#Battista Spagnoli
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Baptista Mantuanus – Aeglogae, I, 114
FOR.– Quisquis amat servit: sequitur captivus amantem, Fert domita cervice iugum, fert verbera tergo Dulcia, fert stimulos, trahit et bovis instar aratrum.
FAU.– Tu quoque, ut hinc video, non es ignarus amorum.
FOR.– Id commune malum, semel insanivimus omnes.
FAU.– Hoc animi tam triste bonum, tam dulce venenum, Cottidie crudele magis crescebat in horas, Ut calor, in nonam dum lux attollitur horam.
[HIS]
FOR.- Quien ama es esclavo: sigue cautivo al amante, soporta el yugo en su cuello sometido, soporta los dulces azotes en su espalda, soporta los latigazos, arrastrando el arado como un buey.
FAU.- Según veo, no eres desconocedor del amor.
FOR.- Es ese un mal común por el que todos enloquecemos alguna vez en la vida.
FAU.- Este bien del alma; tan triste, tan dulce veneno, cada día y cada hora crecía más cruelmente, como el calor, mientras la luz se eleva hacia la hora novena.
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Fra Battista Spagnoli - TheLamentation of Christ. 1460 - 1500
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QUID SIBI VULT NUDUM PECTUS ? QUID APERTA SUPERNE RIMULA, QUAE BIFIDAM DEDUCIT IN UBERA VALLEM ?
< Battista Spagnoli, Eclogae - IV. Alphus, de natura mulierum >
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Itinerari nei dintorni del Convitto di Formia
Il centro storico di Formia è un vero e proprio scrigno di monumenti e luoghi d'interesse: è quindi consigliato iniziare la visita da qui.
Mattina: Dopo aver fatto colazione presso la pasticceria Susette, ci si può dirigere verso la prima tappa del tour, ovvero la chiesa di Sant'Erasmo, vicinissima ad altri due luoghi d'interesse storico. Finita la visita, in circa tre minuti a piedi si raggiunge il primo di questi: la Torre di Castellone e il famoso Rione Castellone, che ha conservato le sue caratteristiche medievali di borgo difensivo. A pochi passi, circa 2 minuti, troviamo il Cisternone Romano, ben visibile anche da lontano. Ricordiamo che la visita si svolge principalmente nel sottosuolo, ed è quindi consigliato portare con se degli indumenti che aiutino a contrastare l'umidità. Terminata la visita, prima di fermarsi a pranzo da Magie dei Sapori Bistrot, per assaggiare dei piatti a base di pesce a prezzi convenienti, si può fare un salto veloce alla Porta degli Spagnoli li vicina, dove si potrà ammirare la Torre dell'Orologio.
Pomeriggio: Terminato il pranzo è il momento di fare qualche passo indietro per dirigersi verso il Teatro Romano, anch'esso vicinissimo: circa 130 metri, percorribili in 2-3 minuti a piedi, ed inglobato nelle moderne costruzioni. Da qui ci si muove verso la Parrocchia Santi Lorenzo e Giovanni Battista, le famose chiese gemelle, approfittando per fare una passeggiata sul lungomare, per poi spostarsi verso Torre di Mola, altra testimonianza dell'antica cinta muraria del Castello.
Sera: A circa 1 minuto di distanza, neanche cento metri, è situato il ristorante Civico 57, specializzato in cucina a base di pesce a chilometro 0
Itinerario in sintesi
Colazione presso pasticceria Susette - Ottieni indicazioni
Sant'Erasmo - orari: tutti i giorni dalle 7:00 alle 19:00 - costo biglietto: gratis
Torre di Castellone - orari: soggetta a prenotazione, che può essere effettuata a questo numero 3392217202. Il costo del biglietto: sarà comunicato durante la prenotazione
Cisternone Romano - orari: da settembre ad aprile, sabato, domenica, giorni festivi dalle ore 16:30 alle ore 19:30; da maggio a giugno, sabato, domenica e giorni festivi dalle 17:30 alle 20:30; da luglio ad agosto, da martedì alla domenica (chiuso lunedì), dalle 17:30 alle 20:30 - costo biglietto: €2,00 adulti, €1,00 per ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 18 anni, gratis per i bambini al di sotto dei 10 anni
Porta degli Spagnoli - orari: sempre raggiungibile - costo biglietto: gratis
Pranzo presso Magie dei Sapori Bistrot - Ottieni indicazioni
Teatro Romano - orari: sempre accessibile - costo biglietto: gratis
Parrocchia Santi Lorenzo e Giovanni Battista - orari: dal lun al ven dalle 8:00 alle 20:00 - costo biglietto: gratis
Torre di Mola - al momento il sito è in fase di riallestimento, e potrebbe non essere visitabile all'interno. Resta comunque una particolare testimonianza del passato di Formia, da vedere assolutamente
Cena presso ristorante Civico 57 - Ottieni indicazioni
Dove mangiare a Formia
Ristorante Civico 57: specializzato in cucina mediterranea e di pesce, a km 0
Prezzo medio a persona: da €25,00 a €100,00
Indirizzo e contatti: via Abate Tosti 55/57 Ottieni indicazioni / tel: 0771902919
Magie dei Sapori Bistrot: cucina tradizionale e a base di pesce
Prezzo medio a persona: €7,00 a €23,00
Indirizzo e contatti: via Angelo Rubino, 10 Ottieni indicazioni / tel: 3201871584
Ristorante Bellablu: ristorante specializzato in piatti di pesce e cucina mediterranea
Prezzo medio a persona: €7,00 a €40,00
Indirizzo e contatti: via Caposele,1 (Ottieni indicazioni) / tel: 0771269526
Cosa fare la sera: zone della movida e migliori locali
Formia è tutto sommato una città tranquilla, votata al relax e alla cultura: quindi non vi aspettate di trovare discoteche aperte tutta la notte in zona. Però, sul lungomare, con precisione tra i due porticcioli, è presente una grande concentrazione di pub, discopub, birrerie e altri locali, che garantiscono una vasta scelta sul come passare la serata.
Cook pub Formia: pub con vasta selezione di birre
Indirizzo: Via Pietra Erta, 50 (Ottieni indicazioni) / Pagina facebook
Morgana birreria: birreria aperta fino a tardi, con musica dal vivo e possibilità di ordinare da mangiare
Indirizzo: via Abate Tosti, 105 (Ottieni indicazioni) / Pagina facebook
Apotheke farmacia alcolica: locale specializzato in drink, aperto fino a tardi
Indirizzo: via Tullia 11, (Ottieni indicazioni) / Pagina facebook
Organizza il tuo soggiorno a Formia: info e consigli utili
Come arrivare: in auto tramite l'autostrada A1. In treno, fermata Formia - Gaeta, la stazione dista circa 10 minuti a piedi dal centro città
Come muoversi: il modo migliore è a piedi, vista la vicinanza dei monumenti, i più distanti si raggiungono comunque con una piacevole passeggiata che non pesa più di tanto. Per raggiungere alcune attrazioni, tra cui la Tomba di Cicerone, potrebbe essere necessario affittare un auto.
Dove parcheggiare: sono presenti numerosi parcheggi a pagamento. I parcheggi più vicini alle zone di interesse indicati sono Mamurra parcheggio (Ottieni indicazioni), Formia parcheggio (Ottieni indicazioni), Parcheggio Julia (Ottieni indicazioni) e Parcheggio Degli Aranci (Ottieni indicazioni) con parcheggi sia su strada che al coperto.
Dove dormire: Hotel e b&b a partire da €30,00 a camera - guarda le offerte
Cosa vedere nei dintorni: sono presenti numerosissime località di interesse storico e turistico tra cui la vicina Gaeta (Ottieni indicazioni), Sperlonga (Ottieni indicazioni), Lenola (da andare a trovare l’educatore Pannozzo che farà da Cicerone tra i boschi e le vallate dei Monti Aurunci (Ottieni indicazioni).
Itinerario di Formia
Il centro storico di Formia è un vero e proprio scrigno di monumenti e luoghi d'interesse: è quindi consigliato iniziare la visita da qui.
