#COSA DIAMINE E' STATO QUESTO TOCCO?????
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qualcosa di molto LGBT è successo qui
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LONG WAY HOME - capitolo sei - Una piccola bottega di orrori
Capitolo Uno - Il cavaliere Impallidito Finding Doc - Vol.1 (crossover) Capitolo Due - Per un pugno di mosche Finding Doc - Vol.2 (crossover) Capitolo Tre - Coraggio… fatti appendere! Capitolo Quattro - Solo come un cane Capitolo Cinque - È tempo di morire
Luce rossa del tramonto che taglia il vetro irregolare della finestra e si soffonde nella polvere che si agita pigra in mezzo alla stanza. Una lanterna in vetro, spenta, svetta dallo scrittoio ricolmo di confezioni di medicinali, siringhe usate e una bacinella piena di pinze e bisturi. Una donna giace nel letto con la testa sollevata da due cuscini ma non dorme affatto… i suoi occhi cerulei sono sbarrati e il risentimento che alberga in essi è solo appena mitigato dalle lacrime che si stanno raccogliendo per scendere copiose. E poi la voce esce e si spezza e le lacrime scorrono senza più freno.
Si è preso gioco di me. Ha aspettato di cogliere la sua occasione e nel momento di maggiore debolezza ha dovuto splendere sopra di noi e più di noi! -- Nerloki alza la testa dal pavimento, guarda Bechdelia e sembra volerle dire qualcosa ma poi si rimette a dormire -- Tutti quei discorsi sul ka-tet, che noi due eravamo an-tet, che saremmo arrivati fino in fondo assieme e poi quel gesto di tradimento!
Il campanile, poco distante, rintocca le sette di sera. Segue la pendola in corridoio, con tono più lugubre.
Oh… ma certo! Fa comodo avere la mamma gatta che tira fuori gli artigli quando arrivano i cagnacci rabbiosi ma poi la mamma gatta non serve più e deve cavarsela da sola! -- la voce si incrina e rimangono solo le lacrime -- E poi io non capisco una cosa… PERCHE’ CAZZO STAI PELANDO DELLE CIPOLLE MENTRE IO TI STO SPIEGANDO QUANTO TU SIA STATO STRONZO A PROVARE A LASCIARMI INDIETRO?!
Senti, Becky -- faccio io, posando il coltello sul tavolo -- la signora Millicent crede che tu sia una povera vedova sopravvissuta all’attacco della vostra diligenza da parte degli indiani e io qua sono un abusivo ninja arrampicatore di finestre che dorme sul pavimento e si nasconde sotto al letto ad ogni bussar di porta. Vuoi perlomeno salvare le apparenze di minima cordialità e darle una mano nel preparare la cena? Hai idea della fatica che ho fatto nel conglomerare le uniche dannate monete di cui avessi memoria?! Se il mio professore di greco e latino non fosse stato così fanatico da farci imparare a memoria verso e recto di ogni dannata moneta dalla fondazione di Roma fino a Costantino, adesso staremmo provando a pagare con le rotelle di liquirizia Haribo!
-- Allora apri la finestra e fai uscire questa puzza pungente prima che mi si sciolgano gli occhi! Se non fossi mezza paralizzata qua a letto verrei a prenderti a calci con rincorsa e rinculo! Non mi far pentire di aver usato le mie ultime forze e averti tirato dentro lo Squarcio dall’uccello... non che ci fosse granché su cui fare presa, eh!
-- Prima di tutto era la cintura e poi per quella bravata da donna indipendente il cui nome non compare sul libro paga del patriarcato ti sei strappata tutte le suture e c’è mancato poco che tu crollassi sul portico della nostra ospite. Hai visto come ti guarda quando ti porta la cena? Secondo me crede che tu sia una strega col suo spelacchiato gatto demoniaco.
Tua mamma con la fila sulla scale è spelacchiata -- controbatte Nerloki, la cui placida flemma soporifera ci dice che le prossime curve temporali sono tutte sgombre da becchini solerti e tristi mietitori.
Finisco di pelare le cipolle e piazzo fuori dalla porta la pentola, poi mi metto a guardare fuori dalla finestra -- Becky, hai preso l’antibiotico? Lo sai che adesso ti devo fare un’iniezione di diazepam e mannitolo per l’ipertensione endocranica? Capisco che non ti piaccia dormire dieci ore di filato ma il valium è quanto di più vicino al coma farmacologico di cui hai bisogno.
Io lo so perché mi vuoi far dormire! Così mi puoi infilare uno di quei tubi nella -- il rintocco della pendola in corridoio rende misericordiosamente inudibile il termine -- e poi fare i tuoi comodi!
No, guarda -- le dico aspirando una fiala di diazepam con la siringa -- mi cadesse un occhio nello scarico del bidet se mai dovessi tradire la tua fiducia. Sono il Dihn di questo Ka-tet e saremo An-tet finché il Ves-ka Gan non sarà cantato nella sua interezza.
Mi tende il braccio per l’iniezione e mi pare di vedere nei suoi occhi la gemma di una lacrima. E senza che ci sia una sola cipolla nella stanza.
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Dio, che stanchezza -- penso mentre metto via porta-aghi e pinze -- non appena Bechdelia starà un po’ meglio dobbiamo andarcene da questa città perché è solo questione di tempo prima che gli sceriffi federali capiscano che non siamo fuggiti in Messico. E i Navajo sono insuperabili nel seguire le tracce e trovare chi le ha lasciate.
Guardo di nuovo fuori dalla finestra e sorrido -- Hey, Becky… questa la devi proprio vedere! Becky? -- mi volto verso di lei e mi rendo conto che il diazepam ha fatto effetto molto velocemente e che sta dormendo profondamente. Tocco col la punta dello stivale Nerloki acciambellato sul pavimento e trattenendo una risata gli chiedo -- Nerloki… cosa allevano di solito qua in Arizona?
-- Mmm… cavalli, mucche e pecore. Il 95% della filmografia di genere riguarda ladri di cavalli e famiglie di allevatori di mucche e di pecore che si sparano nel culo perché le pecore strappano le radici dell’erba e le mucche rimangono senza. Qualcuno dovrebbe dire ai registi che poi le pecore cagano i semi e quella ricresce più folta e robusta di prima.
-- Quindi nessuno alleva lama?
-- Direi che siamo troppo a Nord di 6000 chilometri. Non credo che qua ci starebbero bene.
-- In effetti quel lama ha un’aria strana. Sarà dieci minuti che se ne sta immobile in mezzo alla strada, guardandosi attorno con aria smarrita.
Lama? -- fa Nerloki tirandosi su e appoggiando le zampe sul davanzale per vedere -- Cosa ci fa un lama in Arizona e… chi diamine gli ha messo in testa un cappello rosso con un fiore giallo?
-- Non lo so davvero. Forse…
CAAAAAAARL!!!
Io e Nerloki ci raggeliamo istantaneamente.
Il lama ha appena urlato un nome con voce lamentosa.
-- Nerloki… mi è passata istantaneamente la voglia di ridere. È la cosa più grottesca che io abbia mai visto! Ti prego, controlla se...
CAAAAAAAAAAAAAAARL!!!
Lo sai che per Sherlock Holmes ‘grottesco’ era l’aggettivo perfetto per definire un caso che puntualmente si risolveva con omicidi e spargimenti di sangue? -- mi fa il canfuretto -- Comunque no, ho controllato sulle curve temporali e come dicono dalle tue parti calma piatta su tutti i fronti.
-- Mmm… ok. Ma, comunque, che ci fa in mezzo alla strada un lama con un cappello in test…
-- Scusa, Doc Kon, non mi sono spiegato bene. Calma piatta su tutti i fronti. Anche nel più gioioso e luminoso dei giorni che il demiurgo mette su questa bella terra è impossibile che le curve temporali siano così nette e precise. Non so se riesco a fartelo capire ma sembra che qualcuno le abbia raddrizzate, intrecciate fra loro e ridipinte con uno smalto nero indurente.
-- Ascolta, Nerloki… io non conglomero niente finché non è chiaro cosa stia succedendo, quindi pensa tu a dare un’occhiata in giro con la Panniscenza e trai una conclusione utile.
CAAAAAAAAAAAAAAAAAAARL!!!
Ok, va bene -- Dunque… a questo livello della Torre non è stata ancora sviluppata una tecnologia digitale di accesso a una conoscenza condivisa quindi devo lanciare una Sonda Inframundia e sperare che qualcuno abbocchi… OH MIO DIO NO! Che schifo! Rimettiti subito le mutande e apri un’altra scheda sul browser… quella chiudila ché poi entra tua mamma. Sì, dai, continui dopo… chi? Io? Sono solo la voce della tua coscienza che non vuole che tu diventi cieco. Bravo, perfetto. Improvvisamente ti è venuta una strana curiosità su un lama con un cappello -- Doc, di che colore è il cappello? -- su di un lama con un cappello rosso con un fiore sopra -- che fiore? Ah...una margherita gialla gigante -- che urla Carl in continuazione. Sì, che curiosità irrefrenabile! Scrivi ‘Lama+hat+carl’ sulla barra di ricerca e poi apri i primi risultati. Bravo, sì… c’è un video. Aprilo e… oh... OH! -- Doc, ascolta… non per farla più grossa di quanto sia ma chiudi la porta a chiave e lasciami guardare il secondo video.
Passa qualche minuto.
-- Cazzo, Doc… spingi l’armadio contro la porta! Ne guardo ancora uno per farmi un’idea più precisa ma -- CAZZO! NO!
-- Doc! Siamo nella merda! Siamo nella conglomerazione di qualcuno molto più potente di me e te messi assieme! E pure più malato ma così potente da fare una Treccia Quantica delle mie curve probabilistiche e dargli il continuum che decide lui!
CAAAAAAAAAAAAAAAAAAARL!!!
Sei lì dentro, Caaaaaarl? Ti prego, smetti di fare quelle cose con gli orfani! È una cosa malata costruire un drago di carne d’orfano!
Comincio a raccogliere freneticamente le nostre cose e a infilarle alla rinfusa dentro la borsa blu di Pochacco, quando mi rendo conto che Bechdelia è inerme nel letto e quindi una fuga è impossibile.
-- Nerloki, devo proteggere Bechdelia. Conosci i Guardiani del Crepuscolo? Ecco, devo usare il loro più potente e terribile incantesimo, il Sarcofago dei Tempi.
-- Ma sei impazzito, Doc?! A parte che questo ti resetterà il sistema limbico per un sacco di tempo e noi non sappiamo contro chi dobbiamo lottare ma poi lo sai bene che è praticamente impossibile aprire un Sarcofago dei Tempi. Così rischi di condannare Bechdelia a un’eternità di follia!
-- Correrò il rischio. Spostati!
-- No, Doc! Te ne pent...
KAMEN’ VREMENI OKUTYVAYET TEBYA SEYCHAS!
E un attimo dopo un’enorme teca di leucozaffiro sigilla il corpo esanime di Becky e piomba sul pavimento in legno con un tonfo che sembra il primo dei tanti rintocchi sull’Orologio dell’Apocalisse.
-- Adesso dobbiamo solo contare sulla nostra testa e le nostre gambe. Vieni, aiutami a spostare l’armadio e usciamo.
Apro la porta e guardo a destra e a sinistra ma la signora Millicent non deve avere acceso le lanterne e quindi il corridoio è immerso nell’oscurità. Anzi, no, vedo che è passata a ritirare la pentola di cipolle affettate e ne ha lasciata una piena di…
Rientro di scatto e -- Nerloki… chi, anzi, cosa diamine è Carl? Davanti alla porta c’è una pentola piena di mani mozzate e sgranocchiate. Credo che siamo diventati improvvisamente gli unici affittuari di questa pensione. Usciamo dalla finestra e caliamoci dalle tettoia!
Usciamo di fretta e ci facciamo scivolare sulle tegole in legno della veranda, pronti a saltare nella strada polverosa, quando, arrivati sul bordo…
CAAAAAAAAAAAAAAARL!!!
Il lama col cappello rosso sta guardando su verso di noi con aria di rimprovero.
-- Caaaaaarl! Questo… questo uccide le persone! Non si fa, Caaaarl!
Io mi paralizzo e guardo con la coda dell’occhio Nerloki. Poi una voce dietro di noi
-- NON HO LA MINIMA IDEA DI COSA TU STIA PARLANDO... UCCIDERE LE PERSONE È LA MIA COSA MENO PREFERITA!
-- Caaaaarl!
-- Ok… è stato un incidente di cui speravo non ti saresti accorto.
Mi volto lentamente verso la finestra che abbiamo lasciato aperta e affacciata ad essa c’è la signora Millicent con uno strano berretto verde in testa… no, non è esatto: c’è un lama con uno strano berretto verde in testa che indossa la faccia scuoiata della signora Millicent.
-- Caaaaarl! Com’è potuto succedere?!
-- Dammi tregua! Non sapevo che pugnalare 37 volte una persona la uccidesse!
-- Caaaaaarl! Questo invece UCCIDE le persone e non dovresti farlo!
-- Ok, ok… sono un idiota. Ti piace la mia nuova faccia?
-- CAAAAAARL!!!
