#Antonio di Castri
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agrpress-blog · 1 year ago
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Venerdì 20 ottobre 2023 alle ore 21.00 aprirà ufficialmente la Stagione di Prosa 2023/24 del Teatro Duse di Bologna - via Cartoleria, 42 - con La Locandiera di Carlo Goldoni, regia di Antonio Latella, e con Sonia Bergamasco nel ruolo di Mirandolina. In questo nuovissimo allestimento firmato dal Teatro Stabile dell’Umbria, A. Latella mette in luce la forza rivoluzionaria e politica di un testo che vede per la prima volta una protagonista femminile, emblema di emancipazione e simbolo di un cambiamento che segnerà tutta la drammaturgia a venire. «Penso a Café Müller di Pina Bausch. Penso ad una donna nata e cresciuta nella locanda, un luogo-mondo che accoglie infiniti mondi. Nel testo goldoniano il tema dell’eredità è il punto cardine di tutto. Mirandolina seduta sul letto di morte del padre riceve in eredità la locanda, ma anche l’ordine di sposarsi con Fabrizio, il primo servitore della Locanda. In questo credo che ci sia un’inconsapevole identificazione del padre con il servo, come erede virtuale in quanto maschio. Più che un uomo per la figlia, il padre sceglie un uomo per la locanda, un uomo pronto a tutto pur di proteggere la locanda. Credo che Goldoni con questo testo abbia fatto un gesto artistico potente ed estremo, un gesto di sconvolgente contemporaneità: innanzitutto siamo davanti al primo testo italiano con protagonista una donna, ma Goldoni va oltre, scardina ogni tipo di meccanismo, eleva una donna formalmente a servizio dei suoi clienti a donna capace di sconfiggere tutto l’universo maschile, soprattutto una donna che annienta con la sua abilità tutta l’aristocrazia. Di fatto, Mirandolina riesce in un solo colpo a sbarazzarsi di un cavaliere, di un conte e di un marchese. Non solo. Scegliendo alla fine il suo servitore come marito fa una scelta politica, mette a capo di tutto la servitù, nobilita i commercianti e gli artisti, facendo diventare la locanda il luogo da dove tutta la storia teatrale del nostro Paese si riscriverà la storia che in qualche modo ci riguarda tutti. Goldoni fa anche un lavoro sulla lingua, accentuando un italiano toscano. Per essere Mirandolina bisogna essere capaci di mettersi al servizio dell’opera, ma anche non fare del proprio essere femminile una figura scontata e terribilmente civettuola, cosa che spesso abbiamo visto sui nostri palcoscenici. Spesso noi registi abbiamo sminuito il lavoro artistico culturale che il grande Goldoni ha fatto con quest’opera, l’abbiamo ridimensionata cadendo nell’ovvio e riportando il femminile a ciò che gli uomini vogliono vedere: il gioco della seduzione. Goldoni, invece, ha fatto con questo suo testamento, una grande operazione civile e culturale. Siamo davanti ad un manifesto teatrale che dà iniziò al teatro contemporaneo, mentre per un’assurda cecità noi teatranti lo abbiamo banalizzato e reso innocente. La nostra mediocrità non è mai stata all’altezza dell’opera di Goldoni e, molto probabilmente, non lo sarò nemmeno io. Spero, però, di rendere omaggio a un maestro che proprio con Goldoni ha saputo riscrivere parte della storia teatrale italiana. Parlo di Massimo Castri» (Antonio Latella) La trama di La Locandiera è nota: Mirandolina gestisce la locanda ereditata dal padre, insieme al fedele cameriere Fabrizio al quale è legata da una promessa di matrimonio fatta al genitore prima che morisse. Nella locanda, due clienti entrambi innamorati della padrona: il Conte d’Albafiorita, che la corteggia spendendo grandi quantità di denaro, e lo squattrinato Marchese di Forlipopoli, che tenta di conquistarla facendo leva sul titolo nobiliare. Con intelligenza e superiorità, Mirandolina argina corteggiamenti e pretendenti accettando secondo convenienza qualche dono. Gli equilibri mutano quando alla locanda arriva il misogino Cavaliere di Ripafratta. Mirandolina avverte il disprezzo che il Cavaliere nutre per le donne come una sfida e decide di mettere in atto un piano per farlo capitolare. Fra equivoci e inganni, arricchiti e movimentati anche dall’arrivo
delle due commedianti Ortensia e Dejanira, Mirandolina riesce a far innamorare il Cavaliere, che perde la testa. La quiete si ristabilisce solo quando Mirandolina accetta di sposare Fabrizio ma, come in altre opere goldoniane, la fine degli intrighi porta con sé un’ombra di malinconia. La Locandiera di Carlo Goldoni - regia: Antonio Latella; assistente alla regia: Marco Corsucci; interpreti: Sonia Bergamasco, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Giovanni Franzoni, Francesco Manetti, Gabriele Pestilli, Marta Pizzigallo, Valentino Villa; drammaturgia: Linda Dalisi; scene; Annelisa Zaccheria; costumi: Graziella Pepe; musiche e suono: Franco Visioli; luci: Simone De Angelis; foto di scena: Gianluca Pantaleo; allestimento: Teatro Stabile dell’Umbria - rimarrà in scena al Teatro Duse fino a domenica 22 ottobre 2023 (orario: venerdì 20 e sabato 21, ore 21.00; domenica 22, ore 16.00).
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lamilanomagazine · 2 years ago
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Milano, “Agamennone” di Eschilo inaugura la nuova stagione dell’Osoppo Theatre Valentina Cortese
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Milano, “Agamennone” di Eschilo inaugura la nuova stagione dell’Osoppo Theatre Valentina Cortese.   Il primo appuntamento della nuova stagione all’Osoppo Theatre Valentina Cortese di Milano segnerà anche l’avvio di “Theatron” una rassegna di teatro classico realizzata in collaborazione con l’associazione Kerkís. Teatro antico in scena e con l’Università Cattolica che ne curerà la supervisione scientifica. Sarà la tragedia di Eschilo “AGAMENNONE” ad aprire ufficialmente, venerdì 17 marzo, la seconda parte di stagione all’Osoppo Theatre Valentina Cortese, la nuova realtà culturale diretta dall’attore e regista Antonio Zanoletti, con il supporto organizzativo ed artistico della Piccola Compagnia dell’Osoppo, capitanata dall’attrice e formatrice Gabriella Carrozza. La tragedia eschilea sarà anche il primo appuntamento della rassegna “Theatron”, un ciclo collaterale di tre spettacoli, con matinée rivolte a studentesse e studenti universitari e con repliche serali per un’utenza più ampia, realizzato in collaborazione con l’associazione Kerkís-Teatro antico in scena e con l’Università Cattolica di Milano che curerà la soprintendenza scientifica, nella volontà ispiratrice di restituire al pubblico contemporaneo dei drammi capaci di sorprendere, di comunicare idee ed emozioni, di meravigliare con una poesia ancora viva e dinamica. Lo spettacolo, in scena venerdì 17 marzo, alle ore 11.30 per gli universitari e alle ore 20.30 per il pubblico, in replica poi domenica 19 marzo alle ore 16.30, sarà diretto da Christian Poggioni - regista, attore e formatore dalla ventennale esperienza, già interprete di lavori firmati da Giorgio Strehler, Peter Stein, Massimo Castri - e vedrà sul palco una compagine di giovani talenti (Roberto Bernasconi, Matteo Fasolini, Tancredi Greco, Giacomo Lisoni, Chiara Maltagliati, Anna Pimpinelli, Guglielmo Potecchi, Margherita Rigamondi e Arianna Sangiuliano) chiamati a misurarsi con una tragedia classica che racconta di vendetta, delle colpe dei padri che ricadono sui discendenti, della guerra di Troia e di un fato ineluttabile. La trama dell’Agamennone, emozionalmente molto coinvolgente, permette anche importanti riflessioni sul tema della giustizia; ragione per cui questo lavoro teatrale è stato proprio in questi giorni presentato in anteprima presso il Carcere di Opera nell’ambito del progetto “Educazione alla Legalità” organizzato dal Tavolo interistituzionale USR Lombardia, PRAP, CGM, UIEPE e Università, a cui ha fatto seguito un interessante dibattito post spettacolo.   “Osoppo Theatre Valentina Cortese” è sito in via Osoppo, 2, Milano Per info e prenotazioni: tel. 351 7835359 / [email protected]... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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gardenofkore · 4 years ago
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- E lo princep respos al almirall: -Ques aço que vos volets que yo hi faça? que si fer yo puch , -volenters ho fare.- Yo , dix lalmirall , quem façats ades venir la filla del rey Manfre, germana de madona la regina Darago, que vos tenits en vostra preso aci el castell del Hou , ab aquelles dones e donzelles qui soes bi sien ; e quem façats lo castell e la vila Discle retre . - E lo princep respos , queu faria volenters. E tantost trames un seu cavaller en terra ab un leny armat, e amena madona la infanta , germana de madona la regina , ab quatre donzelles e dues dones viudes.  E lalmirall reebe les ab gran goig e ab gran alegre , e ajenollas, e besa la ma a madona la infanta.
