#Acidificazione degli Oceani
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Mi piacerebbe poter etichettare come catastrofisti i climatologi che sui social davanti ai dati globali sulle temperature elevate in entrambi gli emisferi dicono che siamo dinanzi non al superamento degli 1.5 gradi dell'accordo di Parigi ma al raddoppio [ 3 °C] in una finestra di tempo brevissima (2030 invece che 2100). Purtroppo per tutti noi sono anni che la comunità scientifica dice che anche adottando ADESSO tutte le contromisure possibili (cosa che non sta accadendo) la temperatura continuerebbe comunque a salire per decenni a causa della CO2 immessa in atmosfera dalle attività umane unitamente agli incendi boschivi e allo scioglimento del permafrost. Con 3 gradi in più ci aspettano estinzioni di massa, innalzamento di due metri del livello del mare, acidificazione degli oceani e scomparsa delle barriere coralline, fenomeni meteorologici catastrofici con un clima letteralmente imprevedibile o "impazzito" e severe ripercussioni alle attività umane in particolare per quanto riguarda la sopravvivenza e la produzione di cibo. È alienante guardarsi intorno e trovare sui media la parola Ottobrata come descrizione di questa situazione mai verificatasi prima. "Non c'è poi così caldo." - cit. La rana nel pentolone
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Il polmone blu, di Alessandro Macina
Vortici.it, lo sapete molto bene è sempre particolarmente attenta alle novità editoriali.
Dallo scorso mese di Dicembre è disponibile in libreria Il polmone blu, di Alessandro Macina per Edizioni Dedalo, una nuova collana, chiamata SottoInchiesta, nata da un’idea del collega Riccardo Iacona per raccontare l’attualità, la scienza e la nostra società attraverso indagini giornalistiche di approfondimento.
Il libro è disponibile nelle librerie, nelle piattaforme o cliccando qui L’inchiesta diventa un viaggio sul campo per raccogliere storie e punti di vista originali, un’esplorazione minuziosa e a tutto tondo, che cala i dati nel contesto più ampio delle ricadute sociali ed economiche, presenti e future. Non una cronaca asettica, bensì una narrazione avvincente e sfaccettata, capace di offrire molteplici prospettive e scenari. Il polmone blu, di Alessandro Macina (Edizioni Dedalo), è il “diario di bordo” di un appassionato giornalista che negli ultimi cinque anni ha viaggiato dappertutto per toccare con mano e rendere conto delle trasformazioni climatiche, degli shock ambientali, dei tanti piccoli e grandi punti di non ritorno che il rapido aumento della temperatura sta provocando sugli ecosistemi. "L’ecosistema dei mari è sotto stress ormai da troppo tempo, e se i mari smettono di respirare smettiamo di respirare anche noi"(dalla prefazione di Riccardo Iacona) L’OPERA: Un respiro su due lo dobbiamo all’oceano. È lui a produrre la metà dell'ossigeno del pianeta. E gli oceani sono stati finora i nostri migliori alleati nella lotta ai cambiamenti climatici, assorbendo un terzo dei gas serra e il 90% del calore prodotto dalle attività umane. Se il riscaldamento globale non è ancora fuori controllo, è perché gli oceani ci stanno salvando da condizioni di vita insostenibili. Ma il prezzo è altissimo: riscaldamento e acidificazione delle acque, perdita di biodiversità e produttività, anossia. Per quanto ancora potremo andare avanti così? Eventi estremi sempre più intensi e frequenti, e innalzamento del livello dei mari sono solo un acconto di quello che potrebbe succedere nei prossimi decenni. Un viaggio nel “polmone blu” del pianeta tra inchieste, interviste esclusive e reportage da tutto il mondo: l’Artico, sentinella dei cambiamenti climatici, le grandi città costiere degli Stati Uniti, il Mediterraneo sempre più caldo, Venezia. Non diamo per scontato nulla, non esiste un pianeta B. BRANO: INTRODUZIONE 24 dicembre 1968, vigilia di Natale. Missione spaziale statunitense Apollo 8. «Hai una pellicola a colori, Jim? Passami un rotolo di colore, presto, per favore. Guarda laggiù!» dice Anders. L’astronauta posiziona le macchine fotografiche per immortalare lo spettacolo che si presenta davanti ai suoi occhi durante l’orbita intorno alla Luna. Con una Hasselblad teleobiettivo da 250 mm, Bill Anders ci consegna una delle immagini più iconiche del pianeta. Lo scatto numero di serie AS8-14-2383HR della NASA passa alla storia con il nome di Earthrise. L’alba vista dalla Luna. Per