#Contrabbasso
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liuteriabasso · 8 months ago
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臨時休業のお知らせ
5月18.19日に池袋の自由学園明日館講堂で開催される、日本ヴァイオリン製作研究会 第19回作品展示会2024に出展のため、5月17日から21日まで臨時休業とさせて頂きます。
初めての展示会の参加となりますが、東京で私のコントラバスをご覧いただける機会となるので、ご興味がございましたら是非お越しください。
ご商談もお待ちしております。
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corciano-trasimeno-online · 10 months ago
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A IdeeMusicali arriva la pirotecnica 'The Bass Gang' The Bass Gang è probabilmente il quartetto di contrabbassi più conosciuto al mondo e sicuramente il più longevo. Domenica 17 marzo alle ore 18 saranno...
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bassoelettricoedintorni · 10 months ago
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Esperanza Spalding
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migueldelaguila · 1 year ago
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Coming up Sunday! Miguel del Aguila MALAMBO in Rome. https://youtu.be/BixCMAAbIBs info: https://palazzo.quirinale.it/concerti/concerti_en.html Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Miguel del Aguila MALAMBO flute contrabass piano flauto pianoforte contrabbasso 2023 Cappella Paolina Palazzo del Quirinale Roma Italy Radio3 Compositori Americani American composer USA Argentina Alberto Barletta Antonello Labanca Giacomo Fuga Concerts at the Quirinale
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marcogiovenale · 1 year ago
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a trio + ossatura = 3 dicembre, concerto a forlì
i due ensemble A Trio e Ossatura in una performance insieme per la prima volta: domenica 3 dicembre, ore 18:00 @ Area Sismica, https://www.facebook.com/events/3540441742861850 Forlì, in via Le Selve 23 A TRIO & OSSATURA = Mazen Kerbaj: tromba Sharif Sehnaoui: chitarra acustica Raed Yassin: contrabbasso Elio Martusciello: chitarra, computer Luca Venitucci: fisarmonica, elettronica Fabrizio Spera:…
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sardies · 2 years ago
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Venerdì al Teatro Verdi Gabriele Ragghianti e la Verdi Chamber Orchestra
L’apprezzato contrabbassista proporrà un programma di rara esecuzione e grande virtuosismo Continue reading Untitled
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donaruz · 6 months ago
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Gioia E Rivoluzione
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Canto per te che mi vieni a sentire
Suono per te che non mi vuoi capire
Rido per te che non sai sognare
Suono per te che non mi vuoi capire
Nei tuoi occhi c'è una luce
Che riscalda la mia mente
Con il suono delle dita
Si combatte una battaglia
Che ci porta sulle strade
Della gente che sa amare
Che ci porta sulle strade
Della gente che sa amare
Il mio mitra è un contrabbasso
Che ti spara sulla faccia
Che ti spara sulla faccia
Ciò che penso della vita
Con il suono delle dita
Si combatte una battaglia
Che ci porta sulle strade
Della gente che sa amare
Nei tuoi occhi c'è una luce
Che riscalda la mia mente
Con il suono delle dita
Si combatte una battaglia
Che ci porta sulle strade
Della gente che sa amare
Che ci porta sulle strade
Della gente che sa amare
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diceriadelluntore · 11 days ago
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Storia Di Musica #353 - Jorge Ben, A Tábua De Esmeralda, 1974
Tutti noi conosciamo una canzone di Jorge Ben, straordinario musicista e cantante brasiliano, anche conoscendo per niente l'artista. Perchè è autore di una delle canzoni più famose di tutti i tempi, e simbolo della musica brasiliana: Mas Que Nada! (1964 dal disco Samba Esquema Novo) portata al successo da Sergio Mendes e i Brazil '66 e poi divenuta uno standard jazz, una canzone dalle centinaia di cover, una sorta di cartolina musicale della musica brasiliana. Ma Jorge Ben (che fino al 1989 userà questo nome d'arte, ma poi lo cambierà Jorge Ben Jor, scritto anche BenJor, per frenare l'incidente legale che attribuisce parte dei suoi diritti editoriali al cantante e chitarrista statunitense George Benson) è uno dei grandi autori di musica carioca, e uno dei pochi non "bossanovisti" a travalicare gli argini internazionali con dischi importantissimi.
