarito. Mentre non erano proprio presenti Federico Nicotera e Lavinia Mauro e quindi nemmeno i loro corteggiatori. In pratica durante lo svolgimento del trono Classico il loro nome non è stato proprio cimentato.
Il tronista romano Federico Dainese ha fatto una bellissima esterna con Vincenza dove gli ha spedito anche una cartolina. La cosa ha fatto molto arrabbiare la corteggiatrice Elena Croce in studio e infatti fra di loro ci sono stati anche diversi scontri verbali nel corso della puntata.
Anticipazioni Trono Over
Si passa quindi al trono Over di Uominiedonne di Maria de Filippi con Riccardo Guarnieri che si rifà sotto con Gloria Nicoletti ma senza successo. Infatti il corteggiatore è andato a trovarla a casa, ma la dama si è fatta negare dicendo che aveva altri impegni. Non era presente Pinuccia in studio e pare che non ritornerà nemmeno. Pare che il tutto dipenda dal fatto che abbia fortemente litigato con la conduttrice del programma Maria de Filippi. Staremo a vedere nelle prossime settimane se veramente finirà in questa maniera. Mentre Gemma Galgani ha ballato con Alessandro nuovo corteggiatore di 52 anni. E anche per questa settimana con le Anticipazioni di Uominiedonne è veramente tutto ci risentiamo la prossima settimana con le nuove anticipazioni del dating show di Maria de Filippi. Per questa è veramente tutto. Read the full article
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