#Carla Palese
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asterargureo · 3 years ago
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Sanremo terza serata: niente comici!
- Giusy Ferreri: allora ieri mi è sembrata un pochino scazzata. La canzone non è malaccio
- Sangiovanni: Gesooo salvaci dai derivati Mariani.Mi sembra di rivivere il triste periodo dei vari Sanremo con Carta,Scanu e anche Emma. Purtroppo questo ha una fanbase importare ingombrante e temo che sabato possa rosicchiare altri posti
- Gianni Morandi: mio capitano! La canzone è un palese richiamo a quelle degli anni 60, secondo me non è da terzo posto, però a Gianni voglio bene
- Rettore e Dito nella Piaga: Rettore completamente svalvolata,Dito nella Piaga bella e brava,la canzone mi piace molto, è divertente.Attenzione ai duetti stasera perché il Bugo gate 2 è sempre in agguato
- Aka7even: altro derivato Mariano e anche lui può rosicchiare punti. La canzone ricorda quella dei film estivi che danno su Italia 1 per riempire il palinsesto, quelli ambientati in casette sui laghi con la ragazza che non si accetta (spolier: di solito il problema sono gli occhiali e i vestiti non di grido) e il ragazzo che le dice che è perfetta così
- D'Argen D'Amico: soddisfazione del Fantasanremo,l'ha preso proprio sul serio. La canzone è perfetta per le feste soprattutto dopo aver bevuto alla goccia,ma anche per cori fa stadio improvvisati. Lui deve essere un seguace di Duccio Patanè
- Mahmood e Blanco: coppia che è entrata da papa in conclave,bravi,la parte in cui Mahmood dice brividi mi fa ridere perché mi ricorda un personaggio di un programma che guardavo da piccola. Anche le mummie dell'Ariston hanno gradito
- Michele Bravi: è più preso dalla foga agonistica del Fantasanremo che dalla gara in sé. Ieri ha fatto lo shampoo nel bidone del grasso. La canzone è per me indecifrabile
- Highsnob e Hu: la versione dark dei Coma Cose,non so,non mi dicono molto
- Irama: anche lui ha fatto lo shampoo con il grasso. La canzone è un mix tra Cecco Angiolieri e Infinito di Raf (ovunque tu sarai ovunque io sarò). Era meglio in dad
- Emma: la canzone non mi dice molto,lei emozionata
- La Rappresentante di Lista: un fantasma si aggira per l'Europa. La sua canzone ha spaventato i bigotti nostrani perché inneggereb e al comunismo.Addirittura! Comunque bravissima,la canzone ti entra subito in testa ed è davvero una delle poche.
- Elisa: brava,intonata,sicura, però la canzone non mi convince. Forse perché troppo da festival
- Achille Lauro: lui ormai è chiaro che faccia il performer più che il cantante,tra ospitate e gara ormai ha messo radici all'Ariston. Però se anche l'osservatore romano ti dice che non sei speciale deve essere un duro colpo. Oppure sta cercando di conquistare il vescovo di Sanremo. La canzone? Ah, sì. Sempre Rolls Royce con oh mio Dio,gemiti, ammiccamenti e simili. Achille,cambia il disco!
- Massimo Ranieri: anche lui molto bravo,questa volta i problemi con i fonici sono risolti perché è davvero impossibile farlo stonare
- Yuman: attenzione perché sabato potrebbe salire in classifica. Ricorda le canzoni tipiche sanremesi.
- Rkomi: personal Jesus in salsa milanese,nïël Olîympįœ.
- Le Vibrazioni: e insomma più che le vibrazioni direi le stecche
- Giovanni Truppi: lui ha preso una tranvata per Drusilla,chiamalo scemo,se ne frega del dress code e per questo ha la mia stima. Chissà come stanno fumando Enzo e Carla
- Iva Zanicchi: eh, vabbè
- Ana Mena: non è più ultima,si è evitato l'incidente diplomatico
- Tananai: si immola per la causa e si classifica ultimo evitando l'ira funesta degli spagnoli
- Matteo Romano: ma siamo sicurə che sia maggiorenne?
- Fabrizio Moro: attenzione a lui. Su Twitter lo hanno definito come la Juventus di Allegri che parte spacciata e poi arriva in alto e infatti ieri è salito parecchio di quota. Attenzione anche all' endorsement di Ermanno Metallo. La canzone è praticamente una delle sue, sempre la stessa, rimaneggiata qua e là
- Drusilla Foer: una scoperta. Avrei gradito la sua presenza per tutte le serate. Arguta,emozionante,molto elegante, pungente e soprattutto non un soprammobile come nelle sere precedenti.
Nota di costume: il nero,bianco e soprattutto rosa molto gettonati. Apprezzo tutto questo rosa, sicuramente per esprimere solidarietà alle guardie😉
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paoloxl · 6 years ago
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È stato un anno costellato di aggressioni, di cinghiate e di minacce, di pericolose consonanze tra la destra cosiddetta di piazza, nelle sue molteplici sigle, e quella istituzionale. Una morsa che ha reso cupo il clima nel 2018 e ha fatto parlare molti osservatori, anche quelli generalmente prudenti, di un rischio fascismo per l’Italia. E l’anno appena entrato si preannuncia perfino peggio. Scorrendo l’elenco degli episodi verificatisi a cavallo dei due anni ci si rende conto che siamo davvero all’emergenza democratica.
L’8 dicembre, mentre Roma si preparava al consueto appuntamento dell’Immacolata Concezione in piazza di Spagna e mentre in una piazza del Popolo non piena andava in scena la manifestazione leghista, i militanti di Forza Nuova pensano bene di catturare l’attenzione dei media issando davanti alla sede nazionale dell’Anpi uno striscione con la scritta “Assediare i nemici dell’Italia”. La prodezza futurista di FN, in un giorno festivo in cui la sede è vuota, è rivendicata con un delirante comunicato in cui c’è scritto che «l’Anpi è il simbolo di un potere decennale annidato e velenoso, che con una mano diffonde idee immigrazioniste e anti-nazionali, con l’altra specula sulle spalle degli italiani e li avvelena con l’antifascismo. Quello di questa mattina è solo il primo blitz di una serie di obiettivi che rappresentano i nemici della nazione…». Quando i volontari dell’Anpi di Roma, allertati dai cittadini, corrono in via degli Scipioni lo striscione è stato tolto e appoggiato al posto più indicato, un cassonetto dell’immondizia. «Ringraziamo gli sconosciuti cittadini, che hanno rimosso lo striscione. Segno del grande consenso popolare di cui godono l’antifascismo e la democrazia. Se poi se lo fossero levati da soli, sarebbero quello che sono: buffoni. Ora e sempre Resistenza!», dichiara la presidente nazionale Anpi, Carla Nespolo, sottolineando la necessità di una risposta ferma dello Stato.