Lentamente scivoliamo giù dalla tettoia e ci lanciamo in strada, mentre il dialogo surreale continua ad andare avanti.
-- Nerloki, cosa facciamo? Riesci a vedere qualcosa?
-- Te l’ho detto che siamo intrappolati in una Conglomerazione altrui! C’è un’unica Treccia Quantica e dobbiamo seguirla!
-- Questo mi ricorda una di quelle brutte partite di Dungeons&Dragons dove il master ti costringe a fare quello che dice lui e ti fa tirare mille manciate di dadi inutili finché non viene il risultato che gli garba! Dimmi perlomeno il nome di chi ha fatto tutto questo.
-- Ehm… Berlusconi.
-- Tu mi stai prendendo per il culo.
-- No, davvero… non so se è lo stesso Berlusconi che intendi tu ma quando interrogo il Continuum è quello il nome che viene fuori.
-- Questo è un brutto incubo. Dove porta la Treccia?
-- Lotto 2, nel 17º blocco… vicino all’Old Kindersley Corral.
-- Old… Old Kindersley Corral? O.K. CORRAL?! In che giorno siamo Nerloki?!
-- Lunedì. Lunedì 26 Ottobre 1881.
-- AAAHHHH!!! SIAMO NELLA MERDA!!
-- Non capisco… sembra che tu lo conosca il contesto di questa Conglomerazione. Sei sicuro che Berlusconi non l’abbia creata su tuo involontario suggerimento?
-- Ascolta, Nerloki… non credo che il Berlusconi di cui stiamo parlando -- sempre che sia quello -- abbia la minima idea cosa sia la sparatoria dell’O.K. Corral. Comunque è una brutta storia vera che per noi può finire bene o male in base a chi dovremmo interpretare. Se solo il Signor Spock fosse qua con noi...
-- Non ti seguo ma… non importa, perché siamo arrivati, Doc.
Siamo giunti al confine di una città che nella luce dell’imbrunire sembra popolato da spettri. I cespugli di salsola mi rotolano davanti, spinti da un vento che crea spiriti di mulinelli intorno ai recinti consumati del Corral.
-- Nerloki… vai dietro quella botte e preparati a shiftare in Altroquando qualora le cose si dovessero mettere male. Ricorda solo dove si trova il Sarcofago dei Tempi con Becky dentro e… so che farai la cosa giusta.
E poi mi accorgo che sono stati lì in piedi per tutto il tempo, in silenzio, aspettando che io fossi pronto.
Il Geteit Chemosit, Il Nero, Uughiio, La Lamante, Il Burattinaio Cadavere, Il Babau, L’Eviscerata, Il Verme Oculare, Lo Sghignazzatore Maledetto, il Blob, l’Uomo Fungo e… ma certo, capisco perché a quella maschera nera e inespressiva Nerloki abbia associato il nome di Berlusconi.
Un compendio animato di tutte le entità che in questi quarantasei anni hanno continuato a perseguitarmi da dietro lo specchio del sogno, opaco nel suo retro e così fragile nell’attesa della Risalita di uno dei suoi abitanti.
Non so nemmeno chi di loro mi abbia fatto più male o chi mi abbia succhiato via più voglia di vivere. La Lamante che con i suoi moncherini amputati cercava di entrare dalla porta del bagno? Il Geteit Chemosit che indossava il corpo di mia madre per venirmi a tagliare la faccia? Lo Sghignazzatore Maledetto, senza labbra e anima? Il Burattinaio Cadavere, che animava i corpi di… basta! Meglio non indulgere nei brutti ricordi, perché il loro Can-Char sta per parlare.
-- Io sono Uno da Dodici e sono Legione. Chiamami col nome che vuoi e che temi di più. Sono Berlusconi e Solitudine e il Coro di voci che nel silenzio ti urla di smettere di respirare e sperare. Mi hai chiamato nel momento del dubbio e della paura e io sono venuto a portarti il tanto desiderato annichilimento. Lì, per terra… raccoglile e illuditi che il loro canto di morte possa salvare la tua vita!
Per terra giace un cinturone di cuoio con due fondine e due sei-colpi dal calcio di noce.
-- Can-Char, Dio della Morte… non saprei che farmene di quelle.
-- Prendile e affronta il tuo destino!
-- Ho detto che non saprei che farmene.
-- PRENDILE E MUORI DA UOMO!
Mi chino, raccolgo il cinturone e me lo lego in vita. I calci di noce sono lisci, caldi al tatto e mi narrano di tonanti vittorie.
Davanti a me sento rumore di intestini che si srotolano, di denti troppo lunghi che stridono tra di loro, di dita mozzate che si contraggono e affannosi respiri liquidi.
Il Chan-Char sembra sorridere sotto la maschera e apre il suo impermeabile nero per mostrare il cinturone con le sue pistole. Gli altri undici non ne hanno certo bisogno.
Non devo avere paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l'annullamento totale. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e che mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove sarà andata la paura non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò.
E poi gli Undici si avventano e le sue dita scattano.
Ma questo non ha importanza perché le mie mani disvelano il Kata della Pistola, creando in un frammento d’attimo La Rosa dai Dodici Petali di Sangue che fa crollare a terra tutti i miei avversari, nell’Una Esplosione Sacra.
-- Io ho detto che non sapevo che farmene, non ho mai detto di non saperle usare.
-- E io non vi ho ucciso con la pistola ma col mio cuore di bambino spaventato che si è arrampicato tremante sulla china scoscesa della sua vita da adulto! Alzati Can-Char e concludi la tua morte!
-- Io… Figlio mio, aiutami. Toglimi la maschera. Lascia che ti guardi con i miei veri occhi.
-- No, è un trucco che non funziona. Non sei mio padre. DECIDITI A MORIRE!
MAI! -- e in un attimo si solleva in piedi, col foro di proiettile che sibila in mezzo alla gola e urlando ad artigli protratti fa un balzo nella mia direzione.
Ma io lo sapevo e me lo aspettavo. Anzi, ci speravo fortemente. L’agonia del Dio della Morte era la condizione indispensabile per riaverla indietro.
Estraggo fulmineamente la mano dalla tasca, gettando davanti a me un cubo di vetro, e non appena lui ci vola sopra
RASSHIRIT’ SEBYA!
Il cristallino sibilo esplosivo del Sarcofago dei Tempi che si riespande a dimensioni naturali mi sbalza all’indietro e qualcosa mi cade sopra, schiacciandomi. Non qualcosa, qualcuno. Una persona che non mi sarei mai perdonato se non fossi riuscito a riportare indietro.
Adesso… adesso siamo pari -- mi fa Becky in un orecchio, con voce flebile -- Anzi, se non fosse stato per me non… non saresti mai riuscito a metterlo lì dentro... al posto mio.
Mi tiro su da terra, tenendola in braccio, e osservo il Sarcofago di leucozaffiro, in cui ora è incastonato il mio cuore di tenebra, sprofondare lentamente nelle viscere della terra, per tornare a dannarsi eternamente nel regno a cui appartiene.
Doc, Becky! -- ci urla Nerloki venendoci incontro -- Togliamoci subito di qua e nascondiamoci nel fienile accanto alla stazione delle diligenze. Con una buona dose di sonno domani dovresti riuscire a creare un normalissimo dollaro d’oro, quello con la dea Libertà coronata, che oltre a pagarci un passaggio spero potrà portarci la fortuna che ci meritiamo!
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Merman and Merchant AU!MetaMoro
La storia è un fantasy, quindi in automatico non si appresta a periodi storici/tipi di capigliatura storici/me la sbrigo da me, yo oh /beviamoci su/
Un brigantino di commercianti riesce a catturare una sirena
È per loro un giorno di festa e giubilo, giacché catturare una sirena è da sempre una ghiotta occasione per ricevere una lauda ricompensa in denaro da chiunque vorrà comprarla al mercato.
Quando lo tirano su e tolgono la rete da pesca iniziano a deridere la sirena che pian piano, in mancanza di acqua si divincola come un pesce che sta morendo e che, invece di soccombere, si adegua all’ossigeno e diviene un uomo in tutto e per tutto. (Post it: presente la sirena di Pirati Dei Caraibi? ECCO).
C’è chi si sganascia dal ridere, chi lo tocca fra i capelli, sulle gambe, nelle parti più intime, chi ride e dice parole volgari. Lo accerchiano e lo indicano, lo accerchiano e si danno pacche sulle spalle sapendo quanto gli frutterà vendere quella bella sirena a qualche acquirente.
Ermal è a tratti arrabbiato, seccato, inorridito e impaurito. Un mix letale che lo fa rabbrividire ad ogni tocco, guardandoli con occhi infuocati e colmi di odio, non riuscendo però neanche a coprirsi dai tocchi più invasivi sulla sua nudità.
Alla fine lo gettano nelle celle sottocoperta e devono portarcelo di peso perché Ermal, ovviamente, non sa camminare.
Ovviamente le sirene non hanno lo stesso linguaggio degli umani e quindi quando viene catturato Ermal oltre che sbeffeggiato per le sue nudità, lo è anche perché non può difendersi né parlare.
Capisce il linguaggio umano, ma non lo sa usare correttamente, perciò si limita ad annuire e negare e guardare male.
Fabrizio è l’addetto agli avvistamenti in mare e al diario di bordo (quindi sa scrivere e scrive, scrive, scrive).
Ermal viene molestato verbalmente e bastonato da alcuni mozzi e un guardiamarina ogni giorno da quando è rinchiuso nelle celle
Fabrizio è incuriosito: del resto la sirena verrà venduta al miglior offerente e le scaglie di sirena sono un sacco rinomate per stimolare la libido. (E per la sirena in sé se gli tocchi le scaglie è un punto sensibile e si eccitano, se gliele strappi… è davvero un grosso dolore.)
Ermal ha già passato più di un paio d’anni di violenze quando era solo una piccola sirena sempre per colpa di marinai. Ed era riuscito a scappare solo perché la donna dell’acquirente lo aveva liberato dopo l’ennesimo abuso: in un altro oceano, centinaia e centinaia di chilometri da dove era stato catturato, senza più ritrovare le acque familiari dove era nato.
Siamo in un’epoca in cui le sirene sono merce di scambio per i più facoltosi uomini e più hanno un lignaggio elevato, più hanno qualche sirena schiava, da cui strappano le scaglie per avere miracolose sensazioni sessuali. Procurando in questa maniera però un dolore atroce alla sirena che è costretta, in più, a rimanere nella poca acqua che il carceriere le lascia per sopravvivere, a metà sempre fra il non respirare e affogare.
Ermal da piccolo era una giovane sirena piena di curiosità e sempre in movimento. Fu presto catturata per la sua bella voce, lontano dal branco.
Ermal è invece ora una sirena solitaria e che ha davvero poca fiducia nella natura, lontana dal suo oceano natio, riserva ancora una melodiosa voce.
Si sente rabbiosamente un idiota comunque, perché si è fatto catturare dopo anni e anni che era riuscito a scampare.
Non si crogiola nella sua idiozia però, cerca di essere razionale, questa volta stanno in aperto oceano e prima di poter toccare terraferma ci vorrà minimo un mese o due, in qualsiasi direzione.
Non fa in tempo a fare altri pensieri però perché la porta della cella si apre
Fabrizio entra cauto
Sa che le sirene possono attaccare ed essere bestie pericolose
così gli è stato insegnato e così ha letto, non è uno studioso di miti, anzi, in verità si è stancato presto della scuola, per questo si è imbarcato su una nave mercantile
Poi sa scrivere
Ogni tanto si diletta anche nelle poesie
Tutta roba da sognatori di avventure
La verità è che fa lo scribacchino perché sfruttano il fatto che sappia scrivere a loro vantaggio
A lui sta bene così
La vita di mare gli piace
Si è liberato dalle oppressioni che aveva sulla terra ferma: un lavoro sicuro, una donna al suo fianco, fare il lecchino alle feste dei più ricchi cercando i loro favori
Comunque entra nella prigione e guarda la figura sdraiata su un fianco, abbronzata e mai annichilita della sirena
“Mio dio, sei... bellissimo.” Le parole gli escono di bocca prima ancora che possa rimangiarsele.
E difatti Ermal si gira, incurante della sua nudità, nella sua direzione e nel suo sguardo si può leggere un atteggiamento di paura e difesa.
“Non- ehi no, scusa, scusa. Non volevo spaventatte.» Si avvicina lentamente, le mani macchiate di inchiostro alzate in aria.
Ermal pensa che quell’umano sia buffo e impazzito: cosa diamine sta facendo? Perché ‘si sta scusando’ quando non ha fatto niente?
“Posso sedermi qua?”
Ermal nega col viso, vigorosamente.
“Me capisci?”
Ermal annuisce
“Davvero? Allora sei senziente, come immaginavo.” Borbotta fra sé e sé
“Er-mal” cerca di presentarsi Ermal nella lingua umana che quell’uomo sta usando. Si morde la lingua perché odia essere un incapace e non riuscire ad esprimersi.
“Ermal?” Cerca di capire l’altro.
Ermal annuisce nuovamente, poi si mette una mano sul cuore.
“Ermal?! È il tuo nome?”
“Sì. Er-mal.”