Mattina: Dopo aver fatto colazione presso la pasticceria Susette, ci si può dirigere verso la prima tappa del tour, ovvero la chiesa di Sant'Erasmo, vicinissima ad altri due luoghi d'interesse storico. Finita la visita, in circa tre minuti a piedi si raggiunge il primo di questi: la Torre di Castellone e il famoso Rione Castellone, che ha conservato le sue caratteristiche medievali di borgo difensivo. A pochi passi, circa 2 minuti, troviamo il Cisternone Romano, ben visibile anche da lontano. Ricordiamo che la visita si svolge principalmente nel sottosuolo, ed è quindi consigliato portare con se degli indumenti che aiutino a contrastare l'umidità. Terminata la visita, prima di fermarsi a pranzo da Magie dei Sapori Bistrot, per assaggiare dei piatti a base di pesce a prezzi convenienti, si può fare un salto veloce alla Porta degli Spagnoli li vicina, dove si potrà ammirare la Torre dell'Orologio.
Pomeriggio: Terminato il pranzo è il momento di fare qualche passo indietro per dirigersi verso il Teatro Romano, anch'esso vicinissimo: circa 130 metri, percorribili in 2-3 minuti a piedi, ed inglobato nelle moderne costruzioni. Da qui ci si muove verso la Parrocchia Santi Lorenzo e Giovanni Battista, le famose chiese gemelle, approfittando per fare una passeggiata sul lungomare, per poi spostarsi verso Torre di Mola, altra testimonianza dell'antica cinta muraria del Castello.
Sera: A circa 1 minuto di distanza, neanche cento metri, è situato il ristorante Civico 57, specializzato in cucina a base di pesce a chilometro 0
Itinerario in sintesi
Colazione presso pasticceria Susette - Ottieni indicazioni
Sant'Erasmo - orari: tutti i giorni dalle 7:00 alle 19:00 - costo biglietto: gratis
Torre di Castellone - orari: soggetta a prenotazione, che può essere effettuata a questo numero 3392217202. Il costo del biglietto: sarà comunicato durante la prenotazione
Cisternone Romano - orari: da settembre ad aprile, sabato, domenica, giorni festivi dalle ore 16:30 alle ore 19:30; da maggio a giugno, sabato, domenica e giorni festivi dalle 17:30 alle 20:30; da luglio ad agosto, da martedì alla domenica (chiuso lunedì), dalle 17:30 alle 20:30 - costo biglietto: €2,00 adulti, €1,00 per ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 18 anni, gratis per i bambini al di sotto dei 10 anni
Porta degli Spagnoli - orari: sempre raggiungibile - costo biglietto: gratis
Pranzo presso Magie dei Sapori Bistrot - Ottieni indicazioni
Teatro Romano - orari: sempre accessibile - costo biglietto: gratis
Parrocchia Santi Lorenzo e Giovanni Battista - orari: dal lun al ven dalle 8:00 alle 20:00 - costo biglietto: gratis
Torre di Mola - al momento il sito è in fase di riallestimento, e potrebbe non essere visitabile all'interno. Resta comunque una particolare testimonianza del passato di Formia, da vedere assolutamente
Cena presso ristorante Civico 57 - Ottieni indicazioni
Dove mangiare a Formia
Ristorante Civico 57: specializzato in cucina mediterranea e di pesce, a km 0
Prezzo medio a persona: da €25,00 a €100,00
Indirizzo e contatti: via Abate Tosti 55/57 Ottieni indicazioni / tel: 0771902919
Magie dei Sapori Bistrot: cucina tradizionale e a base di pesce
Prezzo medio a persona: €7,00 a €23,00
Indirizzo e contatti: via Angelo Rubino, 10 Ottieni indicazioni / tel: 3201871584
Ristorante Bellablu: ristorante specializzato in piatti di pesce e cucina mediterranea
Prezzo medio a persona: €7,00 a €40,00
Indirizzo e contatti: via Caposele,1 (Ottieni indicazioni) / tel: 0771269526
Cosa fare la sera: zone della movida e migliori locali
Formia è tutto sommato una città tranquilla, votata al relax e alla cultura: quindi non vi aspettate di trovare discoteche aperte tutta la notte in zona. Però, sul lungomare, con precisione tra i due porticcioli, è presente una grande concentrazione di pub, discopub, birrerie e altri locali, che garantiscono una vasta scelta sul come passare la serata.
Cook pub Formia: pub con vasta selezione di birre
Indirizzo: Via Pietra Erta, 50 (Ottieni indicazioni) / Pagina facebook
Morgana birreria: birreria aperta fino a tardi, con musica dal vivo e possibilità di ordinare da mangiare
Indirizzo: via Abate Tosti, 105 (Ottieni indicazioni) / Pagina facebook
Apotheke farmacia alcolica: locale specializzato in drink, aperto fino a tardi
Indirizzo: via Tullia 11, (Ottieni indicazioni) / Pagina facebook
Organizza il tuo soggiorno a Formia: info e consigli utili
Come arrivare: in auto tramite l'autostrada A1. In treno, fermata Formia - Gaeta, la stazione dista circa 10 minuti a piedi dal centro città
Come muoversi: il modo migliore è a piedi, vista la vicinanza dei monumenti, i più distanti si raggiungono comunque con una piacevole passeggiata che non pesa più di tanto. Per raggiungere alcune attrazioni, tra cui la Tomba di Cicerone, potrebbe essere necessario affittare un auto.
Dove parcheggiare: sono presenti numerosi parcheggi a pagamento. I parcheggi più vicini alle zone di interesse indicati sono Mamurra parcheggio (Ottieni indicazioni), Formia parcheggio (Ottieni indicazioni), Parcheggio Julia (Ottieni indicazioni) e Parcheggio Degli Aranci (Ottieni indicazioni) con parcheggi sia su strada che al coperto.
Dove dormire: Hotel e b&b a partire da €30,00 a camera - guarda le offerte
Cosa vedere nei dintorni: sono presenti numerosissime località di interesse storico e turistico tra cui la vicina Gaeta (Ottieni indicazioni), Sperlonga (Ottieni indicazioni), Lenola (da andare a trovare l’educatore Pannozzo che farà da Cicerone tra i boschi e le vallate dei Monti Aurunci (Ottieni indicazioni).
Il CISTERNONE ROMANO: Il “Cisternone Romano”, datato al I sec. a.C., è un’imponente struttura ipogea scandita in senso longitudinale da file di pilastri che suddividono l’ambiente in 4 navate coperte da volte a pseudo-crociera. Ubicato sulla sommità dell’arce, corrispondente all’attuale borgo medievale di Castellone, era alimentato dalle sorgenti della zona collinare di S. Maria la Noce per garantire il rifornimento idrico dell’antica città di Formiae. Presenta forti affinità tipologiche con due delle più importanti cisterne del mondo antico, quali la “Piscina Mirabilis” di Miseno e la celebre “Yerbatan Saray” di Istanbul, e può essere considerato un importante tassello nel recupero archeologico delle principali testimonianze dell’ingegneria idraulica romana.
In questo luogo suggestivo il visitatore si trasforma in un viaggiatore-protagonista immerso in uno spazio dinamico, coinvolto da un moto che lo invita ad avanzare verso il “centro focale” dell’ambiente: l’originario ingresso all’antica cisterna. Suoni, colori, giochi di luci e di ombre movimentano questo spazio, svelando particolari e nuove prospettive, e da ogni angolo il visitatore-protagonista è in grado di percepire sensazioni antiche.
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Greta Thunberg non sa che quello che lei definisce con disprezzo “bla bla bla” è invece l’essenza della libera discussione democratica. Dovrebbero saperlo, ma fingono di non saperlo, i prigionieri del perbenismo conformista e del giovanilismo incantato che si avventano sui “populisti” quando sono sgraditi, e non dicono una parola sul rozzo populismo di chi adopera il “bla bla bla” come cifra di una profonda repulsione per le procedure e i valori della democrazia. La fine della civiltà della discussione di cui non possiamo smettere di rimpiangere la superiorità rispetto al selvaggio tuitterismo che ha preso il sopravvento è proprio questo: il rifiuto di ammettere che l’ipersemplificazione è fonte di guai, e che non è un lusso, ma una necessità discutere, e anche molto, su questioni complesse (...) che riguardano la difesa (...) dell’ambiente, (...) la ricerca di un vasto consenso sociale alle decisioni da prendere, la conversione radicale di interi settori produttivi (...). Certo, c’è sempre il rischio della verbosità inconcludente, dell’incapacità di decidere (...): ma il marcio sta nella dilazione all’infinito della decisione, non della discussione che dovrebbe precederla. Risuona nell’anatema di Greta al “bla bla bla” il disprezzo per la borghesia intellettuale e per il parlamentarismo ai primordi che un reazionario anti-liberale, Juan Donoso Cortés, riservava alla “clasa discutidora”. Ma la discussione libera, base e fondamento di ogni decisione democraticamente assunta, è un bene prezioso che non dovremmo sperperare, pena una ferita profonda all’ecosistema democratico.