la prima volta l’uomo osserva la Terra da una nuova e inedita prospettiva. È l’immagine che cambia per sempre il modo in cui guardiamo al pianeta. Non solo perché ce lo mostra in tutta la sua fragilità, immerso nell’Universo, ma perché ci rende consapevoli di un fatto tanto semplice quanto evidente e ricco di conseguenze. Il nostro è un pianeta blu. L’oceano ricopre il 71% della superficie terrestre e racchiude il 97% di tutta l’acqua presente sul pianeta. È un unico grande ecosistema e come tale si comporta, anche se noi lo conosciamo suddiviso in mari e oceani. È l’habitat più esteso, la casa di gran parte delle specie viventi. Ed è vitale anche per noi. Dalle primissime lezioni di scienze possiamo ricordare che la vita sul pianeta si forma in mare con i primi batteri, poi seguiti dagli organismi unicellulari. E nell’arco di milioni di anni quella vita esce dall’acqua e inizia a svilupparsi sulla terraferma. Quello a cui non pensiamo mai è che all’oceano dobbiamo anche una delle funzioni necessarie alla nostra stessa esistenza. L’ossigeno. Un respiro su due, lo dobbiamo a lui. L’oceano è il polmone blu del pianeta. La sua salute è fondamentale pure per la nostra economia, risorse e attività collegate agli oceani generano infatti il 5% del PIL mondiale. A ridosso del mare vivono centinaia di milioni di persone. L’oceano garantisce cibo per tutti sul pianeta e per un miliardo di persone è la fonte di proteine primaria. Siamo troppo abituati a darlo per scontato. L’oceano non lo conosciamo affatto. Sappiamo tutto delle terre emerse sulle quali abitiamo, ma i fondali marini sono ancora un mondo sconosciuto. Ne è stato esplorato e mappato solo il 5%, più o meno come la Luna. Lo stesso per quanto riguarda i nostri mari. Li chiamiamo “nostri” come se ne avessimo un qualche diritto di proprietà, in quanto il genere umano trae da lì il suo sostentamento alimentare ed economico. Abbiamo sempre considerato il mare una delle risorse del pianeta apparentemente infinite di cui servirci a piacimento. Lo deprediamo con una pesca intensiva industriale che ha portato al minimo la produttività delle acque e al collasso intere popolazioni animali. E con l’inquinamento lo stiamo letteralmente soffocando. Quasi l’80% delle acque reflue viene scaricato in mare senza essere trattato. E in mare ogni anno finiscono 8 milioni di tonnellate di plastica, l’equivalente di un camion pieno di rifiuti riversato ogni minuto. Un’invasione che sta mettendo a rischio la sopravvivenza di centinaia di specie marine. Una parte considerevole di quella che è stata chiamata dagli scienziati la sesta estinzione di massa sta avvenendo lontano dai nostri occhi, sotto il pelo dell’acqua. E se nel Pacifico la “zuppa di plastica” è già estesa come un’isola ed è più grande della Francia, si calcola che entro la metà del secolo nei mari troveremo più plastica che pesci. Non ci sarà uccello marino che non l’abbia ingerita. Nanoplastiche e microplastiche sono state rintracciate persino nel nostro sangue. Un’immagine difficile da dimenticare mi è stata mostrata durante una visita all’Agenzia Spaziale Europea. L’inquinamento atmosferico generato dai traffici marittimi mondiali è una nube che avvolge tutto il pianeta. È così grande da essere visibile dallo spazio. Se un impianto produttivo avesse le stesse emissioni di una nave, oggi verrebbe immediatamente chiuso perché non sarebbe accettabile sulla terraferma avere quei livelli di azoto o particolato sottile. Ma in mare sì. Ogni singola nave – comprese quelle da crociera – inquina come migliaia di automobili. Eppure si calcola che il settore inquinerà il 130% in più nei prossimi dieci anni. Ci arriva un barlume di consapevolezza di quello che viene estratto e trasportato ogni giorno per mare solo quando fa notizia un grave incidente come quello del 2021 alle isole Mauritius o un disastro ambientale delle proporzioni della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, nel golfo del Messico. Passata l’iniziale commozione, non pensiamo mai a quante navi trasportano combustibile e merci su e giù per il mondo. Ogni giorno. Anche le attività estrattive in mare aperto alla ricerca di nuovi combustibili fossili non si arrestano. La scienza ci ha avvertito di aver quasi esaurito il carbon budget a nostra disposizione. Ma nuove esplorazioni e concessioni riguardano persino l’Artico, il “nuovo” Artico meno ghiacciato. In quella che è