#Alberto Cugini
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Monolicious II – de nouvelles photos d’architecture par Sebastian Weiss
Nouvel article publié sur https://www.2tout2rien.fr/monolicious-ii-de-nouvelles-photos-darchitecture-par-sebastian-weiss/
Monolicious II – de nouvelles photos d’architecture par Sebastian Weiss
#Alberto Cugini#Aldo Rossi#Andrea Maffei#Angelo Mangiarotti#Arata Isozaki#Arquitectonica#batiment#Bernardo Fort Brescia#Boris Podrecca#Bruno Morassutti#Carlo Aymonino#Cino Zucchi#eglise#Elisabetta Fabbri#Feltrinelli#Gallaratese#GglNoInd#Giancarlo Ragazzi#Giovanni#Giuseppe Meazza#Henry Hoffer#Herzog & de Meuron#immeuble#italie#Mario Botta#milan#Monolicious#OMA#prada#Sebastian Weiss
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Ogni clan familiare ha la propria pecora nera. La pecora nera del nostro clan è cugino Alberto. Ieri sera, nel gruppo cugini di whatsapp, ci ha scritto che ha bisogno del nostro aiuto perché vuole ricostruire la cronistoria della nostra famiglia. Ovviamente nessuno della chat ha risposto al suo messaggio. Io avrei tanto voluto scrivergli: "a che pro?", ma poi ho pensato: a che pro scrivergli: "a che pro?".
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100 Songs in Italian from the 70s
100 Songs in Italian from the 70s 100 Songs in Italian from the 70s, including: Adriano Celentano - Chi Non Lavora Non Fa L'amore, Domenico Modugno - La lontananza, Lucio Battisti – Anna, Massimo Ranieri - Sogno d'amore, Mina – Insieme, Nicola di Bari - La Prima Cosa Bella and many more!!! Subscribe to our channel to see more of our content! 1. 1970 Adriano Celentano - Chi Non Lavora Non Fa L'amore 2. 1970 Domenico Modugno - La lontananza 3. 1970 Lucio Battisti - Anna 4. 1970 Massimo Ranieri - Sogno d'amore 5. 1970 Mina - Insieme 6. 1970 Nicola di Bari - La Prima Cosa Bella 7. 1970 Nino Manfredi - Tanto pè cantà 8. 1970 Orietta Berti - Fin che la barca va 9. 1970 Ornella Vanoni - L'appuntamento 10. 1970 Raffaella Carrà - Ma che musica maestro 11. 1970 Renato Dei Profeti - Lady Barbara 12. 1970 Sergio Endrigo - L'Arca di Noè 13. 1971 Bruno Lauzi - Amore Caro, Amore Bello 14. 1971 Equipe 84 - Casa Mia 15. 1971 Formula 3 - Eppur mi son scordato di te 16. 1971 Iva Zanicchi - Un fiume amaro 17. 1971 Lucio Battisti - Pensieri E Parole 18. 1971 Lucio Dalla - 4/3/1943 19. 1971 Mina - Amor mio 20. 1971 Nicola Di Bari - Il Cuore È Uno Zingaro 21. 1971 Nuovi Angeli - Donna felicità 22. 1971 Pooh - Tanta Voglia Di Lei 23. 1971 Raffaella Carrà - Chissa Chi Sei 24. 1972 Adriano Celentano - Un albero di trenta piani 25. 1972 Delirium - Jesahel 26. 1972 Gianni Nazzaro - Quanto È Bella Lei 27. 1972 I Dik Dik - Viaggio di un poeta 28. 1972 I Nomadi - Io Vagabondo 29. 1972 Loretta Goggi - Vieni via con me 30. 1972 Lucio Battisti - I giardini di marzo 31. 1972 Mia Martini - Piccolo Uomo 32. 1972 Mina - Grande, grande, grande 33. 1972 Mina & Alberto Lupo - Parole Parole 34. 1972 Pooh - Pensiero 35. 1973 Claudio Baglioni - Questo Piccolo Grande Amore 36. 1973 Gabriella Ferri - Sempre 37. 1973 I Camaleonti - Perchè Ti Amo 38. 1973 Lucio Battisti - Il Mio Canto Libero 39. 1973 Marcella Bella - Io domani 40. 1973 Massimo Ranieri - Erba Di Casa Mia 41. 1973 Mina - Eccomi 42. 1973 Patty Pravo - Pazza idea 43. 1973 Peppino Di Capri - Un grande amore e niente piu 44. 1973 Pooh - Io E Te Per Altri Giorni 45. 1974 Adriano Celentano - Bellissima 46. 1974 Claudio Baglioni - E Tu 47. 1974 Drupi - Piccola E Fragile 48. 1974 Gianni Bella - Più ci penso 49. 1974 Gigliola Cinquetti - Alle Porte Del Sole 50. 1974 I Cugini di Campagna - Anima mia 51. 1974 I Nuovi Angeli - Anna da dimenticare 52. 1974 Marcella Bella - Nessuno mai 53. 1974 Riccardo Cocciante - Bella senz'anima 54. 1975 Claudia Mori - Buonasera Dottore 55. 1975 Claudio Baglioni - Sabato Pomeriggio 56. 1975 Domenico Modugno - Piange il telefono 57. 1975 Drupi - Sereno è 58. 1975 Homo Sapiens – Tornerai tornerò 59. 1975 I Santo California - Tornerò 60. 1975 Mal - Parlami d’amore Mariù 61. 1975 Mina - L'importante è finire 62. 1975 Wess e Dori Ghezzi - Un Corpo e Un Anima 63. 1976 Adriano Celentano - Svalutation 64. 1976 Daniel Sentacruz Ensemble - Linda Bella Linda 65. 1976 Gianni Bella - Non Si Può Morire Dentro 66. 1976 Gianni Morandi - Sei Forte Papà 67. 1976 Lucio Battisti - Ancora Tu 68. 1976 Oliver Onions - Sandokan 69. 1976 Pooh - Linda 70. 1976 Riccardo Cocciante - Margherita 71. 1977 Angelo Branduardi - Alla Fiera Dell´Est 72. 1977 Claudio Baglioni - Solo 73. 1977 Collage - Tu Mi Rubi L' Anima 74. 1977 Daniela Goggi - Oba-ba-lu-ba 75. 1977 Homo Sapiens - Bella da morire 76. 1977 Matia Bazar - Solo tu 77. 1977 Oliver Onions - Orzowei 78. 1977 Umberto Balsamo - Angelo Azzurro 79. 1977 Umberto Tozzi - Ti Amo 80. 1978 Adriano Celentano - Ti avrò 81. 1978 Alan Sorrenti - Figli Delle Stelle 82. 1978 Anna Oxa - Un'emozione da poco 83. 1978 Antonello Venditti - Sotto Il Segno Dei Pesci 84. 1978 Elisabetta Viviani - Heidi 85. 1978 Lucio Battisti - Una Donna Per Amico 86. 1978 Patty Pravo - Pensiero Stupendo 87. 1978 Renato Zero - Il Triangolo 88. 1978 Rino Gaetano - Gianna 89. 1978 Umberto Tozzi - Tu 90. 1979 Adriano Celentano - Soli 91. 1979 Adriano Pappalardo - Ricominciamo 92. 1979 Alan Sorrenti - Tu Sei L'Unica Donna Per Me 93. 1979 Antonello Venditti - Buona domenica 94. 1979 Julio Iglesias - Se Tornassi 95. 1979 New Trolls - Quella carezza della sera 96. 1979 Pippo Franco - Mi Scappa La Pipì Papà 97. 1979 Pooh - Io Sono Vivo 98. 1979 Pupo - Forse 99. 1979 Renato Zero - Il Carrozzone 100. 1979 Umberto Tozzi - Gloria Related Hashtags #hitsof1970 #hitsof1970to1979 #hitsof1970s #hitsof1970songs #hitsof1970uk #hitsof1970australia #hitsofthe1970sand1980s #kannadahitsof1970 #bollywoodhitsof1970 #hitsof1969and1970 #tophitsofthe1970sbillboard #pophitsofthe1970s #hitsof1970sinmusic https://www.youtube.com/watch?v=9xETfkIyeu0
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Omicidio a Mestre: Gip convalida l'arresto dei due cugini
Il Gip del Tribunale di Venezia Alberto Scaramuzza ha convalidato l’arresto dei due cugini moldavi Radu e Marin Rasu, 32 e 35 anni, per l’omicidio di Lorenzo Nardelli, il giovane massacrato nell’ascensore del condomini al civico 9 di via Rampa Cavalcavia a Mestre. I due erao stati colti in flagranza di reato, all’interno della cabina dove si trivava la vittima, in seguito ad una rissa…
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La proibizione del nuovo romanzo di Alberto Moravia
La proibizione del nuovo romanzo di Alberto Moravia
Quando la rivista omonima del gruppo Giustizia e Libertà pubblicò nell’inverno del 1935, a Parigi, un lungo articolo dal titolo “La proibizione del nuovo romanzo di Alberto Moravia”, il riferimento era a “Le ambizioni sbagliate”, il secondo romanzo dello scrittore romano dopo il successo de “Gli indifferenti”. <399 L’anonimo estensore dell’articolo, come riporta Guido Bonsaver nel suo recente…
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Sanremo 2023
Ho appena scoperto che sono usciti i nomi dei Big del prossimo festival.
Una curiosità: Leo Gassman è per caso parente di Alberto Sordi?
Io tifo i Cugini di Campagna perché ho un debole per l'antiquariato.
Comunque sia: ci divertiremo.👍
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OPEN STUDIOS TRIESTE Sabato 12 ottobre 2019 quindici studi aperti
Per Open Studios Trieste, SABATO 12 OTTOBRE 2019, nella quindicesima Giornata Del Contemporaneo promossa da AMACI - Associazione dei Musei d'Arte Contemporanea Italiani, e nell'ambito degli eventi culturali di Barcolana51 IN CITTA', quindici studi aprono le loro porte in città a Trieste. Arte nelle location in cui si realizzano i processi creativi, negli spazi fisici in cui si espongono gli attrezzi del fare. Un'opportunità di incontro personale e di approfondimento delle poetiche quanto delle tecniche, uno sguardo su ciò che accompagna il percorso creativo ante esposizione. In questa terza edizione di Open Studios Trieste, nel corso della giornata, sarà possibile accedere agli studi di Carlo Alberto Andreasi, Serena Bellini, Paolo Cervi Kervischer, Davide Comelli, Sonia Cugini, Paolo Ferluga, Guillermo Giampietro, Annalisa Metus, Paola Pisani, Alessandro Ruzzier, María Sánchez Puyade, Jan Sedmak, Davide Skerlj, Barbara Stefani, Elisa Vladilo
Orari, location e modalità di prenotazione sull’evento facebook dedicato.
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Alcune relazioni si formano senza fare rumore
Parole: 4099
Beta: Server di Discord (ad eccezione di un pezzettino)
Fandom: Sarnemo RPF (Cenone di Natale AU/Sanremo Family AU)
Ship: Ehm... Nessuna? (cioè voglio davvero fare ancora finta che non ci sia una ship?)
Avvertimenti: Avvenimenti scollegati tra loro in ordine cronologico da Pasqua all’inizio dell’estate, probabilmente tutto molto confuso, oh irony, roba seria mascherata da roba leggera, menzioni anacore che non guastano mai, per un pezzettino dato che il POV è diverso c’è del misgendering
Note autore: Ci tenevo a postare qualcosa della mia queue in onore del MtF day che è oggi... Quindi sì, con un piccolo bonus... Ecco qui! (on another note: farò la brava persona e metterò la ship almeno nei tag, quindi se siete interessat* dateci un’occhiata.) Se siete confus* su cosa dovrebbe essere tutto ciò (X) e (X). Qui si segue come procedono le cose con Cally ed Anita dal momento un cui li avevamo lasciati.
«Pronto?» Cally risponde al telefono senza neanche guardare il nome del contatto, pensa che a quest’ora del mattino può essere solo Rancore che deve gestire un’emergenza con Anastasio o magari Riccardo che ha avuto qualche idea folle. Dall’altro capo del telefono arriva un sospiro «Ti ho svegliato, vero? Diamine, mi dispiace…» dice una voce che Cally ci mette un momento a riconoscere. È più acuta del solito, più femminile, ma è inconfondibile. E poi quale altra persona che conosce potrebbe mai usare “diamine” come esclamazione? «A- Anita? No, non mi hai svegliato… Tu, piuttosto, che diavolo ci fai sveglia a quest’ora? Sono le… Sono le cinque del mattino!» risponde Cally confuso dopo aver buttato un occhio all’orologio del salotto. Sente una risatina nervosa e poi Anita risponde «Io… A volte mi sveglio molto presto… E comunque potrei farti la stessa domanda!» dice quasi con tono di rimprovero. Cally scoppia a ridere «Guarda che mi hai chiamato tu… Soffro di insonnia comunque. Posso sapere perché mi hai chiamato a quest’ora?» chiede ancora e poi non riesce a trattenersi dal prenderla un po’ in giro «Che, non riuscivi a smettere di pensarmi?» aggiunge subito ridendo tra sé e sé. «Ma senti questo! Io gli confido una cosa e subito si sente chissà chi! Incredibile!» risponde con finta indignazione Anita.