Fabrizio è sbalordito, perché mai nessuno si è fermato a parlare con una sirena? Non gli è mai interessato, troppo avari degli effetti che le scaglie possono dare, ecco la risposta.
“Non hai freddo tutto nudo?”
Ermal nega con la testa, ma Fabrizio si toglie comunque il gilet e la camicia bianca per mettergliela intorno alla vita prima di diventare paonazzo sulle orecchie, imbarazzato.
Ermal non osa toccarlo, ma è curioso, come è sempre stato, di quelle attenzioni e di quella gentilezza, così come dello sguardo dell’uomo che lo guarda con la dose di attrazione che da sempre ha visto in ogni umano che lo osserva, ma anche una dose di preoccupazione e dolcezza che mancava in coloro che lo hanno rapito e venduto.
Fabrizio inizia ad andare a trovarlo ogni volta che può nella cella e dopo una settimana Ermal seppur non si fidi, lo ha fatto avvicinare un po’ di più a sé.
Fabrizio gli racconta delle sue poesie, del mare, dei suoi sogni, si apre e si confida con lui
“Devo sembrarti molto solo se parlo con te.- un giorno gli dice. -Devo sembrarti davvero ridicolo.”
Ermal lo ascolta. Vorrebbe dirgli tante cose, non di certo che è ridicolo, quello no.
“Lo sono. Dico, so’ solo. Non mi so’ mai trovato a mio agio co’ la gente.”
Ermal non si fida degli uomini, ma si lascia accarezzare i ricci da Fabrizio.
Un giorno Fabrizio entra in cella e trova la pelle di Ermal, ormai scolorita della sua abbronzatura e sempre più lattea, piena di ferite e senza più la camicia che Fabrizio gli ha prestato.
“Sono stati i marinai?” gli dice, la risposta è ovvia, ma Ermal annuisce comunque.
“Posso accarezzarti?” Ermal fa segno di no. Fabrizio freme per l’amarezza, ma non se ne va, rimane lì e accenna qualche verso delle sue poesie.
Passa qualche altro giorno e quando va a trovarlo, dopo una burrasca, trova Ermal col naso gocciolante di sangue e qualche bruciatura sul fondo schiena.
Ermal non sa cosa gli prende, ma in presa al rancore, all’amarezza di non riuscire a liberarsi dalle catene e dalla vulnerabilità che sente stringergli il ventre si accascia in ginocchio e, sebbene non pianga, con gli occhi lo prega di avvicinarsi.
“Sai Ermal, non ti ho detto il mio nome: mi chiamo Fabrizio.”
Fabrizio diverrà la sola costante di Ermal, in un corpo che odia perché è umano, ma che vorrebbe stringere e accaldare il suo nudo.
(Fine prima parte? I dunno se continuare.)
#metamoro#ermal meta#fabrizio moro#metamoro headcanon#warning: abuse content#solo accennati ma comunque
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𝐏𝐈𝐄𝐂𝐄𝐒𝐎𝐅𝐌𝐄 ━━ ﹟ᴏʀɪɢɪɴᴀʟᴄʜᴀʀᴀᴄᴛᴇʀ ﹫ᴡɪᴛʜʀɪᴄᴋᴀʀᴅ ▸ ❪ 𝗅𝖺𝗌𝗍 𝖽𝖺𝗒, 𝟢𝟦:𝟧𝟩 𝗉.𝗆. ❫ 𝐢𝐧 𝐭𝐡𝐞 𝐚𝐧𝐭𝐢𝐪𝐮𝐞 𝐬𝐡𝐨𝐩 ╱ 𝐜𝐡𝐚𝐩𝐭𝐞𝐫 𝐬𝐢𝐱 La musica del carillon posto sul bancone principale si diffondeva nel negozio semi-acceso, producendo una sinfonia non proprio precisa a causa di alcuni difetti presenti all’interno del congegno, lasciati lì apposta poiché erano ugualmente una parte integrante dell’insieme e la donna hacker li adorava. Ogni tanto, dunque, era possibile udire un leggero stridio, come se qualcuno stesse graffiando una lavagna inesistente in quel posto apparentemente dimenticato dagli altri, ad eccezione di Zoë che stava sistemando alcune cianfrusaglie nella stanza esclusiva al di là del bancone. Vi rimase dentro per qualche ora finché qualcosa non catturò la sua attenzione: la sinfonia si era interrotta del tutto, qualcuno doveva aver spento il carillon e la donna hacker pensò fosse solo opera di Roman, di cui aveva perso le “tracce” solo perché egli si era impuntato in testa di voler indagare da solo su quella dannata spia che per poco non l’aveva catturato al museo di arte moderna. Forse un giorno quell’orgoglio da maschi lo avrebbe fatto ammazzare. Scoprì invece che si trattasse solo di Rickard, il padre adottivo, con quegli occhiali da vista e quel sorriso sardonico che serpeggiava sulle sue labbra, più beffardo che derisorio. « Di ritorno dalle ferie? » Esordì il padre adottivo con una voce sicura, come qualcuno che la sapeva lunga e attendeva solo il momento giusto in cui l’altro sputasse tutto il rospo. « Già, ma è arrivato il momento di rimettermi a sistemare questo posto con i cataloghi e le ordinazioni. Ti serve qualcosa? » Con la stessa faccia tosta che aveva rubato da Rickard, la donna hacker si accomodò tranquillamente sullo sgabello dietro il bancone, prendendo successivamente un raccoglitore color nero dal primo cassetto per poggiarlo sulla superficie lignea. Sfortunatamente non ebbe nemmeno il tempo di aprirlo che la mano sinistra del padre adottivo andò a premere la copertina del raccoglitore bloccandolo di fatto con un tocco deciso. « Qualcosa non va, papà? » Zoë alzò il capo per incontrare lo sguardo di Rickard, di un nero ancora più intenso di quanto fosse possibile, mentre faceva indietreggiare istintivamente lo sgabello di qualche centimetro, una fastidiosa abitudine che aveva acquisito quando lo stesso padre adottivo le aveva insegnato a combattere; per certi versi si poteva pensare che la donna hacker cominciasse a sentirsi un po’ allarmata, per non dire minacciata, nonostante i coltelli da lancio che nascondeva sotto il bancone. « Tra di noi? Nulla, più o meno. Tra te e la legge? Puoi dirlo forte. » Rickard volle restare ancora sul vago e, nel frattempo, tolse la mano dal raccoglitore, attendendo solo quel “fatidico” momento in cui l’unica figlia che aveva dicesse la verità. « Credo sia troppo tardi per la manfrina sul bere gli alcolici. » Ecco che partiva il meccanismo di difesa della donna hacker, una battuta sarcastica. Ciononostante capì comunque che non fosse il momento di iniziare con la catalogazione, ragion per cui rimise il raccoglitore al suo posto lasciando libera la superficie del bancone ad eccezione del carillon, che aveva sempre la sua posizione fissa. « Non è il momento per le battute sarcastiche, diamine. Vuoi dirmi perché l’Interpol ti stava cercando per chiederti di Roman o preferisci continuare a fingere? » Nonostante le intenzioni iniziali di Rickard, egli comunque non riuscì a trattenersi e dovette lasciarsi andare, ciò era percepibile nel tono della voce che si faceva sempre più allarmato parola dopo parola, oltre al volto diventato leggermente paonazzo. D’altro canto, Zoë sgranò leggermente gli occhi nel sentire suo padre adottivo parlare in quel momento, mettendo però in secondo piano il suo stato d’animo per concentrarsi su ciò che aveva proferito. Stentava a crederci che un’organizzazione internazionale come l’Interpol arrivasse ad interessarsi di lei solo per sapere qualcosa su Roman, soprattutto perché era sempre stata molto cauta con il polacco, tale da non lasciare delle possibili tracce. Nessuno poteva sapere della loro relazione, ad eccezione di Rickard che non era certamente il tipo da mettersi a raccontare la vita sessuale di sua figlia ad altre persone. « Calmati e fai un respiro profondo… » Fu l’unica cosa che Zoë riuscì a dire dopo essersi presa qualche minuto per metabolizzare quel che aveva scoperto, e nel mentre rifletté su cosa dire, lasciando incautamente che i pensieri arrivassero a soffocare la sua mente. C’erano così tante cose non dette che non sapeva da cosa partire, né tantomeno se raccontare a suo padre che stava dando la caccia all’individuo che anni addietro aveva lasciato solo una firma, “The White Queen”, con una donazione di un milione di dollari. « Lo so che non ne hai bisogno, me lo dici sempre, ma mi calmerò quando non avrò alcun motivo di preoccuparmi di mia figlia. » Replicò quasi immediatamente Rickard, togliendosi poi gli occhiali per massaggiare il setto nasale, com’era solito fare quando si sentiva sottoposto a un po’ di stress. « Non ne ho la minima idea, okay? Quando io e Roman ci incontriamo, sicuramente non parliamo di lavoro. » Zoë dovette mentire, e ci riuscì molto bene. Non poteva esporre le possibili ragioni per cui l’Interpol stesse cercando il polacco. Temeva che ciò avrebbe finito per mettere in discussione il rapporto con Rickard o, pensando in una chiave più pessimistica, o causargli un malore, vuoi che sia per lo shock nell’apprendere su cosa stesse realmente facendo Zoë da molti anni a questa parte, vuoi che sia per il fatto che gli avesse mentito per così tanto tempo. « Ci diverti–– »
« Okay, smettila di parlare. » Zoë non ebbe nemmeno il tempo di terminare che venne fermata dalla voce abbastanza aggressiva di Rickard. Iniziarono a guardarsi negli occhi, in silenzio, per qualche lunghissimo momento. Il silenzio piombò in quel negozio, facendosi a tratti imbarazzante, non perché qualcuno avesse dichiarato una cotta verso qualcuno, ma perché il padre adottivo di Zoë avrebbe spezzato il silenzio nella maniera più strana di sempre. « Un agente di nome William Johnson è venuto a bussare alla mia porta dichiarando di lavorare per l’Interpol e di voler fare il possibile per scoprire più su Ramon, oltre a qualcosa come che potresti trovarti in grave pericolo perché è un assassino. Tu… lo sapevi? »
« Cosa? » Chiese con finto stupore la donna hacker, come se stesse chiedendo implicitamente a Rickard di ripetere ciò che aveva detto. Nel mentre sgranò perfino tre volte gli occhi per risultare quantomeno convincente, sebbene dentro di sé detestasse molto l’idea di dover mentire a suo padre. Di nuovo. Tuttavia era anche consapevole che quella bugia fosse l’unica chance per tenerlo al sicuro, evitando così che si immischiasse in qualcosa di troppo grande che probabilmente sarebbe stato difficile nasconderlo. Doveva farlo da sola, con tutte le forze che aveva a sua disposizione. « Non ci posso credere… non lo sapevo. Ma non mi sorprenderebbe, attiro sempre i casi umani. Che stronzo, mi ha presa in giro per tutto questo tempo! » Finse uno sbuffo esasperato mentre si alzava dallo sgabello, come alla ricerca di qualcosa. Avanzò e indietreggiò, e stava pure contando i passi che stava facendo, salvo poi fermarsi contro la sua volontà quando sentì le mani di Rickard premere su entrambe le braccia. « Tu non devi mai più vederlo, chiaro? E prendi la tua pistola, tienila per precauzione nel caso dovesse farsi vedere. La legittima difesa è ancora valida in questo paese. » Il padre adottivo la guardò negli occhi per provare a convincerla ma ella scosse due volte la testa, divincolandosi successivamente dalla presa dell'uomo. Diede le spalle a suo padre osservando nel mentre il suo riflesso sullo specchio posto di fronte. « Lo sai bene che non mi serve una pistola. » La donna hacker fece ritorno al bancone inchinandosi poi per raccogliere alcuni coltelli da lancio che aveva lasciato lì sotto per qualsiasi eventualità, posizionandoli sulla superficie lignea in perfetto ordine. « Mi bastano questi. E... potresti dirmi com’è fatto questo Johnson? Così non mi allarmerò qualora dovesse venire a farmi visita. »
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Re:Zero
R: Subaru, vorrei tanto sapere cosa ti è successo.
S: ...
R: Se non puoi, fidati di me. Ti prometto che farò di tutto per sistemare le cose. Però, ora è meglio se torniamo indietro. Se ci ripensiamo con calma ed a mente fredda, forse troveremo una soluzione migliore.
S: Ci ho già pensato e ripensato. Fino alla nausea. Ho sofferto. E’ per questo... che mi sono arreso.
R: Arrendersi è facile, ma...
S: Arrendersi è facile?
R: Subaru?
S: Non dire stupidaggini! Arrendersi non è facile! Pensi forse che non stia facendo nulla, che mi stia sfogando, distanziandomi da tutto e da tutti e gettando via ogni cosa?! Pensi che basti solo questo per arrendersi?! Non è stato facile arrendersi! Era molto più facile pensare che potessi fare qualcosa! Ma non c’è nulla che io possa fare! Non esiste nessun modo! Tutte le scelte che faccio portano alla resa! Se potessi fare qualcosa... lo farei... lo farei!