una delle aree più fragili del pianeta, si stima ci sia almeno un quarto delle riserve finora inesplorate di petrolio e gas. «Vedere l’Artico come un’opportunità per nuove perforazioni, quando sono stati proprio i combustibili fossili la causa di questo disastro, non è accettabile. Abbiamo già estratto fin troppo. E il risultato è l’aumento delle emissioni. Non c’è bisogno di cercare più nulla. Tutto quello che non è stato ancora estratto deve rimanere nel sottosuolo, lì dov’è. Basta perforazioni in Artico, non ce ne possiamo permettere nemmeno una di più». Parole perentorie che mi regalò Christiana Figueres, una diplomatica originaria della Costa Rica, Segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tra il 2010 e il 2016. Considerata l’architetto dell’Accordo di Parigi, è la persona che è riuscita a convincere 194 Paesi del mondo a impegnarsi ad abbassare le emissioni per contenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 °C e il più possibile vicino a 1,5 °C. È quella la nostra soglia critica di aumento di temperatura media globale. Le sue parole dovrebbero essere la nostra stella polare. E invece l’oceano è il più sottovalutato anche quando si parla di cambiamenti climatici. Troppo vasto, pensiamo, per poter essere modificato da noi. Quando al contrario meriterebbe il massimo della nostra attenzione, perché è l’oceano che alimenta il nostro clima e ne determina il ritmo del cambiamento. Non solo abbiamo depredato e inquinato i nostri mari, con i cambiamenti climatici li stiamo modificando per sempre. E, di conseguenza, stiamo cambiando il volto del pianeta sul quale abitiamo. Il riscaldamento globale ha alterato e accelerato il ciclo dell’acqua. Lo vediamo nelle tempeste più violente, nel rapido scioglimento dei ghiacci, ma anche nelle lunghe siccità e le persistenti ondate di calore. Questo rischia di essere solo un acconto di quello che ci aspetterà nei prossimi decenni, senza un drastico cambio di rotta. L’oceano è stato il nostro miglior alleato contro il riscaldamento globale. Come una spugna ha assorbito il 30% dei gas serra e più del 90% del calore extra prodotto dalle attività umane e ci ha restituito indietro molto poco, con un’inerzia molto bassa. Possiamo pensare a un termosifone che riscalda a poco a poco la nostra stanza, rilasciando calore un po’ alla volta. Senza il lavoro degli oceani, il riscaldamento globale sarebbe già probabilmente fuori controllo. Questa non è che la dimostrazione di quanto siano fondamentali. Ma la domanda è: quegli oceani che ci stanno salvando da condizioni di vita insostenibili, per quanto tempo ancora riusciranno a farlo? Per rispondere a questa domanda e misurare gli effetti dei cambiamenti climatici ho viaggiato in tutto il mondo. Riscaldamento superficiale e ondate di calore marine, innalzamento del livello dei mari, acidificazione delle acque, deossigenazione non sono solo concetti scientifici. Sono reali. Sono sirene di allarme che ci dicono che l’ecosistema marino è stressato al punto da iniziare a pagare un prezzo altissimo. Di questo passo, irreversibile. La soluzione è conoscere l’oceano e proteggerlo sempre di più. Le buone pratiche dimostrano che si può ancora fare tanto. Si è visto che i mari sono gli ecosistemi che rispondono meglio e più velocemente alle buone pratiche di gestione. Nel mondo migliaia di scienziati sono al lavoro per questa missione impossibile, salvare gli oceani per salvare noi stessi. Una corsa contro il tempo per rendere i nostri oceani più sani e più vitali. Ne ho incontrati diversi in questo viaggio nei cinque continenti e voglio condividere in queste pagine ciò che mi hanno detto. Ho scoperto che siamo negli anni decisivi di questa sfida. Lo dimostra il fatto che le Nazioni Unite hanno denominato gli anni 2021-2030 il Decennio degli Oceani. Non è una coincidenza che questi siano anche gli anni decisivi dell’azione climatica, gli anni per contenere il riscaldamento globale entro livelli compatibili con il benessere, la salute umana e il nostro assetto economico e sociale. Dieci anni per curare il malato grave, direbbe il noto climatologo Luca Mercalli. Vorrei ringraziare uno a uno gli scienziati che ho incontrato in questi anni. Diversi li troverete citati in questi capitoli, con molti rimango in contatto per confronti sempre interessanti. Sono persone appassionate, oltre che competenti e rigorose. Sono consapevoli della difficoltà della sfida, ma anche dell’urgenza di far comprendere il loro lavoro. Stanno facendo uno sforzo di divulgazione e di informazione incredibile. Li dovremmo tutti ringraziare per come stanno rendendo accessibili concetti e sistemi complessi come quello climatico. Giornalisticamente, sono fonte di ispirazione per me. Mi hanno spinto ad andare a verificare come quei numeri, quei modelli, quei risultati siano già nelle nostre vite: sono storie di persone e luoghi. Il cambiamento climatico è qui e ora. Il pianeta è cambiato e l’uomo deve faticosamente adattarsi alle nuove condizioni. 