Bravissimo chitarrista, dalla fine degli anni '60, quando ottiene altro successo importante con il disco Jorge Ben, che contiene altre due canzoni famose come País Tropical e Charles, Anjo 45, inizia un percorso sperimentale musicale che lo porterà nel decennio successivo a scardinare le strutture classiche della musica sudamericana, intrecciando le influenze delle musiche occidentali come il soul, il funk, ma anche ribaltando completamente la traiettoria, rifacendosi alla radici africane della musica brasiliana. Questa ricerca si traduce in tre dischi, eccezionali, che pubblica tra il 1974 e il 1976: sono A Tabua De Esmeralda, la scelta di oggi, Solta O Pavão del 1975 e África Brasil del 1976. Non hanno il successo commerciale dei precedenti, ma sono unanimemente considerati tre capolavori.
A Tabua De Esmeralda deve il suo titolo all'interesse di Jorge Ben per la teosofia, il misticismo e le arti magiche alchemiche: in copertina c'è una riproduzione della tabula smaragdina di Nicholas Flamel, grande alchimista e massimo studioso del XV secolo della pietra filosofale: la tavola smeraldina è un testo sapienziale che la leggenda vuole opera di Ermete Trismegisto (la fortuna della tavola smeraldina e del suo potere magico ha avuto ultimamente una rinascita con la serie Netflix Dark, che prende spunto dal testo). Musicalmente il disco, dominato dalla sua chitarra gioiosa e variabile (sarà l'ultimo disco dove la suona, prima di trovare difficile le registrazioni dello strumento rispetto alle sue aspettative sonore) ebbe un'enorme influenza sui musicisti brasiliani dell'epoca e contribuì in larga misura ad accendere l'esplosione creativa che ebbe luogo nelle scene samba rock e samba soul brasiliane durante gli anni '70. Il sound di questo particolare album è molto semplice, dominato dalla atmosfere acustiche, con le canzoni guidate dalla caratteristica chitarra acustica di Ben suonata insieme a un basso e percussioni, in una sorta di brazilian folk, anche per gli innesti che Ben mette nelle canzoni: cori, arrangiamenti di archi e un contrabbasso che rendono le melodie magnificamente realizzate, fluide, vibranti e con quel tocco magico che sia la lingua che la stessa atmosfera danno alle composizioni. Tra le tracce, quella apertura è l'allegra e bellissima Os Alquimistas Estão Chegando, con i suoi divertenti testi sugli alchimisti. Altri momenti particolarmente belli sono Errare Humanum Est, a tema spaziale, Zumbi, con i suoi testi ispirati all'Africa e che anticipano il lavoro profondo ed essenziale che farà con Africa Brasil, Cinco Minutos e Magnolia. C'è spazio per le canzoni d'amore come Eu Vou Torcer e Minha Teimosia, Uma Arma Pra Te Conquistar. Brother è cantata in inglese ed è uno spiritual carioca, O Homem Da Gravata Florida è un brano diverstissement che parla di un uomo dalla bellissima cravatta, in pieno stile realismo magico. Molti critici hanno notato che in realtà alcune canzoni sono riferimenti simbolici a personaggi storici: l'uomo della cravatta potrebbe essere Paracelso, O Namorado Da Viúva, l'innamorato di una vedova, è lo stesso Flamel.
Ben è stato una grande fonte di ispirazione, anche a volte "incosapevole": una sua canzone Taj Mahal, che riprenderà nel fenomenale Africa Brasil, fu la base per quella canzone di grande successo che fu Da Ya Think I'm Sexy? di Rod Steward nel 1979: portato in tribunale il cantante scozzese, Ben vinse la causa sui diritti e donò il ricavato dei diritti del singolo all'UNICEF. Ben scrive e suona ancora adesso, portando sul palco l'energia magica e indimenticabile della sua musica e del suo paese.
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musicaintesta · 7 months ago
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Tutte le sere, salgo in camera mia e metto sul piatto un disco di Chet Baker. Sempre lo stesso, perché mi piace il suono della sua tromba, tutte quelle p, piccole e profonde, che mi girano attorno e mi piace la sua voce che canta piano, come se venisse da dietro la gola e facesse fatica a uscire e per farlo si dovesse soffiare con tanto impegno da dover chiudere gli occhi.
Soprattutto quel pezzo, Almost Blue, che io punto per primo, anche se è l’ultimo. Cosi tutte le sere e tutte le notti aspetto che Almost Blue mi scivoli lentamente in fondo alle orecchie, che la tromba, il contrabbasso, il pianoforte e la voce diventino la stessa cosa e riempiano il vuoto che ho dentro la testa.
