#Maria Antonietta Bondanese
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Libri| Rocco De Vitis, medico umanista di Supersano
di Paolo Vincenti
A pochi mesi di distanza dal libro “Quando Ippocrate corteggia la Musa. A Rocco De Vitis medico umanista”, a cura di Francesco De Paola e Maria Antonietta Bondanese, (“Quaderni de L’Idomeneo”, Società di Storia Patria-Sezione di Lecce, Grifo Editore, 2017), esce nello stesso anno 2017 “Rocco De Vitis, medico umanista di Supersano”, a cura di Maria Antonietta Bondanese e Mario Spedicato, per la collana “Cultura e Storia” della Società Storia Patria per la Puglia, sezione Lecce (Giorgiani Editore).
Il libro si pone in continuità con il precedente, ma se quello aveva focalizzato l’attenzione sull’attività di traduttore del dottore De Vitis e quindi più specificamente sulla sua opera, con interventi mirati da parte di valenti professionisti del settore, quest’ultimo privilegia l’uomo De Vitis, ossia a dire la dimensione privata, attraverso contributi da parte di amici, famigliari, colleghi, e insomma tutti coloro che hanno conosciuto il medico nella sua vita quotidiana. Ma si tratta di dimensioni diverse della stessa storia, come scrive nella Presentazione del libro lo stesso Mario Spedicato, e la storia di De Vitis si intreccia con la storia del suo paese, Supersano, che si intreccia a sua volta con la storia del Paese, e scriverne dunque permette di riannodare i fili, ricomporre la trama di quella temperie socio culturale nella quale si colloca la biografia umana e intellettuale di De Vitis. Un libro, questo, che è diretta emanazione di quell’altro, germinazione dovuta alla troppo abbondante mole di scritti che erano pervenuti nella sua redazione. Un libro che nasce dall’esigenza, fortemente sentita dalla famiglia De Vitis, di non mandare perduti tutti quei meteriali che, sia pure alcuni di essi eterogenei e senza i criteri di scientificità che caratterizzano le pubblicazioni universitarie, risultano vieppiù meritevoli di attenzione. Questi contributi, vari per stile, ispirazione e tematica, ma tutti accomunati da un medesimo sentimento nei confronti del dottore De Vitis, sono stati riuniti a compaginare un volume, tributo di affetto e gratitudine per un personaggio come Rocco De Vitis, 1911-1997, medico e traduttore dei classici, che ha davvero lasciato un segno del proprio passaggio.
“Cultore della poesia virgiliana e fine interprete dell’Eneide, egli ha elaborato con ammirevole accuratezza due traduzioni dell’intero poema, pubblicate rispettivamente nel 1982 e nel 1987, con un prezioso ed utile corredo di tavole e letture esplicative”, come scrive la prof.ssa Maria Elvira Consoli nel suo intervento nel libro.
“Il poema è, per certo, funzionale agli scopi politici e propagandistici di Ottaviano Augusto, invece più sinceramente autentica, in quanto  scevra da secondi fini, risulta l’interpretazione che ne ha fornito Rocco De Vitis con la propria traduzione e l’accorto inserimento di letture, come quella del Panareo, chiarificatrici della Stimmung ideologica della prima metà del’900.” Per questo, nella comunità supersanese, il medico umanista vive ancora, alto modello di riferimento, personaggio esemplare e preclaro potremmo dire, nel ricordo di amici e parenti. Non a caso nel libro sono stati inseriti gli interventi dei relatori alla presentazione del volume “Quando Ippocrate corteggia la Musa. A Rocco De Vitis medico umanista”.
In effetti, l’intento di questo secondo libro, proprio come spiega Gigi Montonato nella sua relazione, è “il tramandare ai posteri, come disse Tacito nell’incipit dell’Agricola, imprese e qualità morali degli uomini illustri. Con questi libri, la Società di Storia Patria per la Puglia intende consegnare alla posterità chi con ogni forma di produzione, letteraria artistica scientifica, si è speso, fuori o dentro la professione abituale, per lasciare un buon ricordo di sé attraverso le sue opere. L’oraziano “Non omnis moriar” è il desiderio, confessato o meno, di sopravvivere grazie ad esse. E’, in un certo senso, l’anelito, del tutto laico, di ogni uomo di lettere, di arti, di scienza e di ricerca; quella che il filosofo polacco Andrzej Nowicki, un profondo studioso di Giulio Cesare Vanini e della filosofia italiana del Rinascimento, chiamava “filosofia dell’uomo e delle opere umane”, risalendo al dantesco “come l’uom s’etterna” (Inf., XV, 85).
Raccogliere quell’anelito e dargli corpo con un libro, che sia guida alle sue opere ma nel contempo anche ricordo del suo essere stato, è compito di chi appartiene alla stessa categoria umana, una risposta di solidarietà, a volte anche di pietas e di giustizia, siccome non sempre in vita si dà il giusto riconoscimento ad uomini pur meritevoli.”
Il libro si apre nella prima sezione, “Il dottore De Vitis e l’antica Supralzanum”, con l’intervento di Gino De Vitis, che traccia il profilo biografico di Rocco De Vitis. Gino De Vitis, benemerito operatore culturale, direttore per quarant’anni del foglio supersanese “il Nostro Giornale” (che ha da poco passato le consegne proprio a Maria Bondanese nella direzione), ha certamente titolo per biografare il medico, non solo per esserne stato amico e parente, ma anche per avere ospitato tanti e tanti suoi interventi sul Giornale. Il secondo pezzo è “Un medico umanista”, di Florio Santini, contributo già apparso in “Il Leccio”, nel 1994. Poi, un dotto intervento di Don Oronzo Cosi, Parroco di Supersano, “La cultura come palestra dell’anima”, e quindi il lungo e documentatissimo intervento di Remigio Morelli sull’esperienza del dottore De Vitis sul fronte nella Seconda Guerra Mondiale.
Ancora, un intervento di Michele De Vitis su politica e società; seguono il contributo di Antonio Errico, già apparso su “Il Quotidiano” nel 1987 e la rivista “Caffebuda” nel 1988, e quello di Giorgio Barba, già apparso su “Il Leccio” nel 1995. Il libro è corredato da un apparato fotografico davvero importante, foto della vita del dottor De Vitis e disegni tratti dalle sue opere si alternano alle pagine del libro, creando un maggiore motivo di interesse per il lettore. Luigi Bardoscia si occupa della “eredità intellettuale, morale e culturale di Rocco De Vitis”, mentre Gianpaolo G.Mastropasqua offre un contributo fra letteratura e medicina, tratto dal suo libro “Partita per silenzio e orchestra” (Ed.Lietocolle 2015).
È uno dei più interessanti il saggio di carattere sociologico di Gianfranco Esposito, “L’attualità del pensiero di Rocco De Vitis”. Inizia a questo punto una serie di articoli che riguardano il territorio di Supersano e le sue ricchezze paesaggistiche e culturali. “Supralzanum, Supersano” di Maria Bondanese, che è tratto da un testo già edito dalla stessa, “Supersano. Arte e Tradizione, Scoperta e Conoscenza”, Taurisano, Centro Stampa, 2014, sulla antichissima storia di Supersano; Francesco Tarantino parla dell’albero della manna presente nella campagna di Supersano, delle Vore e del lago di Sombrino, anche attraverso le narrazioni di Rocco De Vitis, e del Bosco di Belvedere, attraverso la pubblicazione di Maria Bondanese, con bellissime foto storiche e contemporanee.
Molto denso il saggio di Stefano Tanisi e Stefano Cortese sul complesso della Cripta e della Madonna della Coelimanna a Supersano, come bibliograficamente dettagliato è quello di Paolo Vincenti sul Mubo, vale a dire il Museo del Bosco. Antonio Elia parla della Chiesetta di San Giuseppe e delle sue opere litiche da lui realizzate per conto del dottor De Vitis. “Memore della cappelletta sul fronte sul monte Golico, che al fronte vedeva ogni sera avvolta dai bagliori dei mortai e delle bombe a mano, agli inizi degli anni Ottanta, edifica la chiesetta di San Giuseppe sulla Serra di Supersano, impreziosita dai dipinti murali di Ezio Sanapo e dalle sculture di Antonio Elia, e che dona poi, assieme al terreno adiacente, alla Parrocchia di Supersano”, scrive Maria Bondanese.
A questo punto, si apre la seconda sezione del libro, intitolata con dei versi tratti dall’Antico Testamento, “Morì lasciando molti rimpianti di sé”. Qui trovano spazio un intervento di Don Gerardo Antonazzo, già Parroco di Supersano e Vescovo di Sora-Cassino-Aquino Pontecorvo, un altro lungo scritto della Bondanese “L’umanesimo cristiano del dottor Rocco De Vitis”, un breve ricordo di Nello Borrelli ed anche di Francesco Tarantini che sottolineano la poliedricità del medico umanista; ancora sul “personaggio” Don Rocco si intrattengono amici come Vittorio Antonazzo, Raffaele Garzia ed anche la figlia Maria Rosaria con “Arriverderci papà”, un pezzo pubblicato su “Il Nostro Giornale” nel 1997. Maria Rosaria apre in effetti la serie dei “familiaria”, che ricordano l’uomo Don Rocco. Wanda, l’altra figlia, con “Dolce nostalgia”, la nuora Nuzza Marini (moglie del figlio Roberto) che dialoga con la prof.ssa Cristina Martinelli, la nipote Paola Bray con “Seneca al telefono”, un’altra nipote Adriana Malorgio con “Zio Rocco…sul filo dei ricordi”, Rosaria Petracca con “don Roccu”, Roberto Bondanese (fratello di Maria) con “So’ rumaste sotte a bbotte mbressiunate” e poi un articolo firmato da tutti i nipoti, Francesco e Chiara Lecci, Giuseppe, Valeria, Antonio e Vincenzo De Vitis, “Carpent tua poma nepotes”.
Scrive Alessandro Laporta, dopo aver passato in rassegna esempi illustri di medici del passato che unirono alla professione l’attività storica ed erudita, come Cosimo De Giorgi, “De Vitis anche lui è un fenomeno, da questo punto di vista, cioè riuscire a conciliare l’esercizio serio della professione di medico con l’hobby, con la passione, con l’amore per la letteratura. Entrambi sono, in un certo senso, allievi, discendenti di un’altra grande figura che è stata chiamata in causa questa sera: cioè Antonio De Ferraris Galateo, che rimane sicuramente un punto di riferimento […] De Vitis è un poeta sommo non solo per il suo libro che contiene poesie, ma per la sua traduzione dell’Eneide, delle Georgiche e Bucoliche, cioè un medico che pensa di prendere un testo poetico della difficoltà di Virgilio e farne una versione poetica, se non è poeta lui ditemi chi è poeta nella nostra letteratura. Io vedo in queste figure non solo una continuità ma una grande passione per l’esercizio letterario, una grande passione per la grande poesia…”.
Nella sezione terza, “Rocco De Vitis e il mondo della scuola”, interventi di insegnanti e alunni dell’istituto Comprensivo scolastico di Supersano e nella quarta sezione, come già detto, gli interventi sul volume “Quando Ippocrate corteggia la Musa”, tenuti in occasione della presentazione presso l’ex Monastero degli Olivetani il 4 maggio 2017, nell’ordine: Luigi Montonato, Eugenio Imbriani, Alessandro Laporta, Maria Elvira Consoli, Maria Bondanese.
Il libro si conclude con l’Indice analitico e l’Indice dei volumi pubblicati nella collana “Cultura e Storia”.