Ramon Muntaner,  CRÓNICA CATALANA, p. 221
Beatrice was born (probably) in Palermo around 1260. She was the first child and only daughter of Manfredi I of Sicily and his second wife, the Epirote princess Helena Angelina Doukaina (“[…] et idem helenam despoti regis emathie filiam sibi matrimonialiter coppulavit, ex quibus nata fuit Beatrix.”, Bartholomaeus de Neocastro, Historia Sicula, in Giuseppe Del Re, Cronisti e Scrittori sincroni Napoletani editi ed inediti, p. 419). It’s quite plausible the baby had been named after Manfredi’s first wife, Beatrice of Savoy (mother of Costanza, who will later become Queen consort of Aragon and co-regnant of Sicily). The little princess would soon be followed by three brothers: Enrico, Federico and Enzo (also called Anselmo or Azzolino). With three sons, Manfredi must have thought his succession was secured.
Beatrice’s father was one Federico II of Sicily’s many illegitimate children, although born from his most beloved mistress (and possibly fourth and last wife), Bianca Lancia. Since his father’s death in 1250, Manfredi had governed the Kingdom of Sicily on behalf firstly of his (legitimate) half-brother Corrado and, after his death in 1254, of Corrado’s son, Corradino. In 1258, two years prior Beatrice’s birth, Manfredi had been crowned King of Sicily in Palermo’s Cathedral, de facto usurping his half-nephew’s rights.
Like it had happened with Federico, Manfredi was soon opposed by the Papacy, which didn’t approve of the Hohenstaufen’s rule over Sicily (and Southern Italy with it) and the role of the King as the champion of the Ghibellines faction. In 1263, Urban VI managed to convince Charles of Anjou, younger brother of Louis IX the Saint, to present himself as a contender to the Sicilian throne. Three years later, on January 6th 1266, the French duke was crowned King of Sicily by the Pope in Rome, thus overthrowing Manfredi. On February 26th, in Benevento, the usurped King then tried to get back his kingdom by facing Charles in the open field, but failed and lost his life while fighting.
The now widowed Queen Helena had previously fled to Lucera (in Apulia) with her children (Beatrice was now six), her sister-in-law Costanza, and her step-daughter, the illegitimate Flordelis, where she thought they would be safer. When they got news of the disaster of Benevento and Manfredi’s death, they fled to Trani from where they planned to set off to Epirus. The unfortunate party was instead betrayed and handed off to the Angevin. On March 6th night, Helena and the children were taken hostage and later separated. The Queen was sent at first to Lagopesole (in Basilicata) and finally to Nocera Christianorum (now Nocera Inferiore), where she would die still in captivity in 1271.
Enrico, Federico and Enzo were taken to Castel del Monte. Following Corradino’s death in 1268, Manfredi’s young sons (the oldest, Enrico, was just four at the time of his capture) were, to all effects, the rightful heirs to the Sicilian throne. It’s undoubtful Charles must have wanted them gone, or at least forgotten. In 1300 they were moved to Naples, in Castel dell’Ovo (which, at that time, was called San Salvatore a mare), under the order of the new Angevin king, Charles II. According to some sources, Federico and Enzo died there within the short span of a year. As for Enrico, he died alone and miserable in October 1318, he was 56.
As for Beatrice, her fate was more merciful compared to that of her mother and brothers and, for that, she had to thank her sex, which made her harmless in Charles’ eyes (as long as she was left unmarried). After being separated from her family (she will never see them again), the six years old princess was, like her brothers, held captive (although not together) in Castel del Monte. In 1271, she was moved to Naples, in Castel dell’Ovo, under the guardianship of its keeper, a French nobleman called either Landolfo or Radolfo Ytolant. Manfredi’s daughter is mentioned in a rescript of Charles dated March 5th 1272, from which we learn she had been granted at least a maid (“V Marcii xv indictionis. Neapoli. Scriptum est Iustitiario et erario Terre laboris etc. Cum ex computo facto per magistrum rationalem Nicolaum Buccellum etc. cum Landulfo milite castellano castri nostri Salvatoris ad mare de Neapoli pro expensis filie quondam Manfridi Principis Tarentini et damicelle sue. ac filie quondam comitis Iordani et damicelle sue dicto castellano in unc. auri novem et taren. sex de pecunia presentis generalis subventionis residuorum quolibet vel qua canque alia etc. persolvatis. non obstante etc. Recepturus etc.”, Monumenti n. XLIV. in Domenico Forges Davanzati, Dissertazione sulla seconda moglie del re Manfredi e su’ loro figliuoli, p. XLIII-XLIV). Like it had happened with her mother, and unlike her brothers, it appears Beatrice was treated with courtesy and respect. In her misfortune, she could count on the company of a fellow prisoner and distant relative, the daughter of Giordano Lancia d’Agliano, who was her grandmother Bianca Lancia’s cousin and had been a loyal supporter of her father, Manfredi.
On Easter Day of 1282, an anti-Angevin rebellion sparkled in Palermo would soon transform itself into a war to get rid of the so much hated Frenchmen, the so-called War of the Sicilian Vespers. It’s dubious that, close in her prison, Beatrice came to know about it. She might have also been surprised to know that her half-sister, Costanza, had been asked by a delegation of fellow Sicilians to take possession of what was hers by right (the throne) as she was their “naturalis domina”. Her rights were shared with her husband, Pedro III of Aragon, who would personally take part in the war and be rewarded with a joint coronation in November 1282.
For Beatrice, everything changed in 1284. On June 4th, Italian Admiral Ruggero di Lauria, at the service of the Aragonese King (he was also Costanza’s milk brother), defeated the Angevin fleet just offshore from Naples and took Carlo II prisoner. Being in clear superiority, the Sicilians could now demand (among many requests) the release of Princess Beatrice. Carlo’s eldest son and heir, Carlo Martello Prince of Salerno, could nothing other than obliging them. (“Siciliani autem , & omnes faventes Petro Aragonum, incontinenti de ipsorum victoria plurimum exultantes, Nuncios, & Legatos ad quoddam Castrum ex parte Principis direxerunt , ubi quaedam filia quondam Domini Regis Manfredi sub custodia tenebatur , ut dicta filia fine ullo remedio laxaretur , quae statim fuit antedictis Legatis , & Nunciis restituta.”, Anonimo Regiense, Memoriale Potestatum Regiensium. Gestorumque iis Temporibus. Ab anno 1154 usque ad Annum 1290, in Ludovico Antonio Muratori, Rerum Italicarum scriptores ab anno aerae christianae quingentesimo ad millesimumquingentesimum, vol. VIII, p. 1158). 
Beatrice, finally free, left Castel dell’Ovo headed for Capri, where the Admiral was waiting for her. She had spent 18 long years in captivity and was now 24. From Capri she reached Sicily, where she was warmly welcomed and with a lot of enthusiasm, to meet her half-sister Costanza. 
As the Queen’s closest free relative (both Pedro and Costanza had no interest in asking for Enrico’s release since, as a male, he had more rights than Costanza to inherit the throne), Beatrice had a great political value. At first, Ranieri Della Gherardesca’s name came up. He was the son of that Count Gherardo who had fought together with the unfortunate Corradino (the sisters’ royal cousin), and for that had been beheaded in Naples in 1268 alongside his liege. Finally the perfect candidate was found. Manfredo of Saluzzo was born in 1262 and was the son of Marquis Tommaso I and his wife Luigia of Ceva. Like Beatrice, Manfredo was strongly related to Costanza, specifically, he was her nephew since Tommaso and the Sicilian Queen were half-siblings (they were both Beatrice of Savoy’s children).
The marriage contract between the two is dated July 3rd 1286 and the contracting parties are on one side “la serenissima signora constanza regina dy aragon e dy sicilia e dil ducato de puglia principato di capua” and, on the other side “il marchexe thomas di sa lucio signore de conio una cum mạdona alexia soa moglie”. Tommaso declares that Manfredi will inherit his title, privileges and possession upon his death. If, after the marriage is celebrated, Manfredi were to die first, Beatrice would enjoy possession of the castle and some properties. The Marquise Luisa declares to agree with her husband’s decision (“[…] e a tuto questo la marchexa aloysia madre dy manfredo consenty”, Gioffredo Della Chiesa, Cronaca di Saluzzo, p. 165-166). The union was formally celebrated the year after.
