#Borgo delle Casse
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Il Tempo e le Anime (A mio padre e a mia madre) - Parte terza
Sotto la scorza scabra, mio babbo racchiudeva una polpa di intenso sapore con un retrogusto ben più forte di questo eppure avvertibile solo dai palati più fini; io bambino non potei quindi capire appieno chi fosse, né quel che effettivamente accadeva intorno ovvero nella nostra casa, parendomi naturale ciò che per la maggior parte degli adulti sarebbe stata, invece, fonte o di meraviglia o di…
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#Abbazia di Santo Stefano#Babbo#Borgo delle Casse#Chiesa di San Francesco#Cinema Bios#Kaiser Guglielmo#Mercato di Mezzo#Osteria del Sole#Prima Guerra Mondiale#Riccardo#Sancta Jerusalem#Via del Poggiale#Via Santa Caterina#Zar Nicola
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Era un posto bellissimo. Una torre medievale all' interno di un minuscolo borgo, sperduto nelle campagne dell'Umbria. Un po' scomodo per viverci, perché c'era una stanza per piano e io odiavo quelle scale minimaliste - esteticamente molto belle - che portavano da una stanza all'altra. Ma la parte più bella era il solaio, dove avevi creato la tua "stanza della musica". Le pareti coperte con pannelli fonoassorbenti moderni e di design (un contrasto meraviglioso col resto dell' ambientazione), un impianto con casse più alte di me, uno splendido amplificatore valvolare e la tua enorme collezione di dischi. Un divano di pelle dagli ampi cuscini, il tappeto con sopra il tavolino basso. E sul soffitto quella bocca di lupo da cui si vedeva il cielo. I muri spessi della torre che ci proteggevano dall' esterno, ritagliando quell' angolo di paradiso con vista sulle nuvole. Mi sdraiavo nuda ai tuoi piedi sul tappeto ruvido, mentre tu fumavi il sigaro, e godevamo così di quel tempo sospeso, immobile, scandito solo dalla musica.
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Pistoia, eventi: a Buggiano Castello la grande festa dei giardini di agrumi. Il 28 aprile e il 5 maggio aperture straordinarie
Pistoia, eventi: a Buggiano Castello la grande festa dei giardini di agrumi. Il 28 aprile e il 5 maggio aperture straordinarie. Torna la grande festa dei giardini di agrumi di Buggiano Castello (PT), un sistema museale di giardini privati che si apre al pubblico, ogni due anni, nelle settimane della fioritura. L'undicesima edizione de 'La campagna dentro le mura' è stata presentata nel Media Center 'Sassoli' di palazzo del Pegaso. L'evento è un trionfo di biodiversità tra piante introvabili, agrumi e fiori da scoprire fra le mura medioevali del borgo in provincia di Pistoia. Le due domeniche di apertura straordinaria, il 28 aprile e il 5 maggio, vedranno tornare la manifestazione al suo consueto svolgimento: senza prenotazioni né visite guidate e con 3 nuovi giardini privati aperti. "È una manifestazione che mancava da un po' - ha sottolineato il presidente del Consiglio regionale Antonio Mazzeo - e dà il senso dell'appartenenza a una comunità. C'è tanta bellezza in questo territorio, il lavoro degli organizzatori, che ringrazio, è stato faticoso e porterà tante persone a Buggiano. La nostra Costituzione, all'articolo 9, sottolinea l'importanza di tutelare e mantenere vivo il paesaggio del nostro Paese e un'iniziativa come questa va esattamente in questa direzione". Ha partecipato alla conferenza stampa la consigliera segretario dell'Ufficio di presidenza Federica Fratoni: "Stiamo parlando di un presidio medioevale di una bellezza assoluta, che sarà possibile visitare nei suoi angoli più nascosti. Si potranno scoprire giardini privati in cui i proprietari mettono tempo e passione. Chi visiterà Buggiano Castello in queste due giornate vedrà il miglior esempio della Toscana diffusa, quella dei suoi gioielli più preziosi e nascosti che la rendono unica". "Abbiamo avuto il timore che questa manifestazione non ripartisse dopo la pandemia" ha raccontato il sindaco di Buggiano, Daniele Bettarini"e per questo - ha aggiunto - abbiamo accolto con entusiasmo l'iniziativa dell'Associazione culturale Buggiano Castello. Ci hanno messo tanto impegno e ringrazio loro e i nostri cittadini per il sostegno e la disponibilità. È un evento unico che va oltre i confini della Regione, chi verrà a trovarci resterà stupito da tanta bellezza". A raccontare l'iniziativa il presidente dell'Associazione culturale Buggiano Castello, Enrico Coturri: "Grazie ai paesani di Buggiano Castello è possibile aprire e visitare sedici giardini privati, normalmente chiusi al pubblico, nelle due domeniche del 28 aprile e del 5 maggio. È un trionfo di colori esaltato dalla fioritura degli agrumi che caratterizza tutti i giardini di Buggiano e l'intero paese". Ha partecipato alla conferenza stampa, in rappresentanza del Consiglio dell'Associazione, Vanna Tintori, proprietaria di due dei giardini privati che verranno aperti al pubblico. Sarà possibile parcheggiare gratuitamente a Borgo a Buggiano e proseguire per Buggiano Castello a piedi o con le navette gratuite. Alle casse del paese volontari dell'Associazione culturale Buggiano Castello APS chiederanno, a chi intende visitare i giardini, un contributo alla raccolta fondi con riduzioni previste per under 26, soci dell'Associazione stessa o iscritti FAI (Fondo per l'Ambiente Italiano). Il ricavato della raccolta fondi contribuirà al mantenimento del paese. Solo nel 2023 l'Associazione ha destinato 10mila euro al rifacimento delle finestre di palazzo Pretorio. Molti sono gli interventi che sono stati resi possibili dalle iniziative culturali promosse in paese: come il recupero di Porta San Martino e il restauro di una porzione del palazzo Pretorio. Durante le due domeniche sarà aperta al pubblico nelle sale di palazzo Pretorio, la mostra '50 Artisti a Palazzo - forme e colori dell'Atelier Chiaroscuro' che celebra i suoi 25 anni di attività con questa esposizione collettiva, che presenta una serie di dipinti, elaborati grafici e manufatti di artigianato artistico ispirati al tema del giardino. L'organizzazione della manifestazione è resa possibile dal contributo del Comune di Buggiano e del Consiglio regionale della Toscana, con il patrocinio della Provincia di Pistoia.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Mólcere.
Ci sarebbe questo viaggio da fare, ascoltami bene.
Dovresti cominciare coll’arrangiare una valigia, perfetta per pochi giorni di totale resa alla vita; dentro, fra un costume e un vecchia foto – utile quanto è utile un ricordo – ci dovresti infilare un vestito leggero, un paio di sandali e quel baule di delusioni e attese, aspettative e speranze, di proiezioni, distanze, cadute e fallimenti, di ufficio e treni, scadenze, incroci, orologi rotti dal tempo e camicie stropicciate in serate sbagliate.
Si tratterebbe dunque di partire al dilucolo, di partire appena si può, di farlo subito, organizzando l’auto per macinare chilometri verso un qualche borgo di costiera, fatto di pietre antiche e chiesette in bilico sul mare, dove le palme conficcate nelle aiuole – all’arrivo – ti salutano col vento, ondeggiando come mani di bambini fuori dai finestrini in corsa.
A pensarci bene, servirebbe ben poco per perfezionare il piano: tu potresti metterci i piedi nudi, io istruirei la mia mano a scollarsi dalla tua gamba solo per cambiare marcia alle cose, per cambiare ritmo alla tua musica, sfidando la necrosi di questo tempo tantalico e fiacco, sprecato ad aspettare domani, un weekend, la svolta, la busta, le ferie, il Natale, il miraggio di promesse non mantenute. Durante il percorso, sorseggiandoci dalla stessa bottiglia d’acqua, dovresti dirmi delle volte che hai preferito rinunciare e assopirti: evitando quell’incontro, rinunciando a discutere e rivendicare chi sei e cosa meriti, soprassedendo, incassando, sminuendo, scrollando le spalle fino a far cadere ogni frutto e ogni foglia.
Il navigatore, poi, sarebbe impostato su “vieni qui” e troverebbe strade che nemmeno immagini: quella per scusare chi ti ha fatto male, sottovalutata, derisa, ferita; quella per assolverti quando non sei stata abbastanza; quella, storta e sforacchiata, che “se solo avessi preso, adesso…”. Quella per arrivare a perdonarsi e riconoscersi – ormai induriti dalle cose – che ora, questo viaggio, il diritto alla felicità, ce lo siamo proprio meritati.
Poco lontano dall’arrivo, potremmo fermarci a fare rifornimento in quell’aria di sosta cotta dal sole, dove il cartello dice che si paga in lire e un canneto polveroso circonda l’asfalto sbeccato del parcheggio: lì, all’ombra di un oleandro con il tronco contorto dal caldo, potremmo sederci sullo spigolo del muro per riposare gli occhi, guardandoci per una mezzora.
La nostra stanzetta sarebbe riparata in cima alle scale, arroccata al lato del paese, con un soffitto di travi e le tende nuove, appena in faccia a quel ristorante dove la cuoca cammina su ciabatte consunte e impasta uova e farina da settant’anni. Lei, con l’andatura bonaria della sua vanità sfiorita, ti farebbe mille complimenti per quel vestito leggero e il tuo sorriso; ti chiamerebbe “amore mio”, spiegandoti – salace – di quanto in fretta scappino gli anni se non li sai condire bene, se te li mangi per fame e non per gusto.
Per lei, ogni donna è un tesoro; ogni uomo un pirata.
Sulle sedioline impagliate e sghembe, mosse da feltrini rifritti, mangeresti con le gambe nude e le mani strette nelle mie mani, con lo sciabordio delle persone attorno e il fresco che della piazzetta refola fino al retro: lì, tra casse d’acqua e panni stesi, sopra i sassi umidi delle vie di schiena, un negozietto che vende souvenirs ti farebbe il regalo di una cartolina, colorata dal sole e logora di salsedine.
Ci sarebbe scritto: “ti stavo aspettando” e non avrebbe altri destinatari che te.
Perché certi viaggi - vedi - non li scegliamo noi: certi viaggi ci aspettano da sempre.
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Magrignano, ripartono i lavori delle casse di espansione. Lunedì Salvetti sarà sul luogo per il punto della situazione
Magrignano, ripartono i lavori delle casse di espansione. Lunedì Salvetti sarà sul luogo per il punto della situazione
L’area interna della cassa di espansione Livorno 9 settembre 2022 – Ripartono i lavori di completamento e adeguamento della cassa di espansione del Borgo di Magrignano Lunedì prossimo, 12 settembre, alle ore 12.00, il sindaco Luca Salvetti farà il punto della situazione. Insieme a lui il dirigente del settore Urbanizzazione, Infrastrutture e Mobilità Luca Barsotti e i tecnici del Comune.
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San Bernardo
Sabato e la festa UFO alle porte.
2 luglio 2022: IO. 2 luglio 2016: NOI.
Al TG mancava la solita notizia del traffico, l'autostrada del SOLE che mi porta al MARE e mai da TE.
Questo per dire cosa? Terrazzino o balconcino dei suoceri?
La strada è diventata A LUCI SFOCATE.
Uno di voi, mentre facevo manovra per uscire dal posto auto della farmacia, un padre di famiglia, ha solo detto "SONO NOI E NON MI MUOVO".
Amico caro, tu sei maschio NON uomo. Il fatto di non essere educato alla vita con gli altri non ti autorizza ad essere il padrone della strada. Cit.
Ah e cm mai? Non mi ha voluto quindi te la farò pagare.
Stessa storia, stesso luogo comune alle casse del supermercato. La cassiera ha sgranato gli occhi all'improvviso. Ho pensato solo che si stesse sentendo male.
"Non faccio il conto a chi non mi manda i messaggi elettorali."
Mai visto NOI. Ma come mai vi fanno schifo i soldi? Eppure servono, vizi e non. NOPE.
Poi, dico io, sei carina ma... io ho l'effetto magico. Elemento nelle storie di lui ma prp magia Jonny nelle storie di lei.
Ricordo quando nel lontano 2016, Noi ripeteva di continuo la parola f*********. Bei tempi, quando quella cosa serviva ad avere quella cosa li.
La spesa settimanale è stata pagata con una regolare carta di credito banco di coso NO per un totale di 105,00 euro.
Mangiano assai proprio, per questo sono GRASSE. Aspe, chiatta mai. Sono iniziate le meritate vacanze, NOI è tornato al 1989, anche chi non era nato.
Ho fatto per NOI un giro per le strade del borgo. In pratica dopo 6 anni dalla truffa, SONO IO ma non quella dentro.
Sono bella lo so, una faccina solo da ammirare.
Torniamo alle cose serie della vita. Modalità il vacanziere. In cosa consiste?
DUE mesi di meritata vacanza.
Chi può usufruire del bonus? MIAO.
In giro per NOI e... novità.
Saldi già al 70%. Un fatto buono per NOI tutti.
Sveglia dopo le 11.00 ma se sei al villaggio turistico alle 10.00 già è GIORNATA DI LAVORO.
Sabato è comitiva di coppie (copione invernale) + tavolata dimostrativa (copione estivo).
La pasta a pranzo o a cena: LA REGOLA (copione estivo).
Sabato è spesa settimanale marito (estivo+ invernale).
Sabato è APERITIVO mai.
Apericena SI. After cena SI. Anice sciroppo granita: ESTATE TORMENTONE FOODLY.
