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#Diario parigino
gregor-samsung · 2 years
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“ Frequentatore di biblioteche. Le lunghe attese mi sono concesse dal destino. In quei momenti il mio spirito assorto si rifà del tempo perduto con mille rimuginii. Le bieche facce di chi mi consegna i libri, stanche mani di villani, o quei tozzi volti di chi li consulta ma ne è lontano, non sono come me. Ma è come se volessero scoraggiarmi dal proseguire e mi indicano la porta. Ma poi, un lampo dorato, un dorso ammiccante, il titolo ambito, frutto di una attesa, cioè di una parte della mia vita già così scarsa, ridestano l'ostinazione e a capo chino mi tuffo nella mischia. Più tardi è tutto finito. E quando esco, esco riconciliato. Se la Fortuna è venuta a visitarmi e mi ha messo da parte un piccolo bottino, cambia il vento e i volti li vedo sorridenti, alacri, e da ogni punto spira un'aria di amicizia. La biblioteca è uguale per tutti. Questa l'austera scritta che mi sembra di leggere all'entrata. Essa dice che tutti i libri sono uguali davanti alla "cultura". La biblioteca realizza questa tetra eguaglianza e rende giustizia al libro ignoto, o al più modesto di essi, trattandolo come gli altri. Sarà spolverato ugualmente, perseguitato il reo se viene rubato. E comprato a suon di quattrini come l'altro. Poiché tutto ciò mi sembra losco e ingiusta questa giustizia, sogno che i libri vengano dispersi ai quattro venti, che non ci sia nessun luogo in cui li si conservi e che solo il fato li conduca a questo o a quello per vie che esso solo sa. Sala di lettura come vita. Si ritrovano qui, davanti ai libri, tipi che puoi vedere al mercato o davanti alle vetrine di un negozio di bottoni. Uno studioso non sembra più distinguersi e nessuno è più nessuno di lui quando è nella sala di lettura. Le pagine scorrono davanti ai suoi, occhi ed egli sminuzza concetti, divora emozioni, trangugia ragionamenti e visioni, impassibile. Sala di lettura come vita. Tornerò domani. To-morrow and to-morrow and to-morrow. “
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Brano tratto dall’articolo di Manlio Sgalambro Diario parigino pubblicato sul numero monografico dedicato a Franco Battiato di Nuove Effemeridi - rassegna trimestrale di cultura, Edizioni Guida, Palermo, n° 47, 1999/III, Anno XII; pp. 65-66.
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plassocean · 1 year
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Oggi sono stato con una mia amica per circa tre ore nella piazza di Piscinola, proprio nel luogo in foto, alchè una signora, passando, ci ha fermato dicendo: "Siete un quadro bellissimo"
Togliendo quanto mi abbia fatto sciogliere tale frase, m'ha fatto anche riflettere su quanto noi "giovani" tendiamo a soffermarci su cose come "Gli anziani che si tengono per mano", contemplando la bellezza di quei momenti che non appartengono a noi ma che speriamo un giorno siano momenti condivisibili anche da noi( insomma tutte quelle immagini molto Tumblr dei vecchietti che vedo pubblicare costantemente, anche se ormai ciò che vedo pubblicato qui su Tumblr sono solo foto di culi seni peni e sesso che,per carità, normalizzazione e sessualità sono concetti importanti però mi mi sono un po' rotto il cazzo della monotonia di questo social che ormai più che un social è diventato un diario per me), sottovalutando però quanto gli anziani facciano la stessa cosa nei nostri confronti, probabilmente il doppio di noi, e quanto questo possa essere un ottimo reminder per ritrovare semplicità o semplicemente apprezzare il bello, respirando, assaporando i momenti, o quantomeno, se proprio non si sa godere quasi di niente (come me), cercare di aver sempre presente che possiamo ancora essere noi stessi e ricominciare, con calma.
È anche interessante che una signora anziana, passando, si sia soffermata prima e fermata poi a dirci le belle cose che ci ha detto, dandoci tanta Gioia, e probabilmente provandola anche lei, seppur attraverso la malinconia, per il solo fatto di aver condiviso con noi quello che sentiva, laddove noi al massimo scattiamo una foto da lontano, o di nascosto, la postiamo su Tumblr perché "yo, questa foto è Deep, la devo condividere" e non condividiamo quella sensazione con i diretti interessati, perché magari loro non ci possono capire o boh, abbiamo vergogna.
La foto sopra è nata perché incuriositi dalla frase della signora, abbiamo chiesto a un altra passante di farci una foto cercando di ricreare tale situazione.
Ci siamo fatti na risata, ne è uscita na cosa carina, quasi vera come la precedente, seppur finta.
Mi piace come quella signora apprezzasse l'inarcatura della mia schiena e della sua solo perché vera. E come se sputasse in faccia a tutta la finta perfezione propinata oggi. È uno sputo in faccia a tutte le cose brutte e a tre quarti della nuova apparenza tossica di questa generazione. Non c'è niente di Tumblr, di Parigino/bolognese, Americano, artistico. Non ci sono poesie, non le stavo donando una rosa, non stavamo cantando come usignoli. Eppure abbiamo commosso il cuore di una persona con un immagine quasi tipica, statica, imperfetta.
Evviva i vecchi,
Evviva i giovani.
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7i74 · 2 years
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Diario di bordo: Parigi, 27-30 luglio 2022
Scende dall'aria e cade sulla terra nella prima mattina. Buio è stato per la nostra—seconda—colazione in aeroporto (ottimo il cappuccino a Bologna G. Marconi), ma già trascinando il capo e le valige nel mezzo a gettare fresco sulle nostre spalle era l'alba. Si è volati sulla Francia di prima mattina. Sotto, ecco nuvole più interessanti della terra e dei campi: varie razze di cui non conosco il nome mentre un aggettivo solo sta alle coltivazioni: monotone, opache.
Primo duello col trasporto pubblico
Da Parigi Beauvais si raggiunge Parigi (centro? non proprio) con navette adibite. Si può acquistare il biglietto in aeroporto mediante macchinette. Queste funzionano. In Francia scopro che non c'è salvezza dall'inghippo nemmeno dietro allo schermo, naturalmente zeppo di ditate, delle suddette: nella prima stazione di metro la bestia ingorda fagocita cinque euro senza sputare biglietti nessuno, e a nulla vale lo stanco, trascinato intervento di un'operatrice il cui responso suona terminale: se la macchinetta non avesse accettato i soldi avrebbe dovuto restituirli da sé. Mi sforzo di comunicarle (un francese stentato a Parigi fa più che un inglese compito) che se questo fosse accaduto non ci sarebbe stato alcun problema. Si scusa, ma ridendo: non può fare niente per me.
Saliamo e decido che non userò mai più contanti, forse a Parigi o forse in vita mia. Il cielo però non scherza e, volendomi rammentare che il problema non sono i pagamenti, ma io, ecco una notifica dalla carta: abbiamo dimenticato di disdire un abbonamento inutile; consegue piccino crollo di nervi. Da qui all'arrivo alla camera tanto mordersi le labbra.