Sono molto colpito che il giornale web dei sapientoni ospiti un parere scettico sul Santo del Giorno, via https://www.huffingtonpost.it/entry/il-bla-bla-bla-di-greta-e-il-disprezzo-per-la-civilta-della-discussione-democratica_it_615a854be4b0502542347903
Pigi Battista non ha torto, solo la prende dalla retroguardia demoliberale e la rincorsa è lunghissima per rendersi potabile alle orecchie della vasta maggioranza che percepisce ed è sfinita dai blabla strumentali della buromagistratura parassitaria al Potere, anche se convinta da secoli di politicantame che ciò sia dovuto a singole mele marce, non sia caratteristica precipua e fine stesso dello Statalismo socialista imperante.
Il vero punto per tagliar corto che rende semplicemente INDECENTE il blabla di Greta e dei Gretini non è manco la iper-semplificazione ignorante e deviante di un messaggio pur reale (inquinamento uguale CINA) ma, per rimanere ai reazionari anti libertà spagnoli del passato, è che si tratta di una richeista di AUTO-DA-FE’ che ammette solo o adesione auto fustigante o ripudio e quindi rogo immediato.
E’ uno dei tanti e soliti massimalismi omicidi-suicidi, che barba che noia non vedo l’ora che il Savonarola di turno finisca sul rogo, avevo sperato che il Covid la superasse e rendesse obsoleta ma gnente, Big Finance è gelosa del Big Pharma e il futuro ha da essere ESG (Environment and Social GOVERNANCE).
Alla fine sono due facce della medesima medaglia GLOBALISTA, che a sua volta è solo un mezzo non un fine: vedrete quanto carbone vi faran respirare quando qui sarà tutto CINESE.
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Samia Un abito per tutte le donne
Salone mercato internazionale dell'abbigliamento di Torino, 1955-1978
Silvia Mira
DeBalena Editore, Chiavari 2016, 176 pagine,ISBN 978-8894212006
euro 50,00
email if you want to buy [email protected]
"Sembrerebbe che l'idea di istituire a Torino il Samia, Salone Mercato Internazionale dell'Abbigliamento, la si debba a Vladimiro Rossini, direttore dell'Ente Italiano della Moda, il quale, durante una delle mitiche sfilate fiorentine di alta moda organizzate da Giovanni Battista Giorgini, trasse spunto dall'affermazione pronunciata ad alta voce della giornalista Mildred Kador: l'alta moda italiana ci interessa molto ma noi americani vorremmo vedere abiti per tutte le donne! Ripercorrendo la storia di questa iniziativa, che contribuì in maniera incisiva alla nascita di una moda pronta di qualità, si incontrano accanto ai nomi di eccellenze italiane dimenticate come la Schostal e la Rosier di Milano o la Viky's e la Turin Moda di Torino, quelli ancora oggi noti e attivi come Colmar, Luisa Spagnoli, Marzotto, Max Mara, Missoni, Krizia, Herno. Anche le case di moda straniere presero parte numerose agli innovativi saloni torinesi: Pierre Balmain, Jacques Esterel, Jacques Mercier, Elsa Schiaparelli per la Francia il "sarto della Regina" Normann Hartnell e Digby Morton per l'Inghilterra e molte altre ancora. -- "The idea of organizing a fashion exposition in Turin was likely the brainchild of Vladimiro Rossini... ...he took a cue from fashion journalist Mildred Kador who said: "We Americans are interested in Italian haute couture but we want to see clothes that are within the reach of all women!" Looking back at the history of this initiative, a defining moment in the birth of Italian prêt-à-porter fashion, one can see now-forgotten houses like Schostal and Rosier from Milan, Turin Moda and Viky's from Turin, as well as those still working to this day: Colmar, Luisa Spagnoli, Marzotto, Max Mara, Missoni, Krizia and Herno. Many foreign houses also took part including Pierre Balmain, Jacques Esterel, Jacques Mercier, Elsa Schiaparelli from France, Normann Hartnell "tailor of Royal appointment" and Digby Morton from England.
29/10/20
orders to: [email protected]
ordini a: [email protected]
twitter:@fashionbooksmi
instagram: fashionbooksmilano, designbooksmilano tumblr: fashionbooksmilano, designbooksmilano
#Samia#moda pronta#pret a porter#salone abbigliamento#Colmar#Luisa Spagnoli#Marzotto#Max Mara#Missoni#Krizia#Biki#Billy Ballo#Balmain#Schiaparelli#fashion history#Schostal#Rosier#Turin Moda#Viky's#storia moda#fashion books#fashionbooksmilano
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TÍTULO: Nuestra Señora de la Merced entre los Santos Alberto de Trapani y Ángel de Licata
AUTOR: Fra Battista Spagnoli
FECHA: Finales del siglo XV
TÉCNICA: Fresco separado
DIMENSIONES: 323 x 253
ORIGEN: Parma, antigua iglesia del Carmín; en la Galería desde 1968
INVENTARIO: GN1895
GÉNERO: Pintura
MUSEO: Galería Nacional
SECCIÓN DE EXPOSICIÓN: De la Edad Media a Leonardo Ala Oeste
Información e imagen de la web del Conjunto monumental de la Pilotta, Parma.
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24 luglio-B.Giovanni Soreth, Sacerdote
Il Soreth nacque presso Caen in Normandia nel 1394 ed entrò tra i Carmelitani di questa città. Sacerdote verso il 1417, fu maestro in teologia (Parigi, nel 1438) e poi reggente di studi. Fu Provinciale della sua Provincia di Francia nel 1440 - 1451 e Priore Generale dell'Ordine dal 1451 fino alla morte.
Fu instancabile nell'opera di riformatore in un periodo storico particolarmente critico per la Chiesa e per l'Ordine stesso. Si dedicò completamente alla riforma, percorrendo l'Europa per le visite canoniche, e promuovendo l'"osservanza" sia nelle Province e nei conventi che nella Congregazione Mantovana. Scrisse un commento alla Regola (la Expositio paraenetica) e pubblicò le costituzione del 1462. Altra sua attività fu quella relativa al sorgere e allo stabilirsi delle monache carmelitane, specialmente in virtù della bolla "Cum nulla" di Nicolò V nel 1452. In questo valorizzò nel Nord Europa l'opera svolta dalla Beata Francesca d'Amboise, alla quale egli stesso diede l'abito. Curò pure - sempre in forza della ricordata bolla papale - il sorgere del Terz'Ordine Secolare Carmelitano.
Morì ad Angers il 25 luglio 1471 e il carmelitano Battista Spagnoli, noto umanista, gli dedicò un'elegia. Il culto di Beato gli fu riconosciuto da Pio IX nel 1866. La sua festa è celebrata il 24 luglio.
https://ocarm.org/it/content/liturgy/bgiovanni-soreth-sacerdote-m
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Due mosche cocchiere
Vorrei tornare sull’argomento ‘gilets jeunes’, perché l’ultima intemerata dei gemelli diversi Dibba&Dimma ha evidenziato ancora una volta l’incompetenza e la pericolosa incoscienza degli individui che abbiamo al Governo.
Il casus belli è rappresentato dalla sortita in terra gallica del duo terribile al fine di portare il sostegno dei pentastellari italici ai protestanti in gilet giallo.
Metteteci pure che attualmente è in carica un Monsieur le President, pieno di spocchia (di ritorno) che manco il peggior Sarkozy, per via della bassa stima di cui adesso gode nella sua Patria, ed ecco che alla prima occasione – incoscientemente fornitagli da due perfette mosche cocchiere italiane – Macron ci schiaffeggia col guanto dei duelli, richiamando il proprio Ambasciatore a Parigi. Non si era mai vista una cosa simile in tempi di pace ed all’interno dell’Unione europea, pur malandata che sia.
Mossa grave. Ricorderete meglio di me l’ultima volta che successe: si trattò della dichiarazione di guerra dello stato fascista alla Francia. Roba pesantissima. Poi non ci rimarrebbe che far rimpatriare gli Italiani dalla Francia ed espellere i Francesi dall’Italia ed armare i confini.