Sempre a Roma, Rione Monti, nella notte tra il 9 e il 10 dicembre venti pietre d’inciampo sono divelte e rubate. Dedicate a 20 membri della famiglia Di Consiglio deportati nei campi di concentramento erano state installate il 9 gennaio 2012. La denuncia del furto arriva dall’associazione “Arte in Memoria”, che dal 2010 si occupa dell’installazione delle pietre nella Capitale. L’ipotesi della procura di Roma, che ha aperto un’indagine, è furto aggravato dall’odio razziale. Adachiara Zevi, presidente dell’associazione culturale che promuove il progetto “Memorie d’inciampo”, parla di «atto intollerabile, incredibile e inammissibile di vandalismo di stampo fascista e antisemita. Si tratta di un gesto reso possibile, legittimato, da un governo che discrimina e perseguita le persone diverse, le minoranze e tutti coloro che lottano per i diritti civili». Condanna e indignazione verso il gesto vengono espresse, tra gli altri, dalla sindaca Virginia Raggi e dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.
Appena il tempo dei brindisi di Capodanno e i fascisti tornano a farsi sentire. Il 3 gennaio, in piena notte, Forza Nuova si presenta a Parma sotto casa del sindaco Pizzarotti con uno striscione che contesta la decisione dell’amministrazione di riconoscere i figli delle coppie omosessuali: “Mamma e papà, il resto è omofollia”. Il riferimento è alla decisione del sindaco di riconoscere i quattro figli di altrettante coppie omosessuali. Ecco la risposta ferma di Pizzarotti su Facebook: «Chiamano “omofollia” i diritti di quattro bambini ai quali ho sottoscritto l’atto di riconoscimento di genitori dello stesso sesso. Il diritto, cioè, di quattro bambini a vedersi riconoscere per legge gli stessi diritti di ogni altro bambino di questo mondo. Forza Nuova di “forte” ha solo il nome, per il resto è debole nei contenuti e composta da xenofobi. Non può nulla contro Parma, perché la nostra era, è e resterà la città dei diritti».
Il 4 gennaio, ancora non si è spenta l’eco dei fatti di Parma che Raniero Bertoni, un uomo di 54 anni ad Ascoli Piceno entra nel bar delle Caldaie, in centro città, per bere un bicchiere di vino. Quando va alla cassa per pagare il conto si ritrova di fronte alla reazione violenta del titolare del locale. «Mi ha detto: “Sono nazista, i gay qui non devono entrare. Anzi, se vuoi denunciarmi ti dò il modo di farlo”». Non solo, il titolare del bar avrebbe oltrepassato il bancone e gli si sarebbe avvicinato minaccioso ha raccontato il 54enne, bibliotecario comunale, a Fanpage.it. «Credevo che mi avrebbe inseguito e picchiato, invece per fortuna il barista si è fermato alla porta. C’erano altre persone nel bar, non so se qualcuno è intervenuto per bloccarlo ed evitare conseguenze gravi per me. So solo che all’arrivo della volante gli agenti mi hanno invitato a non recarmi in quel locale, per non rischiare guai».
È la tarda mattinata del 7 gennaio quando a Roma va in scena l’aggressione fascista nei confronti di due cronisti de L’Espresso che, al cimitero del Verano, seguono per il giornale la commemorazione dei fatti di Acca Larentia. Federico Marconi e Paolo Marchetti, rispettivamente giornalista e fotografo del settimanale, vengono circondanti dalla teppaglia fascista e presi a spintoni e a schiaffi. Tra gli assalitori c’è anche il capo di Forza Nuova a Roma, Giuliano Castellino, che pretende la consegna della scheda di memoria della macchina fotografica di Marchetti (ai magistrati romani che hanno aperto un’inchiesta sulla vicenda Castellino dirà che «non è successo assolutamente nulla. Ho chiesto alle due persone, che solo successivamente si sono palesate come fotografi de L’Espresso, di cancellare le foto della cerimonia in cui comparivano anche minori, ma non c’è stata alcuna aggressione e nessun contatto»). Il fatto è che Castellino dovrebbe essere altrove, per la precisione a casa sua, perché sottoposto ai domiciliari. Tra manifestazioni anti-immigrati (il 30 settembre aveva cercato di impedire l’assegnazione di una casa popolare al Trullo a una famiglia di origine eritrea) il capo di Forza Nuova nella Capitale ha infatti trovato in questi anni anche il tempo per darsi agli affari, o meglio, questa l’accusa della magistratura romana, a truffare il servizio sanitario taroccando i buoni per i celiaci. Un giochetto da 1,3 milioni di euro. Il phisique du role dell’imprenditore Castellino non ce l’ha proprio, ma quello del picchiatore gli calza a pennello. A lui e ai fascisti presenti al cimitero monumentale. «A me delle guardie non me ne frega un cazzo, io te sparo in testa» si sente dire il fotografo de L’Espresso mentre il branco dei camerati lo circonda.
Nei viali del Verano il 7 gennaio, per quello che il segretario nazionale di Forza Nuova definisce «un fatto bellissimo», c’è anche un’altra sigla tristemente nota. È quella di Avanguardia Nazionale. Sì, quella di Stefano Delle Chiaie, l’uomo il cui nome ricorre nelle inchieste sulle stragi fasciste degli anni Sessanta e Settanta. Le due organizzazioni, spudoratamente, si atteggiano a vittime dei due cronisti. Sentite la versione dei fatti della “Comunità di Avanguardia Nazionale Roma” pubblicata sul blog del gruppo neofascista: la «cerimonia privata alla cappella dei martiri Fascisti» è stata «disturbata da due soggetti strani che invadevano la nostra privacy con macchine fotografiche scattando ripetutamente foto alle persone senza essere autorizzati». Conclusione: «l’aggressione l’abbiamo subita noi».
Nel novembre del 2018 sul sito lettera43.it è uscito un interessante articolo a firma di Federico Gervasoni. Racconta che «in un filmato di qualche mese fa facilmente reperibile in rete si vede il militante storico di estrema destra Maurizio Boccacci ricevere un gagliardetto in presenza di Delle Chiaie, dopo aver cantato l’inno del movimento per il 58° anniversario della fondazione del movimento all’interno di un ristorante della Capitale». Così, tra una cena e un saluto fascista Avanguardia Nazionale, sciolta nel 1976, è tornata (ma probabilmente non era mai andata via davvero) senza che nessuno dalle parti del Viminale sentisse il dovere di intervenire, e si prepara a piazzare le sue bandierine in giro per l’Italia.
L’Espresso racconta che il movimento ha il suo quartiere generale «a pochi passi da Cinecittà, nel quartiere di Torre Spaccata. Per Delle Chiaie è casa e bottega da più di un ventennio. Un locale su due piani, in via Marco Dino Rossi, al civico 37/A. Le finestre tonde come oblò, con la porta che si affaccia sul cortile interno delle case comunali, con un doppio ingresso. A pochi passi dall’appartamento romano del leader e fondatore di Avanguardia Nazionale. Quei locali all’ufficio del territorio risultano di proprietà di Roma Capitale», ma a che titolo occupi quegli spazi è un mistero. «Se Avanguardia Nazionale sta rinascendo, non sta certo avvenendo di nascosto», sottolineava Gervasoni nel suo articolo su lettera43. Eppure il solerte Salvini sono se n’è accorto. D’altronde sull’aggressione del Verano il ministro è intervenuto solo su precisa domanda di un cronista. E limitandosi a dire che «il posto giusto per chi mena le mani è la galera». «Bla bla di circostanza», lo ha definito il direttore del settimanale, Marco Damilano.