Beatrice bore Manfredi two children: Caterina and Federico, born presumably in 1287 (“Et da questa beatrix haue uno figlolo chiamato fredericho et una figlola chiamata Kterina” Gioffredo Della Chiesa, Cronaca di Saluzzo, p. 185). In 1296 Tommaso died, so Manfredi inherited the marquisate and Beatrice became Marquise consort of Saluzzo. She will die eleven years later at 47, on November 19th 1307 (“Venne a morte nel dì 19 novembre di quest’anno Beatrice di Sicilia moglie del nostro marchese Manfredo, e noi ne accertiamo il segnato giorno col mezzo del rituale del monastero di Revello , nel quale leggesi annotato: 19 novembris anniversarium d. Beatricis filiae quondam d. Manfredi regis Ceciliae et uxoris d. Manfredi primogeniti d. Thomae marchionis Saluciarum, quae huic monasterio quingen- tas untias in suo testamento legavit.” Delfino Muletti, Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo, vol III, p. 76). Her husband would quickly remarry with Isabella Doria, daughter of Genoese patricians Bernabò Doria and Eleonora Fieschi. Isabella would give birth to five more children: Manfredi, Bonifacio, Teodoro, Violante and Eleonora. 
As of Beatrice’s children, Caterina would marry Guglielmo Enganna, Lord of Barge (“Catherina figlola dy manfredo e de la prima moglie fu sorella dy padre e dy madre dy fede rico e fu moglie duno missere gulielmo ingana capo dy parte gebellina in questy cartiery dil pie monty verso bargie.”, Gioffredo Della Chiesa, Cronaca di Saluzzo, p. 256). Federico’s fate would be more complicated. Like many mothers before and after her, Isabella Doria wished to see her own firstborn, Manfredi, succeeded his father rather than her step-son. The new Marchioness of Saluzzo successfully instigated her husband against his son to the point the Marquis. in a donatio mortis causa dated 1325, disinherited Federico in favour of the second son (Federico would have settled with just his late mother’s belongings), Manfredi (“Et questo faceua a instigatione de la moglie che lo infestaua a cossi fare.” Gioffredo Della Chiesa, Cronaca di Saluzzo, p. 224). Federico’s natural rights were later acknowledged by an arbitral award proclaimed in 1329 by his paternal uncles Giovanni and Giorgio of Saluzzo, and finally, an arbitration verdict dated 1334 and issued by Guglielmo Earl of Biandrate and Aimone of Savoy. As a condition of peace, the future Marquis should have granted his younger brother the castle and villa of Cardè as a fief. Stung by this defeat, Manfredi IV, his wife Isabella and beloved son Manfredi retired to Cortemilla. Federico died in 1336 and was succeeded by his son Tommaso, who would inherit his father’s rights and feud with the two Manfredi's. After being defeated by his half-uncle in 1341 (the older Manfredi, his grandfather, had died the year before), resulting in losing his titles, possessions and freedom, Tommaso would later regain what was of his right and rule as Marquis of Saluzzo.
Sources
-ANONIMO REGIENSE, Memoriale Potestatum Regiensium. Gestorumque iis Temporibus. Ab anno 1154 usque ad Annum 1290, in Ludovico Antonio Muratori, Rerum Italicarum scriptores ab anno aerae christianae quingentesimo ad millesimumquingentesimum, vol. VIII
-BARTHOLOMAEUS DE NEOCASTRO, Historia Sicula, in Giuseppe Del Re, Cronisti e Scrittori sincroni Napoletani editi ed inediti
- DEL GIUDICE GIUSEPPE, La famiglia di Re Manfredi
- DELLA CHIESA, GIOFFREDO, Cronaca di Saluzzo
-FORGES DAVANZATI, DOMENICO, Dissertazione sulla seconda moglie del re Manfredi e su’ loro figliuoli
- LANCIA, MANFREDI, Il complicato matrimonio di Beatrice di Sicilia
-Monferrato. Saluzzo
-MULETTI, DELFINO, Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo, vol II-III
- MUNTANER, RAMON, Crónica catalana
- SABA MALASPINA, Rerum Sicularum
- SAVIO, CARLO FEDELE, Cardè. Cenni storici (1207-1922)
-Sicily/Naples: Counts & Kings
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persinsala · 5 years ago
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The Global City
Alla Sala Mercato di Genova, struttura decentrata del Teatro Nazionale del capoluogo ligure, sfavillante debutto italiano di Instabili Vaganti in scena con una performance corale e trasversalmente inclusiva di più generi artistici
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andromedainruins · 2 years ago
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Translation Exam: Latin
omnibus copiis conuocatis, Brutus orationem habuit. “multi commilitiones rogant cur in Graeciam iter faciamus. heredes tyranni, exercitu maximo collecto, nos oppugnare parant. iam ad Asiam contenderunt. necesse est igitur eis resistere. sed cum uictoriam reportauerimus, his hostibus uictis, libertatem omnibus Romanis restituemus.” proelio commisso, Brutus in dextro cornu Octauianum uicit; Cassius autem superatus est ab Antonio et desperans ipse suā manu se interfecit. plurimi in campo occisi sunt, inter quos legatus decimae legionis mortuus erat fortissime pugnans. multis post diebus Antonius cornu sinistrum Bruti superauit; deinde Horatius, scuto abiecto, e campo fugit, uirtutis suae immemor. non ausus est in castris manere; itaque cogitabat quid iam facturus esset.
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Calling all the troops together, Brutus gave a speech. “Many fellow soldiers have asked why we march into Greece. The heirs of the tyrant, having collected a very large army, are preparing to attack us. Now they hurry towards Asia. Therefore, it is necessary to return. But when we return with victory, having defeated these enemies, liberty will be returned to all Romans.” Having joined the battle, Brutus defeated Octavian in the left wing; but Cassius is defeated by Antony and giving up hope he killed himself by means of his own hands.  Many had been felled in the field, among whom the officer of the tenth legion had died while fighting bravely. After many days Antony vanquished Brutus’ left wing; after which Horace, having thrown away his shield, ran away from the field, having forgotten his own courage. He did not dare to remain in the camp; and so, he considered what he should do now.
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circolotennisparabiago · 3 years ago
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Orari di Sabato 11 Settembre
Si comincia e ATTENZIONE dal momento che qualcuno deve fare doppio turno Sabato:
ORE 09.00: GURGONE MAURIZIO vs DI CASTRI ANDREA
ORE 09.00: MARZORATI MASSIMILIANO vs MELE ALESSANDRO
ORE 10.30: ANTONELLI MARC vs MOROSI THOMAS
ORE 12.00: DE VITO DEMETRIO vs POMA ANTONIO
ORE 14.00: DE GRANDIS IGOR vs SALA ALBERTO
ORE 15.00: FORMENTI FRANCESCO vs PROCOPIO ALESSIO
ORE 15.30: MELLACE THOMAS vs vinc: GURGONE/DI CASTRI
ORE 16.30: PETTENON STEFANO vs vinc: MARZORATI/MELE
ORE 17.00: LUSARDI CARLO vs vinc: ANTONELLI/MOROSI
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fondazioneterradotranto · 4 years ago
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Gli Imperiale e le loro residenze in Terra d'Otranto (terza parte)
Veduta di Oria (Carlo Francesco Centonze, 1643, disegno su carta, Napoli, Archivio di Stato)
  di Mirko Belfiore
  Le numerose residenze risultano interessanti anche per lo studio delle fasi progettuali intercorse per la loro realizzazione che videro all’opera diverse maestranze. In primis il leccese Mauro Manieri, consulente di fiducia degli Imperiale, presente in buona parte delle fabbriche commissionate dalla dinastia.
A questi vanno aggiunti alcune interessanti figure come il romano Filippo Barigioni, stretto collaboratore del Cardinale Giuseppe Renato e il napoletano Ferdinando Sanfelice, affermato architetto sulla scena partenopea.
L’incrociarsi di questi tre nomi, nelle occasioni offerte dal programma di opere pubbliche e di gestione del patrimonio culturale varato dagli Imperiale durante i due secoli di governo è il dato più significativo di questa fase tarda del Barocco pugliese.
Anche se la cronica carenza di documenti non ha consentito sinora di distribuire con decisione la responsabilità per la progettazione e l’edificazione di una buona parte di questi palazzi, resta fondamentale l’opportunità verificatasi da questo incontro, inserito in un ambiente dove si rintraccia un orientamento culturale che fa da ponte fra Barocco e Neoclassico ma, allo stesso tempo, radicato ancora nel Manierismo e suggestionato da spunti Rococò.