Una cameretta bohemienne
La nostra stanza con bagno annesso si trova al sesto e ultimo piano di un complesso storico. Non ci sono affreschi all'italiana ma c'è il legno azzurro-grigiastro delle imposte e quello consunto delle scale a chiocciola. Non dalla finestra della camera (sul chiostro interno) ma dall'uscio del condominio, serrato tra due brasseries, fa capolino enorme la chiesa di Saint-Eustache. Siamo in via di Pont-Neuf. La nostra fermata della metro è Louvre Rivoli. Nella nostra stanza il frigorifero si apre dalla parte sbagliata e la vasca da bagno, di dimensioni minute, ha il pavimento sbalzato, mentre su di essa il soffitto si inclina tanto da costringere a stare curvi. In tutto è funzionale. Una persona sola l'avrebbe ospitata meglio, ma se i due viaggiatori rinunciano all'intimitá nelle sue declinazioni (dal cibo alla toeletta) allora va bene ugualmente.
Ogni giorno ci sveglia un corvo sul tetto vicino. Gracchia, sbatte le ali. Della finestra a noi opposta si vede muovere la tenda e dietro a questo un foglio appeso alla parete: abbastanza presso noi da essere visto, ma non abbastanza perché se ne comprenda il disegno, chissà cosa significava.
Giorno I: camminando camminando sotto Notre Dame, il Panthéon, la galleria moderna del centro Pompidou
Si mollano le valige in camera e si va a piedi. C'è una catena di alimentari in Francia che fa nome Franprix e permette nei suoi centri, o forse solo in quello da noi frequentato, l'accesso ad un salad bar. È facile sollevare le teche—non tanto abbassarle: ci accorre in aiuto il cassiere: ne sortiamo con il pranzo pur tardivo, che è consumato nel parchetto accanto a Shakespeare&Co. dopo aver veduto di fuori e non tutta Nostra Signora, a lato della Senna. La mia è un insalata con falafel e lenticchie: sarà l'inizio di una lunga storia d'amore coi falafel (ora che scrivo ne ho mangiati per tre volte). Molti dormono sull'erba e il tempo, per la pur poca consistenza che possiede, è dolce.
La grandeur parigina colpisce, ma superficialmente. Il rapporto con la sostanza dei monumenti che emula o dai quali si ispira non può se non risultare lampante se tra questi si è vissuto. Il Panthéon parigino é una elaborazione gargantuesca di quello romano e anche un obelisco alla Rivoluzione. La magia di Roma se ne sta, trasfigurata, nel moto del pendolo di Foucault al suo centro. Quasi fermo eppure continuo e d'oro.
Giorno II: Opera Garniér, Saint Chapelle, la galleria contemporanea del Centro Pompidou, sulla sommità della Tour Eiffel
Giorno III - case di sovrani: la reggia ed i giardini di Versailles, poi il Louvre
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bludichartres · 4 years
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Sensazioni di viaggio
Un sole liquido, quasi di platino, filtra attraverso le foglie degli olmi lavandone via il verde acceso. Il vento è appena percettibile, me ne accorgo dal vapore che emana il caffè turco, il suo sentore di cardamomo mi tiene compagnia mentre sfoglio le pagine del diario di viaggio.
Vulytsia Derybasivska è meravigliosa a quest'ora di pomeriggio, perla tra le perle di Odessa cattura il cuore con i suoi locali storici e con quel ciottolato parigino. Finalmente il caffè si è sedimentato, porto alle labbra la sottile porcellana e mi tornano in mente altri soli...
La Grecia, il suo sole denso, carnale, una luce da mordere.
"La luce dell'Attica! Se anche conservassi non più che questa memoria sarei contento. Quella luce rappresenta per me la consumazione dei miei desideri e delle mie esperienze." Così scriveva Henry Miller ad Anais Nin.
Con quel sole ricordo il sapore dell'anice nell'ouzo freddo del pomeriggio, il dolce sciabordio dell'acqua turchese sugli scogli e i sorrisi delle ragazze sconosciute sul lungomare.
Il sole opalescente della Carelia e la sua luce pallida che, nei boschi, sembrava lambire impotente le cortecce argentate delle betulle. Di quel luogo selvaggio resta l'assoluto silenzio rotto soltanto dallo scricchiolare del ghiaccio nel sottobosco e dal fiato condensato per il freddo.
Il sole assente di Edimburgo, una luce fatta di nuvole basse ed opprimenti che ti insegue nei vicoli gotici. La "città senza ombre" così l'ho ribattezzata percorrendo il Royal Mile ed i suoi parchi. I suoi giorni erano fatti del garrito dei gabbiani, giorni umidi, profumati di malto di whisky che paziente ribolliva nelle distillerie alla periferia della città. Risuonano nella mente canti popolari scozzesi ed urla all'interno dei pub.
Scuoto la testa e mi scopro assorto nei ricordi, il caffè è finito. Il sole pigro sta girando e la sera si avvicina. Sistemo le mie cose e lentamente scendo verso il porto, seguo la linea del tramonto, con lo sguardo cerco Bisanzio.