40,5 miliardi di tonnellate di emissioni globali di CO2 solo nell’ultimo anno, con un ulteriore aumento dell’1%, dimostrano invece che la strada della mitigazione è ancora lunga. Insufficientemente praticata. Così lenta da risultare incompatibile con la velocità dei cambiamenti climatici in corso. Abbiamo costruito un mondo basato sui combustibili fossili. Un modello di sviluppo e di consumo che ha già ampiamente superato i limiti ambientali. L’idea stessa della crescita infinita ha le fondamenta nel carbone, nel petrolio, nel gas. È l’idea del consumare le risorse fin quando ce ne sono. Ma le emissioni climalteranti stanno riscaldando atmosfera e oceani a una velocità mai vista. Dare fondo alle risorse fossili accumulate nella Terra in milioni di anni, per bruciarle in un secolo e mezzo, significa spezzare un equilibrio, rompere il patto di convivenza con la natura. Trasformare l’atmosfera e gli oceani nella discarica delle nostre attività non sarebbe stato un nostro problema, ma di qualche lontana futura generazione, si diceva. Salvo poi essere riportati sui binari della realtà dalla scienza, che da almeno 30 anni ci dice che invece no, i cambiamenti causati dall’uomo hanno una forza tale da avere un impatto geologico oggi e nei prossimi decenni. Miope è anche considerare i modelli climatici come qualcosa di cui non occuparsi fino alla scadenza. Se il modello mi dice 2050, vuol dire che fino al 2049 non succederà niente? Mi potrò comportare come ho sempre fatto, il cosiddetto business as usual? È la metafora magistralmente rappresentata nel film Don’t Look Up. Non solo non si presta attenzione all’allarme della scienza, ma si va avanti come nulla fosse o persino negando l’evidenza scientifica. Fin quando non ci si ritrova l’asteroide davanti agli occhi. Con la stessa miopia abbiamo considerato l’oceano come qualcosa di distante o separato da noi. Indipendente da quello che succede sulla terraferma solo perché fisicamente separato da una striscia di sabbia. Questo libro mira anche a rimettere l’oceano al centro del racconto del mondo. Delle nostre vite. Un oceano sano sarebbe garanzia di un futuro sicuro per noi e i nostri figli. In fondo, l’azione climatica non è che una battaglia per un mondo migliore. Più bello. Meno inquinato. Più giusto. Ci piace davvero quello che vediamo intorno a noi? Potremmo avere aria più respirabile, camminare in città più vivibili, pagare meno l’energia, mangiare meglio. Lo so, non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. E se esistono, non si realizzano rapidamente. In gioco, non ci sono solo extraprofitti di aziende private ma interessi nazionali, equilibri geopolitici e geostrategici. La chiusura di un rubinetto può far saltare tutto il fragilissimo equilibrio, nonostante la strada alternativa sia più che tracciata e praticabile. Ma questo è un altro discorso. Ora seguitemi, si va per mare. Alessandro Macina è giornalista professionista, in Rai dal 2007 e inviato di Presa Diretta dal 2009. Ha realizzato numerosi reportage in tutto il mondo sulla crisi climatica e ambientale. Ha vinto il XIX premio Ilaria Alpi nel 2013 e il premio nazionale di divulgazione scientifica nel 2019 per il reportage sui cambiamenti climatici “Caldo Artico”. Immagine di copertina: Edizioni Dedalo Read the full article
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Scoperti "super coralli" che prosperano in livelli elevatissimi di CO2
Scoperti "super coralli" che prosperano in livelli elevatissimi di CO2 - Nel 2019, un professore di idrologia (un esame che feci anche io presso l’Università di Ferrara) presso l’Università del Texas ad Austin ha avviato un progetto di ricerca per vedere se poteva identificare i nutrienti dannosi che fluiscono attraverso le acque sotterranee in un delicato santuario della barriera corallina nelle Filippine.