Azzurro tra i capelli: ESTATE TORMENTONE HAIRTLY.
Solo ragazze turchine per strada. Nessuna era la figlia di #loredana.
Nel mio paesello sono sbarcati i TURISTI per caso mai.
La città non si è svuotata ma è DESERTICA.
Troppi mariti infedeli.
Care Noi, non ho niente contro di NOI, eppure voi non accettate il mio limite fede al dito; una cosa voglio dirvela: rispetto per chi VUOI.
Apro e chiudo parentesi. Cosa raccontate ai vostri figli?
Non possiamo stare con tutti e non siamo la scelta di tutti.
Come funziona? Di nuovo lei e quel cappero di discorsetto di hai ragione tu ma non possiamo dirtelo e diciamo a tutti che sei pazza.
Non è sbagliato avere l'amore nella vita. Non è sbagliato avere come dite voi delle certezze.
Identità rubata. Sono quella a cui è stata rubata l'identità all'età di 11 anni, alla morte del padre RED.
L'AMORE è anche questo, BLU + RED; RED + RED; RED + GREY; GREY + GREY.
Lavoro di nuovo. Già vi ho spiegato come funziona con NOI. L'azienda di papà o del suocero. Si e no. Non vogliamo tutti la fidanzata nella vita. Oltre il fiocco c'è la cravatta e il papillon. Le papille gustative e per me le pupille dilatate.
Amore ti sto pensando. (Occhiali da sole #D&G).
Novità dal mondo NOI.
Cibo di nuova generazione, vecchia per voi. 1403.00
Cremoso, frullato, spalmabile, morbido, soffice, appetitoso...
#vitagliano aveva la pizza nel menù cornicione crema di zucchine.
Che figata!
#cit.
Sciroppi per granite NON MALE. Una spettacolo proprio limone e zenzero zero calorie.
#iperfamilasupermercati
#aperol gusto pesca da provare con ghiaccio.
#satur e le mini pochette per partire in ordine.
Bei prezzi e bel risparmio.
Mi fischiano le orecchie. Si lo so, il vostro problema GRAVITAZIONALE è l'uscita serale. Eppure alla mia epoca, tardo medio-Evo si piangeva per ottenerla.
Non sono mai stata una di NOI perchè volevo vivere e basta. Non si scende per stare con il fidanzato, può attendere dati i tempi e le modalità di azione.
Per chi volesse salvare la faccia SUMMER 2022, Stella vi aspetta tutti i giorni tranne la notte perchè la luna è sacra agli dei. Viveri e vivande si ogni tipo, forma e dimensione.
NOI svuota il frigo e il pozzetto prima della partenza per le vacanze, cosa che dovrebbe verificarsi nei giorni a venire compreso oggi.
(Mi scuso per la CRUSCA).
Noi insegna che il freezer va svuotato 15 gg prima della data di partenza e va riempito il giorno dopo il rientro.
Buoni propositi per l'estate shopping sale:
borsa #happycasa
sandali #pittarosso #scarpe&scarpe
Da provare Smoothie lampone e cocco.
#saugella pochette art edition.
Evergreen #COCACOLA con ghiaccio senza cannuccia e limone.
Un messaggio verità.
Tutto a posto, vv. Noi ci inventiamo le vite. Facciamo tutto noi.
L'AMORE è anche questo, solo quello che non si fa NON SI Sa.
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OROLOGI E PASSIONE
Orologi e passione: Piccola storia dell’orologeria svizzera È dagli albori della civiltà, se non prima, che la misura del tempo affascina gli esseri umani. Si iniziò con l’osservare le regolarità dei movimenti celesti: i cicli della luna, del sole e del firmamento. La misura del tempo aveva una necessità pratica: coordinare sull’arco dell’anno le semine e i raccolti o del giorno per le necessità giornaliere. Con l’avanzare della civiltà e delle sue esigenze la misura del tempo doveva essere sempre più precisa. Dal consumarsi di una candela, all’ombra del sole (meridiane), al flusso di predeterminate quantità d’acqua, allo scorrere della sabbia in una clessidra, all’invenzione di aggeggi meccanici dal funzionamento sempre più regolare (pendolo, bilanciere, ecc.) al contare le vibrazioni di un cristallo (quarzo), alla frequenza di risonanza di un certo atomo (orologio atomico), la misura del tempo è diventata sempre più precisa, permettendo un coordinamento sempre maggiore delle attività umane e la misura temporale di fenomeni fisici senza dimenticare i progressi fatti nel tempo dalla navigazione oceanica con l’utilizzo di orologi sempre più precisi (cronometri di bordo). In sintesi, il progresso. Senza la misura del tempo sempre più accurata, non ci sarebbe la civiltà che conosciamo. Ma dedichiamoci a orologi e passione. La storia che ci interessa qui è quella dell’orologeria meccanica, particolarmente di quella svizzera. I primi orologi meccanici risalgono al XIV secolo e furono costruiti in Europa e i primi orologi portatili (non possono essere definiti ancora orologi da tasca per le loro dimensioni e forme) furono introdotti nella seconda metà del XV secolo. Apparvero simultaneamente in Italia e in Germania. Quelli da tasca, seppure fossero per decenni assai ingombranti, furono introdotti nei primi decenni del XVI secolo e via via furono perfezionati con sempre maggiori innovazioni meccaniche e miniaturizzati, anche se i principi basilari del loro funzionamento rimasero inalterati per secoli fino all’introduzione degli orologi elettronici. L’industria orologiera più importante e significativa per quel che riguarda orologi e passione è l’industria orologiera svizzera. Va comunque ricordato che nell’orologeria meccanica la Francia e l’Inghilterra ebbero un ruolo determinante nello sviluppo tecnico degli orologi. Il riformatore francese Giovanni Calvino, a Ginevra, a metà de XVI secolo, proibì i segni esteriori di ricchezza (Ginevra era già protestante con Farel e aveva già promulgato editti che proibivano il lusso nella religione) obbligando i gioiellieri a trasformarsi sostanzialmente in orologiai. Un certo Bayard, dell’ondata di protestanti francesi e italiani arrivati a Ginevra nella prima metà del XVI secolo per sfuggire alle persecuzioni religiose, divenne il primo orologiaio ”ufficiale” nel 1554, ma altri apprendisti orologiai erano presenti a Ginevra in quel periodo. Infatti gli orologi non erano considerati gioielli perché utili ma potevano comunque essere oggetti di gran lusso. Nacque e si sviluppò così l’orologeria ginevrina che si caratterizzava per la sofisticazione e la ricchezza (pietre preziose, oro, smalti) dei suoi manufatti. Molti dei rifugiati ugonotti - così numerosi da raddoppiare il numero di abitanti della città - erano infatti artigiani, chi nel settore tessile, chi nella gioielleria, chi nell’orologeria o banchieri e aiutarono lo sviluppo industriale e commerciale di Ginevra. Una seconda ondata di rifugiati protestanti arrivò a Ginevra dopo la strage di San Bartolomeo nel 1572.
Orologio del 1650 (Wiki) Una terza ondata di ugonotti francesi arrivò a Ginevra dopo la revoca dell’Editto di Nantes, che li proteggeva, nel 1685, e fu più importante numericamente delle prime due. Una parte di questi nuovi rifugiati con molti orologiai e artigiani tra di loro, non potendo più stabilirsi a Ginevra, si distribuì nell’arco giurassiano (Vallée de Joux, regione del lago di Neuchâtel, Giura bernese, ecc.), fondando piccole manifatture anche orologiere. I contadini del Giura - regione dagli inverni lunghi e molto nevosi - avevano molto tempo a disposizione durante l’inverno e molti di loro si dedicarono, nella scia dei nuovi arrivati, all’orologeria. Erano aziende agricole d’estate e laboratori orologieri durante la brutta stagione. Una semi-leggendaria origine dell’orologeria giurassiana, particolarmente di quella dell’alto cantone di Neuchâtel, vuole che nel 1679 un mercante di cavalli tornato dall’Inghilterra con un orologio da tasca che si era rotto si rivolgesse al figlio di un fabbro nato a La Sagne (piccolo borgo del cantone di Neuchâtel) per ripararlo. Quest’ultimo, Daniel JeanRichard, lo esaminò, si appassionò alla meccanica e in un anno, dopo aver realizzato tutti gli strumenti necessari, lo riparò. Trasferitosi a Le Locle vi fondò un’impresa orologiera che divenne il seme del futuro sviluppo dell’industria della regione. Una leggenda? Forse, ma Daniel JeanRichard divenne comunque il nume tutelare dell’orologeria neocastellana e giurassiana. Anche nella pianura ai piedi del Giura in direzione di Zurigo, in città come Granges/Grenchen, Soletta, sciaffusa e Langendorf si svilupparono successivamente aziende orologiere.
Statua di Daniel JeanRichard a Le Locle Tra la fine del XVIII e il XX secolo l’industria si sviluppò ulteriormente e vennero fondate aziende importanti sia a Ginevra sia nell’arco giurassiano e le sue vicinanze. Nel cantone di Neuchâtel, ad esempio, si svilupparono due città gemelle: Le Locle e La Chaux-de-Fonds che divennero centri importantissimi dell’industria orologiera. La città di La Chaux-de-Fonds nel 1794, già centro orologiero, fu distrutta da un incendio e fu ricostruita con l’orologeria in mente seguendo un piano a scacchiera (all’americana) con strade dritte molto larghe per l’epoca, disposte ad angolo retto, onde permettere alla luce di penetrare meglio negli atelier degli orologiai, generalmente siti sotto o sopra l’abitazione dei dipendenti. Le 2 città funzionavano esse stesse come orologi. Costituite principalmente da una miriade di piccoli atelier che fabbricavano pezzi specifici degli orologi: chi le sfere (lancette), chi le casse, chi i quadranti, chi pezzi dei movimenti (calibri), ecc. Ogni azienda dipendeva dall’altra. Rare erano le aziende che facevano tutto o quasi in casa. Certe grandi aziende, all’inizio del XX secolo, avevano più di mille dipendenti e producevano centinaia di migliaia di orologi all’anno. Karl Marx definì la città nel “Il Capitale* come un’immensa città fabbrica. Per questi motivi entrambe le città sono diventate patrimonio dell’umanità Unesco per il loro urbanismo orologiero. A la Chaux-de-Fonds ha sede il museo internazionale dell’orologeria (MIH) che senz’altro vale una visita anche per chi non è un appassionato. https://www.chaux-de-fonds.ch/musees/mih/
Vista parziale di La Chaux-de-Fonds Nella seconda metà del XIX secolo l’importante industria americana degli orologi era molto meccanizzata e fordista ante-litteram e l’industria svizzera, più frammentata e artigianale, dovette adattarsi per competere. Anche con l’aiuto di imprenditori ebraici immigrati dall’Alsazia che si stabilirono principalmente nelle montagne neocastellane, ma non solo, l’industria adottò metodi produttivi più moderni. Alla fine del XIX secolo l’industria svizzera iniziò a dominare per innovazione e qualità l’industria orologiera mondiale; dominazione che si protrasse per quasi tutto il XX secolo. A Ginevra e nella Vallée de Joux grandi “Maison” si affermarono come icone a livello mondiale: Rolex, Patek Philippe, Vacheron & Constantin (fondata nel 1755), Universal Genève, Audemars Piguet. Nel Giura bernese e a Biel/Bienne: Longines, Omega, Heuer, Marvin. A Le Locle: Zenith, Tissot, Ulysse Nardin. A La Chaux-de-Fonds: Movado, Election, Girard- Perregaux, Eberhard, Breitling, Invicta, Vulcain, Ogival. Nel Giura neocastellano: Piaget. A Soletta: IWC. A Granges /Grenchen: Eterna. Le aziende erano centinaia e ovviamente non si possono citare tutte in questa breve retrospettiva. Certe manifatture producevano quasi tutto l’orologio in casa, altre aziende assemblavano solo componenti prodotti da terzi. Altre grandi aziende erano (sono) specializzate nella produzione di “ébauche” ovvero solo del movimento (calibro) nudo. Ad esempio alla sua fondazione nel 1926 Ébauches SA a Neuchàtel (oggi ETA), essa stessa un conglomerato di altre preesistenti aziende (A. Schild, FHF, Michel), impiegava 6000 dipendenti, per - successivamente inglobando altre importanti aziende (Landeron, Felsa, Venus, Unitas, FEF, Valjoux, ecc.) - arrivare a più di 10000. L’industria orologiera svizzera aveva un’importanza fondamentale per l’economia nel suo insieme: infatti l’orologeria ha stimolato tutto il comparto industriale delle macchine utensili necessarie per la sua meccanizzazione, macchine utensili che servivano anche ad altri scopi (micromeccanica e meccanica di precisione in generale) e che si affermarono sul mercato mondiale per la loro grande qualità e precisione. All’avvento degli orologi da polso al quarzo, resi ubiqui dai giapponesi negli anni 70 del secolo scorso seguì una grave crisi dell’industria svizzera che non seppe adeguarsi alla nuova tecnologia in tempo seppure la possedesse. Molte aziende scomparvero, altre furono salvate per il valore del loro brand, certe vissero sul loro prestigio. Quel decennio e l’inizio del successivo fu, per l’industria orologiera svizzera, un vero e proprio calvario con grave danno per l’occupazione. Dai primi anni ottanta però l’industria svizzera reagì (concentrazioni e investimenti in ricerca e sviluppo) e si dedicò a quello che sa fare meglio: gli orologi meccanici di alta gamma partendo paradossalmente da un orologio rivoluzionario nel suo concetto, semplice e al quarzo: lo “Swatch”! La rinascita fu inaspettata e superò tutte le più rosee previsioni. Mettendo in gioco la sua storia, le sue capacità tecniche e il suo prestigio secolare l’industria svizzera dell’orologeria riconquistò il suo posto sul gradino più alto del podio. Di tutti gli orologi prodotti nel mondo la Svizzera attualmente ne produce poco meno del 3% ma rappresentano più del 50% del valore complessivo della produzione orologiera mondiale. Ad esempio le esportazioni svizzere di orologi, nel 2014, hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 22,2 miliardi di CHF (Circa 20,3 mia di EUR).