Da Almost blue di Carlo Lucarelli
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#almostblue #musica #Chet Baker #libri #Carlo Lucarelli # YouTube
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aitan · 10 months ago
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CHARLES MINGUS E ORSON WELLES
CAPODANNO AL FIVE SPOT
Capodanno 1959, seduto in prima fila, proprio sotto il contrabbasso di Mingus c’era Orson Welles, quasi un alter ego del jazzista, per genialità, esuberanza, fierezza, complessità. E anche per le tante disavventure artistiche. Per Mingus era un idolo, lo seguiva dai tempi radiofonici di The war of worlds, adorava Quarto potere (dove in una scena c'era il suo amico d'infanzia Buddy Collette che suonava il sax in una festa sulla spiaggia), ammirava il suo modo di vestire, il suo impegno politico (sempre in prima linea per la difesa dei diritti civili, il suo Macbeth tutto nero è del 1936), la sua voce (“mi ricorda Coleman Hawkins. Potevi sentirla a un miglio di distanza”). E non era il solo jazzista a essere stato sedotto dalla voce radiofonica di Orson Welles, anche Miles Davis lo citava come un’influenza sul suo modo di suonare: “Fraseggio, tono, intonazione: tutte queste cose possono avere come modello un maestro della parola”.
Il 1959 sarà un anno d’oro del jazz per quantità, qualità, creatività. Al Five spot, piccolo, fumoso, maleodorante locale di Bowery, scelto come luogo di riferimento da artisti e intellettuali, l'anno comincia con un formidabile double bill: sono di scena, uno dopo l’altro, Sonny Rollins, alla testa di un trio con il bassista Henry Grimes e con il batterista Pete La Rocca, e Charles Mingus con il pianista Horace Parlan, il batterista Roy Haynes (che sostituisce il fedelissimo Dannie Richmond arrestato) e i sassofonisti Booker Ervin e John Handy. È la prima sera dell’anno, ma nel club di Bowery dei fratelli Joe e Iggy Termini è anche l’ultimo impegno di quel prestigioso, favoloso cartellone con Mingus molto irrequieto per tutta la scrittura. Aveva appena registrato la musica per il film di John Cassavetes Shadows, una colonna sonora bocciata nel rimontaggio finale (la stessa cosa sarebbe successa anni dopo con Todo modo di Petri), aveva ripreso i suoi musicisti brutalmente e una volta aveva minacciato violentemente i clienti di un tavolo che, durante il suo set, non smettevano di parlare. Oltretutto ogni sera tendeva ad allargare il suo set e Sonny si inferociva, talvolta rifiutandosi di suonare. Ma era un gran clima, entusiasmante e effervescente. Rollins era in un momento di transizione, alla vigilia di un ritiro clamoroso per rinnovare il linguaggio del suo sax tenore con il leggendario e solitario corso di aggiornamento stilistico sul ponte di Williamsburg: «In un posto tranquillissimo, un angolo morto che oggi sarebbe impossibile ritrovare con il traffico che c’è» il suo racconto, dove poteva esercitarsi liberamente.
Anche Welles, come Mingus, era reduce da una delusione cinematografica: la Universal gli aveva tolto di mano la post-produzione del nuovo film, L’infernale Quinlan, ne aveva tagliato una ventina di minuti e aveva fatto girare nuove scene, modificando il primo montaggio. Più o meno nello stesso periodo era finito in soffitta un documentario intitolato Viva Italia (Portrait of Gina) perché Gina Lollobrigida aveva messo un veto, non gradendo il suo ritratto di giovane attrice ambiziosa e la Abc tv lo aveva bocciato ritenendolo cosi poco ortodosso da non poter essere trasmesso. Era un film di mezz’ora scarsa sull’Italia, paese che Orson ha frequentato per 20 anni (la terza moglie è stata l’attrice italiana, Paola Mori). Dopo un lungo oblio (Orson aveva perduto l'unica copia esistente all'Hotel Ritz di Parigi) è stato riscoperto nel 1986, proiettato al festival di Venezia ma poi di nuovo bandito su intervento della Lollobrigida.