Un po’ certamente meraviglia tanta permalosità francese e forse una reazione spropositata. Tuttavia, nel caso di che trattasi la colpa è nostra, scemi come siamo a fornir loro ghiotte ed imperdibili occasioni per lasciarli passare dalla parte della ragione, a prescindere da chi abbia cominciato per primo.
Sicuramente, anche la Francia ha le sue colpe. A cominciare dagli sconfinamenti a Bardonecchia, continuando con le resistenze a Ventimiglia, risalendo per le intemerate su Fincantieri ed i tentativi di scalare le nostre industrie, e molti altri piccoli e grandi, antichi o atavici, fronti (compresa la testata di Zidane), antropologicamente conditi dalla scontatissima supponenza gallica.
Ma – si sa – i Francesi sono bulletti, specialmente con noi Italiani (e pure con gli Spagnoli), cugini di latinità considerati inferiori, per quella vecchia faccenda dei vini, dei formaggi, di Napoleone e della proprietà della Gioconda.
L’Italia non ha mai avuto una reazione tanto temeraria quanto pericolosa alle istigazioni francesi (ultimamente quasi tutte tarate sull’immigrazione), nel senso che alle loro provocazioni abbiamo fatto battute, abbiamo offeso verbalmente, abbiamo riempito i media di sfottò contro i gallici, ci siamo buttati pure sulla bufala del franco CFA che affama l’Africa sub-sahariana. Sull’intervento francese in Libia, poi, abbiamo tirato, sì, pietre ma anche nascosto la mano. E, soprattutto, nessun Governo ha sbarellato nei confronti della Francia: tutte le critiche e le incazzature (spesso sacrosante) contro quella nazione sono sempre rimaste nei precisi limiti concessi dall’opportunità politica e diplomatica.
Brutta mossa, invero, quella di Di Maio e Di Battista. L’amato Presidente Mattarella ha indubbiamente il suo stile e non mancherà di esporre il suo pensiero, ma fosse successo con Sandro Pertini in carica avremmo assistito ad una memorabile lezione – fulminea, fulminante e pubblica - di comportamento e decoro.
Abbiamo perso un’altra occasione di non aggravare la corrosione della nostra già scarsissima credibilità internazionale, grazie e due mosche cocchiere, che in paremiologia sarebbero quegli esponenti dell’entomologia favolistica i quali, stazionando dalle parti di equini accaldati per la fatica, avocano a sé il presunto merito della conduzione dell’equide.
Perché nelle intenzioni palesi del terribile duo pentastellare in trasferta, cavalcare la protesta francese da parte di esponenti politici italiani di vertice porterebbe ai gilets jeunespiù lustro, più autorevolezza, più dignità nonché ragioni ufficiali ed ufficializzate, appunto dalla carica governativa di Di Maio, dichiaratosi vicino alla protesta in quanto incarna i valori populisti fondanti del M5S.
In verità, la mossa di Dibba&Dimma (un po’ come Bibì e Bibò) è finalizzata alla ricerca di qualunque cassa di risonanza, per fare propaganda elettorale in Italia (anche perché in Francia non se li fila nessuno, i nostri pentastellari), in occasione delle prossime Europee, dato che la Lega di Salvini è in nettissimo vantaggio.
Solo i più fanatici pentastellari in Italia possono pensare che sia stata una gran mossa esportare il metodo del Movimento5Stelle in una nazione la quale, pur non avendo i mille anni di storia rivoluzionaria (come ha tanto convintamente quanto erroneamente scritto Di Maio), comunque ha una salda e sprovata tradizione organizzativa sociale e popolare. Basti considerare che gli scioperi in Francia riescono sempre tutti e portano a casa importanti risultati. (Gli scioperi francesi sono studiati dalle scienze dell’organizzazione sociale, sapevatelo. Noi Italiani possiamo essere pittoreschi, e finanche arrabbiati durante le nostre manifestazioni, ma il famosissimo 23 marzo 2002 cofferatiano è stato possibile solo e soltanto grazie alla miglior organizzazione mai (più) messa in campo da quel sindacato. Sapevatelo anche questo.)
E poi, con tutti i problemi che abbiamo già in casa, non hanno trovato di meglio – le già citate mosche cocchiere – che combinare altri casini oltreconfine? Nell’ultimo Consiglio dei Ministri sarebbero volati stracci tra il Premier e l’incoscienza grillina, per via del grave incidente diplomatico con la Francia. (Il Vicepremier pentastellato – riportano i retroscenisti – sarebbe arrivato ad intimare al Presidente del Consiglio di rimanere chiuso a Palazzo Chigi a lavorare di più. Brividi.)
Bisogna essere proprio inconsistenti per non considerare la scelleratezza politico-diplomatica di mettere il cappello sulle proteste estere, alla faccia del Governo di quello Stato. Non puoi andare in Francia, tu che sei un componente dell’Esecutivo, rappresentante del Governo italiano, tu che sei addirittura un Vicepremier, e dire en souplesse (in scioltezza, per rimanere in stile) ai Francesi barricaderi di condividere la lotta contro Macron.
Considero fuori dalla grazia della ragione andare a sollevare vespai diplomatici di tale portata.
I nostri baldi cavalieri hanno dato – strumentalmente - crediti e riconoscibilità ad un capopolo facinoroso, Chalencon, che straparla di guerra civile contro Macron e quest’ultimo non deve adombrarsene? Macron non deve reagire?
Macron ha tutte le ragioni per reagire, caspita. (Macron, approfittando della circostanza di sentirsi parte offesa, ha perfino rispettato il patto della SeaWatch accogliendo la quota di migranti assegnata alla Francia.) L’intemerata dei deux Italienes ha rappresentato una dichiarazione formale contro quel Governo nazionale ed è legittimo il richiamo dell’Ambasciatore.
Infine, controbattere che il Governo-del-cambiamento può cambiare anche le regole diplomatiche e di buon vicinato internazionale è letteralmente da ubriachi.
Analogamente, altre mosche cocchiere, segnatamente del Piddì, hanno pensato bene di scrivere (come partito, non come Governo) direttamente al Presidente Macron una nota di scuse, in cui hanno definito scellerati ed incompetenti il Governo ed i suoi Ministri.
Possiamo avercela contro la Francia ed i Francesi a livello antropologico, aneddotico, letterario, ma da una prospettiva politica ed economica non possiamo e non dobbiamo innescare gravi tensioni e guerre diplomatiche.
Possiamo, parimenti, prenderli e farci prendere in giro, fare satira vicendevolmente (beh, Asterix è una continua satira contro Roma, no?), con le modalità solite e artisticamente riconosciute, le quali, tuttavia, non contemplano lettere di candidati-alla-segreteria-di-partiti-in-via-di-estinzione rivolte ad un Capo dello Stato estero.
Non expedit, si direbbe in vaticanese, non conviene, non è opportuno. Eppure, è successo.
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“E qualcuno lo sentì dire di aver visto il fantasma di Mishima”. Riflessioni sulla testa mozzata di Yukio (che spopola in UK)
Gioco di specchi cronologici. Nel 1959 Yukio Mishima pubblica La casa di Kyoko. Benedetto dalla precocità, Mishima ha 34 anni: la pubblicazione, dieci anni prima, nel 1949, di Confessioni di una maschera, lo segna come l’eroe della nuova letteratura nipponica. Il 2 novembre del 1949, all’editore delle ‘Confessioni’, Mishima scrive: “Ho rivolto verso di me la lama dell’analisi psicologica che fino ad oggi avevo affilato su personaggi immaginari e, nel tentativo di vivisezionare me stesso con le mie mani, mi sono ripromesso una precisione scientifica, di essere ciò che Baudelaire chiama ‘la vittima e il carnefice’”. Due cose: la lama, tragicamente rivolta, vent’anni dopo, contro la propria carne. La lama che ogni scrittore deve usare per fare macello di sé, sushi dei propri pensieri, uccidendosi: vittima e carnefice. Dopo aver svuotato se stesso, con le viscere dell’io che si muovono, a terra, come anguille, Mishima disseziona la Storia, passa dallo scritto all’atto. Nel disgusto degli scrittori, degli scriventi.
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Si scrive, sempre, per agire – la parola agisce in chi legge, con la dolcezza di un sibilo, con la perentorietà di un ordine.