Non mi dilungherò sulle vicissitudini dell’assetto proprietario delle aziende orologiere svizzere degli ultimi 5 rivoluzionari decenni. Si può sommariamente dire che a fronte di grandi e iconiche aziende rimaste indipendenti (Rolex, Patek Philippe, Audemars Piguet, ecc.) molte altre fanno parte di grandi gruppi orologieri o del Lusso: Swatch Group, LVMH, Richemont, Kering, ecc. Altre ancora sono di proprietà estera o sono state spostate in altri lidi. Inoltre, negli ultimi decenni si sono create aziende indipendenti che producono orologi meccanici in piccole quantità ma di grandissimo pregio tecnologico o di alta gioielleria.
Un orologio Philippe Dufour (orologiaio indipendente)
Greubel Forsey La Chaux-de-Fonds
Franck Müller Genève Orologi e passione: Il collezionismo Ci sono varie forme di collezionismo di orologi. Le due più importanti sono gli orologi da tasca e gli orologi da polso, collezionismi a volte combinati. Ci occuperemo brevemente in orologi e passione di quelli da polso che sono gli orologi più ricercati dai collezionisti, soprattutto i modelli realizzati nel secondo dopoguerra, anche se gli orologi da polso dei primi decenni del secolo scorso non sono disdegnati. La storia del primo orologio da polso è assai dibattuta: i primi furono orologi per signore, più gioielli che orologi, per gli orologi maschili invece c’è chi dice che il primo fu realizzato addirittura nel XVI secolo, chi attribuisce la sua paternità a Patek Philippe nel 1868 e chi la attribuisce a Girard-Perregaux che realizzò una serie di orologi da polso per la marina tedesca alla fine del XIX secolo.
Patek Philippe da tasca del 1908 Si può senz’altro affermare che gli orologi da polso sono diventati ubiqui, per gli uomini, dai primi decenni del secolo scorso. Durante la prima guerra mondiale gli ufficiali e i piloti portavano spesso orologi da polso detti “trench watch”, concepiti per l’uso militare, con una griglia metallica protettiva, più o meno impermeabili. Erano orologi assai grandi e spessi e realizzati con movimenti da orologi da tasca, molto più pratici durante i combattimenti (trincee, aviazione) che non i tasca. Dopo la prima guerra mondiale gli orologi da tasca ebbero tendenza a scomparire e l’industria si mise a produrre orologi da polso accessibili a quasi tutti i ceti sociali. Negli anni 30 la proporzione nella produzione tra gli orologi da polso e quelli da tasca era di circa 50/1. Inoltre gli orologi da polso furono aiutati nella loro diffusione planetaria da innovazioni che li rendevano sempre più affidabili e solidi. Si affermarono alla fine della prima metà del secolo scorso, nella grande produzione, la cassa impermeabile, l’antiurto e soprattutto il movimento automatico. Già esistenti nella prima metà del secolo scorso ma relativamente rari e considerati orologi da lavoro i cronografi, dagli anni 60/70, divennero orologi molto diffusi. Le casse degli orologi da polso possono essere in acciaio, in argento, in oro con varie gradazioni (9,14,18 carati), in platino e più recentemente in titanio - e anche se più raramente - in bronzo. I cinturini e i bracciali hanno materiali e fogge infinite, inutile descriverli.
Trench watch della WWI
Movimento cronografico Valjoux 72 per un Rolex Daytona anni 60/70
1982 Movimento (calibro) ETA 2824-2 automatico, antiurto Il collezionismo di orologi non è una novità. L’orologio, se è sempre stato considerato un oggetto utilitaristico, è anche e soprattutto un oggetto che nelle sue varie forme può acquisire un grande valore tecnico (cronografi, calendari completi, annuali, perpetui, rattrappante, répétition minute, tourbillon, ecc.), essere uno status symbol o diventare un vero e proprio gioiello sia per la presenza di complicazioni straordinarie sia per il lavoro orafo che lo compone e questo ne fa, anche per l’immensa varietà di modelli, le varie tipologie, le sue dimensioni e la grande diversità dei prezzi, un oggetto ideale da collezionare.
Movado cronografo M95 degli anni 40
Patek Philippe calendario perpetuo del 1943 Seppure il collezionismo di orologi fosse già molto diffuso nella seconda metà del secolo scorso, l’avvento del web ha amplificato il numero di collezionisti. Infatti molti ritrovano orologi dei nonni o dei padri e il web permette di venderli o di scambiarli, commercianti di orologi nuovi o vintage vi trovano una vetrina globale e i collezionisti una miniera da scavare. Inoltre il web fornisce la possibilità di informarsi sui modelli, le “Maison”, i movimenti (calibri), la tecnica, le sempre più frequenti aste, la storia delle singole aziende, anche di quelle scomparse, ecc. Anche l’editoria si è accodata pubblicando molti periodici e libri dedicati al collezionismo di orologi. Non si collezionano solo orologi di gran pregio ma anche orologi a basso costo, seguendo spesso un personale “fil rouge” che può essere la storia, l’innovazione tecnica, il periodo storico, una tipologia (solo tempo, cronografo, cronometro, subacqueo, complicato, ecc.), una “Maison” particolare o semplicemente l’estetica. Va detto che per i loro movimenti assai complicati ed esteticamente pregevoli i cronografi godono di grande considerazione presso i collezionisti.
Rolex submariner del 1953 (il primo) Il collezionismo di orologi apre un mondo fatto di tecnica sopraffina. Un orologio meccanico è un oggetto dal fascino particolare, che allea utilità, tecnica ed estetica, non è solo uno status symbol ma spesso procura una soddisfazione intima al collezionista quando pensa che al polso ha un oggetto del quale conosce la meraviglia meccanica che nasconde, o la sua storia. Ovviamente anche i più moderni orologi al quarzo non sono da disdegnare e meritano rispetto e considerazione. Inoltre la storia dell’orologeria meccanica non si ferma in Svizzera. Orologi e passione vale anche per gli orologi giapponesi, tedeschi e americani spesso prodotti di grande orologeria, ma anche i russi, i cinesi, gli indiani e altri meritano considerazione e sono spesso oggetto di collezionismo.
Cronografo Omega Speedmaster professional del 1968 (detto Moonwatch). Due Libri su tutti per iniziare a conoscere l’orologeria da collezione: di Marco Strazzi: Giornalista, scrittore e storico dell’orologeria. Libri (italiano/inglese) ottenibili su AMAZON o direttamente sul suo sito The Museum Collection.
“The Museum Collection è un viaggio attraverso gli strumenti per la misura del tempo, il biglietto d'ingresso di una mostra, una fonte d'ispirazione per gli appassionati desiderosi di costruire la collezione perfetta. Cos'è la "collezione perfetta"? Secondo l'interpretazione proposta dal libro, è quella che comprende i cento orologi da polso più rilevanti del Ventesimo Secolo sotto il profilo tecnico ed estetico…”
”Lancette & C. è l’avventura dell’orologio da polso come non è mai stata raccontata prima: anno per anno, modello per modello, immagine per immagine. Il volume ripercorre un secolo di tecnica e design…” L'articolo su orologi e passioni: Piccola storia dell'orologeria svizzera è stato scritto da Mauro Locatelli: appassionato collezionista, ha lavorato per più di trent’anni come trader e gestore per le più importanti case di brokeraggio USA/UK, tra le quali ED&F Man e Refco. Specializzato in trading speculativo e hedging su valute, commodities e strumenti derivati, dispone della licenza USA per operare sui mercati americani (03 series). Nel 1989, inoltre, ha ottenuto la licenza di Fiduciario Finanziario dal Consiglio di Stato del Cantone Ticino. Read the full article
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Racconti| La macchia blu. Una falsa storia vera (cap. IV)*
di Alessio Palumbo
Capitolo IV
Passarono una decina di giorni scarsi e una mattina, mentre assonnato a causa della notte passata in bianco per il caldo si trovava ancora nell’altare di san Nicola per rinfrancarsi con un po’ di frescura, udì i cardini del portone della chiesa cigolare e nuovi passi veloci e leggeri susseguirsi sulla navata. Non poteva essere il servitore che era andato via da poco e neanche da giovane si era mosso con tanta agilità.
Si affacciò sulla corta navata del vecchio tempio e vide con sconforto la vedova Resta avanzare con la sua andatura spedita. Rassegnato le andò incontro. Si incontrarono all’altezza del confessionale di sinistra e don Celestino fece cenno alla donna di accomodarsi sull’inginocchiatoio
“Non voglio confessarmi” disse lei decisa
“Ah. E che volete?”
“La voce è tornata”
Don Celestino allargò le braccia
“Questa notte?”
“Si questa notte e anche le notti prima”
“E perché non siete venuta a dirmelo?”
“Perché voi non mi credevate papa”
“E bene? Cosa volete ora? Perché siete venuta a parlarmi di nuovo di questa voce?”
“Perché stavolta ho visto anche l’anima in pena che piange e si lamenta”
Don Celestino la squadrò dall’alto. Cercò di leggerle sul volto i segni della demenza, ma la vedova Resta pazza non era o almeno non lo sembrava. Appariva sicurissima di quel che diceva e, cosa più degna di nota, per nulla impressionata.
“In che senso l’avete vista?”
“L’ho vista, l’ho vista. Era come un’ombra che si muoveva con attorno una luce giallina”
“Finora non avevi mai visto questa luce?”
“Mai. Da quando sono venuta a confessarmi la prima volta, ho trascorso le notti alla finestra. Sentivo di tanto in tanto il lamento, leggero, lontano, ma luci nessuna. Questa notte l’ho vista. È durata poco, ma non la scordo”
“Maria” fece comprensivo “Non è che vi siete addormentata e avete sognato..”
“Cosa sognato? Cosa?” urlò la vedova sollevando le mani al cielo “Io oramai dormo il giorno per poter essere sveglia la notte. Guardate come sono sveglia e lucida, non come voi, papa, che state cascando in piedi”
“Calma Maria, calma. Non vi agitate”
“Ora dovete venire a benedire la casa dei Mauro”
“Come la casa dei Mauro?” chiese sorpreso il prete
“E certo. L’anima non sta in casa mia, ma nella casa che era di donna Petronilla Mauro e che sta addossata alla mia”
“Ma non ci abita nessuno?”
“No. Donna Petronilla è morta parecchi anni fa e il figlio mi sa che andò a stare dal padre che era del capo di Leuca”
“Ho capito. Ma come facciamo ad entrare in casa dei Mauro se non c’è nessuno”
“La benedite dalla finestra di casa mia” rispose netta la vedova che non aveva nessuna voglia di continuare quella discussione. “Vi aspetto stasera dopo la funzione. Sia lodato Gesù Cristo”
“Oggi e sempre sia lodato” rispose confuso il cantore.
La vedova uscì e don Celestino tornò sulla sua sedia nell’altare di San Nicola. Osservò con sguardo vuoto la porzione di navata che la prospettiva gli consentiva di vedere. Il sole, che in quel momento si trovava alle sue spalle, era alto e la luce che penetrava dalle finestre a forma di bocciolo poste sulla sua testa ne testimoniava l’eccezionale potenza. In quel bagliore giallo, le pareti della chiesa, i suoi arredi, le poche suppellettili spiccavano in tutta la loro miseria. L’umidità chiazzava di verde le vecchie mura; dai finestroni pendevano ragnatele e tracce di infiltrazioni solcavano dall’alto in basso il tempio. Puntualmente i vescovi avevano chiesto all’arciprete di turno di sistemare quel misero tempio, di acconciarlo e renderlo degna della sua funzione. Ma con quali denari? Il paese era povero. La chiesa stessa era povera e a costo di sacrifici si riusciva a tenerla almeno decente in qualche sua parte. Col terremoto del quarantatré si era lesionata e allora l’Università aveva dovuto vendere terre e beni per poterla mantenere in piedi. Del resto era il destino di tutte le chiese del paese. L’Annunziata era crollata più volte e ancora pericolava. Il Crocifisso, poco più di una cappella, era anch’esso ammorbato dall’umidità. Stessa cosa per la Madonna delle Grazie e per quella di Costantinopoli. Per non parlare della chiesa dello Spirito Santo, ancora interdetta. E cosa dire di tutte le chiese che, alcuni dicevano, erano esistite in passato e di cui oramai non c’era più traccia se non in qualche moncone di muro rimasto in piedi o in qualche vago ricordo dei più vecchi che ne avevano sentito parlare dai loro nonni.
Lui stesso se n’era sempre disinteressato. Aveva avuto cura dei propri paramenti, aveva sempre ottemperato con scrupolo al proprio ufficio ed infatti nessun vescovo, in tanti anni, gli aveva mosso il minimo appunto. Però non era andato mai oltre. Ducati ne aveva da parte, ma non li aveva mai spesi per sistemare la chiesa, per donarle un arredo, una tela, una statua.
“Magari in morte” concluse a mezza voce e tornò a leggere il breviario.