Da Roma ci spostiamo alle porte di Milano. Va bene che ormai da tempo non è più la Stalingrado d’Italia, per la precisione da quelle comunali del 2017 che, dopo 72 anni di dominio incontrastato della sinistra hanno portato alla guida di Sesto San Giovanni il centrodestra. Però fa comunque una certa (e brutta) impressione sapere che nella città Medaglia d’Oro al Valor militare per la Resistenza al nazifascismo hanno sventolato le bandiere di CasaPound. Il 18 gennaio si è infatti svolto in un convegno del gruppo neofascista, dal titolo “Nessuna Europa è possibile” che ha visto allo stesso tavolo il leader del gruppo neofascista Simone di Stefano e tutti i rappresentanti politici del centrodestra, da Forza Italia, alla Lega, a Fratelli d’Italia.
A dare il disco verde alla kermesse delle tartarughe nere il sindaco di Sesto, il forzista Roberto Di Stefano, che non si è fatto troppe remore nel concedere a CP uno spazio comunale con la assai fragile motivazione che «sarei un antidemocratico a non ascoltarli». Peccato che stesso equanime giudizio il sindaco non lo ha dimostrato nei confronti delle forze antifasciste, che intendevano montare un gazebo in piazza della Resistenza per protestare contro l’iniziativa del movimento di estrema destra. Niet, ha detto il primo cittadino accampando scuse di ordine pubblico e traffico.  Solo dopo le proteste delle forze antifasciste e mentre la polemica travalicava i confini di Sesto è arrivato il disco verde all’iniziativa democratica. Il comitato antifascista e l’associazione dei partigiani e altri sodalizi, anche religiosi, in queste settimane si sono mobilitati contro il convegno dell’estrema destra raccogliendo in pochissimo tempo ben settemila firme sotto una petizione che chiedeva all’amministrazione comunale di bloccare il convegno fascista. Il clima nella città è pesante: l’8 gennaio, nel pieno delle polemiche sull’iniziativa di CasaPound, la locale sede di Rifondazione comunista viene imbrattata da scritte fasciste con il seguito penoso di svastiche e croci celtiche.
Nella mappa delle prepotenze fasciste si trovano grandi città e piccoli centri. Come Cavriana, cittadina del mantovano dove la notte del 10 gennaio la torre campanaria del castello è stata sfregiata con una bandiera delle SS naziste. Ad accorgersi del vessillo alcuni residenti che hanno notato come sotto al tricolore sventolasse un’altra bandiera, di dimensioni più piccole. Si trattava appunto della bandiera delle SS naziste.
L’estrema destra rialza insomma la testa facendo quello che gli riesce meglio: intimidire, picchiare, provocare. Basta consultare la mappa geografica delle aggressioni fasciste realizzata dal collettivo antifascista bolognese “Infoantifa Ecn”, attivo dagli anni Novanta per documentare la vastità e la pericolosità del fenomeno. Quella che segue è solo una selezione degli episodi di violenza fascista che hanno costellato il 2018. Se avessimo dovuto elencarli tutti ne sarebbe venuto fuori un libro.
15.12.2018. Due studentesse del liceo Alfano I di Salerno sono aggredite da alcuni esponenti di Forza Nuova e Lotta studentesca. Secondo quanto denunciato dall’Unione degli Studenti, «una ragazza dopo aver ricevuto diversi insulti sessisti, ha reagito e si è vista aggredita da persone ben più grandi di lei che le hanno sferrato colpi sulla faccia più volte». La ragazze, denuncia l’Uds, erano colpevoli «di aver ricordato alla truppaglia fascista che il fascismo è anticostituzionale e che in nessun luogo, nessuna strada, nessuna scuola, c’è spazio per chi semina e alimenta odio».
23.11.2018. “Zecche di mer…”. E, ancora, insulti e svastiche. È lo spettacolo che si trovano davanti studenti e professori del Liceo Montale di Via Paladini, a Roma Portuense. Obiettivo dei fascisti è il presidente della sezione Anpi Marconi “Ragazze della Resistenza”, Andrea Barbetti, che nella scuola romana insegna Lettere. «Non si tratta certo di una ragazzata – sottolinea la sezione Anpi in un comunicato – ma di un tentativo consapevole e cosciente di intimidazione, portato con la consueta vigliaccheria che da sempre caratterizza le azioni nazifasciste. Le scritte sono state fatte in una parete dove già lo scorso anno erano comparse deliranti frasi volte contro Anna Frank e che anche grazie all’operato di Andrea, i ragazzi della scuola avevano coperto con una poesia di Montale “La primavera hitleriana”. Evidentemente la meritoria azione che Andrea e tutti i componenti della sezione “Ragazze della Resistenza” svolgono con passione e competenza nelle scuole e nel territorio è di elevata efficacia, toglie ossigeno alle menzogne fasciste e razziste che solo dove regna paura e ignoranza possono svilupparsi e provoca quindi in coloro che le propalano tali reazioni violente e impotenti».
30.10.2018. Insulti e svastiche e la scritta “infame pagherai” sotto casa dell’inviato di Repubblica Paolo Berizzi, autore di NazItalia: «Mani vigliacche mi hanno dato il buongiorno così. Scritte su portone e androne di casa, l’anno scorso mi avevano fatto l’auto. Se pensate di intimidirmi e fermarmi vi sbagliate. Siete solo codardi che si muovono di notte come topi di fogna». È il tweet con il quale l’inviato di Repubblica ha risposto alle nuove minacce nei suoi confronti. Tanti i messaggi di solidarietà al giornalista, oltre a quelli della direzione e dei colleghi del quotidiano. Primo tra tutti quello dell’Anpi. «Piena e appassionata solidarietà dell’Anpi e della redazione del suo periodico Patria Indipendente – scrive l’Anpi nazionale – al giornalista e amico Paolo Berizzi. Il fascio-vigliacchismo è destinato a perdere. La storia parla chiaro. Andiamo avanti, uniti, con la battaglia culturale e con le denunce».
9.10.2018. Lo street artist Jorit è aggredito a Napoli mentre sta realizzando un dipinto raffigurante i volti di Ilaria Cucchi e di Sandro Pertini in via Menzinger, nel quartiere collinare dell’Arenella. Un esponente politico di Fratelli d’Italia, Pietro Lauro, consigliere della V Municipalità di Napoli, lo minaccia, intimandogli di smettere di lavorare e andarsene. Il video pubblicato su Youtube è eloquente: «Te ne devi andare da qua, altrimenti abbuschi tu e tutti quanti. Devi sospendere, adesso!». Solo l’intervento di alcuni passanti che impediscono all’esponente dell’estrema destra di entrare fisicamente in contatto con l’artista, evita il peggio. Il giorno dopo Pietro Lauro, pubblica un post nel quale chiede scusa per l’accaduto. «Mi sono lasciato tradire dalla emotività e da cieca passione, trasmettendo una personalità intollerante. Sono pronto a scusarmi pubblicamente con l’artista». Scuse pelose. Le vere scuse sarebbero state le dimissioni.
28.9.2018. Dieci naziskin tra i 25 ai 35 anni, legati ad un gruppo di estrema destra presente nella Curva Nord del Brescia Calcio, si presentano verso l’una di notte in Contrada del Carmine, davanti a un locale frequentato anche da giovani della sinistra antagonista, minacciando i presenti e insultando le persone presenti di origine straniera. Poi attendono l’uscita dalla birreria di alcuni antifascisti. Ne nasce una vera e propria battaglia, con la presenza di bastoni ed ombrelli. Gli arrestati, tutti fra gli skinhead, sono quattro.
