#Dove eravamo rimasti
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Dove eravamo rimasti
PATTY PRAVO
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Dove eravamo rimasti
Riprende il ciclo d’incontri con il pubblico e la stampa Giù la maschera Tullio Solenghi e Massimo Lopez in Dove eravamo rimasti SALERNO – Nel foyer del Teatro Municipale Giuseppe Verdi in via Roma Massimo Lopez e Tullio Solenghi inaugureranno il ciclo d’incontri con il pubblico e la stampa Giù la maschera nell’ambito della stagione di prosa del Teatro Verdi di Salerno. L’appuntamento con i due…
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#Dove eravamo rimasti#Giù la maschera#Massimo Lopez#Teatro Municipale Giuseppe Verdi#Tullio Solenghi
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Sono pronta per la serie a? No chiaramente, vi pare?
E voi amic* del Milanblr? 🔥
#ac milan#acmilan#milanblr#faccio finta di dimenticare dove eravamo rimasti noi milianisti#mi manca tutto inutile negarlo#ho in mente S.T. che guarda zlatan e piange#uff
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Dove eravamo rimasti?
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Ciao E,
Sono su un treno, ma non è un treno qualsiasi.
È proprio quel regionale veloce che prendevamo insieme per andare a Venezia, che poi, se ti ricordi, quando eravamo lì tu mi facevi camminare kilometri su e giù tra i ponticelli, i ciottoli e le gondole. Mi lamentavo, tu ridevi perché eri allenata e lo facevi spesso. Poi andavamo al Disney Store, da Lush, in piazza San Marco, mi facevi vedere i posticini che ti piacevano, il luogo dove volevi fare tirocinio e ci mangiavamo un tramezzino, o delle buone patatine, o un panino all'Old. Erano belle giornate. Erano bei tempi, davvero.
E poi riprendevamo questo regionale e tornavamo a casa tua, passavamo tempo prezioso insieme, tra confidenze, risate, Otto, la tua famiglia e i tuoi amici che mi avevano accettato come fossi stata lì da sempre. Erano bei tempi.
E poi dopo qualche giorno ripartivo per tornare a casa, che purtroppo non era vicina alla tua, ma in un'altra regione. Piangevo almeno i primi dieci minuti dopo averti salutata, perché sentivo che una persona così non la potevo trovare da nessun'altra parte e mi dispiaceva dovermi allontanare, anche se nel cuore mi eri sempre accanto. Erano bei tempi.
Poi la vita è andata avanti, sono successe tante cose, abbiamo detto tante parole e alla fine non ci siamo più viste e le nostre vite sono cambiate tanto ed era come se in comune non avessimo più niente. Ha fatto male, davvero. Ma ti penso ancora e mi manchi.
E sono sicura che mi mancherai per sempre.
E ora che sono su questo regionale, piango e piangerò per più di dieci minuti perché questi ricordi sono belli, ma mi fanno male, perché sono rimasti solo ricordi.
Però ti ringrazio per avermi fatto vivere quei bei tempi, li tengo dentro.
Ti vorrò sempre bene.
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Una volta Chirone ci aveva detto che le nazioni sono la più sciocca invenzione dei mortali. «Non c’è uomo che valga più di un altro, e non importa da dove proviene.» «Ma se quell’uomo fosse mio amico?» aveva chiesto Achille, i piedi appoggiati contro la parete della caverna rosa. «O mio fratello? Dovrei trattarlo come uno sconosciuto?» «La tua è una domanda su cui s’interrogano i filosofi» aveva detto Chirone. «Vale di più per te, forse. Ma lo sconosciuto è l’amico o il fratello di qualcun altro. Quindi, quale vita è più importante?» Eravamo rimasti in silenzio. Avevamo quattordici anni, e quei discorsi erano troppo difficili per noi. E adesso, a ventotto, sembrano ancora troppo difficili. Achille è la metà della mia anima, come cantano i poeti.
#madeline miller#Madeline Miller#la canzone di achille#La canzone di Achille#citazioni#citazione#citazione libro#citazioni libri#frasi#narrativa
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Soirée
1890
Contea di Marvalia, Inghilterra nel palazzo del re Taurus.
Tutto era pronto per la Soirée in maschera nella sala reale, Kassandra promessa moglie del principe Wilder non smetteva di studiarlo a tavola.
Voleva capire scrutando le sottigliezze dei suoi movimenti e modi di fare, quale sarebbe stato l'uomo della sua vita.