R: Subaru... E’ facile arrendersi. Però... Non fa per te. Non posso capire quanto tu abbia sofferto, o cosa tu abbia fatto per soffrire così tanto. Sarebbe davvero sconsiderato da parte mia dirti che ti capisco. Però... nonostante questo... c’è una cosa che so per certa. So che sei una persona che non si arrenderebbe mai a metà strada. So che sei una persona che sa sorridere parlando del proprio futuro. So che... sei una persona che non rinuncerebbe mai al proprio futuro.
S: Ti sbagli. Non sono una persona del...
R: Non mi sbaglio. Non hai abbandonato nessuno. Non la signorina Emilia, o mia sorella. Non il nobile Rowall e neppure la signorina Beatrice, nessuno.
S: Li ho abbandonati invece! Era un’impresa impossibile sin dall’inizio! Le mie mani sono così piccole che tutto mi scivola fra le dita, non è rimasto nulla.
R: No, non è vero. Tu...
S: Tu cosa ne sai?! Cosa ne sai di me?! E’ questo il tipo di persona che sono! Non ho la forza, ma voglio tutto. Non ho la conoscenza, ma non faccio altro che sognare. Anche se non c’è nulla che io possa fare, continuo a lottare invano. Io... Io... Io detesto me stesso! So solo fare la voce grossa ed atteggiarmi come un gran uomo, ma in realtà non so fare nulla! Non faccio mai nulla. L’unica cosa che so fare è lamentarmi. Chi diamine penso di essere?! E’ incredibile che io riesca a convivere con me stesso senza provare vergogna! Non credi?! Sono vuoto. In me non c’è nulla! Lo so bene. Già... è evidente. So che lo è. Prima che arrivassi qui... Prima che mi ritrovassi qui con tutti voi, hai la minima idea di cosa facessi?! Non facevo nulla. Non ho mai fatto nulla. Avevo tutto il tempo e tutta la libertà che volevo. Avrei potuto fare qualsiasi cosa, eppure non facevo nulla! Questo ne è il risultato! Quello che sono ora ne è il risultato! La mia impotenza e la mia incompetenza è il risultato del mio carattere marcio. Provare a compiere imprese senza mai aver mosso un dito mette in piena luce la mia arroganza! La mia pigrizia e le abitudini che hanno caratterizzato la mia vita viziata finiranno per costarci le nostre due vite! Proprio così. Non ho carattere. Anche quando ho pensato che avrei potuto continuare a vivere qui, nulla è cambiato. Il vecchio aveva notato perfettamente questo mio lato. Non è così? Non stavo cercando di diventare più forte, né stavo cercando di migliorare le cose. Mi stavo solo mettendo in posa per potermi giustificare, per dire che almeno ci stavo provando, per dire che non ero lì a far nulla. Volevo dire che non potevo farci nulla! Volevo sentirmi dire che non potevo farci nulla! E’ soltanto per questo che ho finto di spingere il mio corpo fino ai suoi limiti! Persino quando ti ho chiesto di aiutarmi, l’ho fatto solo per mascherare il mio imbarazzo! In fondo, sono solo un codardo, nient’altro che un piccolo rifiuto della società che si preoccupa solo di quello che gli altri pensano di lui! Niente! Non è cambiato assolutamente niente in me! L’ho sempre saputo. Ho sempre saputo che è stata tutta colpa mia... Sono la persona più meschina che esista. Mi detesto.
R: Lo so. Io so che per quanto tu possa essere avvolto dalle tenebre, avrai sempre il coraggio di tendere la mano. Adoro quando mi accarezzi la testa. E’ come se potessimo capirci a vicenda attraverso il contatto fra il tuo palmo ed i miei capelli. Adoro la tua voce. Anche solo sentirti parlare mi rincuora l’animo. Adoro i tuoi occhi. Di solito sembrano severi, ma adoro il modo in cui si ammorbidiscono quando sei gentile con qualcuno. Adoro le tue dita. Sono davvero delicate per essere quelle di un ragazzo. Ma quando stringono le mie, sento che sono forti e sottili come quelle di un uomo. Adoro il modo in cui cammini. Quando camminiamo insieme, adoro quando ti giri per controllare se ti sto al passo.
S: Fermati...
R: Adoro la tua espressione quando dormi. Sembri davvero spensierato, come un bambino, e le tue ciglia sono davvero lunghe. Quando ti tocco la guancia, ti calmi... E non te ne accorgi mai quando ti accarezzo le labbra. Mi stringe il cuore ogni volta. Adoro tutto di te.
S: Perché?
R: Quando hai detto che ti detesti, mi hai fatto venire voglia di dirti tutte le cose meravigliose che so di te.
S: Sono solo parole a vuoto. Non mi conosci affatto! Mi conosco meglio di chiunque altro!
R: E INVECE NON TI CONOSCI AFFATTO! Cosa che sai del Subaru che vedo io?!
S: Perché... ti piaccio così tanto? Sono debole ed insignificante. Voglio scappare... proprio come sono scappato l’ultima volta! E allora, perché?
R: Perché... tu sei il mio eroe, Subaru! Nell’oscurità di quella foresta, quando non sapevo più chi fossi ed avevo completamente perso il senno, sei stato tu a salvarmi. Quando mi sono risvegliata, paralizzata, e l’uso della magia aveva completamente sfinito mia sorella, tu hai affrontato le magibelve per permetterci di fuggire. Non potevi vincere e la tua vita era in serio pericolo, ma sei rimasto comunque, e sei tornato fra le mie braccia, sano e salvo. Quando ti sei risvegliato, hai sorriso e mi hai detto ciò che avrei voluto sentire, dalla persona da cui più volevo sentirmelo dire, quando più ne avevo bisogno. Era da molto che il mio tempo si era fermato. Da quella notte dei roghi, la notte in cui ho perso tutto tranne mia sorella, il mio tempo si era fermato. Sei tu che hai sciolto il mio cuore congelato ed è la tua gentilezza che ha fatto ripartire lo scorrere del mio tempo! Scommetto che non ti rendi nemmeno conto di come mi hai salvata, o di quanto fossi felice quella fatidica mattina. E’ per questo che credo in te. Non importa il dolore che dovrai sopportare, persino quando avrai perso la forza di andare avanti, quando nessun altro crederà in te, quando anche tu perderai fiducia in te stesso, io continuerò a credere in te! Per me sarai sempre l’eroe che mi ha salvata.
S: Per quanto ci abbia provato, non ho potuto salvare nessuno.
R: Io sono qui. La Rem che hai salvato è qui.
S: Non ho mai fatto nulla, sono vuoto. Nessuno mi ascolta.
R: Io sono qui. Ascolterò ogni cosa che tu vorrai dirmi. Sempre.
S: Nessuno si aspetta nulla da me. Nessuno crede in me. Mi detesto.
R: Ma io ti amo, Subaru!
S: Non t’importa che io sia così?
R: Voglio essere al tuo fianco. Non voglio nessun altro. Se non riesci a perdonarti per essere vuoto e non avere nulla da dare, allora ricominciamo da capo, d’ora in poi.
S: Ricominciamo cosa?
R: Così come tu hai fatto ricominciare lo scorrere del mio tempo, ora faremo ripartire il tempo che sembra essersi fermato per te. Ricominciamo da qui. Dall’inizio. No... Da zero! Se il cammino è troppo difficile da affrontare, ci sarò io a sostenerti. Insieme condivideremo l’onere e ci sosterremo a vicenda. Non era questo che mi avevi detto quella mattina? Mostrami quanto puoi essere meraviglioso, Subaru.
S: Rem...
R: Si?
S: Sai che amo Emilia.
R: Si.
S: Voglio vedere il sorriso di Emilia. Voglio poterla aiutare con il suo futuro. Anche se mi dice che le sono fra i piedi, anche se mi dice di starle lontano, voglio essere al suo fianco. Usare i miei sentimenti per lei come scusa per farle capire come stanno le cose è stato un po’ troppo arrogante da parte mia, vero? Non importa se lei non capisce. Voglio solo salvarla. Se le aspetta un futuro cupo e pieno di dolore vorrei portarla lontano, in un futuro dove potremo ridere tutti insieme! Mi aiuterai? Non posso farcela da solo. Mi manca tutto. Non sono nemmeno certo di poter camminare dritto. Sono debole, fragile ed insignificante. Quindi, per assicurarmi che prosegua per la retta via, per aiutarmi a capire quando sbaglio, potrò contare su di te?
R: ( sorride ) Sei davvero crudele, Subaru. E’ questo che chiedi alla persona che hai appena respinto?
S: Beh, anche per me è difficile chiederlo.
R: Accetto umilmente l’incarico. Se facendo così, Subaru, potrò aiutare il mio eroe ad accogliere il suo futuro con un sorriso, allora accetto.
S: Stai a vedere. Avrai un posto in prima fila... per vedere l’uomo che ami diventare il più grande eroe di tutti i tempi!
R: ( piange )
S: Io osservo te. Tu osservi me. Non guarderò più in basso. Da qui in poi, la storia di Natsuki Subaru ricomincia da zero. Da qui inizia la mia vita in un altro mondo, da zero!
#re:zero kara hajimeru isekai seikatsu#re:zero - starting life in another world#re:zero#rem#natsuki subaru#subaru
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Julien Baker - Turn Out the Lights
Cerca di restare calma, ché non la conosce nessuno la compagna violenta che ti porti in giro
Con i suoi artigli nella schiena, ti lacera i vestiti ed elenca i tuoi insuccessi ad alta voce
(da: Claws in Your Back)
1. Over
Finito
(strumentale)
2. Appointments
Appuntamenti
Stasera resto a casa
Non ti impedisco di andare via però
So di non essere quello che volevi, vero?
Volevi una persona come quella che ero prima
Adesso pensi che non ci sto nemmeno provando
Beh, non sto qui a discutere, non vale la pena di mentire
Non vuoi far uscire l'argomento
E io so già com'è che sembra
Fai senza ricordarmi tutte le volte quanto ti deludo
Consigliami di andare di nuovo da qualcuno che sappia aiutarmi a stare meglio
Nel frattempo dovrei cercare di evitare di non presentarmi ad altri appuntamenti
Penso, se rovino anche questa cosa, di potermene fare una ragione
Non va mai niente a finire come me l'ero raffigurato
Magari il vuoto è una lezione da imparare dalle tele
Penso, se sbaglio di nuovo, di sapere che tu mi ascolti ancora
Magari andrà tutto a finire bene
E lo so che non è così, ma devo credere che lo sia
Devo credere che lo sia
Devo credere che lo sia
Devo credere che lo sia
(Probabilmente no, ma devo credere che lo sia)
E quando ti dico che sarà così, è più per sentirmi bene io
Magari andrà tutto a finire bene
Lo so che non è così, ma devo credere che lo sia
3. Turn Out the Lights
Spegni le luci
C'è un buco nel cartongesso ancora da riparare
Non mi ci sono ancora messa
E poi sto cominciando ad abituarmi ai vuoti
Dici che vorresti trovare il modo di aiutarmi a non essere così dura con me stessa
Ma perché a tutti gli altri viene facile?
Non faccio sempre così
C'è sempre domani, no?
E io non lo farei mai, ma non è uno scherzo
Non vedo la differenza quando sono da sola
È la realtà o un sogno? Cosa è peggio? Puoi aiutarmi?
Volevo solo andare a dormire
Ma quando spengo le luci
Quando spengo le luci, non c'è più nessuno di mezzo tra me e me stessa
Ma quando spengo le luci
Quando spengo le luci
Quando spengo le luci, non c'è più nessuno di mezzo tra me e me stessa
4. Shadowboxing
Battersi con le ombre
Nata facendomi le ossa per terra
Chiamando a raccolta i fantasmi dall'asfalto
Fammi compagnia mentre imparo a battermi contro le ombre dei giganti cresciuti dai nostri piedi
So che tu non capisci, perché non credi a quello che non vedi
Quando mi guardi tirare pugni al diavolo, sembra che lotto contro me stessa
Ma si trova un po' di conforto a fallire
A cantare troppo forte in chiesa
A urlare le mie paure dentro un altoparlante fino a crollare o a esplodere
Qualunque delle due cose succeda prima
E lo so che cercavi di essere d'aiuto, ma peggiori solo le cose
Dimmi pure che non dovrei prendermela con me stessa
Ma non puoi neanche immaginare quanto faccia male
Avere anche solo ogni tanto i pensieri che io ho continuamente
E allora smontami
Ripiegata sul tuo braccio come un fucile scarico, disarmato e innocuo
Nemmeno tu riusciresti a tirar fuori la miccia che si nasconde nella mia testa
Quando mi dici che mi ami
Mi dici che mi amavi
Volevo tantissimo crederti
E allora dimmi che mi ami
Dimmi che mi amavi
Volevo tantissimo
Volevo tantissimo crederti
5. Sour Breath
Alito aspro
Lo so che te la cavi meglio quando te ne stai per conto tuo
Senza il peso della mia salute cagionevole
Altre medicine per riparare a tutte le cellule che mi mancano
Non ho tirato fuori il discorso perché questa settimana sto andando benissimo
E ho pensato che se m'impegnassi un pochino di più tu cambieresti idea
Non ho un altro posto in cui andare
E non me la cavo troppo bene quando nessuno si preoccupa
Quando nessuno si preoccupa di me
Ma non avrei dovuto metter sù casa al centro del tuo petto
Tavole di compensato che si uniscono al tuo sterno
Una scheggia nel mio braccio dove appoggi la testa
Controllo l'orologio fino a che non vieni a letto
Mi baci per darmi la buonanotte col tuo alito aspro
Mi arriva in faccia come un'ondata di vuoto
E quando parlo sento solo il sapore del rimorso
Tu sei tutto quello che voglio e io tutto quello che temi
Guardo il veleno che trasuda dai tuoi pori
Pensi che tutto quell'alcol ti tenga caldo
Dai fuoco a tutto per dimostrare che sapresti lasciarmi chiusa dentro in un corpo fatto di legno
In un corpo fatto di legno
Più forte nuoto, più veloce affondo
Più forte nuoto, più veloce affondo
Più forte nuoto, più veloce affondo
Più forte nuoto, più veloce affondo
Più forte nuoto, più veloce affondo
Più forte nuoto, più veloce affondo
Più forte nuoto, più veloce affondo
Più forte nuoto, più veloce affondo
6. Televangelist
Telepredicatrice
Il mio cuore finirà per divorarsi da solo
Non mi serve l'aiuto di nessuno
Ci sono solo io, vuota, e nessun altro
O quantomeno questo è quello che mi ripeto
Perché io sono una mutilata, con un tocco fantasma
Che si appoggia a una stampella invisibile
Attaccata al materasso con uno spillo come un insetto sul polistirolo
Chiamo qualcuno dalla mia stanza da sola
E so cosa c'è nel mio petto cannibale
Che è stato scavato come una miniera a cielo aperto fino a che non è rimasto più niente
Tengo quel coro stretto tra le due orecchie fino a diventare sorda
Che mi ricordano cosa sono esattamente ogni volta che possono
Sono una masochista?