22.9.2018. Aggressione al corteo antirazzista di Bari, due feriti, 30 attivisti di Casapound in Questura. Al termine del corteo “Mai con Salvini”, un gruppo di manifestanti – tra cui anche l’eurodeputata Eleonora Forenza di Potere al Popolo – sono aggrediti davanti alla sede di CasaPound da un gruppo di fascisti armati di spranghe, cinghie e tirapugni. Due i feriti più gravi: Antonio Perillo, 36 anni, napoletano, militante di Alternativa Comunista e assistente parlamentare dell’eurodeputata e Giacomo Petrelli di Alternativa Comunista, che hanno riportato lesioni alla testa e al volto medicate con punti di sutura. Oltre a loro due, hanno fatto ricorso alle cure dei medici la stessa Forenza per stato d’ansia e Claudio Riccio, già candidato di Leu e aderente a Sinistra Italiana, colpito da una cinghiata al viso parata con le mani.
Da segnalare un altro fatto non poco preoccupante: a margine di un post su Facebook che riportava i fatti di Bari e il pestaggio ai danni dei manifestanti, un agente di polizia del capoluogo pugliese, cioè una persona che per il suo ruolo dovrebbe reprimere gli atti di violenza, si lascia andare a questo commento: «Ma quanto sto godendoooo…?». Affermazione che gli è costata un provvedimento disciplinare.
13.9.2018. Episodio di omofobia a Stallavena, in provincia di Verona. Una coppia di omosessuali, nella notte tra il 12 e 13 settembre, viene presa di mira da alcuni balordi, che prima cospargono di benzina il pianerottolo di casa, e poi quando uno dei due esce per vedere cosa stesse accadendo, gli lanciano sopra una tanica piena di liquido infiammabile. Sul pianerottolo vengono ritrovate tre taniche di benzina e una bomboletta spray. La stessa usata per imbrattare le mura della palazzina della coppia con svastiche e frasi omofobe. “Vi metteremo tutti nelle camere a gas”. Una mozione del consigliere comunale di Verona, Alessandro Gennai, del M5S, di solidarietà contro il razzismo e l’omofobia, incontra le resistenze della destra tanto che alla fine il Consiglio comunale decide di non votarlo.
19.8.2018. Nicholas Tomeo, un giovane avvocato di Vasto è colpito in pieno viso da un pugno per aver chiesto al titolare di un ristorante di togliere “Facetta nera”, nota canzone di propaganda fascista. La vicenda è raccontata su Facebook dall’avvocato stesso: «Ieri sera, mentre passeggiavo a Vasto Marina, ho sentito da lontano suonare ‘Faccetta nera’ a volume altissimo da un locale della zona. Mi sono avvicinato chiedendo di interrompere subito la musica. A quel punto il titolare del locale, dopo aver finto tranquillità, sull’uscio della porta d’ingresso mi aggredisce colpendomi violentemente al volto». Il luogo dove si trova il locale, ed è cosa che rende ancora più intollerabile il gesto di violenza, è un ex campo di internamento.
15.8.2018. Un giovane di 28 anni che indossava una maglietta con lo slogan “Nord Est Anti Fascist” è circondato e aggredito da alcuni ragazzi a Cologna Veneta, che dopo averlo picchiato gli strappano la t-shirt di dosso. Il giovane è stato soccorso e medicato all’ospedale di Noventa Vicentina, dove è stato poi dimesso con una prognosi di 10 giorni. L’aggressione è avvenuta mentre il 28enne si trovava alla sagra di San Rocco. «Mi coprivo il viso terrorizzato mentre quei tre ragazzi mi prendevano a calci dopo che uno di loro mi aveva scaraventato a terra con un pugno. Poi mi hanno strappato di dosso la maglietta, che ha scatenato la loro furia incontrollata, e sono fuggiti vigliaccamente all’arrivo della mia fidanzata e degli organizzatori della sagra, lasciandomi con il viso ridotto ad una maschera di sangue», ha raccontato il giovane antifascista.
1.7.2018. Ancora a Roma. Prima l’aggressione e le minacce contro la Biblioteca abusiva metropolitana di via dei Castani 42 nel quartiere Centocelle. Poi le svastiche e le intimidazioni alla sezione del Pd Subaugusta e all’adiacente sede di Potere al Popolo in via Chiovenda, a Cinecittà. E, per finire, croci celtiche e scritte fasciste sul cancello del centro sociale Corto Circuito. Un raid fascista in piena regola che investe il quadrante sue est della città.
Le firme lasciate dagli squadristi sono quelle di Forza Nuova e di Lotta Studentesca. «Una persona è scesa e, urlando viva il duce, ha iniziato a prendere a calci e pugni la serranda della biblioteca. Invitava le altre persone a bordo delle due auto a scendere e a fare altrettanto», racconta Aladin Hussain Al Baraduni, artista e attivista di Bam. Il manipolo di squadristi si dirige poi verso la sede del circolo Pd Subaugusta e cerca di fare irruzione nei locali, dove in quel momento vi sono alcuni ragazzi. Durante il blitz sono state strappate anche le bandiere davanti alle sedi di Rifondazione e Potere al Popolo che si trovano nello stesso stabile. Gli autori sono poi scappati a bordo di un’auto. Dura condanna del presidente del Pd Matteo Orfini che denuncia «un’escalation pericolosa che richiede massima attenzione dalle forze dell’ordine» e auspica anche che Matteo Salvini «condanni l’aggressione e prenda una posizione chiara».
5.4.2018. «Ecco quello che facciamo a quelli come te». E poi pugni e insulti con frasi omofobe in pieno giorno in una strada a Roma. Il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli denuncia l’ennesima aggressione omofoba nella Capitale, a pochi passi dalla Stazione Tiburtina. Vittima un ragazzo di 21 anni, che rientrava dal suo primo giorno di lavoro. Preso di mira dal branco, il giovane è stato seguito, minacciato, picchiato, rapinato e di nuovo minacciato con un coltello. Nessuno, in pieno pomeriggio, è intervenuto in suo aiuto. Duro il commento di Sebastiano F. Secci, presidente del Circolo di cultura omosessuale Mario Meli: «Non possiamo in alcun modo abbassare la guardia, le aggressioni a chiara matrice omofoba stanno aumentando in questi ultimi tempi. È urgente che i media, le associazioni e il mondo civile non sottovalutino queste violenze e chi è preposto alla sicurezza dei cittadini e delle cittadine sia vigile e faccia in modo di perseguire con durezza gli assalitori. Per quanto ci riguarda è fondamentale l’intervento politico sulla questione: è urgente una legge contro l’omo-transfobia».