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fondazioneterradotranto · 6 years ago
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Libri| Quando Ippocrate corteggia la Musa. A Rocco De Vitis medico umanista
di Paolo Vincenti
Un titolo molto suggestivo, che coniuga in prodigiosa sintesi, i due interessi della vita di Rocco De Vitis: la medicina e la poesia, ovverosia la cura del corpo e la cura della mente. “QUANDO IPPOCRATE CORTEGGIA LA MUSA. A ROCCO DE VITIS MEDICO UMANISTA”, a cura di Francesco De Paola e Maria Antonietta Bondanese, segna il n.31 della collana “Quaderni de L’Idomeneo”, della Società di Storia Patria-Sezione di Lecce, ed è edito da Grifo (2017). Il volume è stato realizzato con il contributo della Banca Popolare Pugliese, ed infatti, dopo la Presentazione di Mario Spedicato, troviamo un bell’intervento di Vito Primiceri, “Semper honor, nomenque tuum, laudesque manebunt” ( versi tratti dall”Eneide”), carico di umanità nei confronti del medico, celebrato nell’opera, nell’affettuoso ricordo del Presidente della BPP. Quando Ippocrate, nume tutelare della medicina, incontra Calliope, la musa della poesia, ecco che riemergono dal passato e si impongono alla nostra attenzione certe figure, vagamente romantiche, come De Vitis, che coniugano la pratica medica con l’amore per i classici, retaggio della loro formazione umanistica. E infatti, scrive il prof. Spedicato: “tutte le numerose testimonianze qui raccolte concordano nell’attestare come questi suoi interessi vitali siano da considerarsi come le due facce della stessa medaglia”. Rocco De Vitis, “Don Rocco”, come lo chiamavano tutti, era nato nel 1911 a Supersano. Aveva frequentato il Liceo Pietro Colonna di Galatina e poi la facoltà di Medicina a Bologna, dove si era laureato, a pieni voti, nel 1937. Esercitò per una vita la professione di medico condotto nella piccola Supersano, sua patria dell’anima prima che luogo di residenza. Pubblicò, in prima battuta, una traduzione in versi liberi dell’ “Eneide” di Virgilio, nel 1982, con l’aiuto di vari collaboratori che curarono il commento ai dodici libri del poema. Successivamente, anche su suggerimento di Mario Marti, che era stato un suo caro amico nella giovinezza, quando frequentavano entrambi il Liceo Colonna di Galatina, pubblicò una seconda edizione dell’opera virgiliana, nel 1987, in endecasillabi puri. Pubblicò poi un nuovo volume contenente altri due capolavori virgiliani: le “Bucoliche” e le “Georgiche”, con testo latino a fronte, tradotte e commentate dallo stesso autore. L’altro suo grande amore era quello per la campagna; amava rimanere ore e ore a coltivare la terra, ad accudire i suoi animali, a meditare sul mondo e sulla vita, nel silenzio e nella pace che offriva la collinetta di Supersano, che egli aveva eletto a proprio rifugio, locus amoenus. Sucessivamente pubblicò “Soste lungo il cammino”, nel 1991, e “Naufragio a Milano”, nel 1994. Morì nel 1997, ad 86 anni. Di lui, prima della presente opera, si sono interessati, solo per citarne alcuni, Enzo Panareo, che ha scritto la Prefazione della traduzione dell’ “Eneide, Antonio Errico, Giorgio Barba, prefatore del romanzo “Naufragio a Milano”, Florio Santini, Paolo Vincenti, Gino De Vitis, Direttore de “Il Nostro Giornale” (rivista culturale supersanese), il quale, insieme a Maria Bondanese, si è speso moltissimo in questi anni per tramandare la memoria del medico umanista.
Il libro che qui si presenta si apre con una citazione che viene dalla letteratura latina: Homo sum, nihil humani mihi alienum puto, tratto da una commedia di Terenzio. Il primo contributo è di Paolo Vincenti, “Il medico dalla scorza dura. Profilo bio bibliografico di Rocco De Vitis”, che riporta appunto la Bibliografia degli scritti del medico umanista. Segue il contributo di Aldo de Bernart, storico e scrittore parabitano ruffanese, scomparso nel 2013, che fu molto amico del dottor De Vitis. Il contributo di de Bernart è tratto da una manifestazione tenutasi a Supersano nel 2007 in occasione del decennale della scomparsa del medico. Lo scritto di Maria Bondanese, “Il dottore: una vita, una storia che parla di noi”, è il più carico di sentimento e non potrebbe essere altrimenti, essendo la Bondanese, non soltanto nuora di De Vitis, ma la più fervente ammiratrice del medico umanista, la più gelosa custode delle sue memorie. In effetti, se in questi anni è stata tenuta viva la memoria del medico umanista, ciò si ascrive principalmente a merito della dinamica Bondanese. Lo scritto di Maria, con un diverso titolo, era già apparso in “Apulia. Rassegna trimestrale della Banca Popolare Pugliese” (Martano editrice), nel dicembre 2007, così come da “Apulia”, stesso numero, proviene l’accorato scritto di Aldo Bello (“Il tarlo dell’umanesimo”), che della rivista matinese era Direttore e la cui prematura scomparsa costituisce un’altra dolorosa perdita per la cultura salentina. Bondanese ricostruisce le drammatiche tappe dell’esperienza fatta al fronte dal dottor De Vitis, rileggendo il suo diario di guerra. Questa testimonianza della Seconda Guerra Mondiale, vissuta in diretta dal protagonista, servì poi da spunto al medico per l’opera “Soste lungo il cammino”. Bondanese si sofferma anche sulle opere maggiori di De Vitis, l’Eneide, le Georgiche e le Bucoliche, e sono riportate belle foto in bianco e nero con gli autografi di De Vitis, gli scenari di guerra che egli toccò nella sua esperienza di soldato, e dei manoscritti della traduzione dell’Eneide. Alla fine del pezzo, troviamo delle foto del Dottore in occasioni pubbliche quali l’inaugurazione della chiesetta di San Giuseppe, nel 1984, sulla Serra supersanese.
Molto significativo, anche per l’alta carica ricoperta dal suo autore, è il testo di Don Gerardo Antonazzo, originario di Supersano e Vescovo di Sora-Cassino-Aquino Pontecorvo: “Nella sapienza del cuore la vera saggezza”. Ma c’è un altro prelato che contribuisce al volume, ed è Don Oronzo Cosi ( con “Una specie in via di estinzione”), non meno caro ai supersanesi, in quanto Parroco del paese. Viene poi ripubblicato un testo di Mario Marti, “Io e Il Nostro Giornale”, indirizzato alla rivista supersanese, appunto “Il Nostro Giornale” (una delle più longeve esperienze editoriali del Salento), nel maggio 1997.
Interessante, il contributo di Carla Addolorata Longo, “Un mirabile lascito di pensiero e di vita”, che si sofferma sulle pubblicazioni di De Vitis trovando spunto nelle tematiche da esse affrontate, per occuparsi anche della nostra attualità più stringente. Matteo Greco, nel suo “Sprofondamenti metropolitani e orizzonti meridionali”, analizza in particolare l’opera “Naufragio a Milano”. “Un’esperienza indimenticabile”, definisce lo scultore Antonio Elia la realizzazione, per conto del Dottor De Vitis, di alcune opere nella Chiesa di San Giuseppe, adornata anche dalle pitture di Ezio Sanapo. Elia illustra le varie fasi di lavorazione, fino alla perfetta conclusione del tutto.
Nella seconda sezione del libro, “L’humus dell’humanitas”, troviamo alcuni contributi che legano l’omaggio a Rocco De Vitis con la conoscenza del territorio, Supersano e il basso Salento. Il primo contributo è “Breve profilo socio-economico del Salento negli anni ’50”, di Gianfranco Esposito; poi “La decorazione nella cripta della Madonna Coelimanna”, di Stefano Cortese, e “Il Santuario della Vergine di Coelimanna in Supersano”, di Stefano Tanisi; seguono “Supersano Torrepaduli Ruffano”, di Vincenzo Vetruccio e “Il dialetto di Supersano”, di Antonio Romano.
I contributi di Cortese, Tanisi e Vetruccio vengono ripresi da una pubblicazione apparsa qualche tempo fa, vertente sul Museo del Bosco, la struttura museale che riproduce le meravigliose caratteristiche del Bosco di Supersano, che viene anche ricordato da Cristina Martinelli nel suo contributo “Tra documento identitario e poesia, Tu Supersano”, in cui analizza una poesia del De Vitis, tratta dal libro “Soste lungo il cammino”. Ben documentato, l’intervento di Giuseppe Caramuscio, “La memoria della Scuola come scuola della memoria: Galatina e il suo Liceo Classico”: una storia del prestigioso Liceo Colonna di Galatina, frequentato da Rocco De Vitis e da Mario Marti, fin dai suoi albori nell’Ottocento, con l’arrivo a Galatina dei Padri Scolopi i quali fondarono nel 1854 la prestigiosa istituzione scolastica a lungo vanto della città.
Il denso e articolato saggio, che si pone a metà via fra storia e pedagogia, è ricco, come tutti gli altri contributi, di un poderoso apparato critico e bibliografico. Parimenti interessante, lo scritto di Alessandro Laporta, “Se è lecito al medico esser poeta (Galateo, Meninni, De Giorgi, De Vitis)”, il quale fa una carrellata di dotti ed eruditi del passato che alla medicina erano legati per interesse o professione, dimostrando magistralmente come l’arte ippocratica e quella poetica, scienza e humanitas, come dicevamo all’inizio, rappresentino un forte connubio, di cui è emblematico l’amore riversato dal De Vitis verso entrambe le discipline. Remigio Morelli si occupa della dolorosa esperienza della Seconda Guerra Mondiale, “Un anno sul fronte greco-albanese”, che vide impegnato Rocco De Vitis, come già ricordato.
Quello di De Vitis va ad unirsi a tanti altri ritratti di salentini illustri che in questi anni la Società di Storia Patria sezione di Lecce ha tracciato nelle sue tre collane. Emerge un amore incondizionato nei confronti della piccola patria da parte di questi suoi figli devoti, non solo studiosi e specialisti delle humanae litterae, ma anche esponenti delle professioni che a vario titolo si sono confrontati con la letteratura, la poesia, il romanzo, i racconti, la memorialistica. Sembra quasi di vederlo, De Vitis, che, spogliatosi dei panni sporchi di ritorno dalla campagna, e indossato l’abito buono, novello Machiavelli de “Le lettere familiari”, penetra “nelle antique corti delli antiqui uomini”, interrogando filosofi, storici e poeti del passato, e “da loro amorevolmente ricevuto”, gli domanda le ragioni delle loro azioni e quelli gli rispondono.
Con la terza sezione del libro, “Vergiliana”, si entra nel vivo dell’opera maggiore di De Vitis, la traduzione dell’Eneide. Questa sezione è una antologia di saggi critici a cura di latinisti che esaminano l’opera devitisiana entrando nel merito di contenuto, stile, traduzione, metodologia. Gli studiosi, che danno a questa sezione del libro un taglio tecnico scientifico, sono: Giovanni Laudizi, con “La traduzione dell’Eneide, delle Bucoliche e delle Georgiche”; Maria Elvira Consoli, con “Dell’Eneide di Rocco De Vitis”; Paola Bray, con “ Quali doni, quali a te mai darò per tale carme?”; Antonio Errico, con “Il traduttore, il suo poema, i segreti del verso”, Maria Francesca Giordano, con “Un segmento di lettura didattica sfogliando le pagine dell’Eneide”; Angela Maria Silvestre, con “La missione di Enea e la traduzione di Rocco De Vitis”; Paolo Agostino Vetrugno, con “Le traduzioni devitisiane di Virgilio tra espressività ed armonia”; Giuseppina Patrizia Morciano, con “L’epicità di Virgilio. Tradizione e traduzione nella lettura di un classico”. La quarta sezione, “Tra storia e letteratura”, riserva spazio a contributi di storia e conoscenza del territorio, in linea con la vocazione della collana editoriale.
Troviamo allora Alessandra Maglie, con “Conflitti e narrazioni nella Terra del Rimorso. Tarantismo ed esperienza mitica secondo Ernesto De Martino”; Maria Antonietta Epifani, con “Maria Manca: la santa di Squinzano”; Sergio Fracasso, con “Il progetto ‘fallito’ dell’Orfanotrofio San Francesco (poi Istituto ‘Margherita di Savoia’) e il problema dell’infanzia abbandonata alle soglie del decennio francese”; Antonio Cataldi, con “ Contributo per una storia dei missionari lazzaristi italiani in Etiopia ed in Eritrea nel periodo coloniale”; Michele Mainardi, con “L’Istituto tecnico di Lecce e l’Orto Agrario”; Arcangelo Salinaro, con “Il letterato Alfredo Mori in Puglia: una caso”; Luigi Scorrano, con “ Con un vescovo di fronte alla guerra e nell’Inferno di Dante”. Dopo l’Indice dei volumi pubblicati, il libro si chiude.