Cally si accorge che si sta sforzando di nuovo di far suonare la sua voce più acuta e non può fare a meno di chiedersi quanti esercizi abbia dovuto fare per ottenere quel risultato. C’era stato un periodo in cui anche lui avrebbe voluto imparare a modulare la sua voce a seconda che si sentisse più maschile o più femminile, ma non ci è mai riuscito, forse anche perché non si è mai liberato della paura di danneggiare le sue corde vocali. Gli sta bene così, alla fine. È uno di quelli che non ha bisogno di grandi modifiche per sentirsi più femminile, in un certo senso si sente fortunato. «No…» la voce di Anita, improvvisamente più seria lo riporta alla realtà «No, ti ho chiamato… Riguardo a quello che ti ho detto… Io… Non l’ho mai… Mai detto a nessuno. Neanche Claudia lo sa e… Ecco non so bene come gestire questa cosa… È tutto nuovo e… Mi ero abituata a dover tenere tutto nascosto… Io non voglio che questo cambi il tuo modo di vedermi solo perché provi pena per me o qualcosa del genere… Se ti stavo sulle scatole prima, ti sto sulle scatole anche adesso… Ti chiedo solo di non… Non… Dirlo in giro…» la sua voce diventa sempre più un sussurro man mano che va avanti.
Cally è estremamente confuso «Primo: che cazzo?! Ti ho detto che non intendo parlare di questa cosa con nessuno, è una tua decisione e lo capisco bene. Secondo: che cazzo?! Se ti ho evitato fino ad adesso è stato perché avevo un’idea di te che mi hai provato essere sbagliata. Non credevo che avresti parlato in quel modo alla zia Rita, non credevo che ti interessassi tanto o che ammirassi noi del gruppo dei cugini e non credevo assolutamente che avessi nascosto per tutto questo tempo la tua identità… E sono onestamente mortificato per tutto questo. Non dico che sono il tuo fan numero uno adesso, ma vorrei poterti conoscere, perché mi pare chiaro che fino ad adesso non avevo assolutamente idea di chi tu fossi su nessun livello. Mi dispiace se avevi altri piani, ma da adesso ti sei guadagnata un’impicciona amica lesbica. Se hai bisogno puoi trovarmi più o meno a qualsiasi ora, rispondo sempre al telefono ed aspettati che ti trascini a fare baldoria da qualche parte prima o poi… Chiaro?» risponde Cally quasi offeso, ma alla fine si accorge di star sorridendo. «Okay.» risponde piano Anita «Grazie, Cally.»
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Quando ormai tutti si sono sistemati da un po’ fa il suo ingresso Diodato, con la sua solita aria composta, alcuni lo osservano, ma nessuno lo saluta con più di un cenno del capo. «Direi che ci siamo tutti, allora.» annuncia Raphael mentre finisce di preparare l’ultimo tavolino da gioco «Ognuno può sistemarsi al tavolo che preferisce, oppure favorire dei biscotti che ha portato Enrico.» continua con un grosso sorriso. La serata giochi della famiglia ha inizio. Non ci sono proprio tutti ad essere onesti, più che altro solo i giovani, ma va bene così. Non tutti sono interessati. Diodato esce quasi subito per prendere una boccata d’aria. «È appena arrivato e già va a stare sulle sue…» commenta Rancore appena Diodato si trova fuori portata d’orecchio. Cally fa spallucce «Godgiven è sempre Godgiven, no?» risponde lanciando due fiches sul tavolo e buttando giù le sue carte. Anastasio si mette le mani nei capelli «Ma che cazzo, Cally hai vinto di nuovo! Un’altra scala, ma ti rendi conto?» commenta più frustrato che incazzato. Cally fa di nuovo spallucce «Sai come si dice… Fortunato al gioco… Comunque la ruota della fortuna gira, no? Vado a fare una pausa paglia, scusatemi…» risponde Cally quasi con indifferenza mentre si alza e prende il pacchetto di sigarette dalla sua giacca.
Cally esce in giardino e vede Anita seduta sul dondolo. Si va ad appoggiare alla parete lì accanto e si accende una sigaretta «Allora, come sta la mia ragazza preferita?» chiede con un sorriso. Anita alza la testa per incrociare il suo sguardo e ricambia il sorriso «Molto meglio adesso.» risponde a bassa voce.
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Cally si siede sul divano di Anita e nota un porta-cd proprio lì accanto e un raccoglitore di dischi. Ovviamente è il tipo da avere sia cd che dischi in vinile. Per distrarsi decide di guardare qualche titolo «Hai dei gusti musicali più vari di quello che avrei pensato, sai? Sono piacevolmente sorpreso…» commenta a voce più alta che può per farsi sentire da Anita nell’altra stanza. Sente una piccola risata arrivare in risposta «Grazie, immagino… Non so se è esattamente un complimento… Puoi mettere su della musica se ti va! I lettori sono vicini alla televisione…» gli dice Anita. Cally non se lo fa ripetere due volte e mette su un cd, forse qualcosa di Elvis Presley. Segue il ritmo della musica e si mette a ballare un pochino mentre aspetta che Anita si faccia viva.
Ad un certo punto sente che si schiarisce la gola da dietro la porta della sua camera «Okay… Sono pronta… Sii buono, ti prego.» annuncia e Cally ridacchia «Non ti posso promettere nulla, ma farò del mio meglio. Ti propongo una sfida, magari ti aiuta a scioglierti un po’…» risponde con calma «Oh. Okay… Spara.» lo incita Anita «Sfila a tempo di musica.» dice semplicemente Cally con soddisfazione. Anita non risponde, ma Cally riesce a capire che sta dibattendo se dargli retta oppure no. Senza preavviso apre la porta di scatto ed arriva in sala a tempo di musica come proposto da Cally. Non è vestita in modo particolarmente elaborato… Una gonna lunga ed una camicia, ma si vede quanto si senta a suo agio. Cally si rende conto di non averla mai vista con le gambe scoperte, che sono completamente depilate. Sospetta che sia per quello che ha sempre portato pantaloni lunghi anche d’estate. Per poter avere quel pizzico di libertà nel suo corpo. Cally non può fare a meno di sorridere. «Oh la la…» commenta prendendo la sua mano per farle fare una piroetta prima di trascinarla in un twist improvvisato «Devo dire che ti preferisco molto più così che con la tua maschera da “cugino Diodato”.» aggiunge subito. Anita sorride ed abbassa lo sguardo, ma Cally riesce a notare che ha gli occhi lucidi. «Grazie… Vestirsi per me è bello, ma potermi far vedere da qualcun altro così è… È molto meglio.» risponde con un sorriso rilassato.
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«Ti ringrazio per avermi invitata a casa tua…» commenta Anita mentre mangia il suo gelato. «So che non è esattamente lo stesso mangiare il gelato in casa propria…» aggiunge subito con aria colpevole e Cally ridacchia «Ehi, intanto ti assicuro che il sapore è sempre lo stesso… E poi la compagnia è molto più importante del luogo. Potrebbero anche propormi di mangiare del gelato nei giardini di Buckingham Palace, ma se dovessi farlo con mio fratello Alberto o con la zia Rita rifiuterei subito!» risponde quasi facendo cadere i loro bicchieri mentre agita le braccia. Anita si mette a ridere e sembra rilassarsi «Oh, okay okay, capisco che intendi…» commenta e apre la bocca per dire qualcos’altro, ma Cally la precede «Comunque capisco… Non ti senti pronta a girare per strada presentandoti in modo femminile, ma arriverà anche quel momento. Fino ad allora, ci sono un sacco di attività che possiamo fare in casa. Per me non c’è nessun problema. Ti ho promesso di esserti amica, no? …E a questo proposito non ti ho ancora fatto i complimenti per questo vestito! Direi che lo stile vintage fa davvero per te…» fa una piccola pausa indicando con un gesto vago il vestito di Anita e poi riprende il filo del discorso «Comunque capisco come ti senti, lo sai anche io ho avuto difficoltà al tempo del mio coming out. Cazzo, sembra quasi un secolo fa adesso…» dice con serietà sorridendole. «Non ne ho mai potuto parlare con te direttamente… Però ho sempre ascoltato quando ti spiegavi con i miei cugini… Come…? Ecco… Come funziona per te…? Come hai fatto all’inizio?» chiede Anita con fare insicuro «Se posso chiedere ovviamente, non sentirti obbligata- Accidenti scusa… Non sentirti obbligato a rispondere.» aggiunge in fretta.
Cally alza le mani «No, no tranquilla, va bene… Intanto, puoi usare anche il femminile. Uso il maschile perché è più comodo per tutti, ma non mi dispiace per niente il femminile, anzi, ogni tanto scappa anche a me.» comincia subito e le fa un sorriso per cercare di rassicurarla «Per è… Sicuramente molto diverso… Ho sempre sentito di non essere completamente a mio agio con la sfera maschile, ma nemmeno con la sfera femminile e pensavo che… Beh, pensavo che fossi io ad essere strano, capisci? Insomma nessuna delle persone che conoscevo, quando ero alle elementari o alle medie o alle superiori, dimostrava di avere quello stesso disagio… Ho provato ad ignorare la cosa, mi dicevo che erano i soliti problemi da adolescenti di cui senti tanto discutere. Alle superiori ho iniziato a sentire parlare di comunità LGBT. Sempre di nascosto, sempre solo tra alcuni ragazzi… Però mi ha spinto ad informarmi, a cercare di capire. Spesso sentivo gli adulti della famiglia che ne parlavano, ma solo tra di loro. Perfino mio padre faceva pochissimi accenni e mai a me e mio fratello. Comunque alla fine ho scoperto delle identità di genere. E più leggevo, più mi ritrovavo in quelle descrizioni e in quelle testimonianze. È stato un po’ spaventoso perché era tutto molto nuovo, ma anche una bella sensazione perché sapevo di non essere il solo, sapevo che c’era un nome per quello che provavo ed era normale.» spiega Cally con calma mentre continua a mangiare tranquillamente il suo gelato. È evidente per Anita che ha affrontato il discorso talmente tante volte che ormai è quasi come parlare di un argomento qualsiasi. Smette di mangiare ed abbassa la testa. Lei invece si sente ancora così bloccata…
Cally trattiene una risata ed indica il gelato di Anita «Guarda che se non lo mangi adesso si scioglierà tutto.» commenta facendola risvegliare dal suo momento di riflessione «Ho sentito che tu hai fatto coming out molto presto però… Com’è andata con tuo padre? Non riesco ad immaginare Raphael che reagisce male, ma non voglio presumere…» si affretta a dire mentre cerca di tirare su il più velocemente possibile le gocce che colano lungo il cono del suo gelato. Cally sbatte le palpebre un paio di volte «Ehm… Sì, sì… In pratica appena l’ho capito. Sono andato da Pa pronto a sentirmi dire chissà che cosa.» inizia a raccontare e si fa sfuggire una risatina al ricordo «Ecco… Arrivo lì dicendogli “Pa, ti devo parlare. È importante. Tu mi ascolti e poi puoi rispondere. Ma non mi devi interrompere, okay?” e lui si è subito preoccupato, perché chissà che avrà pensato. Mi ha fatto sedere accanto a lui sul suo letto, ha chiuso la porta e ha aspettato che iniziassi a parlare. Io ho quasi sputato tutto… Ho iniziato a parlare a raffica di tutto quello che avevo letto, dei commenti che sentivo in famiglia sulla comunità LGBT, di come mi sentivo io… E poi ho concluso con “Quindi sono non-binary. E non me ne frega se ti sta bene o no.” Mi ero caricato così tanto che ero diventato rosso. E lui non riusciva a credere a come avevo affrontato così deciso quel discorso… Mi ha abbracciato fortissimo. Ti giuro, ha una presa quando vuole che rischia di stritolarti, peggio di un orso… E poi mi ha detto “tale padre, tale figlio” e si è messo a ridere. Io invece, che ero ancora così pieno di adrenalina che stavo tremando, ci ho messo cinque minuti buoni a capire cosa volesse dire.» Cally sorride ancora, allegro «Per fortuna grazie a Pa ho avuto meno problemi con l’abituarmi a presentarmi con la mia identità. All’inizio pensavo di dover essere per forza il più androgino possibile, o di dover sempre mischiare elementi maschili e femminili… Come se avessi dovuto “provare” la mia identità con il mio modo di presentarmi… Poi anche grazie a lui, ho capito che bastava essere me stessa. Ogni tanto integro elementi più maschili o più femminili nel mio modo di presentarmi e ogni tanto no. Va benissimo in ogni caso. Ma ricordo bene che le prime volte che sono andata in giro con elementi che erano chiaramente “fuori dalla norma”, per dire l’equivalente di un cartello al neon che dice “EHI QUESTA È UNA PERSONA QUEER”, ero terrorizzata. Davvero. Quindi, anche se non ho avuto esattamente la tua stessa esperienza, ecco… Capisco che puoi avere difficoltà anche ad uscire come te stessa.» conclude seriamente guardando Anita dritta negli occhi. Lei ha di nuovo smesso di mangiare per concentrarsi solo sulle sue parole.