Il nome del Manieri è presente in tutte le fabbriche più importanti come la residenza urbana di Francavilla e la Collegiata, il castello di Manduria o il palazzo di Latiano, a dimostrazione del fatto che in questo artista i feudatari trovavano piena fiducia per l’espressione del proprio gusto e dei propri desideri. Il possibile incontro con il Sanfelice viene ipotizzato dal De Dominici, il quale afferma che, durante il soggiorno giovanile a Napoli del Manieri o la presenza del napoletano a Nardò per le progettazioni di alcuni edifici sacri durante i primi decenni del Settecento presso il fratello vescovo Antonio (o, come afferma il Cantone, la presenza simultanea dei due nella fabbrica della Cattedrale di Salerno), possano essere stato il momento in cui essi abbiano potuto scambiare idee e suggerimenti.
Naturalmente, in queste occasioni, il Sanfelice aveva la parte del maestro vista l’età più tarda mentre al Manieri toccava la parte dell’interlocutore, in un ruolo tutt’altro che provinciale.
In questo sodalizio architettonico resta ancora da quantificare l’inserimento di una figura affermata come quella del Barigioni, il quale come architetto aveva grande credito presso il Cardinale Giuseppe Renato e che con molta probabilità fu il progettista del disegno a pianta centrale della Chiesa Matrice di Francavilla, disegno realizzato in occasione della ricostruzione dell’edificio dopo il terremoto del 1743.
Negli articoli successivi verranno presentate le varie residenze della famiglia Imperiale disseminate in terra d’Otranto e analizzate attraverso piccoli excursus storico-artistici e architettonici.
(continua)
Antica carta geografica della Terra d’Otranto (Antonio Zatta , 1774, disegno su carta, 405 x 308 mm, Venezia)
  BIBLIOGRAFIA
V. Basile, Gli Imperiali in terra d’Otranto. Architettura e trasformazione urbane a Manduria, Francavilla Fontana e Oria tra XVI e XVIII secolo, Congedo editore, Galatina 2008.
V. Pacelli, Giovanfrancesco de Rosa detto Pacecco de Rosa, Paparo Edizioni, Napoli 2008.
F. Clavica e R. Jurlaro, Francavilla Fontana, Mondadori Electa, Milano 2007.
B. Croce, Un paradiso abitato da diavoli, Napoli 1891, edizione a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano 2006.
A. Cassiano, Note sul collezionismo, nel catalogo “Il Barocco a Lecce e nel Salento”, a cura di A. Cassiano, collana “il Barocco in Italia”, De Luca editori d’Arte, Roma 1995.
P. Leone de Castris, Lecce picciol Napoli, la Puglia, il Salento e la pittura napoletana dei secoli d’oro, nel catalogo “Il Barocco a Lecce e nel Salento”, a cura di A. Cassiano, collana “il Barocco in Italia”, De Luca editori d’Arte, Roma 1995.
L. Galante, La pittura, nel catalogo “Il Barocco a Lecce e nel Salento”, a cura di A. Cassiano, De Luca editori d’Arte, collana “il Barocco in Italia”, Roma 1995.
M. Vinci, Spigolature sul Castello di Mesagne nel secolo XVIII-XX, in “Lu Lampiune”, anno VII, Mesagne 1991 n°1.
R. Poso, F. Clavica, Francavilla Fontana. Architettura e Immagini, Congedo editore, Galatina 1990.
A.P. Coco, Francavilla Fontana nella luce della storia, Taranto 1941, ristampa fotomeccanica Galatina 1988
C. D’Amone, Storia illustrata di Francavilla Fontana, sesto fascicolo, Francavilla Fontana 1988.
M.A. Visceglia, Territorio Feudo e Potere Locale, Terra d’Otranto tra Medioevo ed Età Moderna, Coll. L’altra Europa, Guida Editore, Napoli 1988.
M. Paone, Inventari dei Palazzi del Principato di Francavilla (1735), Ed. Tipografica, Bari 1987.
M. Martucci, Carte topografiche di Francavilla Fontana, Oria e Casalnuovo del 1643 e documenti cartografici del principato Imperiali del secolo XVII, S.E.F., Francavilla Fontana 1986.
V. Cazzato, Architettura ed effimero nel Barocco leccese, in Barocco romano e Barocco italiano: il teatro, l’effimero, l’allegoria, a cura di M. Fagiolo e M.L. Madonna, Gangemi Editore, Roma-Reggio Calabria, 1985.
M. Pasculli Ferrara, Arte napoletana in Puglia dal XVI al XVIII secolo, Schena editore, Fasano 1983.
G. Galasso, Puglia tra provincializzazione e modernità (sec. XVI-XVIII), in “La Puglia tra barocco e rococò”, Electa, Milano 1982.
M. Manieri Elia, Architettura barocca, in “La puglia tra barocco e rococò”, Electa, Milano 1982.
A. Gambardella, Architettura e Committenza nello Stato pontificio tra Barocco e Rococò: un amministratore illuminato: Giuseppe Renato Imperiali, Napoli 1979.
M.A. Visceglia, Lavoro a domicilio e manifattura nel XVIII e XIX secolo: produzione, lavorazione e distribuzione del cotone in Terra d’Otranto, in Studi sulla società meridionale, Napoli 1978.
A. Foscarini, Armerista e notiziario delle Famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra D’Otranto (oggi province di Lecce, Brindisi e Taranto) estinte e viventi, edizioni A. Forni, Bologna 1971.
L. Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, editori Vincenzo Manfredi e Giovanni de Bonis, Napoli 1797-1805, ristampa anastatica Bologna 1969-1971, libro IV.
P. Palumbo, Storia di Francavilla Fontana, Lecce 1869, ristampa anastatica, ed. Arnaldo Forni, Bari 1901.
  Per la prima parte:
Gli Imperiale e le loro residenze in Terra d’Otranto (prima parte)
Per la seconda parte:
Gli Imperiale e le loro residenze in Terra d’Otranto (seconda parte)
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tmnotizie · 5 years ago
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SAN BENEDETTO – Sono in vendita nelle biglietterie del circuito AMAT/VivaTicket, su www.vivaticket.it e al Call center dello spettacolo delle Marche 071/2133600 i biglietti per la seconda edizione di “Nel cuore, nell’anima”, rassegna estiva proposta da Comune e AMAT con il contributo di MiBAC e Regione Marche, in collaborazione con l’Istituto Musicale Vivaldi e con il contributo di BiM Tronto che in Piazza Piacentini.
 I tre Ritratti d’autore in musica e parole si aprono martedì 2 luglio con Gino Paoli & Tri(O)Kàla – Rita Marcotulli pianoforte, Ares Tavolazzicontrabbasso, Alfredo Golino batteria – nel recital “Paoli canta Paoli”.
 Le canzoni del cantautore genovese hanno attraversato numerose generazioni e ancora oggi consegnano le loro preziose parole al tempo e ai ricordi, raggiungendo adulti, bambini e giovani in una catena perpetua. Pioniere negli anni ’60, ancora oggi Paoli conserva quello spirito di sperimentazione che lo ha sempre accompagnato e in questo suo progetto live è affiancato da un trio jazz la cui classe supera il semplice ruolo di accompagnamento.
A seguire, giovedì 11 luglio, con “Pensieri e parole. Omaggio a Lucio Battisti”, salgono sul palco di Piazza Piacentini Peppe Servillo con il contrabbasso di Furio Di Castri, la tromba raffinata di Fabrizio Bosso, i sax di Javier Girotto, il pianoforte di Rita Marcotulli e la batteria di Mattia Barbieri.
Progetto di Servillo e Di Castri che si aggiunge agli omaggi a Modugno (“Uomini in frac”) e a Celentano (“Memorie di Adriano”), con gli arrangiamenti Girotto, “Pensieri e parole” reinterpreta l’autore più intimo, lirico e personale della canzone italiana, “popolare e sofisticato, – dice il sestetto – costruttore e inventore di una canzone che è patrimonio di tutti, incrociando sensibilità e pensieri musicali diversi. Cantare nuovamente le sue canzoni è la possibilità per noi di rileggere una nostra storia minore e quotidiana”. 
Appuntamento finale domenica 21 luglio con Claudia Gerini & Solis String Quartet per il terzo e ultimo tributo. Con “Qualche estate fa”, da un’idea di Stefano Valanzuolo con regia di Massimiliano Vado, Gerini e Solis (Vincenzo Di Donna e Luigi De Maio ai violini primo e secondo, Gerardo Morrone alla viola e Antonio Di Francia al violoncello) rendono omaggio alla “vita, poesia e musica di Franco Califano”.