A sera, terminata la funzione, pose i paramenti con ordine in una delle casse della sagrestia, prese secchiello ed aspersorio e ritornò nell’aula dell’edificio sacro. Si avviò verso l’uscita e, passando accanto al fonte battesimale, prese un po’ d’acqua dal catino per versarla nel secchiello; ripose la bacinella d’ottone nel fonte e abbandonò il tempio.
Un leggero grecale addolciva l’aria e la luce rossastra del tramonto colorava le pareti delle case intorno al sagrato, omogeneizzandole in un comune tono roseo che camuffava crepe, macchie di umido e segni del tempo. Percorse la stretta via che portava in piazza e, giuntovi, superò la piccola chiesa del Crocifisso che si trovava alla sua destra. Bussò quindi ad una bassa porta di un bel verdone brillante.
“Chi è?”
“Don Celestino”
“Entrate, è aperto”
Il vecchio cantore spinse l’uscio ed entrò. La casa della vedova Resta, come d’altronde la gran parte delle case della gente comune del paese, si componeva di una sola stanza, con la madia, due o tre sedie, il camino in un angolo, stracci appesi ai chiodi e una tenda per celare i letti. La discreta ricchezza che il marito aveva accumulato, anche grazie a lei, la si poteva dedurre da un piccolo mobile lavorato posto in un angolo, con sopra una statua di san Rocco alta due o tre palmi, che al collo portava appesa una catenina d’oro con un anello nuziale. Sicuramente quello del povero Pietro Chiriace.
“Accomodatevi” fece “Di qua” e così scostò la tenda che separava la stanza dalla zona adibita a dormitorio. Accanto al canterano, posto al lato del letto, don Celestino notò una finestra aperta su un giardino.
“Questa l’aprì mio marito buonanima. Dà proprio sul cortile della casa dei Mauro” spiegò la vedova “È da qui che sento le voci. È da qui che ho visto la luce l’altra notte”
Il sacerdote si avvicinò e si affacciò. Il cortile era oramai in ombra. Era una sorta di rettangolo irregolare con due o tre alberi che, alla poca luce residua, ipotizzò essere di limone. Si capiva che era abbandonato da tempo, perché la vegetazione attorno agli arbusti cresceva alta e rigogliosa, coprendone quasi per intero i tronchi.
“Dove avete visto la luce?” chiese don Celestino
“Lì” indicò la vecchia ponendosi accanto, nel ristretto spazio della finestra.
Il dito, corto e nodoso, puntava ad una finestra al secondo piano. Quella parte della facciata dell’edificio era ancora in luce perciò il cantore poté osservarla con attenzione. L’intonaco attorno alla finestra era pressoché caduto. Resisteva solo un piccolo riquadro, abbastanza regolare, proprio sotto l’apertura. L’interno della stanza era celato da una tenda consunta.
“Avete visto la luce nonostante la tenda?” chiese sempre più dubbioso
“Si, ve lo giuro sul sacramento, papa” rispose rapida
“Lasciate stare i sacramenti” rispose un po’ spazientito
“La luce l’ho vista nitida perché la tenda non copre tutta la finestra. Quella è la finestra della vecchia camera da letto di donna Petronilla Mauro. Quando morì lei e la casa venne abbandonata, mio marito aprì questa finestra per fare entrare un po’ di aria e di luce in casa nostra. Non l’avesse mai fatto, pace all’anima sua”
“Va bene” fece accondiscendente don Celestino e, afferrato l’aspersorio, tracciò una croce nell’aria in direzione della casa dei Mauro, recitò alcune preghiere in latino poi si voltò e ripeté il rito a favore nella casa della vedova la quale, una volta zittitosi il sacerdote, si fece il segno della croce.
“Ora cercate di stare tranquilla” le disse “Riposate e non state sempre alla finestra”
Così dicendo chiuse lui stesso lo scuro. Nel farlo sentì però una sorta di fitta alla testa che lo spinse a portarsi la mano a semicerchio attorno alla fronte.
“Che avete papa?”
“Niente, niente. Con i vostri discorsi mi avete rintronato. Cercate di stare tranquilla”
“Me lo avete già detto”
“E allora fatelo” chiuse don Celestino ed uscì.
In piazza alcuni contadini discorrevano animatamente; accanto a loro passò il medico Matteo De Pandis a cavallo di una mula: proveniente dal suo comprensorio di case nel borgo fuori le mura, puntava verso l’abitazione di qualche ammalato o moribondo nel paese. I contadini si levarono il cappello per omaggiarlo.
Don Celestino percorse velocemente lo spiazzo e anche lui fu omaggiato dagli uomini in piazza. Li salutò con un breve cenno della mano. Giunto dal lato opposto si voltò per osservare la casa della vedova Resta. Lo sguardo puntò poi in alto: da lì vedeva, oramai quasi completamente al buio, il lato destro del palazzo dei Mauro e la finestra della camera che era stata di donna Petronilla. Fissò per un breve momento la fenditura nel muro celata dalla tenda consunta e la fitta si ripropose.
“Sono stanco” disse, senza però esserne convinto.
Giunse a casa, mentre per strada uomini e donne prendevano a sedersi vicino agli usci per trascorrere un paio di ore raccontandosi fatti della giornata e dei tempi passati. Sull’ingresso incrociò il servitore che accendeva il lume per rischiarare la misera stanza.
“Ancora insistete ad accendere lumi, con tutte le zanzare che ci sono” lo rimproverò il cantore
“A me le zanzare non mi toccano. Ho il sangue cattivo” rise il vecchio “Ma che avete?” aggiunse incupendosi. “Vi vedo pallido, avete gli occhi affossati. Non vi sentite bene?”
“Dammi una sedia e un boccale di acqua. Mi gira la testa”
“Volete due fichi anche?”
“No, solo da bere”
“Allora state proprio male” pensò il servo versandogli da bere da un otre di creta che aveva accanto al letto. Don Celestino bevve velocemente e si lasciò andare sulla sedia impagliata che il vecchio gli aveva messo vicino
“Cosa avete?” provo a chiedere nuovamente
“Te la ricordi donna Petronilla Mauro?” chiese di rimando il sacerdote
“Certo che me la ricordo” rispose il vecchio che in quelle storie di tempi passati ci scialava “Donne così belle non ne rinascono. Aveva due occhi neri che facevano innamorare. E quanti le fecero la corte prima che si accasasse! Bella e ricca com’era non era pane per gente del posto e infatti don Domenico, il padre, la diede al figlio di un signore del capo di Leuca. Poveretta” sospirò il vecchio dopo una breve pausa “tanto bella quanto sventurata”
“Perché?” chiese il cantore
“Il matrimonio non fu fortunato. Una figlia, Teresa, le morì che era piccolina e non aveva neanche dieci anni. Già allora donna Petronilla sembrò perdere la testa. Poi altri dolori glieli provocò l’altro figlio, Michele, che era uno scapestrato, si azzuffava con tutti i peggiori elementi del paese. Ma del resto la madre lo aveva cresciuto così, gli aveva passato tutti i vizi e tutti i lussi. Quando lei morì, una quindicina di anni fa, il padre lo prese e lo portò con sé nelle terre di famiglia. Abbandonarono tutto: quella bella casa che avevano in piazza, che se la vedete ora vi piange il cuore per come sta cadendo a pezzi, le terre, il mulino. Una fortuna buttata”
“Chi era il marito di donna Petronilla?”
“Don Francesco Letizia di Alessano. Dicono un uomo ricchissimo. Ma perché tutte queste domande su donna Petronilla?”
Il cantore gli raccontò la faccenda della vedova Resta, naturalmente ciò che non era coperto dal vincolo del confessionale.
“È possibile” sentenziò il servitore
“Cosa?” chiese il padrone
“Che l’anima di donna Petronilla Mauro si disperi ancora per la propria sorte. Povera donna. Bella com’era avrebbe meritato un’altra fine, papa”
Il sacerdote si alzò stancamente. L’acqua e le chiacchiere col servo gli avevano fatto passare quella morsa che gli aveva serrato con tanta violenza la fronte. Percepiva però ancora una sensazione di malessere. Forse avrebbe dovuto accettare qualcuno dei fichi che il servitore gli aveva offerto.
“Mi dai un fico?” chiese
“Ora sì che siete tornato in voi. Mi stavate facendo preoccupare” fece l’uomo porgendogli un grosso frutto verde
“Buona notte e grazie” si limitò a dire il cantore iniziando a salire la ripida scala che portava alle proprie stanze
“Buona notte, papa”.
[*] Illustrazioni di Andrea Palumbo. Ringrazio l’associazione Arataion.it per avermi fornito lo spunto e le basi documentali per raccontare questa vicenda.
Qui i primi tre capitoli:
Racconti| La macchia blu. Una falsa storia vera (cap. I)
Racconti| La macchia blu. Una falsa storia vera (cap. II)
Racconti| La macchia blu. Una falsa storia vera (cap. III)
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BORGO PACE – Ha visto la partecipazione di numerosi sindaci e rappresentanti di associazioni (tra cui Camera di Commercio regionale, Ordine dei commercialisti provinciale, Cisl del territorio di Urbino, Confederazione italiana agricoltori di Pesaro) l’incontro che il presidente della Provincia Giuseppe Paolini ha tenuto a Borgo Pace, nella sala polifunzionale “Spazio Metauro”, per illustrare a cittadini ed amministratori gli interventi fatti dall’amministrazione provinciale su strade e scuole (in questo caso quelle nell’area sud ovest del territorio provinciale) ed ascoltare le esigenze della popolazione.
Insieme a lui, il direttore generale della Provincia Marco Domenicucci, il dirigente del Servizio Viabilità Mario Primavera ed il dirigente del Servizio Edilizia scolastica Maurizio Bartoli. L’appuntamento, che rientra in una serie di incontri e confronti previsti dal presidente Paolini in particolare nelle aree interne, è stato aperto dal sindaco di Borgo Pace Romina Pierantoni.
“Ringrazio il presidente Paolini – ha detto – perché appuntamenti come questo sui territori sono molto importanti, è il momento di unirci, partendo non solo dai problemi ma anche dalle potenzialità. L’unione fa la forza e mi auguro che la Provincia riesca a creare quella sinergia costa–entroterra, grande–piccolo, che porti ad una progettazione condivisa. Bisogna essere tutti uniti soprattutto per rivendicare con forza nei confronti dello Stato infrastrutture stradali, come la Fano – Grosseto, perché solo con quelle si può rendere qualsiasi progetto di sviluppo futuribile”.
UNA DIFFERENTE FISCALITA’ PER LE AREE INTERNE
“Essendo sindaco di un comune dell’entroterra – ha detto Giuseppe Paolini – vivo come voi le problematiche, le divisioni ancora consistenti tra costa ed aree interne, che invece dovrebbero andare avanti in simbiosi. Le aree interne sono penalizzate in molti ambiti, bisognerebbe che lo Stato prevedesse fiscalità diverse per i piccoli Comuni e per chi insedia o tiene vive attività, evitando lo spopolamento. Penso alle botteghe dei piccoli paesi, che svolgono di fatto un servizio sociale per quegli anziani che non riescono ad andare a fare la spesa in centro.
Penso anche al trasporto scolastico, che vede costi notevoli per le famiglie delle aree interne. Quella per una differente pressione fiscale è una battaglia che intendo portare avanti insieme ai sindaci, così come la battaglia per far sì che lo Stato lasci alle Province i fondi che provengono da Rc Auto e Ipt per poter fare maggiori interventi sulle scuole e sulle strade, visto che da anni siamo sottoposti a prelievi forzosi”.
PRELIEVI FORZOSI E INVESTIMENTI
Sui prelievi forzosi subiti dalla Provincia si è soffermato il direttore generale della Marco Domenicucci. “Dal 2014 lo Stato – ha detto – oltre a non fare più trasferimenti alle Province, preleva risorse, in contrasto con l’autonomia finanziaria sancita dalla Costituzione. E tutto questo mantenendo in capo alle Province competenze importanti come la gestione e manutenzione delle scuole superiori e delle strade provinciali.
In tempi più recenti, a livello nazionale ci si è resi conto che molti problemi riscontrati su strade e scuole derivavano proprio da questa situazione e sono state ritrasferite alle Province alcune risorse, che non sono però sufficienti. Nel 2018, dopo prelievi forzosi dalle casse del nostro ente per 17 milioni di euro, lo Stato ci ha restituito 5,2 milioni di euro. Nonostante le difficoltà, la Provincia dal 2015 al 2018 ha fatto investimenti sulle strade per 13,8 milioni di euro e sulle scuole superiori per 9,3 milioni di euro”.
GLI INTERVENTI SU STRADE E PONTI
Come evidenziato dal dirigente del Servizio Viabilità Mario Primavera, i trasferimenti del Ministero Infrastrutture e Trasporti alla Provincia per la manutenzione straordinaria della viabilità provinciale ammontano a 2,5 milioni di euro l’anno, di cui 800mila euro per la manutenzione dei ponti.
“Una cifra insufficiente, che rapportata ai 1200 km di strade provinciali fa capire come la Provincia abbia a disposizione solo 1800 euro a km contro gli 8000 euro a disposizione dell’Anas”. Facendo il punto sui recenti interventi e su quelli programmati, sulla strada provinciale 61 “Borgo Pace” si sono conclusi i lavori per la messa in sicurezza del piano viabile e pertinenze (13mila euro finanziati dal Mit-Ministero Infrastrutture e Trasporti programma 2019) ed è stato fatto dalla Provincia lo studio di fattibilità tecnico economica per la sistemazione del tratto franato al km 1+800 e per altri tratti di strada, per un importo di 60mila euro.