«In realtà, io… Un paio di volte sono uscita in panni femminili… Da sola… Però… Senza mai andare davvero in luoghi molto affollati… Escludendo un paio di locali… Ma… Una volta rischiai di farmi beccare da mio padre e allora… Non l’ho più fatto… Anche se dovessimo per sbaglio incontrare uno dei tuoi cugini sarebbe difficile anche solo spiegare perché stiamo prendendo un gelato insieme, figurarsi perché io sono… Vestita da donna. Però sono convinta che arriverà il giorno in cui ci riuscirò davvero. Diamine. Hai avuto molto più coraggio tu nella tua adolescenza che io da adulta…» commenta Anita quasi con vergogna. Cally prende un tovagliolo tra le mani e lo piega mentre risponde «Intanto, non è una questione di coraggio… Ognuno ha i suoi tempi, per qualsiasi cosa. Poi buon per te che hai un’amica lesbica con cui essere te stessa, no? E infine…» sorride e si sporge oltre il tavolo «Mi preoccuperei di più del fatto che non riesci a mangiare il gelato senza sporcarti il naso.» conclude ridacchiando mentre con il fazzoletto pulisce la punta del naso di Anita. Lei subito diventa rossa e si copre la faccia con le mani «È colpa tua! Mi hai distratta con tutti questi discorsi importanti e io…» prova a replicare con evidente imbarazzo e Cally scoppia a ridere ancora di più «E tu ti sei dimenticata come si mangia?» commenta tra le risate «Beh, felice di sapere che ho questo effetto ipnotico su di te, sono lusingato…» aggiunge subito continuando a ridere.
Quando finalmente Cally riesce a calmarsi, Anita scopre il volto e gli sorride leggermente «Grazie comunque.» dice seria «Sei davvero un’ottima amica. Anche se questa potevi risparmiartela…» aggiunge con un leggero tono ironico di rimprovero. Cally alza le mani «Scusa, scusa… In qualità di amica è mio compito prenderti un po’ in giro, oltre che dare qualche consiglio… E per essere del tutto onesti, anche tu hai un free pass per prendermi un po’ in giro, quindi sentiti libera di dare del tuo peggio.» risponde Cally divertito ed Anita sorride rilassata «Ah sì? Mhhh, bene… Vedremo…» commenta «E riguardo i consigli hai qualcosa da suggerire adesso?» chiede poi incuriosita indicando con un gesto la sua figura. Cally si strofina il mento con due dita corrugando la fronte «Mhhh… Come ho detto il vestito è perfetto… Devo dire che ti sai truccare davvero bene… Mhhh… Sai forse potresti farti crescere un po’ i capelli… Secondo me staresti bene… Se riesci a farti un taglio abbastanza androgino puoi sentirti più femminile senza dare sospetti alla famiglia. Che dici?» risponde con convinzione «Sai… È davvero una buona idea.» ribatte Anita con un sorriso.
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Cally si sta godendo il sole dalla sua sdraio mentre il resto della famiglia è sparso in giro per la spiaggia impegnato nelle più disparate attività. Edo e Lauro si sono piazzati al bar a riempirsi di gelato ed alcol e sembra che non abbiano molta voglia di fare altro; zia Tosca ha deciso di fare una passeggiata alla ricerca di belle conchiglie con cui probabilmente vuole fare collane e braccialetti per tutti; mentre Francesco ha trascinato Paolo in una lunga partita a racchettoni di cui nessuno sta tenendo il punteggio. A qualche sdraio di distanza da Cally c’è anche Riccardo, troppo impegnato a scambiarsi messaggi al telefono con Eugenio, che non è potuto venire in vacanza, per notare qualsiasi cosa stia accadendo intorno a lui.
Ad essere onesti Cally sa benissimo che Riccardo non è l’unico che non si sta veramente godendo la vacanza di famiglia al mare. Normalmente Cally starebbe quasi tutto il tempo in acqua, ma quest’anno ha preferito rimanere sulla spiaggia a prendere il sole. Qualche fila di sdraio dietro di lui Anita sta facendo lo stesso, o meglio sta nascosta sotto un ombrellone, completamente vestita, con un grosso libro in mano. Ha sempre fatto così ad ogni vacanza con la famiglia allargata che Cally riesce a ricordare. È riuscita a rivelargli che non si è mai sentita a suo agio in spiaggia, per un motivo che Cally riesce a capire, ma con cui lui ha meno problemi. Odia dover mettere un costume da bagno maschile. Così Cally, non avendo altro modo per aiutare Anita a superare questa situazione ha proposto di tenersi in contatto via telefono per farle compagnia, anche senza stare direttamente accanto a lei. Per tutti gli altri in famiglia loro non si sono mai parlati molto e sarebbe difficile spiegare un improvviso avvicinamento, inoltre Anita lo ha pregato di non attirare troppa attenzione su di lei e Cally non ha protestato. Quindi Cally rimane sulla sua sdraio a messaggiare di nascosto Anita mentre ogni tanto butta un occhio ai suoi cugini in acqua. In particolare Anastasio e Tarek attirano la sua attenzione e la sua frustrazione.
Anastasio e Rancore invece stanno ancora muovendo i loro primi passi in quella che potrebbe essere una vera relazione, ma sono sempre i soliti coglioni. Il che significa che nonostante ormai siano a quota tre appuntamenti e ogni volta che si guardano hanno gli occhi a cuoricino, non hanno avuto contatti oltre al tenersi un paio di volte per mano e ad un bacio sulla guancia dopo il loro primo appuntamento. In poche parole, stanno facendo incazzare Cally davvero tanto. E non solo lui a dire il vero. Un po’ tutti i cugini stanno attendendo con ansia che quei due smettano di essere dei completi coglioni. Perfino Leo, il grande amico di Anastasio, che è una delle persone più pazienti e buone che Cally conosca è arrivato quasi, per un soffio, a dire una parolaccia dopo l’ennesimo momento mancato. Ma Cally è sicuro di soffrire più di lui. Tanto per cominciare perché li vede insieme ad ogni riunione di famiglia e ad ogni uscita tra cugini, mentre Leo di solito ha contatti solo con Anastasio; poi Cally non ha la pazienza da santo di Leo, anzi, e avrebbe solo voglia di andare da quei due e sbattere le loro capocce dure l’una contro l’altra al grido di “e baciatevi, cazzo!”. Ma non può. Perché in fondo è una persona di classe e perché qualche giorno fa Anita ha suggerito di lasciare che seguano il loro percorso con i loro tempi, e per qualche motivo che non riesce a capire non può fare a meno di seguire il consiglio.
Il pensiero però gli sta impedendo di rilassarsi. Si guarda cautamente intorno e si assicura che nessuno della famiglia stia girando vicino alla sua sedia sdraio prima di afferrare in fretta il cellulare e mandare un messaggio ad Anita.
Cally: Perché mi hai consigliato di lasciar perdere quei due?
Anita: 😊 Perché anche se non sembra ho esperienza in campo sentimentale… Certe cose è meglio lasciare che si evolvano con calma…
Cally: Con calma???!!! Lo sai da quanto quei due gravitano uno intorno all’altro??!!! Non hai idea di che sofferenza è vederli fare così!
Anita: Certo che lo so! Tarek è mio cugino… Ho notato quasi da subito che c’era qualcosa tra loro… Forse anche prima di te… Non vedevo l’ora che si decidessero a fare qualcosa! Quando ho saputo che avevano avuto il loro primo appuntamento ascoltando te che ne parlavi con Lauro credo di aver fatto i salti di gioia per un pomeriggio intero.
Cally: Tu sei davvero interessata?
Anita: Te l’ho detto sono sempre interessata a tutto ciò che riguarda la mia famiglia… Anche se mi sono sempre limitata ad osservare dalla distanza… Però è anche una posizione privilegiata… Tendo a notare più cose… Sapessi quante cose ho imparato su di te 😉 E adesso ti conviene posare il telefono… Stai incuriosendo tua cugina…
«Va bene, da Rik me lo aspetto che stia attaccato al telefono così tanto, gli manca Eugenio ed è normale… Ma da te… È già la quarta volta che ti vedo tirare fuori il telefono di soppiatto per scrivere… Stai nascondendo qualcosa, Cally?» Claudia si avvicina alla sua sdraio facendogli ombra all’improvviso. Fino a pochi minuti fa era in acqua con Elodie, Cally era certo di averla vista, e a sostegno della sua idea l’acqua del mare continua a gocciolare dai suoi capelli e lungo il suo corpo. Sorride furbetta mentre si abbassa per guardarlo dritto negli occhi «Allora?» lo incalza. Cally scuote la testa con indifferenza mentre blocca discretamente lo schermo del telefono per evitare che Levante possa anche solo darci un’occhiata. «Non ho assolutamente niente da nascondere, Cla. Al massimo qualche piano diabolico in lavorazione.» risponde con un sorriso sicuro rimettendosi gli occhiali da sole. «Tu piuttosto non sei impegnata a divertirti con la tua saffica “amica”? Cosa ne ricavi dallo spiare me?» aggiunge Cally con aria di sfida e Levante ride serena «Elo è andata a prendere da bere al bar… E non ti stavo spiando… Solo normale curiosità per un importante componente della mia famiglia… Lo sai che ti voglio bene, vero Cally? E tu mi vuoi bene, vero? E mi diresti se, non so, ci fosse una ragazza speciale nella tua vita, vero?» risponde Claudia con un tono a metà tra lo scherzo e la serietà e solleva un sopracciglio per accentuare le sue domande. Cally stringe istintivamente il telefono che tiene ancora in mano e deglutisce a fatica. Non gli viene nessuna delle sue solite risposte ironiche. Abbassa gli occhiali da sole sul naso e guarda sua cugina negli occhi «Cosa ti ha fatto pensare che stessi scrivendo ad una “ragazza speciale”?» chiede genuinamente sorpreso dall’insinuazione di Levante. Lei sorride soddisfatta ed indica Riccardo a qualche sdraio di distanza con il telefono in mano ed un sorriso timido stampato in faccia «Lo vedi? Occhi da cucciolo e tutto il resto?» chiede Claudia e Cally annuisce velocemente invitandola a continuare «Avevi la stessa faccia prima.» conclude Levante con tono di grande soddisfazione un attimo prima di allontanarsi al seguito di Elodie che ha fatto ritorno con due birre in mano. Cally resta un attimo confuso ad osservare prima la cugina che si allontana con la sua ragazza, poi il cugino sulla sdraio che sorride ai messaggi del suo ragazzo ed infine al suo stesso telefono che tiene stretto in mano un po’ più forte del normale. Vorrebbe voltarsi a guardare Anita qualche fila dietro di lui, ma resiste alla tentazione ed invece sblocca il telefono all’arrivo di una nuova notifica.
Anita: Ho visto che Claudia si è allontanata… Non è andata a raccontare gossip agli altri, quindi immagino che non ti abbia beccato. 😉
Cally butta la testa all’indietro e sospira cercando di pensare a come rispondere. Eccome se lo ha beccato.
#sanremo#sanremo rpf#Sanremo rpf fanfiction#cenone di natale au#sanremo family au#sanremo 2020#quindi... avevo promesso che avrei taggato la ship... pront*?#3... 2... 1...#Jdato#yeeeeeeeee#prima volta che uso il nome qui su tumblr!#gente da qui non si torna indietro
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1 Matrimonio e 1 ritorno a TerracinA
Ci siamo sposati. Ad Agosto 2019.
Di solito queste storie i genitori le raccontano ai figli, in una serata invernale, con l’album fotografico in mano ed un sorriso malinconico.
Noi invece questo percorso lo abbiamo fatto con te ed e’ stato un lungo tuffo al cuore, al cuore delle emozioni, al cuore dei ricordi, alla radice degli affetti.
Abbiamo raccolto il percorso delle nostre vite, da soli e in coppia in un unico pomeriggio, abbiamo radunato amici, parenti, conoscenti, passanti abbiamo riassaporato tutte la scie di rapporti che ci siamo lasciati dietro in questi anni, recenti o remoti, abbiamo rivisto in un lungo e intenso pomeriggio quelle amicizie storiche, i legami indissolubili di tempi lunghi e quelle fugaci e veloci dei tempi recenti che ci hanno accompagnato nel nostro periodo lontano dall’Italia e tu, Mati sei stata li’ con noi.
D’altronde tutto era cominciato poco dopo la tua nascita, quando un anellino era comparso nella tua culla, un segreto condiviso solo tra me, te e la tua nonna Marisa che all’epoca era qui con noi a prendersi cura di te durante le tue prime settimane.
Tutto era cominciato li’ dalla corsa per le scale di mamma ad abbracciarmi per dirci che si, prima o poi, avremmo fatto una bella festa per celebrare con tutti, la gioia della nostra unione e delle nostre vite.
E tutto si e’ dipanato in un anno di organizzazioni, liste, inviti, vestiti e attese.
Un giorno lungo un anno, costruito con attenzione e fervida attesa, giorno per giorno con un percorso di avvicinamento che ci porta in luoghi pieni di ricordi e di significato, principalmente per la mia vita.
Per cercare di presentarci al grande evento, con un colorito diverso dal mortifero rosa polvere tipico delle lande anglosassoni, senza nemmeno poter contrastarlo con un capello riccio scozzese che fa tanto film di Ken Loach, decidiamo di organizzarci qualche giorno di mare antecedente il grande evento, ed alla fine la matita casualmente cade dall’alto su Terracina e precisamente sull’onda del circeo.
Ora, pochi luoghi, come quel lido, racchiudono per me, un microcosmo di emozioni, ricorde, prime volte, amicizie, radunate familiari. Tornarci dopo tanti anni e’ stato un tuffo nel passato fortissimo, per un momento nulla era cambiato, ma poi in fondo lo era tutto: incontrare tante delle facce di quelle estati di bambino e poi ragazzo e riconoscerle dopo anni e rivedere noi stessi nelle espressioni e gli atteggiamenti dei nostri figli. Un passaggio di testimone, simbolico e fortissimo, che mai avrei immaginato.
