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#Carburante a idrogeno
topicsfromatoz · 7 days
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1 IDROGENO IN BREVE, TAVOLA PERIODICA, UNIVERSO, VITA E TECNOLOGIA #AtoZ_TAVOLA_PERIODICA
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L'idrogeno è l'elemento chimico più leggero e abbondante nell'universo, simboleggiato con "H" e con numero atomico 1. È un blocco fondamentale della materia, forma stelle e pianeti e svolge un ruolo cruciale nei processi vitali sulla Terra. L'idrogeno è incolore, inodore, insapore e non tossico. È altamente infiammabile e può rilasciare notevole energia quando viene combusto, rendendolo una potenziale fonte di carburante pulito. Come soluzione energetica verde, l'idrogeno è esplorato per l'uso in celle a combustibile per alimentare veicoli, generare elettricità e ridurre le emissioni di carbonio. Può essere prodotto dall'acqua tramite elettrolisi o da idrocarburi. Sebbene abbia un grande potenziale per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, sfide come stoccaggio, trasporto e costi devono essere affrontate per consentirne l'uso diffuso. L'idrogeno giocherà probabilmente un ruolo vitale nel futuro delle energie rinnovabili.
#Idrogeno #EnergiaPulita #CarburanteRinnovabile #TecnologiaVerde #CelleCombustibile #FuturoEnergia #EnergiaSostenibile #SoluzioniClimatiche #EconomiaIdrogeno #TransizioneEnergetica
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mezzopieno-news · 1 year
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2400 KM CON UN CHILO DI IDROGENO: L’AUTO DEL RECORD
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2488 chilometri con un solo chilogrammo di idrogeno, l’Eco Runner XIII ha stabilito il record di percorrenza su strada per un’auto, coprendo la distanza più lunga di sempre con un pieno di carburante completamente pulito e senza emissioni.
La Eco-Runner XIII è il risultato di un progetto studentesco nato nel 2005 presso la TU Delft, la più grande università tecnica olandese. Ogni anno un team multidisciplinare di studenti lavora per migliorare e innovare la city car a idrogeno, con l’obiettivo di promuovere la mobilità sostenibile e dimostrare l’efficienza dell’idrogeno come carburante pulito e sostenibile. L’ultimo modello di Eco-Runner XIII è stato progettato per essere estremamente efficiente, sicuro, economico ed ecologico, entrando nel guinness dei primati. Il progetto si è concentrato sulla robustezza, la leggerezza e l’aerodinamicità del telaio per garantire un’alta efficienza senza aumentare il peso dell’auto.
L’auto rappresenta il risultato di anni di lavoro e miglioramenti, diventando oltre cento volte più efficiente dei veicoli a combustibili fossili attualmente sul mercato. Mentre stanno arrivando sulle strade i primi camion a idrogeno, anche le prime autovetture a idrogeno sono già in circolazione. La Toyota Mirai e la Hyundai Nexo sono attualmente le prime di serie che utilizzano una cella a combustibile a idrogeno come fonte di energia. Sulle strade aumenta il numero di veicoli a emissioni zero e secondo i giovani ricercatori della TU Delft, sarà importante integrare i motori dei veicoli alimentati a idrogeno con quelli elettrici a batteria, per raggiungere più in fretta la completa sostenibilità ambientale nei trasporti.
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Fonte: Eco Runner
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notiziariofinanziario · 3 months
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C’è anche l'energia nucleare nel futuro delle navi
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L'energia nucleare nelle navi è un’ipotesi promettente fra quelle sul tavolo. “E’ una scommessa di lungo periodo, non arriverà domani, e nemmeno dopodomani, però personalmente sono convinto che arriverà”, dice Massimo Debenedetti, amministratore delegato di Cetena, il centro studi e ricerca di Fincantieri, che con Rina, Newcleo e Ansaldo Nucleare ci sta lavorando, ora che all’orizzonte c’è lo sviluppo di reattori nucleari di quarta generazione, a costi accettabili, anche su “taglie” abbastanza ridotte. Obiettivo? Capire quali sono le tecnologie meglio integrabili a bordo di una nave.“L’idea che ci stiamo facendo – spiega Debenedetti – è che si possa realizzare un reattore impacchettato, con tutto il suo combustibile all’interno, in grado di durare vent’anni. Come dire che per vent’anni la nave non avrebbe la necessità di toccare porti per fare rifornimento. Ma non voglio generare aspettative sbagliate, è una cosa che vedremo in futuro. Salvo accelerazioni inaspettate, ritengo che vedremo qualche nave a propulsione nucleare per applicazioni non militari o non rompighiaccio dopo la metà del 2040. Anche se in Cina stanno lavorando molto in questo campo e potrebbe essere un fattore di accelerazione. Un’azienda cinese ha detto che si aspetta un “approval in principle”, cioè il primo passo per applicare un reattore su una nave mercantile, già nel 2025“.La premessa, quasi d’obbligo, è che Fincantieri, come azienda al vertice della filiera navalmeccanica mondiale “ha il dovere di essere tecnologicamente agnostica”, quindi di esplorare, molto prima di prendere l’ordine per la costruzione di una nave, tutte le opzioni e le soluzioni. E fra queste c’è appunto anche il nucleare. L’ottica è di lungo termine, perché ci sono complessità dal punto di vista tecnologico e normativo e anche di “sentiment” nell’opinione pubblica, anche se oggi qualcosa sta cambiando rispetto al passato. E le scorie? “Noi ci preoccupiamo, giustamente, delle scorie dei reattori nucleari – sostiene Debenedetti – Però l’industria nucleare ha sviluppato negli anni una filiera in grado di gestire e trattare le scorie nucleari creando anche valore. Per contro bruciamo da 150 anni combustibili fossili emettendo CO2 nell’atmosfera senza considerare il danno che fa. E c’è un altro tema: alcune tecnologie nucleari di quarta generazione promettono di utilizzare nei loro processi le scorie degli altri processi, producendo così a loro volta scorie meno reattive”. Oggi ci sono sommergibili, rompighiaccio e portaerei a propulsione nucleare. Non ancora navi merci o passeggeri. Un’ipotetica road map di penetrazione del nucleare sul mercato navale, secondo Debenedetti, vede la prima tappa su naviglio militare di taglia ridotta rispetto alle applicazioni attuali, la seconda sul trasporto merci di lungo raggio, mentre sulle navi passeggeri difficilmente vedremo questa tecnologia.  “Il nucleare su una nave passeggeri è difficile da accettare – dice – Non è una questione tecnologica, ma di accettabilità da parte del cliente finale e anche una questione di contributo all’emissione globale di Co2. Sappiamo che il settore marittimo contribuisce all’emissione globale di CO2 per un po’ meno del 3%. E all’interno di questo ci sono le navi da crociera. Se devo immaginare una soluzione tecnologica per le navi da crociera, penso a idrogeno a celle combustibili per la parte alberghiera, motore a combustione interna con biocarburanti per la propulsione: quella è una nave a emissioni zero. Senza scomodare il nucleare”. Le opzioni per il futuro “green” del settore navale, possono essere diverse. Non c’è un’unica tecnologia o un unico carburante per arrivare al traguardo fissato dall’Imo di emissioni zero entro il 2050. Ce ne sono e ce ne saranno diversi, a seconda dell’utilizzo della nave. “Oggi siamo in un momento molto particolare per chi costruisce navi, per chi le esercisce, per chi le classifica e per chi è un componente del sistema di approvvigionamento – riflette l’ad di Cetena – Diversamente dal passato, mai ci siamo trovati nella storia a dover progettare, realizzare ed esercire una nave senza sapere esattamente quale sarà il carburante”.  Elettrico per la navigazione a corto raggio, Gnl su tratte più lunghe e combustibili a bassa impronta carbonica che non obbligano a cambiare il motore: sono le ipotesi più accreditate, confermate di recente anche dal viceministro delle Infrastrutture e Trasporti, Edoardo Rixi. Poi c’è l’idrogeno, ma comporta un motore nuovo per la nave e richiede grandi spazi e l’ammoniaca, che però “pone problemi di sicurezza e di stoccaggio”, completa il manager. E, appunto, il nucleare. Read the full article
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flyeurope · 7 months
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Mobilità sostenibile a Roma: inaugurata la prima stazione di idrogeno circolare
Roma inaugura la prima stazione di rifornimento di idrogeno circolare e si posiziona all'avanguardia nella promozione della mobilità sostenibile grazie ad un ambizioso progetto che mira a ridurre le emissioni di CO2. Questa innovazione rappresenta un importante passo verso un futuro più pulito e sostenibile per la mobilità delle città italiane.  Mobilità sostenibile a Roma: nuovo progetto, nuovo approccio Questa iniziativa, sviluppata da MAIRE nel contesto del progetto UE "IPCEI Hy2Use", offre un approccio circolare che riduce al minimo le emissioni di CO2, producendo idrogeno attraverso il primo impianto waste-to-hydrogen in Italia.  L'inaugurazione ha visto la partecipazione di rappresentanti istituzionali del governo, della Regione Lazio e del Comune di Roma, sottolineando l'importanza di questa iniziativa per lo sviluppo della mobilità sostenibile e la transizione energetica. Roma si prepara così a un futuro sostenibile, dimostrando la volontà di adottare soluzioni innovative per l'energia e il trasporto, e diventando una delle città all'avanguardia nella lotta al cambiamento climatico. Idrogeno circolare a Roma: la nuova frontiera della mobilità sostenibile La collaborazione tra Q8, la compagna petrolifera internazionale, e Maire (gruppo societario italiano attivo nel settore ingegneristico) ha portato alla realizzazione a Roma della prima stazione di rifornimento di idrogeno circolare. Questo progetto rappresenta un importante passo avanti nella promozione della mobilità sostenibile nella capitale italiana.  La stazione, che sarà presto aperta al pubblico, presenta le seguenti caratteristiche: - Capacità di rifornimento fino a circa 700 kg al giorno. - Rifornimento per veicoli leggeri e pesanti, sia pubblici che privati. - Contribuisce a ridurre l'impatto ambientale del trasporto su strada. L'inaugurazione di questa stazione è stata un evento di prestigio, con la presenza del Ministro Salvini, sottolineando l'importanza dell'idrogeno e dei biocarburanti per raggiungere la neutralità tecnologica. Questo progetto rappresenta una pietra miliare per la mobilità sostenibile, offrendo un punto di svolta nella distribuzione di un carburante a ridotto impatto ambientale. MyRechemical e Q8: trasformare i rifiuti in soluzioni sostenibili La tecnologia all'avanguardia del progetto Q8, chiamata "Waste to Chemical", rappresenta un importante contributo alla gestione sostenibile dei rifiuti. Questo innovativo processo converte i rifiuti non riciclabili in idrogeno circolare, riducendo l'impatto ambientale e promuovendo l'economia circolare. Grazie a questa tecnologia all'avanguardia, l'impianto Q8 di Roma diventa un punto di riferimento per la sostenibilità e l'efficienza energetica. L'impianto di rifornimento ad idrogeno circolare offre servizi per veicoli leggeri e pesanti, sia pubblici che privati, rappresentando un'alternativa promettente per il trasporto. Questo contribuisce alla mobilità sostenibile, riducendo le emissioni di gas serra nel settore dei trasporti. L'idrogeno come fonte energetica fornisce un'opzione pulita ed efficiente per i cittadini di Roma. Durante la cerimonia inaugurale, l'azienda Q8 ha presentato il suo ultimo prodotto, il biocarburante HVO+. Questo innovativo carburante formulato con materie prime rinnovabili abbatterà fino al 90% delle emissioni, contribuendo alla riduzione dell'impatto ambientale del settore dei trasporti e promuovendo la mobilità sostenibile. Grazie all'utilizzo dell'idrogeno circolare, le emissioni di CO2 verranno ridotte di oltre il 75% rispetto all'uso del diesel. La stazione di rifornimento si basa su una soluzione sviluppata da MyRechemical, una società controllata da NextChem, che trasforma scarti non riciclabili in idrogeno circolare. Questa tecnologia innovativa contribuisce alla riduzione delle emissioni e del consumo di gas e promuove la sostenibilità ambientale. Una svolta per la mobilità sostenibile Roma si prepara così a un futuro sostenibile, dimostrando la volontà di adottare soluzioni innovative per l'energia e il trasporto, e dimostrando di essere una delle città all'avanguardia nella lotta al cambiamento climatico. L'investimento governativo conferma l'importanza e l'impatto positivo di questa stazione di rifornimento, che si pone come esempio di come la collaborazione tra aziende specializzate e il sostegno del governo possano portare a risultati concreti nella riduzione delle emissioni di carbonio e nell'adozione di fonti energetiche più pulite. L'idrogeno circolare si profila come un'alternativa valida al diesel tradizionale, aprendo nuove opportunità per la mobilità sostenibile e promuovendo una transizione energetica più verde per il futuro di Roma e dell'Italia.  Fonte: Studio PrestoEnergia Read the full article
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NOVITA - DECARBONIZZATORE A IDROGENO
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E’ arrivato in officina il nuovo HYDROMAVERICH ECLEANER 4.0 !!