Una telepredicatrice che stringe il suo crocifisso di rumore bianco e disturbi di segnale?
Tutte le mie preghiere sono solo un modo di chiedere scusa
Porgimi un bengala prima di venire a prendermi
E divento luce se brucio viva?
Se brucio viva
7. Everything That Helps You Sleep
Tutto quello che ti aiuta a dormire
Cosa si prova a sentirsi vuoti?
Pieni di soli echi
Il mio corpo che crolla
Una cattedrale fatta di arcate di costole che vomitano i loro inni sofferenti
Pensavo di aver percepito la tua risposta nei secondi tra il suono e la luce
E avrei giurato che le sirene fossero lo Spirito Santo, che però parlava in codice Morse
Perché Signore, Signore, Signore, c'è un modo per farlo smettere?
Perché niente di quello che faccio ha mai aiutato a spegnerlo
E tutto quello che dovrebbe aiutarmi a dormire la notte non mi aiuta più a dormire la notte
Da lontano, le luci delle stelle
Fori d'entrata o segni di puntura
Ti colano sulle braccia dal buio perforato
Perché Signore, Signore, Signore, c'è un modo per farlo smettere?
Perché niente di quello che faccio ha mai aiutato a spegnerlo
E tutto quello che dovrebbe aiutarmi a dormire la notte non mi aiuta più a dormire la notte
Riesci a sentire dal paradiso fino alla terra?
Se grido un po' più forte, so che avresti sentito
Di' che non potrei proprio fare un passo in più
Se grido un po' più forte, so che avresti sentito
8. Happy to Be Here
Contenta di essere qui
Se potessi fare quello che mi pare, diventerei un'elettricista
Mi arrampicherei fin dentro alle orecchie e riorganizzerei i cavi del cervello
Una versione diversa di me abiterebbe questo corpo
Avrei due macchine, un garage, un lavoro e andrei in chiesa la domenica
Il diagramma di un circuito difettoso spiega come sono fatta
Adesso l'ingegnere mi ascolta che esprimo tutte le mie lamentele
Da un'orchestra di metallo che trema e mi tiene sveglia
Mi stavo solo chiedendo se in qualche modo potessi esserti sbagliato
Perché mi manchi proprio come mi manca la nicotina
Se mi fa stare meglio, quanto potrà mai far male?
Beh, ho sentito dire che fino a una certa dose c'è un rimedio per ogni cosa
E allora perché, e allora perché, e allora perché, e allora perché per me no?
Il 1° aprile ha visto lo sgradevole rimedio
Sono andata alla clinica con la maglia più bella che avevo, decorata con una targhetta laminata
Non ride nessuno da un pubblico di sedie pieghevoli di plastica
E non mi faccio ingannare quando mi dite che vi fa piacere che sia venuta
Sono onesta ad ammetterlo o solo un'ipocrita?
So che dovrei essere ottimista, ma ho i miei dubbi di poter cambiare
Stringo i denti e cerco in tutti i modi di tenere un comportamento meritevole
Ma so che non posso nascondermi da nessuna parte dalla tua grazia umiliante
Perché se mi giuri che è vero, allora devo credere a quello che sento dire gli evangelici in TV
E se rimane abbastanza dopo tutti gli altri
Allora perché, allora perché, allora perché, allora perché io no?
9. Hurt Less
Soffrire di meno
Prima non mettevo mai la cintura di sicurezza
Perché dicevo che non mi importava cosa succedeva
E non vedevo il senso di cercare di salvarmi da un incidente
Tanto se qualcuno mi viene addosso, a cosa serve questo pezzo di tessuto?
E quando verrò proiettata fuori dal parabrezza
Spero che l'ultima cosa che sento prima dell'asfalto sia il mio corpo che fluttua in aria
Spero che vada anche la mia anima
E non avrei dovuto lasciarti andare
Avrei dovuto chiamarti ancora, ma non l'ho fatto
Perché c'è sempre qualcos'altro
E so che non è il momento migliore, ma non ho più nessuno da chiamare
E stavo pensando se ti andava di farmi compagnia sul sedile del passeggero
E diamine, qualcosa lo dovremo pur trovare
Dovessi anche metterci tutta notte a renderlo meno doloroso
Lascia accesa la macchina, non sono pronta a partire
E non importa dove, mi basta non essere da sola
E finché non ti stanchi di parlare, mi aiuta a renderlo meno doloroso
Lascia accesa la macchina, non sono pronta a partire
E non importa dove, mi basta non essere da sola
E finché non ti stanchi di parlare, mi aiuta a renderlo meno doloroso
Quest'anno ho cominciato a mettere la cintura di sicurezza quando guido
Perché quando sono con te non devo pensare a me stessa
E fa meno male
10. Even
Pari
Quante volte prima di esagerare posso dirti che ti penso ogni notte?
Non voglio fartela pesare
Guarda, potrei essere crudele
Potrei farmi odiare da te
Così sarebbe più semplice?
Pensi che mi sono dimenticata dei fuochi d'artificio, dell'occhio nero
Delle botte che ci siamo dati il quattro luglio?
Ma avevi ragione: me la sono cercata, come sempre
È inutile se il dolore non ti fa pensare che te lo sei guadagnato
E io probabilmente me lo sono meritato
Perché non fai altro che dire
"Ma a cosa serve? C'è qualcuno che mi aiuta adesso?"
Non che io pensi di essere buona
So di essere malvagia
Forse stavo cercando di mettere le cose in pari
Non è questo che vuoi?, che io soffra come te
Beh, fratello mio, il tuo desiderio si sta per avverare
Sfondo con un pugno l'intonaco del bagno di un Motel 6
Me lo sarò immaginato mille volte
Giuro su Dio che penso di morire
Lo so che avevi ragione
Non c'è un rimedio per me, per cui aiutami
Perché non fai altro che dire
"Ma a cosa serve? C'è qualcuno che mi aiuta adesso?"
Non che io pensi di essere buona
So di essere malvagia
Forse stavo cercando di mettere le cose in pari
11. Claws in Your Back
Artigli nella schiena
Raccolgo i cerchi che ci dicono quanti anni abbiamo sotto le palpebre
Porto un distintivo viola per dimostrare quello che ho fatto
Far uscire dai polsi le sostanze vitali
Perché sto facendo un esperimento su cosa si prova a morire o a restare in vita
Cerca di restare calma, ché non la conosce nessuno la compagna violenta che ti porti in giro
Con i suoi artigli nella schiena, ti lacera i vestiti ed elenca i tuoi insuccessi ad alta voce
Non è soltanto lo scheletro di fianco al cappotto
Il nero che ho trattenuto in gola ti segue anche al buio
Togliere il disturbo nel modo più semplice, e la parte più difficile
Quando non mi lascia in pace
Mi conviene imparare a convivere coi demoni che ho scambiato per santi
Che resti tra di noi, ma io penso che siano la stessa cosa
Penso di poter amare la malattia che hai causato tu
Perché ritiro tutto quello che ho detto, ho cambiato idea
Volevo restare
Volevo restare
#julien baker#turn out the lights#over#appointments#shadowboxing#sour breath#televangelist#everything that helps you sleep#happy to be here#hurt less#even#claws in your back
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//Meme role Compleanno a sorpresa per Roy
― ‘‘ Diamine! Ma perchè tutte queste cose capitano a te? ‚‚
Isabel era di fronte a lei, non pensava fosse possibile, ma fu una bella sorpresa. Le due si erano perse di vista da mesi. Aveva saputo che anche lei era sparita, come lei, era un'altra superstite di quell'ingiustizia. Chissà se anche lei fosse cambiata. Allison era cambiata tanto. Quell'evento aveva stravolto ogni suo progetto rendendola una veggente. Faceva davvero fatica ad abituarsi a quella nuova realtà. Ma il discorso non era ancora stato tirato fuori, chissà se avrebbero avuto modo di aprirsi tanto.
«Queste cose intendi organizzare una festa fantastica? Ho pensato a cosa potesse piacere a Roy, volevo sorprenderlo.»
Isabel Amethyst M. Hughes
Organizzare una festa di compleanno non era mai semplice, ed Isabel lo sapeva piuttosto bene, ma sembrava davvero che la sua amica Allison avesse fatto un lavoro coi fiocchi. Ogni dettaglio era finemente rifinito, pensato ed elaborato con un tema che cadeva a perfezione in quel periodo dell'anno, ma che aveva mandato parzialmente in crisi la newyorchese nella scelta dell'abito. Avrebbe dovuto scegliere qualcosa di scontato, come un vestito a righe, ma quell'abito di Elie Saab, era davvero perfetto per la sua figura. Sei sentiva tuttavia non in forma perfetta per partecipare a quel compleanno, ma era la giusta occasione per riuscire a scambiare due parole con l'organizzatrice, soprattutto perché dopo gli eventi che avevano cambiato radicalmente la vita della Hughes, le giovani non avevano avuto più modo di incontrarsi. « Ammetto che è una festa di compleanno sopra le righe, soprattutto il tema, ma vederti all'opera mi rende quasi orgogliosa. Hai pensato proprio a tutto, e Roy deve esserne felice. » Disse Isabel, ricordando come ai tempi del liceo le due, nonostante avessero età differenti, avessero legato fin dal primo momento. Ella si guardò così attorno, prima di portare nuovamente lo sguardo sulla sua interlocutrice e tirare un lungo sospiro. Avrebbe dovuto fare il primo passo, lo sapeva, ma non era mai stata troppo brava in quel genere di situazioni. « So che sono sparita dalla circolazione, e me ne dispiace ma... Dio, è così difficile. Sono stata un'amica pessima, lo so. »
Allison Chloé Price
«Siii ma è un tema che piace al festeggiato, poi siamo nel mese di Halloween pur sempre» Si accostò a lei per stamparle un bacio sulla guancia, era tanto che non aveva sua notizie. Ma notò qualcosa in quel contatto. Allison da pochi mesi era una veggente, e stava facendo tesoro di ogni sensazione, emozione e presentimento. Basta un breve contatto per accorgersi della razza di qualcuno, e Isabel sembrava.. Diversa, così diversa, più di quanto avesse mai pensato. Ma la giovane non poteva essere diretta sia per discrezione che per decoro. «No.. Qualcuno è stato più.. Ehm.. Pessimo si. Ho avuto tante cose da gestire, tipo il mio nuovo lavoro. La colpa è tua quanto mia»
Isabel Amethyst M. Hughes
Sulle labbra della Hughes si dipinse un sorriso nell'udire le parole dell'amica. Fin da quando era cominciata la storia tra Allison e Roy, la newyorchese era certa che avessero quel potenziale per fa funzionare le cose, e nel vedere come la bionda avesse pensato a lui, non poté non emozionarsi almeno un pochino. Isabel era così presa da quel semplice momento che non si accorse del momento in cui Allison s'avvicinò per stamparle un semplice bacio sulla guancia. In fondo era una cosa da tutti i giorni, quante volte era successo tra le due amiche? Eppure, nel momento in cui Isabel vide il cambiamento negli occhi della Price, seppe che qualcosa era cambiato. Il sorriso che era comparso poco prima sulle di lei labbra si smorzò appena, ma ciò non le impedì di fare un passo indietro. « Io... Scusami. » Non sapeva da dove cominciare, e il fatto che Allison potesse prenderla per ancor più strada le fece fare un piccolo sbuffo. Inspirò sonoramente e cercò, almeno per il momento, di comportarsi nel modo più naturale possibile. « Da dopo il rapimento, fatico ad avvicinarmi alle persone. E so che non è una scusante, ma è un'esperienza che mi porterò sempre con me. Che ne dici se ripartiamo dall'inizio? E niente più sparizioni, promesso. »
Allison Chloé Price
«Ripartiamo da capo allora.» A quella proposta Allison porse la mano verso di lei. Da quando era diventata veggente, capire cosa le persone celassero era diventato più semplice, bastava un tocco. Ma Isabel si sarebbe fidata? Allison era stata rapita come lei, chissà che sorte era toccata alla bruna. L'avrebbe condivisa e sarebbero state ancora amiche come lasciava trapelare a parole? Se avesse accettato il rischio di toccarla allora era sincera. «Comunque anche io dopo il rapimento.. Sopportavo a malapena la presenza di Roy. È qualcosa che ti cambia e più passano i giorni più mi rendo conto della profondità di tale cambiamento.»