Volevo scriverlo, a te e a me stesso e lasciarlo impresso con le parole, che c’e’ stato un momento nel percorso della mia vita, in cui sono stato papa’, li’ dove sono stato per anni, bimbo e nipote, li’ dove ho fatto i primi passi reggendo un secchiello o dove mi sono sbucciato le ginocchia nei primi giri in bicicletta, li’ dove mi sono preso le prime cotte e festeggiato i miei compleanni, in cui sono stato in attesa di diventare marito, in cui ho sentito il richiamo di un futuro intenso, di un presente eccitante e tutti i fili del passato e le ombre ed impronte lasciate in quei viottoli e su quella spiagge..
POTENTE
Il sole non e’ mancato ovviamente, la pelle si e’ gentilmente colorata, il silenzio dei pomeriggi caldi di fine Agosto ha rallentato i nostri ritmi e il rotor emozionale in cui sono stato catapultato mi ha debitamente preparato ad accogliere famiglie ed amici.
Del matrimonio, ci sarebbe tanto da dire, ma saranno le foto a parlare e saranno i nostri racconti. Temevo molto la mia capacita’ di non godermi i momenti, temevo molto l’ansia da prestazione, le chiacchiere fugaci con tutti, temevo molto di farmelo scappare via questo momento unico, invece ci siamo immersi e ce la siamo goduta appieno. Un altro momento unico di questa estate unica, tutti li’ davanti a noi a celebrarsi e celebrarci, i rapporti frutto di tutti i nostri semi sparsi nella nostra vita, prima da soli e poi insieme, persone da mille luoghi, incontri dell’ultimo periodo e amici di una vita e poi i parenti, commossi e felici. Da Roma, dal Veneto, da Londra...tutti li’ in un momento unico ed irripetibile.
Forse tu, Mati, non ti sei resa conto, hai pianto tanto, ci vedevi lontani, ma da grande, ci racconteremo insieme tutte le storie, rivivremo insieme i momenti sfogliano il nostro album, magari un po’ sbiadito, forse riderai dei nostri vestiti e dei vestiti dei nostri invitati, forse ci chiederai: “chi e’ questo parente?” “chi e’ questo amico”, ma sara��� bello pensare che hai partecipato anche tu che forse questa unione l’hai resa unica e speciale, semplicemente venendo al mondo.
Oltre agli splendidi discorsi dei nostri testimoni, alle poesie dei miei genitori, alle bottiglie di vino versate senza sosta da Alberto, alle storie musicate dei romani con tanto di dinosauro gonfiabile, alle danze di zii e cugini e a qualche chicca notturna che ti racconteremo e ci racconteremo, rimarranno impressi i momenti, i suono gli odori di quella splendida giornata, ma anche del giorno successivo al lago di Bolsena.
Una coda fantastica della festa precedente con tutti altri ritmi: lenta, dilatata, delicata, bagnata prima da un pioggia torrenziale, durante la quale ci siamo stretti e riparati in un chioschetto sulla riva al lago e poi riabilitata da un pomeriggio terso, senza foschie, con un sole e un caldo delicato che ci ha permesso di tuffarci nelle acque morbide del lago per lavarci delle stanchezze e dei residui della festa e per parlare con i pochi amici che ci hanno seguito. E’ sembrata una domenica leggera e spensierata a pranzo dai nonni , dopo un sabato devastante in discoteca, quel senso di sicurezza e tranquillita’ che cerchiamo dopo una sbronza notturna.
Non cambierei nulla anzi se potessi lo rivivrei esattamente uguale ed e’ una frase che non riesco a dire spesso, mamma forse un dettaglio e me lo ha detto chiaramente, con le sue prime parole da moglie appena sveglia nel letto:
“Che coglione quel DJ!”
“Don't you know that I'll never be the same, no Cause you know my life Is in your name“
youtube
Oggi ho imparato che il 20 Luglio sono successi 2 eventi completamente scollegati che mi hanno colpito moltissimo per motivi diversi: Il 20 Luglio del 1969 Neil Armstrong cammina sulla luna e lo stesso giorno del 2001 muore a Genova Carlo Giuliani. Conquiste al di la’ dell’ umano e vite che se ne vanno. E pensare che lo stesso giorno del 1944 stava per essere ucciso Hitler in un attentato..
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LA ESCALA DE FÚTBOL Calcioomartino 18 de enero de 2019 «La primera vez que ves el estadio Giuseppe Meazza […] es imposible no empezar. Cuando está iluminado, parece una nave espacial que ha aterrizado en los suburbios de Milán ". (The Times, 2009) Cuando se habla de estadios italianos, lo primero que me viene a la mente es sin duda San Siro, o mejor dicho, el “Giuseppe Meazza” de Milán. San Siro se fundó en 1925 cuando Piero Pirelli, el presidente de Milán, hizo construir un estadio cerca del hipódromo para trotar. La estructura, construida a cargo de Piero Pirelli y diseñada por el ingeniero Alberto Cugini y el arquitecto Ulisse Stacchini, constaba de cuatro gradas rectas, una de las cuales está parcialmente cubierta, y podía albergar hasta 35.000 espectadores. La inauguración tuvo lugar el 19 de septiembre de 1926 con un partido amistoso entre el Inter y el Milán que terminó por 6-3 para los nerazzurri. El primer partido oficial se jugó el 3 de octubre con motivo del debut del Milan en la temporada 1926/1927 que finalizó con la victoria por 2-1 de la Sampierdarenese. En 1935 la planta fue comprada por el Ayuntamiento de Milán, que al mismo tiempo inició una primera operación de expansión mediante la construcción de cuatro curvas de conexión entre los stands y el aumento de la capacidad de los dos stands de cabecera. Al finalizar las obras, supervisadas por el ingeniero Bertera y el arquitecto Perlasca, el estadio tenía una nueva capacidad de 55.000 espectadores. En 1955 el estadio sufrió una drástica transformación debido a la segunda ampliación, dirigida por el ingeniero Ferruccio Calzolari y el arquitecto Armando Ronca: se construyó una estructura portante para un segundo anillo de gradas que dominaba, y en parte, cubría las antiguas gradas; la capacidad total aumentó así a 100.000 espectadores, que las medidas posteriores dictadas por la seguridad redujeron a 85.000, repartidos entre de pie y sentados, aproximadamente 60.000. En 1980, la instalación fue nombrada en memoria de Giuseppe Meazza, un jugador de fútbol de los dos equipos de Milán, Inter de Milán y el AC Milan, y dos veces campeón del mundo con la selección italiana. #sansiro https://www.instagram.com/p/CTwEsY3A4kD/?utm_medium=tumblr
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È morto fr. Marciano Morra, storico segretario dei Gruppi di preghiera di Padre Pio
È morto all’età di 91 anni fr. Marciano da Monteleone di Puglia (al secolo Ferdinando Morra). Come guardiano del Convento garganico e rettore del santuario di Santa Maria delle Grazie, il 23 maggio 1987 aveva accolto Papa Giovanni Paolo II in visita pastorale a San Giovanni Rotondo e, il 5 settembre dello stesso anno, Madre Teresa di Calcutta. Come segretario generale dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio, incarico che ha ricoperto per 18 anni (dal 1995 al 2013), nel 2002 aveva incontrato a Buenos Aires il cardinale Jorge Mario Bergoglio, desideroso di conoscere meglio la figura del Santo cappuccino.
Scritto da Stefano Campanella -17 Gennaio 2021
È morto oggi, all’età di 91 anni, fr. Marciano da Monteleone di Puglia (al secolo Ferdinando Morra), una delle figure più eminenti della Provincia religiosa di Sant’Angelo e Padre Pio dei Frati Minori Cappuccini: commendatore (Ordine al Merito) della Repubblica Italiana dal dicembre 1994, su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, aveva superato i 66 anni di sacerdozio ed aveva avuto il privilegio di vivere, sebbene per brevi periodi, nel convento di San Giovanni Rotondo con Padre Pio: dopo averlo conosciuto, custodire la sua eredità era diventata per fr. Marciano una missione, svolta attraverso le numerose pubblicazioni da lui scritte sulla vita e la spiritualità del santo Confratello, ma anche con il suo infaticabile apostolato in giro per l’Italia ed il mondo e attraverso i mezzi di comunicazione. Come guardiano del Convento garganico e rettore del santuario di Santa Maria delle Grazie, il 23 maggio 1987 aveva accolto Papa Giovanni Paolo II in visita pastorale a San Giovanni Rotondo e, il 5 settembre dello stesso anno, Madre Teresa di Calcutta. Come segretario generale dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio, incarico che ha ricoperto per 18 anni (dal 1995 al 2013), nel 2002 aveva incontrato a Buenos Aires il cardinale Jorge Mario Bergoglio, desideroso di conoscere meglio la figura del Santo cappuccino.
📷Il giorno del suo 91° compleanno.
Nato il 16 febbraio 1929 a Monteleone di Puglia (FG), da Giuseppe e Margherita Morra, sentì fin dalla più tenera età una particolare attrattiva per la missione sacerdotale, come ha raccontato egli stesso in un articolo scritto per Sentiero giovane: «Da bambino […] facevo il chierichetto nella chiesa parrocchiale del mio paese e in casa giocavo a celebrare le Messe nel pianerottolo della rampa di scale che porta da un piano all’altro. All’inizio la mia attenzione si rivolse a tre congregazioni religiose: ai Chierici Regolari di San Paolo (detti “Barnabiti”), tra i quali era sacerdote un cugino di mio padre; ai Fratelli delle Scuole Cristiane (detti “Lasalliani) e ai Preti della Dottrina Cristiana (detti Dottrinari), tra i quali erano rispettivamente entrati due cugini di mia madre. Furono spedite le domande a tutte e tre le Congregazioni, ma le risposte furono tutte negative. Tutto pieno! Tutto esaurito! Altri tempi! Intanto avevo terminato la quinta elementare e lavoravo nel bar di mio padre e nel vicino spaccio del dopolavoro, entrambi a gestione familiare. Quando mio padre partì per la guerra, nei pochi mesi della sua assenza, mi fu affidata la responsabilità dello spaccio, mentre mia madre pensava a gestire il bar. La mattina, all’età di undici anni, mi dovevo svegliare alle 6,30 per trovarmi sul posto prima dell’arrivo degli autobus di linea, da cui scendevano potenziali clienti. Il primo trimestre scolastico si avviava al termine, quando giunse al mio paese, Monteleone di Puglia, in provincia di Foggia, un frate cappuccino per predicare la novena dell’Immacolata. […] Ogni sera, con papà, mamma e le mie sorelle andavamo a sentire la predica. Ricordo che guardavo fisso il predicatore, anche se non capivo granché. Comunque gli esempi che utilizzava mi colpivano e mi rimanevano impressi. Ogni sera, al termine della novena, tornavamo a casa e, mentre mia madre preparava la cena, io mi chiudevo nella cameretta, salivo su un banchetto e, gesticolando, cercavo di ripetere quelle frasi che mi erano rimaste in mente della predica. Quel predicatore, padre Arcangelo Perrotti, mi aveva stregato. Dissi subito ai miei: “Voglio farmi frate cappuccino, predicatore”». Due obiettivi che fr. Marciano raggiunse, superando le sue aspettative. Infatti come frate cappuccino è giunto a ricoprire la carica di ministro provinciale facente funzioni, quando da vicario prese in mano le redini della Provincia religiosa (dall’8 marzo del 1984 al 17 gennaio 1985) dopo l’improvvisa morte del ministro fr. Pietro Tartaglia. Come predicatore è arrivato a svolgere il compito di segretario nazionale dei predicatori cappuccini e di segretario nazionale per l’Evangelizzazione.
📷Fr. Marciano in una recente foto con Mogol.
Un ruolo determinante, nell’accogliere la chiamata del Signore da parte del piccolo Ferdinando, è stato svolto dai genitori, come ha spiegato egli stesso: «Entrambi ne furono contenti. Con mio padre mi recai subito alla casa dell’arciprete, don Rocchino Paglia, che ci presentò a padre Arcangelo. Quest’ultimo ci ascoltò con entusiasmo e ci assicurò che, una volta rientrato a Sant’Elia a Pianisi, avrebbe convinto i vari professori a tenermi delle lezioni suppletive per colmare il vuoto formativo che avevo accumulato nel primo trimestre. Il 13 gennaio, accompagnato da mio padre, a bordo di un carretto trainato da due cavalli, partii per il seminario di Sant’Elia a Pianisi, in provincia di Campobasso».
Il 15 settembre 1946 vestì l’abito religioso e il 16 settembre dell’anno seguente emise la professione temporanea dei voti, che confermò per tutta la vita l’8 dicembre 1950.
📷
Al termine del periodo formativo, prima dell’ultimo traguardo, ancora una volta fu importante il ruolo di papà Giuseppe Vito, che consentì a fr. Marciano di sentirsi completamente libero nella scelta definitiva. Il genitore andò a trovarlo e gli disse: «Manca meno di un anno per la tua ordinazione sacerdotale. Sappi che, se ti farai ordinare sacerdote, sarà la gioia più grande che mi puoi dare. Però, se vuoi tornare indietro, troverai la porta sempre aperta e ti aiuterò intraprendere l’attività che tu vorrai». «Io – ha raccontato successivamente il diretto interessato – liberamente scelsi di essere sacerdote di Cristo e ringrazierò in eterno per questo dono grandioso di Dio».