Hydromaverich Ecleaner è un dispositivo generante idrogeno dall’acqua distillata per la pulizia interna dei motori e scarico.
Nello specifico il dispositivo Ecleaner è in grado di ridurre i depositi carboniosi depositati al interno del motore con un processo chimico di combinazione idrogeno carbonio e distruggendoli.
I componenti interessati alla pulizia sono: 
Valvola EGR
Turbina,
Valvole
Iniettori,
Pistone, 
FAP (filtro anti particolato)
Scarico
Il dispositivo è applicabile a tutti i tipi di motore endotermici: benzina, diesel , gpl, metano. Con il trattamento #Hydromaverich #Ecleaner puoi eliminare i residui di combustione accumulati nel tempo, restituendo fluidità di guida all'auto e migliora le prestazioni del motore, diminuendo i consumi e l'inquinamento.
Tra i benefici riscontrati ci sono: 
Recupero dei cavalli e coppia persi col tempo
Riduzione del consumo di carburante
Risolve il problema del filtro anti-particolato sui diesel
Recupero di fluidità di marcia
Eliminazione di fumo dal gas di scarico
La procedura dura circa 2h può variare se ci sono intasamenti importanti da risolvere.Contattaci per maggiori informazioni:
Tel. 0863 59205 - Cell. 329 2474764 Sito: www.tecnogommelancia.com  E-mail: [email protected] A presto
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L'ENERGIA DELL'UNIVERSO: L'IDROGENO
L’ENERGIA DELL’UNIVERSO: L’IDROGENO
L’ENERGIA PULITA PER UNO SVILUPPO E UNA MOBILITA’ SOSTENIBILI Tra i tanti elementi che compongono la materia, l’idrogeno è il più leggero e il più abbondante. Primo elemento chimico della tavola periodica, costituisce quasi il 90% della massa visibile dell’universo, per la maggior parte nella sua forma gassosa, costituita da una semplice molecola a due atomi (H2). Dopo i primi esperimenti in…
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kon-igi · 2 years
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Ciao Kon, da sempre ti considero un pozzo di scienza :D Mi chiedevo se potessi dirmi cosa ne pensi dell'idrogeno verde, investire in questo carburante potrebbe ridurre la nostra dipendenza dal gas (russo o meno). Poi ti chiedevo se potessi aggiornarci sulle bricchette di carta :) Ciao
Sì, bravə... fammela la domanda che mette assieme chimica e ingegneria e poi spera pure che non stiacci tre moccoli asserpentati di fila.
Dunque, come vedi l’idrogeno è una doppia mentos con la sigla dell’ospedale
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Si tratta della sostanza più presente nell’universo e siccome è molto leggera alcuni geni hanno deciso di metterla dentro un dirigibile per volare
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però siccome è anche molto infiammabile, poi non l’hanno fatto più.
Visto che è molto infiammabile, altri geni hanno pensato ‘Ma perché non lo usiamo come combustibile?’ e in effetti QUELLA era una vera genialata, se non che gira che ti rigira si sono accorti che non ce n’era granché di quelle doppie mentos nell’atmosfera.
DOVE ERANO FINITE?!
Qua 
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Bastava mangiare quella Caramella alla liquirizia e quell’Orsetto gommoso alla fragola per avere tutte le mentos con la sigla dell’ospedale.
Come? Cosa?
Ah, ok... mi dicono che la prima è una molecola di METANO (CH₄) e la seconda una molecola di ACQUA (H₂O) ma che riuscire a prendere le mentos da queste sostanze è sia complicato che dispendioso.
LA STORIA DI GIGGINO ER TROMBETTA
In un paesino in provincia di Fregene c’è un tizio che tutti chiamano Giggino er Trombetta per una sua caratteristica unica e peculiare...
Giggino scorreggia idrogeno puro.
Gli ingegneri della Eni, saputa la cosa, gli hanno prontamente inserito un gasdotto di notevoli dimensioni nel culo in cambio di vitto, alloggio e un pacchetto di Toscanelli a settimana.