Aveva notato che non beveva vino, cosa un po' insolita per gli uomini di quei tempi.
Era carismatico, teneva viva tutta la cena con la sua luce ed eloquenza.
I due ballarono sotto i cristalli del lampadario che poggiava su quelle teste ricche, ecco perché le feste mondane per rivendicare quello status e lasciarsi andare alla passioni più sfrenate, senza la solita discrezione.
I due scapparono dalla festa e andarono nella stanza del principe, volevano conoscersi meglio.
"Cosa nasconde dietro quella maschera signorina Eastwood"
la ragazza se la tolse
"Il mio viso ora lo vedi ma non é quella la mia maschera"
"Ohh cos'altro c'è da scoprire?" e nel mentre scendeva con le braccia sulle sue accarezzandole.
La ragazza lo bació di forza facendo cadere entrambi sul suo letto, si fermò per poi baciarlo sul collo...ma
"Principe..oh scusate!" interrompé lancillotto, fu allora che Wilder lo aveva notato.
"Lavorate in un palazzo reale e non conoscete le buone maniere?" lo attaccó con veemenza la principessa.
Il principe si sentiva dispiaciuto per il servitore "E dai perché devi fare così?"
"Perché voglio solo che il mio Re mi tenga sveglia tutta la notte, non voglio sprecare un solo secondo!" disse rivolgendosi al lancillotto
"Quasi Re Kassandra" la corresse il principe.
"Cosa volevate dirmi?" chiese curioso il principe
"Suo padre voleva vederla"
"Peccato che ora abbia questioni più importanti di cui occuparsi...e la questione sono io!"
il principe si sentiva mortificato per il lancillotto, così gli sorrise e lui fece lo stesso chiudendo la porta.
"Dove eravamo rimasti?" chiese la ragazza per poi riprendere il bacio sul collo e infine morderlo con i denti quasi a mangiarlo, il ragazzo iniziò a urlare stringendosi al letto, la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
Oggi
I due stavano sistemando la casa per la Soirée e nel mentre Dominick non riusciva a smettere di pensare a quel bacio, non aveva mai provato quelle cose per un ragazzo.
Si era sentito così vivo, eterno ma non riusciva a fare finta di niente quando invece sentiva che quell'uomo era oscuro e probabilmente pericoloso.
Si chiedeva poi cosa sarebbe successo quella sera, non sapeva cosa aspettarsi e aveva sospettato che le parole di quella donna o visione potessero essere vere.
Forse era solo la rappresentazione dei suoi pensieri, aveva bisogno di farli un po' meno suoi e renderli propri di un'altra persona quasi come un angelo custode, un sesto senso.
Se con quegli uomini c'era qualcosa doveva saperlo, stava iniziando ad essere geloso non capiva perché non gli bastasse quello che avevano loro due.
"Sono tuoi amici giusto?"
"Pensi che siano qualcosa di più?"
"Magari non qualcosa di più per te ma qualcosa di più per il tuo piacere"
"E se fosse così ti darebbe fastidio? Voglio dire non stiamo neanche insieme.." venne poi interrotto dal biondo
"Ecco io pensavo che tra noi ci fosse qualcosa.."
l'altro lo ignoró e continuó per la sua strada
"Ma anche se lo fossimo dovrebbe darti effettivamente fastidio? Voglio dire l'hai detto tu!"
"Detto cosa?"
"Non qualcosa di più per me ma per il mio piacere, sei tu qualcosa di più per me"
il ragazzo nonostante non sostenesse quella tesi, si sentiva quasi stupido a quel punto.
"Voglio dire non sarebbe moralmente sbagliato?"
"Cos'é la morale se non ciò che decidiamo sia giusto o sbagliato"
"Ed é proprio questo" gli spiegò
"Ma non appartiene a tutti allo stesso modo, sei tu a giudicare cos'é moralmente giusto o sbagliato e non é un potere che spetta agli altri".
Se questo credo era applicato anche al di fuori dell'ambito sentimentale, doveva essere realmente capace di tutto.
Gli invitati arrivarono alla porta, tra i primi a presentarsi a Dominick un giovane dalla corporatura simile alla sua e i capelli di un biondo cenere, si chiamava Charles Moreau.
Era un aristocratico francese, si era mosso in Inghilterra per i suoi interessi rimanendo poi bloccato per l'epidemia.
Aveva un completo grigio e con il suo portamento risultava cosí affascinante, indossava una maschera bianca.
"Piacere Dominick"
"Charles Moreau e il piacere é tutto mio".