“Sempre sulla Sp 61 – ha aggiunto Primavera – è prevista nel 2020 la manutenzione del ponte per un importo di 36mila euro (fondi Mit 2020), così come sono previsti interventi sul ponte sulla SP 7 a Piandimeleto (80mila euro Mit 2020) e sul ponte sulla SP 81 a Sant’Angelo in Vado (80mila euro Mit 2020)”. Tra gli interventi effettuati, a Mercatello sul Metauro nel luglio 2018 è stata acquisita e risistemata la strada comunale, ora strada provinciale 157 “Fienaie”, che serve da collegamento con la provincia di Perugia in alternativa alla strada statale “Bocca Trabaria”, che per un periodo è rimasta chiusa per una grossa frana.
“Anche se la funzionalità di quest’ultima è stata ripristinata – ha aggiunto il dirigente – la strada provinciale ‘Fienaie’ costituisce un valido collegamento alternativo”. Ad Apecchio è stata invece ripristinata in estate la strada provinciale 101 “Caselle” ad Acquapartita dopo la frana del maggio scorso (spesi 100mila euro). Nell’ambito di un finanziamento del Ministero Infrastrutture e Trasporti di 200mila euro (Mit 2019) sono stati fatti interventi per la messa in sicurezza del piano viabile e relative pertinenze delle strade provinciali 2 “Conca”, 70 “Piandicastello”, 99 “San Sisto”, 135 “Castellina” – Ca Antonio. Numerosi altri interventi hanno riguardato strade provinciali nei territori di Lunano, Peglio, Belforte all’Isauro, Piandimeleto.
SCUOLE: “CELLI” DI PIOBBICO E “DELLA ROVERE” DI URBANIA
Per quanto riguarda le scuole, come sottolineato dal dirigente del Servizio Edilizia scolastica Maurizio Bartoli “la Provincia sta investendo molto nelle scuole delle aree interne, è una strategia in corso da anni”. Tra gli interventi più consistenti nell’area, l’ampliamento del Polo scolastico IPSSAR “Celli” di Piobbico, con la costruzione del nuovo comparto cucine ed il completamento degli edifici esterni per un importo di 460mila euro (a cui si aggiungono 25mila di contributo per l’acquisto di nuove attrezzature per laboratori cucine), con conclusione lavori prevista a febbraio 2020.
La scuola, che nel 2016 ha visto l’adeguamento di aule al secondo piano dell’edificio esistente (spesi 90mila euro), sarà al centro di un consistente intervento di adeguamento sismico e alle normative di sicurezza, con riorganizzazione degli spazi, finanziato dal Miur per 4,1 milioni di euro. Importanti interventi anche per l’istituto omnicomprensivo statale “Della Rovere” di Urbania.
“Su Palazzo Rasi – ha aggiunto Bartoli – stiamo continuando gli interventi per il recupero e la messa in sicurezza, per un importo di 400mila euro. In corso anche interventi nella sede di via Garibaldi sulla porzione della Chiesa di Santa Chiara sovrastante alcuni locali della scuola (38mila e 500 euro). E’ inoltre in corso anche la progettazione per il miglioramento sismico dell’istituto grazie ad un finanziamento di 4 milioni di euro giunto alla Provincia”.
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Che ogni angolo di Scozia sia stupendo è chiaro e lampante come ti avventuri in un on the road in terra scozzese, la natura è stata davvero molto generosa con la magica Alba. Ogni lembo di Scozia ha il suo fascino, la sua caratteristica ma c’è un luogo, a pochi chilometri da Edimburgo, che sembra uscito da una fiaba, uno degli angoli più belli di tutta la Scozia, scandito da piccoli e placidi villaggi puntellati di piccoli cottage bianchi e porticcioli vivaci e colorati.
È la regione del Fife caratterizzata da un paesaggio davvero fantastico: da un lato le dolci colline dell’entroterra, dall’altro le scogliere sferzate dal vento e battute dalle acque del Mare del Nord.
Questo tratto di Scozia nella costa sud orientale, collocato nella Penisola del Fife è il luogo ideale per gli amanti della natura e dello sport all’aria aperta, è infatti una zona ricca di magnifici i campi da golf vista mare e si trova a soli 50 chilometri da Edimburgo.
L’East Neuk of Fife è quella striscia di terra adagiata sul mare e caratterizzata da cinque splendidi villaggi: Elie, Saint Monans, Pittenweem, Anstruther e Crail. Villaggi di pescatori autentici e pieni di fascino dove il tempo sembra fermo e radicato al passato. La caratteristica che accomuna i villaggi è il profumo del mare, il rugliare delle onde che scandisce le giornate, il verso dei gabbiani e quell’aria constante che vi accarezza il volto e che vi condurrà alla scoperta di luoghi incantevoli.
Arrivare dalla capitale è molto semplice e veloce, in auto, grazie ai ponti gemelli sul Firth of Forth (detti Forth Bridges), autentico capolavoro d’ingegneria, Con l’autobus diretto Stagecoach X58 o X60, partenze ogni ora.
Ma vediamo uno per uno questi villaggi dell’East Neuk, già il nome è una promessa, “neuk” termine scozzese che significa “corner” angolo, cantone. E infatti angoli e cantucci carini c’è ne sono molti.
Scarica qui l’itinerario con partenza da Edimburgo
ELIE & EARLSFERRY
È il primo dei cinque villaggi che formano l’East Neuk. Elie ed Earlsferry erano due piccoli villaggi separati ma affacciati sulla stessa baia, nel 1929 sono stati uniti in un unico villaggio. Oggi Elie ed Earlsferry sono unite da una baia di sabbia dorata, talvolta coperta dall’altra marea.
Earlsferry è il più antico dei due villaggi, nel 1541 venne nominato Royal Burgh da Re Robert III, è caratterizzato da un’interessante zona residenziale con delle villette carine affacciate sul Mare del Nord e campi da golf.
Elie è da sempre un importante porto anche grazie alla sua posizione più protetta nella baia. Elie è sicuramente molto più carina e pittoresca rispetto a Earlferry, grazie ai suoi caratteristici cottage dai tetti colorati. Molto in voga durante il periodo Vittoriano anche perché era raggiungibile con il treno già da 1863. Oggi la ferrovia è solo un ricordo ma rimane indubbiamente un villaggio che attira molti turisti. La parte orientale del villaggio regala magnifiche viste sul mare e sulle scogliere circostanti.
Da vedere: Ruby Bay e Shell Bay beach e il faro Elie Ness Lighthouse, piccolo ma caratteristico e pittoresco. Nei pressi del faro, lungo il promontorio, a est, si intravede una piccola torretta di pietra la Lady’s Tower, fatta costruire nel 1770 per Lady Jane Anstruther, figlia di un ricco mercante.
Da qui parte il Fife Coastal Path, un sentiero scozzese che va da Kincardine a Newburgh lungo la costa di Fife. Il tratto più interessante lungo la costa è quello che da Elie porta a St. Monans, secondo me, sicuramente il più bello. Il Coastal Path è ben segnalato da simboli colorati.
SAINT MONANS
Saint Monans è il più piccolo dei villaggi del Fife e uno dei più autentici. Un meraviglioso borgo di pescatori caratterizzato da un dedalo di viuzze acciottolate dove vi affacciano deliziose casette in pietra o dipinte a calce con colori tenui.
A dare il benvenuto ai viaggiatori la pittoresca Saint Monans Auld Kirk, una chiesetta di pietra circondata da un cimitero che, secondo leggenda fu fatta costruire nel XIII secolo per volere di Re David II, per essersi salvato da una spaventosa tempesta durante una traversata, a bordo della sua nave, nel Firth of Forth. Il re per essersi salvato prego St. Monas che era sepolto in una piccola cappella proprio nel luogo dove poi venne costruita la chiesa.
Altro luogo di riferimento, attorno al quale si svolge la vita cittadina, è il porto che accoglie le colorate barche dei pescatori al riparo dai venti impetuosi del Mare del Nord. Nei pressi del porto anche il minuscolo Harbourmaster Office. Non mancate la passeggiata lungo il molo per godere della visione delle caratteristiche dimore attraverso le nasse colorate pronte per la pesca, immagine ritratta in molte fotografie. Saint Monas è un’ottima tappa per fare una pausa culinaria a base di crostacei magari al Seafood Reasturant.
Da Saint Monans verso Pittenweem, lungo il Fife Coastal Path, potete visitare il mulino a vento della fine del XVIII secolo. Il mulino a vento restaurato è l’ultimo rimasto a Fife e regala una splendida vista sul Firth of Forth, a poca distanza, sempre lungo il Coastal Path, si raggiungono le saline: le Saint Monans Salt Pans, testimonianza del passato del villaggio che fu un importante centro per la produzione e la vendita del sale. Tra 1700 e 1800 il sale era il terzo prodotto più esportato in Scozia, dopo la lana e il pesce.
PITTENWEEM
Un altro meraviglioso villaggio di pescatori da cartolina, che è diventato punto d’approdo e di rifugio per artisti provenienti da tutta Europa! Anche qui viottoli acciottolati, il porto ricolmo di pescherecci ondeggianti, circondato dai tipici cottage dell’East Neuk. Qui più che in ogni altro villaggio della zona si nota l’influenza fiamminga nell’architettura degli edifici, dovuta agli scambi commerciali con i Paesi Bassi, scambi che avvenivano con frequenza nel passato. Ne sono simbolo le tegole rosse o nere dei ripidi tetti a gradoni.
Pittenweem è il porto più attivo dell’East Neuk of Fife, il porto è sempre molto vivace e affollato. Fate un salto al mercato del pesce che vi regalerà un’atmosfera vivace e chiassosa, il mercato si tiene nel capanno dal tetto rosso. Di prima mattina non di rado si vedono i pescatori scaricare il frutto del loro lavoro: casse stracolme di gamberi, granchi, aragoste e molto altro.
A Pittenweem bisogna fermarsi a guardare la casa del Capitano James Cook, nota come Gyles, ma vi consiglio di esplorare ogni angolo di questi paesini. Dal porto salendo verso High Street troverete stetti e interessanti vicoli dove affacciano interessanti casette, sono davvero caratteristici molti non hanno nome.
Il vicolo più interessante è Cove Wynd, vicolo della grotta, dove si trova una delle attrazioni principali di Pittenweem, appunto la Grotta di San Fillan, St. Fillian’s Cave che ospita una cappella utilizzata da San Fillian già nel 700. Leggenda racconta che St Fillian, un santo scozzese di origini irlandesi, che aveva poteri miracolosi, pare usasse la grotta per scrivere i suoi sermoni completamente al buio perché la luce proveniva dal suo braccio, avete capito bene, dal suo braccio. Oggi la grotta è considerata un santuario, per accedervi è necessario chiedere le chiavi al The Cocoa Tree Shop o The Little Gallery.
In cima a Cove Wynd, passato Cocoa, si arriva in High Street e subito a destra troverete la chiesa e il Tolbooth, l’antica sede del municipio che ospitava anche le prigioni, si trova nella torre attaccata alla chiesa, tanto da essere scambiata per il campanile.
Se capitate in agosto a Pittenweem si tiene l’Art Festival con artisti da tutto il Regno Unito, le cui esibizioni artistiche si svolgono negli angoli più pittoreschi del villaggio, trasformandolo in una galleria a cielo aperto.
A 5 chilometri dalla cittadina tra Saint Monas e Pittenweem verso l’interno potete visitare il suggestivo Kellie Castle una residenza signorile con torri gemelle del ‘500 e meravigliosi giardini con sentieri ombrosi. Fermatevi per una pausa culinaria base di pesce o per un tè con scones a The Dory Bistro and Gallery.
ANSTRUTHER
Anstruther è senza dubbio il villaggio più turistico e, conseguentemente, con la maggiore affluenza, anche perché ha un porto turistico dove fanno tappa molte imbarcazioni che navigano la costa e infatti in giro per il villaggio e nei molti negozi della cittadina si incontrano molti turisti provenienti dal porto. Ma nonostante sia il villaggio mondano non ha perso il suo antico fascino.
Se arrivate a piedi dal Coastal Path, Anstruther è raggiungibile attraverso un sentiero sterrato che dalla spiaggia porta alla strada, passando fra le abitazioni di Shore Road, incontrerete una carinissima chiesa circondata da un cimitero, la Dreel Hall, oggi sconsacrata usata come spazio ricreativo. Di fronte la chiesa c’è una casa molto particolare, interamente ricoperta di conchiglie, conosciuta come Buckie House, risale al XVII secolo ma il rivestimenti di conchiglie risale ad evoca successiva, attorno al 1840.
Un porticciolo meno turistico e più caratteristico nelle vicinanze è quello di Cellardyke, un porto oggi quasi dimenticato (senza barche) ma che è stato il secondo per importanza di tutto l’East Neuk e uno dei meglio conservati di tutta la Scozia. Da vedere assolutamente, circondato da case in pietra con i panni stesi in bella mostra, per un salto nel passato, anche la strada che vi conduce al porto è bellissima. Ad Anstruther trovate anche lo Scottish Fisheries Museum, uno suggestivo museo dedicato alla pesca scozzese, con foto storiche e dipinti sulla pesca, oggetti, vestiti, attrezzature e una flotta di 22 barche storiche.
Anstruther è il punto di partenza per raggiungere in barca l’Isola di May, con The May Princess. Per maggiori informazioni leggete qui. L’isola custodisce una riserva naturale, luogo ideale dove avvistare uccelli marini, tra i quali i simpatici puffin dal becco arancione.