Un’opera imponente, per qualità e mole dei contributi presenti, per la quale dobbiamo essere grati a chi l’ha voluta.
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Libri| Quando Ippocrate corteggia la Musa
di Paolo Vincenti
Il 4 maggio 2017, nella Sala Chirico degli Olivetani dell’Università del Salento, è stato presentato il volume “QUANDO IPPOCRATE CORTEGGIA LA MUSA” dedicato al Dott. Rocco DE VITIS, medico e umanista, per i vent’anni della sua scomparsa. Ha coordinato il Prof. Mario Spedicato, Presidente della sezione di Lecce della Società di Storia Patria; sono intervenuti i proff. Luigi Montonato, Alessandro Laporta, Eugenio Imbriani; ha concluso la prof.ssa Maria Antonietta Bondanese.
  Un titolo molto suggestivo, che coniuga in prodigiosa sintesi, i due interessi della vita di Rocco De Vitis: la medicina e la poesia, ovverosia la cura del corpo e la cura della mente. “QUANDO IPPOCRATE CORTEGGIA LA MUSA. A ROCCO DE VITIS MEDICO UMANISTA”, a cura di Francesco De Paola e Maria Antonietta Bondanese, segna il n.31 della collana “Quaderni de L’Idomeneo”, della Società di Storia Patria-Sezione di Lecce, ed è edito da Grifo (2017).
Il volume è stato realizzato con il contributo della Banca Popolare Pugliese, ed infatti, dopo la Presentazione di Mario Spedicato, troviamo un bel contributo di Vito Primiceri, “Semper honor, nomenque tuum, laudesque manebunt” ( versi tratti dall”Eneide”), carico di umanità nei confronti del medico, celebrato nell’opera, nell’affettuoso ricordo del Presidente della BPP. Quando Ippocrate, nume tutelare della medicina, incontra Calliope, la musa della poesia, ecco che riemergono dal passato e si impongono alla nostra attenzione certe figure, vagamente romantiche, come De Vitis, che coniugano la pratica medica con l’amore per i classici, retaggio della loro formazione umanistica. E infatti, scrive il prof. Spedicato: “tutte le numerose testimonianze qui raccolte concordano nell’attestare come questi suoi interessi vitali siano da considerarsi come le due facce della stessa medaglia”.
Rocco De Vitis, “Don Rocco”, come lo chiamavano tutti, era nato nel 1911 a Supersano. Aveva frequentato il Liceo Pietro Colonna di Galatina e poi la facoltà di Medicina a Bologna, dove si era laureato, a pieni voti, nel 1937. Esercitò per una vita la professione di medico condotto nella piccola Supersano, sua patria dell’anima prima che luogo di residenza. Pubblicò, in prima battuta, una traduzione in versi liberi dell’ “Eneide” di Virgilio, nel 1982, con l’aiuto di vari collaboratori che curarono il commento ai dodici libri del poema. Successivamente, anche su suggerimento di Mario Marti, che era stato un suo caro amico nella giovinezza, quando frequentavano entrambi il Liceo Colonna di Galatina, pubblicò una seconda edizione dell’opera virgiliana, nel 1987, in endecasillabi puri. Pubblicò poi un nuovo volume contenente altri due capolavori virgiliani: le “Bucoliche” e le “Georgiche”, con testo latino a fronte, tradotte e commentate dallo stesso autore. L’altro suo grande amore era quello per la campagna; amava rimanere ore e ore a coltivare la terra, ad accudire i suoi animali, a meditare sul mondo e sulla vita, nel silenzio e nella pace che offriva la collinetta di Supersano, che egli aveva eletto a proprio rifugio, locus amoenus.
Successivamente pubblicò “Soste lungo il cammino”, nel 1991, e “Naufragio a Milano”, nel 1994. Morì nel 1997, ad 86 anni. Di lui, prima della presente opera, si sono interessati, solo per citarne alcuni, Enzo Panareo, che ha scritto la Prefazione della traduzione dell’ “Eneide, Antonio Errico, Giorgio Barba, prefatore del romanzo “Naufragio a Milano”, Florio Santini, Paolo Vincenti, Gino De Vitis, Direttore de “Il Nostro Giornale” (rivista culturale supersanese), il quale, insieme a Maria Bondanese, si è speso moltissimo in questi anni per tramandare la memoria del medico umanista.
Il libro che qui si presenta si apre con una citazione che viene dalla letteratura latina: Homo sum, nihil humani mihi alienum puto, tratto da una commedia di Terenzio. Il primo contributo è di Paolo Vincenti, “Il medico dalla scorza dura. Profilo bio bibliografico di Rocco De Vitis”, che riporta appunto la Bibliografia degli scritti del medico umanista. Segue il contributo di Aldo de Bernart, storico e scrittore parabitano ruffanese, scomparso nel 2013, che fu molto amico del dottor De Vitis. Il contributo di de Bernart è tratto da una manifestazione tenutasi a Supersano nel 2007 in occasione del decennale della scomparsa del medico.
Lo scritto di Maria Bondanese, “Il dottore: una vita, una storia che parla di noi”, è il più carico di sentimento e non potrebbe essere, altrimenti essendo la Bondanese, non soltanto nuora di De Vitis, ma la più fervente ammiratrice del medico umanista, la più gelosa custode delle sue memorie. In effetti, se in questi anni è stata tenuta viva la memoria del medico umanista, ciò si ascrive principalmente a merito della dinamica Bondanese. Lo scritto di Maria, con un diverso titolo, era già apparso in “Apulia. Rassegna trimestrale della Banca Popolare Pugliese” (Martano editrice), nel dicembre 2007, così come da “Apulia”, stesso numero, proviene l’accorato scritto di Aldo Bello (“Il tarlo dell’umanesimo”), che della rivista matinese era Direttore e la cui prematura scomparsa costituisce un’altra dolorosa perdita per la cultura salentina. Bondanese ricostruisce le drammatiche tappe dell’esperienza fatta al fronte dal dottor De Vitis, rileggendo il suo diario di guerra.
Questa testimonianza della Seconda Guerra Mondiale, vissuta in diretta dal protagonista, servì poi da spunto al medico per l’opera “Soste lungo il cammino”. Bondanese si sofferma anche sulle opere maggiori di De Vitis, l’Eneide, le Georgiche e le Bucoliche, e sono riportate belle foto in bianco e nero con gli autografi di De Vitis, gli scenari di guerra che egli toccò nella sua esperienza di soldato, e dei manoscritti della traduzione dell’Eneide. Alla fine del pezzo, troviamo delle foto del Dottore in occasioni pubbliche quali l’ inaugurazione della chiesetta di San Giuseppe, nel 1984, sulla Serra supersanese. Molto significativo, anche per l’alta carica ricoperta dal suo autore, è il testo di Don Gerardo Antonazzo, originario di Supersano e Vescovo di Sora-Cassino-Aquino Pontecorvo: “Nella sapienza del cuore la vera saggezza”. Ma c’è un altro prelato che contribuisce al volume, ed è Don Oronzo Cosi ( con “Una specie in via di estinzione”), non meno caro ai supersanesi, in quanto Parroco del paese. Viene poi ripubblicato un testo di Mario Marti, “Io e Il Nostro Giornale”, indirizzato alla rivista supersanese, appunto “Il Nostro Giornale” (una delle più longeve esperienze editoriali del Salento), datato maggio 1997. Interessante, il contributo di Carla Addolorata Longo, “Un mirabile lascito di pensiero e di vita”, che si sofferma sulle pubblicazioni di De Vitis trovando spunto nelle tematiche da esse affrontate, per occuparsi anche della nostra attualità più stringente.
Matteo Greco, nel suo “Sprofondamenti metropolitani e orizzonti meridionali”, analizza in particolare l’opera “Naufragio a Milano”. “Un’esperienza indimenticabile”, definisce lo scultore Antonio Elia la realizzazione, per conto del Dottor De Vitis, di alcune opere nella Chiesa di San Giuseppe, adornata anche dalle pitture di Ezio Sanapo. Elia illustra le varie fasi di lavorazione, fino alla perfetta conclusione del tutto. Nella seconda sezione del libro, “L’humus dell’humanitas”, troviamo alcuni contributi che legano l’omaggio a Rocco De Vitis con la conoscenza del suo territorio, Supersano e il basso Salento.
Il primo contributo è “Breve profilo socio-economico del Salento negli anni ’50”, di Gianfranco Esposito; poi “La decorazione nella cripta della Madonna Coelimanna”, di Stefano Cortese, e “Il Santuario della Vergine di Coelimanna in Supersano”, di Stefano Tanisi; seguono “Supersano Torrepaduli Ruffano”, di Vincenzo Vetruccio e “Il dialetto di Supersano”, di Antonio Romano. In particolare, i contributi di Cortese, Tanisi e Vetruccio vengono ripresi da una pubblicazione apparsa qualche tempo fa, vertente sul Museo del Bosco, la struttura museale che riproduce le meravigliose caratteristiche del Bosco di Supersano, che viene anche ricordato da Cristina Martinelli nel suo contributo “Tra documento identitario e poesia, Tu Supersano”, in cui analizza una poesia del De Vitis, tratta dal libro “Soste lungo il cammino”. Ben documentato, l’intervento di Giuseppe Caramuscio, “La memoria della Scuola come scuola della memoria: Galatina e il suo Liceo Classico”: una storia del prestigioso Liceo Colonna di Galatina, frequentato da Rocco De Vitis e da Mario Marti, fin dai suoi albori nell’Ottocento, con l’arrivo a Galatina dei Padri Scolopi i quali fondarono nel 1854 la prestigiosa istituzione scolastica a lungo vanto della città. Il denso e articolato saggio, che si pone a metà via fra storia e pedagogia, è ricco, come tutti gli altri contributi, di un poderoso apparato critico e bibliografico. Parimenti interessante, lo scritto di Alessandro Laporta, “Se è lecito al medico esser poeta (Galateo, Meninni, De Giorgi, De Vitis)”, il quale fa una carrellata di dotti ed eruditi del passato che alla medicina erano legati per interesse o professione, dimostrando magistralmente come l’arte ippocratica e quella poetica, scienza e humanitas, come dicevamo all’inizio, rappresentino un forte connubio, di cui è emblematico l’amore riversato dal De Vitis verso entrambe le discipline.
Remigio Morelli si occupa della dolorosa esperienza della Seconda Guerra Mondiale, “Un anno sul fronte greco-albanese”, che vide impegnato Rocco De Vitis, come già ricordato.
Quello di De Vitis va ad unirsi a tanti altri ritratti di salentini illustri che in questi anni la Società di Storia Patria sezione di Lecce ha tracciato nelle sue tre collane. Emerge un amore incondizionato nei confronti della piccola patria da parte di questi suoi figli devoti, non solo studiosi e specialisti delle humanae litterae, ma anche esponenti delle professioni più disparate che a vario titolo si sono confrontati con la letteratura, la poesia, il romanzo, i racconti, la memorialistica. Sembra quasi di vederlo, De Vitis, che, spogliatosi dei panni sporchi di ritorno dalla campagna, e indossato l’abito buono, novello Machiavelli de “Le lettere familiari”, penetra “nelle antique corti delli antiqui uomini”, interrogando filosofi, storici e poeti del passato, e “da loro amorevolmente ricevuto”, gli domanda le ragioni delle loro azioni e quelli gli rispondono.