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chez-mimich · 5 years
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DANIEL HALÉVY, “DEGAS PARLA”
Daniel Halévy è stato uno storico, un saggista e un traduttore francese. Ma questo è il meno. Quello è che davvero notevole è che Daniel Halévy, aveva amici molto interessanti; in particolare uno di essi, Edgar Degas. Ludovic Halévy, padre di Daniel, ed Edgar Degas frequentarono lo stesso liceo parigino, il Lous-le-Grand e, benché molto più giovane, Daniel divenne uno dei migliori amici di Degas al quale lo univa, una forte affinità elettiva di tipo spirituale. Scrive Jean-Pierre Halévy nella prefazione di "Degas parla", il bel volume edito da Adelphi, uscito qualche mese fa: "Sono due autentici parigini, che non amano né la campagna, né la natura. E' noto che Degas, diversamente dagli impressionisti, si rifiutava assolutamente di dipingere "en plein air"ed entrambi si sentivano a loro agio solo a Parigi, di cui apprezzavano lo spirito ereditato dal Secondo Impero." Ed è proprio sulla figura di Degas che il giovane Daniel forma la sua idea di “grandezza”, tanto che, caso unico o quasi nella storia della letteratura diaristica, quello di Daniel Halévy è certamente un diario, ma della vita di un altro, di Edgar Degas appunto. Il testo è un rendiconto accurato e circostanziato di tutti gli incontri tra l’artista e il giovane Daniel. “Anche più volte alla settimana”, scrive Halévy, “Egli arrivava a casa nostra a mezzogiorno in punto e si sedeva a tavola. Lui parlava, io ascoltavo: fu una delle mie vie d’accesso alla vita...” Insomma, senza mezze misure, un diario di una vera e propria “educazione sentimentale”. Ma Degas non aveva affatto un carattere facile. Detestava i “letterastri” di Montmartre, come usava chiamare gli scrittori parigini del Secondo Impero, fu difensore di Alfred Dreyfus e visse una vita di amarezze anche a causa del disastro finanziario della famiglia, causato dai pessimi investimenti in borsa del fratello e, al termine della sua vita, fu visitato anche da una cecità che anziché fare di lui un moderno Tiresia, lo inacidì e lo fece chiudere in un feroce isolamento. Daniel Halévy, ci restituisce la figura di un artista e di un uomo, profondo ed irriverente, geniale e scontroso. “Smettetela di leggere, lo fate per pigrizia di pensare. Bisogna essere capaci di restare delle ore a contemplare il fuoco ardere, ruminando le idee predilette...” queste le parole di Degas, riportate da Daniel Halévy nel suo diario alla data del nove gennaio 1891. Un artista difficile da imbrigliare e al quale andava stretta ogni teorizzazione: “...Quando si ha talento, non c’è bisogno né della scienza profonda del disegno, né della prospettiva aerea...”. Un impressionista che amava l’Opera e il corpo delle danzatrici, più che i cieli “boulversé della campagna francese o i riflessi dell’acqua a Giverny. Ce n’è per tutti nel preciso rendiconto di Daniel Halévy, compreso per quel mostro sacro di Manet: “Sbaglia! Confonde tutto. Manet non aveva in mente la pittura ‘en-pleine-air’, quando ha fatto “Le Dejuner sur l’herbe”. Ha cominciato a pensarci solo dopo aver visto i primi quadri di Monet”. Ma con la vecchiaia, questa verve polemica e caustica, si trasformò in autoisolamento e la triste traccia della sua incapacità anche solo di tollerare gli altri, è riportata in questo magnifico diario “per interposta persona”. Scrive tristemente Halévy, “La nostra amicizia stava per finire all’improvviso e in silenzio. Ma vorrei far notare che essa morì senza scambiarci alcuna parola di cui in seguito qualcuno potesse pentirsi...” Magnifica lettura, come magnifica fu l’opera di un artista, che come Beethoven, morì privo del senso con cui riuscì a trasmetterci un intero universo.
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thebeautycove · 5 years
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DIPTYQUE - PARIS EN FLEUR - Candela Profumata Limited Edition 2020 -
Come racchiudere in una fragranza le sfaccettature aromatiche di una città poliedrica e complessa come Parigi? Una sfida accolta con entusiasmo da DIPTYQUE che a quasi sessanta anni dalla fondazione abbraccia olfattivamente la sua città d’elezione con un inedito assoluto, il suo primo chypre. É una storia straordinaria quella che la Maison illustra nel suo diario parigino, un tributo odoroso, con Eau Capitale, che presto racconteremo in ogni dettaglio e che oggi anticipiamo con la magia in rosa della candela profumata in edizione limitata Paris en Fleur. Splendida nel suo aroma di petali di rosa in boccio, una freschezza soave nel richiamo all’accordo chypre, incantevole nel sollecitare i ricordi con la sottile sfumatura di patchouli... e quanta meraviglia in questo contenitore in vetro rosato ornato da una copiosa fioritura di rose in stile liberty creata da Pierre Marie! More than compelling and mesmerizing!
su instagram.com/igbeautycove stories altri dettagli
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clo-rofilla · 6 years
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Direttamente dalle pagine del diario di Claudia Jones, quella volta (adesso) in cui volevo proporre un'uscita a quattro con l'Uomo, un'amica e il suo fidanzato parigino, e quello che ho pensato bene di pronunciare è stato: volevo proporvi una cosa a quattro. 👌🏻
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foxpapa · 5 years
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Il diario di Chiara Nocchetti, 24enne napoletana, lungo il "Camino" spagnolo
Verso Santiago, capitolo 2: "Quanto dura un'ora e mezza ?"
Oggi è il secondo giorno di cammino, io e i miei compagni di avventura abbiamo già raggiunto un grado di intimità piuttosto elevato dopo la giornata di ieri e la notte tutti nella stessa stanza. Ieri, dopo la cena insieme, ci siamo infilati nei nostri sacco a pelo verso le 21 e un'oretta dopo dormivamo tutti. Ci aspetta una sveglia alle cinque e una tappa impegnativa di 30 chilometri, fino ad Astorga. Faccio un po' fatica ad addormentarmi e quando mi accorgo di quanto freddo fa al mattino decido che farsi la doccia la mattina è un progetto troppo ambizioso ed estremamente borghese. Alle cinque e mezza siamo in marcia. È difficile raccontare il paesaggio che si svela piano piano ai miei occhi, le stelle infinite e luminose dopo due ore cedono il posto ad una timida luce che esplode alla fine in un'alba quasi viola. Giovanna, la mia nuova compagna di avventura, mi fa notare che in questo viaggio vediamo ogni giorno un'alba e un tramonto e non è una cosa da poco. I primi chilometri scorrono facili, raggiunti i primi dieci esulto: non è poi così difficile, no? Io e Giovanna parliamo di un suo vecchio amore parigino e di che bisogna fare per essere felici. Robe semplici, insomma. Mario fa delle foto e mi guarda le spalle quando devo fare la pipì. Verso le otto, tre ore dopo l'inizio circa, facciamo colazione con pane con la marmellata e un po' d'acqua dalla fontana. Qualcuno accelera il passo, mi ritrovo spesso sola, ho un ritmo lento e se corro, poi mollo dopo poco. Quando il sole diventa più forte camminare diventa sempre più difficile. Mi levo la felpa e bagno i capelli: ecco, sono passate tre ore e abbiamo fatto 15 chilometri, siamo a metà. Siamo un corteo