CRAIL
L’antica Crail – pare sia risalente al tempo dei Pitti – è l’ultimo villaggio dell’East Neuk of Fife. Quello che nel 1310 è stato nominato Royal Burgh da Robert Bruce, oggi è un bellissimo borgo di pescatori caratterizzato da viuzze acciottolate che scendono ripide fino al porticciolo che accoglie le barche dei pescatori, è un vero gioiello l’antico porticciolo contornato dai bellissimi cottage in pietra con le porte colorate, sicuramente uno dei più pittoreschi dei villaggi dell’East Neuk of Fife.
Fermatevi a The Lobster Hub per ordinare crab e lobster (vi daranno un vassoio con piatti, posate e condimenti) o panini farciti con lobster e crab e sedetevi a mangiare in uno dei tavolini attorno al porto.
Crail è il villaggio più amato e più fotografato dai turisti, dove tutto è perfettamente armonioso e ve ne renderete conto come mettete piede sul magico suolo di Crail, il vostro sguardo si perderà continuamente ad ammirare ogni angolo: dalle architetture fiamminghe delle abitazioni al porticciolo con le barche che si lasciano cullare dalle acque salate.
Non dimenticate la passeggiata in Castle Walk che con pochi passi vi porta a un interessante punto di osservazione. Alla Saint Mary Church o Parish Church potrete vedere la famosa pietra blu che secondo la leggenda venne scagliata qui dal diavolo dall’Isle of May.
A pochi chilometri da Crail, per gli appassionati di racconti di guerra, è possibile visitare lo Scotland’s Secret Bunker, una specie di fattoria che a 300 metri di profondità ha un bunker anti nucleare.
Scozia: i meravigliosi villaggi dell’East Neuk of Fife Che ogni angolo di Scozia sia stupendo è chiaro e lampante come ti avventuri in un on the road in terra scozzese, la natura è stata davvero molto generosa con la magica Alba.
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Taranto, ladri seriali di supermercati immortalati dalle telecamere e denunciati
Taranto, ladri seriali di supermercati immortalati dalle telecamere e denunciati. I Carabinieri del Commissariato Borgo ha identificato un uomo ed una donna entrambi tarantini, rispettivamente di 36 e 33 anni, che il 23 settembre scorso si sarebbero resi responsabili di un furto in un supermercato di via Mazzini a Taranto. La coppia è stata immortalata dalle telecamere di sorveglianza dell’esercizio commerciale mentre si impossessava di numerosi articoli tra generi alimentari di pregio, cosmetici ed igiene personale per un importo stimato di circa 700 euro. Le immagini delle telecamere Dalla visione delle immagini, sembra che i due, entrati nel negozio intorno alle 18,30, passando con estrema scaltrezza da un reparto all’altro, siano riusciti ad occultare in una grossa borsa portata a tracolla dalla donna tutta la merce rubata, per poi uscire rapidamente da una delle casse incustodite. I poliziotti, dopo aver raccolto la denuncia del responsabile del supermercato, hanno avviato immediate indagini che ben presto hanno permesso di identificare i presunti autori del furto, peraltro già conosciuti alle Forze dell’Ordine per i loro precedenti in materia di reati contro il patrimonio, l’uomo anche per reati inerenti gli stupefacenti. I precedenti La coppia, infatti, sembrerebbe prediligere i furti nei centri commerciali, tant’è che il mese scorso entrambi sono stati denunciati dai poliziotti del Commissariato di Martina Franca per reiterati furti all’interno di un esercizio commerciale di Martina Franca. Trasmessi gli atti all’Autorità competente, i due sono stati denunciati in stato di libertà perché ritenuti presunti responsabili del reato di furto aggravato in concorso. Read the full article
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VERSO LE AMMINISTRATIVE Stignano: confronto tra i candidati sindaci Francesco Candia e Giuseppe Trono
Nuovo post su italianaradio http://www.italianaradio.it/index.php/verso-le-amministrative-stignano-confronto-tra-i-candidati-sindaci-francesco-candia-e-giuseppe-trono/
VERSO LE AMMINISTRATIVE Stignano: confronto tra i candidati sindaci Francesco Candia e Giuseppe Trono
VERSO LE AMMINISTRATIVE Stignano: confronto tra i candidati sindaci Francesco Candia e Giuseppe Trono
di Francesca Cusumano
STIGNANO – Countdown per la tornata delle elezioni amministrative 2019, in programma domenica 26 maggio.
Oggi la nostra testata mette a confronto i due candidati sindaci di Stignano, Francesco Candia, sindaco uscente che concorre per il suo nuovo mandato con la lista “TIMONE – Nuovamente per STIGNANO – Al Centro” e Giuseppe Trono, già consigliere di minoranza, alla sua prima esperienza in qualità di candidato di primo cittadino, alla guida della lista “Pro Stignano”.
A entrambi, abbiamo rivolto le medesime domande per capire le loro idee sull’imminente competizione elettorale, nonchè i punti di forza delle loro linee programmatiche.
1. A parte l’amore per la sua comunità, cosa la spinge ad accettare una sfida così difficile come quella di una competizione elettorale?
CANDIA: “Mi sono candidato anche per attuare e completare alcune opere importanti per Stignano che sono comprese nel “Patto per il Sud” della Città Metropolitana e nel “Decreto Periferie”, ma soprattutto per garantire una gestione adeguata ai bisogni generali della comunità in sintonia con le azioni di lotta che la platea dei Sindaci della Locride è chiamata ad affrontare in materia di servizi sanitari, le infrastrutture e trasporti e per l’occupazione”.
TRONO: “Quello che mi spinge ad accettare una sfida così difficile e gravosa, vista la serietà dell’impegno, è sopratutto la voglia di veder finalmente svoltare il mio paese. Mi spiego meglio: ricordo un paese vivo, culturalmente e socialmente, ricco di attività artigianali e dove la gente era felice di vivere il territorio, ricordo voglia di stare assieme e di aggregarsi. Con il passare del tempo questo entusiasmo è andato scemando e il nostro piccolo borgo si è andato lentamente spegnendo appiattendosi su una quotidianità senza stimoli e prospettive future per i più giovani e i servizi poi, non hanno subito quel miglioramento fisiologico che sarebbe stato necessario e dovuto dalla continuità delle amministrazioni precedenti che anzi, hanno sottovalutato la straordinaria utilità della manutenzione ordinaria in tutti i campi ( rete idrica,fognaria, illuminazione pubblica, strade e decoro urbano). Io vorrei ridare a Stignano il lustro e la vivacità passata che ora sembra aver smarrito”.
2. Quali sono i punti principali e di forza del suo programma?
CANDIA: “Prevedo di elaborare un progetto di valorizzazione dei beni confiscati recentemente consegnati al Comune per allestire un centro di implementazione dell’istruzione ai giovani denominato “Vivere il mare, abitare la cultura”. Porteremo avanti il recupero conservativo e la valorizzazione del castello di San Fermo per il quale, nell’ultimo mandato, l’amministrazione ha sostenuto la spesa nascente dall’acquisizione per circa 200.000 €. Ho previsto nel programma azioni più incisive per migliorare i servizi ambientali e quelli alla persona”.
TRONO: “I punti di forza della “mia” programmazione sono le persone dietro a questo grande progetto di rinnovamento: aver vagliato con concretezza tutti i settori nei quali è necessario intervenire ed aver scritto nero su bianco le modalità con le quali procedere. Quello che abbiamo pubblicato non è una semplice dichiarazione d’intenti ma una vera e propria linea programmatica che seguiremo, qualora l’esito delle elezioni ci consentirà di sedere in Consiglio comunale. Territorio, sviluppo, lavoro, agricoltura, turismo e sicurezza: abbiamo idee concrete da portare avanti in ognuno di questi campi, con l’ulteriore innovazione dello Sportello Amico in grado di supportare il cittadino da una parte, ed essere da pungolo all’agire amministrativo dall’altra”.
3. In tempi di progressiva riduzione dei trasferimenti di risorse dal Governo centrale, i Comuni sono costretti a realizzare forti economie di spesa. Lei e la sua squadra, dove intendete agire innanzitutto?
CANDIA: “Il mio Comune non versa in condizioni deficitarie nè ha subito il dissesto finanziario e quindi la spesa e i costi di mantenimento dei servizi hanno già un punto di equilibrio che non è suscettibile di ulteriori tagli. Intendiamo valorizzare meglio il patrimonio terriero”.
TRONO: “Intendiamo agire in primis sulla riduzione degli sprechi e delle spese inutili da parte dell’Ente, che rappresentano una emorragia di risorse che invece dovrebbero essere destinate e sul recupero (non coattivo, che rappresenterebbe anche una spesa per il Comune quando non necessario) delle spese ancora dovute armonizzando i pagamenti da parte della cittadinanza e centralizzando ed informatizzando il tutto, anche per prevenire ed eliminare definitivamente il fenomeno delle c.d. cartelle pazze relative alla duplicazione dei pagamenti. Risorse potrebbero poi confluire nelle casse comunali dalla gestione dei terreni liberi di proprietà del Comune da dare in concessione a chiunque voglia coltivarli, magari abbracciando la nostra idea di una filiera produttiva di particolari prodotti per i quali si farà richiesta di marchio DOP. Altre risorse saranno attinte da un’attenta politica mirata, sopratutto nei periodi di maggiore afflusso, allo sfruttamento del turismo mediante calendarizzazione di tutta una serie di eventi che dovrebbero animare il nostro centro storico oltre all’organizzazione anche di eventi sulla nostra bellissima spiaggia. Inoltre, contiamo di attingere in maniera cospicua alle risorse derivanti dalla possibilità di intercettare fondi a carattere regionale, nazionale ed a livello europeo, con un’attenta valutazione a livello progettuale e tenendo sempre come punto di riferimento il benessere del paese”.
4. Le vostre proposte su: gestione dei rifiuti, servizi sociali, sicurezza e immigrazione
CANDIA: “Sulla gestione del rifiuti nel mio territorio stiamo praticando un porta a porta indifferenziata che ha già consentito di evitare cumuli e giacenze della spazzatura per le strade. Passeremo anche ad una raccolta differenziata completa se avremmo garanzia di poterci avvalere ed appoggiare dell’impianto di Siderno. Per i servizi sociali confidiamo in un positivo prosieguo dell’attività del Distretto Nord avendo anche approvato il “Piano di zona” ed essendo ormai da più annualità in attuazione il PAC Anziani e altri progetti mirati ai bisogni della persona. Sulla sicurezza come Amministrazione uscente abbiamo proposto alla Prefettura ed al Ministero dell’Interno un progetto di videosorveglianza del territorio per disincentivare eventuali attività illecite. Come Amministrazione uscente abbiamo gestito progetti SPRAR e Centri di Accoglienza Straordinaria in sintonia con la domanda e le necessità espresse dalla Prefettura di Reggio Calabria. Prevediamo eventuali attività compatibili con la capacità gestionale dell’Ente e sempre in base al fabbisogno ministeriale”.
TRONO: “Relativamente alla gestione rifiuti se, da un lato è da riconoscere il merito della precedente Amministrazione di aver eliminato il degrado dell’abbandono dei rifiuti da parte del cittadino e del cumulo degli stessi in prossimità dei cassonetti, con una raccolta porta a porta dell’indifferenziato e l’eliminazione dei vecchi e poco igienici cassonetti, secondo noi il futuro è rappresentato dalla raccolta differenziata e dalla gestione integrata del ciclo rifiuti, con la creazione dell’isola ecologica. Tale modalità di raccolta avrebbe un beneficio duplice: da un lato riuscire a far abbassare le tariffe nel lungo periodo e dall’altro consegnare finalmente un posto più salubre e più pulito per la salute dei cittadini. L’obiettivo di un giusto sistema di politiche sociali è il benessere collettivo, che è patrimonio comune e valore da costruire e tutelare per una comunità solidale, a cui è necessario offrire risposte adeguate. Ritengo, perciò, che le politiche per le famiglie, per i giovani, per le persone con disabilità, per la terza età, partendo dalla mappa dei bisogni e dal monitoraggio del disagio sociale, operando in sinergia con il terzo settore, con il volontariato, con le parrocchie, devono assumere carattere primario. È opportuno quindi attivarsi per l’abbattimento, ove possibile, delle barriere architettoniche presenti nel paese, in primis quelle del Palazzo Municipale; promuovere un potenziamento dei trasporti al fine di agevolare i trasferimenti dei pazienti da e verso le strutture specializzate, nonché adottare i provvedimenti necessari per il potenziamento del trasporto pubblico locale, con il ripristino della fermata autobus di via San Pietro, e per rendere possibile l’istituzione di una corsa che interessi la contrada Sala, e di una fermata dei pullman di linea extra-urbana nella loc. Favaco. Ritenendoci altresì garanti del diritto alla casa, ci attiveremo per la pubblicazione del bando per l’assegnazione degli alloggi ATERP realizzate in loc. San Saba, oltre che procedere alla ricognizione di quelli disponibili nel centro storico. Nella mentalità stignanese è ben radicata la cultura dell’accoglienza, e non di meno il Ns gruppo. In tale considerazione manifestiamo sin d’ora la nostra disponibilità verso qualsiasi forma di accoglienza, sia con il proseguimento dei progetti in corso sia proponendo nuovi progetti. Nella considerazione che i giovani rappresentano i pilastri della società futura, si procederà alla costituzione di un Consiglio comunale parallelo formato esclusivamente da ragazzi/giovani con la duplice finalità sia di educarli alla vita amministrativa nonché per eliminare situazioni monopolistiche verificatesi negli ultimi anni”.