Un nuovo articolo su http://www.danireef.com/2021/10/07/scoperti-super-coralli-che-prosperano-in-livelli-elevatissimi-di-co2/
Scoperti "super coralli" che prosperano in livelli elevatissimi di CO2
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- by Danilo Ronchi
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L'OCEANO: IL FONDAMENTO DELLA VITA SUL NOSTRO PIANETA
L’OCEANO: IL FONDAMENTO DELLA VITA SUL NOSTRO PIANETA
SALVIAMO L’OCEANO, PROTEGGIAMO IL NOSTRO FUTURO L’Oceano copre il 70% della superficie della Terra, è la più grande biosfera del nostra pianeta ospitando fino all’80% di tutte le forme di vita (circa un milione di specie conosciute).Secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite, l’Oceano genera il 50% dell’ossigeno che respiriamo, assorbe il 25% di tutte le emissioni di anidride carbonica e…
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Il rumore bianco del clima che cambia Andri Snær Magnason è uno scrittore islandese autore di romanzi, libri per bambini, poesie, saggi e documentari, tradotto in 30 paesi tra cui l’Italia ... è un noto attivista per l’ambiente ed è considerato l’intellettuale più influente del paese; è sua, per esempio, l’idea del funerale al primo ghiacciaio scomparso in Islanda nel 2014 a causa dei cambiamenti climatici, accompagnato da una targa commemorativa e da una lettera al futuro.... Nell’ottobre 2019 ha pubblicato in Islanda Il tempo e l’acqua, che è diventato il libro più venduto dell’anno, e che affronta il cambiamento climatico in modo originale e personale... Il libro è appena uscito in Italia, pubblicato sempre da Iperborea. Di seguito il primo di cinque testi sul cambiamento climatico scritti da Magnason per il Post e tradotti dall’inglese da Silvia Piraccini. Parole "Nei prossimi cent’anni, l’acqua della nostra Terra subirà dei mutamenti sostanziali. I ghiacciai si scioglieranno. Il livello degli oceani si innalzerà. Il riscaldamento globale porterà siccità e inondazioni. Il pH dei mari cambierà più di quanto sia avvenuto negli ultimi cinquanta milioni di anni. E tutto accadrà nell’arco della vita di un bambino che nasca oggi e arrivi ai novantacinque anni, l’età che ha ora mia nonna." "(...) Le grandi forze della Terra hanno abbandonato i tempi geologici per modificarsi al ritmo dell’uomo. Cambiamenti che prima si verificavano in migliaia di anni avvengono ormai in cento. È una velocità che ha il sapore del mito: coinvolge ogni forma di vita del nostro pianeta e si ripercuote sul fondamento stesso di tutto ciò che pensiamo, scegliamo, produciamo e crediamo. Si ripercuote su tutte le persone che conosciamo, su tutte le persone che amiamo. Siamo di fronte a cambiamenti molto più grandi di quelli cui la nostra mente è abituata, più impegnativi di qualsiasi nostra esperienza precedente, più complessi del linguaggio e delle metafore che adoperiamo per orientarci nella realtà." "Ci troviamo nella stessa situazione di chi voglia registrare i suoni di un’eruzione vulcanica: con quasi tutte le apparecchiature, oltre un certo livello i suoni si confondono e arriva solo un ronzio, rumore bianco. Ecco, per gran parte di noi l’espressione «cambiamenti climatici» è solo rumore bianco. Su questioni di minore portata, per esempio quando perdiamo un oggetto prezioso, vediamo sparare a un animale o sforiamo un budget, è più semplice farci un’opinione. Ma quando si tratta dell’infinitamente grande, del sacro, di ciò che è alla base stessa della nostra esistenza, non abbiamo una reazione proporzionata. È come se il cervello non riuscisse a comprenderne le dimensioni." "Questo rumore bianco ci inganna. Vediamo i titoli di giornale e pensiamo di capire parole come «scioglimento dei ghiacci», «temperature record», «acidificazione degli oceani», «emissioni