Isabel Amethyst M. Hughes
Raccontare ad alta voce ciò che le era capitato non era affatto semplice, perché era lei stessa la prima a faticare l'accettazione di tutto quel dramma, impensabile era quindi poterlo raccontare ad un'altra persona. Eppure di fronte a lei, v'era l'amica di sempre, colei che l'aveva accompagnata durante gli anni di liceo, ed in fondo era anch'ella stata vittima dello stesso destino. Isabel si ritrovò così ad abbassare gli occhi per un momento, vide la mano tesa, un'offerta di pace che avrebbe dovuto cogliere al volo, ma che per quella sua nuova condizione era impossibile fare. E se avesse scoperto ciò che nascondeva? E se fosse cambiata anche lei? Tutto era troppo rischioso agli occhi della newyorchese che si ritrovò a stringersi nelle spalle e intrecciare le braccia al petto. « Io... Io, non ce la faccio. » Dichiarò con un sussurro la giovane che maledicendosi per quella debolezza supplicò silenziosamente Allison. « Le conseguenze di ciò che abbiamo affrontato sono un qualcosa che mi porto dietro costantemente, Allison. Anche le cose più semplici, come stringerti la mano dovrebbero essere all'ordine del giorno ma non è così. Ma non prendere questo mio rifiuto come malafede, ti prego... » Sperava davvero che l'amica capisse e comprendesse quel momento, ma altre persone cominciarono a farsi avanti e il loro discorso fu inevitabilmente interrotto.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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La giornata peggiore del mondo
Questa storia partecipa al COWT di Lande di Fandom Settimana: sesta Missione: M4 Prompt: loop temporale + and it was all a dream/simulation N° parole: 2786
La sveglia stava suonando incessantemente da diversi minuti, ma Lance come al solito non voleva assolutamente saperne di aprire gli occhi, nonostante quel suono fastidioso ormai lo avesse svegliato. Forse poteva far finta di dormire ancora un po’ e quella maledetta prima o poi si sarebbe spenta, ma quando capì che il suono non sarebbe cessato si decise a sollevare un braccio tenendo ancora gli occhi chiusi e cercare a tentoni il pulsante per far star zitta quella dannata cosa. I suoi sforzi, però, furono ripagati solo dalla chiara consapevolezza di essere ormai sveglio, quindi anche se controvoglia si decise a sollevare le palpebre e dare uno sguardo alla stanza debolmente illuminata dalla luce del mattino che filtrava dalle tende ben tirate sulla finestra della sua stanza. Si mise a sedere tirando in alto le braccia per stiracchiarsi un po’, sciogliendo i muscoli intorpiditi dal sonno, poi si girò di lato e appoggiò i piedi in cerca delle ciabatte… che però non erano lì ad attenderlo. Guardandosi intorno preoccupato le vide, abbandonate vicino alla porta d’ingresso, e si chiese come avesse potuto dimenticarle lì la sera prima senza trovare risposta. C’era solo una cosa da fare, e ormai non poteva più evitarla se voleva iniziare la giornata, quindi Lance si fece coraggio e appoggiò i piedi nudi sul pavimento gelido con una smorfia, saltellando qua e là per raggiungere finalmente il calore confortante delle sue morbide ciabattine di lana azzurre. Sospirando di sollievo, aprì la porta e si diresse verso la cucina, dove sapeva che ad attenderlo ci sarebbe stata una magnifica colazione a base di biscotti che Hunk aveva infornato la sera prima. O forse no. Una volta varcata la porta della cucina, il ragazzo scorse Pidge che, rossa in viso e con faccia dispiaciuta, discuteva con Hunk davanti ad un barattolo vuoto. A quanto pareva durante la notte le era venuta fame e, un biscotto dopo l’altro, non era riuscita a trattenersi dal mangiarli tutti. Quindi ora non avevano la colazione, e Hunk non aveva nemmeno tutti gli ingredienti necessari per una seconda infornata, quindi l’unica alternativa per i prossimi giorni sarebbe stata l’orribile sbobba alteana nell’attesa che un carico di rifornimenti portasse nuovamente qualcosa di buono da mangiare, oltre che meramente commestibile. L’umore di Lance si deprimeva di più ad ogni boccone, e il pensiero che dopo quel pessimo inizio gli sarebbero toccati gli allenamenti non contribuiva di certo a migliorarlo. Anche l’allenamento non andò bene, gli sembrava che tutto fosse settato ad un livello ben più alto del suo, sentiva le braccia e le gambe pesanti e per quanto si sforzasse di mirare con precisione con la sua arma, i proiettili spesso mancavano il bersaglio. Quando l’allenamento finì, sudato ed esausto, Lance cadde in ginocchio e si prese un momento per respirare.
«Diamine Lance, si può sapere che diavolo ti prende oggi? Concentrati!» la voce di Shiro giunse gracchiante dal microfono della stanza, ma il ragazzo poteva sentire chiaramente il disappunto di cui era farcita.
Non gli sembrava giusto di dover essere ripreso così bruscamente dal suo compagno, una giornata storta poteva sempre capitare dopotutto, e lui non aveva colpa di questo. Scuotendo la testa si tirò in piedi e si diresse verso le docce, conscio che almeno l’acqua calda avrebbe lavato via i suoi dolori e che il profumo vanigliato del suo bagnoschiuma gli avrebbe donato almeno un po’ di sollievo. Poco prima di entrare nello spogliatoio vide uscire Keith con un asciugamano sulla testa che nascondeva la massa nera di capelli bagnati, e questo gli fece assaporare ancora di più il pensiero della doccia che stava per concedersi. Non fosse che una volta aperto il getto d’acqua si ritrovò sotto una cascata gelida che gli fece spiccare un balzo felino fuori dal box. Keith aveva finito tutta l’acqua calda, non riusciva a crederci! Ormai quella situazione iniziava ad essere surreale, e il ragazzo iniziò a credere di essere sotto l’influsso di qualcosa di malvagio che impediva a tutto ciò che accadeva attorno a lui di filare per il verso giusto. Doveva accertarsene in qualche modo, quindi decise di fare qualcosa che aveva preparato da un po’ di tempo: un piccolo regalo ad Allura. Da diverse settimane coltivava con dedizione un piccolo cespuglio di fiori nei pressi del castello, al riparo da occhi indiscreti, e l’ultima volta che li aveva controllati erano pronti per essere colti e raggruppati in un bel mazzo che avrebbe sicuramente reso felice la principessa. Cercando di pensare al fatto che, almeno stavolta, sarebbe dovuto andare tutto bene, Lance si diresse all’esterno del castello fino al luogo in cui teneva il suo piccolo “giardino segreto”, e fu felice di scoprire che i fiori erano effettivamente in ottima forma e più belli che mai. Ne fece un mazzo perfettamente bilanciato, raccolse qualche rametto dai cespugli vicini per dare maggiore armonia alla sua composizione e si apprestò a tornare indietro. Fu allora che vide Allura passeggiare nei dintorni in compagnia di Lotor, e colse chiaramente la sua risata dolce che si levava in risposta a chissà quale battuta di quel tipo. A quel punto la disperazione lo colse sul serio, certo del fatto che ormai la sua sfortuna era permanente e non ci sarebbe stato più nulla da fare in proposito. Gettò a terra i fiori e li calpestò, rosso in viso. Oh, come avrebbe desiderato qualcosa di dolce per calmare i suoi nervi ora, ma non c’era niente da mettere sotto i denti che non fosse sbobba. Non ebbe comunque il tempo di pensarci troppo, perché le difese del castello rilevarono diversi velivoli non identificati in avvicinamento, segno che stavano per essere attaccati dai Galra. Incredibile come quelli non si arrendessero mai, ma almeno Lance avrebbe avuto modo di sfogare la propria frustrazione prendendo a calci qualche nemico.
Si precipitò verso il suo leone, e insieme agli altri partirono per rispondere all’assalto. La battaglia era concitata e dopo poco si ritrovarono ad inseguire alcuni nemici volando velocemente oltre l’atmosfera, zigzagando pericolosamente tra una nuvola di detriti rocciosi. Lance si accorse troppo tardi di un movimento alla sua destra ed il suo leone venne colpito violentemente perdendo il controllo e finendo per schiantarsi con forza sulla superficie piatta di un asteroide che gravitava lì attorno. Nello schianto Lance batté violentemente la nuca, perdendo i sensi.
Si svegliò di soprassalto nel suo letto con un grido, e subito si tirò su a sedere tastandosi con una mano in corrispondenza di dove aveva battuto la testa, ma con sua sorpresa non incontro né fasciature né bernoccoli sotto il suo tocco. Intorno al suo letto non c’era nessuno dei suoi amici a vegliare su di lui in attesa che si svegliasse, e guardandosi bene intorno adocchiò di nuovo le sue ciabatte abbandonate nuovamente dall’altro lato della stanza a fianco della porta. Di nuovo saltellò sul pavimento gelido a piedi nudi, e si ripromise che la prossima volta quelle maledette ciabatte se le sarebbe ricordate. Giunto in cucina, si trovò davanti Pidge intenta a leccarsi le dita dalle ultime briciole di quelli che dovevano essere stati biscotti, mentre Hunk la guardava in cagnesco. Notando il suo ingresso, la ragazza lo informò candidamente che i biscotti erano finiti per quel momento, e che non era riuscita a resistere ad un improvviso attacco di fame. Rivolgendosi ad Hunk, Lance gli chiese dove avesse trovato gli ingredienti per fare una nuova infornata di biscotti, e quello con espressione sorpresa gli rispose di non aver trovato proprio nulla, ma che in realtà quella che si era appena divorata la loro amica era l’ultima scorta di biscotti che avevano, dato che alcuni degli ingredienti li aveva finiti proprio durante la loro preparazione, quindi fino a nuovo ordine ci sarebbe stato solo cibo alteano in tavola. Confuso, Lance si sedette e consumò in fretta un po’ di robaccia viscida prima di sgusciare verso la stanza per gli allenamenti, non prima di aver rifilato a Pidge uno sguardo truce.
L’allenamento fu nuovamente troppo duro per i suoi gusti, ma i colpi sembravano seguire lo stesso pattern della volta precedente, e anche se ne aveva mancati molti fu comunque in grado di colpire qualche bersaglio mobile e di schivare l’ultimo colpo diretto contro di lui, che nella scorsa sessione lo aveva quasi mandato al tappeto. Ma questo non significava certo che avesse superato la simulazione: era infatti estremamente provato e piegato in due dalla fatica, e non aveva raggiunto il punteggio necessario. Shiro lo riprese nuovamente in modo brusco attraverso l’altoparlante, dicendogli che doveva poltrire di meno e allenarsi di più. La cosa che colpì Lance però furono le parole usate dal ragazzo, esattamente le stesse dell’ultima volta. La faccenda iniziava a diventare strana. Decise di correre verso le docce piuttosto che camminare, e quando arrivò nello spogliatoio si trovò davanti Keith con un asciugamano avvolto attorno alla vita mentre tirava fuori i vestiti puliti dall’armadietto. Il ragazzo gli sorrise con aria imbarazzata.
«Ehi Lance! Senti, non arrabbiarti, ma credo di aver finito l’acqua calda per il momento. Mi sono attardato nella doccia e non ho pensato di chiudere il flusso d’acqua mentre mi insaponavo i capelli, perdonami.»
Era successo di nuovo anche questo, nonostante fosse arrivato un po’ in anticipo rispetto al solito. Le cose si stavano ripetendo esattamente identiche al giorno precedente, se non con qualche leggera modifica data dal suo modo diverso di comportarsi. Spinto dalla curiosità, si diresse verso l’esterno lasciando perdere la doccia per il momento e limitandosi a darsi una rinfrescata e cambiarsi con dei vestiti puliti. Stava per dirigersi verso il suo giardinetto quando decise di cambiare strada e fare piuttosto un giro del castello, imbattendosi ben presto in Lotor e Allura che passeggiavano tranquilli, tenendosi a braccetto mentre conversavano e ridevano tra loro. Ormai era più che certo del fatto che qualcosa non andava, quindi fece dietro front e si diresse nuovamente nel castello in cerca di Shiro, certo che se gli avesse parlato dell’accaduto lui avrebbe avuto qualche idea su quello che stava succedendo. Lo vide in una delle stanze mentre si dirigeva verso Pidge e Hunk che erano semi distesi su dei divanetti.