Giampiero Cazzato, giornalista professionista, ha lavorato a Liberazione e alla Rinascita della Sinistra, ha collaborato anche col Venerdì di Repubblica
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chez-mimich · 8 years ago
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BULLISMO. 26 aprile 1958: nella sala parto dell'Ospedale San Giuliano di Novara, per farmi fare il primo vagito, l'ostetrica che assistette l'Angelica (mia mamma), durante il parto, mi colpì violentemente con due sculacciate per farmi fare il primo vagito. Subito dopo, al quinto vagito, mi sculacciò per farmi smettere. 3 marzo 1961: durante la mia festa di compleanno venni colpito al capo con uno schiacciamosche dalla figlia del mio vicino di casa, tale Danila Buschini alla quale avevo sottratto un “bucaneve Doria”, noto biscotto dell'epoca. 5 giugno 1963: Mauro Turolla, detto “Maurino” dopo aver accuratamente sollevato una piastrella di grisaglia dal pavimento della cucina di mia nonna Antonietta, mi prese la mano destra adagiandola nel vano lasciato libero dalla piastrella, dopodiché la lasciò cadere pesantemente sulle mie falangi, falangine e falangette, provocandomi un livido di colore violaceo. 2 gennaio 1964: Giuseppe Armanelli, alla guida del suo triciclo di legno mi investiva sul pianerottolo della “Tugnina”, una zitella che abitava all'ultimo piano, facendomi rotolare per due rampe di scale e facendo svegliare Arturo Caruso, guardia notturna, che uscito dalla sua abitazione, mi colpì sulle gambe con le su bretelle elastiche. 15 febbraio 1965: la maestra Carla Tarantola, spazientita dal fatto che continuavo a temperare la matita, prese la stessa e me la infilzò nella natica destra, facendomi verificare di persona che era abbastanza appuntita. 10 maggio 1966: durante una partita di pallone, Giovanni Ebranati, detto Carnera, portiere della squadra avversaria, dopo avermi placcato in area di rigore, mi getto in un cespuglio di ortiche. Ebbi la solidarietà della squadra. 20 agosto 1968: durante una partita di caccia ai topi della Roggia Mora, Claudio Gallo, mi infilzò con un bussolotto di cerbottana, vista la mia palese incapacità a condurre la caccia ai topi. 1 dicembre 1970: Marco Ticozzi, mio cugino più piccolo, durante una partita di hockey a rotelle mi diede la mazza sulla testa per scarso rendimento. Alle mie vibrate proteste, anche altri due componenti della squadra, il centro, Carlo Piantanida detto “Carlon” e il difensore Ivano Bergantin detto “Cü d'agna” (sedere di anitra), fecero altrettanto. Arrivato a casa con evidenti segni di colluttazione, l'Angelica (mia mamma), infierì senza timore del telefono azzurro (che purtroppo non esisteva ancora). Questo per citare solo alcuni episodi…
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gardanotizie · 5 years ago
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Durante la pandemia che ha costretto gli alunni delle scuole italiane, e quindi anchve di quelle salodiane, a rimanere a casa la didattica in presenza a scuola è stata sostituita dalla didattica a distanza. Questa nuova modalità di fare lezione non ha disarmato i docenti che si sono impegnati, mettendo in atto la loro fantasia e utilizzando al meglio i moderni strumenti della comunicazione sociale, per continuare a tenere impegnati i loro studenti come fossero presenti nella loro aula.
Sono giunto a conoscenza di un brillante lavoro frutto di questo modo di procedere che ha visto impegnata la maestra Carla Rimoldi della scuola primaria Olivelli della mia città che ha coinvolto i suoi alunni delle classi seconde delle sezioni A e C. Esso ha portato alla realizzazione di un interessante video su una storia salodiana. Il risultato di questo impegno mi ha entusiasmato e desidero farne parte ai lettori di GN. A coloro che vorranno visionare il filmato fornisco il relativo link: https://www.facebook.com/1582286895346399/posts/2570607563180989/?vh=e&d=n
Come ex docente della scuola devo testimoniare, anche attraverso questo esempio, che la pandemia non ha fatto venir meno l’impegno e la voglia di insegnare da parte dei docenti e quella di apprendere da parte dei loro alunni. Direi anzi che la situazione di forte disagio ha aguzzato le menti dei protagonisti e si è tramutata nella opportunità di studiare e di fare ricerca coinvolgendo gli alunni in forme del tutto innovative.
La ricerca che la maestra ha proposto ha riguardato la leggenda della statua di S. Carlo.
A tutti è noto che gli amministratori di Salò, al tempo in cui essa era la capitale della Comunità di Riviera, decisero di eleggere il vescovo di Milano, San Carlo Borromeo, quale patrono della città.
La storia si lega ad una pestilenza di peste che aveva colpito il territorio lombardo e che rischiava di propagarsi anche a quello gardesano. Non è casuale questa scelta di vicende dipanatesi al tempo di una pandemia mentre una analoga, quella del covid 19, sta colpendo le nostre contrade.
Come ha ricordato la prof. Aimo in uno scritto sul bollettino il Duomo S. Carlo fu a Salò per la visita apostolica in Riviera dal 24 luglio al 7 agosto 1580.
Soggiornò in casa della religiosissima famiglia Scaino e in quei quindici giorni, in un continuo alternarsi di sacro e profano, si declinarono nelle innumerevoli manifestazioni tutte le liturgie del potere religioso e del potere politico. Le cronache dell’epoca ci raccontano minuziosamente i festeggiamenti, iniziati al momento del suo ingresso nella città, quando fu accolto con tutti gli onori dal Provveditore veneto e dal Console in rappresentanza del Comune, dall’Anziano del capitolo dei canonici, dall’Arciprete e da un mare di folla. Con S. Carlo a Salò e in Riviera si respirò immediatamente l’aria della Controriforma, in quanto passò in rassegna in modo analitico e minuziosissimo ogni singolo aspetto delle parrocchie esistenti, evidenziando i numerosi abusi da correggere, fra cui in primis i costumi rilassati del clero.
Venendo ora al lavoro della maestra ella ci ha confidato che nei momenti più bui della pandemia ha raccontato ai suoi alunni la leggenda della statua di S. Carlo che i salodiani si tramandano di generazione in generazione. Essa li ha entusiasmati e l’hanno anche illustrata con loro simpatici disegni. Il suo racconto ha preso l’avvio col fare menzione della visita a Salò del Santo Vescovo e come egli fu accolto con il massimo degli onori. Dopo il suo ritorno a Milano, continua la narrazione della maestra, a Salò rimase vivo il ricordo della visita di quell��illustre personaggio, dei suoi sermoni e dei suoi consigli.
Quando San Carlo morì e fu proclamato santo, la maestra fece presente che i salodiani si rammentarono delle sue meritevoli opere nel territorio della Comunità di Riviera e ciò li portò a decidere di eleggerlo a Patrono della loro città andando anche a costruirgli una statua.
Il visitatore che, giunto nella nostra città, passa sotto la torre dell’orologio, situata in cima alla Fossa, la centrale piazza alberata intitolata a Vittorio Emanuele II e percorre un centinaio di metri verrà colpito dalla imponente statua che campeggia al centro della via S. Carlo. Come diremo in seguito il manufatto attuale non è quello originale
Trascorse il tempo e una grave pestilenza dilagò nella città di Milano e nelle campagne fino ad arrivare a lambire la cittadina benacense.
Mi pare di vedere gli alunni estasiati da questo racconto e che saranno andati di certo ad immaginare cosa poterono pensare i loro antenati di allora visto ciò che ad essi stava capitando.
Anche a quel tempo, come ai nostri giorni, disse la maestra, quella pestilenza mieté molte vittime.