"É il suo compagno?"
"Oh no ci stiamo conoscendo, sono venuto qui per allontanarmi da Marvalia e scappare dall'epidemia"
"Capisco non sarebbe così tranquillo il suo ragazzo, con tanti uomini attraenti in casa"
e di nuovo si sentiva stupido, erano lì per sedurlo doveva aspettarselo da lui.
"Anch'io sono passato di lì, devo sbrigare ancora degli affari e poi sarò di ritorno in Francia".
Charles riprese fiato e poi
"Quindi vi divertirete anche voi sta sera?" gli disse mettendogli una mano sulla spalla,
il ragazzo aveva capito che ci stava provando con lui.
Sperava questo potesse smuovere l'incantatore ma era troppo impegnato ad accogliere e baciare tutti i suoi ospiti, sembrava che stesse aspettando questo da tanto.
Perché lui non gli bastava? Non era abbastanza? Avrebbe fatto le stesse cose che faceva con lui con loro? Quindi non c'era nulla di personale nelle loro interazioni.
Charles mise una mano sul suo petto ma Dominick si agitó, improvvisamente gli sembrava più viscido di quello che pensava, non l'avrebbe fatto quindi liquidó il ragazzo
"Scusami.."
e si diresse in bagno a gambe levate.
Una volta uscito, camminava spedito per raggiungere la sua camera, quando una mano prese la sua
"Charles non posso.."
"Credo di essere più femminile di Charles"
aveva risposto una donna dal capello castano e riccio, aveva una maschera nera così come il vestito.
"Sei Dominick giusto?"
"Si come fai a sapere il mio nome?"
"Mi ha parlato di te"
l'aveva fatto??
"Vivi con lui adesso no?"
"Si esatto"
"Dove ti ha fatto stare?"
"La mia camera é quella lì" e nel mentre
le stava andando incontro, intento a mostrargliela ormai.
Dominick trovó i vestiti di Charles sulla soglia della sua camera e c'era perfino la sua maschera, doveva averlo fatto per stuzzicarlo e probabilmente ora doveva cercarlo e riconoscerlo ma pensava che si fosse già dato da fare con qualcun'altro.
Non c'era piú nessuno in atrio, la porta dell'incantatore era chiusa, dovevano essere tutti nella sua stanza del resto l'aveva vista ed era particolarmente spaziosa.
Raccolse i vestiti e li mise sul suo letto ma mentre lo fece, la donna lo spinse e quando lui si trovó steso lei disse
"Ti piacciono anche le donne?"
"In realtà é la prima volta che mi piace un uomo"
"Bene" disse baciandolo
"No io.."
"Voi due non state insieme no? E poi mi sembra che lui non si privi di questa libertà non é cosí?"
aveva ragione e in quel momento Dominick sentiva un senso di frustrazione che lo divorava, così passarono la notte insieme.
Il mattino seguente Dominick si sveglió ai piedi del letto, aveva dei ricordi confusi sulla notte precedente.
Aveva in mente questa donna, solo dopo pensò che fosse impossibile ci potesse essere stata una donna a quella festa, d'altronde a lui aveva sempre parlato di uomini.
Si chiedeva se fosse la stessa che lo aveva sorpreso l'altro giorno nella sua camera, doveva essere la pazzia o forse un sogno.
Ma fu in quel frangente che notó una vecchia e piccola televisione sotto il suo letto, non si era mai abbassato per poterla scoprire.
Si affrettò a collegarla e appena sintonizzato sulle reti principali d'informazione la notizia
"Charles Moreau é scomparso da ieri notte, il giovane aristocratico francese..."
con tanto di foto annessa, il volto non lo conosceva ma il resto sembrava appartenergli.
Scollegó la tv per non farsi sentire dall'uomo, ne era sicuro l'aveva ucciso.
Si chiedeva quindi quando sarebbe toccato a lui o forse non era nei suoi piani, seppur strano si sarebbe sentito speciale.
Si guardó attorno, i vestiti di Charles poggiati sulla sedia davanti alla scrivania.
Sapeva cosa fare, aspettare il prossimo giovedí e sorprenderlo fingendosi Charles, avrebbe utilizzato i suoi vestiti e la sua maschera per entrare in quella stanza.
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Ogni volta che viene l'estate, mi viene in mente questo.
"Senti, Pietro, ma tu ci sei mai stato al mare?" Chiese Bomba, mentre tentava di togliersi un po' di rena di dosso.