Con la terza sezione del libro, “Vergiliana”, si entra nel vivo dell’opera maggiore di De Vitis, la traduzione dell’Eneide. Questa sezione è una antologia di saggi critici a cura di latinisti che esaminano l’opera devitisiana entrando nel merito di contenuto, stile, traduzione, metodologia. Gli studiosi, che danno a questa sezione del libro un taglio tecnico scientifico, sono: Giovanni Laudizi, con “La traduzione dell’Eneide, delle Bucoliche e delle Georgiche”; Maria Elvira Consoli, con “Dell’Eneide di Rocco De Vitis”; Paola Bray, con “ Quali doni, quali a te mai darò per tale carme?”; Antonio Errico, con “Il traduttore, il suo poema, i segreti del verso”, Maria Francesca Giordano, con “Un segmento di lettura didattica sfogliando le pagine dell’Eneide”; Angela Maria Silvestre, con “La missione di Enea e la traduzione di Rocco De Vitis”; Paolo Agostino Vetrugno, con “Le traduzioni devitisiane di Virgilio tra espressività ed armonia”; Giuseppina Patrizia Morciano, con “L’epicità di Virgilio.
Tradizione e traduzione nella lettura di un classico”. La quarta sezione, “Tra storia e letteratura”, riserva spazio a contributi di storia e conoscenza del territorio, in linea con la vocazione della collana editoriale. Troviamo allora Alessandra Maglie, con “Conflitti e narrazioni nella Terra del Rimorso. Tarantismo ed esperienza mitica secondo Ernesto De Martino”; Maria Antonietta Epifani, con “Maria Manca: la santa di Squinzano”; Sergio Fracasso, con “Il progetto ‘fallito’ dell’Orfanotrofio San Francesco (poi Istituto ‘Margherita di Savoia’) e il problema dell’infanzia abbandonata alle soglie del decennio francese”; Antonio Cataldi, con “ Contributo per una storia dei missionari lazzaristi italiani in Etiopia ed in Eritrea nel periodo coloniale”; Michele Mainardi, con “L’Istituto tecnico di Lecce e l’Orto Agrario”; Arcangelo Salinaro, con “Il letterato Alfredo Mori in Puglia: una caso”; Luigi Scorrano, con “ Con un vescovo di fronte alla guerra e nell’Inferno di Dante”. Dopo l’Indice dei volumi pubblicati, il libro si chiude. Un’opera imponente, per qualità e mole dei contributi presenti, per la quale dobbiamo essere grati a chi l’ha voluta.
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fondazioneterradotranto · 7 years ago
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Storie lampanti. McBetter di Mattia De Pascali
Mattia De Pascali (ph Alessandro Stajano)
  UNA STORIA A SORPRESA: IL “MCBETTER” DI MATTIA DE PASCALI
di   Maria Antonietta Bondanese
“E una mattina, destandomi, scoprii che quel giorno era giunto. E lo accettai senza troppe remore, perché da quando ho memoria ho sempre saputo che sarebbe arrivato.(…) Non c’è nulla da drammatizzare nella fine. E’ il punto d’arrivo, l’assoluta certezza”. Inizia così il racconto di Mattia De Pascali, contenuto nel volume Storie lampanti, che raccoglie le storie più belle proposte nel concorso letterario del 2013 “Raccontare i Paduli”.
Una scrittura incisiva, efficace, per un narrare a metà strada tra fantastico e reale, tra enigma e verità, che coinvolge il lettore e lascia intuire lo stile di De Pascali sceneggiatore e regista.
Il cineasta supersanese, al di là della giovane età, ha già all’attivo un interessante curriculum costruito con competenza, studio e passione. “Sono stato abituato – dice Mattia – a guardare film fin dalla tenera età. Eppure da bambino volevo fare altro, un mestiere che mi permettesse di essere più a contatto con la natura. Almeno fino a tredici anni, quando ho scoperto le opere di Stanley Kubrick e ho compreso il potenziale infinito del mezzo cinematografico”.
Dal regista statunitense, il cui genio ha spaziato dal thriller alla satira politica, dalla storia e fantascienza al dramma psicologico, Mattia ha mutuato la pluralità degli interessi.
(ph Alessandro Stajano)
  “Oggi – aggiunge – non ho un regista, un film o un genere preferito. Tendo a non mitizzare niente e nessuno ma sono aperto a tutto.” La sua stanza di lavoro, adorna di libri, fotografie e manifesti descrive, infatti, un percorso personale ricco di curiosità. Una capacità di guardarsi intorno e rappresentare la quotidianità attraverso il filtro dell’inventiva.
Anche il set del suo recente lungometraggio “McBetter”, allestito nel B&B Luxury a Lecce e quindi ad Arnesano presso Villa Maresca, è lontano dal tipico Salento assolato, intrappolato in una ‘controra’ senza fine. Il contesto salentino è reinventato, invece, come sfondo per un intreccio che potrebbe snodarsi ovunque, perché il “messaggio, le idee politiche o la visione sociale del regista – Mattia ne è convinto – emergeranno comunque attraverso alcuni dettagli per occhi attenti”.
“ Tutti i film – prosegue – raccontano la società in cui nascono ed un ‘messaggio’ arriva meglio se non viene veicolato in modo diretto”. Ma, ad esempio, sotto la specie accattivante del thriller o della commedia “nera” dai toni grotteschi qual è “McBetter”. Una storia in cui il gioco perverso del Potere viene smascherato con scanzonata ironia e i rapporti di forza, motore dell’esistenza, sono tracciati mediante la tensione dell’intrigo. Non a caso, la vicenda di “McBetter” è ispirata al dramma shakespeariano di Macbeth, dove ambizione e avidità sfrenata portano a totale distruzione il protagonista che, ucciso il proprio re, si avvita in una spirale di delitti fino al tragico epilogo.
McBetter family
  In “McBetter” il re da usurpare è l’attempato imprenditore Joe McBetter, proprietario di una ricca catena di fast food mentre il nuovo Macbeth è Malcom, suo genero. Entra così in primo piano il mercato del fast food, del cibo veloce, industria tra le più potenti del mondo dove le ragioni del profitto impongono lo sfruttamento dei lavoratori e la seduzione dei consumatori, specie dei bambini, mediante una pubblicità ingannevole. Una realtà che corre lungo il filo della trama con sorprese e colpi di scena, come nel più classico dei polizieschi. Singolari i personaggi di questa storia, per i quali De Pascali ha selezionato gli interpreti secondo il criterio dell’originalità e della bravura. “Durante il ‘casting’ – ci tiene a sottolineare – ho cercato attori che fossero personaggi particolari, non belle presenze.   E così è stato, compreso per il più giovane dei protagonisti, Oscar Stajano, cinque anni appena e pronipote di Giò Stajano, famosa nella ‘dolce vita’ di felliniana memoria”.
ph Silvia Cappello
  Il gruppo degli attori – Nik Manzi, Donatella Reverchon, Serena Toma e Andrea Cananiello – è affiancato da tecnici esperti come Giulio Ciancamerla, l’aiuto regista; Lucio Massa, l’organizzatore generale; Islam Mohamed detto ‘Ismo’, il direttore della fotografia; Silvia Cappello, l’assistente di fotografia; Cristina Panarese, per gli effetti speciali; Jonathan Imperiale, il segretario di edizione; Sofia Volpe e Giorgia De Carlo, per trucco & parrucco. Spiccano nella troupe due giovani talenti di Supersano, Arianna Alfarano e Valentino Galati. Arianna , brillante attrice nel teatro amatoriale ed allieva presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, si è cimentata nell’impresa in qualità di abile scenografa. Valentino, noto dj, ha preso parte come addetto all’audio e compositore della colonna sonora. Dall’estro di Valentino, che opera in campo musicale nel duo “Monotron”, è nata anche la musica originale che esalta le immagini di Candy School, il cortometraggio realizzato nel 2103 da Mattia De Pascali con gli alunni dell’Istituto Comprensivo “E. Frascaro”di Supersano, nel laboratorio di cinema da lui tenuto sul tema del bullismo.
Numerose le opere di Mattia selezionate in vari festival, come il Festival del Cinema Europeo a Lecce, il Castro Film Festival e il Puglia in corto a Brindisi. Intensa anche la sua collaborazione con la rivista online di critica cinematografica Point Blank – La più corta distanza fra il bene e il male e quella con altri registi come Alberto Genovese, per il quale sta ultimando la sceneggiatura del film “Resurrection Corporation”.
Risultati sorretti da una solida formazione e cultura professionale. Alla laurea triennale al DAMS di Bologna, hanno fatto seguito infatti la laurea magistrale in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale conseguita a pieni voti al DAMS di Roma Tre e la frequenza di vari corsi per ampliare la sua specializzazione. “Il cinema – dice Mattia – è diventato la mia ragione di vita”.
Più che le parole, il tono della voce e lo sguardo lasciano trapelare quanto entusiasmo, coraggio e determinazione siano necessari ad affrontare gli ostacoli che un’attività così complessa comporta. Dalla fine degli anni Ottanta, il cinema “made” in Puglia ha fatto un salto di qualità, grazie anche al supporto della Regione ma serve “qualcuno che investa cifre vere e non si appoggi solo ai limitati fondi pubblici per promuovere un’industria in grado di crescere su delle basi solide e non essere alla mercè di tagli e crisi economiche”. E’ quanto annotava Mattia De Pascali nel suo libro Multisala Salento, che reca l’eloquente sottotitolo “Come fare film sotto il sole con pochi soldi e a stento”. Era il 2012 quando appunto osservava che mancano programmazione e infrastrutture, mancano teatri di posa e una scuola di cinema. Manca il sostegno economico  a chi è agli inizi.
Un regista emergente come Mattia De Pascali deve perciò auto produrre il suo film. Senza cedere a facili vittimismi, Mattia lavora adesso con impegno al montaggio del “McBetter”, finito di girare lo scorso aprile, per poterlo ultimare quest’anno e proporlo nel 2018 entro i circuiti di distribuzione. Anche questo è un grosso problema perché il mercato tende in genere a premiare i nomi già noti più che gli esordienti, la cassetta più che la qualità.
Ma il cinema che da sempre racconta bellissime storie, potrà forse regalarci ancora una volta sorprese ed emozioni con la ‘storia’ di Mattia De Pascali.
Per sapere di più su personaggi e interpreti della black commedy “McBetter”, conoscere particolari gustosi e momenti del set, si può visitare la pagina Facebook: www.facebook.com/McBetterMovie.
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fondazioneterradotranto · 7 years ago
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Il Museo del Bosco a Supersano
di Paolo Vincenti
A Supersano, nel dicembre 2011, è nato il MUBO, ossia il Museo del Bosco. E’ un progetto che viene da lontano e nasce dalla acquisita consapevolezza da parte dei supersanesi della eccezionale portata storica di cui il proprio comune è depositario.
Un progetto che inizia moltissimi anni fa quando gli studiosi locali pubblicavano le ricognizioni storiche sull’antico Bosco di Belvedere, di cui Supersano era parte integrante, sul sito archeologico della zona Scorpo, dove sorgeva un villaggio bizantino, sulla Specchia Torricella e sulla chiesa rupestre della Coelimanna. Un progetto che prende il via a seguito di una importante campagna di scavi eseguiti in località Scorpo dal Laboratorio di Archeologia Medievale dell’Università del Salento, guidato dal prof. Paul Arthur. Si è così scoperto che le origini di Supersano risalgono addirittura al Paleolitico e questa zona era frequentata fin dalla notte dei tempi. Il Bosco del Belvedere si può definire un enorme polmone verde dove, fino a poco più di cento anni fa, si estendeva un’area boschiva che interessava l’agro di ben quindici comuni. Il Mubo, realizzato con fondi regionali PIS 14, nasce proprio per raccontare la storia di queste eccezionali scoperte e dello specifico ecosistema del Belvedere.
Nelle intenzioni dei proponenti, “il Museo vuole porsi come punto di riferimento per un vasto territorio al di là dei limiti comunali di Supersano. L’allestimento coniuga le esigenze didattiche con una attenta ricostruzione ambientale, archeologica e storica, garantita dalla partecipazione al progetto di docenti dell’Università del Salento sotto la direzione scientifica del prof. Paul Arthur. Le diverse sale espositive, le ricostruzioni grafiche realizzate dallo studio Inklink di Firenze, i reperti archeologici, la riproduzione di manufatti ceramici e degli strumenti litici atti alla loro lavorazione, consentono al visitatore di fruire di un percorso informativo di particolare interesse e suggestione.” Questo progetto è costato molti sforzi ai suoi ideatori e realizzatori.
