Tumgik
#Antonio Massimo Calderazzi
gregor-samsung · 4 years
Text
“ L'unica scossa seria all'ottimismo dei razzisti circa i pericoli del movimento negro* era stato il boicottaggio degli autobus urbani nella città di Montgomery per protesta contro la loro segregazione: durò un anno intero (1955-56) ed ebbe successo. Questo successo rivelò un grande leader, Martin Luther King jr., capo di un'organizzazione che aveva nome Southern Christian Leadership Conference (SCLC) e predicatore della dottrina della non violenza. Dopo vari episodi del tipo di boicottaggio di Montgomery, nel 1960 il movimento dei diritti civili fece la sua grande prova con i sit-ins. Il 1° febbraio quattro studenti negri di Greensboro (Carolina del Nord) si sedettero ad una tavola calda, chiesero una bevanda e quando fu loro rifiutata perché erano negri restarono seduti in silenzio, costringendo i razzisti a ricorrere alla violenza e alla coercizione poliziesca. Cosí incominciarono i sit-ins: nel giro di un mese si diffusero a sette Stati del Sud e tale fu la prova di dignità e di forza d'animo data dai giovani negri che ad essi si unirono un certo numero di simpatizzanti bianchi, prevalentemente giovani e settentrionali e l'opinione pubblica del Sud, pur nel suo immancabile irrigidimento, accusò il colpo. «Vi logoreremo — aveva detto ai bianchi King — con la nostra capacità di sopportazione. Nel guadagnarci la nostra libertà parleremo al vostro cuore e alla vostra coscienza e alla fine vi vinceremo». In tutto il Sud i migliori fra i negri, soprattutto della generazione giovane, si sentirono chiamati all'azione, sia pure non violenta. Una ribellione, si noti, che si rivolgeva non solo contro la sopraffazione dei bianchi, ma anche contro la frustrazione, la paura e la remissività dei loro padri: contro gli «zii Tom», i negri che accettano il destino del servaggio e propagano la sopportazione e la prudenza. Un movimento cosí vigoroso colse alla sprovvista le organizzazioni tradizionali del movimento negro, già allora troppo moderate, come la National Association for the Advancement of Coloured People (NAACP) e il Congress of Racial Equality (CORE). Pur restando nell'ambito dell'integrazionismo, cioè pur avendo lo stesso obiettivo finale dell'azione tradizionale, i sit-ins, le marce e i boicottaggi per protesta attestavano qualcosa di nuovo per la novità dei mezzi e dei modi d'azione, per la vastità e spontaneità della partecipazione negra, per la larga presenza dei giovani. Attestavano il passaggio all'azione laddove nel passato si era perseguita quasi esclusivamente la rivendicazione morale e legale. Il risultato fu in un anno la desegregazione, quanto meno momentanea, di locali pubblici, teatri, alberghi, piscine, ristoranti, parchi, biblioteche, tribunali, gallerie d'arte, chiese, in un centinaio di città meridionali. I negozi e le imprese appartenenti ad oltranzisti furono boicottati: era una ritorsione efficace perché provocava danni economici. Nel 1960 la reazione bianca fu piuttosto contenuta. Non cosí nel 1961 quando, soprattutto nell'Alabama, i razzisti risposero con brutale violenza ai freedom rides (viaggi della libertà) organizzati dal CORE per desegregare gli autobus e le loro stazioni. Ma ormai la lotta per i diritti civili era diventata un fatto di grande portata. La nazione intera e l'opinione mondiale diventavano consapevoli della pacifica rivoluzione che si era aperta. Negli Stati Uniti l'indifferenza e il conservatorismo in materia razziale divennero meno rispettabili; i due grandi partiti furono indotti a dirsi solidali, quanto meno a parole, con il movimento dei diritti civili. John Fitzgerald Kennedy ascese alla presidenza promettendo un'azione senza precedenti in favore dei negri. Ma tutto ciò, se impensierí i razzisti, non li sgomentò. Roccaforti della segregazione restarono le scuole: nove anni dopo la sentenza della Corte suprema, non erano piú di 13.000, su oltre 2,8 milioni, gli scolari negri che nel Sud frequentavano classi integrate. La situazione non è migliorata nel 1968, quattordici anni dopo il verdetto. Quest'ultimo fu «storico», ma gli effetti pratici furono insignificanti; anzi quanto piú era stato storico, tanto aveva fallito ai suo scopo. “
Antonio Massimo Calderazzi, La rivoluzione negra negli Stati Uniti, Editore dall’Oglio (collana I corvi n° 170), 1968¹; pp. 246-49.
*AVVERTENZA: L’autore, dal 1958 membro dell’ISPI e redattore della rivista Relazioni Internazionali, adotta il termine “negro/a” non con valore spregiativo ma conformemente all’uso della lingua italiana dell’epoca e del contesto americano, dove negro (pl. negroes) era largamente usato nel dibattito pubblico dagli stessi attivisti dei movimenti anti-segregazionisti.