sgangherato, un pensatoio in movimento.Ognuno cammina al suo passo, si sta da soli insieme e ci si fa compagnia con rispetto. Sono passate ormai 5 ore, abbiamo mangiato una tortillas di patate con un po' di pane, ma la fame quando si cammina così tanto non passa mai. Non ce la faccio più. Sono troppi 30 kilometri, basta, mollo. E mentre sto per sedermi vedo un signore con un piccolo tavolino sul ciglio della strada. Offre limonata fresca e melone ai pellegrini. Se vuoi, puoi fare un'offerta, altrimenti basta un sorriso. Vorrei abbracciarlo, ho finito l'acqua e non ho proprio più forze. Rincontro Mario e Giovanna, ci chiediamo quanto manca. "Un'ora e mezza" annuncia il professore. Ed ecco amici una straordinaria rivelazione: un'ora e mezza dura molto di più di un'ora e mezza quando stai camminando da sette ore in mezzo al nulla. E piuttosto che fare un altro passo preferiresti tirarti i capelli con una pinzetta per le unghie. Ma come si suol dire, o bere o affogare. E, incredibilmente, ce la facciamo. Siamo in ostello, 32 chilometri dopo. Siamo tutti con le gambe alzate in attesa che le gambe, da marmi granitici, tornino ad essere di carne e sangue. Tranquilli, dice il professore. Domani sono solo 22 chilometri. Però, aggiunge, è tutta salita
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Foto di Luigi Elmo
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Georges Perec, 18 ottobre 1974
È lo statuto della realtà in discussione. La scrittura trasforma il mondo, e l’uomo, in linea. E la linea non è solo l’elemento più semplice, quello con cui gioca un bambino che impugna la matita; la linea, come insegnano gli scarabocchi di Saul Steinberg che attraversano il luogo incerto tra scrittura e disegno e tra arte e vita, dà corpo a voci e costruisce trappole di senso. Le restrizioni, i passaggi obbligati, le regole del gioco, non sono che queste trappole: “l’astuzia ci circonda, ma come circondare l’astuzia?”.L’oulipiano è un topo che costruisce il labirinto da cui si propone poi di uscire: traccia confini, stila elenchi, osserva la realtà, cerca di “fidarsi di qualcosa”, come Perec scrive nel 1959 raccontando la propria esperienza di lancio con il paracadute. Di fronte al vuoto – sotto ai piedi o di senso – è necessario confidare nell’equipaggiamento, attenersi a regole, indagare le cose e gli oggetti per provare a non rinunciare a un compito sempre troppo grande. Ma tu, dentro il tuo labirinto - scrive Perec - non apprendi niente: l’intero lavoro di scrittura si fa sempre rispetto a qualcosa che non c’è, qualcosa che può darsi a vedere per un istante, semmai, intrappolato dove non lo si va cercando. Perec costruisce trappole con le parole; cerca, per parafrasare la formula cara a Klee, di provocare l’errore, ovvero l’incontro, dentro il sistema, ovvero la ripetizione: “un perché scrivo cui non posso rispondere che scrivendo”.La letteratura è altrove rispetto a quello che ci propone la lettera. C’è sempre un tradimento, un sospetto.Tentativo di esaurire un luogo parigino non è che un tentativo: esaurire non è possibile, resta un’ombra, una differenza. Gli spazi sono fragili. È il buco – un buco di senso, una memoria mancata, una tessera che non c’è – al centro. Solo così ogni lettore può investire lo spazio così come la pagina bianca, solo così può appropriarsene, renderlo abitabile, proseguirlo.È il 18 ottobre 1974, venerdì. Il cielo sopra Parigi è grigio.
Per tre giorni Georges Perec siede a un caffè di Place Saint-Sulpice. Elenca ogni dettaglio, annota quello che vi accade in maniera meticolosa. “Ci sono molte cose a Place Saint-Sulpice”. Tentativo di esaurire un luogo parigino è una lunghissima lista: due taxi vuoti alla stazione dei taxi; una betoniera arancione; orme indistinte; un 87 vuoto, un 70 pieno, un altro 87 vuoto; il vento che fa cadere la pioggia accumulata sulla tenda del caffé; un’ambulanza che fa ‘pim pom’; i piccioni che si lavano nella fontana ed anche una bambina che piange tra i suoi genitori (o i suoi rapitori); un carro funebre davanti alla chiesa e una porzione non troppo grande di cielo.
Osservare la strada, annotare il luogo, l’ora, la data, le condizioni meteorologiche. Osservare il resto di place Saint-Sulpice, quello che non ha importanza, l’infraordinario che fa da sfondo al passare del tempo.
Lo sguardo non vede che quello che incontra. Ma cosa succede quando non accade niente?
Bisogna, scrive Perec, registrare cose prive di interesse: i grattacieli che non crollano e la terra che non trema, i mattoni, il cemento, gli orari. I giornali parlano di tutto e lasciano fuori il giornaliero, quel giornaliero che non ci colpisce perché non lo sappiamo vedere.
È come per i soffitti o per le scale: nessuno se ne interessa più. Contare le macchine, decifrare una città e le sue evidenze, descrivere la gente, quella che ha fretta, quella del quartiere, quella che viene da altrove. Aspettare, soprattutto.Parigi è guardata attraverso gli oggetti e le persone come oggetti. La voce della parola scritta è una voce sgomberata dal potere di dire io: fissa degli istanti intatti e cerca di trattenere qualcosa.Ma cosa?Anche il diario intimo diviene per lo scrittore francese un registro oggettivo delle sue giornate: l’ora della sveglia, gli spostamenti, il pasto consumato, i dischi ascoltati, i film visti. Un diario intimo senza alcuna intimità.  “Detesto ciò che chiamano psicologia”: come per Palomar, anche per Perec ci si può spingere a cercare quello che c’è sotto una volta esaurita la superficie. E anche per Perec la superficie è inesauribile. I ricordi non sono fedeli né individuali, non vanno interpretati. E non è l’inconscio che si deve andare cercando nei sogni. Non vi è verità.Fogli, schemi, tabelle, elenchi, una ricerca scrupolosa, una meticolosa mappatura del mondo: un tentativo di pensare il nulla senza mettervi attorno qualche cosa, senza sovrappiù, senza desiderio di comunicare o significare, scacciando funzioni, ritmi, abitudini e necessità; un tentativo di dire il grado zero dell’esistente, interrogando la realtà attraverso l’appropriazione degli spazi fisici, misurati con il corpo.L’elenco non riempie lo spazio: pretende di dire tutto ma non lo può fare. Non definisce nulla. La nominazione che fa esistere le cose, portata all’eccesso, perde qualsiasi potere di rappresentare. Gli inventari non diventano che litanie profane. “A furia di precisione”, dichiara Perec in un’intervista, “il sistema esplode”: è una trappola, una vertigine. L’effetto straniante della saturazione è come il cambio di scala dei pittori iperrealisti: i dettagli esasperati, in ossequio alla verità, non significano più quello che sono. I luoghi smettono di essere consueti: niente più strade né palazzi né marciapiedi. Dove c’erano case che sembravano aver obbedito alle ordinanze sulla intonacatura, piovono piogge diluviali, cresce l’erba, le mucche prendono il posto della gente e si vede apparire “centro metri al di sopra dei tetti dei palazzi, King Kong o il topolino ingigantito di Tex Avery”. È il volto nascosto, l’ombra, il doppio perturbante, la radicale estraneità del familiare, l’illusione di realtà.Lo scrittore francese gioca con il passaggio degli uccelli, degli esseri e dei veicoli; con Parigi e con le vetrine; con le tessere dei puzzle; con le brevi