La domanda oggi sembrerebbe assurda, ma allora era più che legittima. Infatti, di tutti e sei, solo io e Schizzo ci eravamo stati, con esiti diversamente disastrosi.
"Certo che ci sono stato!"
"E com'era?"
"Com'era? Com'è, vorrai dire, Bomba. Mica è morto il mare!"
"Vabbè, hai capito, allora dimmi: com'è?"
Avrei voluto, ma non potevo mentire ai miei migliori amici, così:"Una cagata!" Esclamai, mentre con la mente correvo a quell'unico, maledetto giorno in cui i miei mi avevano portato al mare.
Era successo l'anno prima. Il ricordo ancora mi bruciava. Per anni, mia madre, tutte le estati, ad Agosto, quando mio padre era in ferie, aveva insistito per farsi portare al mare, ma non c'era mai stato verso di spuntarla. Come ho già detto, il mio vecchio era un camionista, tutta la vita su e giù per l'Italia col culo schiacciato sul sedile della cabina. Va da se che, di domenica, o durante le ferie, guai a parlargli di motori e di strade. Iniziava a bestemmiare come un turco e non la finivi più. Iniziava in sordina, sottovoce, poi un po' più forte, alla fine si lasciava prendere la mano e andava a finire che tutto il vicinato era costretto ad ascoltare le sue pittoresche lodi al Signore.
"Mi avete rotto i coglioni co' 'sto mare!" Diceva, "Mi spacco il culo per voi tutto l'anno su quella merda di camion e, quando finalmente ho un minimo di riposo, voi pretendete che salga sull'auto per scarrozzarvi dove vi fa comodo? Ma che razza di cervello bacato avete? Non se ne parla nemmeno!" Non se ne parla nemmeno era l'epitaffio. Tutte le volte. Quindi, figurarsi il nostro stupore quando, una mattina, alle sette in punto, il vecchio ci buttò tutti e tre giù dal letto, annunciandoci la lieta novella:" Sveglia poltroni! Preparatevi, oggi si va al mare!" Ricordo che tra lo stupore e la felicità ci fu una bella lotta. Eravamo rimasti tutti senza parole. La prima a riaversi fu mia madre, che obiettò:" Ma come faremo per il pranzo? Certo che sei sempre il solito! Non potevi dircelo ieri sera? Avremmo avuto tutto il tempo per prepararci, sant'Iddio!"
Lui la guardò per un istante, fece la faccia più sbalordita di cui fosse capace e rispose:" Ma come? Sono anni che scassi con il mare e oggi che mi sono deciso, crei tutti questi problemi? E poi ve l'ho detto stamattina perché ieri sera non ne avevo voglia. Oggi si! Allora? Cosa dobbiamo fare? Andiamo o no?" "Andiamo! Andiamo!" Gridammo entusiasti io e mia sorella. Ci infilammo di corsa i costumi sotto ai pochi vestiti, mia madre preparò in fretta i panini e li mise in una cesta di vimini con la frutta e le bottiglie d'acqua. Eravamo pronti. L'avventura poteva cominciare. E, Cristo, se fu un'avventura. E chi se la scorda più! Ci impiegammo ben tre ore per coprire i novanta chilometri che ci separavano dalla costa. Una volta arrivati a Tarquinia, mio padre strabuzzò gli occhi e disse imprecando:"Madonna, che casino! Ma da dove salta fuori tutta questa cazzo di gente? No, qui non ci possiamo davvero fermare. Grasso che cola se ce ne tocca un secchio a testa di acqua salata." "Allora cosa vorresti fare?" Domandò preoccupata mia madre. "Tranquilla donna! Ora te lo cerca il tuo bel maritino un posticino tranquillo per farti il bagnetto!" E lo cercò davvero. Eccome se lo cercò. Gli ci volle un'ora e mezza, ma alla fine lo trovò. Arrestò l'auto in quello che, probabilmente, era il posto più brutto del Tirreno. Infatti non c'era anima viva. Nessuno tranne noi. Niente persone, niente bar, niente ombrelloni, nemmeno sabbia. Solo sassi. Sassi enormi che partivano da dove avevamo lasciato la macchina, fino ad arrivare per diversi metri dentro l'acqua. Acqua che io e mia sorella facemmo giusto in tempo ad assaggiare. Neanche la maglietta riuscii a togliermi. Riuscimmo a bagnarci solo per metà, perché da lì a dieci minuti, nostro padre fischiò e ci fece uscire. Con quel suo tono perentorio che non ammetteva repliche, disse:"Su, venite fuori ragazzi. Basta bagni per oggi. Ora si pranza e si torna a casa. Che non ho voglia di beccarmi tutto il traffico del ritorno." Mia madre era nera di rabbia, a me veniva quasi da piangere, pure a mia sorella, ma non ci fu niente da fare. Quella, per fortuna, fu l'unica volta che ci portò al mare.