«Shiro! Devi ascoltarmi per favore!» «Lance? Hai una faccia, che ti succede?» Pidge e Hunk si voltarono a guardarli, curiosi. «Senti, probabilmente ti sembrerà strano, ma io ho già vissuto questa giornata! Mi sono svegliato e le ciabatte non erano vicino al letto, e poi Pidge aveva finito i biscotti e Keith l’acqua calda della doccia, e Allura e Lotor… insomma, io sapevo già cosa sarebbe successo!» «Lance, il tuo discorso non ha il minimo senso… puoi cercare di spiegarti un po’ meglio?» la faccia di Shiro tradiva una certa confusione. «Ecco, io credo di sapere cosa succederà oggi, e probabilmente tra poco-» ma non fece in tempo a finire la frase, perché gli allarmi del castello iniziarono a suonare indicando l’arrivo di velivoli sconosciuti, probabilmente appartenenti ai Galra.
Ecco che succedeva ancora.
Corsero tutti verso i propri leoni, e in una manciata di secondi nei cieli intorno alla base iniziò la battaglia. Come previsto, i Galra attirarono i leoni verso l’alto, oltre l’atmosfera e all’interno della nube di detriti. Lance schivò diversi colpi, compreso quello proveniente dalla sua destra che lo avrebbe sbattuto contro l’asteroide, ma con sua enorme sorpresa quel colpo andò invece a colpire Shiro che si schiantò esattamente dove la volta precedente era finito Lance. Il ragazzo voltò il suo leone e accorse per aiutarlo, ma non si era reso conto che anche Keith aveva avuto lo stesso pensiero, finendo per scontrarsi con il suo leone e, a causa dell’impatto, batté di nuovo la nuca.
Era mattina. Lance non era sicuro di voler aprire gli occhi, ma il suono penetrante della sveglia lo stava uccidendo. Esasperato, la prese e la lanciò contro il muro rompendola. Aveva ancora gli occhi chiusi, ma non poteva resistere alla curiosità (o magari era terrore?) di sapere cosa sarebbe successo. Li aprì piano, si mise a sedere e subito il suo sguardo si fissò sulla porta della sua camera. Sul pavimento, proprio lì di fianco, c’erano le sue ciabatte. Dannazione. Il ragazzo cadde di nuovo disteso sul letto, si girò premendo la faccia nel cuscino e urlò per l’esasperazione. In che diamine di guaio si era cacciato per far sì che la stessa giornata piena di sfortuna si ripetesse ancora e ancora? C’era un modo per fermare quel loop infinito? Lance giunse alla conclusione che doveva esserci un’unica maniera per uscirne: ribaltare la sfortuna. Deciso ad anticipare tutte le mosse del fato, mise i piedi a terra e camminò verso l’uscita della sua camera.
Dovette ripetere tutto diverse volte. Sveglia, ciabatte vicino alla porta, Pidge e i biscotti, Shiro e l’allenamento improponibile, l’acqua fredda dopo il passaggio di Keith, il suo proposito di fare un regalo ad Allura rovinato da quella seccatura di Lotor, l’attacco dei Galra. Ogni volta si avvicinava un po’ di più alla perfezione, ma puntualmente qualcosa andava storto e si ritrovava nuovamente svenuto, colpito dai nemici o dai suoi compagni per errore. Poi, finalmente, le cose andarono a posto. Si svegliò in fretta e subito corse in cucina per impedire a Pidge di mangiare l’ultimo biscotto, riuscendo ad avere per sé quell’ultimo pezzo di felicità. L’allenamento ormai non aveva più segreti per lui che aveva imparato a memoria tutti i movimenti dei bersagli e riusciva ad anticiparne i colpi. Riuscì ad ottenere un punteggio ottimo in un tempo breve, e Shiro non aveva nemmeno finito di complimentarsi stupito con lui per i risultati ottenuti che già stava correndo verso le docce. Trovò Keith intento a lavarsi mentre canticchiava, e finalmente poté godersi diversi minuti di doccia bollente accompagnata dal dolce aroma del suo bagnoschiuma. Sentiva i muscoli rinati. Invece di portare dei fiori ad Allura, decise di chiederle direttamente di passeggiare con lui, dato che era in netto anticipo su Lotor quella volta. La principessa inaspettatamente accettò l’invito, e i due si godettero il calore del sole e la brezza fresca mentre chiacchieravano, anche se Lance non riuscì a resistere alla sua mania di fare qualche battuta, non sempre azzeccata. Durante la passeggiata incrociarono Lotor, e l’espressione sul suo volto mentre li osservava fu impagabile. L’attacco dei Galra fu la parte più difficile, i loro attacchi erano ormai prevedibili ma ogni nuova mossa di Lance per schivarli o deviarli così che non colpissero i compagni modificava leggermente i colpi successivi, spingendo al massimo il suo sforzo per essere sempre pronto a rispondere. Ma riuscirono a respingerli alla fine, e senza nemmeno doversi assemblare in Voltron. Esausti, rientrarono al castello e Lance non riuscì a fare altro se non sprofondare tra le lenzuola. Doveva essere finita, altrimenti probabilmente sarebbe stato meno doloroso per lui consegnarsi spontaneamente al nemico e porre fine alla sua sofferenza.
Il suono della sveglia lo colse di sorpresa. Non pensava di essersi addormentato. Eppure c’era qualcosa di diverso, il suono non era quello che ricordava di aver impostato. Questo era più insistente e più meccanico, e insieme ai suoni c’erano anche delle parole che però, ancora intontito dal sonno, non riusciva a cogliere perfettamente.
«Lance? Lance mi senti?!» era la voce di Pidge che lo chiamava.
Rispose con un grugnito, e aprendo gli occhi si ritrovò il volto della ragazza a pochi centimetri dal suo mentre era intenta a chiedergli come si sentiva. Spostando lo sguardo, si rese conto di non essere nella sua stanza, né nel suo letto, ma bensì legato strettamente ad una poltroncina reclinabile con una visiera trasparente davanti agli occhi e cavi colorati che sputavano da ogni dove.
«Pidge? Che diamine è questa roba? Dove sono i biscotti che ha fatto Hunk?!»
La ragazza sorrise, e gli disse di tranquillizzarsi, era normale che non si ricordasse cosa era successo e che fosse ancora convinto di trovarsi nel loop simulativo da lei creato. Dopotutto era un prototipo, quindi doveva lavorarci ancora su, ma lui era stato una cavia esemplare. Il nuovo sistema di allenamento mentale funzionava a meraviglia, infatti durante la simulazione aveva potuto registrare un aumento della capacità di concentrazione e dei riflessi oculari che sfiorava il 10%, un risultato straordinario. In futuro, i paladini avrebbero potuto usare quella tecnologia per svolgere allenamenti mirati in uno stato simile al sonno, incrementando le loro capacità senza doversi muovere, una rivoluzione senza precedenti! Mentre la ragazza si prolungava nelle spiegazioni e nei complimenti verso il suo genio, slegò Lance e gli tolse il caschetto con gli elettrodi per la misurazione dell’attività cerbrale dalla testa.
Una simulazione, solo una simulazione. Ed era anche riuscito a migliorarsi nel mentre. Affascinante, davvero, ma ora tutto quello che Lance era sicuro di volere era un biscotto con le gocce di cioccolato fatto da Hunk.
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Caro Babbo Natale (2019 edition)
Caro Babbo Natale,
Quest’anno la letterina è proprio lunga. Mi è venuta una sorta di ‘stato della tragedia cittadina’ più che una lista di richieste, che - già intuisco - non onorerai.
Siediti paziente e leggimi, almeno.
Lo so bene che lì, dalla Lapponia, Avellino sembra una cacchina di mosca, minuscola, scura e persistente, in confronto all’esteso candore della neve artica.
Alle nostre lati-altitudini, un Natale di neve è evento poco frequente (e lo sarà sempre meno, ci ha avvertito Greta Thunberg). Ci piacerebbe, tuttavia, una bella nevicata, almeno per coprire certe brutture edil-urbanistiche, regalandoci una trasognata iconografia da spot. Il problema è che da noi la gestione della neve-in-città si trasforma in evento tragicomico, con deprecabili conseguenze politiche, perfino.
Vabbe’, faccio la seria da questo rigo in poi.
Qui giù viviamo sotto il ricatto costante dell’umido, spesso anche della pioggia, ultimamente anche di tipo monsonico. Sicuramente siamo vittime dell’inquinamento, perché - ci ripetono come se dovessimo per forza farcene una ragione - la conformazione del nostro fondovalle urbano è il miglior ambiente per la stagnazione in sospensione di monossidi e polveri sottili.
Siamo condannati dall’orografia, pertanto. Come a dire: è ‘o Pataterno che ‘o bbuo’.
Per salvarci - visto che non solo non si allarga la ZTL cittadina, ma c’è anche qualche scriteriato che vuole abolirla del tutto e lancia petizioni sui social - la prescrizione mai profferita apertis verbis sarebbe quella di chiudersi in casa: meno gente circola e meno problemi ci sono (come durante l’incendio dell’ICS dello scorso settembre, per capirci).
(Si chiama anche ‘cospirazione dell’hygge’, che è il pigro concetto danese di felicità: ciabatte, maglioni, tè speziato caldo e cofanate di peraltro indigeribili biscotti al burro, sul divano a vedere film glicemici, con sollazzo del colesterolo e tripudio dei trigliceridi.)
Il rintanarsi per non diventare vittime dei problemi (anche ambientali) è una sorta di traslazione della famosa Legge di Ford: tutto quello che non c’è non si rompe. (Sublimazione domestica: meno soprammobili, meno polvere.)
La prima cosa che vorrei, pertanto, chiederti per questa nostra umida e sfortunata Città è una migliore ventilazione, magari attraverso lo sbancamento di qualche altura, sicché si possa arieggiare meglio.
Non spaventarti. C’è un precedente.
Spero ricorderai che tanto tempo fa, nella trasmissione Portobello, di Enzo Tortora, ci capitò un tizio il quale propose di spianare completamente il Passo del Turchino in Liguria, colpevole - ipse dixit - della stagnazione della nebbia in Valpadana.
Tuttavia, sappiamo bene che ventilare il nostro fondovalle - nonché la Valpadana - è impossibile anche per te, come è altrettanto chiaro che ti sia ugualmente impossibile eliminare i fetenti motori diesel (ma chi diamine fa le revisioni ai veicoli irpini, eh?!? Efesto?) i quali imperterriti circolano arroganti per le vie cittadine, alla faccia dell’ordinanza anti catorci.
Cioè, tu, Babbo Natale, mo’ mi stai suggerendo che con una migliore politica urbanistica e gestionale del traffico potremmo quantomeno ridimensionare il problema?
Babbonata’, ma ci stai prendendo pe’ fessi? Quello, il Sindaco attuale, ha pure affermato che il protocollo con i Comuni contermini è inutile! Dài retta a me: per quanto utopico, sarebbe più facile che tu sbancassi (imperfetto congiuntivo da terzo periodo ipotetico, o dell’impossibilità) la collina di Monteforte, che far applicare il protocollo, proposto a suo tempo con paziente e saggia opera di diplomazia dalla triade Commissariale.
La Città, la nostra Città, vituperata e continuamente maledetta, eppure ci danniamo per spronarla a migliorarsi. Ci sono molte altre città (viaggio molto, lo sai) le quali sono urbanisticamente ed esteticamente peggiori di Avellino, talmente anonime e grigie da rivalutare la nostra con inaspettato orgoglio. Tuttavia, è giusto non fermarsi mai nell’incalzare i nostri Amministratori, perché qui si vive male. Nonostante i copiosi addobbi con i quali viene abbellita, a Ferragosto e a Natale.
Fermi resistono ancora cantieri-monstre (ovviamente schifati dagli umarels, i quali in crisi d’astinenza si sono fiondati sull’installazione delle luminarie) e migliaia di buche da poter gareggiare - nelle debite proporzioni - con Roma (o Budapest. Diamoci un tocco internazionale, suvvia). Abbiamo ancora lugubri catapecchie lungo l’arteria di fondovalle principale (via Francesco Tedesco). C’è l’Isochimica che sanguina continuamente delle sue vittime. Avellino (all’infuori del Corso) è sporca, più per colpa degli sciatti e strafottenti cittadini che siamo (padroni dei cani compresi), che non degli operatori della nettezza.
Vuoi sapere del Pronto Soccorso del Moscati? Delle liste di attesa per le visite specialistiche? Del traffico? Della sicurezza del Tribunale? Del dissesto dei marciapiedi e delle cunette? Della perdurante ostilità urbanistica nei confronti dei portatori di handicap motori e visivi? Della decadenza del centro storico, a cominciare dalla Dogana a finire nel buco nero di Piazza Castello?
E delle recenti vicende malavitose?
Caspita, Babbonata’, mica ti avevamo chiesto di farla sprofondare nella classifica di vivibilità [pubblicata dal Sole24Ore, NdR], eh? Ma che ti abbiamo fatto, noi Avellinesi?
Tu vuoi e puoi, dice la leggenda. Sei una sorta di emissario del Padreterno, che premia i bravi. Vuoi forse dirci che siamo stati pessimi? Ci siamo comportati peggio dell’anno scorso?!?