2 notes · View notes
gregor-samsung · 5 years
Quote
I razzisti bianchi non hanno rinunciato a servirsi contro il movimento negro di quella che in America è un'arma tagliente: l'accusa di comunismo. Quando fu rivolta per la prima volta contro i leaders del movimento negro non è facile accertare, e sarebbe una ricerca storica interessante. È certo che la « resistenza » razzista della Black Belt non mancò di stabilire un'identità fra lotta antirazzista e anticomunismo. L'integrazione, si sostenne e ancora si sostiene, è uno degli obiettivi della cospirazione comunista e i rossi mirano alla « ibridazione » delle razze quale condizione per il collasso della società americana. Le organizzazioni antirazziste, persino quelle moderate di opposizione « costituzionale », sono al servizio del comunismo internazionale. È lo stesso abito mentale per il quale si arrivò ad affermare con serietà che il presidente Eisenhower era un comunista tesserato (“a card-carrying Communist”), la Corte suprema uno strumento dei cospiratori e gran parte del mondo della cultura e della religione infiltrato o dominato dalla sovversione comunista. In effetti la « resistenza » razzista ha implicazioni politiche che trascendono la questione razziale: si tratta di difendere la struttura classista e il predominio dei gruppi privilegiati. Mentre ciò non vale, evidentemente, per gli strati inferiori del razzismo, completamente dominati dall'odio razziale, per i ceti oligarchici del Sud l'asserzione della white supremacy ha anche il significato di oltranzismo conservatore, di tentativo di fermare l'avanzata dei tempi moderni, con il suo portato livellatore. Al limite si può essere un oltranzista della Vandea americana senza odiare i negri. Ciò che è determinante è che si respinga la presunzione posta dalla società contemporanea che gli uomini sono tutti uguali e possono aspirare ad una certa uguaglianza delle condizioni. Ne sia illustrazione il fatto che nel 1948 i White Citizens Councils, federatisi fra di loro in tutto il Sud, appoggiarono la candidatura per la presidenza degli Stati Uniti di J. Strom Thurmond capo del Partito dei Diritti degli Stati, o Dixiecrat. Fra gli obiettivi del partito non era solo di combattere i negri, ma anche di lottare a tutti i livelli contro candidati e programmi progressisti. E non è stata significativa la completa disponibilità di Goldwater, il capo dell'oltranzismo repubblicano, per la causa razzista? Goldwater non era un sudista, né il suo partito aveva tradizioni sudiste e razziste, ma ciò non impedì nel 1964 che la coalizione con i razzisti si saldasse sul terreno della solidarietà reazionaria. Un elemento di debolezza è però rappresentato dalla circostanza che questa caratterizzazione reazionaria della leadership razzista è fatta, ad un certo punto, per entrare in conflitto con la sua base popolare. Al fondo, quest'ultima ha interessi opposti a quelli dell'oligarchia, tanto più in quanto quest'ultima è l'avversaria naturale del movimento sindacale, delle imposte progressive, del Welfare State, di tutto ciò che sa di « sinistra ». Quanto si è rilevato sopra conferma che tutte le forme di discriminazione razziale e classista sconfinano quasi sempre nella negazione delle libertà civili e dei diritti dell'uomo. Una delle concause di ciò è — soprattutto negli anni '50 — la paura, in certi casi il pretesto, del comunismo, della sovversione e della « slealtà ». Pertanto le posizioni di oltranzismo razzista coincidono in genere con l'oltranzismo anticomunista. Fra le 150 amministrazioni di città o di contea che entro il 1950 avevano emesso decreti e delibere contro comunisti e sovversivi si distingueva Birmingham, tristemente famosa nel mondo come centro di razzismo. Tale città si attribuiva il diritto di espellere i comunisti entro due giorni, nonché di comminare pene draconiane anzi folli a carico dei trasgressori: 100 dollari e 6 mesi di detenzione per ogni giorno di permanenza illegale nella città. Tale ordinanza, per la verità, era a tal punto esorbitante che presto venne dichiarata incostituzionale.
Antonio Massimo Calderazzi, La rivoluzione negra negli Stati Uniti, Editore dall’Oglio (collana I corvi n° 170), 1968¹; pp. 164-67.
AVVERTENZA: L’autore, dal 1958 membro dell’ISPI e redattore della rivista Relazioni Internazionali, adotta il termine “negro/a” non con valore spregiativo ma conformemente all’uso della lingua italiana dell’epoca e del contesto americano, dove negro (pl. negroes) era largamente usato nel dibattito pubblico dagli stessi attivisti dei movimenti anti-segregazionisti (ad es. il Civil Right Movement di Martin Luther King Jr.).
21 notes · View notes