La storia artistica del cantante romano si è sempre intrecciata con quella umana, al punto che il personaggio ha spesso messo in ombra l’autore di tanti successi. “Qualche estate fa” prova a riavvicinare le due dimensioni facendo di alcune canzoni molto amate il punto di partenza per raccontare la vita dell’autore: avventurosa, non sempre fortunata, vissuta con una sfrontatezza seducente o detestabile.
Sarà possibile acquistare i biglietti di posto unico euro 15 (Pensieri e parole, Qualche estate fa), euro 25 (Paoli canta Paoli) anche alla biglietteria del Teatro Concordia (largo Mazzini, 1 tel. 0735/588246) nei tre giorni precedenti gli spettacoli (orario 18/20) e alla biglietteria in Piazza Piacentini la sera di spettacolo dalle 19.
Informazioni: AMAT tel. 071/2072439, www.amatmarche.net, Comune di San Benedetto del Tronto tel. 0735/794596 – 794438 www.comunesbt.it.
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SANTA ESTASI Les Atrides de ANTONIO LATELLA
SANTA ESTASI, disons le tout de suite, est tout simplement exceptionnel. Le travail d’une année d’Antonio Latella auprès de jeunes auteurs et des acteurs a porté ses fruits. Le choix des textes d’Eschyle, Euripide et Sophocle disent bien le questionnement du metteur en scène concernant le tragique, la famille et sur la forme de peur que cela engendre. FESTIVAL AVIGNON 2017 – PREMIERE EN FRANCE
SANTA ESTASI : un tragique originel
L’histoire des Atrides est celle d’une lignée maudite dont l’origine du mal est un père – Tantale, fils mortel de Zeus – qui décide de faire manger son fils par les dieux. S’il est personnellement condamné au supplice, sa descendance est aussi irrémédiablement punie. Pendant quatre générations et ce jusqu’au jugement d’Oreste, se succèdent meurtres, parricides, infanticides, viols et incestes… Et chaque nom de cette généalogie pétrie de violence – Iphigénie, Hélène, Agamemnon, Électre… – est devenu sous le génie des Sophocle, Eschyle et Euripide un héros tragique, mythique, classique.
SANTA ESTASI : le projet
Antonio Latella prévient d’emblée : « le projet ne parle pas de moi mais des jeunes auteurs » qui ont réalisé la sélection des textes. Il souhaitait aussi les « mettre face au seul maître que je connais : le travail ». Le metteur en scène a proposé huit de ces histoires à sept jeunes dramaturges de moins de trente ans afin de les revisiter et de les donner à interpréter à une nouvelle génération de comédiens. Au sein de ce qui est devenu Santa Estasi, un spectacle de seize heures réparties sur deux représentations, le metteur en scène italien reconnaît avoir voulu poser deux principes. Une équation intellectuelle : celle de parler de la famille au sein d’une société qui n’offre aucune régulation possible. Doublée d’une réalité qu’il vit avec cette jeune équipe : travailler à la figure paternelle et être dans le concret de la tradition, de l’héritage et de la transmission. Mais Antonio Latella prévient qu’il ne faut absolument pas chercher dans les textes ou les interprétations des lectures psychanalytique : « la psychanalyse n’est pas une référence. Le XX° siècle est terminé, nous sommes au XXI° siècle qui n’est plus psychanalytique. Aujourd’hui, si on regarde un film porno, on ne trahit pas papa et maman ! » Le projet a pour intention de faire comprendre ce qu’est le travail théâtral, créatif : « il faut se retrouver ensemble, auteurs et acteurs, pour faire venir les choses ». Cette partie est importante car elle permet d’intégrer chez les jeunes acteurs le sens de celui-ci : « son talent est au service du projet. C’était l’inverse au XX° siècle où la psychanalyse primait sur tout ». Pour Antonio Latella, il y a deux aspects au théâtre. Le personnage, problème littéraire, qui survit à tout et toujours. Puis il y a nous. On oublie. Mais le texte reste. Cette dualité est un des fondements de son approche.
SANTA ESTASI : la famille, le fils et la transmission
La lecture de ces pièces mythologiques est politique car elles interrogent en profondeur la signification de la famille, cette « communion d’êtres humains » au sein de notre société. Avoir un fils ne signifie pas aimer ce fils. Avoir un fils c’est prendre la responsabilité de l’accompagner a minima au début de sa vie. Quels pères sont Pélops, Thyeste ou encore Agamemnon ? Quels accompagnements proposent-ils à leurs enfants ? Meurtres, viols, abandons, mensonges… Comment les héritiers peuvent-ils se construire sur ces indescriptibles violences ? Comment rompre ces cycles que certains aiment à nommer la fatalité ou le destin ? Ces immenses questions donnent matière en tant qu’homme pour le metteur en scène : « Je me sens une responsabilité : penser à l’avenir, penser à la jeunesse surtout dans un pays comme l’Italie. Il y a de grands metteurs en scène qui ont fait de grandes œuvres mais qui n’ont jamais travaillé qu’à leur seul et propre présent. À mon sens, ils n’ont pas été des pères mais des dictateurs ». Quel est alors le lien, le fil ? Une proposition qui, pour le nouveau directeur du théâtre de la Biennale de Venise, dit « clairement que nous devons nous libérer de la responsabilité de nos aînés pour trouver la nôtre et exister. »
On l’aura compris, le projet est abouti autant dans son contenu que dans la mise-en-scène. Les seize heures du spectacle en deux jours sont sublimées par une équipe de seize jeunes acteurs. Ils portent leurs personnages (chacun jouant plusieurs rôles au fil des huit séquences) sans ajouter leur pathos (bannie la psychanalyse !) ni sur-jouer. Les huits séquences des deux  jours bénéficient chacune d’une mise en scène particulière. Elles portent toutes le sceau d’Antonio Latella, c’est-à-dire une perfection dans la recherche d’une esthétique développée alliant économie de moyens et mise en visibilité du texte. Une réussite et une maîtrise complète d’Antonio Latella. Exceptionnel.
Distribution Adaptation Riccardo Baudino, Martina Folena, Matteo Luoni, Camilla Mattiuzzo, Francesca Merli, Silvia Rigon, Pablo Solari Mise en scène Antonio Latella Dramaturgie Federico Bellini, Linda Dalisi Scénographie et costumes Graziella Pepe Musique Franco Visioli Lumière Tommaso Checcucci Chorégraphie Francesco Manetti Assistanat à la mise en scène Brunella Giolivo Avec Alessandro Bay Rossi, Barbara Chichiarelli, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Mariasilvia Greco, Christian La Rosa, Leonardo Lidi, Alexis Aliosha Massine, Barbara Mattavelli, Gianpaolo Pasqualino, Federica Rosellini, Andrea Sorrentino, Emanuele Turetta, Isacco Venturini, Ilaria Matilde Vigna, Giuliana Vigogna
Production Production Emilia Romagna Teatro Fondazione (Modène) Avec le soutien de la Fondation Cassa di Risparmio de Modène
Antonio Latella
INTERVIEW D’ANTONIO LATELLA
Antonio Latella est né dans la région de Naples en 1967. Issu d’une famille d’ouvriers exilés à Turin, il quitte le lycée à 17 ans et intègre la formation du Teatro Stabile avant de rejoindre la Bottega Teatrale, école fondée par Vittorio Gassman à Florence. Dès l’âge de 22 ans, il joue pour des metteurs en scène qui comptent dans l’Italie des années 80 comme Pippo Di Marca, Luca Ronconi, Massimo Castri ou encore Tito Piscitelli. À trente ans, il monte son premier spectacle, Agatha de Marguerite Duras. Il ne se consacrera plus alors qu’à ses propres recherches toutes marquées par une exploration minutieuse de l’univers des auteurs sur lesquels il se penche : Jean Genet, Christopher Marlowe, Samuel Beckett… En 2001, il remporte le prix spécial Ubu pour Shakespeare et au-delà, série de relectures de Othello (1999), Macbeth (2000), Roméo et Juliette (2000) et Hamlet (2001). Ses spectacles physiques, presque charnels, s’intéressent tout particulièrement à la famille et revisitent la grande tradition verbale du théâtre italien. Figure incontournable du renouveau théâtral de son pays, il a été récemment nommé à la tête de la Biennale de Théâtre de Venise.
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dusudaunord · 8 years ago
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International Artists headline Montréal Chamber Music Festival
Some of the world’s finest classical musicians will pay tribute to Beethoven at the 22nd edition of the Montréal Chamber Music Festival. The theme for this year’s 43-concert festival is “Beethoven: Passion romantique.”
“Like no other composer, Beethoven ushered in a new musical language inspired by the French Revolution’s Liberté, Égalité, Fraternité,” says festival founder and artistic director Denis Brott. “The festival celebrates his genius with gratitude and gusto in 2017.”