Con questa granitica certezza, il 21 febbraio 1954, accolse l’imposizione sul suo capo delle mani dell’arcivescovo di Campobasso, mons. Alberto Caringi. Insieme a lui furono ordinati altri dieci suoi confratelli e compagni di studio, tra i quali fr. Gerardo Di Flumeri, che avrebbe svolto l’importante compito di vice postulatore della Causa di beatificazione e canonizzazione di Padre Pio.
📷Fr. Marciano con il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Carlo Verna.
I primi incarichi, svolti da fr. Marciano come sacerdote cappuccino, sono stati nel campo della formazione iniziale: prima come vice direttore del ginnasio inferiore nel convento di San Severo (anno scolastico 1954-1955), poi come direttore del seminario di Vico del Gargano (1955-1973), infine come maestro dei novizi a Morcone (1973-1974). Quindi è cominciato il ministero della predicazione che, per lunghi periodi, è coinciso con i compiti di governo nel Definitorio provinciale, con la responsabilità della Fraternità e del Santuario di San Giovanni Rotondo e con l’impegno di segretario generale dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio.
📷Il giovane fr. Marciano con Padre Pio.
Fr. Marciano conobbe Padre Pio durante una gita a San Giovanni Rotondo, organizzata per gli studenti al termine del ginnasio, prima di iniziare il noviziato. Il ricordo di quei giorni è rimasto per lui indelebile per tutta la vita: «Di Padre Pio l’impressione che ebbi fu di un papà ma, ancor di più, di un nonno. Un giorno egli si intratteneva con noi, quando si trovò a passare l’economo del convento, al quale il Confratello stigmatizzato, riferendosi a noi fratini, disse: “Mi raccomando, falli mangiare bene, perché questa è carne che cresce”. Infatti, solo da qualche anno era terminata la guerra e non si “guazzava” nell’abbondanza».
📷Fr. Marciano con Luca Sardella.
Tra gli episodi che lo hanno legato al Santo, il Cappuccino di Monteleone raccontava spesso la guarigione di suo padre, che andò a trovare il figlio a San Giovanni Rotondo dopo essere stato dimesso dall’ospedale senza grandi speranze: «Aveva un tumore ai polmoni e i medici gli avevano dato poco da vivere. Padre Pio lo guardò fisso, poi lo prese per il bavero della giacca e con l’altra mano iniziò a tirargli dei pugni sul petto dicendo: E chi te l’ha detto che tu stai malato? Tu stai bene! Stai bene!”. E subito dopo: “Ora ti saluto. Arrivederci!” Disse proprio così: “Arrivederci”. Non capii subito cosa volesse dire, ma lo compresi in seguito. Il mio papà aveva i giorni contati e invece guarì e incontrò ancora Padre Pio. Ci lasciò quindici anni dopo per un’altra malattia».
📷Fr. Marciano con il prof. Antonio Cisternino.
Da oltre cinque anni fr. Marciano era in cura per una grave forma di leucemia, che però non aveva interrotto la continuità del suo apostolato. Anche dopo il riacutizzarsi della malattia, che a settembre del 2019 lo costrinse a un ulteriore periodo di inattività per la necessità di un ricovero in Casa Sollievo della Sofferenza, appena le condizioni fisiche glielo hanno permesso, è tornato a celebrare la Messa pubblicamente, a occupare quotidianamente il suo posto in confessionale, a garantire le sue catechesi ai telespettatori di Padre Pio Tv, a sedersi alla sua scrivania con l’obiettivo di terminare a scrivere il suo ultimo libro e, trascurando le raccomandazioni dei medici, ad accettare, quando se la sentiva, qualche giorno di predicazione fuori dal convento. Infine è tornato ad essere disponibile ad ascoltare e a offrire una parola di conforto a quanti si rivolgevano a lui: di giorno nell’incontro personale, di sera, dopo cena, telefonicamente. A bloccare l’instancabile cappuccino di Monteleone è stato il coronavirus, che lo ha costretto a ulteriori due ricoveri in ospedale e a un periodo di convalescenza e di riabilitazione nel presidio residenziale “Gli Angeli di Padre Pio”. Nonostante la guarigione dal covid, il suo corpo ha subito un progressivo decadimento, che le cure mediche prestate in un terzo ricovero non sono riuscite ad arginare.
📷
Sarà possibile rendere omaggio alla salma di fr. Marciano a partire dalle ore 17,00 di oggi presso la chiesetta antica di Santa Maria delle Grazie, con ingresso contingentato per evitare assembramenti. I funerali saranno celebrati domani, alle ore 11,30, nel santuario di Santa Maria delle Grazie e saranno trasmessi in diretta su Padre Pio Tv.
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29 apr 2021 11:01 "GLI ARRESTATI DI IERI QUANTO COINCIDONO CON GLI ASSASSINI CHE ERANO STATI 40 ANNI FA? UNA GIUSTIZIA CHE CHIEDE DI SALDARE IL CONTO DOPO QUASI MEZZO SECOLO NON FINISCE PER SOMIGLIARE A UNA VENDETTA? PIETROSTEFANI, REGISTA DELL’AGGUATO MORTALE AL COMMISSARIO CALABRESI, È MALATO. LUI E GLI ALTRI ARRESTATI POSSONO ESSERE AMNISTIATI. INDIPENDENTEMENTE DA QUESTO (NON IN CAMBIO DI QUESTO) DEVONO CHIEDERE PERDONO IN GINOCCHIO. FECCIA ERANO, NIENT’ALTRO CHE FECCIA…"
Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, te la faccio breve dato che chi ha comprato i quotidiani di oggi ha già letto sull’argomento i magnifici articoli di Francesco Merlo (“Repubblica”), Aldo Cazzullo (“Corsera”) e la straziante intervista di Mario Calabresi a quella donna meravigliosa che è sua madre Gemma, vedova del commissario trentatreenne Luigi Calabresi ucciso dal militante di Lotta continua Ovidio Bompressi con due colpi di revolver, uno alla schiena e uno alla nuca. Vent’anni fa, alla fine della presentazione di un mio libro a Cortina, me la trovai innanzi e la abbracciai furiosamente.
Te la faccio breve, e comincio con una domanda. Dopo trent’anni che i nostri cugini francesi facevano lo gnorri, ossia fingevano di non capire che cosa fosse stato il terrorismo rosso in Italia, dopo decenni e decenni durante i quali in Francia non avevano voluto accogliere un Bettino Craxi il cui discorso in Parlamento (lo ricorda Filippo Facci nel suo libro) era stato giudicato da Marco Pannella un “discorso che aveva onorato il Parlamento” e avevano invece accolto e talvolta osannato delinquenti di strada quali Cesare Battisti, i sette arrestati di ieri a Parigi sono “feccia” o “ex feccia”?
Che fossero la “feccia” della nostra generazione quando andarono ad ammazzare alle spalle magistrati e poliziotti non v’ha dubbio, che in più alcuni di loro l’hanno fatta franca perché si erano dati alla fuga non v’ha dubbio, che nei loro destini non ci sia un briciolo di giustificazione ideale che li nobiliti non v’ha dubbio.
Epperò gli arrestati di ieri quanto coincidono con gli assassini che erano stati quarant’anni fa? Una giustizia che chiede di saldare il conto dopo quasi mezzo secolo non finisce purtroppo per somigliare a una vendetta? Tutto qui, e non è poco.
E quanto alla necessità di un’ “amnistia” dei crimini politici degli anni di piombo - un’amnistia che Adriano Sofri rivendica con quella sua consueta smorfia impudente -, ricordo con quanta passione la richiedesse su mia sollecitazione l’Antonello Trombadori medaglia d’argento al valore militare della Resistenza in un’intervista che gli feci la bellezza di quarant’anni fa su “Pagina”, una gran bella rivista che conoscono in pochi.
Sì, per quanto ributtanti siano ai miei occhi figure come quelle di Marina Petrella o come gli ex brigatisti che bussarono alla porta del generale Enrico Riziero Galvaligi (ex braccio destro del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa) e lo uccisero come un cane, quella “amnistia” va decisa, va attuata. Persino le colpe le più efferate non durano quasi mezzo secolo, è impossibile che durino tanto.
Ho trovato bellissime le parole di Mario Calabresi, il quale ha detto di avere incontrato a Parigi Giorgio Pietrostefani (il regista dell’agguato mortale a suo padre, uno dei sette arrestati di ieri) un paio d’anni fa, che si sono parlati e che per lui dopo quel colloquio è come se i conti fossero stati saldati. Il Pietrostefani di oggi è malato, credo non abbia neppure un’oncia del “Pietrostalin” raccontato con la consueta sapienza da Cazzullo.
Sì, possono essere amnistiati. Indipendentemente da questo (non in cambio di questo) devono chiedere perdono in ginocchio, lo devono chiedere all’umanità, alle famiglie delle vittime ma anche alla mia generazione che hanno insozzato e non me ne dà pace. Feccia erano, nient’altro che feccia.
GIAMPIERO MUGHINI
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Roberto Poggi: UNA GENERAZIONE ALLO SPIELBERG - parte seconda
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Roberto Poggi: UNA GENERAZIONE ALLO SPIELBERG - parte seconda
La distruzione della rete cospirativa creata da Maroncelli non indusse la polizia asburgica ad abbassare la guardia. Mentre i “cugini” languivano nel carcere sull’isola di San Michele di Murano in attesa di conoscere la loro sorte, alcuni rassegnandosi al peggio, altri confidando nella clemenza imperiale, i “lupi”, come erano chiamati i poliziotti nel gergo carbonaro, tornarono ad azzannare nuove prede.
Il 1° dicembre 1821, il conte Strassoldo, governatore di Milano, ordinò la perquisizione dell’abitazione di Gaetano De Castillia, un giovane avvocato sospettato da mesi di simpatie liberali e di aver intessuto relazioni con la corte di Torino in vista di una invasione del territorio lombardo da parte delle truppe piemontesi. A metter sull’avviso la polizia era stata la denuncia del fratello di Gaetano, Carlo, che nel mese di marzo aveva riferito di una riunione avvenuta in una casa di San Siro, sotto la direzione di Giuseppe Pecchio, al fine di preparare l’insurrezione a sostegno dell’esercito sardo. L’attendibilità dell’informazione, peraltro anonima, era stata inizialmente sottovalutata dalla polizia che aveva ritenuto più prudente raccogliere altre indiscrezioni prima di agire. Quando il governatore ordinò la perquisizione disponeva di indicazioni molto precise, come dimostra l’invito a ricercare in casa De Castillia un sigillo recante l’iscrizione sediziosa “Leggi e non re. L’Italia c’è”.
I poliziotti non si rammaricarono troppo di non aver scovato il sigillo, poiché rinvennero indizi ancora più pesanti di colpevolezza: corrispondenze che lasciavano trapelare il desiderio di “politiche novazioni”, implicandolo con gli avvenimenti rivoluzionari in Piemonte, ed una misteriosa lettre à jour. Tratto in arresto, De Castillia non seppe tacere, compromettendo il marchese Giorgio Pallavicino Trivulzio che fu interrogato, perquisito ed arrestato a sua volta. Il marchese fornì nelle sue memorie una versione piuttosto fantasiosa delle circostanze del suo arresto che non trova riscontro nei documenti: ”Un amico mi reca la dolorosa nuova soggiungendo: sussurrasi che io mi sia procacciata l’impunità col sacrificio del mio compagno. La circostanza dell’aver la polizia imprigionato il Castillia e non me, aveva dato origine all’indegna calunnia. Qual meraviglia che io, invece di cercar scampo nella fuga, attendessi a salvare la mia fama? Me ne vo di filato in polizia e mi consegno prigioniero dicendo: ‘Gaetano Castillia fu da me trascinato in Piemonte; se quel viaggio è riputato delitto, io solo sono il delinquente, io solo sono meritevole di pena!’. (…) Il direttore di polizia non mi ritenne quel giorno. E forse volle procacciarmi l’opportunità di mettermi in salvo, facendomi dire che potevo tornarmene a casa, ma non uscire dalla città… . Passò quel giorno, ed il seguente. Venuta la sera, io me ne andai al teatro Re…”, dove la polizia lo arrestò.
Risulta assai poco credibile che sapendo di rischiare la testa per una accusa di alto tradimento il marchese si sia spontaneamente consegnato alla polizia solo per tutelare il suo buon nome. Ancora più falsa suona l’affermazione secondo cui la polizia, che già aveva avuto sentore delle trame tra cospiratori lombardi e piemontesi, lo abbia rilasciato dopo aver udito una aperta e provocatoria ammissione del suo viaggio a Torino. De Castillia era stato arrestato sulla base di indizi molto più vaghi al confronto. Certamente il prestigio sociale del Pallavicino potrebbe aver fatto la differenza, i documenti ufficiali non offrono però alcuna conferma in merito.
Lasciando da parte le circostanze del suo arresto, quando fu interrogato Pallavicino non esitò a coinvolgere il conte Confalonieri e ad indicarlo come ideatore del suo viaggio a Torino per strappare a Carlo Alberto una promessa di intervento militare. Dichiarò inoltre di far parte della società segreta dei federati italiani e di esservi stato introdotto da Confalonieri. L’ampiezza e la rapidità di tali ammissioni stridono con l’immagine, costruita a posteriori dallo stesso Pallavicino, dell’aristocratico intrepido ed imperturbabile, disposto anche a sacrificare la propria vita pur di allontanare da sé l’ombra di una calunnia infamante.