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La casa di Kyoko fu un insuccesso. “Ho impiegato più di un anno a scriverlo, è stato un clamoroso insuccesso di pubblico, io mi sento terribilmente depresso”. Nonostante le intenzioni, alte, denunciate in una intervista, citando Flaubert e Stendhal. “L’essere umano, isolato, sorregge l’epoca moderna con il proprio isolamento. Penso che la caratteristica essenziale dei giovani d’oggi sia il nichilismo. Ma la parola contiene varie sfumature. Chi ha la consapevolezza di essere nichilista riesce a convivere con questo atteggiamento, chi non ne è consapevole ne viene distrutto”. Anche l’idea di fare un film sul romanzo naufraga. Masaichi Nagata, però, sessant’anni fa, il presidente della Daiei Studios di Tokyo, fa leva sul narcisismo di Mishima: gli propone di recitare nella pellicola diretta da Masumura Yasuzo, Una canaglia. Mishima accetta – lo scrittore, scagliato, s’incaglia nella necessità di applausi. “Solo pochi mesi prima, si era pensato come il Thomas Mann del Giappone moderno, ritirato nel suo studio per creare capolavori immortali; ora sogna di essere la versione giapponese di James Dean”, ironizza Damian Flanagan, inglese, studioso di letteratura estremo orientale, già autore di una biografia su Mishima e di diversi saggi su Natsume Soseki, in un articolo uscito sul “TLS”, Big in Japan.
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In generale, credo che gli inglesi – più avvezzi al sarcasmo che al tragico, a roteare la pipa più che la katana – non riescano a capire l’intensità – e la fragilità – di Mishima (come, a suo tempo, a fine Ottocento, restarono letteralmente sconvolti dalla lettura di Dostoevskij). Tuttavia Flanagan tocca un punto centrale: dal 1959 la vita di Mishima si orienta al gesto culminante, il suicidio pubblico consumato nel 1970. Il pretesto è la pubblicazione di due libri che sanciscono un ritorno di fiamma tra Mishima e gli anglofoni: Star, breve racconto sul mondo mercificato del cinema (maschere di maschere), pubblicato da New Direction, del 1960, e Trastulli di animali, inquietante rapporto a tre, dall’eros nero, edito in origine nel 1961, ora in catalogo Penguin. “Straordinario talento letterario, Mishima è stato artista dalle molteplici sfaccettature, consapevole della potenza del tempo. Ossessionato fin da ragazzo dalla Salome di Oscar Wilde, dalla descrizione erotica della decollazione di Giovanni Battista, Mishima desiderava, benché bellissimo, porre fine alla propria vita come una stella sul palco. Nel 1970, commise il suicidio rituale, seguito dalla decapitazione, offrendo, con sinistro umorismo, la propria testa mozzata ai lampi delle macchine dei fotografi, ai sogni dei cineasti”, scrive Flanagan.
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Nel 1961, come si sa, Patriottismo esplicita il tema: “Il ventotto febbraio dell’undicesimo anno dell’era Showa (due giorni dopo il colpo di Stato militare del ventisei febbraio), il tenente del primo reggimento della guardia imperiale, Takayema Shinji, sconvolto dalla notizia della presenza di alcuni suoi compagni nelle truppe ribelli e indignato per l’imminente scontro tra milizie appartenenti allo stesso esercito imperiale, si è squarciato il ventre con la spada di ordinanza”. L’esibizione è sempre legata all’ambizione dell’esilio; stare sul palco come sul seggio della ghigliottina.
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Colpito dalla morte di Mishima, Yasunari Kawabata, nel discorso commemorativo, scrive: “Potrò incontrare un altro amico e maestro? Alla pubblicazione del primo e del secondo libro de ‘Il mare della fertilità’, espressi il mio apprezzamento. Ritengo che questa sia la più mirabile opera giapponese dal Genji monogatari in poi”. Nel 1981 Marguerite Yourcenar pubblica Mishima o La visione del vuoto (in Italia lo stampa Bompiani) discutendo dell’ineffabile distanza – e della inquieta affinità – tra Oriente e Occidente, vita e morte, ombra e luce. “Il mare della fertilità, nel suo complesso, è un testamento. Il titolo, innanzi tutto, sta a provare che quest’uomo così prepotentemente vivo ha preso le distanze dalla vita. Questo titolo è preso, infatti, dall’antica selenografia degli astrologi-astronomi del tempo di Keplero e Tycho Brahe. ‘Il mare della fertilità’ fu il nome dato alla vasta pianura visibile al centro del globo lunare, e che ora sappiamo essere, come l’intero nostro satellite, un deserto senza vita, senz’acqua e senz’aria. Non si può dimostrare meglio fin dall’inizio che, di quel gran ribollimento che scuote una dopo l’altra quattro generazioni successive, di tanti finti successi e autentici disastri, ciò che alla fine risulta è Niente, il Nulla. Resta da sapere se questo niente, che si avvicina forse al Nada dei mistici spagnoli, coincida completamente con quello che chiamiamo in francese rien”. Una buona definizione dell’allunaggio, tra l’altro, fenomeno di lunatici commenti.
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Capire che non lo ascoltano, che il momento supremo si logora in un super inferno, in una superiore incomprensione, è il segno. “Si rende presto conto che gli ottocento uomini adunati non lo ascoltano. L’invito a interrogarsi sulla coerenza della funzione delle Forze di Autodifesa, negata da una costituzione imposta da potenze straniere, e l’appello a seguirlo in un’azione per la salvezza dell’identità nazionale cadono nel vuoto della derisione e dell’insulto” (Virginia Sica nella Cronologia al ‘Meridiano’ Mondadori che raccoglie i Romanzi e racconti 1949-1961 di Mishima). L’incarnazione icastica del vuoto.
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Nella lotta non contro ma dentro il vuoto si esprime il lavoro dello scrittore. “Sempre più gli saliva dentro un senso di disgusto e di vuoto, un vuoto che non era ancora il Vuoto perfetto del giardino della badessa, bensì il vuoto di ogni vita, fallita o riuscita, o ambedue insieme”, scrive la Yourcenar. L’esito della lotta ci consegna la natura del vuoto in cui scriviamo: lo scrittore usa la testa per decapitarsi. (d.b.)
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C’è una fotografia della famiglia seduta su una fila di sedie durante la cerimonia di commemorazione funebre che, nonostante una quasi generale disapprovazione del seppuku, attirò migliaia di persone. (Sembra che quel gesto violento avesse profondamente sconcertato certa gente passivamente uniformata a un mondo che le appariva senza problemi. Prenderlo sul serio, sarebbe stato rinnegare una supina acquiescenza alla sconfitta e al progresso della modernizzazione, così come alla prosperità che era seguita. Meglio non vedere in quel gesto che un misto assurdo ed eroico di letteratura, teatro e bisogno di far parlare di sé). Azusa, il padre, Shizue, la madre, Yoko, la moglie, avevano certamente ciascuno il proprio giudizio e la propria interpretazione. Li si vede di profilo, la madre con la testa un po’ china, le mani giunte e un’espressione che il dolore fa sembrare imbronciata; il padre ben dritto, in atteggiamento signorile e composto, probabilmente consapevole d’esser fotografato; Yoko, graziosa e impenetrabile come sempre; e, più vicino a chi guarda, sulla stessa fila, Kawabata, il vecchio romanziere che aveva ricevuto il Nobel l’anno prima, amico e maestro del defunto. Quel volto emaciato di vecchio è di estrema purezza; la tristezza vi si legge come sotto un foglio traslucido. Un anno dopo Kawabata si suicidava, senza alcun rito eroico (si accontentò di girare la chiavetta del gas), e qualcuno lo sentì dire, durante l’anno di aver visto il fantasma di Mishima.