Une publication partagée par Festival Musique de chambreMTL (@festivalmusiquedechambremtl) le 3 Févr. 2017 à 13h14 PST
American String Quartet of the Moment
A favourite of music critics after sweeping the 2013 Banff International String Quartet Competition, The Dover Quartet will perform the complete Beethoven String Quartet cycle over six concerts at Pollack Hall on May 26 and 28; June 2, 4, 9 and 11.
The Dover Quartet will also join current Banff International String Quartet Competition winners, the Rolston String Quartet, for a June 8 concert at Pollack Hall. Music will include Mendelssohn’s famous String Octet, Op. 20 and the Quebec premiere of Quartet No. 1 by Zosha di Castri, which was written for last summer’s Banff competition.
Une publication partagée par Festival Musique de chambreMTL (@festivalmusiquedechambremtl) le 6 Juin 2016 à 14h13 PDT
Saturday Night Fever
The MCMF’s popular TD Jazz Series presents three Saturday evening concerts at Salle Bourgie, a gorgeous and intimate concert hall at the Montréal Museum of Fine Arts.
Canadian saxophone icon Rémi Bolduc and his band will pay tribute to legendary British jazz pianist George Shearing on June 3; Juno Award-winning virtuosic pianist and Oscar Peterson protégé Robi Botos makes his festival debut on June 10; and famed Cape Breton fiddler Natalie MacMaster and her quartet perform on June 17.
Une publication partagée par Radion sinfoniaorkesteri (RSO) (@yle_rso) le 24 Mai 2017 à 1h07 PDT
Canadian piano phenom Jan Lisiecki 
Dubbed “a pianist who makes every note count” by no less than The New York Times, spectacular young pianist Jan Lisiecki has become a global sensation. Lisiecki will be joined by cellist (and festival founder) Denis Brott in a recital of works by Bach, Beethoven and Chopin on June 14. Lisiecki will then perform a solo piano programme, including works by Beethoven and Chopin, on June 16.
Tribute to Leonard Cohen
One of Montréal’s favourite sons, Leonard Cohen – who passed away in November 2016 – will be honoured at a special June 17 late-night concert at Salle Bourgie. Performers include Cantor Gideon Zelermyer and the choir of Congregation Shaar Hashomayim, conducted by Roï Azoulay, who gained global attention for their performances on Cohen’s final album You Want It Darker, which was released three weeks before his death.
Quebec premieres and MCMF free concerts
The award-winning Israel and US-based Israeli Chamber Project features top musicians from around the world, and will make their long-awaited festival appearance with two concert premieres, on June 13 and 15.
The MCMF has also programmed many free concerts, notably its one-hour Matinées Musicales concerts at McGill University’s state-of-the-art Tanna Schulich Hall on June 10 and 17 at 10:30 a.m., as well as the fun Concerts dans les rues series of daily noon-hour concerts featuring up-and-coming musicians, from June 12 to 16.
Making Vivaldi Proud
To close their 2017 festival, the MCMF has booked the young winners of the Music Instrument Bank of The Canada Council for the Arts Competition to perform the Carnival of the Animals by Camille Saint-Saëns and Vivaldi’s masterpiece Four Seasons – complete with narration and projections – on June 18 at Pollack Hall. The young musicians will perform on violins and cellos by such legendary makers as Antonio Stradivarius and Guarnerius del Gesù, valued at over $40 million.
For more info on the Montreal Chamber Music Festival, visit http://ift.tt/1BhfcfP.  
Up next:Montréal celebrates the 50th anniversary of Expo 67
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fondazioneterradotranto · 5 years ago
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Urbanistica in Terra d'Otranto. Il caso di Francavilla e le sue porte urbiche
di Mirko Belfiore
Durante la sua secolare storia, l’abitato di Francavilla poté contare sulla realizzazione di ben tre cinte murarie. La prima, con molta probabilità, fu costruita durante la seconda metà del XIV secolo dopo che, nel 1364, la città ottenne, dal principe di Taranto Filippo II d’Angiò (1329-1374), una concessione per la costruzione di nuove mura, ma di questo tracciato, purtroppo, non rimangono testimonianze.
Alcuni tempi dopo, quando a governare la città giunse il nuovo principe Giovanni Antonio del Balzo Orsini (1401-1463), ritenendo Francavilla non adeguatamente provvista di una perimetrazione difensiva, ordinò la costruzione di una nuova cerchia. Quest’ultima è riconducibile alla descrizione che ne fa l’abate Giovan Battista Pacichelli (1641-1695) il quale, facendo tappa a Francavilla, durante il suo soggiorno nel Regno di Napoli. fra il 1683 e il 1694, ci racconta di come l’impianto urbano fosse organizzato entro mura, torri e sei porte urbiche: “Al numero concorso delle genti, che dalle convicine, e remote parti vennero a farli novelli Cittadini di Francavilla, si formo la Terra circondata da Mura, e Torri, alle qualu furono distribuite sei Porte, tre picciole e tre maggiori, le maggiori furono la prima chiamata Porta grande, hoggi detta Porta della Piazza; la seconda la Porta di Sant’Antonio Abbate, hoggi del Castello; terza, che fu l’ultima a farsi, La Porta Nuova; le tre picciole, la prima fu detta Porta D’Elia, hoggi di San Sebastiano, la seconda Porta di San Carlo, hoggi la Rucirella, e la terza la Porta di S. Nicolò, hoggi detta dal volgo il Cravotto”.
1. Giovan Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, 1703.
  2. Veduta di Francavilla, da Giovan Battista Pacichelli, 1703
  Con i secoli a venire la città non smise di crescere e anzi, sotto l’impulso dei nuovi feudatari giunti da Genova e del ruolo raggiunto dalla stessa Francavilla in Terra d’Otranto, si giunse al superamento della cinta muraria cinquecentesca. La conseguente spinta edilizia incentivò la realizzazione di nuovi quartieri abitativi, congiuntura che spinse il principe Michele III Imperiale a farsi promotore fra il XVII e XVIII secolo, della realizzazione di una nuova cerchia muraria: la terza.
3. Ritratto di Michele III Imperiali Seniore (Anonimo, XVIII secolo, olio su tela, Francavilla Fontana, Castello-residenza).
  Quest’ultima, oltre a difendere il numero sempre più crescente di una popolazione che ormai raggiungeva il migliaio di fuochi, raggruppò le nuove borgate nate a Sud, Est ed Ovest dell’antico agglomerato quattro-cinquecentesco.
Percorrendo l’asse Sud che, dall’antica piazza del Foggiaro, oggi piazza Umberto I, prosegue attraverso il Burgo Grande, si erge in tutta la sua monumentalità la mole architettonica della Porta del Carmine, eretta intorno alla metà del XVII secolo e situata all’imboccatura di Via Roma (già Via del Carmine), una delle arterie cittadine fra le più scenografiche della città, sulla quale si andranno a inserire i più importanti ed eleganti palazzi della nobiltà francavillese.
4. Porta del Carmine, XVII secolo, prospetto principale.
  Ad una prima occhiata, si può notare subito la particolarità del suo prospetto, conforme ai canoni dei trattati cinquecenteschi del Serlio e del Palladio e innalzata quasi a voler imitare gli antichi archi di trionfo d’epoca romana. La struttura, deteriorata nella superficie tufacea dall’erosione degli agenti atmosferici, si presenta articolata in tre fornici, tutte contraddistinte da arcate a tutto sesto e fiancheggiate da semicolonne, quest’ultime poggianti su alti plinti e coronate da pregevoli capitelli compositi. Quattro dadi sporgenti e un cornicione aggettante caratterizzano la trabeazione, mentre due ricche cornici rettangolari, poste in asse coi portali laterali, realizzate forse con lo scopo di accogliere scritte mai eseguite, arricchiscono il prospetto principale.
5. Porta del Carmine. Prospetto interno
  La facciata interna, invece, presenta le medesime modanature ma, in alternativa alle semicolonne, si articola di alcune lesene finemente decorate da festoni floreali.
6. Ritratto di Michele IV Imperiale Juniore – (Anonimo, XVIII secolo, olio su tela, trafugato).
  Lungo la direttrice Sud-Est che, sempre dalla piazza del Foggiaro, procede lungo l’attuale via Regina Elena e insieme a viale Capitano Di Castri crea quell’arteria viaria che mette in comunicazione il centro della città con il Complesso conventuale di Maria S.S. della Croce, fuori le mura, si posiziona la struttura classicheggiante della Porta della Croce (o di Cagnone).