A Schizzo andò ancora peggio. Molto peggio. Lui neanche ci voleva andare al mare. I suoi ce lo mandarono per forza. In colonia. A Montalto di Castro, per quindici giorni filati. Quindici giorni che lui, naturalmente, non fece mai. La notte del secondo giorno scappò via scalzo, con indosso soltanto il costume e una canottiera a righe bianche e rosse. La mattina seguente, i responsabili della colonia, resisi conto dell'accaduto, telefonarono subito ai suoi genitori, che, tra una bestemmia e l'altra, dovettero montare sulla loro seicento per andare a ripescare il proprio figliolo così lontano da casa. Lo trovarono verso le quattro del pomeriggio, che vagava senza meta sulla Statale Aurelia. Fortuna che, quel giorno, c'era poco traffico. Appena gli fu accanto, il padre inchiodò l'auto, scese come una furia e gli diede un fracco di botte senza proferire verbo. Schizzo le prese tutte. Non tentò di schivare neanche un colpo. Ma non versò una lacrima che fosse una. Anzi, quando il padre si stancò di colpirlo, lui, con tutta la rabbiosa calma che possedeva, promise che, se lo avessero lasciato ancora li, sarebbe scappato la sera stessa. Naturalmente si guadagnò una seconda razione di legnate, seduta stante.
Schizzo aveva molti difetti, ma manteneva sempre le promesse fatte. Fu così che, nonostante le difficoltà oggettive e la sorveglianza raddoppiata, quella stessa notte se la svignò di nuovo. Portò a lungo i segni neri e bluastri della fibbia della cintura di quell'avvinazzato di suo padre, ma vinse lui. I suoi dovevano decidere se ammazzarlo di botte lì, sul posto, o riportarselo a casa impotenti. In verità ci pensarono su piuttosto a lungo, ma alla fine decisero che sarebbe stato meglio per tutti riportarlo a casa. Negli anni a venire, quando sentivo dire che al mare bisognava stare attenti, che era pericoloso, io pensavo sempre a Schizzo.
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Globi terracquei
La catastrofe umanitaria della conferenza stampa del governo a Cutro entra di diritto fra i classici della comicità noir (per i 73 morti e la danza macabra delle bare fra Crotone e Bologna). C’è la Meloni che non ha idea di ciò di cui parla. E, alla sua destra e alla sua sinistra, ci sono i vice Tajani e Salvini: quello sa leggere, infatti corregge sottovoce una delle sue scempiaggini; questo sa scrivere, ma solo sul cellulare mentre fa sì sì con la testa e gongola a ogni gaffe dell’odiata. I giornalisti, ritrovata finalmente coscienza di sé dopo 20 mesi di letargo draghiano, la smentiscono continuamente. E una vocetta fuori campo con inflessione sarda tenta di silenziarli: “Non è un dibattito��, “Non potete”, “Non è professionale”. È Mario Sechi, neo- portavoce e soprattutto portafortuna, già noto perché nella sua modestia crede di aver inventato il giornalismo e tiene a farlo sapere. Solo che non riesce a uscire dalle vite precedenti di montiano, renziano e draghiano e non si dà pace per questi cronisti che fanno domande (“Non è professionale”). Come se il problema fossero le domande e non le risposte.