in aumento». Ma se gli scienziati hanno ragione, queste parole esprimono eventi più gravi di tutti quelli accaduti nella storia dell’uomo fino a oggi. Se le capissimo fino in fondo, dovrebbero avere un impatto immediato sulle nostre azioni e le nostre scelte. Pare invece che il 99 per cento del loro significato si perda nel rumore bianco." "Per capire il mondo in cui viviamo ci serviamo delle parole. Con le parole gli diamo un senso, raccontiamo storie, spieghiamo i fatti. Ma quali parole sono abbastanza grandi per esprimere quanto dice la scienza dell’impatto che ha l’uomo su tutta l’acqua del pianeta, tutto il suolo del pianeta, tutta l’atmosfera del pianeta? Sono questioni enormi, che inghiottono ogni significato. Per le parole non c’è una scala progressiva come per i numeri. Non possiamo ingrandirle mille volte aggiungendoci tre zeri. Non possiamo dire che la questione ha raggiunto il dodicesimo grado della scala Mercalli. E NON POSSIAMO SCRIVERE TUTTO IN MAIUSCOLO, o ci screditeranno e ci prenderanno per matti. Forse l’unico mezzo che abbiamo per affrontare la questione sono le nostre parole più significative. Sacro. Amore. Nonna. Viviamo nel tempo di una maledizione che sarà pure stata attribuita ai cinesi erroneamente, ma che ci calza a meraviglia: «Che tu possa vivere in tempi interessanti.»" Andri Snær Magnason (Il Post)
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I pesci sopravviveranno all'acidificazione degli oceani... e degli acquari
I pesci sopravviveranno all’acidificazione degli oceani… e degli acquari
Tutti gli studi condotti fino ad oggi hanno messo in luce come i pesci potrebbero soffrire della crescente acidificazione degli oceani.
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#Acanthochromis polyacanthus#Acidificazione degli Oceani#amphiprion percula#Australian Institute of Marine Science#cambiamento climatico#Craig Humphrey#James Cook University#Mark I. McCormick#Michael D. Jarrold#nature#Philip L. Munday#ricerca#riscaldamento globale#surriscaldamento globale#università
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I gusci di lumache fossili offrono un nuovo strumento per analizzare l'antica chimica degli oceani
I gusci di lumache fossili offrono un nuovo strumento per analizzare l’antica chimica degli oceani
Un fossile di 250 milioni di anni fa di un guscio di lumaca marina in condizioni incontaminate. La conchiglia era una delle migliaia esaminate nello studio. Barra della scala = 100 micrometri. Una collezione di conchiglie fossili di lumache marine e vongole sta sfidando una teoria che dice che l’estinzione di massa più letale del mondo è stata accompagnata da una grave acidificazione…
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LA TERRA UN PIANETA SEMPRE PIU’ IN SOFFERENZA di Eduardo Terrana
LA TERRA UN PIANETA SEMPRE PIU’ IN SOFFERENZA di Eduardo Terrana
LA TERRA UN PIANETA SEMPRE PIU’ IN SOFFERENZAIl 22-04-2021 la Giornata mondiale della terra di Eduardo Terrana Sintetizzare, in un rapido identikit, lo stato di salute del nostro Pianeta ci porta a evidenziare che sono tanti i mali che lo affliggono, dall’abuso di azoto e fosforo all’ acidificazione degli oceani; dal buco dell’ozono al cambiamento climatico; dalla fusione dei ghiacci all’…
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201 milioni di anni fà i livelli di CO2 erano simili agli attuali
I livelli odierni CO2 simili a quelli dell'estinzione di massa del Triassico. Ricerca dell'Università di Padova li compara quelli della magma area 'Camp', scenario dei più vasti eventi vulcanici della storia della Terra, circa 201 milioni di anni fa, quando i vulcani eruttarono nello stesso periodo temporale, dalla Francia alla Bolivia, su un'area complessiva grande come tutta l'Europa.