Immediatamente fu spiccato un ordine di cattura per il conte, che, in violazione delle procedure, fu incriminato per alto tradimento prima ancora di poter presentare elementi a sua discolpa. La testimonianza di Pallavicino fornì finalmente consistenza legale ai sospetti che, soprattutto durante il processo Maroncelli-Pellico, si erano accumulati sul fondatore del “Conciliatore”. Confalonieri rappresentava tutto ciò che il governo asburgico odiava e temeva, un aristocratico che impiegava il proprio denaro in attività economiche innovative, come l’acquisto del battello “Eridano”, che implicitamente mettevano in evidenza quanto gli artificiosi confini imposti dal congresso di Vienna fossero un ostacolo allo sviluppo della valle del Po; un intellettuale liberale che non perdeva occasione per scuotere le coscienze assopite degli italiani, rinsaldare i legami con la cultura riformista europea e sbeffeggiare l’ottusa censura imperiale, lasciando vuoti sulle pagine azzurre del “Conciliatore” gli spazi degli articoli soppressi; un pericoloso cospiratore che non si accontentava di gingillarsi con riti iniziatici e messaggi in codice, ma guardava al Piemonte ed alla sua forza militare per liberare il lombardo-veneto dall’occupazione straniera.
Nel pomeriggio del 13 dicembre 1821, una squadra di poliziotti, al comando dell’attuario Cardani, si presentò a palazzo Confalonieri e fu introdotta nella camera da letto del conte, sorprendendolo mentre questi si stava vestendo assistito da un domestico. La stanza fu rovista da cima a fondo, numerose carte furono sequestrate e stipate in un sacco. Al termine della perquisizione, Confalonieri, come ci informa il verbale redatto dal Cardani, “…addusse un forte bisogno, ed indicando una piccola latrina all’inglese che sta in un piccolissimo stanzino contiguo alla sua stanza da letto chiese di ivi recarsi. Io prima di permettergli l’accesso, sebbene (avessi) già osservato lo stanzino all’atto della perquisizione, entrai in esso per vedere se vi era qualche segreta uscita, ma le indagini (mi) persuasero che non ve ne esisteva sembrando tutto di muro circondato.”. Lasciato alla sua intimità, il conte aprì un passaggio segreto da cui sgattaiolò nel solaio. Cardani ed i suoi uomini impiegarono qualche minuto ad accorgersi della fuga, poi, superato lo stupore iniziale, reagirono con prontezza, nonostante il trambusto inscenato dai domestici e dai familiari per rallentare e forviare le ricerche. Cardani corse a cercare rinforzi con cui circondare il palazzo, mentre i suoi sottoposti frugavano ogni stanza. Il nascondiglio del conte fu ben presto trovato in una nicchia del solaio. Confalonieri cercò goffamente di giustificarsi, dicendo di “…essersi dato alla fuga non con decisa intenzione di evadersi, ma per mettersi per il momento al sicuro, e per presentarsi poi lui medesimo a giustificarsi alla commissione speciale di Milano…”, senza tuttavia riuscire a convincere il Cardani, che considerò la scoperta di un secondo passaggio segreto dietro il letto come la prova che il conte si era da tempo attrezzato per sfuggire ad un ordine di cattura.
Il governatore Strassoldo, pur rallegrandosi per la cattura, non risparmiò a Cardani ed ai suoi agenti una dura reprimenda per i modi rudi e villani con cui avevano trattato la moglie del conte, Teresa, il suo anziano padre, Vitaliano, ed i domestici. In particolare l’epiteto di “donna di malaffare” rivolto da uno degli agenti alla contessa indignò il governatore. A difesa dell’operato di Cardani intervenne il direttore generale di polizia Goehausen che esaltò la prontezza di spirito ed il coraggio del suo funzionario, esecrando al tempo stesso la condotta del conte, degna di uno “scellerato” e non di un “cavaliere”.
Il giorno dopo la brillante operazione condotta dal Cardani, la polizia fornì nuovi argomenti a chi la accusava di eccessi e di mancanza di tatto, procedendo senza un mandato legale all’arresto di un amico cremonese di Confalonieri, il barone Sigismondo Trecchi, menzionato dal Pallavicino nelle sue deposizioni.
Strassoldo condannò con fermezza il mancato rispetto delle procedure, enfatizzando come simili abusi fossero lesivi dell’immagine pubblica del governo. L’arresto di Trecchi fu prima confermato ex post dalla commissione speciale, con grande soddisfazione di Goehausen, poi revocato dopo poco più di un mese per insufficienza di prove.
Mentre le autorità asburgiche battibeccavano tra loro, delineando il contrasto tra i sostenitori della cautela e della moderazione e quelli della più sbrigativa repressione, le deposizioni di Pallavicino furono confermate dal De Castillia, rendendo difficilissima la posizione di Confalonieri, che si difese opponendo il silenzio alle domande del giudice De Menghin.
Soltanto nella primavera del 1822, pur senza ammettere di aver preso parte attiva alla congiura di cui era accusato, Confalonieri iniziò ad abbandonare il suo mutismo, fornendo vaghe informazioni sulle sue relazioni con personalità d’oltralpe di sentimenti liberali.
L’idea che la Federazione, una setta diversa dalla Carboneria, ormai quasi annientata, minacciasse i domini austriaci in Italia tormentava gli inquirenti, inducendoli a moltiplicare le pressioni per strappare una piena confessione a Confalonieri, considerato, alla luce delle deposizioni di Pallavicino, come capo della cospirazione, nonché custode del nascondiglio segreto dei documenti più preziosi per sgominare l’intera rete dei federati in Lombardia ed altrove.
Nell’aprile del 1822, l’imperatore Francesco I sciolse le commissioni speciali di prima di seconda istanza di Venezia e ne costituì due analoghe a Milano. Contestualmente trasferì da Venezia a Milano il magistrato che più di ogni altro aveva dato prova di esemplare abnegazione nella lotta contro la Carboneria: Antonio Salvotti, che con la consueta tenacia riuscì a fare breccia nella difesa di Confalonieri, costringendolo ad ammissioni incriminanti. Anziché affrontare di petto il suo avversario, Salvotti agì d’astuzia, cercando di ottenere ulteriori accuse a carico del conte dagli altri congiurati. La prima vittima della sua tortuosa, ma efficace, strategia fu un collaboratore del “Conciliatore”, incarcerato in base alle deposizioni di Pallavicino, Pietro Borsieri che, indotto subdolamente a credere che Confalonieri avesse già reso un’ampia confessione, non si rifiutò di confermare quanto riteneva fosse già noto a Salvotti. Dichiarò di essere stato affiliato alla Federazione dall’amico Confalonieri e di essere al corrente sia delle trame con i liberali piemontesi, sia dell’esistenza di una rete cospirativa a Brescia. Per compiacere Salvotti, Borsieri non si trattenne dal puntare l’indice contro un giovane bresciano, Andrea Tonelli.
Alle rivelazioni di Borsieri seguirono quelle del barone Francesco Arese Lucini, ex colonnello delle armate napoleoniche, nonché ministro della Guerra in pectore del governo provvisorio vagheggiato dai federati, e quelle di Tonelli, tutte concordi nell’assegnare a Confalonieri un ruolo eminente nella cospirazione.
Difronte al moltiplicarsi degli elementi a suo carico, Confalonieri finì per lasciarsi andare a parziali ammissioni. Continuò a negare di essere associato alla Federazione e di aver iniziato Borsieri, e tutti gli altri che lo accusavano, ammise tuttavia di aver riconosciuto in Giuseppe Pecchio, già latitante, un cospiratore in relazione con i liberali piemontesi. Non seppe fornire convincenti giustificazioni al versamento di denaro effettuato a favore di Filippo Ugoni, sospettato di essere il capo della ramificazione bresciana della Federazione. Si sforzò senza successo di convincere Salvotti che quel denaro non aveva finalità rivoluzionarie, ribadendo il proprio rifiuto dei mezzi violenti e rivoluzionari. Senza preoccuparsi di sfidare il ridicolo, si ostinò a dipingersi come un “passivo contemplatore dei progressi” dei federati in Lombardia, lasciò intendere di conoscere l’estensione della cospirazione a Milano, Brescia, Pavia e Mantova, limitandosi però a citare personaggi come Pecchio ed Ugoni che sapeva essere già al sicuro dalle spire della polizia asburgica. Incalzato da Salvotti, quanto mai irritato dalla maschera inverosimile del “passivo contemplatore”, Confalonieri confessò di essere stato informato del progetto della creazione di una guardia civica e di un governo provvisorio, a garanzia dell’ordine, in attesa dell’invasione delle truppe piemontesi, invasione che egli stesso aveva sollecitato scrivendo al generale dell’esercito sardo San Marzano. Nell’ingenuo tentativo di discolparsi affermò che le trame di cui era venuto a conoscenza non avevano altro fine che quello di scongiurare l’anarchia nel caso in cui il governo austriaco si fosse trovato minacciato da repentini mutamenti politici. Salvotti non si sognò mai di considerare Confalonieri un uomo d’ordine alieno da ogni passione rivoluzionaria antiaustriaca, né di accettare come attenuante il fatto che il conte nel marzo del 1821 si trovava gravemente malato e quindi nell’impossibilità di prendere parte attiva alla cospirazione, il disegno di cui era venuto a conoscenza era palesemente eversivo e violento, la mancata denuncia di esso configurava senza mezzi termini il reato di alto tradimento. L’ostinazione di Confalonieri nel respingere l’accusa di essere a capo della setta dei federati irritava Salvotti, impedendogli di far luce su tutti gli aspetti della vicenda, ma non di ritenerlo reo di alto tradimento.
Con ogni probabilità, l’inefficace linea difensiva del conte fu ispirata da una conoscenza molto superficiale del codice penale asburgico. Se Confalonieri nel suo lungo duello con Salvotti avesse potuto avvalersi di una assistenza legale, non sarebbe certo scivolato, come tanti altri patrioti, lungo il pendio sdrucciolevole delle parziali ammissioni e dei tortuosi distinguo, avrebbe negato ogni contestazione, inceppando così l’apparato repressivo imperiale. La correttezza formale e l’indubbia abilità inquisitoria di Salvotti non devono far perdere di vista il carattere profondamente iniquo ed illiberale del sistema giuridico asburgico. L’assenza di limiti alla carcerazione preventiva, la negazione di ogni diritto alla difesa, il riconoscimento del valore di prova alla semplice delazione di due coimputati, il totale e minuzioso controllo esercitato dall’imperatore su ogni fase del processo, sulle condizioni della carcerazione, nonché sulla nomina e sulla carriera dei giudici, ponevano l’imputato in una posizione di tale inferiorità da renderne quasi inevitabile la condanna, se non la piena confessione, genuina o meno che fosse.
Anche in assenza di una piena e contrita confessione di Confalonieri il processo contro i federati continuò con inesorabile lentezza, arrivando a coinvolgere decine di indagati. Le imprudenti dichiarazioni di Tonelli consegnarono a Salvotti tutto il filone bresciano della cospirazione, tranne il capo, Filippo Ugoni, che sin dalle prime fasi dell’inchiesta si era messo in salvo in Svizzera. Il testimone chiave fu il conte Ludovico Ducco, un possidente bresciano menzionato da Tonelli. Inizialmente i sospetti a suo carico erano tanto vaghi che Salvotti dovette accontentarsi di convocarlo per un accertamento, anziché procedere al suo arresto. Interrogato a proposito dei suoi rapporti con Ugoni, Ducco confermò di essere stato informato dei suoi progetti rivoluzionari, aggiunse però di averli avversati, considerandoli folli. Commise lo stesso errore di valutazione di Confalonieri, ritenendo che la semplice conoscenza di un progetto eversivo non costituisse di per sé un grave reato. Salvotti ordinò immediatamente il suo arresto, non solo per le dichiarazioni incriminanti che aveva reso, ma soprattutto perché la sua lunga esperienza di inquisitore gli aveva suggerito che Ducco sapesse molto di più e non avesse la forza di carattere per resistere ad un interrogatorio serrato. Come scrisse nella sua relazione mensile all’imperatore, osservandolo Salvotti notò che: “…una cupa tristezza gli sedeva sulla fonte, e pareva che egli in quel momento tutta sentisse l’angoscia della sua posizione ed era evidente che egli sottaceva dei più importanti segreti.”. Non si sbagliava.
Dopo qualche debole resistenza, Ducco crollò, aggravando la posizione di Confalonieri. Confessò di essere stato iniziato alla Federazione dal conte in persona e lo indicò come capo indiscusso della cospirazione, rivelò inoltre i nomi di tutti gli aderenti alla rete bresciana. Il conte Vincenzo Martinengo, l’ingegner Pietro Pavia, l’avvocato Dossi e suo figlio Antonio e molti altri furono arrestati, tra questi anche l’ex colonnello napoleonico Silvio Moretti, che si era offerto nel marzo del 1821 di guidare un audace colpo di mano contro un convoglio incaricato di trasferire fuori da Milano le casse pubbliche. L’estrema prudenza dei congiurati bresciani gli aveva però impedito di passare all’azione.