  7. Porta della Croce, 1714, Davide De Quarto e Goisuè Pozzerrese, prospetto principale.
  Costruita secondo le fonti intorno al 1714, dai maestri Davide De Quarto e Giosuè Pozzerrese, essa si caratterizza di un prospetto lapideo a bugnato, composto da una serie di pietre squadrate poste a raggiera che, ricoprendo tutta la facciata, evidenzia gli archivolti dell’arcata a tutto sesto e incornicia in chiave di volta lo stemma feudale dei committenti: gli Imperiale. Le modanature continuano in senso orizzontale lungo tutto il resto del prospetto, venendo interrotte solo dalle due semicolonne, unico elemento verticale. Quest’ultime, incoronate da due corpi lievemente aggettanti e poggianti su semplici basamenti quadrati, concorrono come elementi decorativi a creare un gioco chiaroscurale sulla superficie continua dei pilastri. Il medesimo effetto chiaroscurale si accentua nella doppia modanatura posta a metà della costruzione, da cui parte l’impostazione dell’arco, ripresa nella parte rastremata dalle colonne e conclusa da un capitello dorico.
8. Porta della Croce. Prospetto interno
  La facciata interna, più sobria, presenta alcune profilature che percorrono in senso verticale i fianchi dell’arcata e in senso orizzontale la trabeazione.
Infine, lungo la direttrice Nord-Ovest posta in posizione diametralmente opposta alla Chiesa dello Spirito Santo, in origine Complesso conventuale dei Frati minori cappuccini, trova posto Porta Cappuccini, già Porta Nuova.
9. Porta Nuova, XVIII secolo, Frà Liborio da Manduria, prospetto principale.
  Essa, secondo le fonti coeve, fu costruita durante la seconda metà del XVIII secolo e fu con molta probabilità realizzata dallo stesso artefice della chiesa antistante, fra’ Liborio da Manduria. Porta Nuova, rispetto a quella della Croce, si presenta con linee curve e superfici rotondeggianti, frutto di un’interpretazione del barocco più sobria e misurata. La sua struttura imponente è costituita da un’arcata, sempre a tutto sesto, due semicolonne ai lati, poggianti su un alto basamento e coronate da capitelli compositi, e due ali leggermente rientranti arricchite da un fine arriccio al vertice. La trabeazione è sormontata da un frontone, dai profili curvi e rettilinei, mentre la parte sommitale è caratterizzata da un coronamento dalle spigolature aggettanti e un timpano a mezzaluna.
10. Porta Nuova. Prospetto interno
  Sulla parete interna, l’arco ribassato è mascherato da un arco a pieno centro poggiante su due pesanti lesene. Come per la Porta della Croce, anche questo accesso al borgo seicentesco si presenta oggi isolato e poco valorizzano dalle costruzioni limitrofe, ma contribuisce a rimarcare la teatralità che le porte urbiche francavillesi prospettavano ai viandanti che si apprestavano a varcare le soglie.
A queste architetture civili, vanno aggiunte le ormai scomparse Porta Paludi, Porta Pazzano (o di San Vito), Porta San Lorenzo e Porta San Carlo (o Porta Roccella).
Porta Paludi, situata nel quartiere omonimo e posizionata all’angolo fra via Simeana e la direttrice extramurale di via San Francesco d’Assisi, fu demolita nel 1925 perché: “Oltre a rappresentare uno sconcio evidente, (è)… causa grave di pericolo per la pubblica incolumità, date che, nei tempi di pioggia, quel tratto di strada resta del tutto allagato […] e le acque che là si raccolgono, vanno a formare dei pantani immensi”.
Porta Pazzano invece, posizionata a Nord-Est dell’abitato seicentesco, sulla strada che collega Francavilla a San Vito dei Normanni, venne demolita nel 1952. Tramite un’istantanea dell’epoca, possiamo ricostruirne solo il prospetto Sud, semplice nelle linee e nella mole, se paragonato alle precedenti. Quest’ultimo, composto da un arco a tutto sesto leggermente ribassato e una trabeazione rettangolare coronata da un piccolo cornicione aggettante, presenta alcune modanature distribuite lungo tutta la facies, le quali, nell’insieme, contribuiscono ad aggiungere un po’ di dinamismo al prospetto, altrimenti essenziale.
Di Porta di Brindisi (o di San Lorenzo), situata a cavallo fra le attuali via San Lorenzo e via Francesco Baracca, costruita dai già citati Davide De Quarto e Giosuè Pozzerrese nel 1714 e Porta Roccella, indicata nella veduta del 1643 come Porta San Carlo, quest’ultima posizionata alle spalle del convento dei Padri Redentoristi sull’attuale via Barbaro Forleo, non abbiamo più tracce; forse danneggiate dal terremoto del 1743, ma ancora presenti in una pianta ottocentesca della città, subirono probabilmente la stessa sorte di Porta Pazzano e Porta Paludi e quindi smantellate.
12. Pianta dell’abitato di Francavilla, con il circuito murario degli Imperiale e le porte di città, pianta del XIX secolo.
  Presso queste porte urbiche, poste sulle arterie viarie che dagli agglomerati limitrofi confluivano verso il centro di Francavilla, stazionavano i gabellieri. Quest’ultimi, preposti al controllo delle merci sia in entrata che in uscita, oltre che applicare i dazi preposti, sorvegliavano il flusso e il deflusso degli abitanti, impedendone l’ingresso agli indesiderati. L’importanza di queste strutture era tale che persino la larghezza dei traini era regolamentata seguendo l’ampiezza dei varchi.
Spettatrici di avvenimenti quotidiani quanto di fatti cruenti e sanguinosi, le porte urbiche furono testimoni anche di momenti di giubilo: il 29 marzo del 1740, fra due ali festanti, varcò la soglia di Porta del Carmine, il corteo proveniente da Roma con la principessa Eleonora Borghese, nuova consorte del principe Michele IV Juniore: “con lo tiro a sei, da 40 carrozze a un solo tiro, con una bellissima cavalcata di duecento para di cavalli avanti, con una Infanteria di Libardieri, […]appresso poi da 200 contadini armati sotto lo capitano Scilazza, Alfredo Carlo Di Noi, ricevendola dalla Porta sino alla piazza, sotto una bella e sontuosa Archiata fatta da Core di Donna”.
  BIBLIOGRAFIA
V. Basile, Gli Imperiali in terra d’Otranto. Architettura e trasformazione urbane a Manduria, Francavilla Fontana e Oria tra XVI e XVIII secolo, Congedo editore, Galatina 2008.
F. Clavica e R. Jurlaro, Francavilla Fontana, Mondadori Electa, Milano 2007.
G.D. Oltrona Visconti, Imperialis Familia, con la collab. di G Di Groppello, Piacenza 1999.
G.B. Pacichelli, Del Regno di Napoli in prospettiva diviso in dodici province, Parrino e Muzio, Napoli 1703, ristampa anastatica a cura di R. Jurlaro, Forni, Bologna 1999.
D. Camarda, Il terremoto del 20 febbraio 1743 a Francavilla e nell’area del basso Ionio, Francavilla Fontana 1997.
V. Ribezzi Petrosillo, F. Clavica, Guida di Francavilla Fontana. La città degli Imperiali, Galatina, Congedo editore, Lecce 1995.
G. Galasso, Alla periferia dell’impero. Il Regno di Napoli nel periodo spagnolo (XVI-XVII secolo), UTET, Torino 1994.
R. Poso, F. Clavica, Francavilla Fontana. Architettura e Immagini, Congedo editore, Galatina 1990.
A.P. Coco, Francavilla Fontana nella luce della storia, Taranto 1941, ristampa fotomeccanica Galatina 1988.
M.C. Forleo, Da quelle antiche voci: Francavilla Fontana. I suoi uomini, la sua cultura, Schena editore, Fasano 1988
G. Martucci, Carte topografiche di Francavilla Fontana, Oria e Casalnuovo del 1643 e documenti cartografici del principato Imperiali del secolo XVII, S.E.F., Francavilla Fontana 1986.
F. Argentina, La città natia, Schena editore, Fasano 1970.
P. Palumbo, Storia di Francavilla Fontana, Lecce 1869, ristampa anastatica, ed. Arnaldo Forni, 1901.
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fondazioneterradotranto · 8 years ago
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Supersano. Chiara Ferrazzi, una storia di gusto, di sapori e di qualità che continua
SUPERSANO bio
           Interno dello stabilimento Ferrazzi
di Maria Antonietta Bondanese
“Supersano bio”, un logo vivace. I colori del cielo, della terra, dei frutti, del sole, evocati da un marchio in cui sono sottesi passato e presente.
Dolce e salato, creme, passate e patè, confezionati secondo i princìpi dell’odierna agricoltura biologica, fanno bella mostra di sé nei vasetti della recente produzione estiva. Una soddisfazione per Chiara Ferrazzi, nel cui sguardo aperto e vibrante brilla la luce di un’intelligenza operosa. Innovare nella tradizione. Una sfida da portare avanti, partendo, ancora una volta, da Supersano.