Rocco De Vitis negli anni ’80, ritratto alla sua scrivania nell’ “esotico” studio da lui stesso arredato
  E a descrivere il frutto del pluriennale lavoro, è stato pubblicato, a cura di Maria Antonietta Bondanese, il Catalogo: “Supersano. Arte e Tradizione, scoperta e conoscenza. Mubo Museo del Bosco”, con il patrocinio del Comune di Supersano, della Provincia di Lecce e dell’Università del Salento. Con i testi di Maria Bondanese e la grafica di Simone Massafra, è un utile strumento di conoscenza (ha anche un sito: www.museodelbosco.it) a vantaggio dei tanti turisti che soprattutto d’estate affollano le nostre contrade ma anche dei salentini che vogliano conoscere le meravigliose ricchezze custodite da questo territorio. Perché di quanto fatto rimanga traccia, perché il comune supersanese venga maggiormente conosciuto ed apprezzato, perché il museo del bosco non sia una cattedrale nel deserto.
Del bosco di Supersano, delle Vore e del Lago Sombrino, si è occupato anche il nostro Rocco De Vitis in “Soste lungo il cammino”(Taviano, Grafiche Aesse, 1991). Con una “breve panoramica geologica” descrive la nascita delle Vore o Ore di Supersano, delle quali la più consistente è quella a sud del Cimitero, accanto al Santuario della Madonna della Coelimanna, detta “Fago” o “Fao”. Questa vora, spiega De Vitis, non riuscendo a contenere l’enorme getto di acqua proveniente a seguito delle ingenti piogge dai paesi circonvicini, produceva estesi allagamenti. La vora, il cui carico d’acqua diventava insostenibile, ben presto sprofondò in una voragine che creò un vero e proprio lago, di ben 100 ettari, il Lago Sombrino. Successivamente, venne creato artificialmente un altro lago che potesse contenere parte delle acque del Sombrino e ad esso collegato tramite un canale di comunicazione, sicché questo fu il lago della Padula, mentre il Sombrino, ormai prosciugato, scomparve del tutto. De Vitis dedica alle Vore e al Lago Sombrino anche una significativa poesia: “Allor che tu ancora / non eri, venata / da mille canali / fenduta travolta / da mille torrenti, / d’intorno ti stava / la giovine Terra: / e tu Supersano / ancora non eri /”.
Il rapporto fra De Vitis e il Bosco di Supersano viene ripreso da Cristina Martinelli proprio nel recentissimo libro “Quando Ippocrate corteggia la Musa. A Rocco De Vitis medico umanista” (Soc. Storia Patria sez. Lecce, Grifo 2017). Nel suo contributo ,“Tra documento identitario e poesia, Tu Supersano”, la Martinelli sottolinea come De Vitis, “da vero patriarca per l’intera comunità della sua amata Supersano”, avesse compreso “la bellezza dei luoghi, la ricchezza di Storia che custodivano” ed analizza la suddetta poesia, fra interesse documentaristico e afflato poetico.
Tornando al Mubo, dobbiamo dire che un museo non deve essere solo deposito di conservazione di oggetti del passato ma centro di ricerca attivo, di produzione ed elaborazione di documenti. Del pari, un museo non dovrebbe fare solo una esposizione di materiali e oggetti vari, ma incoraggiare anche una loro riproposizione, non essere solo un museo didattico, luogo di confronto teorico, ma anche didascalico, e svolgere quelle funzioni tecniche che sono date dalla natura stessa degli oggetti musealizzati. Un museo, ogni museo pubblico, è vincolato alla sua funzione sociale ma anche alle scelte di politica culturale operate da chi deve governarlo. E dunque, se sulla serietà del lavoro condotto fin qui garantisce la direzione scientifica del Prof. Paul Arthur (la cui prestigiosa firma compare in calce alla presentazione del libro), alle diverse amministrazioni comunali che si succederanno spetterà il compito di gestire il Mubo.
ll Museo del Bosco è ospitato nello storico Castello Manfredi, sede del Comune, nel cuore del centro abitato. L’iter espositivo si snoda attraverso sette sale, su due piani, un book shop e la torre medievale. Davvero consigliabile una visita. Il libro che lo documenta è diviso in quattro sezioni tematiche. Nella prima sezione, dopo la Presentazione del Prof. Paul Arthur ed i Saluti dei passati Sindaco e Consigliera alla Cultura del Comune di Supersano, Dott. Roberto De Vitis e Prof.ssa Maria Bondanese, vengono offerte delle tracce sul territorio di Supersano e sulla sua storia, sul Castello Manfredi e sulla Torre Medievale.
Nella seconda sezione, si entra nel vivo della trattazione, con la descrizione particolareggiata del Museo, delle sue Sale e della collezione in esse contenuta. Nella terza sezione tematica, vengono trattati i luoghi di interesse del territorio e segnatamente “La cripta della Madonna della Coelimanna”, a cura di Stefano Cortese, “Il santuario della Vergine di Coelimanna”, a cura di Stefano Tanisi, “L’albero della manna”, a cura di Francesco Tarantino, i Menhir, le Masserie, “ I percorsi naturalistici”, a cura di Michela Ippolito, e la Chiesa Matrice.
La quarta sezione raccoglie le Informazioni utili, ricettività, gastronomia, numeri d’emergenza, insomma tutto ciò che il turista che viene a Supersano deve sapere. Al libro, che per essere un opuscolo reca un apparato bibliografico davvero poderoso, si affiancano alcune brochure, anch’esse molto curate dal punto di vista grafico, che offrono uno strumento di più agile consultazione. Chiaro che il museo, per sua stessa definizione, è un contenitore di reperti del passato, di oggetti che non hanno più vita nel presente. Dunque, per il suo status semiologico, esso non può parlare il linguaggio della vita ma un meta- linguaggio, cioè il linguaggio della riflessione sulla vita. Resta fermo però che, se non “vitalmente”, certo “museograficamente”, un museo debba essere “vivo” e parlare ad un pubblico quanto più vasto possibile.
Scrive ancora Rocco De Vitis: “Da lungi venivan / le acque trascinando / e tronchi e ciottoli / ed ossa di mostri, / cercando la quiete / a pie’ de l’altura / che cinge i tuoi campi / e tu Supersano / ancora non eri /.
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fondazioneterradotranto · 8 years ago
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Supersano. Chiara Ferrazzi, una storia di gusto, di sapori e di qualità che continua
SUPERSANO bio
           Interno dello stabilimento Ferrazzi
di Maria Antonietta Bondanese
“Supersano bio”, un logo vivace. I colori del cielo, della terra, dei frutti, del sole, evocati da un marchio in cui sono sottesi passato e presente.
Dolce e salato, creme, passate e patè, confezionati secondo i princìpi dell’odierna agricoltura biologica, fanno bella mostra di sé nei vasetti della recente produzione estiva. Una soddisfazione per Chiara Ferrazzi, nel cui sguardo aperto e vibrante brilla la luce di un’intelligenza operosa. Innovare nella tradizione. Una sfida da portare avanti, partendo, ancora una volta, da Supersano.
Come quando gli antenati, Attilio e Luigi Ferrazzi (nonno ‘Gino’), approdarono in questo lembo di Meridione, provenendo da La Spezia, dove si erano stabiliti dalla natìa Busto Arsizio. I ‘milanesi’, così li appellarono in paese in un misto, penso, di incredulità e ammirazione (‘milanese’ era anche, nel parlar comune della gente, un complemento di luogo riferito ai due, si’ che, ad esempio, ‘andare al…, fermarsi a…, lavorare da…’, ecc., era come dire:’ andare allo stabilimento Ferrazzi, fermarsi allo stabilimento Ferrazzi, lavorare dai Ferrazzi’, ecc.). Incredulità, almeno iniziale, che uomini venuti dal Nord davvero potessero amare questa terra: remoti non erano i tempi del furore, della rabbia del Sud di fronte a un Risorgimento ‘mancato’ e della brutale repressione da parte dello stato ‘piemontese’ neo-unitario.
Sequela dei traini carichi di uva
  Ammirazione, per quella straordinaria vitalità imprenditrice che rompeva gli schemi del proprietario terriero guardingo e sospettoso del nuovo. In verità, nel territorio in cui i fratelli Ferrazzi impiantarono l’A.G.F., la loro azienda vinicola, si andava scrivendo proprio allora una diversa storia produttiva e l’industria cominciava ad affermarsi in un contesto da sempre rurale.
Tra fine ‘800 e inizi ‘900, infatti, in Terra d’Otranto venivano costruiti centinaia di stabilimenti con i criteri dell’enologia più aggiornata, offrendo un quadro che modifica la visione di un Mezzogiorno tutto arretrato, fuori dai flussi della modernità e restituisce l’immagine di un’economia articolata, lontana da banali semplificazioni. Da un capo all’altro di Terra d’Otranto era un fiorire di innovazioni tecniche accanto ad abilità lavorative antiche, per rendere sempre più competitivi gli impianti enologici. Basti pensare, tra Brindisi e Gallipoli, all’azienda vitivinicola ‘Leone de Castris’ a Salice Salentino o a quella di ‘Adolfo Colosso’ ad Ugento.
Interno dello stabilimento : spazio ‘pesa’
  In questo fervore di inizi s’inserisce il decollo dell’Azienda A.G.F. a Supersano, dove Gino Ferrazzi, imprenditore oculato e competente, oltreché perito agrario, esercitò anche la carica di sindaco, negli anni difficili del primo conflitto mondiale, dal 6 agosto 1914 al 13 marzo 1916 e, in seguito, per i primi sei mesi del 1919, in un’ Italia scossa dalla ‘vittoria mutilata’. Un impegno politico, il suo, intriso di ideali liberali e patriottici, da cui l’adesione alla Loggia ‘Liberi e coscienti’ di Lecce, che si batteva per un nuovo ordine di cose. Accanto a Gino, la moglie Anna Montale che, dal 1911 al 1921, risiedette a Supersano, mentre la famiglia cresceva con l’arrivo dei figli Maria, Flavio ed Italo. Intensa continuava la spola tra Supersano e La Spezia, città di transito e commercializzazione del prodotto salentino, dove i Ferrazzi si associarono a Naef e Longhi, per fondare nel 1924 una banca, che ha prosperato fino al 1967.
Scomparsi Attilio nel 1936 e Gino nel settembre 1940, l’A.G.F. prosegue l’attività nel secondo dopoguerra con la seconda generazione, Franco, Italo e Flavio. Quest’ultimo, giovane ufficiale e agronomo, sposa Giovanna Ercolini nel 1949, dopo essere tornato indenne dalla campagna d’Africa e dalla dura prigionia inglese in India. (Al pensiero di tante traversìe subite da papà Flavio, lo sguardo di Chiara si fa assorto, mentre la sua voce si spezza nel ricordo…).
Dopo le ferite della guerra, la requisizione della casa di La Spezia da parte tedesca e la sua distruzione da parte americana, bisogna tornare a vivere.
I supersanesi, ‘don Pippi Carrozzini’, l’amministratore, e i fattori Michele Nutricato, ‘Ucciu’ Elia, Egidio Visconti, hanno seguito l’azienda durante la crisi bellica, mentre ‘mèsciu Virgiliu’ Stradiotti (figlio di Michele e fratello delle fornaie Vata e Maria) ha curato la tenuta delle macchine; Antonio De Pascali (‘Ntoni guardia) fungeva da guardiano e Mario Vinciguerra da autista dell’azienda; ora tutto è pronto per la nuova stagione della ricostruzione, che l’Italia intera intraprende dalle macerie dei bombardamenti.