I salodiani ne furono preoccupati e sbigottiti temendo che il morbo venisse ad intaccare le limpide acque del loro ameno golfo.
Fu allora che si riunirono in preghiera nel Duomo supplicando l’intervento del loro patrono affinchè li risparmiasse da quella epidemia. Fu all’indomani di quella supplica che i passanti notarono che la statua, collocata, come vedremo, nel quartiere di S. Giovanni, non era rivolta, come era stato fino a quel momento, verso la via centrale ma si era girata verso la porta della città. I pareri, riferisce la maestra, furono discordanti: ci fu chi pensò alla scherzo di qualche burlone e chi invece attribuì all’evento una valenza soprannaturale.
Le autorità cittadine intervennero prontamente e decisero che la statua venisse riportata nella sua posizione originaria per evitare il diffondersi di notizie che ritenevano prive di fondamento. Ciò non impedì, narra la tradizione, che molti accorressero ai piedi della statua per verificare come stavano le cose. Ma dopo un altro giorno la statua continuava ad essere rivolta verso la porta, come a proteggere la città, e con la mano benedicente protesa verso l’alto.
La circostanza passò di bocca in bocca e numeroso fu il popolo che accorse a venerare la statua nella convinzione che il fatto fosse da attribuire alla volontà del Santo che in questo modo aveva reso palese il suo intervento a salvaguardia della salute dei cittadini della città che lo onorava come suo protettore. E la volontà popolare si espresse con il desiderio che non fosse modificata la posizione della statua che stava ad indicare la protezione del Santo verso il borgo e i suoi abitanti.
Ciò che è certo è che la pandemia cessò e i salodiani ne furono risparmiati.
Concludendo il suo racconto la maestra Carla precisò che esso era forse il frutto di una leggenda e fornì ai suoi alunni alcune annotazioni storiche sulla statua.
Fu nel 1611 che venne deciso di eleggere San Carlo a Patrono della città.
Nel 1612 il Gran Consiglio deliberò che il 4 novembre, data che ricordava la morte di San Carlo, fosse una giornata di festa religiosa intitolata al Santo.
Ricord�� ancora che nel 1619 a Salò giunsero alcune reliquie del Santo, collocate nell’altare a lui dedicato all’interno del Duomo e che i rappresentanti del borgo di S. Giovanni chiesero al Gran Consiglio che venisse eretto nel loro quartiere un basamento su cui collocare la statua che fino a quel momento era stata collocata nella piazza del lino. Lo spostamento fu autorizzato nel 1627. Nel 1629 il vecchio manufatto, molto deteriorato, fu sostituito con uno nuovo. Fu poi nel 1838 che venne eretta per la terza volta una nuova statua che è quella attuale.
Grazie a questa affascinante ricerca i nostri alunni sono venuti a conoscenza di una vicenda importante della loro città ma forse anche tanti salodiani, grazie a questo mio resoconto, avranno modo di fare analoga scoperta.
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APPARATO ICONOGRAFICO
La statua di S. Carlo nel borgo di S. Giovanni
Una immagine del santo
La scuola primaria Olivelli
Uno dei disegni degli alunni della Olivelli
Un altro dei degli alunni della Olivelli
  Una storia salodiana illustrata dagli alunni della Olivelli Durante la pandemia che ha costretto gli alunni delle scuole italiane, e quindi anchve di quelle salodiane, a rimanere a casa la…
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pangeanews · 6 years ago
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“Spremono lo scrittore perché produca, come una gallina… ma a questo mondo c’è bisogno d’amore”: dialogo con Giovanni Pacchiano
Un dettaglio profila l’uomo. Anzi, un nome. Santamaura. Lo conoscete? Appunto. Autore, nel 1983, per Mondadori, di Magdala, trent’anni fa pubblica con Marietti Il paradiso e gli assassini. Su “la Repubblica”, Giovanni Pacchiano scommette su di lui, convincendoci che “è, davvero, il nostro piccolo Broch”. A leggere quella arguta e appassionata recensione si capisce che i drammi di ieri sono quelli (moltiplicati) di oggi: che “pubblicare con un piccolo editore”, in un oceano editoriale gonfio di squali, equivale a “giocare una cinquina al lotto pretendendo di vincere. Mille problemi: distribuzione difficile, poca o nessuna pubblicità, il libro che scompare dal bancone del libraio a tempo di record” (tragedia, questa, che accade pubblicando pure con una major, oggi). Soprattutto, già allora si parlava, sui giornali ‘di peso’, dei soliti noti, dei nomi consueti, nobilitati da una griffe. Insomma, del talento dell’autore, nudo d’altro, importa a nessuno, nessuno è in grado di valutarlo (“Un gran bel libro: ma morire che qualcuno ne abbia parlato”). In questa piccola recensione (arte arcana, che richiede gesto intellettuale e gusto per l’azzardo, la recensione), c’è in gemma tutto Pacchiano: il critico letterario dai gusti esigenti e vertiginosi (Broch), che sa scommettere, con ardore, sui grandi scrittori di oggi (nell’intervista parla di Alessandro Banda e di Romolo Bugaro; ricordo la Lettera al lettore incorporata a Christiane deve morire di Veronica Tomassini). Giovanni Pacchiano, in effetti, è uno dei rari, autorevoli rappresentanti della critica letteraria: lavora per recuperare autori insoliti, dissepolti dal passato (tra gli altri, ha curato opere di Julien Green e Benjamin Crémieux, ha scritto di Vittorio Imbriani, di Carlo Dossi, di Renato Serra, soprattutto è l’autore della mastodontica curatela delle opere del grande Sergio Solmi, per Adelphi, in sei volumi, dal 1983 al 2011), ma esercita una attività pubblicistica importante, da miliziano della meraviglia, ora su ‘Robinson’, l’inserto culturale de “la Repubblica”, allora su diverse testate, da “il Giornale” a “L’Europeo”, fino al “Sole 24 Ore”, da dove fu ingiustamente allontanato. Sceglie i libri con una delicatezza aliena alle mode e ai furori del mercato editoriale, Pacchiano (l’ultimo libro, Gli anni facili, è edito da Bompiani nel 2016), con una attenzione a sondare le ombre, a snidare mitologie rilegate nell’ignoto. Ha autorità, disincanto, stupore inerme. Lo contatto, sfidando una sua certa ritrosia, per capire in che stato è la critica italiana attuale, per continuare a mordere i libri come fossero cuori che urlano. (d.b.)
Tra le imprese critiche di Giovanni Pacchiano, si segnala la curatela, per Adelphi, delle opere di Sergio Solmi, tra 1983 e 2011
Quali libri hanno formato il suo ‘carattere’ critico?
Quanto alla critica, la mia generazione è stata influenzata, nella giovinezza, dal crocianesimo. Decisivo è stato all’università l’incontro con un maestro come Mario Fubini, nel suo duplice aspetto di critico dello stile e di storico della letteratura. Ma fondamentali sono state, almeno per me, anche le letture dei diversi libri di Leo Spitzer e di Eric Auerbach. Devo dire che la critica dello stile, se condotta con giudizio, mi affascina ancora oggi, ma non saprei mai rinunciare allo storicismo, che ora viene tanto svilito. In anni meno lontani ho letto con interesse e passione tutto ciò che ha scritto Starobinski. Per fortuna oggi tramite alcuni siti possiamo ordinare libri in lingua originale introvabili in Italia e mai tradotti. Ah, un altro che mi ha molto influenzato è René Wellek.