Giggino ha un EROEI (Energy Returned On Energy Invested, ritorno energetico sull'investimento energetico) molto molto basso cioè produce grosse quantità di idrogeno con piccole spese di sostentamento.
La stessa cosa non può dirsi dell’idrogeno scisso da H₂O tramite idrolisi che necessita di grosse quantità di energia (come viene prodotta tale energia?) o per quello scisso dal metano tramite steam reforming (però bisogna averlo, il metano) e infatti tale idrogeno è detto GRIGIO, cioè prodotto con un dispendio energetico superiore a quello che avremo usandolo poi come combustibile.
L’IDROGENO VERDE, invece, viene prodotto da H2O ma UTILIZZANDO FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI come l’energia eolica o solare.
MA
Già NON È FISICAMENTE E STRUTTURALMENTE POSSIBILE supplire alle nostre richieste energetiche del breve periodo con i parchi eolici e fotovoltaici a nostra disposizione, figuriamoci usare tale energia per produrre idrogeno.
Si parla di investimenti finanziari ed etici che dobbiamo fare per vederne i frutti nei decenni a venire.
E per concludere, se l’EROEI di Giggino er Trombetta è prossimo allo zero, questo non può comunque dirsi di pale eoliche e pannelli fotovoltaici che a fronte del prodotto finito - rotante e fotoassorbente - deve tenere conto del:
carburante usato per estrarre il silicio dei pannelli
carburante usato per il trasporto del silicio nelle fabbriche
energia usata per la raffinazione di silicio elettronico
energia usata per la produzione di fibra di vetro per le pale
carburante usato per il trasporto di pale e pannelli
energia usata per l’assemblamento e la posa
energia per il benessere e il sostentamento di tutti gli operai di tale filiera
UNA FONTE DI ENERGIA POTRÀ DIRSI VERAMENTE GREEN QUANDO PER OGNI SUO PASSAGGIO VERRÀ A SUA VOLTA UTILIZZATA UNA FONTE DI ENERGIA RINNOVABILE.
Intanto cominciamo... ma non certo per far dispetto a Putin per Natale.
P.S.
Le bricchette di carta hanno un EROEI così alto di bestemmie che le ho regalate a Giggino er Trombetta che se le fuma al posto dei Toscanelli.
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albertoazario · 5 years
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Idrogeno dalla Plastica: nasce così il carburante del futuro?
di Alberto Azario
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L’enorme quantità di rifiuti di plastica che produciamo ogni giorno è uno dei maggiori problemi ambientali che ci troviamo a dover affrontare nel nostro tempo. Articolo completo Idrogeno dalla Plastica: nasce così il carburante del futuro?
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novanews24 · 4 years
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h1srltruffa · 4 years
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IDROGENO.
Nel 1781 egli scrisse: “L’acqua è la grande vasca, dove la natura trova la massa del carburante, che si forma continuamente sotto i nostri occhi: la cellula e la vegetazione possono essere i suoi grandi mezzi”. Nel 1776, anche lo scienziato olandese Martinus van Marum (1750-1837) fece vari esperimenti con l’elettricità.
Durante uno di questi esperimenti generò, mediante elettrolisi, OSSIGENO e GAS DI IDROGENO e scoprì, forse per caso, che questa miscela avrebbe potuto essere accesa da una scintilla elettrica.
Nel 1918 Charles H. Frazer (1891-1944) brevettò il primo “Booster ad idrogeno”: cioè un sistema di motori a combustione interna.
(USA Patent. No. 1.262.034) Frazer dichiarò che la sua invenzione:
aumenta l’efficienza dei motori a combustione interna
effettua la combustione completa degli idrocarburi
mantiene il motore più pulito e con minori costi successivi di manutenzione
utilizza minor carburante a parità di prestazioni
Tra il 1943 e il 1945, alla fine della seconda guerra mondiale e a causa della grave carenza di combustibile convenzionale, l’esercito inglese utilizzò generatori di fiamme ossidriche nei suoi carri armati, barche e altri veicoli per ottenere una migliore resa chilometrica e prevenire il surriscaldamento del motore dei veicoli utilizzati in Africa.
Usarono nei generatori impianti che assomigliano agli odierni risparmiatori di carburante HHO.  (Subito dopo la guerra il governo ordinò di rimuovere e distruggere tutti questi generatori dai veicoli.)
Nel 1974 Yull Brown (1922-1998), (che era originariamente uno studente bulgaro di nome Ilya Velbov),
arrivò dall’Australia e presentò un brevetto per il suo disegno di un elettrolizzatore di gas di Brown e trascorse il resto della sua vita cercando di fare del gas di Brown un successo commerciale. Sono stati spesi circa 30 milioni di dollari e impiegati quasi 30 anni in questo sforzo. Grazie a lui e al suo impegno oggi, questo gas particolare si chiama “GAS DI BROWN” .
 Nel 1977 la NASA Lewis Research Centre ha condotto una serie di test utilizzando l’Idrogeno su un grande motore V8 completamente funzionante e montato su un banco prova. I risultati sono stati sorprendenti in termini di efficienza di combustione e riduzione dei consumi e delle emissioni nocive. Da quell’esperimento ne sono derivati i booster ad idrogeno con i quali la NASA manda gli shuttles nello spazio.
Scarica la ricerca NASA sull’idrogeno HHO dove viene dimostrato che i motori a combustibile idrogeno supplementare richiedono meno carburante e producono meno emissioni di carbonio.