Una lunga, maestosa teoria di cavalli e carretti, con grandi tini di uve fragranti, si snoda dalla contrada di Bosco Belvedere, per il corso Vittorio Emanuele, fino al palmento di casa Ferrazzi. Nel pieno della campagna, una lunghissima fila di traini carichi di botti, sosta rispettando il turno di scarico. E’ la vendemmia 1953, impressa negli ‘storici’ fotogrammi della pellicola super 8, che narra l’evento festoso, la felice fatica di uomini, donne, ragazzi e anziani di Supersano, sorridenti all’occhio inconsueto della sorprendente cinepresa. In primo piano tanti lavoranti in bianche maniche di camicia, coppole e cappelli, biciclette, ‘tine di caricamento’, traìni, camion e una gloriosa ‘giardinetta’. Immagini color del tempo, volti ed espressioni di un’epoca aspra, di sacrifici, ma non avara di coraggio e ardita nelle speranze.
Casa Ferrazzi e palmenti verso la fine degli anni venti
  Audacia che ritrovo in Chiara Ferrazzi. Una vita spesa nella scuola, imprenditrice ora per amore della terra salentina, passione di cui ha ‘contagiato’ anche Giano, l’affabile ed arguto consorte con i meravigliosi figli, Mattia, Camilla e Francesca. Il binomio ‘La Spezia-Supersano’, visibile ancora nella targa imbrunita all’ingresso dell’A.G.F., rifiorisce dal 2009 nell’azienda ‘Supersano bio’, con la fruttuosa presenza dell’agronomo-artista Antonio Giaccari, autore della rinascenza dell’azienda agricola e creatore del marchio ‘Supersanobio’.
“Ho voluto trovare qualcosa –dice Chiara- che mi legasse di più al paese”. Quasi soggiorno obbligato nelle calde estati degli anni ’70, per lei è divenuto oggi un luogo del cuore, della memoria (nel Camposanto ai piedi della Coelimanna, ha voluto trovare ultimo riposo l’amato fratello Fabrizio), ma anche di un rinnovato slancio verso il futuro.
Ripresa la spola tra La Spezia e Supersano, Chiara impronta il suo management ai criteri dell’agricoltura biologica: “benessere, equità, precauzione, ecologia”: quattro pilastri che garantiscono ‘il rispetto per la salute dell’uomo e dell’ambiente, unito alla volontà di riscoprire e recuperare le tradizioni tecniche agro-alimentari salentine’. Scritto in ariose broschure, lo si può leggere anche nel sito www.supersanobio, dove un apposito link rinvia ad altre aziende di Supersano attive nell’agriturismo e nell’alberghiero.
Fare sistema, entrare in una logica integrata dei vari settori, alimentare una rete di rapporti sul territorio, è necessario di fronte al mercato globale di oggi. Chiara ne ha una visione precisa, come netta è stata la sua scelta per una produzione ecosostenibile, cui non è estranea, credo, anche la sua sensibilità per l’arte e per il bello, di cui si fa entusiasta promotrice.
Un mondo di bianco, di silenzio, di pietra si offriva infatti nell’estate 2013 al visitatore della mostra ‘Sophia’, allestita da Antonio Giaccari, all’interno del patio di casa Ferrazzi. Ideale prosieguo delle precedenti mostre di Giaccari a Poggiardo e Soleto, intitolate ‘Philìa’.
Lavoranti alla vendemmia
  E’ “un percorso infinito di conoscenza che troviamo nelle sue bianche sculture, dall’aspetto umile…”, ha scritto Chiara, indicando la non esauribilità per l’artista, ma anche per ognuno di noi, della ricerca di consapevolezza, di ‘sophìa’. Una tensione al meglio che Chiara esprime nella cura quotidiana per un prodotto di qualità. Proposto in fiere locali e nazionali (‘Agroalimentare’ 2011 a La Spezia; ‘Cibus’ 2012 a Parma), il marchio ‘Supersano bio’ è tra i migliori ambasciatori dell’eccellenza gastronomica e dell’ospitalità della piccola ma accogliente Supersano.
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fondazioneterradotranto · 8 years ago
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Cosimo Morieri: ferro e legno... che passione
ph Antonio Carriero (vietata la riproduzione)
    di Maria Antonietta Bondanese
Osserva, valuta, progetta. Con gesti sapienti realizza quindi piccoli e grandi manufatti.
Bambino di ieri, costruisce trottole (curupizzi), raganelle, rocchetti (yo-yo) evocando l’allegria e la spensieratezza dei passatempi di una volta, quando i giochi si facevano per strada, in gruppo, ‘armati’ di noccioli di frutta, sassi, tappi di bottiglia e tanta fantasia. Tutte le abilità venivano coinvolte allora nel gioco, si sviluppavano autonomia, riflessione, confronto.
Cosimo Morieri sorride mentre mi mostra il lancio della trottola, spiegandomi le regole di un’attività ludica semplice e festosa, ma ormai dimenticata.
La sua bravura nell’intagliare e levigare il legno traspare dalla ricchezza e varietà dei tanti capolavori in miniatura che esegue con precisione di dettagli e sagace fattura: macchinine, mortai, pipe, portacandele, cannoncini, “Pinocchi” dall’aria trasognata e orologi sentenziosi sul “tempo che passa”. Mai identici uno all’altro, pur nella ripetizione del soggetto, questi esemplari sono ‘unici’ perché prodotti non in serie ma uno per uno, in legno d’ulivo, con scrupolosa cura.
Nelle sue creazioni, Cosimo Morieri trasferisce le competenze, l’intelligente manualità e la passione del suo vecchio mestiere di idraulico e manutentore di macchinari, di una vita lavorativa da artigiano.
Ultimo di quattro figli maschi, Cosimo nasce il quattro gennaio 1955 da Alfredo Morieri e Leonilde Del Genio, e ‘respira’ con i fratelli più grandi Attilio, Michele e Luigi, l’aria degli anni Cinquanta, con le difficoltà, le attese e le speranze che anche a Supersano si vivevano, dopo l’incubo del secondo conflitto mondiale e i moti contadini di occupazione delle terre.
ph Antonio Carriero (vietata la riproduzione)
  Nella convinzione che lo sviluppo economico e sociale nel Sud del dopoguerra passasse attraverso la riforma agraria, anche i braccianti salentini si erano infatti mobilitati, occupando le aree non coltivate nel comprensorio dell’Arneo. «Sulle terre incolte d’Arneo/ noi porteremo la vita ed il lavoro/ darem le terre a tutti coloro / a cui l’agrario per anni negò», cantavano i contadini tra il dicembre 1950 e il gennaio 1951. Accusato di favoreggiamento, subiva alcuni giorni di arresto anche Cesare Reho, segretario della Camera del Lavoro di Supersano, poi tra i primi a promuovere l’occupazione del latifondo nel nostro Comune, in contrada “Schillanti”. A mediare il contrasto con i proprietari De Marco, interverrà il dottore Rocco De Vitis che si adoperò per il frazionamento in piccole quote della zona “Schillanti”, assegnate con sorteggio a circa mille famiglie di Supersano. Di lì a poco, però, la Legge 634/1957 di “Rifinanziamento della Cassa per il Mezzogiorno” contribuì a spostare gli aiuti statali dall’agricoltura all’industria, con il conseguente esodo migratorio dalle campagne verso il Nord d’Italia e l’ Europa, da una parte e ,dall’altra, con lo sforzo di una emergente classe di imprenditori meridionali ad esplorare nuove strade per il riscatto e la trasformazione dell’economia locale.
A Supersano prosperavano piccole e grandi imprese, fabbriche del legno e officine del ferro dove con molta perizia si realizzavano oggetti il cui fascino balza vivo nei ricordi di Cosimo Morieri, nelle cui opere in ferro battuto si riflette quella maestria e quella cultura della manualità. Lavorando con pinze e martello, seghetto e tronchesi, Cosimo ottiene da tondini di ferro di diverso spessore forme di estrema eleganza ed espressività per “quadri” di dimensioni variabili, dai più piccoli a quelli grandi fino a 2.34 x 1.40 m. «Il ferro l’ho sempre maneggiato a freddo», dice indicandomi la morsa che va utilizzata con energia, a forza di braccia, per materializzare figurazioni di sogno. Delicate farfalle, fanciulle seducenti, idre fantastiche e mitici eroi che non destano stupore in questo lembo di Finisterrae, ponte aggettato verso la classicità greca, luogo di transito di civiltà, centro di diffusione dell’arte testimoniata dagli affreschi delle tante cripte basiliane come la Coelimanna di Supersano e del pensiero, attestato dal paziente lavoro degli amanuensi di Casole, capace di trapassare gli spessi muri del monastero e del tempo per giungere fino a noi.
Figlio di una terra dove le pietre, le tradizioni religiose, la musica della taranta evocano una magia permanente, Cosimo Morieri ne traduce, a proprio modo, la seduzione per intero.
L’incanto del passato, della storia torna nello straordinario “velocipede” che Gina De Donatis, da quarant’anni felice consorte di Cosimo, mi mostra sorridente. Cosimo ne ha realizzati due esemplari, uno in legno e l’altro in ferro, da lui stesso verniciato d’azzurro.
Di poche parole, ma cordiale e sincero, Cosimo ci addita forse, con l’antico prototipo dell’odierna bicicletta, la via per ricominciare a “pedalare”, a guardare avanti con fiducia al futuro.
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fondazioneterradotranto · 7 years ago
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Rocco De Vitis a vent’anni dalla scomparsa
Rocco De Vitis a vent’anni dalla scomparsa
Il medico, l’uomo del popolo, l’umanista
  di Luigi Montonato
Ci sono date che restano memorabili nella memoria collettiva di un paese, sì da segnare nelle conversazioni future un riferimento comune, che fanno appartenenza e identità.
La sera di sabato, 21 ottobre 2017, a Supersano, è una di queste date. Il teatro dell’oratorio “Mons. Antonio De Vitis” era piccolo per contenere tanta gente. Persone di tutte le età. Si era lì convenuti per celebrare un uomo di cui ancora gran parte dei supersanesi ha memoria: il medico Rocco De Vitis, scomparso nel 1997, a 86 anni.
Era, questi, uno di quei personaggi come nei nostri paesi se ne vedevano in passato; un medico taumaturgico, un uomo autorevole e carismatico, in cui la gente riponeva fiducia in tutto e per tutto; benestante quanto bastava per non aver bisogno di nulla; generoso e altruista, tanto da poter dare del suo ai singoli e al paese. Il suo nome, don Rocco, non aveva bisogno d’altro per sapere chi fosse.
Chi lo conobbe, tutto questo lo sa. Per chi non lo conobbe, valgono le sue opere e i ricordi-testimonianza degli altri.
La sua figura di medico, di uomo e di letterato è stata rievocata quest’anno nella ricorrenza del ventennale della sua morte, con due volumi collettanei e due manifestazioni pubbliche; promosse dai famigliari sotto l���egida della Sezione leccese della Società di Storia Patria per la Puglia, di cui è presidente il prof. Mario Spedicato, curatore anche dei due volumi insieme coi professori Franco De Paola e Maria Antonietta Bondanese e conduttore delle due manifestazioni.
La serata di sabato, per presentare il secondo dei due volumi, Rocco De Vitis medico umanista di Supersano, a cura di Maria Antonietta Bondanese e Mario Spedicato (Giorgiani, 2017), non avrebbe potuto iniziare in modo migliore per far passare il messaggio immediatamente comprensivo della ragione celebrativa. I bambini della Classe IV B della Scuola Primaria, uno accanto all’altro sul palco, si passavano il microfono per declamare in maniera stentorea frasi semplici e significare lo scorrere del tempo, il rapporto fra generazioni, l’importanza della memoria: io i nonni ce l’ho…io non ce l’ho…io ho perfino i bisnonni. I nonni, dunque, come veicoli di memoria collettiva. I nipoti come loro continuatori. La manifestazione come tappa memoriale, a segnare un approdo e, augurabilmente, una ripartenza.
Due volumi, due cerimonie; due, perché Rocco De Vitis non è stato solo un medico rispettato e amato dalla sua gente, ma anche un letterato, un uomo di cultura, forse non sufficientemente considerato in vita per i suoi meriti, che furono notevoli, a detta degli studiosi che della sua opera si sono occupati per la circostanza e non solo.