E ora, tenuta in serbo per la fine, l’ultima immagine e la più traumatizzante; così sconvolgente che è stata raramente riprodotta. Due teste sul tappeto sicuramente in acrilico dell’ufficio del generale, messe una accanto all’altra come birilli, così vicine che quasi si toccano. Due teste, due bocce inerti, due cervelli che il sangue più non irrora, due computer bloccati, che non selezionano e non decodificano più il flusso ininterrotto di immagini, impressioni, sollecitazioni e risposto che ogni giorno a milioni investono un essere, formando tutte insieme quella che si chiama la vita dello spirito, e anche quella dei sensi, e motivando e dirigendo i movimenti del resto del corpo. Due teste mozzate, passate ormai in altri mondi in cui regna un’altra legge, e che a guardarle suscitano sbigottimento più che orrore. Ogni giudizio di valore, sia esso morale, politico o estetico, in loro presenza, momentaneamente almeno, è ridotto al silenzio. La nozione che s’impone è più sconcertante e più semplice: fra le miriadi di cose che sono, e che sono state, queste due teste sono state; e sono. Ciò che riempie quegli occhi senza sguardo non è più lo sventolante vessillo della protesta politica, né alcun’altra immagine intellettuale o materiale, e neppure il Vuoto contemplato da Honda, e che appare, improvvisamente, solo come un concetto o un simbolo tutto sommato troppo umano. Due oggetti, relitti già quasi inorganici di annientate strutture, che anch’essi, una volta passati attraverso il fuoco, saranno ridotti a residui minerali e cenere; neppure soggetti di meditazione, perché ci mancano i dati per meditare su di essi. Due relitti, sospinti dal Fiume dell’Azione, e che l’immensa ondata ha lasciato per un attimo in secca sulla sabbia, e poi trascina via.
Marguerite Yourcenar
Traduzione italiana di Laura Guarino
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Il segreto della scoperta dell'America=Una piccola anteprima da «Chiesa criminale - una scia di sangue in nome di Dio lunga 2000 anni»
1492: SI APRE UNA NUOVA SCENA DEL CRIMINE
La Storia – quella dei libri ufficiali – ci insegna che il 12 ottobre 1492 Cristoforo Colombo scoprì l’America, ponendo fine al Medioevo e inaugurando l’era moderna.
In realtà, il nuovo continente era già stato visitato o – in alcuni casi – descritto da altri come, per esempio, i vichinghi. Nel 1960, infatti, fu ritrovato un antico villaggio norreno – L’Anse aux Meadows – a nord di Terranova, mentre più di recente sono state scoperte a Point Rosee, nella parte meridionale dell’isola, altre testimonianze che indicano come quel popolo fu un abituale frequentatore delle fredde lande oggi appartenenti al Canada.
La parte del continente americano che si affaccia sul Pacifico, invece, fu descritta da Marco Polo nel XIII secolo. Lo confermerebbero quattro pergamene conservate presso la Library of Congress di Washington, che recano alcune mappe sulle quali «è facile riconoscere i contorni dell’Alaska, dello Stretto di Bering, delle isole Aleutine e della costa americana del nord-ovest». Il mercante veneziano chiamò queste coste con il nome di «Fusang», che nella lingua cinese del Duecento significava «Terre oltre il mare», aggiungendo che si potevano raggiungere con quaranta giorni di navigazione. Ci sbarcò, non ci sbarcò? Resta un mistero. Di certo non ne parlò nei suoi diari, ma sembra che dal letto di morte disse a coloro che lo assistevano: «Io non ho scritto che la metà di ciò che ho visto». Infine, alcuni ritrovamenti archeologici suggerirebbero che perfino i romani visitarono il continente d’oltreoceano, dal che si dedurrebbe che il povero navigatore genovese, celebrato come un eroe, fu l’ultimo a metterci piede, ma ciò nonostante gli venne attribuita l’esclusiva della scoperta.
In realtà, l’avventura di Colombo cambiò la storia del mondo, offrendo agli Stati europei – che fino a quel momento, manovrati dalla Chiesa, si erano beccati all’interno di un pollaio che iniziava a risultare stretto – nuove terre da conquistare, nuovi mercati da sfruttare, nuove popolazioni da depredare, nuovi pagani da evangelizzare, nuove stragi da compiere.
Asia e Africa erano già state parzialmente colonizzate, riversando in Europa ingentissime ricchezze: la razzia di entrambi i continenti sarebbe proseguita anche nei secoli a venire, ma ora occorreva trovare forzieri freschi, brulicanti di uomini da schiavizzare e tesori da prosciugare fino all’osso.
La versione che ci hanno sempre raccontato, parla di un Cristoforo Colombo imbarcato fin da giovanissimo sulle navi mercantili che un bel giorno, a furia di consultare carte geografiche e ascoltare i racconti dei marinai, ebbe l’intuizione che oltre le Azzorre dovesse trovarsi l’Asia con le favolose Indie, fino a quel momento raggiungibili solo a prezzo di lunghi cammini irti di pericoli. Ci hanno anche cucinato e servito la fanfaluca di un Colombo convinto che la Terra fosse sferica e non piatta, come si riteneva all’epoca e che con la sua ostinazione scardinò tale credenza medievale: peccato che nel Medioevo nessun ambito accademico sostenesse tale teoria. Forse esisteva ancora qualche fanatico religioso il quale, basandosi su un passo dell’Apocalisse di Giovanni, era un convinto “terrapiattista”, come si direbbe oggi, ma, per esempio, nel De sphaera mundi di Giovanni Sacrobosco, risalente al 1230, uno dei più importanti e diffusi trattati di astronomia dell’epoca, lo stesso titolo smentisce quella che è solo una bufala.
Domandiamoci, a questo punto, quante e quali altre frottole ci hanno raccontato. Grattando un po’ la sottile patina di vernice dorata nella quale è stato avvolto il mito della scoperta dell’America, saltano fuori altre versioni a mio parere ben più attendibili della favoletta romantico-eroica dei libri di scuola.
Uno dei massimi esperti in materia, il giornalista e scrittore Ruggero Marino, che ha dedicato ventisette anni allo studio dell’argomento spulciando centinaia di documenti, molti dei quali conservati in Vaticano, suggerisce la seguente ipotesi: dietro la spedizione che – ufficialmente – partì da Palos verso l’ignoto il 3 agosto 1492, i reali di Spagna, Ferdinando II d’Aragona – detto il Cattolico – e Isabella di Castiglia, ricoprirono un ruolo di pura facciata. Il vero regista occulto di tutta l’operazione fu Innocenzo VIII, al secolo Giovanni Battista Cybo, di origini genovesi come Colombo. Da ciò si dedurrebbe che il papa fosse a conoscenza dell’esistenza di un continente al di là dell’oceano e se – come alcuni ritengono – perfino i romani vi erano
approdati, chi se non la Chiesa, erede illegittima dell’Impero, poteva conservarne la prova? Il papa – certamente non animato da spirito d’avventura fine a se stesso ma, al contrario, desideroso di mettere le mani su un nuovo mercato di anime su cui lucrare – lusingò (o ricattò) i sovrani spagnoli, promettendo che avrebbe lasciato loro il merito di aver avuto la lungimiranza di sostenere Colombo e garantendo alla Corona che l’avventura avrebbe reso interessanti ricavi, ma chiedendo in cambio l’organizzazione di una crociata in Terrasanta, pratica che giaceva inevasa – pesando come un macigno sul prestigio cattolico – dai tempi di Filippo il Bello: Ferdinando e Isabella, insomma, avrebbero dovuto metterci la faccia, impiegando uomini e capitali in una ennesima, sanguinosa spedizione alla riconquista di Gerusalemme.
Secondo Marino, dunque, fu il papa a finanziare Colombo, che divenne un vero e proprio inviato della Chiesa:
«Il navigatore era convinto che la conversione universale, fase preparatoria della fine del mondo che sarebbe avvenuta nel giro di pochi anni, poteva realizzarsi con la scoperta ufficiale delle ultime terre
sconosciute». Giovanni Battista Cybo morì il 25 luglio 1492, nemmeno dieci giorni prima che il suo burattino salpasse da Porto Palos, tuttavia nella tomba che ne custodisce la salma fu trovata una scritta curiosa: «Durante il suo regno [avvenne] la scoperta di un nuovo mondo». A Innocenzo VIII seguì il famigerato Alessandro VI, che abbiamo già incontrato nella vicenda di Savonarola: fu lui a dividere magnanimamente il bottino coloniale tra Spagna e Portogallo.
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San Giovanni Battista, dopo la Cattedrale di San Lorenzo e l’ormai scomparsa Santa Maria del Ponte, è la chiesa più antica di Alba.
Nonostante dell’antico edificio di fondazione medievale sia sopravvissuto ben poco, sono invece numerose e spesso di grande pregio le opere d’arte antiche in esso conservate.
La Chiesa
Essa dava il nome al terzo quartiere della città, come risulta ben documentato al numero CCCXI del medievale Rigestum Comunis Albae.
Le sue primitive forme si possono solamente intuire dalle pochissime raffigurazioni esistenti e dai documenti di archivio.