Circa 200 milioni di anni fa, a fine Triassico ci fu una gigantesca attività vulcanica sulla Terra con eruzioni contemporanee, dalla Francia alla Bolivia, su un'area complessiva grande come tutta l'Europa. E si verificò un'estinzione di massa. Ebbene, i valori di CO2 presenti nella atmosfera allora sono pericolosamente simili a quelli attuali. Il dato emerge da una ricerca, pubblicata su Nature Communications, svolto da un team internazionale di ricerca coordinato da Manfredo Capriolo, del Dipartimento di Geoscienze dell'Università di Padova, che ha studiato il magma del Central Atlantic Magmatic Province (Camp). Dalla ricerca è emerso come la quantità di CO2 emessa da un singolo periodo eruttivo sia pari allo scenario di emissioni antropogeniche previste per il XXI secolo dall'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) dell'Onu. In questa ipotesi si avrebbe un incremento della temperatura globale di circa 2 gradi e una grave acidificazione degli oceani. Questo paragone suggerisce che i cambiamenti climatici e ambientali di fine Triassico, guidati da emissioni di CO2 e che portarono a un'estinzione di massa, siano ipotizzabili negli esiti finali in un immediato futuro. Lo studio si concentra sulla Central Atlantic Magmatic Province (Camp), scoperta e oggetto di studio negli ultimi venti anni dei ricercatori dell'Università di Padova, e sull'analisi dei magmi del Triassico particolarmente ricchi di CO2. I magmi di questa zona, così come quelli di ogni altra provincia magmatica, hanno una co
mposizione chimica e isotopica caratteristica, che li rende peculiari e distinguibili dagli altri, come se avessero una propria "firma geochimica". La Camp è stata scenario dei più vasti eventi vulcanici della storia della Terra, circa 201 milioni di anni fa, con vulcani che hanno eruttato nello stesso periodo temporale, dalla Francia alla Bolivia, su un'area complessiva grande come tutta l'Europa. Questo vulcanismo, collocato alla fine del periodo Triassico, è avvenuto contemporaneamente a una delle cinque estinzioni di massa più devastanti nella storia della Terra. La ricerca ha dimostrato la presenza nei magmi della Camp di ingenti quantità di CO2 imprigionate in minuscole inclusioni di vetro vulcanico, che hanno preservato le originarie bolle gassose. I campioni studiati, provenienti da Nord America (Stati Uniti e Canada orientali), Marocco (Alto Atlante) e Portogallo (Algarve), mostrano che questi magmi sono particolarmente ricchi in CO2 e che quindi l'emissione di questo gas serra può aver causato l'estinzione di massa. Read the full article
#anidridecarbonica#camp#CO2#estinzionedimassa#Gasserra#ManfredoCapriolo#NatureCommunications#Padova#triassico#vulcani
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Un articolo pubblicato sulla rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences" riporta uno studio su foraminiferi fossili risalenti al periodo precedente e successivo alla grande estinzione che eliminò i dinosauri. Un team di ricercatori guidato da Michael Henehan del GFZ German Research Centre for Geosciences ha esaminato in particolare gli isotopi di carbonio e boro nei gusci calcarei di organismi appartenenti al gruppo dei foraminiferi scoprendo le tracce di un'acidificazione degli oceani causata dall'impatto dell'enorme meteorite che determinò quella grande estinzione.
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Acidificazione degli Oceani: ad Ischia si studiano gli effetti dei cambiamenti ambientali negli habitat marini http://dlvr.it/QttWrr
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Questi giorni piovosi di convalescenza post operatoria operatoria e ridotta mobilità data dal peggior mal di schiena ever, mi stanno dando modo di leggere e pensare più del solito. Solitamente questa sarebbe una buona cosa ma non nel frangente in questione. Ho infatti sconfinato in un territorio che potremmo definire fatalista. I dati registrati negli ultimi decenni sono chiari: la mia generazione e sopratutto quelle successive dovranno convivere (il termine corretto sarebbe sopravvivere) con un pianeta completamente diverso. Il cambiamento climatico non è arrestabile né mitigabile, il computo energetico è già sballato (si vedano le centinaia di record giornalieri delle temperature minime e massime alle varie latitudini) e l'energia in eccesso accumulata dal sistema-pianeta impiegherà secoli se non millenni a tornare forse a livelli pre rivoluzione industriale. Non esistono soluzioni concrete, fantomatici pareggi energetici o netzero, invenzioni fantascientifiche che catturino la CO2 o oscurino il sole con dimensioni e tempi fattibili. Cosa succederà? Ecco alcune ipotesi. Anche senza il collasso della corrente del Golfo il clima è già cambiato portando a fenomeni estremi con sempre più frequenza. Sono già cambiate le stagioni. Questo impatterà ancora di più sugli