La presenza del regista di Quarto potere al Five spot non era casuale
Nel club di Bowery si poteva incontrare chiunque, da Jack Kerouac che leggeva le sue poesie, alla mitica baronessa Pannonica de Koenigswater scesa dalla sua Rolls Royce, a William de Kooning che voleva respirare la libertà del jazz, a Leonard Bernstein che si divertiva a curiosare nella notte, allo scrittore Norman Mailer con la sua passione per quella musica. Ma la musica da sempre è stata una grande passione di Welles. La mamma pianista gli aveva fatto prendere lezioni di piano e violino e Orson aveva anche mostrato un certo talento, tanto da essere considerato un ragazzo prodigio. In gioventù era stato un grande sostenitore del jazz di New Orleans, ma sicuramente ammirava Charles Mingus per la sua musica e la sua personalità, il suo impegno, il suo agire tellurico.
(Marco Molendini)
Non potevo non condividerlo.
Due miei ingombranti miti nella stessa foto, nello stesso locale, nello stesso articolo.
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deathshallbenomore · 11 months ago
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“violinista, si va beh violoncellista, ah contrabbasso” is giving andrea alongi
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liuteriabasso · 9 months ago
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SOLD 5 strings contrabass 2022 “Osmanthus fragrans”
round back model personale "RL2022"
oil varnished
名古屋を拠点に活躍するプロの演奏家からのオーダー 新型の5弦コントラバスを設計している時期に、テレビの取材でCremonaの師匠とビデオ通話をすることになり、その時にもらったアドバイスにより設計の方針を大幅に変更。完成した新モデルの1作目。
ご興味のある方、さらに質問がございましたら、メール、sns等でご連絡下さい。
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chez-mimich · 2 months ago
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LINA ALLEMANO: FLIP SIDE
È uscito lo scorso 4 ottobre il nuovo disco di Lina Allemano, trombettista, compositrice, improvvisatrice canadese-berlinese che vede nel CD, oltre che la sua adamantina tromba, Dan Peter Sundland al basso elettrico, Michael Griener, alla batteria e, talvolta ospite in alcuni brani, Andrea Parkins alla fisarmonica, oggetti ed elettronica. Lina e la sua tromba, pur avendo salde basi nel jazz, spaziano in territori liminari alla musica colta o cosiddetta tale. Ad aprire il magnifico lavoro del trio-quartetto “Lina Allemano’s Ohrenschmaus” (che significa smorfia), è il brano dal titolo “Sidetrack” che, in riferimento all’originalissimo nome della formazione, la prima smorfia la offre in apertura con una accattivante “intro” tutta rumorista, con qualche insufflazione di tromba, quasi a voler ingolosire l’ascoltatore su quanto successivamente lo aspetta. E in effetti il brano prosegue, dopo le fascinose titubanze iniziali, con la tromba della Allemano sempre più presente, anche se mai dominante, mentre le atmosfere restano inquiete; anche “Signal” si apre con rumori e percussioni, ma più decisi, come appare più certo e definito il ruolo della tromba. I toni sono rilassati e le parti sembrano più dialogiche, così come il “clima sonoro” in “Heartstrings” è pieno e ben definito, con la tromba che sembra aver preso decisamente il sopravvento o quantomeno, sembra tenere decisamente in pugno la situazione con un rumorismo delizioso, sia all’inizio che al termine del brano. Con “Sideswipe” (primo brano con l’intervento dell’elettronica di Andrea Parkins), il dialogo con la tromba diventa quasi un’invettiva dissacrante per un formidabile calando nelle parte finale dove spatole, carillon e ticchettii introducono l’ultimo lamento della tromba di Lina. Malinconico e lunare “Stricken” serba nel suo ventre un magnifico assolo al basso di Dan Peter Sundland che rende il brano quasi espressionista. “Flip Side”, che dà il titolo all’intero lavoro, è un pezzo sublime, di grandissimo spessore, notturno e solenne, dove le percussioni gravi e profonde sembrano dettare il tempo, un tempo di cupa sontuosità, con l’archetto del contrabbasso che diffonde rasoiate di vibrazioni rendendo ancora più drammatica l’atmosfera, ma sulla quale la tromba di Lina Allemano, ricama un disegno sonoro fatto di pacata leggerezza. È proprio in questo contrasto che vive “Flip Side”, ultimo brano dell’album edito dalla LUMO Records, etichetta della stessa compositrice, registrato dal vivo sul pavimento di una vecchia aula scolastica nel quartiere Schöneweide di Berlino, e non poteva essere altrimenti, poiché oltre ad essersi parzialmente stabilita a Berlino, Lina Allemano, pregna della cultura musicale della vecchia Europa, ha certamente assimilato la lezione della musica colta contemporanea della capitale tedesca, facendola rinascere a nuova vita, grazie allo straordinario sound della sua tromba, le cui radici sono saldamente piantate nella improvvisazione, nella ricerca e anche nel free jazz. Dopo una produzione discografica qualitativamente e quantitativamente notevolissima alla quale si aggiunge questa preziosa perla.