Fra le altre opere ha lasciato un diario di guerra, testimonianza della sua esperienza bellica come ufficiale medico sul fronte albanese nel corso della seconda guerra mondiale, di cui ha parlato sia nel primo che nel secondo volume Remigio Morelli, professore di Storia e Filosofia. Ma il suo impegno letterario maggiore, che ne fa un personaggio di ampiezza assai più grande di quanto non si possa scorgere da un campanile, è la traduzione delle opere di Virgilio: l’Eneide, le Bucoliche e le Georgiche, di cui hanno parlato autorevoli latinisti, fra cui la prof.ssa Maria Elvira Consoli di Unisalento. Un autentico monumento salentino al grande poeta mantovano. Un’opera imponente che sancisce la sua vocazione poetica, il suo grande amore per la classicità, la solida tenuta linguistica e letteraria.
Già prima dell’estate, all’Università, c’era stata la presentazione del primo dei due volumi, Quando Ippocrate corteggia la Musa. A Rocco De Vitis medico e umanista, a cura di Francesco De Paola e Maria Antonietta Bondanese (Grifo, 2017).
I due volumi non si sovrappongono, uno è complemento dell’altro; ma variamente destinati e perciò anche variamente impostati; fanno parte di un unico progetto. Più orientato sui contenuti letterari, pur nel contesto biografico e ambientale, il primo volume raccoglie interventi sull’opera letteraria di De Vitis, scritti da uomini di scuola e di studio, per proporre il personaggio al mondo della scuola e delle lettere, secondo la regola aurea della comunicazione di adeguare temi e linguaggio al destinatario, in questo caso di settore.
Così il secondo volume, Rocco De Vitis medico umanista di Supersano, raccoglie altri contributi, che insistono sulle stesse tematiche ma più brevi e occasionali rispetto a quelli del precedente, e comprendono anche testimonianze famigliari e paesane, dei nipoti e degli alunni della scuola locale, che conferiscono carattere più massmediale. Il volume si salda tematicamente al primo anche perché riprende i testi dei relatori della sua presentazione, come spiegato in apertura da Mario Spedicato.
Più decisamente popolare è stata la manifestazione supersanese perché, rispetto a quella leccese, rivolta ad un pubblico per certi aspetti più virtuale e lontano, ha coinvolto tutto l’universo del De Vitis, usando temi appropriati e toccando corde sentimentali per raggiungere il pubblico reale, vivo e partecipe. Non solo la drammatizzazione iniziale dei ragazzini della scuola elementare, ma anche la testimonianza del Sen. Luigi Pepe, presidente dell’Ordine dei Medici di Lecce; l’intervento del Sindaco di Supersano, dr. Bruno Corrado, medico anche lui; della rappresentante del Comitato salentino della Dante prof.ssa Francesca Giordano e soprattutto di Maria Rosaria De Vitis, figlia del Nostro, che con piglio accattivante ha ricreato atmosfere paesane e famigliari in gustosa affabulazione. Il mondo di Rocco De Vitis era tutto lì, riproposto nel video “Rocco De Vitis medico e umanista di Supersano”, proiettato nella circostanza. C’erano don Oronzo Cosi e Gino De Vitis, il direttore de “Il nostro Giornale”; i ragazzi del laboratorio teatrale “Colpo di scena” di Supersano, diretto da Giuliana De Iaco, e gli alunni dell’Istituto Comprensivo.
Libro e serata leccesi avevano aperto un percorso celebrativo, completato a Supersano, con due formidabili guide: il prof. Mario Spedicato e la prof.ssa Maria Antonietta Bondanese, col concorso della Banca Popolare Pugliese, della federazione leccese dell’Ordine dei Medici, del Dipartimento dei Beni Culturali di Unisalento, della Società di Storia Patria di Lecce, dell’Associazione “Salute Donna” e del Comitato salentino della “Dante Alighieri”.
  manifesto libri M
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fondazioneterradotranto · 8 years ago
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Libri| Quando Ippocrate corteggia la Musa
QUANDO IPPOCRATE CORTEGGIA LA MUSA
                                            A ROCCO DE VITIS MEDICO E UMANISTA
di Paolo Vincenti
Il 4 maggio 2017, nella Sala Chirico degli Olivetani dell’Università del Salento, è stato presentato il volume “QUANDO IPPOCRATE CORTEGGIA LA MUSA” dedicato al Dott. Rocco DE VITIS, medico e umanista, per i vent’anni della sua scomparsa. Ha coordinato il Prof. Mario Spedicato, Presidente della sezione di Lecce della Società di Storia Patria; sono intervenuti i proff. Luigi Montonato, Alessandro Laporta, Eugenio Imbriani; ha concluso la prof.ssa Maria Antonietta Bondanese.
Un titolo molto suggestivo che coniuga, in prodigiosa sintesi, i due interessi della vita di Rocco De Vitis: la medicina e la poesia, ovverosia la cura del corpo e la cura della mente.
“QUANDO IPPOCRATE CORTEGGIA LA MUSA – A ROCCO DE VITIS MEDICO E UMANISTA”, a cura di Francesco De Paola e Maria Antonietta Bondanese, segna il n.31 della collana “Quaderni de L’Idomeneo”, della Società di Storia Patria-Sezione di Lecce, ed è edito da Grifo (2017).
Il volume è stato realizzato con il contributo della Banca Popolare Pugliese ed infatti, dopo la Presentazione di Mario Spedicato, troviamo una bella testimonianza di Vito Primiceri, “Semper honor, nomenque tuum, laudesque manebunt” ( versi tratti dall’Eneide), carica di umanità nei confronti del medico, celebrato nell’opera, nell’affettuoso ricordo del Presidente della BPP. Quando Ippocrate, nume tutelare della medicina, incontra Calliope, la musa della poesia, ecco che emergono dal passato e si impongono alla nostra attenzione queste figure, vagamente romantiche, come De Vitis, che coniugano la pratica medica con l’amore per i classici, retaggio della loro formazione umanistica. E infatti, come scrive il prof. Spedicato, “tutte le numerose testimonianze qui raccolte concordano nell’attestare come questi suoi interessi vitali siano da considerarsi come le due facce della stessa medaglia”.
Rocco De Vitis, “don Rocco”, come lo chiamavano tutti, era nato nel 1911 a Supersano. Aveva frequentato il Liceo “Pietro Colonna” di Galatina e poi la facoltà di Medicina a Bologna, dove si era laureato, a pieni voti, nel 1937. Esercitò per una vita la professione di medico e Ufficiale Sanitario nella piccola Supersano, sua patria dell’anima prima che luogo di residenza. Pubblicò, in prima battuta, una traduzione in versi liberi dell’ Eneide di Virgilio nel 1982, con l’aiuto di vari collaboratori che curarono il commento ai dodici libri del poema. Successivamente, anche su suggerimento di Mario Marti, che era stato un suo caro amico nella giovinezza, quando frequentavano entrambi il Liceo Colonna di Galatina, pubblicò una seconda edizione dell’opera virgiliana, nel 1987, in endecasillabi puri. Pubblicò poi nel 1988 un nuovo volume contenente altri due capolavori virgiliani: le Bucoliche e le Georgiche, con testo latino a fronte, tradotte e commentate dallo stesso autore.
Rocco de Vitis nel 1941 in veste di tenente medico sul fronte greco-albanese
  L’altro suo grande amore era quello per la campagna; amava rimanere ore e ore a coltivare la terra, ad accudire i suoi animali, e a meditare sul mondo e sulla vita, nel silenzio e nella pace che offriva la collinetta di Supersano che aveva eletto a proprio rifugio, locus amoenus. Successivamente pubblicò Soste lungo il cammino, nel 1990, e Naufragio a Milano, nel 1994. Morì nel 1997 ad 86 anni.
Di lui, prima della presente opera, si sono interessati, solo per citarne alcuni, Enzo Panareo, che ha scritto la Prefazione della traduzione dell’ Eneide, Antonio Errico, Giorgio Barba, Florio Santini, Paolo Vincenti, Gino De Vitis, Direttore de “Il Nostro Giornale”, il quale, insieme a Maria Bondanese, si è speso moltissimo in questi anni per tramandare la memoria del medico umanista, ed altri.
Il libro si apre con una citazione che viene dalla letteratura latina: Homo sum, nihil humanum mihi alienum puto, tratto da una commedia di Terenzio. Il primo contributo è di Paolo Vincenti, “Il medico dalla scorza dura. Profilo bio bibliografico di Rocco De Vitis”, che riporta appunto la bibliografia degli scritti del medico umanista. Segue il contributo di Aldo de Bernart, storico e scrittore parabitano ruffanese, scomparso nel 2013, che fu molto amico del dottor De Vitis. Il contributo di de Bernart è tratto da una manifestazione tenutasi a Supersano nel 2007 in occasione del decennale della scomparsa del medico. Lo scritto di Maria Bondanese, “Il dottore: una vita, una storia che parla di noi”, è il più carico di sentimento e non potrebbe essere altrimenti essendo la Bondanese, non soltanto nuora di De Vitis, ma la più fervente ammiratrice del medico umanista, la più gelosa custode delle sue memorie. In effetti, in questi anni, se è stata tenuta viva la memoria del De Vitis, ciò si ascrive a merito della dinamica Bondanese, e a maggior gloria del dottore. Lo scritto di Maria, con il titolo “Rocco De Vitis, dottore” era già apparso in “Apulia. Rassegna trimestrale della Banca Popolare Pugliese” (Martano editrice), nel dicembre 2007, così come da “Apulia”, stesso numero, proviene anche l’accorato scritto di Aldo Bello (“Il tarlo dell’umanesimo”), che della rivista matinese era Direttore e la cui prematura scomparsa costituisce un’altra dolorosa perdita per la cultura salentina.
Bondanese ricostruisce le drammatiche tappe dell’esperienza fatta al fronte dal dottor De Vitis, rileggendo il suo diario di guerra. Questa intensa testimonianza della Seconda Guerra Mondiale, vissuta in prima persona dal protagonista, servì poi da spunto al medico per l’opera Soste lungo il cammino. Nel suo scritto Bondanese si sofferma anche sulle opere maggiori di De Vitis, le traduzioni di Eneide, Georgiche e Bucoliche, e sono anche riportate belle foto in bianco e nero con gli autografi di De Vitis, gli scenari di guerra che egli toccò nella sua esperienza di soldato, e anche dei manoscritti della traduzione dell’Eneide. Inoltre vengono da lei ricostruiti i momenti salienti dell’attività sociale e politica del medico nell’immediato secondo dopoguerra, sullo sfondo storico di quell’epoca di ricostruzione e grandi mutamenti. Alla fine del pezzo, troviamo delle foto del Dottore in occasioni pubbliche e in occasione della inaugurazione della chiesetta eretta per devozione a San Giuseppe, nel 1984, sulla Serra supersanese.
Molto significativo, anche per l’alta carica ricoperta dal suo autore, è il testo di Don Gerardo Antonazzo, originario di Supersano e Vescovo di Sora-Cassino-Aquino Pontecorvo: “Nella sapienza del cuore la vera saggezza”. Ma c’è un altro prelato che contribuisce al volume ed è Don Oronzo Cosi ( con “Una specie in via di estinzione”), non meno caro ai supersanesi, in quanto Parroco del paese. Viene poi ripubblicato un testo di Mario Marti, “Io e Il Nostro Giornale”, indirizzato alla rivista supersanese, appunto “Il Nostro Giornale” ( una delle più longeve esperienze editoriali del Salento), nel maggio del 1997. Interessante anche il contributo di Carla Addolorata Longo, “Un mirabile lascito di pensiero e di vita”, che si sofferma sulle pubblicazioni di De Vitis trovando spunto nelle tematiche da esse affrontate per occuparsi anche della nostra attualità più stringente. Matteo Greco, nel suo “Sprofondamenti metropolitani e orizzonti meridionali”, analizza in particolare l’opera “Naufragio a Milano”.