Preciso: quali scrittori contemporanei hanno folgorato la sua giovinezza? E di quali autori si è innamorato esercitando pubblicamente la critica letteraria?
Per risponderle in maniera esaustiva dovrei scrivere un libro. Il primo incontro “fulminante” è stato, a 14 anni, con Martin Eden di Jack London, che ritengo un capolavoro assoluto. Poi, al liceo, il Joyce di Gente di Dublino, tutto Thomas Mann ma soprattutto I sonnambuli di Hermann Broch. Devo essere grato al mio indimenticabile amico e compagno di classe Giorgio Lanaro, l’intelligenza più viva che abbia mai conosciuto, recentemente scomparso, e, da adulto, eccellente  professore di Storia della filosofia alla Statale di Milano, che in seconda liceo classico (avevamo 17 anni!) mi segnalò la voluminosa trilogia di Broch, che non solo mi affascinò ma mi fece entrare in una dimensione più complessa della letteratura, dove la narrazione dei fatti portava con sé non solo una visione estetica dello scrivere, ma anche una profonda esigenza etica e la volontà di dare una nuova struttura al romanzo, unendo tradizione e innovazione, sulle orme di Joyce ma andando ancor più in là per profondità di pensiero. Nel Novecento per me Broch resta il più grande, alla pari col solo Proust, che conobbi più tardi, all’università, e con Joyce e con i racconti di Musil, oggi purtroppo poco frequentati. Dovrei citare diversi altri scrittori, ma non la finiremmo più. Mi limito a dire che tengo sempre sul comodino la Pléiade di Gallimard dedicata alle opere di Valery Larbaud e il suo Journal, 1600 pagine. E le Nine Stories di Salinger, più ancora del Giovane Holden, rappresentarono per me un autentico choc, e soprattutto il primo racconto: “Un giorno perfetto per i pesci banana”. Quanto agli italiani, mi restringo qui a quelli che considero i massimi del Novecento, Svevo, Gadda, il Borgese di Rubè, Antonio Delfini, che continua a essere ignorato, nonostante gli sforzi del grande, da me amatissimo, Cesare Garboli. Naturalmente Primo Levi e Pavese (oggi purtroppo sottovalutato dagli ignoranti) e Fenoglio. Non c’è Calvino? Lo apprezzo e lo stimo molto per l’intelligenza vivissima, ma non è nel mio dna. Soldati, Bassani (che adoro), Berto (ah, La cosa buffa! Ancor meglio del Male oscuro), Piero Chiara, troppo spesso scambiato per un autore di solo intrattenimento, mentre sui suoi libri aleggia la consapevolezza malinconica del tempo che fugge. E poi ancora il Testori del Dio di Roserio e il Sillabario numero 1 di Parise e, in anni più recenti, Dolcezze del rancore di Alessandro Banda: brevi racconti (ma è improprio definirli così) che hanno la stessa caratura e la stessa suggestione delle Operette morali del Leopardi. Nella fretta della risposta, posso aver dimenticato qualcuno: sì, Fruttero & Lucentini, deliziosi. Esce proprio ora un loro cofanetto nei Meridiani con l’opera omnia. E il quasi totalmente sconosciuto Guido Manera, che scrisse sotto lo pseudonimo di Santamaura, e che con Il paradiso e gli assassini, ambientato ai tempi di Omar Khayam, ci ha dato il romanzo italiano più bello e più intenso di tutti gli anni Ottanta, e forse non solo di quelli. Sapesse a quanti editori mi sono rivolto perché lo ripubblicassero, ma tutti mi guardano come se fossi matto. Eppure… E Camilla Salvago Raggi, ancora attiva a 95 anni. Il suo romanzo breve L’ora blu, ambientato a Genova durante la seconda guerra mondiale, ha uno charme particolare. Pare di leggere una Charlotte Brontë trasferita nel Novecento. Insomma, questi sono gli scrittori che negli anni mi hanno folgorato e di cui mi sono innamorato esercitando la critica letteraria. E che hanno esercitato un influsso, palese o nascosto, su di me. Per accennare brevemente ai poeti: Dino Campana (immenso), Montale, Solmi ovviamente, Caproni, Vittorio Sereni, Luciano Erba e il Pagliarani del poemetto La ragazza Carla. In anni recenti Roberto Mussapi ha pubblicato un poemetto, La grotta azzurra, ambientato in gran parte nei bagni di un autogrill, incantevole per poesia e fascino. È una storia d’amore. E a questo mondo c’è bisogno di amore.
Intendo capire con lei se oggi la critica riesca ancora a preparare uno spazio alla grande opera, uno spazio di pensiero aspro e onesto. Le chiedo, insomma, se esista ancora una critica letteraria che abbia peso, nitore, valore.
Mah: non c’è un’idea unitaria della critica, né ci potrebbe mai essere; ci sono i critici con la loro formazione e il loro gusto. Non sono mai riuscito a capire chi ha tentato di convalidare il valore oggettivo della critica. Però leggo Garboli e ancor oggi mi entusiasma, mi invoglia a leggere i libri di cui parla. Così per Mengaldo, per Remo Ceserani, magnifico comparatista, per Mario Lavagetto e la sua critica psicoanalitica. Non ho un debole per Piperno come scrittore, lo trovo un po’noioso, ma mi affascina e mi persuade come critico letterario. La critica letteraria ha un peso quando ha una cultura alle spalle e ci contagia, ci spinge alla lettura. Ma oggi ci sono tanti improvvisatori.
Recentemente, mi è accaduto di essere ‘fatto fuori’ da una testata dove, per anni, ho esercitato la critica tramite il ‘genere’ della stroncatura. Mi hanno fatto capire che le recensioni e in genere le veline culturali servono a consolidare un sistema di relazioni, a perfezionare una qualche carriera editoriale. In effetti, le ‘terze’ dei quotidiani nazionali mi sembrano soggiogate dal noto, prive di idee culturali. Le chiedo un commento, alla luce della sua lunga esperienza: è così?
Mah, mi sembra che quotidiani e settimanali (i quali ultimi hanno ridotto o annullato lo spazio dedicato alla critica) si siano troppo adeguati al gusto del pubblico, gusto che anche per colpa della scuola sta scadendo nelle giovani generazioni. Penso, ad esempio, che sarebbe utile una rubrica che riportasse alla luce i grandi romanzi del passato, ancora noti o dimenticati, la più parte dei quali i giovani e anche molti lettori meno giovani non conoscono assolutamente, ma è un pio desiderio. Per esempio, quanti lettori conoscono Effi Briest di Fontane? Eppure è una gemma del secondo Ottocento. Oppure il malinconico e terribile Alla deriva di Huysmans, noto solo per Ὰ rebours. E allora perché non spiegarglielo? Oggi i giornali vogliono il libro appena uscito: c’è questa attenzione smodata alla notizia, alla contemporaneità, giustificabile solo in parte. Come se il passato fosse azzerato. E credo che ai lettori non piacciano i romanzi che fanno pensare, riflettere. Guardare dentro se stessi. Meglio evadere…
So che è stato repentinamente, anni fa, allontanato dal ‘Sole’: me ne vuole parlare?