Ma se ci siamo allineati e coperti votando con gioia festosa e festeggiante il miglior Sindaco sulla piazza, affinché risollevasse le sorti amministrativo-gestionali nella comunità! Siamo stati pure così bravi a non dare di matto sulle vicende della squadra e dello stadio, del basket e del Paladelmauro. Per giunta, ci stiamo sorbendo la dislocazione schizofrenica dei pullman (poveri pendolari!) che invece di ridurre l’inquinamento, l’ha peggiorato. Ma chi le pensa ‘ste trovate logistiche, Paperoga?
Siamo talmente messi male, che Calitri è assurta nell’immaginario di Amazon come un posto talmente sperso, da utilizzare come simbolo delle magnifiche sorti e progressive dell’e-commerce.
Siamo talmente poveri in moneta e meschini in etica, oltre che costantemente meno acculturati, che i due terzi dei pur convenientissimi e-book circolanti in Italia sono crackati alla grande.
Gli avvertimenti delle forze dell’ordine sul pericolo dei prodotti contraffatti e pericolosi ci scivolano addosso: acquistiamo (volontariamente) cineserie ed (inconsapevolmente) false griffe ed alimentari privi di tracciabilità. Per ironia della sorte, a pochi giorni dalla presentazione dell’Analisi MISE-CENSIS sulla contraffazione nella nostra provincia (secondo la quale il fenomeno delittuoso risultava ‘tradizionale e contenuto’, privo di centri di produzione e smistamento), è stato scoperto il primo sito di stoccaggio di merce falsa in Irpinia, mentre si accumulano le denunce di spaccio di falsi e contraffatti anche nei confronti di accorsati esercizi commerciali.
Siamo in decadenza, invecchiamo nella crepa vieppiù abissale delle sperequazioni socio-economiche.
I nostri giovani migliori vanno via, dovunque, ma via di qui. La ‘restanza’ è solo un romantico concetto (talvolta perfino patetico), non una soluzione dignitosa per i nostri figli e nipoti.
La politica ha fallito.
Ho sentito bene? Mi stai dicendo che pure il Commissario straordinario del Piddì irpino ti ha scritto una letterina? Sta disperato pure lui?
Eh no, non chiedo nulla per l’attuale politica irpina (a destra come a sinistra): non si meritano nulla, se non l’estinzione totale.
Traghetteremo anche per quest’anno le nostre rassegnate anime oltre questo periodo festivo, avendo ritualmente fissato la conca del baccalà a sponzo (unica vera certezza del Natale irpino), nonché pure tradizionalmente rivisitato ed arricchito il campionario di chitammuorto smadonnato nell’assurdità del traffico pre-natalizio.
Statti bbuono, Babbonata’. Abbiamo capito che anche questo Natale andrà meglio il Natale prossimo. (Ma forse neanche.)
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Uno di quegli addii #2
Parte #1
Annaspava più di quello che avrebbe voluto: in quei pochissimi minuti che ci vollero perché lui salisse quei ventidue gradini (li aveva contati mille volte, lei, arrivando al mattino) non era stata in grado di fare niente. Togliere dal tavolo le cartacce, accendere il bollitore, truccarsi o almeno mettere un po’ di burro cacao. Aveva addosso una felpa oversize che sulle modelle era estremamente cool, ma che su di lei aveva solo il lato positivo di abbassare drasticamente la sua età apparente (da trentatre a tredici, più o meno). Teneva le mani dentro la tasca della felpa, la testa appoggiata allo stipite della porta.
Ciao!
Ehy.
Niente da fare. Quando, una volta ogni diecimila anni, a mo’ di stella cometa compariva nella sua vita, lei regrediva, perdeva certi filtri. Per cui, incurante della giacca fradicia, lo abbracciò.
Lui fece cadere l’ombrello grondante e ricambiò l’abbraccio, includendo in quello strano saluto anche il sacchetto di calzini in poliestere.
L’ultima volta che si erano abbracciati era stato in un’altra città, sotto lampioni giallo bottiglia. Si erano giurati senza nemmeno dirlo un eterno amore impossibile, e non avevano nemmeno compiuto trent’anni. Sapevano però con estrema lucidità che si sarebbero portati dietro questo fardello per sempre o qualcosa del genere, una promessa ironica di legame imperituro, osteggiata dal destino che li voleva entrambi felicemente accasati con due brave persone eccetera eccetera. Non era mai stato il loro momento, e probabilmente non lo sarebbe mai stato. Era questo che li rendeva speciali.
Che si dice, che ci fai qui, blablabla.
Mentre parlava pendeva letteralmente dai suoi occhi verdi: ne era gelosa, avrebbe sempre voluto un paio di occhi così, che non hanno nemmeno bisogno di un ingente quantitativo di mascara o eyeliner. Accese il bollitore per non rimanere imbambolata.
Una parte di sé sapeva benissimo quale fosse il motivo della sua visita. Scintillava al dito di lui come un occhio di bue in un teatro troppo piccolo. Ma lo aveva anche intuito da alcuni commenti inopportuni di una delle zie di lui, postato sotto a una foto di un cane buffo che lui aveva condiviso dimenticando di impostare la privacy su “Servizi Segreti”.
Mi hanno incastrato, rise lui. Proprio ieri.
Ah, le battute misogine. Investita da una missione di credibilità assoluta, lei si prodigò nel recitare la sua parte migliore: l’entusiasta super cool, come quelle modelle che non sfiguravano con indosso la sua felpa. Che meraviglia, congratulazioni, bravo, me l’aspettavo. Aha. Quando parti?
Ma soprattutto che diamine vuoi, si chiese in silenzio.
Domani! E si tolse il giubbotto bagnato, cercando un posto per appoggiarlo senza inondare d’acqua le scartoffie di quello studio.
Lei glielo prese dalle mani e lo appese a un gancio a forma di cervo.
Fantastico. Australia?
Eh già. Come lo sai?
Niente, una sensazione. Anche detta “atto di spionaggio sui più moderni social network”. L’Australia va forte per ora, ci vanno tutti.
Mentre gli porgeva una tazza del suo Earl Grey preferito, lui le raccontò della sua visita. Che era lì da pochi giorni, e chissà quando sarebbe tornato, per cui voleva dirle questa cosa di persona, salutarla, eccetera.
Negli ultimi anni si erano parlati a malapena. Nonostante la sua irrazionale felicità nel vederla (e per lei, naturalmente, era lo stesso) quell’imboscata era fondamentalmente priva di senso, e lo sapevano entrambi.
Beh, allora mi pare un’occasione più che buona per dirti che non sono solamente ingrassata. La voce si incrinò leggermente. Contribuirò alla crescita di questa valorosa nazione, yei. Sarà una femmina, credo. O forse un alien.
Avevano due sorrisi da paralisi veramente brutti da vedere. Lui aspettò per capire se la stesse buggerando, ma poi tornò ad abbracciarla. Sono felice per te, davvero. Non sapeva nemmeno lui se fosse sincero, in quel momento: dal suo punto di vista un figlio era una specie di malattia terminale.
Pochi secondi ed entrambi, a turno, cominciarono a lacrimare in modo maldestro, sempre con i sorrisi inquietanti di prima addosso.
Io allora vado. Questa gita alla ricerca di calzini sintetici si è protratta un po’ troppo.
Le prese la mano e la baciò. Il tocco di quelle dita sottili le risvegliò ricordi in slow motion che pensava di aver relegato per sempre a un vecchio diario qualche anno prima. Ricordi così antichi e polverosi che potrebbero essere rivisti in VHS. Sprofondarono tutti nel suo stomaco come un sasso lanciato con poca convinzione da un ponte.
Poi ci fu un secondo in cui entrambi immaginarono di concedersi il lusso di una sciocchezza, ma non accadde nulla. Lui prese il giubbotto, l’ombrello, trafficò con la serratura per capire come aprire quella vecchia porta blindata e uscì.
Ciao ciao. Ciao, ciao. Ciao.
Diceva sempre una marea di ciao quando si congedava. Lei non parlava più, aveva gli occhi rossi e un sorriso fasullo pronto a rovesciarsi, insieme a un ettolitro di lacrime.
Ciao ciao.
Chiuse la porta, si girò. Aveva dimenticato i calzini.
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DIABOLIK LOVERS MORE, BLOOD - SUBARU ECSTASY 06 (TRADUZIONE)
Traduttrice inglese: Akui Chansera
leggere la sezione FAQ nel blog prima di ogni domanda.
NON PRENDERE SENZA PERMESSO
-”keep reading” per la traduzione.
Luogo: Bagno
Yui: Sigh... ...
(Un’altro giorno pieno di problemi... ...)
(Ma grazie a questo bagno rilassante potrò dormire alla grande e libera dallo stress)
*il pomello della porta si muove*
Yui: (Hm... ..? Cos’è stato quel rumore... ...?)
*La porta sbatte*
Yui: !?
(C-Che diamine!? Proprio ora... ...il suono veniva da qui?)
*Entra Subaru in mutande lol*
Subaru: Ecco dov’eri.
Ma, perché hai chiuso la porta a chiave? Che dannata seccatura... ...
Yui: Su, Subaru-kun!?
(Perché è qui!?)
Subaru: Non urlare. Fa eco.
Yui: Cosa... ...stai facendo qui... ...! E perché sei senza vestiti?
Subaru: Non importa.
Yui: (Importa, ma non posso dirglielo quando è senza vestiti come ora... ...)
Subaru: ... ...Sai, il tuo corpo sembra un ramoscello.
Yui: N-Non mi guardare... ...!
*Yui si copre*
Subaru: Ha, adesso è tardi per coprirti. Non è niente di che comunque... ...
Yui: Che sia considerato niente di che o meno, non risolverà il problema... ...
Subaru: Bhé, non sono interessato al tuo corpo, quindi rilassati.
Voglio solo il tuo sangue.
Non voglio altro da te, giusto... ...?
Yui: (... ...Che cosa orribile da dire. Ma, perché il volto di Subaru-kun era triste quando l’ha detto... ..?)
Subaru: Oi, vieni qui.
Yui: N-Non posso farlo... ...
Subaru: Allora verrò io da te.
Yui: Kyaa... ...
Subaru: Yui, voltati.
Yui: N-No... ...!
Subaru: Tch... ... per essere solo cibo, mi fai davvero perdere tempo.
Bhé, se non ti giri, non è un problema per me. Ti morderò proprio qui.
抵抗する→ Opponi resistenza [niente amore]
Yui: No! Lasciami andare!
Subaru: Prova a resistere quanto vuoi. Non importa cosa fai, non puoi scappare da me.
Yui: (E’ impossibile che riesca a contrastare la sua forza... ...!)
恥ずかしくて動けない→ Troppo imbarazzata per muoverti/opporre resistenza [+5 amore]
Yui: (S-Sono così imbarazzata che non posso muovermi... ...!)
Subaru: Qualcosa non va? Ti sei azzittita all’improvviso.
Stai diventando impaziente... ...?
Yui: !?
(E’-E’ proprio dietro il mio orecchio... ...!)
Subaru: Heheh... ...Stai arrossendo fino alle orecchie? E’ da un po’ che il tuo corpo sta diventando caldo.
Subaru: Stai morendo dalla voglia di avere il sangue succhiato da me, solo che non vuoi ammetterlo.
Il sangue umano tenuto al caldo deve essere delizioso. In più, il mio cibo sta bollendo in questo bagno caldo.
Yui: Cos... ..!
Subaru: Heh... ...Mi chiedo se il sapore sarà diverso dal solito.
Non vedo l’ora... ...Davvero... ...
Yui: (? Di nuovo... ...Quell’espressione triste. Le parole di Subaru-kun dicono un’altra cosa rispetto a quello che prova)
(Che succede, qualcosa non va... ...?)
Subaru: Anche tu non vedi l’ora, vero? Il tuo corpo sta diventando caldo... ...
Yui: Questo perché il mio corpo è stato tutto il tempo nell’acqua... ...
Subaru: Sbagliato. Ovunque ti tocco, diventi più calda.
Yui... ...tu le desideri.
Le mie zanne... ..Nngh.
Yui: A-Aah... ...!
Subaru: Mngh... ...Nn... ..Haa... ...
Ahhh... ...quindi ha questo sapore... ...Mmmm... ...Bhé, tu sei “cibo” della più alta qualità dopotutto... ...
Yui: ... ..Nn... ...!
Subaru: Così dolce... ...e caldo... ...Haaa... ... ah.... ... si sta sciogliendo... ...
Yui: (Mi sto sentendo stordita... ...! Tutto il mio corpo è caldo... ...)
Subaru: Ah... ... Quando diffondi questo odore intorno a me, mi tenti... ...
E dato che hai questo sangue... ...ti desidero... ...
Mm... ..Ma, è tutto qui... ...Non c’è altro... ...
Yui: (Le parole di Subaru-kun stanno dando la colpa a me per tutto questo... ..?)
(Eppure, dal modo in cui parla, sembra che stia provando a convincersi che... ...)
Subaru: Cosa sei per me... ..!?
Yui: Aah... ...!
Subaru: Non abbiamo ancora finito, ti succhierò fino all’esaurimento... ...
Allora forse, tutto questo finirà... ...
-FINE ECSTASY 06-
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