linee di inchiostro sparse sul suo tavolo da lavoro insieme al tagliaunghie, al pennarello verde, al minuscolo posacenere rotondo di ceramica bianca. Gioca con i luoghi e le cose; con lo spazio e con le parole come cose. Non è un caso che è alla pagina bianca come condizione di possibilità che consacra il primo capitolo di Specie di spazi: la pagina bianca è come piazza Saint Sulpice e come le vie di Parigi, come i muri, le strade e la città."Descrivere lo spazio: nominarlo, tracciarlo, come gli autori di portolani che saturavano le coste di nomi di porti, di nomi di capi, di nomi di cale, finché la terra finiva con l'essere separata dal mare soltanto da un nastro continuo di testo. L'Aleph, questo luogo borghesiano in cui il mondo intero è simultaneamente visibile, che altro è se non un alfabeto? È lo statuto della realtà in discussione. La scrittura trasforma il mondo, e l’uomo, in linea. E la linea non è solo l’elemento più semplice, quello con cui gioca un bambino che impugna la matita; la linea, come insegnano gli scarabocchi di Saul Steinberg che attraversano il luogo incerto tra scrittura e disegno e tra arte e vita, dà corpo a voci e costruisce trappole di senso. Le restrizioni, i passaggi obbligati, le regole del gioco, non sono che queste trappole: “l’astuzia ci circonda, ma come circondare l’astuzia?”.L’oulipiano è un topo che costruisce il labirinto da cui si propone poi di uscire: traccia confini, stila elenchi, osserva la realtà, cerca di “fidarsi di qualcosa”, come Perec scrive nel 1959 raccontando la propria esperienza di lancio con il paracadute. Di fronte al vuoto – sotto ai piedi o di senso – è necessario confidare nell’equipaggiamento, attenersi a regole, indagare le cose e gli oggetti per provare a non rinunciare a un compito sempre troppo grande. Ma tu, dentro il tuo labirinto - scrive Perec - non apprendi niente: l’intero lavoro di scrittura si fa sempre rispetto a qualcosa che non c’è, qualcosa che può darsi a vedere per un istante, semmai, intrappolato dove non lo si va cercando. Perec costruisce trappole con le parole; cerca, per parafrasare la formula cara a Klee, di provocare l’errore, ovvero l’incontro, dentro il sistema, ovvero la ripetizione: “un perché scrivo cui non posso rispondere che scrivendo”.La letteratura è altrove rispetto a quello che ci propone la lettera. C’è sempre un tradimento, un sospetto.Tentativo di esaurire un luogo parigino non è che un tentativo: esaurire non è possibile, resta un’ombra, una differenza. Gli spazi sono fragili. È il buco – un buco di senso, una memoria mancata, una tessera che non c’è – al centro. Solo così ogni lettore può investire lo spazio così come la pagina bianca, solo così può appropriarsene, renderlo abitabile, proseguirlo.
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sotax · 7 years
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Caraibi
parte 1 - giungla
1 Diario di Jonathan Rushmore, 1972
Il grido di uccelli tropicali risuona nitido, l'aria è calda e gravida, pesante, vediamo una muraglia in mezzo alla giungla, c'è un esaltazione nell'aria per la tempesta imminente. La scoperta di antiche rovine, e le scimmie colorate che le abitano e ci rubano i datteri. La tigre e il giaguaro sono pericolosi quanto la radice scivolosa che si tuffa nel burrone. Una campana risuona da un antico convento di francescani - hanno quasi dimenticato il motivo per cui vennero, adesso coltivano l'orto e distillano - suonano le campane due volte al giorno, ed hanno scimmie ammaestrate che gironzolano nel chiostro.Le selvagge della tribù a valle scalano i  gradini ripidi incastonati nel costone di roccia, per portare vari doni, per non far morire i frati, che fanno un così buon distillato.Noi cerchiamo di riprendere la vita segreta del lama, il nostro documentario.I colori sono ovunque brillanti e splendidi, la popolazione del luogo ci offre frutta, riposo, e le donne, fresche e lisce, si muovono come giaguari.Non è per la gloria, né per soldi, non per l'avventura, non per il gusto del rischio, per le selvagge o la gentilezza degli indio, né per i succosi frutti, non per l'amicizia e gli ottimi consigli dei frati, no. Siamo qui per quella sensazione unica che ti da questo posto, quell'esaltazione!
2 nota del marzo 72
il suono del vento che s'incanala fra le rocce scoscese è quello di una potenza immane e nascosta. il cielo è carico di nuvole portatrici di tempesta
3 nota del maggio 72 -  dubbi
Sono partito per fuggire dalla mia vita. Dall'insensatezza. Il vento che scuote le palme selvagge mi ricorda chi sono. Ho trascinato i ragazzi della troupe televisiva in questa follia, e loro non possono capire ciò che mi spinge - neanch'io lo so! Loro sono così fiduciosi che a volte mi chiedo come facciano a non accorgersi che sono io a tenere insieme tutto, che la loro volontà dipende dalla mia. Sarebbero mai venuti fin qui senza di me? Forse a quest'ora starebbero al pub a parlare del loro lavoro di cameraman e tecnici del suono. Werner Herzog si prendeva la responsabilità delle sua azioni. Conosceva l'importanza di ciò che stava facendo, e aveva il coraggio di rischiare tutto per realizzarlo. Troppo facile considerarlo un pazzo esaltato. Era ed è, un genio, con le palle d'acciaio. Un grande intellettuale. Ma è così difficile rimanere fermo di fronte ai miei dubbi! Come faceva? Forse aveva capito che nulla ha senso al di fuori del progetto!
4 Luglio 2014
Ogni tanto la rete prende anche qua giù. Lo schermo mostra le vite dei miei amici. Sembra che tutto gli vada a gonfie vele. I bambini che fanno i primi passi. Serate magnifiche. Risate. Quanto è lontana quella vita!Il suono della pioggia mi accompagna da mesi. Le gocce suonano sulle campate immense degli alberi. Dalla mia posizione si vede una valle dove il sole tramonta e tinge di arancio l'orizzonte. Il brontolio dei tuoni risuona in lontananza. La gloria delle rocce a strapiombo che si perdono nella foschia. Gli uccelli rossi che si levano durante il temporale imminente. Mi sembra di capire che non c'è distinzione fra me e tutto il resto. La differenza è un illusione.La morte svela che essa non è diversa dalla vita, ma entrambe sono la stessa cosa. Non c'è distinzione fra noi e loro, io e te. La pioggia mi fonde con la terra e con la foglia e con la zanzara, col grido e il sospiro. Non c'è distinzione che nella logica. Ognuno di noi dovrebbe scegliere fin da subito se fondersi con la macchina seguendo la sua logica, o fondersi con la biomassa, e smettere di esistere. Agire o parlare.
parte 2 - Caraibi
1 Spiaggia
Caraibi, è notte e sulla spiaggia sorseggio Martini da un bicchiere a calice. Mi calma i nervi. Sono qui per incontrare un distributore di ombrelli brasiliano, che ha scelto il Belize per rendere le contrattazioni più piacevoli. Durano da quattro giorni. La luna è piena, ha una lieve foschia attorno, che la rende affascinante e misteriosa. Ricorda la luna che si vedeva in questi posti in una notte di tripudio, quando coi colleghi pirati hai depredato ucciso e stuprato. Sei ubriaco fradicio e guardando la luna sei rapito per un momento dal cerchio bianco.Sepolto nei paraggi potrebbe esserci ancora un forziere con uno scheletro abbracciato attorno. Per ora mi accontento dell'accordo di acquisto di otto container e sorseggio il gin.