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topicsfromatoz · 7 days
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1 IDROGENO, ELEMENTO CHIMICO COLLEGA L'UNIVERSO, LA VITA E LA TECNOLOGIA #AtoZ_TAVOLA_PERIODICA
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L'idrogeno è l'elemento chimico più leggero e abbondante nell'universo, simboleggiato con "H" e con numero atomico 1. È un blocco fondamentale della materia, forma stelle e pianeti e svolge un ruolo cruciale nei processi vitali sulla Terra. L'idrogeno è incolore, inodore, insapore e non tossico. È altamente infiammabile e può rilasciare notevole energia quando viene combusto, rendendolo una potenziale fonte di carburante pulito. Come soluzione energetica verde, l'idrogeno è esplorato per l'uso in celle a combustibile per alimentare veicoli, generare elettricità e ridurre le emissioni di carbonio. Può essere prodotto dall'acqua tramite elettrolisi o da idrocarburi. Sebbene abbia un grande potenziale per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, sfide come stoccaggio, trasporto e costi devono essere affrontate per consentirne l'uso diffuso. L'idrogeno giocherà probabilmente un ruolo vitale nel futuro delle energie rinnovabili.
#Idrogeno #EnergiaPulita #CarburanteRinnovabile #TecnologiaVerde #CelleCombustibile #FuturoEnergia #EnergiaSostenibile #SoluzioniClimatiche #EconomiaIdrogeno #TransizioneEnergetica
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mezzopieno-news · 2 years
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IL MOTOGP AVVIA L’USO DEL BIOCARBURANTE
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Il campione di motociclismo Marc Marquez, con il team Repsol e Honda, ha utilizzato per la prima volta carburante rinnovabile ideato da Repsol, con l’obiettivo di mantenere le stesse prestazioni in pista riducendo significativamente le emissioni nette di CO2. Il circuito di Jarama in Spagna ha rappresentato l’inizio della nuova epoca della MotoGP™ per avviare l’uso del carburante rinnovabile a partire dalla stagione 2024.
Gli organizzatori del campionato del mondo MotoGP™ hanno stabilito un calendario in cui la maggiore competizione motociclistica del mondo dovrà utilizzare un minimo del 40% di carburante non fossile dal 2024, fino a raggiungere il 100% dal 2027. In termini di biocarburanti altre competizioni come il Rally Dakar e la serie francese di Formula 4 stanno già utilizzando carburante al 100% di origine non fossile da quest’anno. Nella la prima metà del 2023 Repsol avvierà il primo impianto di biocarburanti avanzati in Spagna, a Cartagena, che produrrà 250.000 tonnellate di combustibili rinnovabili dai rifiuti. “È stato un test positivo, dato che mi sentivo bene e non ho notato differenze nell’utilizzo del biocarburante, che alla fine è l’obiettivo: mantenere un alto livello di prestazioni” ha dichiarato Marc Marquez. “La differenza è come produciamo questi carburanti rinnovabili e ne abbiamo due tipi importanti: Advanced biocarburanti che derivano da residui di biomassa e quelli sintetici che vengono prodotti catturando C02 e idrogeno rinnovabile” spiega Dolores Cardenas di Repsol Technology Lab.
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Fonte: Moto GP
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notiziariofinanziario · 8 months
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La produzione di idrogeno verde è tra gli obiettivi dell’Unione Europea
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L’idrogeno verde è visto da molti come alternativa ai combustibili fossili. La produzione di idrogeno verde è tra gli obiettivi dell’Unione Europea descritti nel piano REPowerEU: l’orizzonte di produzione previsto è di circa 10 milioni di tonnellate, oltre a ulteriori 10 milioni da importare, entro il 2030. Su carta, i benefici dell’idrogeno verde sono interessantissimi: abbatte le emissioni di CO2 nell’atmosfera, è un sostituto perfetto dell’idrogeno di origine fossile e può essere stoccato con relativa facilità. Ci sono, però, anche delle criticità importanti che riguardano questo combustibile, primo fra tutti i costi di produzione, ma anche la sostenibilità dell’intera filiera produttiva. Green hydrogen: a che punto siamo oggi? L’idrogeno verde si ottiene attraverso il processo di elettrolisi. Per via delle sue caratteristiche e dell’impatto ambientale ridotto rispetto all’idrogeno fossile, il green hydrogen viene definito "carburante rinnovabile di origine non biologica".  Attualmente, l'Unione Europea ha adottato un approccio specifico per la produzione e l’utilizzo di idrogeno verde, delineato nel piano REPowerEU e in un pacchetto di linee guida verticali sul tema, la strategia UE per l’idrogeno. Per supportare ulteriormente lo sviluppo dell'idrogeno, l'UE ha introdotto il pacchetto Fit-for-55 e il pacchetto Mercato dell'idrogeno e del gas decarbonizzato, proponendo obiettivi per l'adozione dell'idrogeno rinnovabile nell'industria e nei trasporti entro il 2030.  Non solo: nel 2023 la Commissione UE ha proposto l’istituzione di una Banca Europea dell'Idrogeno, nata per creare sicurezza negli investimenti e opportunità commerciali nella produzione di idrogeno rinnovabile, sia a livello europeo che globale. Questa iniziativa mira a sbloccare investimenti privati nelle catene del valore dell'idrogeno, collegando l'offerta di energia rinnovabile alla domanda dell'UE e affrontando le sfide iniziali degli investimenti. Da questo punto di vista, è facile capire quanto l’UE abbia investito (e stia investendo) nell’idrogeno verde come forma di combustibile alternativa a quelli tradizionali come il petrolio. I problemi dell’idrogeno verde L’idrogeno verde, però, presenta tantissime sfide e altrettante domande aperte. Le risposte da parte degli studiosi non sono sempre positive: ad esempio, nel rapporto “L’illusione dell’idrogeno verde” basato su una ricerca elaborata da Leonardo Setti (Università di Bologna) e Sofia Sandri (Centro per le Comunità Solari), vengono illustrate le criticità più importanti sulla produzione dell’idrogeno verde. Uno dei punti dibattuti riguarda il consumo di acqua. Il processo di elettrolisi, infatti, richiede una grande quantità di acqua: circa 9 litri per ogni chilogrammo di idrogeno. Di conseguenza, per produrre 1 tonnellata di idrogeno, serviranno circa 9.000 litri di acqua.  