Moretti diede prova del suo temperamento risoluto al momento dell’arresto, tentando di tagliarsi la gola con un coltello. La ferita, per quanto grave, non fu mortale. Fallito il tentativo di suicidio, Moretti non offrì a Salvotti alcuna collaborazione andando incontro alla condanna con grande dignità e compostezza.
Le ampie e circostanziate rivelazioni di Ducco furono particolarmente apprezzate da Salvotti poiché vanificarono la tardiva ritrattazione da parte di Pallavicino e di Borsieri delle accuse rivolte contro Confalonieri. Lo scaltro Salvotti considerò subito sospetta la simultaneità delle ritrattazioni e giunse alla conclusione che i due imputati dovevano essere riusciti ad aggirare la sorveglianza dei secondini ed a concordare una versione comune. Non tardò ad accertare che Borsieri e Pallavicino avevano comunicato usando un ingegnoso sistema: “…un picchio denota la lettera A, due picchii la lettera B, tre la C, e così progressivamente. Quantunque l’uso di questo linguaggio sia lento e poco atto a lunghi discorsi, esso basta però per far conoscere i rispettivi nomi, e il sostanziale tenore dei propri costituti (interrogatori). Un detenuto può in questo modo corrispondere con due suoi vicini e con quello che fosse custodito nel carcere sottoposto, perocché si picchia e nelle pareti di divisione e nel pavimento.”.
Informato nella periodica relazione del 21 novembre 1822, l’imperatore manifestò il proprio disappunto e raccomandò una vigilanza più stretta dei detenuti. Al tempo stesso si rallegrò della notizia che Salvotti riteneva di essere in possesso, nonostante le ritrattazioni concordate di Borsieri e di Pallavicino e la mancata confessione di Confalonieri, degli elementi per preparare una dura requisitoria contro gli imputati ed invocare pene severissime.
Mentre Salvotti era impegnato a tirare le fila dell’inchiesta, affinché la commissione speciale di prima istanza potesse pronunciarsi, il 18 gennaio 1823 fu arrestato a Milano un giovane cittadino francese, provvisto di passaporto ginevrino, di nome Alexandre Andryane. Quel viaggiatore così ansioso di visitare l’Italia da valicare le alpi nel cuore dell’inverno, munito di un passaporto rilasciato dalle autorità di una città che ospitava numerosi latitanti, condannati o ricercati per il reato di alto tradimento, non era passato inosservato alla polizia asburgica. Per fugare i suoi sospetti, il direttore generale di polizia Torresani aveva quindi disposto l’intercettazione della corrispondenza dell’Andryane, che, pur avendo dichiarato, prima all’ambasciata austriaca di Berna e poi ai funzionari doganali, di essere diretto a Firenze, non mostrava alcuna fretta di lasciare la capitale lombarda. Una lettera proveniente dal canton Ticino in cui si accennava all’imminente consegna di merci da tempo attese aveva convinto Torresani ad ordinare una perquisizione nella camera presa in affitto dal francese. Forse, più ancora del testo, lo aveva messo in allarme la firma in calce alla missiva: Mitridate. Quel nome altisonante poteva appartenere soltanto al re del Ponto di classica memoria, oppure ad un cospiratore non troppo abile nell’arte della dissimulazione.
Con il pretesto di verificare la presenza di merci di contrabbando, gli agenti della finanza si erano presentati all’appartamento di Andryane. Tra di essi si celava un esperto funzionario di polizia, il conte Bolza, che aveva subito riconosciuto come assai compromettente un fascio di carte, molte delle quali in codice, contenuto in un portafoglio di cuoio nascosto sotto i cuscini di un sofà. Il vano quanto goffo tentativo di Andryane di strappargli dalle mani quelle carte e distruggerle un attimo prima che fossero sequestrate, aveva offerto a Bolza una conferma alla sua prima impressione.
Il voluminoso portafoglio conteneva una trentina di documenti: fogli con annotazioni misteriose, cifre e segni iniziatici, tabelle alfabetiche, pezzetti di carta su cui erano annotati nomi ed indirizzi, diverse lettere di presentazione indirizzate a destinatari sparsi in tutta Italia dal contenuto così anodino e fumoso da apparire senza ombra di dubbio comunicazioni settarie, nonché regolamenti, statuti e rituali di una società segreta denominata dei Sublimi Maestri Perfetti.
Tradotto in carcere ed interrogato, Andryane mostrò di non essere “…troppo provetto in materia…” di cospirazione, esprimendo il proprio pentimento per gli atti “imprudentissimi” ai quali si era abbandonato. Per vincere le reticenze del francese, Torresani gli fece intravvedere la possibilità, in caso di piena ed incondizionata collaborazione, di un perdono imperiale e forse persino di un rimpatrio a breve termine. Andryane disse di aver ricevuto le carte in suo possesso a Ginevra da due individui di cui si rifiutò di fare il nome, anche a costo della vita. Non tacque invece i nomi dell’astronomo Massotti e dell’ex colonello napoleonico Varese con cui si era incontrato durante il suo soggiorno milanese, affrettandosi a specificare di non aver scambiato con loro opinioni politiche.
Dopo i primi interrogatori, in cui il francese appariva già sul punto di sgravarsi la coscienza, l’inchiesta, data la grande rilevanza riconosciuta alle carte sequestrate, fu affidata alla commissione speciale ed al giudice Salvotti.
Nelle sue memorie Andryane fornì una descrizione sulfurea di Salvotti al cui “…sguardo scrutatore, pieno d’intelligenza, d’orgoglio … di malignità … di doppiezza e di malvolere…” non seppe opporre a lungo resistenza. Svelò di essere un emissario di Filippo Buonarroti, il cospiratore di ideali egualitari più temuto ed esecrato dai governi della restaurazione, intenzionato a riorganizzare la rete settaria italiana scompaginata dai recenti processi. Raccontò di aver conosciuto Buonarroti a Ginevra, dove era stato costretto a cercare riparo per sottrarsi ai suoi numerosi creditori. Dopo la sconfitta a Waterloo dell’armata napoleonica, in cui aveva fatto appena in tempo a guadagnarsi i galloni da ufficiale, Andryane per consolarsi dei sogni di gloria infranti si era lasciato risucchiare dal vortice della mondanità parigina, sperperando una quota rilevante del cospicuo patrimonio di famiglia. A Ginevra aveva cercato di rimettere ordine nella propria vita dedicandosi allo studio. Come docente di musica e di italiano aveva incontrato l’anziano Buonarroti e non aveva tardato a subire il fascino di un “..repubblicano indomabile…” che “…le persecuzioni e l’avversità non avevano potuto abbattere né mutare…”. Era stato perciò profondamente lusingato dalla proposta di essere iniziato alla setta dei Sublimi Maestri Perfetti, fondata dallo stesso Buonarroti, ed ancor più di essere innalzato in breve tempo al rango di “Diacono straordinario e territoriale del Gran Firmamento”, il misterioso consiglio direttivo della setta. Il suo entusiasmo giovanile, il suo spirito d’avventura, la convinzione di essere destinato a grandi impese, l’amore per l’Italia e per i sacri principi della rivoluzione francese, le capacità seduttive ed affabulatorie di un grande vecchio dell’estremismo politico – che aveva esordito sulla scena europea nel 1796 con la “congiura degli eguali”, ordita insieme a Babeuf contro la deriva moderata e borghese del Direttorio – avevano finito per convincerlo ad accettare l’ardua missione di fare nuovi proseliti alla causa della libertà e dell’indipendenza italiana e di ricostruire in tutta la penisola una vasta ed efficace rete cospirativa. A Tale scopo, prima di lasciare Ginevra, Buonarroti lo aveva provvisto di un diploma, che attestava il suo alto rango nella setta, di documenti iniziatici come statuti, regolamenti e rituali, oltre ad un buon numero di lettere di presentazione a confratelli, a massoni in sonno, a patrioti un tempo determinati ad impegnarsi nella lotta contro lo straniero, a superstiti del settarismo italiano da coinvolgere nella sua nobile impresa.
Tra i referenti segnalati da Buonarroti comparivano anche personaggi ben noti a Salvotti come Antonio Dossi, implicato nell’inchiesta sui federati bresciani ed altri già da anni tenuti sotto sorveglianza dalle autorità. Si trattava nel complesso di personalità minori, prive di uno spessore politico rilevante. Proprio sull’inconsistenza dei suoi contatti italiani, Andryane, probabilmente limitandosi soltanto ad enfatizzare a proprio vantaggio la realtà, tentò costruire la propria linea difensiva.
Se il primo contatto a Bellinzona con Mitridate, un patriota piemontese di nome Malinverni a cui aveva consegnato le sue preziose carte affinché questi gliele recapitasse a Milano, aveva acceso in Andryane la speranza di poter felicemente portare a termine la sua missione, i successivi incontri milanesi con Massotti, con il colonnello Varese ed altri lo avevano invece deluso amaramente. Né nei patrioti a cui si era rivolto, né tanto meno nell’opinione pubblica aveva riscontrato i segnali di un fermento rivoluzionario in cui la società dei Sublimi Masestri Perfetti potesse prosperare. Lo sconforto nell’apprendere che la situazione italiana era ben diversa da quella prospettatagli a Ginevra era stato così grande da spingerlo a scrivere a Buonarroti, già alla fine di dicembre, per rifiutare l’incarico che con giovanile leggerezza aveva accettato. A questo improvviso voltafaccia era seguita una lettera da parte di Buonarroti, conservata tra le carte sequestrate, in cui rimproveri ed esortazioni si mescolavano.
Per molte ragioni la ricostruzione offerta da Andryane non persuase affatto Salvotti. Il testo della lettera attribuita dal francese a Buonarroti era tutt’altro che esplicito e cristallino, per di più la firma in calce al documento non era quella del rivoluzionario toscano, ma di un misterioso Richard. Inoltre, anche ammettendo che Andryane nell’arco di pochi giorni fosse passato dall’entusiasmo al più nero pessimismo, constatando che il governo austriaco non era così odiato come gli avevano fatto credere e gli italiani non così ansiosi di liberarsi dal giogo straniero, restava inspiegabile la sua rinuncia a proseguire il suo apostolato rivoluzionario in altri stati italiani, dal momento che i suoi contatti si estendevano ben oltre i confini dei domini austriaci. Infine, la reazione più ovvia alla delusione difronte al carattere del tutto velleitario ed improvvisato del disegno politico di Buonarroti sarebbe stata la distruzione delle carte che gli erano state affidate, tanto inutili quanto compromettenti.
Le considerazioni di Salvotti sfavorevoli all’attendibilità della ricostruzione di Andryane furono ulteriormente rafforzate dall’esito contradditorio dei riscontri effettuati dalla polizia. Interrogato, il colonnello Varese confermò di essere stato avvicinato dal giovane francese e risultò convincente quando dichiarò di averlo diffidato dal ripresentarsi a casa sua, prima ancora che potesse orientare la conversazione verso temi eversivi. L’astronomo Massotti invece riparò a Ginevra, offrendo così a Salvotti ottimi argomenti per ritenere che restassero ancora molti segreti da svelare.
Dal canto suo Andryane, avendo esaurito le informazioni da rivelare su di una rete cospirativa che non aveva fatto in tempo a creare, per conquistarsi la fiducia di Salvotti, e quindi la speranza di ottenere clemenza, non ebbe altra scelta che raccontare tutto quanto conosceva sui segreti iniziatici della setta dei Sublimi Maestri Perfetti. Senza farsi pregare troppo, fornì la chiave di decifrazione degli statuti, dei regolamenti e dei rituali che gli erano stati sequestrati. Ne sortì un quadro che dovette far fremere d’orrore Salvotti e tutti gli altri fedeli servitori della monarchia asburgica che esaminarono le carte processuali. Nei simboli, negli emblemi, nelle parole mistiche, nelle formule rituali abbondavano i riferimenti alla rivoluzione francese ed all’esaltazione del regicidio come catarsi dei popoli. Il senato lombardo-veneto nella sua relazione conclusiva all’imperatore sul processo Andryane così sintetizzò le finalità della setta: “…sconvolgere tutti i governi attuali e tutte le religioni … abbattere e trucidare tutti i principi regnanti … coprire la superficie della terra di sangue e stragi, ed infine di repubbliche popolari.”.
Poco importava che lo sprovveduto Andryane di fatto non avesse potuto causare gravi danni al governo austriaco, le finalità ultime della setta, in cui egli occupava comunque un grado elevato, come attestavano i documenti, erano così esecrabili da rendere inopportuno qualsiasi atto di clemenza, a meno che l’imputato non mostrasse un genuino e profondo pentimento, rivelando ai giudici fino all’ultimo segreto di cui era depositario. In questo senso si espresse Salvotti nella sua requisitoria, chiedendo la pena di morte per Andryane, e consigliando al tempo stesso all’imperatore di considerare la possibilità di concedere la grazia a condizione che il reo fornisse “più ampie propalazioni”.
Ad irritare Salvotti era soprattutto l’ostinazione del francese ad essere reticente sulla composizione del Gran Firmamento, il cervello direttivo della setta. Il solo nome di Buonarroti, per quanto luciferino, non poteva certo soddisfare pienamente la sua curiosità. Tanto più che fin dai primi interrogatori Andryane aveva affermato di aver ricevuto le istruzioni ed i materiali per la sua missione italiana da due soggetti, e non da uno solo. Pertanto, oltre al decano dei cospiratori europei dovevano esserci ai vertici della setta altri pericolosi nemici dell’ordine costituito.