Eravamo rimasti a Piantedosi che incolpava i morti di scarso patriottismo per non essere rimasti a Kabul o ad Aleppo a “contribuire al riscatto dei loro Paesi” e di somma imprudenza per aver scelto un barcone pericolante invece di una più confortevole nave da crociera; e poi rimediava con l’imperitura minaccia: “Fermatevi lì, veniamo noi a prendervi”, come dicono le segretarie dei Vip agli scocciatori che chiedono un appuntamento: “Ci facciamo vivi noi”. Ora la Meloni chiarisce che non intende andare a prendere nessuno: “Siamo abituati a un’Italia che va a cercare migranti nel Mediterraneo, ma questo governo vuole andare a cercare scafisti in tutto il globo terracqueo”. Dicesi globo terracqueo l’insieme di terre e acque del pianeta. E, se è ragionevole cercare lo scafista in acqua (salvo in quelle territoriali altrui), siamo curiosi di vedere come lo riconoscono sulla terraferma, dove può mimetizzarsi con qualunque altra figura professionale. A meno che non si faccia trovare in uniforme da scafista, con targhetta appuntata al petto, dicitura sulla carta d’identità e tessera del sindacato, nel qual caso chapeau. Ora potete facilmente immaginare il terrore seminato nella categoria scafistica dalla duplice minaccia meloniana: cercarli in tutto il globo terracqueo e condannarli fino a 30 anni di galera. Cioè la stessa pena che rischiano già oggi, anzi la rischierebbero se li prendessero. Ma non li prendono quasi mai perché i migranti, indagati per clandestinità, hanno la facoltà di non rispondere e quasi sempre la esercitano. Cioè perché le teste dei nostri sgovernanti sono globi terracquei. Anzi, solo acquei.
Marco Travaglio (definitivo)
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“ Venerdì 1° gennaio 1993
Cara Mimmy, BUON ANNO NUOVO! Che questo anno ci porti pace, felicità, amore, e consenta alle famiglie e agli amici di ritrovarsi. Ora ti voglio raccontare come abbiamo salutato l'anno vecchio e accolto quello nuovo. Innanzitutto noi (la mamma, il papà e io) siamo andati da Melica per il suo compleanno. Abbiamo pranzato da lei. Come regalo per il Nuovo Anno, Melica ci ha dato un vasetto di carote in conserva. Poi siamo tornati a casa. La mamma è andata a prendere l'acqua, mentre io e il papà non ci siamo mossi. Quando la mamma è tornata siamo rimasti seduti insieme per un po', abbiamo preparato i panini con la margarina (in ufficio la mamma ha ricevuto per l'inverno un pacchetto di provviste, che conteneva fra l'altro della margarina), la crema fresca e del patè di fegato. Dei panini fantastici! Gnam... Gnam..! Verso le otto abbiamo fatto un pisolino. Poi é arrivata la zia Boda che ci ha rimessi tutti sull'attenti: siamo quindi andati tutti a casa sua, dove abbiamo mangiato del «tacchino» (una scatoletta di carne), e del vero emmenthal. Verso le dieci avevamo nuovamente sonno, e a qualcuno è venuto in mente di accendere la radio, dove c'erano i Surrealisti, un gruppo teatrale della città. Ci siamo svegliati tutti. E così, a poco a poco, è arrivato anche L'ANNO NUOVO. Žika ha aperto una bottiglia di champagne (che aveva tenuto in serbo per celebrare la fine della guerra, ma visto che essa non si vede, ha deciso di aprirla oggi), e ci siamo baciati tutti (la nonna, Žika, Boda, la mamma, il papà, Cici e io). Mancava Nedo, che era andato a festeggiare con gli amici. Mamma e papà mi hanno donato un pettine e una pinza per i capelli, i Bobar mi hanno regalato un uovo musicale (ha un sensore luminoso) e dello Slaim. Hanno regalato alla mamma dell'acetone, mentre noi abbiamo dato loro patate, cipolle, e cavoli bianchi. Wow! E così abbiamo trascorso la serata fino all'1,30 di mattina. Quando siamo tornati a casa eravamo stanchi morti. Non siamo andati a letto prima delle 2,00. Abbiamo dormito come dei ghiri. Ancora una volta, Mimmy, Buon Anno a te e a tutta la gente di Sarajevo. Ti voglio bene, Zlata “
Zlata Filipović, Diario di Zlata. Una bambina racconta Sarajevo (traduzione di Raffaella Cardillo e Maria Teresa Cattaneo), Rizzoli, 1994¹; pp. 102-103.
[Edizione originale: Le journal de Zlata, Fixot et éditions Robert Laffont, S.A., Paris, 1993]
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«[...] Prima, sapevamo delle crudeltà tra di loro: tra le diverse popolazioni di lingua slava ma di appartenenze etniche, politiche o religiose, diverse. Sapevamo per esempio della lotta feroce fra i cetnici, sostenitori di re Pietro, e i partigiani di Tito. Lussinpiccolo, nel ‘43, fu occupata dai cetnici, che arrivarono con le loro famiglie. Poco dopo giunsero i partigiani di Tito: presero tutti, compresi donne e bambini, li caricarono sulle barche, li portarono al largo e li annegarono...