2 Contratto
Il brasiliano, Enrique, è gioviale, ama circondarsi di personale addetto ad eseguire operazioni scaturite dalla sua perenne agitazione psico motoria. Ama scherzare con loro, flirtare con la segretaria, che sembra amarlo, a giudicare dal sorriso rapito che affiora sul suo bel viso dagli zigomi alti e lo sguardo allegro. Lei non ha mai avuto dubbi. Inoltre è molto contenta della trasferta in Belize, pagata dalla società. Anch'io non mi posso lamentare, ho un interprete indio laureato all'Università di San Paolo, alto e magrissimo, vestito di pantaloni leggeri e camicia color nocciola, uno stile innato e la voce carezzevole. Il ragazzo parla con la sua voce suadente, l'espressione seria mentre comunica l'offerta e le condizioni dell'accordo. Lo perfezioniamo da giorni. Guardo Sonia, ci scambiano un cenno di assenso, poi firmo. 25 container di ombrelli all'anno, sei dollari a pezzo. I miei soci saranno contenti.
3 Dati biometrici
Ho convinto Enrique a farmi vedere il suo yacht  di lusso. È lungo sedici metri ed è foderato di legno lucido e divani in stile bordello parigino di fine ottocento. A Enrique piace parlare di donne, delle sue avventure in giro per il mondo. A me invece interessano le sue impronte digitali e i suoi occhi, la chiave biometrica d'accesso alla fortezza dove sono i server a cui voglio accedere. Parliamo a lungo delle sue noiosissime avventure sessuali e dei suoi successi, della sua famiglia, i genitori intellettuali della classe media emergente. Io riesco a pensare solamente che questo montato di testa è la chiave per accedere a una banca dati immensa, contenente informazioni capaci di far saltare i presidenti di mezzo mondo. Le prove di crimini compiuti verso i contribuenti e verso le vittime di guerra. Compravendita di armi ed elicotteri, soldi pubblici usati per comprare dittatori.Faccio questo lavoro perché sorseggiare Bellini in spiagge caraibiche mentre vendo container di merce, ritengo sia un'attività squallida e degradante. Nella posizione in cui mi trovo, ho la responsabilità di usare le mie energie per fare qualcosa di giusto. Nella sala da pranzo, Enrique mi confessa che gli piacciono gli uomini. È drogato, gli ho messo un farmaco usato dalla C.I.A. per estorcere confessioni, dentro al Bellini.È euforico. Lo faccio sedere sul bordo della vasca del bagno e senza pensare , gli infilo un pugnale da pesca nell'orbita di un occhio. All'inizio urla, ma dura poco, perché premo fino a perforargli l'emisfero destro. A quel punto si accascia dopo una breve convulsione. E ora l'orribile lavoro, ma necessario: gli cavo un occhio, un'attività odiosa, più schifosa di qualsiasi cosa si possa immaginare, ma mi servono quei dati biometrici. Recido il nervo ottico facendo su e giù con la lama dentro all'orbita, attraverso brani di palpebre, sfilo le sfera viscida e insanguinata, vado in cucina a sciacquarla e a prendere dei sacchi di plastica, e la metto là insieme al ghiaccio.Gli sego una mano con il retro del pugnale e finisco il lavoro battendo la lama sulle cartilagini come un'accetta da pollo, altra attività orribile, poi metto tutto nella busta.
4 In un luogo su internet
I potenti del mondo, come i mafiosi e gli oligarchi, s'incontrano in un luogo nascosto, non indicizzato, descritto da un linguaggio criptato che serve a trafficare veloci e sicuri su una rete in fibra ottica.Diramazioni sconosciute corrono attraverso sacche di inefficienza non ottimizzata. Cavi colorati, led che lampeggiano nel buio dei capannoni a temperatura controllata, ospitano connessioni a specchio ridondanti. Più che un luogo, queste connessioni sono sinapsi, o collegamenti fra nodi, neuroni di silicio. È qui che si può nascondere un conto bancario fantasma, è così che si può accreditare un miliardo di dollari, è qui che si operano transazioni invisibili. A cosa servono le banche quando lo scambio può avvenire tramite la garanzia di un sufficiente grado di sicurezza della comunicazione? Nessun organo centrale garante. Una transazione così veloce che i passaggi, molteplici, servono a nasconderla, e quindi a rendere impossibile il furto o il tracciamento. La criptazione è così complessa da diventare più sicura delle banche. Il caveau blindato è uno specchietto per allodole grasse e lente, ma molte transazioni si svolgono tramite una rete formata da milioni di computer zombie, a specchio l'uno dell'altro, situati in casa di gente ignara dell'evento, del valore monetario che attraversa i loro computer obsoleti.Gli umani sono così lenti che sembrano alberi al confronto di ciò che succede nelle loro reti.Questi messaggi hanno un certo grado di autonomia. Decidono il percorso migliore, sono programmati per perdersi e arrivare a destinazione in qualsiasi momento e tramite ogni possibile via. Io ho trovato un nodo dove le sinapsi convergono, un data center, ufficialmente di proprietà del governo venezuelano, ma di cui le autorità non hanno la minima idea, né competenza per trarne beneficio. I tecnici, dipendenti pubblici, fanno capo ai cartelli criminali, che trattano sia con gli stati che con le multinazionali. Molte delle transazioni criminali più deprecabili sono condotte dai vertici delle superpotenze mondiali, sono affari che non possono essere né risolti in modo legale, né tanto meno divulgati. Smaltimento di rifiuti radioattivi, deportazioni, armamenti venduti ad entrambe le fazioni in una guerra civile, tutti i soldi passano da qui, almeno una volta, e  solo a questo luogo si posso ricondurre.
5 Nella banca dati
Sono entrato con relativa facilità all'interno della sala server, protetta da scansione oculare e riconoscimento delle impronte di cinque dita della mano mozzata di Enrique. Nella sala server,  piena di cavi colorati e led lampeggianti, la temperatura è tenuta appositamente sui dieci gradi, nessuno a mantenere le macchine in funzione. Sto caricando tutto su una chiavetta e appena possibile lo riverserò dove non sarà più possibile censurare o nascondere, ma qua giù il rischio di connessioni sorvegliate è massimo. Fra pochi giorni sarà tutto di dominio pubblico. È questo il motivo per cui faccio il mio lavoro, non per l'adrenalina, ma per fare ciò che è giusto, per quanto mi è possibile.Sento che tutto il mio lavoro degli ultimi mesi, Enrique e tutto, ha avuto un senso.