La strategia italiana prevede una produzione di 700.000 tonnellate di idrogeno all'anno entro il 2030: ci sarebbe, quindi, un consumo annuo di circa 6,3 milioni di metri cubi d'acqua. Questo consumo potrebbe aumentare fino a 0,6 miliardi di metri cubi entro il 2050, rappresentando lo 0,3% del consumo totale di acqua dolce in Europa.  I problemi, però, non sono legati solo alla produzione: anche lo stoccaggio, la compressione e il trasporto dell'idrogeno richiedonograndi quantità di energia, specialmente se l'idrogeno viene trasportato in forma liquida. Altro aspetto importante è il tasso di evaporazione dell’idrogeno verde, che si attesta sullo 0,4% al giorno: ciò vuol dire che, dopo circa quattro mesi, metà del suo contenuto energetico originale sarebbe disperso.  E ancora, secondo quanto definito dal report, la potenza necessaria per comprimere l'idrogeno per il trasporto è circa tre volte maggiore rispetto a quella richiesta per i normali gasdotti, con un dispendio di energia importante. Ultimo, ma non per rilevanza, è il problema del consumo del suolo: secondo quanto riportato su ReCommon, che ha pubblicato il rapporto, “per raggiungere l’obiettivo del piano strategico italiano di una potenza di elettrolizzatori pari a 5 GW, bisognerebbe realizzare 50 elettrolizzatori da 100 MW, per cui sarebbe necessaria una superficie complessiva di 550 mila ettari di parco eolico o 43.100 ettari di parco fotovoltaico. 5500 Kmq equivalgono alla superficie delle province di Modena e di Reggio Emilia messe insieme.” I costi di produzione e i rincari fino al 65% Altra nota dolente che riguarda l’idrogeno verde sono i costi di produzione. Secondo uno studio condotto dalla società McKinsey, su richiesta dell’Hydrogen Council, negli ultimi dodici mesi il costo di produzione dell'idrogeno verde ha registrato aumenti fortissimi, tra il 30% e il 65%. Questi rincari sono legati principalmente all'aumento dei costi dell'energia rinnovabile, al prezzo degli elettrolizzatori (i macchinari usati per estrarre l'idrogeno dall'acqua) e all’inflazione. Le prospettive (e le aspettative) per il settore dell'idrogeno verde in Europa sono dunque decisamente peggiorate negli ultimi due anni. Le stime iniziali prevedevano che i costi di produzione scendessero sotto i 3€ al chilogrammo entro la fine del decennio. Se, però, guardiamo alle attuali previsioni, i costi sono compresi tra 5€ e 8€ al chilogrammo, un livello che richiederebbe investimenti governativi molto più elevati di quelli attualmente previsti. Gli aumenti, ovviamente, hanno destabilizzato gli investitori, che stanno perdendo fiducia in questa risorsa. C’è da dire, però, che l’attenzione mondiale verso l’idrogeno verde è altissima e sono sempre di più i progetti che puntano a nuovi modi per produrre questo combustibile in modo più sostenibile. Read the full article
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daniela--anna · 4 years
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🦋Caligo Memnon
Tra le farfalle più suggestive troviamo la Caligo Memnon, un insetto unico nel suo genere poiché il colore delle sue ali ricorda gli occhi di un gufo grazie a delle macchie circolari dette “ocelli”.
🦋Secondo studi recenti, tali chiazze di colore servono ad intimorire i loro più temuti predatori.
🦋Ma le ali delle farfalle in generale, non sono solo di straordinaria bellezza, in esse sono custoditi straordinari segreti di bioingegneria, da cui l'uomo ha potuto trarre spunti per costruire moderne ed efficienti apparecchiature e/o dispositivi.
(Biomimesi)
🦋Al riguardo, notate cosa ne dice questa studiosa:
"Le ali della farfalla possono essere classificate tra le strutture più delicate presenti in natura”, afferma Science Daily, “eppure sono un’ottima fonte d’ispirazione per i ricercatori a caccia di nuove tecnologie in grado di raddoppiare la produzione di idrogeno, il carburante ecologico del futuro, a partire dall’acqua e dalla luce del sole”. Altre applicazioni promettenti includono strumenti ottici e celle solari."
🦋 Anche la struttura stessa delle ali che sono ricoperte da sottilissime e piccolissime lamelle volte tutte nello stesso verso, hanno dato spunto all'ideazione di tessuti ad effetto lucido e morbido, come per esempio velluto e ciniglia. Tessuti che permettono la confezione di abiti e rivestimenti di delicata fattura, ma estremamente resistenti. 📖Per un interessante approfondimento leggere
gli articoli "Le ali della farfalla: frutto di un progetto?" nel sito jw.org (Foto di @maurosolomauro )
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levysoft · 5 years
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10 cose che nessuno sa su Chernobyl
L’impianto di Chernobyl era composto da quattro reattori da 1000 MW ognuno, che producevano un decimo di tutta l’energia elettrica ucraina. Il primo reattore fu commissionato nel 1977, il secondo nel 1978, il terzo nel 1981, il quarto (quello che subì l’incidente) nel 1983. Si trattava di reattori del tipo Rbmk-1000 (РБМК – Реактор Большой Мощности Канальный, ossia Reaktor Bolshoi Moshchnosty Kanalny, che significa ‘reattore di grande potenza a canali’), prodotti solo in Unione Sovietica. Era stato progettato per produrre elettricità  ma anche plutonio. Utilizzava acqua naturale per il raffreddamento e grafite come moderatore: così era possibile adoperare l’uranio naturale come combustibile abbassando notevolmente i costi di costruzione ed esercizio. Ecco perché l’energia elettrica costava meno. Il problema è che un impianto così è intrinsecamente instabile, perché in assenza di acqua, invece che spegnersi (come molti reattori occidentali) impenna la potenza fino a conseguenze estreme. Il disastro è servito di lezione al mondo, non solo comunista: da lì in poi si è avviato un gigantesco ripensamento delle politiche energetiche nazionali.