Noi sapevamo. Ma pensavamo che tutto questo non ci riguardasse. Churchill, Roosevelt e Stalin ci avevano garantito a suo tempo che ogni popolo avrebbe comunque deciso dei suoi destini; noi eravamo italiani, e tali saremmo potuti rimanere. A tal punto ci avevamo creduto, che io, nel ‘42, se non ricordo male, avevo fatto ristrutturare completamente la nostra casa. E rimasi sbalordito quando uno dei muratori mi disse: “Questa casa, lei se la godrà ancora per poco...”. Quell’uomo era slavo, ed evidentemente sapeva ciò che io non sapevo, che tutti noi ignoravamo...
Arrivò il 1943, e gli slavi iniziarono a reclutare come partigiani, nel nostro esercito allo sbando, sia quanti si dichiaravano comunisti e loro alleati, sia quei poveri soldati che non sapevano dove e con chi andare, e neppure avevano i mezzi per tornare a casa. In quella circostanza si rifornirono anche delle armi che sino ad allora non possedevano.
E arrivò anche il 1945: entrarono in città, a Pola, dove cominciarono col prendere possesso delle caserme, del municipio, degli edifici pubblici, di qualche villa privata. Durò quarantacinque giorni, e poi giunsero gli Alleati: noi credevamo fosse per restituirci a noi stessi; in realtà fu solo per garantirci la possibilità di andarcene, esuli, ma vivi... E noi, di andarcene, lo decidemmo subito dopo l’occupazione e i primissimi momenti di sbalordimento atterrito: decidemmo non appena fummo in grado di capire che per noi non c’era più speranza, che se fossimo rimasti avremmo dovuto vivere nel terrore quotidiano. Perché non fummo noi, a volercene andare; la verità era, ed è, che “loro” non ci volevano su quelle terre, di cui pretendevano di cancellare, insieme alla nostra presenza, anche la storia...».
Anna Maria Mori & Nelida Milani, Bora. Istria, il vento dell’esilio
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Eccomi di nuovo qua..questa volta voglio parlarvi di un’ “episodio” successo tra me ed il mio ragazzo.
Allora quasi una settimana fa, abbiamo avuto la comunione di sua nipote.
Quella mattina mi ero alzata bene e avevo addirittura buoni propositi per quella giornata, per passarla anche bene e in tranquillità e divertirci, ma è finita che quella per me è stata una giornata PESSIMA!
Vi spiego subito il tutto.
La mattina ovviamente, siamo andati in chiesa, ma io e il mio ragazzo con altre persone, siamo rimasti fuori perché la chiesa era piena e faceva davvero troppo caldo.
Fuori dalla chiesa, lui è stato tutto il tempo con un suo amico, mentre io i primi minuti ero “sola”, poi è arrivato un’altro suo amico con la ragazza e la bambina e io sono stata con lei e la bimba.
Finita la chiesa, siccome la sala era la sera, siamo tornati a casa e io mi sono riposata tutto il pomeriggio.
Sul pomeriggio tardi, dovevamo andare in un “parco” a fare le foto con altri suoi parenti e la nipote che faceva la comunione.
Arrivati al parco, diciamo che ha iniziato ad “ignorarmi”..anche lì è stato un po’ di più con l’amico che con me, infatti io ad un certo punto mi sono messa in disparte per i fatti miei per vedere anche lui cosa faceva e se, se ne sarebbe accorto, ma nulla..non ha fatto e non ha detto niente..e li ho lasciato perdere..anche se vedevo che parlava con tutti tranne che con me..
Finite le foto, siamo andati alla sala, tranne la nipote con i genitori che sono rimasti a fare altre foto.
Comunque, arrivati in sala, lui si è messo fuori dai posteggi con il suo amico, mentre io ero nel giardino della sala seduta con la ragazza dell’amico e i genitori e la sorella della cognata, fino a che poi non sono entrata dentro.
E lui che ha fatto? Ha continuato a farsi gli affari sui con l’amico e L’ unico pensiero che ha avuto a me è stato dopo un’ora mandandomi un messaggio dove mi chiedeva dov’ero è una volta che gli avevo detto dov’ero, non è che è venuto per stare un po’ insieme, no è rimasto fuori con il suo amico.
Una volta arrivati tutti gli invitati, compresa la “festeggiata”, siamo entrati tutti.
Da lì ho pensato va beh, magari era solo ora il tempo che aspettavamo che è rimasto con l’amico, magari ora un po’ insieme ci stiamo, ma invece no.