È una vicenda spiacevole, dolorosa e umiliante, di cui preferisco non parlare.
Il grande sistema editoriale, azzoppato da esigenze di mercato, non sembra trovare la regola aurea tra esigenze estetiche e necessità di vendere. Anzi, ora pare piuttosto in svendita. Come fare? Si accettano estremismi. 
Non ci sono rimedi certi. Sarò un antenato, ma credo ancora nell’ispirazione. Oggi, se uno scrittore sfonda con un primo libro, l’editore gliene chiede subito un secondo, e poi un terzo e così via. Insomma, spremere l’autore perché produca come una gallina, o una mucca. E spessissimo il lettore ci casca. Diffidare di chi pubblica un libro all’anno. Ma, cosa vuole, oggi comanda la pubblicità, e comandano le mode. E il profitto a tutti i costi. Ma dureranno ancora, tra 100 anni, questi autori?
Nei suoi libri tocca spesso il tema dell’educazione, penso anche al modo in cui ha narrato il suo essere ‘statalino’. Forse una porzione del problema culturale è proprio la scuola. Che fare? Domanda da un milione di dollari…
Sì, è un tema da un milione di dollari. I professori dovrebbero far leggere di più. Io, quando insegnavo al liceo, a ogni classe di nuova accoglienza, davo una lista di 100 fra romanzi e racconti, aggiornandola ogni anno, e dicevo: questi sono libri sicuri: leggere quel che potete ma leggete. E quando avrete letto ditemelo e ne parleremo in classe, ognuno di un libro diverso ai suoi compagni. Funzionava. Oppure leggevo ad alta voce in classe brani di libri che loro non conoscevano. Insomma, se il professore ha passione può ancora fare molto. Ma oggi questa passione mi sembra parecchio scemata. Del resto, chi insegna è preso da mille problemi una volta meno assillanti. Le scartoffie inutili da compilare; l’ossessione della vigilanza, come se un insegnante potesse essere contemporaneamente in più posti, soprattutto al cambio di ora. Le riunioni, defatiganti, interminabili. Col rischio di soffocare l’impulso individuale alla trasmissione della passione. Che è ciò che conta.
Amo Solmi, autore scomparso, insieme a troppi altri, dall’orizzonte della discussione. Immagino che si possa compiere un così completo lavoro di cura solo se si è interamente coinvolti nell’opera dell’autore a cui si è dediti. Cosa la affascina di Solmi, cosa dovremmo ricominciare a leggere di lui?
Solmi ha saputo essere poeta, autore di prose (Meditazioni sullo Scorpione) degne delle prose dei grandi francesi, Baudelaire, Rimbaud, lo Huysmans dei Croquis parisiens. E inoltre grande critico letterario e saggista, e grande traduttore. Appassionato cultore di fantascienza, tra i primi in Italia. E critico d’arte. Mi affascina in lui questa passione per la totalità dell’arte, e la sua curiosità insaziabile per ogni fenomeno artistico. Spesso la critica ha detto che il poeta era meno bravo del prosatore. Storie. La sua poesia, che deriva da Rimbaud e dal Leopardi, ha un suo fascino particolare: la cultura che ha alle spalle affiora e come, è un poeta letterato, ma filtrata da una malinconia autunnale, dalla percezione della drammatica brevità della vita, cui possiamo opporre, come unico strumento, il culto dei sentimenti e della dignità che ogni uomo deve perseguire, e, sì, l’amore per la cultura come fonte di vita. Oggi possono apparire discorsi vecchi, ma che cosa propone di meglio l’oggi? I tatuaggi? La barba che tutti si fanno crescere? I romanzetti di puro consumo?
Quale libro la ha recentemente appassionata, quale libro consiglia a un ragazzo che si appresta all’avventura letteraria?
Uno solo: quello di Romolo Bugaro, Non c’è stata nessuna battaglia, Marsilio. Non voglio raccontarlo: leggetelo. Accidenti, stavo per scordarmi di Veronica Tomassini, che, con Christiane deve morire, ha scritto un romanzo di una purezza e di un’intensità dostoevskiana, parlando di un mondo di umiliati, di diseredati, ragazzi allo sbando nel quartiere più povero di Siracusa.
Ma poi… perché leggere? Perché scrivere? 
Anche qui dovrei rispondere scrivendo un libro. Vedo di essere breve. Dico soprattutto che un buon libro è come un amico che ci fa compagnia, e che chiudiamo col rimpianto che la storia sia finita. Ci sono tante valenze emotive nella lettura. Walter Benjamin (me lo scordavo, ma anche Benjamin mi ha molto influenzato) diceva che leggere un grande libro è come mangiare il cuore di un valoroso nemico ucciso. Insomma, si legge incorporando il libro, facendolo diventare parte di noi. Ne usciremo più ricchi, forse più saggi, o più consapevoli della vita e della morte. Si può leggere anche per evadere, certo, e non bisogna vergognarsene, ma non è tutto. Spesso la lettura, specialmente quando siamo immersi nel dolore, ci consola o ci distoglie per un attimo da pensieri tristi. In questo senso ad esempio la trilogia dei Tre moschettieri di Dumas è esemplare: e soprattutto il terzo volume, Il visconte di Bragelonne, meno letto degli altri due, forse anche perché consta di 1200 pagine, ma meraviglioso, anche se alla fine amaro come la vita quando ci si mostra nuda davanti agli occhi. Perché scrivere? Non posso generalizzare ma solo parlare di me. Scrivo solo quando sento qualcosa dentro che mi prende e che vuole uscire, un impulso che non può avvenire a comando. È un atto disinteressato: all’inizio non pensi a un editore: hai una storia che vuole nascere, spesso hai solo un titolo, che però ti ossessiona. Julien Green, altro grande, diceva che quando iniziava a scrivere aveva in mente solo la prima frase, e che il resto era la conseguenza di quella. Posso capirlo benissimo: l’impulso non è la costruzione, ma è indispensabile. Non amo gli scrittori che prima si fanno uno schema del libro, una scaletta: non siamo dei geometri. Ma che cosa siamo? Forse solo dei sognatori prigionieri della vita, come Il vagabondo delle stelle di Jack London.
*In copertina: Hermann Broch (1886-1951), autore del ciclo “I sonnambuli” e de “La morte di Virgilio”
L'articolo “Spremono lo scrittore perché produca, come una gallina… ma a questo mondo c’è bisogno d’amore”: dialogo con Giovanni Pacchiano proviene da Pangea.
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fmanclossi · 7 years ago
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Recensione in un tweet: Lo Spazio delle Fasi - Parte 1: Il Bug (M.Casolino)
Recensione in un tweet: Lo Spazio delle Fasi - Parte 1: Il Bug (M.Casolino) #libro
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Può un’invenzione rivoluzionaria riuscire a scuotere dal suo torpore una società apatica? Carla, Antonio e Bernardo, amici dai tempi dell’università, sono sulla soglia di una scoperta scientifica che potrebbe cambiare il mondo e le loro vite. Trasferimento della materia: un fenomeno in palese discrepanza con ogni legge fisica assodata. Si tratta di un’illusione di chi sta per perdere…
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