6 Dalle note vocali dello yuppie
Nota vocale 1: ore 18:27 Mi avvicino a una radura dove un vecchio bianco vestito con abiti tecnici sembra indaffarato con un secchio d'acqua.Non mangio che corteccia da giorni.È un miracolo che sono vivo, ed ho paura che stavolta le cose siano girate per il verso sbagliato.Non so davvero se riuscirò a raggiungere la prima città, Quito, ho un esercito di guardie che mi cerca nei dintorni. Sembra un miracolo che non mi abbiano trovato! Sono quattro giorni che dormo nella giungla, bagnato fradicio, e lui sembra essere in campeggio, con tutti i comfort. Magari ha qualcosa da mangiare. Non ce la faccio più con queste bestie di insetti e schiamazzi continui di scimmie e tucani, pipistrelli giganti non so. Fanno tutti un un casino infernale. -----Nota vocale 2: ore 9:32 Quel vecchio abita qui da 40 anni!"Qui" si trova a 100 km da Quito, voglio morire piuttosto che farmi cento km a piedi nella giungla. Almeno ora ho dei vestiti tecnici, e ieri sera ho dormito come un re. Ho ancora le ossa rotte per la fatica.Se mi prendono con la scheda SD in tasca sarà stato tutto inutile, l'omicidio di quel simpaticone di Enrique. Devo andare avanti. Saluto quel bravo vecchio uscito da un documentario anni 80, e mi incammino fra poco. ----Nota vocale 3: ore 14:56 Mi hanno preso. Ogni speranza è perduta, ma non parlerò mai. Stanno arrivando!
parte 3 - la rivolta
0 Fine
Lo hanno trovato nel carcere di villa la Paz, nel barrio las tres pugnaladas. Si è fatto beccare con in sacco di plastica con dentro una mano tagliata e degli occhi di uno che è stato riconosciuto come Enrique Luis Berio, milionario brasiliano operante nelle importazioni, scomparso una mese fa.L'uomo si chiamava Marco Mazza, si rifiutava di cooperare. Sospettavamo fosse impazzito. L'altro ieri è stato ucciso in carcere da tre detenuti, con pugnali in plastica fabbricati in carcere a partire da pezzi di spazzolino da denti.
1 Paco
C'era questo rimasuglio di sentimento, di senso di colpa. Si chiedeva se ciò che aveva fatto fosse la causa. Scacciò quella sensazione, dicendosi che era inutile. E poi aveva fatto il suo dovere, quel giorno. Quel fighetto doveva morire, glielo avevano detto per telefono quelli della banda, da fuori dal carcere, nemmeno troppo fra le righe avevano parlato. Poi quel fighetto era insopportabile. Sotto al suo modo di fare da boss era sempre terrorizzato. Tremava in continuazione. L'unica cosa che lo salvava era di sembrare in possesso di informazioni top secret con cui credeva di poter uscire dal carcere quando voleva. "Stupido ragazzino. Sei finito in un carcere per morti di fame a Caracas e credi di essere ancora al centro del tuo giro? Ti hanno fottuto, caro. Io lo so. E so di averti fatto un piacere a piantati quello spazzolino da denti limato nella spina dorsale, per non farti soffrire, se finivi fra le mani di Jose, e quello ti apriva la testa e ti mangiava il  cervello con un cucchiaino mentre eri ancora vivo. Ecco perché ho fatto bene così come ho fatto"In tasca alla sua vittima aveva trovato un portachiavi di plastica a forma di semisfera, con un nastro legato che usciva da un buco in cima. C'era un coperchio che svitato mostrava un vano largo 3 centimetri con dentro una scheda elettronica di qualche tipo. Decise di farla vedere al suo capo, anche se non avrebbe capito nulla, era bravo solo a fare battute e prendersi i posti migliori alla mensa.
2 Che sia di lezione
"Sei un povero stronzo, Paco. Sei un negro dalla testa di piccione e dal cuore di merda! Hai ucciso lo yuppie. Stronzo che non sei altro. Tua madre faceva la puttana già a tredici anni e quando ti ha scaricato sul marciapiede ti hanno tirato su i barboni, ti hanno dato il tequila al posto del latte quando eri piccolo. Sei così coglione che a volte mi chiedo se sto parlando a una persona o a una bestia, quando parlo con te. Ti vorrei scaricare nel cesso e tirare lo scarico, ma prima dovresti pulirlo, così serviresti a qualcosa. Sei più inutile di uno pezzo di carta igienica su cui hanno pisciato. Paco, tu sei una delusione, noi credevamo di poterti mettere da qualche parte, ma ti devo spaccare quella testa di genio per farti essere utile! Hai capito che lo yuppie andava eliminato. Questo hai capito. E adesso ti ammazzo, stronzo!" L'aguzzino, che aveva già riempito di ceffoni il ragazzo, si chiama Juan, adesso comincia a pugnalarlo con un pezzo di ferro sottile con l'impugnatura di nastro adesivo, lo crivella finché non si è sfogato, e l'altro giace a terra dimenandosi debolmente mentre muore.L'aguzzino rimane ad ansimare come in trance per qualche minuto, guardando il cadavere del ragazzo e stringendo convulsamente il coltello, ondeggiando e sentendo uno spasmo tremendo allo stomaco, sudando freddo per il disgusto di sé, per aver perso il controllo in un accesso d ira. L'assassino aveva trent'anni, una vita violenta fino da bambino. Era noto nel carcere come un killer spietato, ma quello che aveva ucciso gli era particolarmente vicino all'interno del gruppo degli Ultimi, come si facevano chiamare. Erano entrati in contatto con degli agenti in borghese che gli avevano affidato il compito di interrogare lo yuppie per strappargli informazioni con qualsiasi mezzo. Il ricco uomo d'affari era stato incarcerato qualche settimana prima, per aver ucciso un altro milionario, in Belize senza aver rubato neanche un dollaro. Visto che i suoi contatti gli spedivano sempre soggetti da interrogare, lui non aveva fatto domande. Doveva essere saltato il matto anche a paco, per aver deciso di uccidere l'uomo d'oltreoceano senza chiedere niente.
3 La rivolta
Juan, ancora scosso per l'esecuzione di paco, si dirige lentamente verso il telefono nella guardiola, deserta, all'inizio dell'enorme corridoio, davanti a un'inferriata dipinta di bianco.Rimane in attesa per qualche secondo, poi saluta brevemente e ascolta quello che gli stanno dicendo i governativi, all'altro capo del filo -  "adesso dovete darci qualcosa in cambio..."Dopo un po sibila alla cornetta: “Venite a prenderlo!"Si tende come una corda di violino e lentamente riaggancia. Poi si gira verso la gente che lo sta osservando e dice:Prepariamoci, arrivano i governativi per trattare la consegna dello yuppie. Altri dicono: "paco l'ha ammazzato"Juan scatta: "testa di merda, lo so! Lo ha ammazzato quel cane di Paco! Diamogli il cadavere, in cambio della liberazione dal confino dei fratelli!"Tutti urlano di gioia e si esaltano. Poco dopo la gente si è messa intorno all'ingresso dell'inferriata principale.