Dal 1500 al 1700
Nel 1556 (parroco Teobaldo Richo) la chiesa e parte degli edifici circostanti vennero concessi in uso ai padri Agostiniani, il cui convento situato oltre il filatoio, presso la chiesa di S. Maria della Consolazione era stato distrutto durante le guerre tra Francesi e Spagnoli.
Nel 1700 fu aggiunta una bussola sul campanile e dotata di un orologio che, durante l’invasione napoleonica, venne trasferito sul campanile di San Damiano; fu abbellita la facciata, furono acquisite diverse opere d’arte e si eresse il porticato sul lato sud.
In seguito all’invasione napoleonica, gli Agostiniani abbandonarono la chiesa di San Giovanni, che nel frattempo venne adibita a magazzino.
La Restaurazione
Con la Restaurazione, nel 1819, venne nominato parroco il sacerdote Michele Travaglio che si prodigò in tutti i modi (supplicò addirittura il Re) per riportare la cura di anime in San Giovanni, “rattoppare” ed arredare al meglio la chiesa ormai cadente e priva di qualsiasi suppellettile.
Il 1800
I suoi successori cercarono di abbellire la chiesa, ad esempio nel 1830 venne ricostruito il coro, nel 1834 rifatta la facciata e nel 1876 i fratelli Vittino di Centallo posarono un nuovo organo sulla tribuna.
Nel 1884 il canonico Nicolao Strumia rialzò la chiesa di circa quattro metri e su disegno dell’ingegner Fantazzini di Torino costruì una nuova facciata e il soffitto a cassettoni ancor oggi presente.
Le opere d’arte
Nonostante dell’antico edificio di fondazione medievale sia sopravvissuto ben poco, sono invece numerose e spesso di grande pregio le opere d’arte antiche in esso conservate.
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Montevecchia è una graziosa località dell‘alta Brianza, posta a 500 metri d’altezza, inserita nel Parco della Val Curone, meta molto ambita dalle gite “fuori porta”. Una collina con antichi terrazzamenti che ha incantato nei secoli, artisti di ogni genere, con una delle migliori descrizioni del luogo data dal regista Mario Soldati in Vino al Vino.
Nelle giornate limpide, rivolgendo lo sguardo verso sud, si può ammirare dall’alto tutta la Brianza, fino al rinnovato skyline di Milano, arrivando più giù sino agli Appennini, mentre a nord si ammirano non solo le Prealpi lecchesi, il Resegone, la Grigna, le Orobie ma anche un’ampia fetta delle Alpi sino al Monte Rosa, al Cervino.
Montevecchia racchiude ben cinquantadue frazioni con il nucleo principale, formato da antiche corti contadine e splendidi vigneti posti nei terrazzamenti dove sono alternati a erbe aromatiche. E’ caratterizzata da splendidi esempi di “ville di delizia” come la settecentesca dimora Agnesi-Albertoni, con il suo vasto parco, posizionata proprio sotto la cima della collina, aperta al pubblico in alcune occasioni e Villa Vittadini, dirimpetto al santuario, sorta su un precedente edificio cinquecentesco.
Arrivati nella storica piazzetta del paese, un suggestivo e romantico viale alberato, porta alla sommità della collina, dove si trova il santuario medievale della Beata Vergine del Carmelo, altro punto d’interesse, con una storia radicata profondamente nel territorio.
Le origini di Montevecchia si perdono lontano nel tempo. Nella zona comunale in località Fornaci, alla fine degli anni 70′ del secolo scorso, sono stati individuati alcuni accampamenti, risalenti all’epoca dell’uomo di Neanderthal e dell’uomo sapiens, datati rispettivamente il primo a 60.000 anni e il secondo a 32.000. Questi insediamenti sono fra i più antichi situati in Lombardia. Di qui forse anche il toponimo Montevecchia ovvero Muntàvegia dal brianzolo. Anche se altri propendono per la derivazione latina Mons Vigiliae (monte delle Vedette).
Il territorio su cui sorge Montevecchia, ha anche la particolarità, di avere tre colline dette “Le piramidi”, scolpite nella roccia, che hanno un’altezza tra i quaranta e cinquanta metri, con gradoni di usati come terrazzamenti dediti alla coltivazione.
Una singolarità che ha smosso, diverse teorie e avvicinato il territorio, a zone ricche di misteri. Certo è che esse sono disposte esattamente come le stelle della cintura di Orione, analogamente alle più celebri piramidi egizie di Giza. Sono orientate tutte e tre col lato “migliore” a Est con una precisione inferiore al mezzo grado e inoltre hanno tutte la stessa inclinazione.
Probabilmente la collina di Montevecchia, vede risalire i suoi particolari terrazzamenti all’epoca celtica, sono infatti molti i reperti ritrovati nell’area. I Celti molto attenti ai cicli della natura, sono stati i primi veri colonizzatori di questi territori. E’ stata rinvenuta anche una cerchia muraria difensiva in pietra alta circa quattro metri. In cima alla collina, si ritiene fosse posto uno dei tanti santuari celtici, che compiano un po’ ovunque su tutto l’arco prealpino. A ulteriore conferma, il rinvenimento di un monolite in pietra granitica lavorato, risalente ai Celti. I santuari avevano la doppia funzione di luogo di culto e osservatorio della volta celeste, ad avvalorare lo stretto legame tra quest’antica popolazione e la natura.
In epoca romana, il sito, ebbe un’importanza strategica, è stata accertata infatti la presenza di una torre di segnalazione, proprio dove ora sorge il Santuario.
Nell’alto Medioevo la torre romana divenne una chiesa, dedicata a San Giovanni Battista, molto amato dai longobardi.
Nei secoli successivi, come tutta la Brianza, Montevecchia face parte del ducato di Milano, sotto i Visconti e in seguito sotto gli Sforza, poi passò agli Austriaci, quindi agli Spagnoli. Nel 1647, divenne un feudo della famiglia Panigarola, che ne fece uno dei suoi luoghi più amati per le vacanze, costruendo quella che poi sarebbe diventata villa Agnesi-Albertoni.
Nel 1713, il feudo di Montevecchia venne ceduto a Giacomo Brivio, appartenente a una famiglia di mercanti che aveva ottenuto il titolo di conti di Brochles. Per poi seguire tutte le vicende storiche lombarde.
Il cuore di Montevecchia è il Santuario della Beata Vergine del Monte Carmelo, in stile barocco antico, che alla fine del secolo IX era una chiesetta dedicata a San Giovanni Battista, una cappella che allora dipendeva dalla parrocchia e pieve di Missaglia.
Nel 1564 la chiesetta fu riconosciuta come parrocchia e tra il secolo XVI e il XVII fu costruito, sulle rovine del precedente edificio, l’attuale santuario, sempre come chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Decollato, con compatrona la Beata Vergine del monte Carmelo.
Il Santuario fu chiesa parrocchiale di Montevecchia fino alla fine degli anni 20 del secolo scorso, quando fu inaugurata la nuova chiesa del borgo, da allora cominciò a essere considerato Santuario mariano in onore della Madonna del Carmelo. All’interno si trova il settecentesco organo Biroldi, posto proprio sopra l’ingresso. Nel santuario sono conservati anche un Crocefisso processionale seicentesco in legno dorato e uno del cinquecento in legno.
L’interno è decorato con affreschi settecenteschi, che riproducono episodi della vita di Sant’Antonio e con una serie di otto tele raffiguranti la vita di San Giovanni Battista.
Il Santuario è inserito nel percorso di pellegrinaggio “Cammino di Sant’Agostino” da percorrere a piedi o in bicicletta che collega venticinque Santuari mariani della Brianza, toccando tra gli altri i luoghi più emblematici della vita del Santo.
Per raggiungerlo occorre salire una scalinata di 180 gradini, agevole e in ombra grazie agli alberi di tigli e ligustri, circondata dai terrazzamenti con coltivazioni di vite ed essenze varie.
A circa tre quarti la gradinata s’interseca un sentiero pianeggiante che circonda ad anello il terrapieno dell’edificio e porta in cima. Questo sentiero è detto “Via Crucis” perché delimitato, da vecchi cipressi e da sedici edicole in pietra arenaria, contenenti altrettante sculture settecentesche recentemente ristrutturate.
Un’altra opzione per salire in vetta è quella di usufruire della navetta gratuita.