C’era già stato un incidente nucleare tre anni prima
La sala controllo di Chernobyl, da dove nel 1982 spensero il reattore n.1 per il primo incidente al nucleo. Non ebbero la stessa prontezza nel 1986, con il reattore n.4.
Il 9 settembre 1982 nel reattore n.1 della centrale nucleare di Chernobyl si verificò un incidente accompagnato dal rilascio di sostanze radioattive nell’ambiente. L’incidente fu causato dalla rottura del canale di carburante del reattore, che portò a un rilascio di un elevato picco di radioattività. All’esterno della centrale furono rilevati alti tenori di iodio e cesio 137. Il reattore rimase spento per mesi, poi fu riparato e riacceso.
Delle tre azioni d’emergenza nei giorni successivi al 26 aprile 1986, due sono state controproducenti
Da questa foto si vede l’ammasso di materiali gettati da 1.800 elicotteri nel cratere radioattivo.
Nelle ore immediatamente successive all’esplosione, in sequenza, si è deciso di pompare acqua nel cratere del reattore per raffreddarlo, poi sparare azoto liquido e iniettarlo nel suolo, poi si è tentato di seppellirlo con carichi di sabbia e boro gettati dall’alto da 1.800 elicotteri. L’azoto liquido iniettato nel terreno ha funzionato. Non così l’acqua, che anzi reagiva con la grafite e il metallo incandescente dei tubi producendo idrogeno, cortocircuiti ed altre esplosioni, né la sabbia degli elicotteri, la gran parte della quale si disperdeva mancando il bersaglio ma che soprattutto aumentò il riscaldamento del nocciolo impedendo lo scambio di calore con l’atmosfera. Il 9 maggio 1986, le 5.000 tonnellate di boro, dolomia, argilla e carburo di boro scaricate nei primi giorni sul reattore per tentare di soffocare l’incendio della grafite e tamponare la fuoriuscita di radiazioni, gravarono sulle strutture già incrinate e crollarono ulteriormente dentro la voragine. Da questo nuovo crollo si sprigionò un’ulteriore, più debole, colonna di fumi radioattivi in un raggio di 35 chilometri (già evacuati) attorno alla centrale.
Secondo gli esperti vi erano buone possibilità che il nocciolo ancora incandescente e pieno di attività potesse sprofondare ulteriormente arrivando a contatto con l’acqua delle falde, causando così nuove esplosioni di vapore. Vennero chiamati dei minatori che lavorarono a braccia sotto il reattore scavando un tunnel per inserire sistemi di raffreddamento nei livelli inferiori della centrale.
Chernobyl produceva anche plutonio militare e questo ha inciso sulla sicurezza
A Chernobyl si produceva plutonio per usi militari.
La scelta di consentire la produzione di plutonio di grado militare in un reattore civile fu particolarmente infausta. Fu necessaria l’introduzione di grandi gru sopra il nocciolo del reattore per consentire la movimentazione del combustibile senza spegnere il reattore. Questo portò a costruire edifici molto alti, oltre 70 metri, impossibili da realizzare con le dovute caratteristiche di robustezza e tenuta ai fini della sicurezza nucleare. L’edificio di contenimento infatti aveva le caratteristiche solo di una normale costruzione civile. La produzione di plutonio militare inoltre richiedeva di far andare gli impianti a temperature troppo alte per gli standard di sicurezza: infatti a regime la temperatura della grafite era di 600 °C, con punte di 700 °C, prossime a soglie di reazione tra i materiali pericolosissime.
C’è un ponte ferroviario che fu ribattezzato “della morte”
Il ponte sulla ferrovia di Prypiat.
Spettrale il quadro del racconto della sera dopo l’incidente, quando ancora incredibilmente non era stata decisa l’evacuazione della città di 47mila abitanti. Certo, l’incendio della grafite che s’innalza con fiamme multicolori e luci arcobaleno oltre la coltre di fumo, di sera, doveva essere spettacolare. Tanto da attirare la curiosità di tutti. Sì, perché 24 ore dopo l’esplosione, gli abitanti di Pripyat erano ancora tutti lì. Quindi hanno pensato di andare, con le loro famiglie o gli amici, a contemplare lo spettacolo dal punto più panoramico, il ponte della ferrovia, da cui la vista era perfetta. Quello che non sapevano e che nessuno gli aveva detto è che la lieve brezza serale portava con sé 500 Roentgen/h di radioattività. Sono morti tutti dopo poco.
Si son svolte battute di caccia ai cani abbandonati. Per eutanasia
Le strade abbandonate delle città intorno a Chernobyl.
Sono state organizzate nei mesi successivi battute di caccia intorno al perimetro vietato per sparare a tutti i cani abbandonati dai residenti in fuga. Una misura all’apparenza crudele, con qualche retroscena. Uno degli scopi era evitare che si spargesse ulteriormente la radioattività attraverso i corpi degli animali randagi e morenti in fuga. Un altro era evitare che questi branchi di cani, inselvatichendosi, potessero attaccare gli operai addetti alla decontaminazione. Infine, per eutanasia: una morte rapida era forse preferibile a un’agonia da fame, da radioattività, o alla procreazione di cucciolate deformi. “Durante le battute di caccia, i cani erano vicino alle loro case, attendevano il ritorno dei padroni – è il racconto straziante di Viktor Verzhikovskiy, capo dell’associazione locale di cacciatori di Khoyniki – ed erano felici di vederci, accorrevano verso di noi. Gli sparavamo nella loro casa, o nel loro giardino. Poi dovevamo caricare le carcasse sui camion. Non è stato piacevole, per niente. Loro non potevano capire: perché li stavamo uccidendo? Erano facili da uccidere, erano domestici, affettuosi, non temevano né la gente, né i fucili”.