4 Contrattazione
I carcerati si sono riuniti davanti all' ingresso dell'enorme sala adibita a zona di socializzazione, al coperto. In alto si vede un altissimo soffitto a vetri e sei piani di ballatoi da cui si affacciano migliaia di carcerati. Tutti schiamazzano e urlano.Le guardie non osano interferire con le proteste dei carcerati sul piede di guerra, per paura di finire scaraventati dai ballatoi. Paco parla attraverso la cornetta e sente la voce del comandante delle truppe della morte che ordina di inviare all'interno un delegato e una scorta. Alvaro Belín è un giovane ufficiale in carriera, a capo del commissariato di zona, è conciliante, cerca di trattare. Le trattative durano ormai da tutta la giornata, e l'atmosfera si scalda di ora in ora, si percepisce il vociare sempre più concitato della delegazione di carcerati guidata da Juan, con una folla sempre più numerosa e urlante. Belín fa sempre più fatica a capire gli argomenti e richieste dei carcerati. Ha l'ordine di ricevere il corpo del milionario, e il contenuto delle sue tasche, senza concedere nulla ai rivoltosi. Deve quindi promettere cose che non potrà concedere. Il corpo del milionario, già crivellato, viene spinto da una balaustra verso Belín, anticipato da schiamazzi e urla. La folla si disperde e il cadavere piomba al centro del chiostro bianco sporco, scomponendosi come un sacco di rifiuti animali. "Ecco il vostro milionario" esulta Juan, "Riprendetevelo! Cosa ci dovremmo fare?" la delegazione dei carcerati ride di gusto mentre quei fasci di nervi tesi e muscoli si contraggono per scambiarsi pacche sulle spalle. Il cadavere viene trascinato dalle guardie verso l'uscita, mentre la folla è indecisa se esultare per la mattanza, non avendo capito l'esito delle trattative. Una scia rossa densa si trascina dietro al cadavere. Belín si allontana con i suoi sforzi frustrati, disgustato e sconvolto dallo spettacolo. Il pomeriggio è torrido e trascorre nell'attesa. La gente si chiede se lo scambio è andato a buon fine, ma si diffonde la notizia che i prigionieri non verranno fatti uscire dall'isolamento. Si preparano i corpi speciali a fare irruzione. Il cadavere distrutto non aveva nessuna chiave di memoria nelle tasche, perché Juan l'ha tenuta come merce di scambio.
5 Tropa de Elite
I vetri in cima all tetto si disintegrano con un esplosione e frammenti di acciaio vetro e cemento piombano sui ballatoi più alti. E' uno scempio per i carcerati del livello più alto, che si sono sporti verso il basso, vengono tempestati di frammenti di vetro e acciaio. Poi una decina di bombe lacrimogene vengono lanciate attraverso il varco. l'atmosfera diventa così tossica che i carcerati si piegano in due e cerano di strisciare come insetti schiacciati verso i corridoi dove una nuvola bianca si espande fino al blocco successivo, suddividendosi in rettangoli dopo aver raggiunto l'inferriata che blocca il corridoio. Alcuni detenuti si arrampicano nelle scale che portano verso i piani superiori.Dalla porta principale irrompono i corpi speciali, armati con proiettili di gomma, sparano a qualsiasi cosa si muove e agguantano ogni disperato in preda alle convulsioni per capire dove si trova il capo della rivolta. Indossano maschere antigas. Juan è introvabile, si è rifugiato nelle celle più in alto, e infila la chiave di memoria dentro al cesso, pochi secondi prima che un poliziotto vestito di nero gli svuoti un caricatore addosso. Di lui non rimane che una poltiglia. La guardia scosta il cadavere entrando nella cella e tuffa una mano guantata nel liquame del cesso. Sfrega la mano contro il muro e si infila in tasca ciò che ha trovato. Al collega fa cenno di ritirarsi verso l'uscita. Si sentono degli urli, e qualche sparo. I poliziotti si dileguano.
6 quarant'anni dopo
Nota di Jonathan Rushmore, 30 Agosto 2014"Oggi camminavo su un promontorio al limitare della giungla, e sbuca dal fitto del fogliame un uomo vestito di laceri abiti che un tempo potevano essere stati un completo gessato grigio attillato. la camicia bianca usciva dagli strappi della giacca e dai pantaloni, sporca di fango. Mi si è avvicinato. Mi ha chiesto delle indicazioni verso l'aeroporto più vicino. L'ho portato nel campo base." I due uomini si incamminano verso un lieve pendio, Jonathan porta un bastone, è ormai molto vecchio. In lontananza si intravede un boschetto con delle tende tese fra i rami degli alberi. Dopo qualche ora, l'uomo vestito in gessato lacero siede accanto a un fuoco, stanno parlando da qualche tempo, sono entrati in confidenza: <non sento di avere la necessaria tranquillità psicofisica, c'è troppo rumore> dice l'uomo in gessato <non capisco> risponde Jonathan <gli uccelli, cosa sono, pappagalli?> <sembri molto agitato> <si, molto. Sono braccato dalla polizia del Venezuela. Ho sottratto dei dati sensibili da una banca dati, mi seguono da giorni. Ho dormito nel sottobosco per quattro notti><Dannazione! Dev'essere stato orribile, con quel completo> Il vecchio Jonathan sorride bonariamente, fissando l'uomo seduto su un tronco davanti a lui. <Si, a proposito, hai qualche vestito da prestarmi?> <Certo, scusa se non te l'ho detto prima, dove ho la testa?> <Ti ringrazio.> l'uomo in gessato fa una pausa, e poco dopo dice <credo che andrò a dormire> <Certo, a domani> il vecchio lo guarda alzarsi indolenzito, poi rimane a guardare la lanterna con le zanzare che girano intorno. Jonathan la stessa notte scriverà sul suo diario:"Vorrei aiutarlo, ma sembra diretto verso una sua meta di cui non vuole parlare. Mi ha dato un pezzo di plastica e rame, che lui ha detto essere una "scheda SD", ciò che non so nemmeno cosa sia, dicendomi di custodirla per lui, che era molto importante per lui, che era di vitale importanza." Il vecchio si alza a fatica, e si dirige verso la sua tenda, sotto a un ficus Benjamin gigantesco, ormai diventato la sua casa. Un indio poco più che bambino lo saluta chiamandolo nonno e gli augura buonanotte.
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ferrugnonudo · 11 years
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Aggiunge che a Parigi ogni edificio riporta una targa con il nome dell'architetto progettista. Così si dovrebbe fare in Italia (è il suo pensiero). La vergogna pubblica. 
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ferrugnonudo · 14 years
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Una particolare combinazione di parole dopo aver visto una tenda piantata sul marciapiede probabilmente da un senzatetto per affrontare la notte sul boulevard, e prima di sparire, io, dentro la comoda camera d'albergo che ho preso in affitto per sole quattro notti, troppo poche. La stessa tenda la ritrovo in sogno alcune ore più tardi, trasformata nella sede di una scuola materna e nomade 'inventata' da una giovane ragazza con pochi mezzi e molta buona volontà. A qualcuno più tardi la stessa ragazza maestra d'asilo, presenterà la propria 'impresa' definendola una serenazione di persone semplici. Mi preoccupa il pensiero che qualcosa di estremamente utile mi sia mancato quando ero molto più giovane di adesso. Mi preoccupa, ma non posso farci niente. Chiamiamola 'iniziazione'. Mi è mancata.
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