“Un’esperienza indimenticabile”, definisce lo scultore Antonio Elia la realizzazione, per conto del dottor De Vitis, di alcune opere nella Chiesa di San Giuseppe, adornata anche dalle pitture di Ezio Sanapo, sulla collina supersanese. Elia illustra le varie fasi di lavorazione fino alla perfetta conclusione del tutto. Nella seconda sezione del libro, “L’humus dell’humanitas”, troviamo alcuni contributi che legano l’omaggio a Rocco De Vitis con la conoscenza del suo territorio, Supersano e il basso Salento.
Il primo contributo è “Breve profilo socio-economico del Salento negli anni ’50” di Gianfranco Esposito; poi “La decorazione nella cripta della Madonna Coelimanna”, di Stefano Cortese e “Il Santuario della Vergine di Coelimanna in Supersano” di Stefano Tanisi; seguono “Supersano Torrepaduli Ruffano” di Vincenzo Vetruccio e “Il dialetto di Supersano” di Antonio Romano. In particolare, i contributi di Cortese e Tanisi erano apparsi, in forma sintetica, nella guida del MUBO-Museo del Bosco di Supersano, lo scrigno che contiene la memoria storica dell’antico Bosco di Belvedere, ricordato anche da Cristina Martinelli nel suo scritto “Tra documento identitario e poesia, Tu Supersano”, in cui analizza una poesia del De Vitis, tratta dal libro Soste lungo il cammino, dedicata al “Lago Sombrino”, un tempo preziosa risorsa del Bosco.
Molto interessante e documentato l’intervento di Giuseppe Caramuscio, “La memoria della Scuola come scuola della memoria: Galatina e il suo Liceo Classico”, una storia del prestigioso Liceo Colonna di Galatina frequentato da Rocco De Vitis e dal grande Mario Marti. Parimenti interessante il contributo di Alessandro Laporta, “Se è lecito al medico esser poeta (Galateo, Meninni, De Giorgi, De Vitis)”, il quale fa una carrellata di dotti ed eruditi del passato che alla medicina erano legati per interesse o professione dimostrando magistralmente come l’arte ippocratica e quella poetica, scienza e humanitas, come dicevamo all’inizio, rappresentino un forte connubio esemplato dall’amore riversato dal Nostro verso entrambe le discipline. Remigio Morelli si occupa della dolorosa esperienza della Seconda Guerra Mondiale “Un anno sul fronte greco-albanese”, che vide impegnato Rocco De Vitis, come già ricordato.
Quello di De Vitis va ad unirsi a tanti altri ritratti di salentini illustri che in questi anni la Società di Storia Patria Sezione Lecce ha tracciato nelle sue tre collane. Emerge un amore incondizionato nei confronti della piccola patria da parte di questi suoi figli devoti, non solo studiosi e specialisti delle humanae litterae, ma anche esponenti delle professioni più disparate che a vario titolo si sono confrontati con la letteratura, la poesia, il romanzo, i racconti, la memorialistica, ecc.. Questo, il caso del Nostro, che per tutta la vita ha coltivato, proprio come la sua campagna, l’amore per la letteratura latina e per Virgilio e che con l’opus magnum del “savio gentil che tutto seppe” ha intessuto un lungo dialogo. Sembra quasi di vederlo, De Vitis che, spogliatosi dei panni rustici di ritorno dalla campagna, e indossato l’abito buono, novello Machiavelli de “Le lettere familiari”, penetra “nelle antique corti delli antiqui uomini”, interrogando filosofi, storici e poeti del passato, e “da loro amorevolmente ricevuto”, gli domanda le ragioni delle loro azioni e quelli gli rispondono.
Con la terza sezione del libro, “Vergiliana”, si entra nel vivo dell’opera maggiore di De Vitis, la traduzione dell’Eneide. Questa sezione è una antologia di saggi critici a cura di latinisti che sviscerano l’opera devitisiana entrando nel merito di contenuto, stile, traduzione, metodologia, con approccio specialistico. Gli studiosi, che danno a questa sezione del libro un taglio tecnico scientifico sono: Giovanni Laudizi, con “La traduzione dell’Eneide, delle Bucoliche e delle Georgiche”; Maria Elvira Consoli, con “Dell’Eneide di Rocco De Vitis”; Paola Bray, con “ Quali doni, quali a te mai darò per tale carme?”; Antonio Errico, con “Il traduttore, il suo poema, i segreti del verso”; Maria Francesca Giordano con “Un segmento di lettura didattica sfogliando le pagine dell’Eneide”; Angela Maria Silvestre, con “La missione di Enea e la traduzione di Rocco De Vitis”; Paolo Agostino Vetrugno, con “Le traduzioni devitisiane di Virgilio tra espressività ed armonia”; Giuseppina Patrizia Morciano, con “L’epicità di Virgilio. Tradizione e traduzione nella lettura di un classico”.
La quarta sezione, “Tra storia e Letteratura”, riserva spazio a contributi di storia e conoscenza del territorio, in linea con la vocazione di questa collana editoriale. Troviamo allora Alessandra Maglie, con “Conflitti e narrazioni nella Terra del Rimorso. Tarantismo ed esperienza mitica secondo Ernesto De Martino”; Maria Antonietta Epifani, con “Maria Manca: la santa di Squinzano”; Sergio Fracasso, con “Il progetto ‘fallito’ dell’Orfanotrofio San Francesco (poi Istituto ‘Margherita di Savoia’) e il problema dell’infanzia abbandonata alle soglie del decennio francese”; Antonio Cataldi, con “ Contributo per una storia dei missionari lazzaristi italiani in Etiopia ed in Eritrea nel periodo coloniale”; Michele Mainardi, con “L’Istituto tecnico di Lecce e l’Orto Agrario”; Arcangelo Salinaro, con “Il letterato Alfredo Mori in Puglia: una caso”; Luigi Scorrano, con “ Con un vescovo di fronte alla guerra e nell’Inferno di Dante”.
Con l’Indice dei volumi pubblicati si conclude questo libro. Un’opera imponente, per qualità e mole dei contributi presenti, per la quale dobbiamo essere grati al medico umanista De Vitis.
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fondazioneterradotranto · 8 years ago
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Alfredo Mariano, tra gli ultimi costruttori di traini del Salento
foto Cantoro – Supersano
Mesciu   Alfredu
di Maria Antonietta Bondanese
“Acqua alle rote!” L’espressione proverbiale che invita a fare in fretta, evoca l’atto delle “ferratura” delle ruote. Operazione di sveltezza e precisione. Alfredo Mariano, carpentiere da decenni per bravura e per passione, me ne spiega le fasi.
Tutto è foggiato a mano: il mozzo, i dodici raggi da inserire a due a due nelle “caviglie”, cioè i gavelli o parti della circonferenza uniti mediante la “ mmicciatura”.
Per dare compattezza e durata alla ruota, si prepara quindi il cerchio esterno in ferro. Non solo “mesciu d’ascia”, Alfredo è anche eccellente fabbro, perché « in questo mestiere se non sai lavorare ferro e legno, non puoi fare niente», dice con un sorriso, leggendomi in volto ammirazione e rispetto per un’arte che richiede competenze diverse, dall’uso sapiente di scalpello, pialla e sgorbia a quello di tornio, incudine, mazze e martelli.
Foto Cantoro – Supersano
  Da una spessa spranga di ferro si ottiene, infatti, con pazienza un cerchio, saldato alle due estremità, dilatato poi a caldo, su un letto di brace, essendo il suo diametro più piccolo rispetto a quello della ruota cui è destinato. Con apposite tenaglie viene calato sulla ruota, battuto per un perfetto incastro e subito raffreddato, in modo che aderisca senza bruciare il legno.
Un canovaccio che è lo stesso da tempo immemorabile, cui però l’abilità e la personale esperienza aggiungono sempre piccoli o nuovi accorgimenti perché ogni “pezzo” che esce dalle mani del carpentiere – traino, biroccio, calesse o sciarabbà – sia un capolavoro, motivo di orgoglio e di prestigio per il suo artefice.
Patrimonio di perizia e conoscenze che potrebbe essere fatto salvo dalle nuove generazioni se considerato non come relitto di un passato perduto ma come vitale artigianato da reinterpretare nel presente. «Da ragazzo – ricorda Alfredo – guardavo lavorare ‘mesciu Giorgi’, vicino casa mia…allora il mestiere si imparava con gli occhi, senza chiedere niente». Scampato nel 1981 ad un grave incidente nel quale subisce la menomazione del braccio destro – momenti di dramma che ancora vibrano nella voce commossa della moglie Rita e di Alfredo la cui profonda devozione alla Madonna di Celimanna lo aveva spinto solo una settimana prima ad intervenire per spegnere un incendio da corto circuito al contatore del santuario -, dopo qualche anno Alfredo cessa la sua attività nell’azienda agricola Frascaro e inizia, con intraprendenza e coraggio, a lavorare il legno, riproducendo prima eleganti vascelli inglesi in miniatura, poi restaurando e costruendo gli antichi mezzi di locomozione, carrozze e traini, memore dell’arte di ‘mesciuGiorgi’.                                                                                                                  
foto Cantoro – Supersano
  Le suggestive sfilate di traini, sciarrette e sciarabbà che l’Associazione “Tradizioni Popolari” di Supersano propone nel maggio fiorito per le vie del nostro paese, già da qualche lustro, attestano curiosità ma anche interesse nei più giovani, emozionando gli anziani che, nei primi anni del secondo dopoguerra, vedevano interminabili file di carretti passare la notte del 14 agosto, diretti a Torrepaduli, a San Rocco, il santo taumaturgo tanto venerato.
Avanzavano lentamente, con le lanterne accese sistemate in basso, sotto il carretto, per rischiarare la strada, in un’atmosfera di sacrale attesa, di umile gioia, tra stornelli e suoni di tamburello. Un sentimento della festa che nessun mezzo di trasporto odierno potrebbe mai ricreare. Anni difficili, di miseria, ma proiettati verso una speranza di riscatto in un’ Italia che risorgeva dalle macerie della guerra. I fallimenti della riforma agraria, della Cassa per il Mezzogiorno, e poi ancora dell’ “aggancio del Sud all’Europa” hanno ucciso, uno dopo l’altro, quella speranza determinando oggi l’ennesima fuga a Nord di braccia e cervelli del Meridione.
Mola, trapano, troncatrice, calandra e “stringicantu”, sega e saldatrice: varie le macchine e gli attrezzi con cui Alfredo ha realizzato nel tempo straordinari manufatti che hanno lasciato Via Castagna per raggiungere committenti da ogni provincia di Puglia, tanto prezioso e ormai raro è il suo talento. Strumenti che raccontano un’altra storia, non di fallimenti ma di una battaglia vinta grazie a ingegnosità e inventiva.
Le stesse che leggiamo nelle geometrie di muretti a secco che delimitano confini e “cisure” nelle nostre campagne. Merletti di pietre, muta bellezza di una architettura senza architetti. Bellezza da custodire integra, per una rinascita dei nostri luoghi, un ritorno nei vecchi centri storici, a ripristinare case dalle volte a botte o a stella, a restituire l’anima a cose e mestieri dismessi.
Foto Cantoro – Supersano
  Bellezza che riluce dal traino ben fatto, il quale va non solo bilanciato in modo da “nè mpicare annanzi, né mpicare arretu” ma va pure “stracallato” – sottolinea compiaciuto Alfredo -, reso gradevole agli occhi con decorazioni a colori vivaci, rosso, bianco, indaco, giallo e curato nei minimi dettagli: dalla “lettéra”, il piano di seduta, alle sponde laterali, dette “ncasciati”, al “valenzinu”, il bilancino con ‘tappone’ di ferro per attaccare il cavallo. Bordature e filettature conferiscono infine simmetria e nitore all’opera, eseguita a “regola d’arte” come vuole la tradizione di un mestiere dalla forte identità.
Emblema di un Sud che non si arrende agli schemi omologanti della globalizzazione e sa valorizzare la memoria collettiva, con le proprie forme di vita, le proprie forme di pensiero e di lavoro.
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