Come quando gli antenati, Attilio e Luigi Ferrazzi (nonno ‘Gino’), approdarono in questo lembo di Meridione, provenendo da La Spezia, dove si erano stabiliti dalla natìa Busto Arsizio. I ‘milanesi’, così li appellarono in paese in un misto, penso, di incredulità e ammirazione (‘milanese’ era anche, nel parlar comune della gente, un complemento di luogo riferito ai due, si’ che, ad esempio, ‘andare al…, fermarsi a…, lavorare da…’, ecc., era come dire:’ andare allo stabilimento Ferrazzi, fermarsi allo stabilimento Ferrazzi, lavorare dai Ferrazzi’, ecc.). Incredulità, almeno iniziale, che uomini venuti dal Nord davvero potessero amare questa terra: remoti non erano i tempi del furore, della rabbia del Sud di fronte a un Risorgimento ‘mancato’ e della brutale repressione da parte dello stato ‘piemontese’ neo-unitario.
Sequela dei traini carichi di uva
  Ammirazione, per quella straordinaria vitalità imprenditrice che rompeva gli schemi del proprietario terriero guardingo e sospettoso del nuovo. In verità, nel territorio in cui i fratelli Ferrazzi impiantarono l’A.G.F., la loro azienda vinicola, si andava scrivendo proprio allora una diversa storia produttiva e l’industria cominciava ad affermarsi in un contesto da sempre rurale.
Tra fine ‘800 e inizi ‘900, infatti, in Terra d’Otranto venivano costruiti centinaia di stabilimenti con i criteri dell’enologia più aggiornata, offrendo un quadro che modifica la visione di un Mezzogiorno tutto arretrato, fuori dai flussi della modernità e restituisce l’immagine di un’economia articolata, lontana da banali semplificazioni. Da un capo all’altro di Terra d’Otranto era un fiorire di innovazioni tecniche accanto ad abilità lavorative antiche, per rendere sempre più competitivi gli impianti enologici. Basti pensare, tra Brindisi e Gallipoli, all’azienda vitivinicola ‘Leone de Castris’ a Salice Salentino o a quella di ‘Adolfo Colosso’ ad Ugento.
Interno dello stabilimento : spazio ‘pesa’
  In questo fervore di inizi s’inserisce il decollo dell’Azienda A.G.F. a Supersano, dove Gino Ferrazzi, imprenditore oculato e competente, oltreché perito agrario, esercitò anche la carica di sindaco, negli anni difficili del primo conflitto mondiale, dal 6 agosto 1914 al 13 marzo 1916 e, in seguito, per i primi sei mesi del 1919, in un’ Italia scossa dalla ‘vittoria mutilata’. Un impegno politico, il suo, intriso di ideali liberali e patriottici, da cui l’adesione alla Loggia ‘Liberi e coscienti’ di Lecce, che si batteva per un nuovo ordine di cose. Accanto a Gino, la moglie Anna Montale che, dal 1911 al 1921, risiedette a Supersano, mentre la famiglia cresceva con l’arrivo dei figli Maria, Flavio ed Italo. Intensa continuava la spola tra Supersano e La Spezia, città di transito e commercializzazione del prodotto salentino, dove i Ferrazzi si associarono a Naef e Longhi, per fondare nel 1924 una banca, che ha prosperato fino al 1967.
Scomparsi Attilio nel 1936 e Gino nel settembre 1940, l’A.G.F. prosegue l’attività nel secondo dopoguerra con la seconda generazione, Franco, Italo e Flavio. Quest’ultimo, giovane ufficiale e agronomo, sposa Giovanna Ercolini nel 1949, dopo essere tornato indenne dalla campagna d’Africa e dalla dura prigionia inglese in India. (Al pensiero di tante traversìe subite da papà Flavio, lo sguardo di Chiara si fa assorto, mentre la sua voce si spezza nel ricordo…).
Dopo le ferite della guerra, la requisizione della casa di La Spezia da parte tedesca e la sua distruzione da parte americana, bisogna tornare a vivere.
I supersanesi, ‘don Pippi Carrozzini’, l’amministratore, e i fattori Michele Nutricato, ‘Ucciu’ Elia, Egidio Visconti, hanno seguito l’azienda durante la crisi bellica, mentre ‘mèsciu Virgiliu’ Stradiotti (figlio di Michele e fratello delle fornaie Vata e Maria) ha curato la tenuta delle macchine; Antonio De Pascali (‘Ntoni guardia) fungeva da guardiano e Mario Vinciguerra da autista dell’azienda; ora tutto è pronto per la nuova stagione della ricostruzione, che l’Italia intera intraprende dalle macerie dei bombardamenti.
Una lunga, maestosa teoria di cavalli e carretti, con grandi tini di uve fragranti, si snoda dalla contrada di Bosco Belvedere, per il corso Vittorio Emanuele, fino al palmento di casa Ferrazzi. Nel pieno della campagna, una lunghissima fila di traini carichi di botti, sosta rispettando il turno di scarico. E’ la vendemmia 1953, impressa negli ‘storici’ fotogrammi della pellicola super 8, che narra l’evento festoso, la felice fatica di uomini, donne, ragazzi e anziani di Supersano, sorridenti all’occhio inconsueto della sorprendente cinepresa. In primo piano tanti lavoranti in bianche maniche di camicia, coppole e cappelli, biciclette, ‘tine di caricamento’, traìni, camion e una gloriosa ‘giardinetta’. Immagini color del tempo, volti ed espressioni di un’epoca aspra, di sacrifici, ma non avara di coraggio e ardita nelle speranze.
Casa Ferrazzi e palmenti verso la fine degli anni venti
  Audacia che ritrovo in Chiara Ferrazzi. Una vita spesa nella scuola, imprenditrice ora per amore della terra salentina, passione di cui ha ‘contagiato’ anche Giano, l’affabile ed arguto consorte con i meravigliosi figli, Mattia, Camilla e Francesca. Il binomio ‘La Spezia-Supersano’, visibile ancora nella targa imbrunita all’ingresso dell’A.G.F., rifiorisce dal 2009 nell’azienda ‘Supersano bio’, con la fruttuosa presenza dell’agronomo-artista Antonio Giaccari, autore della rinascenza dell’azienda agricola e creatore del marchio ‘Supersanobio’.
“Ho voluto trovare qualcosa –dice Chiara- che mi legasse di più al paese”. Quasi soggiorno obbligato nelle calde estati degli anni ’70, per lei è divenuto oggi un luogo del cuore, della memoria (nel Camposanto ai piedi della Coelimanna, ha voluto trovare ultimo riposo l’amato fratello Fabrizio), ma anche di un rinnovato slancio verso il futuro.
Ripresa la spola tra La Spezia e Supersano, Chiara impronta il suo management ai criteri dell’agricoltura biologica: “benessere, equità, precauzione, ecologia”: quattro pilastri che garantiscono ‘il rispetto per la salute dell’uomo e dell’ambiente, unito alla volontà di riscoprire e recuperare le tradizioni tecniche agro-alimentari salentine’. Scritto in ariose broschure, lo si può leggere anche nel sito www.supersanobio, dove un apposito link rinvia ad altre aziende di Supersano attive nell’agriturismo e nell’alberghiero.
Fare sistema, entrare in una logica integrata dei vari settori, alimentare una rete di rapporti sul territorio, è necessario di fronte al mercato globale di oggi. Chiara ne ha una visione precisa, come netta è stata la sua scelta per una produzione ecosostenibile, cui non è estranea, credo, anche la sua sensibilità per l’arte e per il bello, di cui si fa entusiasta promotrice.
Un mondo di bianco, di silenzio, di pietra si offriva infatti nell’estate 2013 al visitatore della mostra ‘Sophia’, allestita da Antonio Giaccari, all’interno del patio di casa Ferrazzi. Ideale prosieguo delle precedenti mostre di Giaccari a Poggiardo e Soleto, intitolate ‘Philìa’.
Lavoranti alla vendemmia
  E’ “un percorso infinito di conoscenza che troviamo nelle sue bianche sculture, dall’aspetto umile…”, ha scritto Chiara, indicando la non esauribilità per l’artista, ma anche per ognuno di noi, della ricerca di consapevolezza, di ‘sophìa’. Una tensione al meglio che Chiara esprime nella cura quotidiana per un prodotto di qualità. Proposto in fiere locali e nazionali (‘Agroalimentare’ 2011 a La Spezia; ‘Cibus’ 2012 a Parma), il marchio ‘Supersano bio’ è tra i migliori ambasciatori dell’eccellenza gastronomica e dell’ospitalità della piccola ma accogliente Supersano.
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