5. Come vede questo paese fra cinque anni al termine della futura legislatura?
CANDIA: “Spero di riuscire a completare il recupero della viabilità del centro storico, a sostenere la realizzazione del complesso di culto Finanziato dalla CEI in contrada Favaco, ma soprattutto di effettuare una serie di interventi manutentivi alle reti di pubblica illuminazione”.
TRONO: “Io spero di vedere un Paese nel quale molti progetti utili per la popolazione abbiano trovato compimento ed altri, magari più complessi abbiano già iniziato l’iter procedurale per il proprio compimento. Immagino un paese dove i servizi pubblici essenziali siano efficienti ovunque e la burocrazia non venga più avvertita come nemica dei cittadini. Sogno un Comune non più impermeabile alla democrazia ed alle richieste dei cittadini ma vicino alle loro esigenze”.
6. Cosa pensa dell’altro candidato a sindaco e ha da dargli qualche consiglio?
CANDIA: “Penso debba avere maggiore rispetto e considerazione dell’esperienza altrui. Gli consiglierei di approfondire le problematiche esistenti e di affrontarle con maggiore adeguatezza amministrativa”.
TRONO: “Dell’attuale sindaco posso solamente dire che effettivamente è un politico di professione che, purtroppo, forse proprio a causa dei suoi molteplici impegni, è stato molto poco attento alle esigenze del proprio paese. Personalmente non ho alcun consiglio da dargli, anche perchè, sino ad ora, ha sempre dimostrato di voler essere “un uomo solo al comando”, con accentramento del potere burocratico e decisionale nelle sue mani senza dare mai spazio a nessuna voce fuori dal coro. Non credo quindi, che bastino pochi mesi di campagna elettorale a cambiare quella che è un’abitudine ed un modo di fare oramai radicato nel mio antagonista”.
di Francesca Cusumano STIGNANO – Countdown per la tornata delle elezioni amministrative 2019, in programma domenica 26 maggio. Oggi la nostra testata mette a confronto i due candidati sindaci di Stignano, Francesco Candia, sindaco uscente che concorre per il suo nuovo mandato con la lista “TIMONE – Nuovamente per STIGNANO – Al Centro” e Giuseppe Trono,
Francesca Cusumano
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Presentazione del restauro del Gruppo Ligneo di S.Stefano
Sabato 16 Dicembre a Campo Ligure è stato presentato il restauro del gruppo ligneo policromo raffigurante la lapidazione di Santo Stefano, attribuito a Domenico Bissone e databile 1615-20. L’evento si è articolato in due momenti: una prima parte di presentazione del restauro e una seconda parte in cui si è tenuta l’inaugurazione e la benedizione dell’opera, restituita dopo 150 anni alla comunità campese e a quanti vorranno ammirarla. In seguito c'è stato anche un breve intrattenimento musicale, con musiche del Seicento e del Settecento, a cura del Quartetto d’Archi EST. Programma: Ore 15,00, sala conferenze del Museo della Filigrana “Pietro Carlo Bosio” Via della Giustizia 3 Saluti del Sindaco e del Priore dell’Arciconfraternita dei Disciplinanti di N. S. Assunta Intervengono: Dott.ssa Alessandra Cabella, (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Genova e le Province di Imperia, la Spezia e Savona, Direttore del restauro) La lapidazione di Santo Stefano di Campo Ligure: restauro e scoperta di un grande teatro sacro Dott.ssa Valentina Tonini, Dott.ssa Maria Francesca Dufour, Dott.ssa Annalisa Demelas (Restauratrici) Presentazione del restauro del gruppo ligneo raffigurante il martirio di Santo Stefano Ore 16,30 Oratorio di N. S. Assunta, P.zza Martiri della Benedicta Inaugurazione del restauro e benedizione dell’opera “La lapidazione di Santo Stefano” D. Bissone, inizio del XVII sec. Intrattenimento musicale a cura del Quartetto d’Archi EST – Musiche del Seicento e del Settecento Primo violino – Alessandro Graziano Secondo violino – Daria Anufrieva Viola – Simona Merlano Violoncello – Francesco Raspaolo Il restauro è stato promosso dall’Arciconfraternita dei Disciplinanti di N. S. Assunta di Campo Ligure, proprietaria del bene, e dal Comune di Campo Ligure, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova e le province di Imperia, La Spezia e Savona e con il sostegno della Compagnia di San Paolo, tramite il bando “Tesori Sacri 2015”. Direttore del restauro: Dott.ssa Alessandra Cabella (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova e le province di Imperia, La Spezia e Savona); restauratrici Dott.ssa Valentina Tonini, Dott.ssa Maria Francesca Dufour, Dott.ssa Annalisa Demelas. Il progetto per la collocazione dell’opera, che sarà finalmente fruibile al pubblico, è stato realizzato dall’Arch. Enrico Bongera, Arch. Bruno Repetto e Geom. Claudio Piccardo; per la realizzazione tecnica si ringrazia la Segheria Puppo di Campo Ligure. Si ringraziano inoltre: la sezione Lions Club di Varazze-Celle Ligure, la ditta INVAT srl, l’Associazione Mamma Margherita di Campo Ligure, la Sez.ne ANPI di Campo Ligure, l’ASD Il Borgo di Campo Ligure e i ragazzi che ogni anno si adoperano nella realizzazione della festa alla cappella del Ramè.
Presentazione restauro gruppo ligneo S.Stefano
Presentazione restauro gruppo ligneo S.Stefano PROMOTORI DEL PROGETTO Hanno avviato il progetto, partecipando al bando “Tesori sacri 2015” indetto dalla Compagnia di San Paolo, nel Gennaio 2015 l’allora Priore dell’Arciconfraternita Ing. Giorgio Rizzo e il Tesoriere Guido Oliveri insieme al Consigliere comunale del Comune di Campo Ligure, delegato ai Beni Culturali, Dott.ssa Irene Ottonello, guidati e supportati dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Genova e le Province di Imperia, La Spezia e Savona, nella persona della Dott.ssa Alessandra Cabella, successivamente direttore del restauro. INFORMAZIONI SUL FINANZIAMENTO Il progetto di restauro è stato finanziato per il 50% dell’intero importo dalla Compagnia di San Paolo tramite il bando “Tesori Sacri 2015”; il restante è stato finanziato dall’Arciconfraternita dei Disciplinanti di N. S. Assunta di Campo Ligure, proprietaria del bene, e dal Comune di Campo Ligure. Non è mancato il sostegno di alcuni sponsor privati (Segheria Puppo, Invat srl) e associazioni del territorio (ANPI sez.ne di Campo Ligure, Lions Club di Varazze-Celle Ligure, ASD Il Borgo di Campo Ligure, Associazione Mamma Margherita di Campo Ligure). Numerose poi le donazioni di singoli privati, moltissimi anonimi, pervenuti alla Confraternita, tramite la raccolta in Oratorio. Il Geom. Claudio Piccardo, l’Arch. Enrico Bongera, l’Arch. Bruno Repetto hanno messo a disposizione del progetto le loro competenze professionali. INFORMAZIONI SULL’EDIFICIO Oratorio di N. S. Assunta di Campo Ligure L’oratorio di Nostra Signora Assunta sito in Campo Ligure e prospiciente su Piazza Martiri della Benedicta, d’origine cinquecentesca, era dedicato a Santa Maria dei disciplinanti. Il documento più antico riferito alla chiesa risale al 1585. L’incendio che colpì il borgo nel 1600 non risparmiò dalle fiamme anche l’oratorio, che subì la distruzione della volta lignea intagliata e parte dell’archivio che conservava preziose scritture e pergamene. Nel 1606 l’oratorio fu aggregato alla confraternita di Santa Lucia del Gonfalone di Roma col privilegio di potere aggregare; nel 1726, la confraternita fu unita alla Sacrosanta Chiesa Lateranense, annessione divenuta perpetua nel 1729. Si hanno notizie sull’originaria struttura esterna dell’edificio da alcune raffigurazioni: un’antica stampa secentesca, tratta da una lastra di rame sbalzato, mostra una chiesina con tetto a capanna priva di campanile, con due porticine e una finestra al centro. Lo stesso per un’altra raffigurazione di Campo del sec. XVII. La rappresentazione di Campo del 1748 di don Luciano Rossi già offre una facciata dell’oratorio di un certo interesse architettonico. In conformità con la casistica delle confraternite liguri, quindi, la chiesa aveva un aspetto piuttosto semplice, con facciata a capanna e aula composta da una sola navata. Nel 1726 si procedette ad un abbellimento dell’edificio e alla realizzazione dell’altare maggiore, opera commissionata nello stesso anno a Bartolomeo Marre di Rimanga, scultore parmense. Nel 1779 l’edificio subì diversi ampliamenti ad opera di maestranze lombarde: la navata venne ampliata ai lati con la costruzione di due cappelle laterali, venne prolungata la parte iniziale della chiesa, si provvide al rifacimento della facciata e alla costruzione della sacrestia. I lavori terminarono con il completamento delle due cappelle nel 1784. L’attuale campanile venne innalzato l’anno successivo (1785) e ulteriormente elevato con la costruzione dell’attuale cela campanaria nel 1830-31. I restauri e gli ampiamenti settecenteschi mutarono secondo i canoni dell’architettura tardo barocca l’aspetto seicentesco dell’edificio. Tale trasformazione, soprattutto l’espansione della navata, si inserisce nella tendenza propria dell’architettura ecclesiastica barocca tesa alla realizzazione di edifici a pianta centrale allungata. INFORMAZIONI SULL’OPERA “La Lapidazione di Santo Stefano” Databile attorno al 1615-20, opera di Domenico Bissone (o Bissoni), di proprietà della Casaccia di S. Stefano di Borzoli (Genova), fu acquistata dalla Confraternita dell’Assunta di Campo Ligure il 29 Luglio 1850 e pagata 400 lire di Genova fuori banco. Il gruppo, piuttosto complesso per il numero degli attori – otto statue, in media alte 1,30 m. x 0,40 m circa: i personaggi accucciati sono alti 1 m circa, il carnefice che scaglia la pietra con le braccia alzate raggiunge 1,70 m – , è caratterizzato da una notevole qualità nell’intaglio dei volti, nella descrizione accurata dei capelli e delle barbe – il cui disporsi a boccoli denuncia una chiara tipologia secentesca. L’iconografia è ormai lontana dalle immagini atemporali delle prime macchine processionali cinquecentesche, a testimonianza di uno sviluppo in senso teatrale della scultura delle casse liguri, strettamente correlato al fiorire delle sacre rappresentazioni scultoree dei Sacri Monti piemontesi e lombardi. Le statue denunciano uno straordinario impeto narrativo e l’immediatezza della rappresentazione bloccata al culmine del suo svolgersi: il santo in ginocchio colpito al capo e con lo sguardo rivolto al cielo, i sei carnefici lo circondano nell’atto di scagliare l’ultima sassaiola, e san Paolo seduto che, conservando le vesti dei carnefici, indica l’imminenza del martirio. La marcata gestualità dei figuranti è probabilmente stata concepita perchè l’incrocio delle braccia in diversi atteggiamenti creasse un effetto di movimento e drammaticità al colpo d’occhio del fedele. La macchina processionale è iconograficamente copia quasi speculare della tela di Giulio Romano raffigurante la Lapidazione di Santo Stefano realizzata per la chiesa di Santo Stefano di Genova fra il 1519 e il 1521. Il quadro ebbe una vasta eco nella cultura figurativa di questo soggetto; è quindi ipotizzabile che Bissone abbia attinto dal dipinto – indubbia infatti non solo la rassomiglianza delle pose dei carnefici raffigurati in entrambe le opere, ma anche la rassomiglianza dei visi e la moda delle barbe. Nel 1922 il martirio, erroneamente attribuito a A.M. Maragliano, versava già in condizioni tali da richiedere un restauro. Nella lettera inviata dai confratelli alla giunta municipale di Campo Ligure, si specificava che a lavoro ultimato il gruppo avrebbe trovato collocazione nel vano propriamente adibito posto nella parte sinistra dell’altare maggiore. I confratelli, essendo il vano angusto e ristretto chiesero il permesso di poterlo ampliare per 7 metri lineari. Il progetto non fu mai realizzato, pervenendo a noi, oltre alla richiesta, il disegno della nicchia conservato presso l’archivio dell’oratorio (annesso nei primi anni del 2000 all’archivio parrocchiale). Da un inventario dei beni mobili delle chiese di Campo Ligure compilato nel 1930 si evince che il gruppo necessitava ancora di restauro al fine di poterlo portare in processione . Dopo tale data, l’opera, mai più restaurata fu smembrata e collocata nel vano dell’archivio. Le statue furono oggetto nei secoli di pesanti ridipinture e danneggiate in varie parti; sempre conservate e custodite nel locale superiore della Sacristia, locale asciutto e ben ventilato, sono arrivate fino a noi e ora godono di questo splendido restauro. Read the full article
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I Monument's Man
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I Monument's Man
I Monument’s Man furono coloro che durante la II guerra mondiale salvarono il patrimonio artistico dalle grinfie dei nazisti. I nazisti su ordine di Goering avevano anche il compito di trafugare le opere d’arte di tutta Europa, d’Italia e quindi anche della Garfagnana , che presto fu messa in allarme da questi pericoli. Chi furono dunque i Monument’s Man garfagnini? Come furono salvate le opere d’arte nostrane? E pensare che ancora oggi in provincia di Lucca mancano ancora all’appello opera d’arte rubate dai tedeschi nel 1944. Ecco allora l’elenco…
Erano trecentocinquanta valorosi, sia uomini che donne, appartenenti a tredici nazioni diverse che fra il 1943 e il 1951 prestarono servizio presso la “Monuments Fine Arts and Archives” (M.F.F.A). Hollywood pochi anni fa fece passare alla storia queste persone con un bel film e così le stampò nella memoria di tutti. Al mondo erano e sono conosciuti come i “Monuments Man”. Un gruppo di persone colte ed appassionate, la maggior parte di loro non aveva nessuna esperienza militare dal momento che erano per lo più restauratori, archivisti, direttori di musei e archeologi, prestarono servizio negli eserciti alleati durante la seconda guerra mondiale e vennero presto inviati nella martoriata Europa con una precisa missione: recuperare e salvare i capolavori dell’arte. L’intento principale era quindi salvare dai bombardamenti e dalle distruzioni varie le migliaia di capolavori sparsi per tutto il continente, un tesoro non solo di puro valore economico, ma un tesoro culturale che rischiava seriamente di essere perso per sempre. Altro compito se si vuole ancor più difficile era recuperare le opere d’arte ancora intatte e già trafugate. Ma trafugate da chi? Com’è noto le armate tedesche mentre invadevano un Paese dopo l’altro razziavano in modo sistematico dipinti, sculture ed altre innumerevoli opere d’arte, la maggior parte di questi razziatori agiva nel nome del maresciallo del Reich Hermann Goring (numero due del partito nazista), che senza mezzi termini nel 1942 ebbe a dichiarare: “Una volta si chiamava saccheggio. Ma oggi le cose devono avere un aspetto più umano.