L’unico momento in cui eravamo “insieme” è stato quando dovevamo mangiare, e manco perché alcuni piatti, mi sono ritrovata a mangiarli da sola.
Lui ha praticamente passato tutta la serata con suo fratello e il suo amico, ogni tanto parlava con sua cognata e ogni tanto era con i genitori e la sorella di sua cognata.
Per non parlare della scena a cui ho dovuto assistere..
Qua devo dire una cosa però prima di parlarvi di quello che ho visto.
Il mio ragazzo è uno di quelli che i balli dove c’è troppo contatto fisico e ti devi “strusciare” li odio e gli fanno schifo.
E quella sera cos’ha fatto? Ha ballato uno di quei balli con sua cognata..dove erano appiccicati, lei si strusciava in una maniera assurda e le loro facce erano ad 1 cm l’una dall’altra..
Ma poco dopo aver visto sto schifo, sono andata a dirgli che volevo ballare con lui, e lui mi ha dato una risposta come se non gliene fregasse niente.
Io dico, in quel modo con tua cognata ci balli e con me che sono la tua ragazza no e se te lo chiedi te ne freghi? Bah senza parole credetemi..
Ovviamente io avendo visto tutto ciò che ho fatto? Ho iniziato ad ignorarlo anche io, e ho iniziato a farmi i cazzi miei come se lui non ci fosse.
L’unica cosa che ha fatto nei miei confronti in tutta la sera è stato che 1/2 volte si è avvicinato chiedendomi di dargli un bacio..
Ovviamente a fine serata gli ho detto TUTTO e cos’ha fatto lui? Si è addirittura incazzato..
Ve l’ho voluto raccontare per sapere cosa ne pensate voi, cosa avreste fatto al mio posto..e ovviamente accetto ogni tipo di consiglio 😉
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I MALLENICCHI
Bologna, 21 marzo 2023
Oggi finalmente la primavera si mostra in tutto il suo splendore. Fuori c’è un bel sole e le piante nel giardino sotto casa dove ora vivo si stanno riempiendo di fiori. Naturalmente, il mio pensiero e i miei ricordi sono tornati alla mia infanzia e alla Fonte. Ho acceso il computer e ho visto la bellissima foto dell’aia di Bruno, con i mandorli in fiore e ho pensato: “Sicuramente anche davanti casa alla Mandra sarà la stessa cosa”. Non so perché ma mi sono tornati in mente i ‘mallenicchi’, le gemme del mandorlo. Per i giovani di oggi non significano nulla, per noi allora erano i primi frutti che la stagione ci offriva. Vista l’altitudine, di frutta fresca ne cresceva poca. Quindi appena era matura cominciava la razzia. I mallenicchi erano piccoli, teneri e dolci e appena ci accorgevamo di non essere controllati partivamo all’attacco… Avevamo le nostre bande. La mia era composta da me, Lino, Franco, Marisa, Aurora e Vittoria, nipote di Rosaliva, proprietaria di un mandorlo davanti casa sua. Rosaliva era sempre di vedetta sul balcone, aveva riempito un secchio di sassi che ci tirava addosso appena ci vedeva. Vittoria, la nipote, era la più scatenata ed era il nostro capo, non so perché, ma le sassate non ci hanno mai raggiunto... Poi c’erano i maschi più grandi che facevano le ruberie. Oltre ai mallenicchi, andavano a ciliegie, prugne e altro. Ricordo la banda composta da mio fratello Francesco, i miei cugini Peppino, Oscar e Tonino di Giosuele. Una sera, dopo essersi assicurati di non essere seguiti dai padroni dei ciliegi che avevano preso di mira, tornarono a casa, negando di aver mangiato quelle ciliegie, pur essendo stati visti. Per punizione, o per paura, Francesco andò a dormire. Spesso però parlava nel sonno, come quella sera. Mentre tutti noi eravamo rimasti a provare le canzoni di Sanremo accompagnati dalla fisarmonica di mio fratello Raffaele, all’improvviso arrivò una bella risata dalla camera accanto dove dormiva Francesco, poi la voce di mio fratello, nel sonno, rivolta ai compagni: “Peppì, Oscarì, Tonì, gl’i seme fregate pure stavolta!”. Le risate scapparono anche a noi, ma poi ci furono anche le punizioni per i colpevoli. I nostri genitori non ci difendevano se facevamo danni, ci davano il resto, è grazie ai loro esempi se siamo vissuti onestamente. (Maria Antonietta D’Ascenzo)
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