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danzameccanica · 3 years ago
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Oggi è un luglio del 2021 e credo che sia la prima volta che riascolto Vespertine dopo almeno quindici anni. Questo è l’album che quando ero al liceo mi ha aperto all’elettronica, alla musica intima, a tutto quello che non era metal. È grazie a Vespertine che poi ho inziato a comprare la rivista Ritual e a scoprire il gothic rock; questo album è stata la chiave di volta che ha poi sorretto tutto il muro della mia crescita sopra le colonne del metal estremo. Senza Björk non ci sarebbero stati i Massive Attack, i Radiohead, gli Oasis, i Verve, i Sigur Rós e tutto il resto… Vespertine, per uno che ha amato tantissimo Björk, forse è l’ultimo album accessibile, orecchiabile, facile nell'assimilazione. Ricordo con dispiacere l’uscita di Medulla: ricordo tantissimo il potenziale di quell’album e il concept ma che, sfortunatamente, non era riuscito a fare colpo. La Björk di quegli anni non era più “solo” e “semplicemente” una musicista ma un’artista a 360 gradi. La tragica esperienza di Dancer in the Dark è stata solo un caso isolato; in questi anni Björk si muoveva nel mondo dell’arte contemporanea, delle performance, della body e video-art (anche coadiuvata dal compagno dell’epoca Matthew Barney). Posso certamente dire che da questo momento in poi l’aspetto visuale di Björk è aumentato in maniera esponenziale ma anche inversamente proporzionale all’impatto musicale.
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Vespertine è l’ultimo album “pop”; l’ultimo disco dove puoi fischiettare le canzoni una per una. "Hidden Place" è un intro struggente e drammatico, intimo e fragile che segna quasi il passaggio dall’inverno allo sbocciare della primavera; gli archi durante il ritornello sono arcobaleni che si aprono sopra i grigi ghiacci islandesi. "Cocoon" è una ballad su un registro di toni altissimi ma delicati: come se Björk cantasse una ninnananna alla rugiada sulle ragnatele, ultimi testimoni di una notte fatata che scoppietteranno a breve fra il noise-glitch gentile di questa meravigliosa composizione. Anche "It’s not up to you" è una graziosa interrogazione ai baccelli della foresta, musicata da una specie di post-drum’n’bass col contrabbasso jazz. "Undo" e "Pagan Poetry" (uno dei picchi più alti del disco) rivelano tutta la fragilità di questo bozzolo nel quale Björk si è rinchiusa cantando della sua terra. Ci sono i ricordi drammatici di "Bachelorette" e c’è questo strano sentore di catastrofe o – ad ogni modo - dell’irreversibilità della situazione. "Frosti" è una strumentale di carillon che evoca una magia notturna che prosegue naturalmente in "Aurora" e torna ad essere drammatica in mezzo agli scratch e breakbeat di "An Echo a Stain". "Sun in My Mouth" riprende il carillon ma ricorda qualcosa di Debut. Dietro al mixer e alla produzione di questo album siede Mike ‘Spike’ Stent che aveva già collaborato in Homogenic ma anche in Bedtime Stories e Music di Madonna; poi i Matmos che si porterà sul palco in almeno un paio di tour mondiali. Riascoltandolo oggi, mi rendo conto che forse le ultime 4-5 canzoni non sono così memorabili ma contengono le stesse sonorità delle precedenti mantenendo un perfetto filo-conduttore fino alla finale "Unison", un’allegra ballata che ricorda tanto i connazionali Sigur Rós. Ma la potenza, l'unicità e l'efficacia di Vespertine (ma in generale di tutti i primi album di Björk fino ad ora) è il suo utilizzo della voce come se fosse lo strumento principale; e, infine ma non per ultima cosa, utilizzare la sua voce per creare melodie principali. L’effimera natura di questo album, il suo essere freddo ma nella sua ultima fase, quella prossima al disgelo, lo rende davvero unico e speciale; Vespertine è un disco che sicuramente chiude una fase di crescita di Björk e ne apre un’altra verso la sperimentazione; purtroppo, per quello che mi riguarda, è davvero l’ultimo album magico, capace di raccontare qualcosa che a sua volta riuscirà a piantare un seme dentro l’animo.