Diversi sono i punti di ristoro presenti, tra bar e gelaterie, oltre ad offrire un’ampia gamma di agriturismi e ristoranti che offrono piatti e prodotti del territorio, come i formaggini di Montevecchia, i salumi, magari da accompagnare con i vini locali, come il Cruel, il Nustranel, lo Scernì e il Valcurone Brut.
Montevecchia è inserita nel Parco regionale della Valle del Curone, che si estende per una superficie di circa 2.400, tra i comuni di Cernusco Lombardone, La Valletta Brianza, Lomagna, Merate, Missaglia, Montevecchia, Olgiate Molgora, Osnago, Sirtori e Viganò.
Un parco che conserva aree boschive incontaminate con diverse specie arboree e una fauna che comprende animali come il tasso e lo scoiattolo, volpi, donnole, ghiri, lepri, poiane, fagiani, fino al martin pescatore, dall’upupa. Presenti anche il gambero di fiume, la salamandra, il rospo smeraldino e la rana latastei.
Nel Parco sono disegnati e percorribili undici sentieri che lo attraversano in tutte le sue direzioni.
Montevecchia Montevecchia è una graziosa località dell'alta Brianza, posta a 500 metri d'altezza, inserita nel Parco della…
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SAN BENEDETTO – Si prennuncia ricca di emozioni la serata inaugurale della prima edizione del San Benedetto film Fest, domani alle ore 21.15 presso il Parco Karol Wojtyla. Le prime proiezioni in concorso porteranno gli spettatori a confrontarsi con un cinema d’autore di respiro internazionale con Antonello Novellino, regista indipendente premiato da Francis Ford Coppola al Festival del Cinema di Venezia. Carla Civardi presenterà il primo dei cinque cortometraggi selezionati e il primo dei cinque lungometraggi in concorso, rispettivamente “La notte del professore” e a seguire alle ore 22.00 “Blue Lips”.
“La notte del professore” cortometraggio del regista Giovanni Battista Origo realizzato dalla Amaro Produzioni di Roma, un team di giovani del settore cinematografico con collaborazioni con Rai per “Tutto Dante” di Roberto Benigni e “Nemicamatissima” con Lorella Cuccarini ed Heather Parisi; con Canale 5 per “Music” condotto da Paolo Bonolis. Il cast è composto da: F. Bussotti, B. Buccellato, R. De Filippis, C. Corsi, S. Basile, F. Domenici, V. Viviani, R. Scarpa. Svegliati nel cuore della notte da un’inquietante telefonata che annuncia la presenza di un morto al piano di sotto, Sergio e Anna decidono di investigare negli appartamenti del condominio insieme agli altri vicini. Arrivati all’ultima porta scoprono che a volte le cose non sono come sembrano…
Blue Lips, film per la regia di Antonello Novellino in collaborazione con altri 5 registi provenienti da tutto il mondo – Daniela De Carlo, Julieta Lima, Gustavo Lipsztein , Nacho ruiperez, Nobuo Shima, presenta alcune scene girate in Italia, a Matera e luoghi di Los Angeles, Honolulu e Buenos Aires. Originario di Cava de’ Tirreni, Antonello Novellino vive in Spagna da una decina di anni, vincitore di oltre 70 premi internazionali, collabora con Paesi di tutto il mondo per la realizzazione di film, documentari, cortometraggi.
Con il corto “Intercambio” ha vinto più di 83 premi, consegnati da personalità come Rutger Hauer, Enrico Loverso, Asia Argento e il corto “Dulce” di Ivan Ruiz Flores, da lui prodotto, ha vinto ben 117 premi, uno dei quali ricevuto da Francis Ford Coppola a Venezia. Ha partecipato a diverse produzioni italiane, spagnole, inglesi e messicane come aiuto regista e produttore per poi diventare un regista indipendente e, successivamente, emanciparsi anche grazie alla produzione dei suoi film e di quelli di altri registi con la sua casa di produzione The Glow.
Il film Blue Lips proiettato nei cinema spagnoli, ha vinto 2 premi al Festival de Cine de Guadalajara a Los Angeles, ha vinto anche il premio a Mejor Promesa de Cine Vasco di Bilbao, è inserito nella sección “Primer Corte” del Festival Ventana Sur, organizzata dal festival di Cannes, e verrà presentato nel Festival di Valladolid, Seminci.E’ prodotto da Cronopia Film di Maitena Muruzabal e Candela Figueira. Sei personaggi in balia di eventi nelle loro vite che li portano a morire dentro. Incapaci di affrontare questa morte interiore, si ritrovano persi e senza meta.
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Giornate di Primavera del FAI al Castello di Morsasco
In occasione delle giornate di Primavera del FAI – Fondo Ambiente Italiano, il castello di Morsasco sarà visitabile sabato 25 e domenica 26 marzo dalle 10.00 alle 18.00. L’apertura del castello è organizzata dal Gruppo FAI delle Colline dell’Orba in collaborazione con gli studenti di 3a e 4a del Liceo Scientifico “B.Pascal” di Ovada che condurranno le visite alla scoperta del castello e dei beni culturali ed artistici di Morsasco come la Parrocchiale di San Bartolomeo, la pieve di San Vito e l’Oratorio di San Giovanni Battista. Inoltre, domenica, 26 marzo, dalle 16,00, i visitatori potranno incontrare nel giardino del castello Maria Luisa Reviglio della Veneria autrice con Sabina Villa de “L’arte del Giardino Pittoresco. Dizionario Illustrato” edito da Mediares. Il volume - che si presenta come un vero e proprio dizionario sul giardino - è impreziosito da un inserto a colori con una rassegna di giardini pittoreschi all’interno di varie tipologie architettoniche, dal chiostro al castello alla residenza sabauda, per evidenziare così la filosofia del giardino pittoresco con la sua forte carica paesaggistica. Il castello di Morsasco si trova poco distante dai caselli autostradali dell’A26 Alessandria Sud ed Ovada e a pochi chilometri da Acqui Terme. È un’imponente costruzione posta sulla sommità della collina che domina il panorama dell’acquese, le cui origini documentate risalgono al XIII secolo. Morsasco conserva ancora intatto il primo nucleo del tredicesimo secolo, l’antico ricetto, a cui si accede da quella che un tempo era la torre con il ponte levatoio di cui sono rimaste le tracce. Il castello di origine aleramica passò nei primi anni del 1200 ai Malaspina di Molare con il matrimonio di Agnese del Bosco a Federico Malaspina. I Malaspina furono feudatari fino all’inizio degli anni ’20 del Cinquecento, quando Violante Malaspina sposò il conte trentino Giovan Battista Lodron colonnello e diplomatico dell’Imperatore Carlo V. Giovan Battista fu particolarmente attivo durante le guerre tra i francesi di Francesco I, gli spagnoli dell’imperatore ed i Savoia che si svolsero in Monferrato nel Cinquecento: le sue truppe, i famigerati Lanzichenecchi, distrussero il castello di Vignale Monferrato, Fubine assediarono Tortona, Cassinelle, Casale Monferrato portando distruzione sul territorio. Tuttavia alla fine del ‘500 i Lodron in Monferrato si erano istinti e il feudo di Morsasco passò in camera ducale dove venne rivenduto dai Gonzaga, signori del Monferrato, a Barnaba Centurione Scotto. Dal 1599 questa importante famiglia di banchieri, patrizi genovesi fu proprietaria del castello. A inizio del settecento il castello fu ampliato con la realizzazione della manica della Pallacorda, un campo da tennis all’interno che rappresenta un unicum in regione Piemonte. A inizio del ‘900 il castello passò alla nobile famiglia dei marchesi Pallavicino di Genova che lo tennero fono alla fine degli anni ’80 per poi cederlo. Il castello è noto non solo per la sala del gioco della pallacorda (chiusa per restauri) ma anche per le prigioni che si sono perfettamente conservate nell’antica torre. I visitatori delle Giornate di Primavera avranno modo di scoprire il grande forno del ricetto di Morsasco, le cantine e i granai del castello, dove è presente una bella collezione di manodomestici. L’ingresso del castello è a offerta libera e i fondi raccolti saranno destinati al sostegno delle attività del FAI – Fondo per l’ambiente Italiano. In occasione della giornata i ristoranti e le attività commerciali del centro storico resteranno aperte per accogliere i visitatori. Il castello di Morsasco apre con “Castelli Aperti” tutti i sabati (unico turno ore 15,30) e tutte le domeniche (turni ore 11 e 15,30) dal 1° aprile al 30 ottobre 2017. http://dlvr.it/NjT36M
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