Tra maggio ed agosto del 1823, la commissione speciale di prima e di seconda istanza, così come il senato lombardo-veneto sottoscrissero la requisitoria di Salvotti: Andryane meritava la pena capitale per alto tradimento e la grazia imperiale poteva essere concessa soltanto sub condicione. Il giovane francese, più volte sollecitato a guadagnarsi la clemenza imperiale, non seppe aggiungere nulla di rilevante a quanto aveva già confessato. I giudici e lo stesso Francesco I scambiarono l’esaurimento delle informazioni in possesso di Andryane per ostinata e colpevole reticenza. Nel dicembre del 1823, Francesco I commutò la pena capitale inflitta a Pallavicino e Borsieri in vent’anni di carcere duro da scontare allo Spielberg. Altri condannati a morte come Tonelli, De Castillia ed Arese beneficiarono di una clemenza ancora più larga: dieci anni di carcere duro per i primi due ed appena tre per il terzo. Riguardo al destino di Confalonieri e di Andryane, l’imperatore fu invece irremovibile, attenendosi alle conclusioni dei suoi giudici, confermò per entrambi la pena capitale. Il conte milanese si era rifiutato di rendere una piena confessione ed il giovane francese non aveva saputo allontanare da sé il sospetto di essere reticente.
L’influente famiglia Confalonieri non si rassegnò ad un verdetto così severo, fece appello a tutte le sue reti di relazioni per strappare all’imperatore un atto di clemenza. L’anziano padre di Federico, sua moglie, Teresa, e suo cognato Gabrio Casati si precipitarono a Vienna ed ottennero un’udienza presso l’imperatrice, che si impegnò ad intercedere a favore dello sventurato conte. Forse gli inviti alla clemenza rivolti dall’imperatrice a suo marito, uniti a quelli della figlia Maria Luisa, che governava con mano sicura il ducato di Parma, sortirono qualche effetto, ma non nell’immediato.
Dietro l’arcigna severità imperiale, si nascondeva tuttavia il tarlo del dubbio, fortificato dalle pressioni familiari, su come i sudditi lombardi avrebbero accolto l’esecuzione di un personaggio così illustre come Confalonieri. Per sincerarsi di non essere sul punto di creare un martire politico che avrebbe potuto nuocergli più da morto che da vivo, Francesco I inviò da Vienna nel lombardo-veneto numerosi funzionari con l’incarico di raccogliere informazioni in vari ambiti sociali sulle reazioni dell’opinione pubblica alla prospettiva di una esecuzione di Confalonieri. Quasi tutti i rapporti furono concordi nel descrivere come pessima l’impressione degli italiani a proposito della condanna capitale. Anche al direttore della polizia milanese Torresani fu richiesto di esprimere un’opinione in merito. All’inizio di gennaio del 1824 la sua ben argomentata relazione fu determinante per ispirare nell’imperatore un atteggiamento più clemente. Torresani non nascose che la notizia della corsa della contessa Confalonieri a prostrarsi ai piedi dell’imperatrice era stata accolta dai milanesi con sincera costernazione. Fece poi notare che la pubblica opinione avrebbe forse accettato di buon grado un’esecuzione che fosse avvenuta a breve distanza dall’arresto. Al contrario, dopo due anni di indagini, culminate con l’annientamento di ogni rete cospirativa nel lombardo-veneto, in un contesto politico del tutto mutato in cui i fuochi rivoluzionari apparivano spenti in tutta la penisola, togliere la vita al conte avrebbe suscitato sdegno ed ispirato vendetta, soprattutto nella cerchia dell’aristocrazia, a cui la famiglia Confalonieri apparteneva da generazioni.
Alle ponderate parole di Torresani si unirono quelle più accorate del governatore Strassoldo che si fece portavoce della “costernazione indescrivibile” dei milanesi e della loro trepidante attesa della grazia imperiale.
Francesco I non osò deludere i suoi sudditi lombardi rischiando di indebolire il suo trono, l’8 gennaio 1824 commutò la pena di Confalonieri nel carcere duro a vita. Lo stesso fece con Andryane, dal momento che sarebbe stato assurdo e controproducente accanirsi nella punizione di un gregario, per giunta poco più che ventenne e straniero, dopo aver concesso clemenza ad un cospiratore blasonato, a cui i milanesi non stentavano a riconoscere il carisma del capo.
Secondo le relazioni della polizia, i milanesi assiepati nella piazza difronte al tribunale ascoltarono la pubblica lettura della sentenza senza manifestare proteste per la sorte dei condannati, gli unici fischi furono rivolti all’eccesso di zelo mostrato dalla cavalleria nel tentativo di contenere la folla. Senza incidenti si svolse anche l’esecuzione in effigie dei condannati a morte in contumacia, come, tra gli altri, Pecchio ed Ugoni.
Neppure dopo la concessione della grazia, le insistenze dell’imperatore affinché Confalonieri facesse luce sui punti oscuri delle sue deposizioni cessarono. Nelle settimane precedenti la partenza dei condannati per lo Spielberg, il direttore Torresani ebbe almeno un paio di incontri con Confalonieri che, ansioso di dimostrare la propria riconoscenza per la grazia ricevuta e di conquistarsi nuovi meriti per attenuare la propria condanna all’ergastolo, ammise finalmente di essere stato il capo della cospirazione dei federati e di aver personalmente iniziato alla setta Ludovico Ducco. Aggiunse inoltre, stando a quanto riportato da Torresani, di “…detestare pienamente il suo delitto…” e di essere “…del tutto rinsavito dalla sua politica esaltazione…”, avendo maturato la convinzione che “…ogni miglioramento nella forma di governo debba giungere al popolo dall’alto, cioè dal sovrano, e che qualsiasi innovazione impresa dal popolo contro la dinastia legittima non sia altro che una chimera apportatrice di malanni…”. Riconobbe infine “…essere una vera aberrazione ogni sorta di idee di popolare libertà, di indipendenza, ovvero di costituzione popolare, aberrazione per cui verrebbe propagata la più grande calamità sopra interi paesi e popoli.”.
Tale abiura del proprio credo liberale dovette costare uno sforzo immane allo spirito fiero di Confalonieri, ma non bastò tuttavia a rassicurare completamente l’imperatore, che volle addirittura deviare sino a Vienna il viaggio di trasferimento del conte allo Spielberg, affinché il suo cancelliere, il principe Metternich, potesse tentare per un’ultima volta di ottenere confessioni ancora più larghe sulla cospirazione europea. L’incontro avvenne in gran segreto nel marzo del 1824 presso il palazzo della direzione generale di polizia . Dopo un paio d’ore di colloquio, in cui Confalonieri, per ammissione dello stesso principe non mendicò sconti di pena né si lasciò andare a nuove rivelazioni, Metternich si accomiatò dicendo di essere atteso ad un ballo. Confalonieri invece si rassegnò a riprendere la sua strada verso lo Spielberg.
BIBLIOGRAFIA
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SAIL 2017 - UNDICESIMA EDIZIONE DEL GRAN PREMIO D’ITALIA MINI 6.50 COPPA “ANDREA ALBERTI” - 2017
6 aprile 2017 - Prende il via sabato 8 Aprile 2017 dalle banchine dello Yacht Club Italiano a Genova l’undicesima edizione del Gran Premio d’Italia Mini 6.50 – 62° Coppa “Andrea Alberti”, riservato alla classe Mini 6.50. La regata, che si corre in doppio, partirà alle 12. Sono 18 le imbarcazioni iscritte – provenienti da Italia, Croazia, Francia, Inghilterra . e suddivise nella categoria Serie e Proto. IL PERCORSO Per l’edizione 2017 del Grand Premio d’Italia Mini 6.50 – Coppa “Andrea Alberti” il Comitato di Regata ha designato un percorso molto tecnico, lungo 501 miglia, che porterà i partecipanti ad affrontare le condizioni più varie. Dopo la partenza da Genova, la flotta raggiungerà l’Isola della Gallinara e farà rotta sulle bocche di Bonifacio e sull’Isola di Giannutri per far ritorno su Genova. Molte sono le complessità che i due membri dell’equipaggio dovranno affrontare, l’attraversamento del golfo di Genova, la discesa lunga la costa ovest della Corsica, il passaggio delle bocche di Bonifacio, l’attraversamento del Tirreno ed infine la risalita fino a Genova all’interno dell’arcipelago delle Isole Toscane. La meteo in questa stagione dell’anno è spesso indecifrabile e con cambiamenti repentini.L’andamento della Regata potrà essere seguito su www.yachtclubitaliano.it e http://gpimini650.classemini.it. LA STORIA - COPPA "ANDREA ALBERTI"Il primo classificato del Gran Premio d’Italia Mini 6.50 riceverà la Coppa Andrea Alberti, trofeo Challenge. Il Trofeo venne istituito dalla famiglia Alberti in memoria del giovane figlio Andrea. Oggi il Trofeo è cortesemente offerto dal Socio YCI Giorgio Alberti. La Coppa è entrata a far parte delle regate dello Yacht Club Italiano nel 1993 ed è stata assegnata nel corso degli anni ai 420, agli Snipe, ai Dinghy, ai Dragoni ed ai 5.50. La Coppa “Andrea Alberti” challenge perpetuo sarà assegnata alla prima imbarcazione arrivata. Verranno premiati i primi tre Yachts classificati per i Mini 6.50 Prototipi ed i primi tre Mini 6.50 di Serie. RISULTATI 2016 - GRAN PREMIO D'ITALIA Sono Alberto Bona e Tommaso Stella a vincere la decima edizione del Gran Premio d’Italia Mini 6.50 – Coppa “Andrea Alberti”. L’atleta dello Yacht Club Italiano, a bordo di “Promostudi La Spezia”, ha tagliato la linea d’arrivo alle 2,30 minuti e 20 secondi della notte, impiegando 3 giorni, 14 ore e 30 minuti per terminare la regata. LA CLASSE MINI 6.50Mini 6.50: dove il numero sta per la lunghezza massima dell’imbarcaizone.Questo piccolo bolide del mare è nato in Francia con l’idea di realizzare una classe d’imbarcazione veloci, solide, dal budget contenuto e che potessero affrontare l’Oceano in solitario.La storia dei Mini 6.50 è legata indissolubilmente alla Mini Transat, una regata che si svolge ogni biennio, negli anni dispari, e porta i concorrenti ad attraversare l’Atlantico in solitario.La parola solitario sui Mini ha un valore triplo poiché per regolamento è vietato ai concorrenti ogni tipo di assistenza, il meteo viene studiato prima della partenza ed i contatti con l’esterno sono solo per comunicare al Comitato di Regata la propria posizione. Anche le regole di Classe sono molto rigide e molto attente alla sicurezza.Esistono due categorie di Mini 6.50: le barche di serie ed i prototipi che vanno a formare due classifiche separate. Nella classe proto sono state sperimentate soluzioni poi ritrovate negli anni sulle barche più grandi: le chiglie basculanti, i ballast, i bompressi orientabili sono nati con i Mini 6.50 e molti progettisti devono parte della loro fama a questa classe. La Classe Mini Italiana è nata nel 1993 grazie alla lungimiranza di Ernesto Moresino e negli anni, anche grazie ai risultati sportivi “de les Italiens” ha saputo guadagnarsi la stima dei cugini francesi fino a poter contare su un calendario di regate in Mediterraneo valido come qualifica per la Mini Transat.SCHEDA TECNICA MINI 6.50:Lunghezza: 6,5 mtLarghezza: 3 mtPescaggio: Serie 1,6 mt – Proto 2 mtAltezza albero: 12 mt dalla linea di galleggiamento Superficie velica: 40/50 mq di bolina – 95/150 mq andature portanti
FROM http://www.navigamus.info/2017/04/parte-sabato-da-genova-la-undicesima.html
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E' morto il Dott. Antonio Arillotta
E’ morto il Dott. Antonio Arillotta
Antonio Arillotta, Neuropsichiatra, già Dirigente Dipartimento di Salute Mentale.
Primaria Impresa Funebre Triolo, i professionisti del settore, diffidate dalle imitazioni !
Ci troviamo in via Rausei, 110 Reggio Cal. – centralino 0965.29993
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#Antonio Arillotta#già Dirigente Dipartimento di Salute Mentale#gli amici ed i parenti tutti#i cognati Marrapò: Marcello#i cugini#i figli: Francesco#I funerali avranno luogo lunedì 11 c.m. alle ore 15:30 nella Chiesa parrocchiale di San Salvatore#i nipoti#Ivan con la moglie Eleonora Bolsi#Maria con il marito Alberto Talarico#Ne danno il triste annunzio la moglie Franca Marrapò#Neuropsichiatra
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Esistere per testimoniare: Piero Terracina una memoria che continuerà a vivere
Esistere per testimoniare: Piero Terracina una memoria che continuerà a vivere
di Alan Davìd Baumann
“Liscio, busso, napoli a coppe” … queste alcune delle parole che ricordo di quando, ancora bambino, vedevo mio padre Alberto passare dei goliardici momenti con i suoi amici Piero, i suoi cugini Marcello e Silvano, Aldo, Lello ed altri. Momenti raccolti attorno ad un tavolo sul quale venivano distribuite le carte per un tressette mozzafiato. Tante le risate, le…
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