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meghan-arte · 5 months ago
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LUCƎ di D1S7OP1A: pt. II (con Dario De Pol, ƎᴅᴠⒶᴙᴅ project)
Il tramonto in scala di grigi, voi, non mi crederete, ne ora ne poi
perchè nemmeno io me lo sarei mai aspettato dai miei neuroni (che figata)
l'ho vista e quasi ne percepivo, i colori... quanti colori:
lilla, giallo pastello, verde acido e militare, bianco distopico
azzurro marcio, rosa salmone fluo, viola shock, rosso elettrico
apparsa in un riflesso di luce tra nelle mie dimenticanze
e diventata 'na nuvola nera, questa, nostra, in ciclostilo, stampa mentale
che solo tu potevi trasmetter col pensiero, amante, la mia miseria
pensata seria, su carta forata e oscurata come specchi, di ossidiana,
o gli schermi, spenti, dei nostri telefoni, androide, replicante:
la nostra assurda connessione, nei, nostri assurdi corridoi
(e ne faccio necessità di virtù)
La voglia di tamburellare coi polpastrelli e gli artigli
su qualcosa di matrice, superfice di strato duro ma dal sonor tonfo
per ascoltarne il micro-profondo, come il capitombolo tuo,
resisti, cipiglio terrorizzato, lungo la parete vertiginosa
dello scapicollo della mia ossessione per te.
e lasciartici ruzzolare, è come il lasciare
il proprio cibo preferito nel piatto,
per voglia di alzarsi da tavola
per il sonno e andare a stordire e svenire, in quella sensazione
di cader nel vuoto lasciando che ci inganni il cervello
con immagini random e frasi sconclusionate,
poi scriverci questo, scriverci un pezzo, scrivere un sogno
Rit.
sulle orbite atrofizzate, che graffiano l'interno-palpebra
cavità oculari con iridi del colore impressionate
ormai toccate, apatiche nella riccorrente distopia
Luce di distopìa, nella tua gravità: orbite atrofizzate
come nervi bluacei, d'un blu elettrico, in luce di distopìa
mi fa male non averti fra le mie braccia,
faccio per distrarmi in mille diavolerie che studio
per far passare il tempo come fosse una botta.
un livido che guarisce lento come il mio bacino
che spinge la mia eccitazione dentro le tue pupille,
per rompere la stasi del rimanere incantati tra noi
e spaccarsi in un imprinting impossibile da 'solvere,
poi veloce come il nostro infarto, e quanto ti amo
tanto forte lo respirerò sul tuo viso, canterò un rantolio,
isolandolo dal mio udito, per dar spazio, al tuo dolce, (dolce... dolce. dolcissimo) lamento
orgasmo, che sfocia, in un singhiozzo disumano pianto,
cui ogni lagrima, ogni mia, sintassi intridono, mi rassomiglia
(e ne faccio necessità di virtù)
scivolando lungo, i muri di tutto, ciò che d'esser m'illudo
truce, giù mi ci ammollo, se tra le rughe, delle lenzuola, ti cerco
viepiù, non scriverò, il solito banal iglù, sulla mia perdita di te,
anzi stretta ti terrò, a costo di legarti alla spalliera del letto.
Stai con me, tutta la vita, dillo, dillo di nuovo, ripetilo, ripetilo
ancora, ripeti. che questa frase mi fa impazzire, e lo, sai.
Non rinuncerò a questa mia nuova versione di perfezione,
che è la tua esistenza su sto pianeta, perfetta, non sei, mai,
ma ogni ora, sei, 'na ferita che brucia e scopro idratarsi in diletto,
Di nuovo, ripetilo ancora... ogni giorno, ogni giorno.
(Ogni mese) di ogni vi... (ta) intro, a cui son rassegnato a far storno
crepuscolare assillo, d'una cosa mai iniziata: parte 2, senza parte 1
Rit.
sulle orbite atrofizzate, che graffiano l'interno-palpebra
cavità oculari con iridi del colore impressionate ormai toccate, apatiche nella riccorrente distopia Luce di distopìa, nella tua gravità: orbite atrofizzate come nervi bluacei, d'un blu elettrico, in luce di distopia
2/8/'24
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lesser-known-composers · 10 months ago
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Gaetano Pugnani (1731-1798) - Adagio from Sinfonia in E flat major
Concerto Italiano conducted by Rinaldo Alessandrini
Boris Begelman, violin Antonio De Secondi, violin Ettore Belli, viola Marco Ceccato, violoncello Luca Cola, contrabbasso
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