Hermann Goring “il razziatore”
Ad onta di ciò, io intendo saccheggiare e intendo farlo in maniera totale” . Era una vera e propria corsa contro il tempo, la guerra volgeva al termine, gli eventi si stavano susseguendo uno dopo l’altro, i Monument’s Man vennero sparsi rapidamente per tutta Europa. A Parigi per svuotare e mettere in sicurezza tutte le opere del Louvre ci vollero ben sei settimane, ma il vero “colpo gobbo” dei Monument’s fu in Austria, nella miniera di salgemma di Altaussee(nelle vicinanze di Salisburgo) furono rinvenuti ben 6500 quadri, statue (fra le quali la Madonna con bambino di Michelangelo del 1503), mobili, libri antichi, monete e altri oggetti preziosi, ma non solo, in Turingia (regione della Germania) fu rinvenuta l’intera riserva aurea nazista e un notevole numero di altri capolavori. E in Italia? In Italia questi anomali eroi sbarcarono in Sicilia nell’autunno del 1943, erano in ventisei, pronti a tutto (o quasi) pur di proteggere, ristrutturare e recuperare il ricchissimo patrimonio artistico italiano. La strategia era chiara, man mano che i territori venivano liberati si interveniva immediatamente per preservare i monumenti danneggiati e mettersi a caccia dei tesori rubati. Queste operazioni portarono nella sola Sicilia a mettere in sicurezza decine di siti e iniziare la ricostruzione di monumenti importantissimi ormai perduti come la Cattedrale di Palermo.
Le chiese di Palermo con i loro tesori devastate dai bombardamenti
Quando la guerra si spostò in continente le cose furono più difficoltose. Gli alleati si aspettavano di risalire in un batter d’occhio tutta la Penisola, ma finirono intrappolati in estenuanti battaglie. Finalmente il 4 giugno 1944 gli americani liberarono Roma e trovarono una città quasi intatta, il “solo” quartiere di San Lorenzo era stato bombardato. Il bello però doveva ancora venire. L’ultima fase nella campagna estate-inverno 1944 fu la più importante, gli alleati stavano per entrare in Toscana e i Monumen’s sapevano che qui non sarebbe stata una “passeggiata di salute” come a Roma. In effetti molto di ciò sarebbe dipeso dai tedeschi e da dove avrebbero deciso di attestare il fronte. Il fronte per disgrazia dei garfagnini e della Garfagnana (e non solo) si fermò sulla costituita Linea Gotica, su quel fronte di 300 chilometri la guerra si fermò per circa nove mesi. La Garfagnana non sarà Firenze in fatto di monumenti e opere d’arte, ma il suo patrimonio artistico da difendere ce l’aveva, eccome se ce l’aveva. Parliamoci chiaro, qui i Monument’s Man non arrivarono mai, vuoi perchè la Valle del Serchio era considerata zona ad alta pericolosità, ma sopratutto perchè come tutti ben sappiamo la vita è fatta di priorità e tale priorità fu data alla salvaguardia della culla del Rinascimento: Firenze e in effetti qui il lavoro era tanto.
Firenze: Ponte Santa Trinita disegnato da Michelangelo distrutto dalle bombe
Ritirandosi dalla città del giglio i nazisti fecero saltare tutti gli storici ponti con esclusione di Ponte Vecchio, poichè leggenda (o verità) narra che quando Hitler visitò Firenze nel 1939 rimase totalmente affascinato da questo gioiello, tanto che dette ordine ai propri ufficiali di risparmiarlo dalla distruzione. Il lavoro come detto era tantissimo e le opere d’arte erano un’enormità. I Monument’s Man giravano di quartiere in quartiere, di borgo in borgo catalogando le opere sparite dai musei che a sua volta erano state spostate altrove dai nazisti in attesa di espatrio. Furono ritrovati solamente a Firenze tremila casse di dipinti, sculture e interi archivi. Nei garagi di Villa di Torre a Cona (Rignano sull’Arno) furono trovate impacchettate di tutto punto statue di Michelangelo, altri centinaia di dipinti degli Uffizi e di Palazzo Pitti vennero invece rinvenuti nel castello di Montegufoni (Montespertoli). Come detto in Garfagnana questi eroi d’oltreoceano e d’oltremanicanon si videro. Non fummo però dimenticati in questo senso. Della nostra piccola realtà si occupò comunque un Monumet’s Man tutto italiano (e toscano) che si chiamava Rodolfo Siviero, che è bene dirlo con i Monument’s originali non aveva niente a che fare. Ma partiamo però dall’inizio e cominciamo subito con il dire che la maggior parte delle opere d’arte“garfagnine” sono nelle chiese…e le nostre chiese sono tante…
Rodolfo Siviero, vero eroe italiano
Pensiamo solamente che attualmente le parrocchie dell’Arcidiocesi di Lucca sono 362 e immaginiamo ancora che non esiste paese, borgo o sperduta località garfagnina che non abbia almeno una chiesa antica con almeno un opera di pregevole valore. Questo era il panorama artistico con cui si doveva confrontare Siviero. Rodolfo Siviero nacque in provincia di Pisa, a lui si deve il recupero di gran parte delle opere che erano state trafugate dai tedeschi nel nostro Paese proprio durante la seconda guerra mondiale, il metodo rocambolesco con cui talvolta vennero recuperate queste opere gli valse il soprannome di 007 dell’arte e in effetti così era, oltre che essere uno storico dell’arte, era un agente segreto facente parte del Servizio Informazioni Militare. Fattostà che il patrimonio artistico garfagnino fu messo dall’intelligence di Siviero in una scala di messa in pericolo da uno a tre al numero due. Il pericolo maggiore non era che fosse sottratto, dal momento che i tedeschi a quel punto della guerra il loro ultimo pensiero erano le opere d’arte da rubare, per molti di loro sia ufficiali che soldati l’intento principale era di portare a casa la pelle, il vero pericolo veniva però dai bombardamenti alleati che potevano più o meno accidentalmente distruggere le chiese. A questo scopo, dal momento che lo stesso Siviero coordinava dei gruppi partigiani, dette mandato a loro di raggiungere i paesi garfagnini e di aiutare i parroci locali a spostare, a nascondere e mettere il più possibile al sicuro tutto quello che gli stessi parroci ritenevano di proteggere maggiormente, naturalmente fu spostato quello che si poteva spostare come quadri, statue, oggetti sacri e preziosi archivi, quello che era intrasportabile fu lasciato al suo destino e forse meglio dire in questo caso alla Divina Provvidenza, ad esempio le Pale Robbiane di Gallicano, Barga, Castelnuovo, Pieve Fosciana e molti altri affreschi disseminati per le pievi si salvarono grazie al fato.
La Pala Robbiana nel duomo di San Jacopo a Gallicano
Così le cantine, i metati, i fienili e le stalle dei paesi delle valle per un po’ di tempo diventarono dei veri e propri musei, opere attribuite alla scuola di Matteo Civitali, tavole di Giuliano Simone da Lucca del 1389, statue lignee del XIV secolo attribuite all’ambito di Tino Camaino, opere del 1500 di Giuseppe Porta detto il “Salviati” e tanti altri tesori erano sparsi per le selve della valle. Comunque sia non tutti i nazisti erano come il loro supremo maresciallo Goring e un po’ di sensibilità artistica almeno nella Valle del Serchio la dimostrarono. Questa vicenda ricalca similmente la storia narrata poche righe sopra che riguardava Ponte Vecchio, simile sorte toccò anche al Ponte del Diavolo di Borgo a Mozzano. Oramai le mine naziste erano piazzate il celebre ponte con i suoi mille anni di storia era pronto a saltare in aria. Le truppe germaniche erano pronte a ritirarsi verso nord e bisognava quindi tagliare ogni via di comunicazione all’esercito alleato che era sempre più vicino, rimane il fatto che non si sa bene come e perchè, quando ormai mancava solamente l’ordine di farlo esplodere, l’ordine fu annullato.
Il Ponte del Diavolo a Borgo a Mozzano scampato alle mine naziste
Per quale ragione ciò accadde ancora non è chiaro, questo forse trova ragione in una teoria non documentate ma secondo me veritiera e dice che probabilmente nel comando tedesco ci sia stato qualcuno che aveva una sensibilità particolare per il patrimonio storico e culturale, sopratutto collegato al fatto che tale ponte non fosse ritenuto idoneo per il passaggio dei mezzi militari, a conferma di questo il “Ponte Pari“, alcune centinaia di metri più a sud fu fatto saltare inesorabilmente in aria. Rimane il fatto che grazie ai nostri Monument’s Man nostrani: Siviero e i preti locali, il patrimonio artistico garfagnino fu salvato o quanto meno messo in sicurezza. L’opera di recupero di Siviero e dei Monument’s Man continuò anche dopo la guerra e tutt’oggi molte opere trafugate dai nazisti non sono state ancora ritrovate. E’ notizia di alcuni giorni fa del ritrovamento di un opera di inestimabile valore economico e culturale: “Il Busto di Cristo“, realizzato da Matteo Civitali nel 1470 e trafugato dai tedeschi dalla chiesa di Santa Maria della Rosa in Lucca, nella notte fra il 7 e l’8 febbraio 1944.
“Il Busto di Cristo” di Matteo Civitali ritrovato dai carabinieri restituito alla città di Lucca
L’opera era stata catalogata alla fine degli anni trenta dalla Sopraintendenza di Firenze con due fotografie conservate oggi agli Uffizi di Firenze e segnalata in una nota del 1947 come“asportata dalla truppe tedesche”, successivamente queste informazioni confluirono nell’archivio Siviero e poi dopo nella banca dati del Ministero dei Beni Culturali. Di quest’opera nonostante questi minuziosi passaggi si era persa ogni traccia, fino a che nel dicembre 2017 i carabinieri nell’ambito della complicatissima operazione “Jackals” hanno restituito il capolavoro alla città.
“San Giorlamo penitente” del Perugino rubato dai nazisti a Capezzano nel ’44 e non ancora ritrovato
La Garfagnana invece, anche grazie alla preventiva azione descritta sopra non subì (almeno io non ho notizia) nessuna ruberia artistica da parte delle truppe tedesche, ma come abbiamo visto stessa sorte non toccò alla provincia di Lucca. Dopo 73 anni ci sono ancora opere che ancora non hanno fatto mai più ritorno. Nella Villa Borbone delle Pianore a Capezzano Pianore vicino Camaiore i nazisti della XVI Divisione Corazzata delle SS nella primavera 1944 razziarono gran parte della collezione Borbone Parma, dipinti come “Veduta
degli Schiavoni verso est” del Canaletto, “San Girolamo Penitente” del Perugino, “Il Redentore” di Dosso Dossi e di molti altri ancora ne sono state perse da tempo immemore le tracce. Anche Viareggio fu colpita dalle “mani lunghe” naziste il dipinto“L’Imperatore Guglielmo a cavallo calpesta un cumulo di teschi” di Lorenzo Viani sparì sempre in quel maledetto 1944. Ancora oggi questa storia non è finita. L’italia e la Toscana in particolare hanno ancora fuori (e non si sa dove sono) centinaia di opere. Una filosofia di guerra criminale questa, studiata non a caso, che trovava il suo credo in un pensiero espresso bene da un Monument’s Man: “Puoi sterminare un’intera generazione, bruciare le loro case e troveranno una via di ritorno. Ma se distruggi la loro cultura è come se non fossero mai esistiti. E’ questo che vuole Hitler ed è esattamente questo che noi combattiamo”.
Bibliografia
“Chi li ha visti? I tesori d’arte della Toscana ancora prigionieri di guerra” Giannella Channel. A cura di Salvatore Giannella
“La vera storia dei Monument’s Man” L’undici Informazione Pura di Mara Marantonio
Museo Casa Rodolfo Siviero -Archivio Siviero-
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