I turni dei liquidatori erano di 40 secondi
Liquidatori al lavoro. Potranno lavorare solo per 40 secondi. Le tute saranno gettate via subito. E le radiazioni stavano aggredendo la pellicola fotografica, da sotto.
Il livello di radiazioni nell’edificio è tale da bruciare le pellicole delle macchine fotografiche in pochi secondi e di distruggere anche i veicoli telecomandatiinviati da Germania, Urss e Giappone. Era assolutamente necessario sgombrare il campo dai detriti di grafite radioattivi, capaci di fulminare di radiazioni chiunque entrasse in contatto. Hanno tentato di farlo con piccole ruspe telecomandate, come fossero modellini, che però andavano in tilt a causa delle radiazioni. Hanno tentato perfino di riconvertire a questo uso i rover pensati per le esplorazioni lunari, attrezzandoli con benne e paratie di piombo, senza successo. Alla fine, si è fatto ricorso a liquidatori, centinaia di migliaia di operai specializzati. Tra i 600.000 liquidatori si trovano anche coloro che si adoperarono per la costruzione del sarcofago esterno. I primi due anni 1986-1987 furono più di 200mila gli addetti che si alternarono prima per la pulizia poi per la realizzazione dello scudo protettivo. Il reattore necessitava di essere isolato al più presto possibile assieme ai detriti dell’esplosione, che comprendevano 180 tonnellate di combustibile e pulviscolo altamente radioattivo e 740.000 metri cubi di macerie contaminate. Venivano vestiti con tute di piombo che già dopo una volta divenivano inutilizzabili. Entravano nella zona in veicoli coibentati, poi raccoglievano e gettavano via detriti di grafite per 40 secondi ed erano costretti a ripiegare immediatamente. Oltre, avrebbero assorbito una dose letale di radiazioni.
Il capo degli scienziati si è suicidato
Valerij Legasov, all’epoca 49enne.
Valerij Legasov era uno dei più eminenti scienziati russi, chimico di formazione. È stato protagonista di una rapidissima scalata nelle cerchie sovietiche – e nel Partito Comunista – fino a diventare vicedirettore dell’istituto I. V. Kurchatov per l’energia atomica: l’istituto dove sono stati progettati proprio i reattori Rbmk, quelli di Chernobyl. È stato anche a capo  della commissione scientifica d’emergenza mandata sul luogo dell’esplosione poche ore dopo, per gestire le prime operazioni. Nei mesi successivi, assunse una posizione contraria alla versione per cui la colpa era tutta degli addetti. La sua ostinazione, però, gli rovinò la carriera. Con la sua reputazione in bilico, la bocciatura del suo progetto di riforma della comunità scientifica sovietica, la salute che si stava deteriorando proprio a causa delle radiazioni assorbite e, forse, anche il peso delle vittime sulla coscienza, il 27 aprile del 1988 (poco dopo il secondo anniversario dell’ecatombe nucleare) Legasov si è impiccato.
Uno degli ingegneri riconosciuto colpevole del disastro è tornato a lavorare in una centrale nucleare
Nikolai Bryukhanov (a sinistra, direttore dell’impianto), Anatolij Dyatlov (al centro, vice capo ingegnere, colui che obbligò gli operatori a proseguire il test nonostante gli allarmi) e Nikolai Fomin, capo ingegnere dell’impianto.
Il Politburo ha riconosciuto colpevoli sei dirigenti di Chernobyl incriminati già a luglio 1986, ma non ha ammesso alcun difetto di progettazione del reattore Rbmk, in quanto avrebbe minato la credibilità delle tecnologie della superpotenza sovietica. Uno di costoro, il capo ingegnere Nikolai Fomin, durante la reclusione è stato dichiarato non sano di mente nel 1990 e trasferito in un ospedale psichiatrico. Incredibilmente, certificata poi la sua guarigione, gli è stato consentito di tornare al lavoro nella centrale nucleare di Kalinin, vicino a Mosca.
Sciacallaggio radioattivo
C’erano anche ex agenti di polizia tra i trafficanti di metallo (radioattivo) proveniente dalle città evacuate.
Da anni a Prypiat e nella ventina di villaggi evacuati permanentemente avvengono razzie negli appartamenti ormai disabitati. Il tribunale di Kiev ha più volte condannato gli autori di sciacallaggio, pericoloso non solo a termini di legge, ma perché trafugare metalli e materiali che hanno assorbito così alte dosi di radiazioni per fonderli e rimetterli in circolo rischia di spargere avvelenamento nucleare.
C’è ancora dentro lava radioattiva che rischia ancora di esplodere, e sarà così per secoli
Artur Korneyev, vicedirettore del progetto “sarcofago”, analizza la lava radioattiva dentro il reattore di Chernobyl, 1996.
La temperatura all’interno del sarcofago raggiunge in alcuni punti, ancora oggi, 1.000 gradi centigradi in prossimità del nocciolo. Scoperta per la prima volta da una spedizione all’interno del reattore condotta da scienziati sovietici a dicembre 1986, oggi si sa che in quell’antro infernale c’è qualcosa che brucia ancora, che genera lava semiliquida talmente radioattiva che, con cinque minuti di esposizione, lascerebbe a un uomo due giorni di vita.
Se il magma dovesse scavarsi una strada verso terra o la falda acquifera, potrebbe causare un’altra esplosione radioattiva o contaminare tutte le acque. A trent’anni di distanza, il cuore dell’impianto sanguina ancora e lo farà per secoli, a perenne testimonianza dei rischi irrisolti dell’energia nucleare.
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