ecosistemi con l'estinzione di massa a catena di moltissime specie. Desertificazione, deforestazione e acidificazione degli Oceani. Quest'ultima cosa in particolare sfugge alla nostra abilità di immaginare le conseguenze nel medio periodo. L'acqua dolce scaricata in mare dalla fusione delle calotte polari aumenterà l'acidificazione ma non saranno solo i coralli a soffrirne come già è possibile vedere nelle barriere coralline di tutto il mondo. L'impossibilità per gli organismi marini di utilizzare il carbonato di calcio si traduce nella scomparsa di tutte quelle specie che sviluppano un guscio (qui tutti pensano ai crostacei) tra le quali ovviamente va incluso il plankton. Capiamoci, se collassa l'ecosistema marino non c'è ritorno sul breve o medio periodo, il nostro pianeta si chiama Terra ma è per la maggior parte coperto da oceani dai quali dipende buona parte della produzione di ossigeno. Ripeto: abbiamo in pochissimo tempo accelerato e sconvolto processi che si sono verificati e stabilizzati in milioni di anni. Una volta che un equilibrio si rompe non si torna indietro, ne sono la prova le specie che abbiamo visto estinguersi nella nostra vita, i ghiacciai che sono scomparsi sotto i nostri occhi nell'ultimo secolo, la riduzione della quantità e biodiversità del pescato a livello globale. Se togliamo da un sistema circolare un elemento (rapporto preda/predatore) quel sistema non è più circolare ma si sballa fino a stravolgersi completamente. Lo sanno bene tutti coloro coinvolti col granchio blu dal delta del Po e lungo le coste adriatiche. Nel frattempo i miliardari di diversi Paesi si affannato ad identificare delle goldilocks zones lungo il pianeta, aree con più risorse e meno problematiche che impiegheranno più anni a rovinarsi rispetto al resto del mondo, dove andare a costruire i loro bunker. Ci aspettano un pianeta e una popolazione completamente diversi per i quali in pochi (rispetto ai numeri attuali) si dovranno adattare per sopravvivere in condizioni a noi sconosciute. Se pensiamo che guardiamo allo spazio cercando luoghi che siano ospitali alla vita umana mentre rendiamo invivibile l'unico a nostra disposizione, questo credo dia la tara sulla follia e le colpe della nostra specie.
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[...] poveri delle aree rurali affluiscono nelle città. E poi, quando scoprono che il nirvana promesso da Instagram non è disponibile là, lo cercano in altri Paesi, andando a ingrossare le fila dei migranti economici in cerca di una vita migliore;Questi migranti, mettono sotto pressione infrastrutture/economie dei Paesi in cui arrivano, minando la tolleranza e alimentando ancora di più il populismo politico.
Per me, l’aspetto veramente preoccupante di tutto questo è che mai come adesso, nella storia, è stato maggiore il bisogno che la nostra specie lavori insieme. Dobbiamo affrontare sfide ambientali spaventose: cambiamenti climatici, produzione alimentare,sovrappopolamento,decimazione di altre specie,epidemie,acidificazione degli oceani.
Ci troviamo nel momento più pericoloso nella storia dello sviluppo dell’umanità. Possediamo la tecnologia per distruggere il pianeta su cui viviamo, ma non abbiamo ancora sviluppato la capacità di fuggire da questo pianeta. Forse fra qualche secolo avremo creato colonie umane fra le stelle, ma in questo momento abbiamo un solo pianeta, e dobbiamo lavorare insieme per proteggerlo.Per farlo è necessario abbattere le barriere interne ed esterne alle nazioni, non costruirle. Se vogliamo avere una possibilità di riuscirci, è indispensabile che i leader mondiali riconoscano che hanno fallito e che stanno tradendo le aspettative della maggior parte delle persone. Con le risorse sempre più concentrate nelle mani di pochi, dovremo imparare a condividere molto più di quanto facciamo adesso.
Non stanno scomparendo solo posti di lavoro, ma interi settori, e dobbiamo aiutare le persone a riqualificarsi per un nuovo mondo, e sostenerle finanziariamente mentre lo fanno. Se comunità e economie non riescono a sopportare gli attuali livelli di immigrazione, dobbiamo fare di più per incoraggiare lo sviluppo globale, perché è l’unico modo per convincere milioni di migranti a cercare un futuro nel loro Paese.
Possiamo riuscirci io sono di un ottimismo sfrenato sulle sorti della mia specie: ma sarà necessario che le élite, da Londra a Harvard, da Cambridge a Hollywood, imparino le lezioni di quest’ultimo anno,soprattutto, una certa umiltà S.Hawking🌲
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L'acidità degli oceani sta causando la perdita dell'olfatto ai pesci a causa dell'aumento di CO2
L'acidità degli oceani sta causando la perdita dell'olfatto ai pesci a causa dell'aumento di CO2 - Attraverso i cambiamenti climatici e l’incuria del genere umano verso il pianeta Terra, gli equilibri del sistema vengono stravolti con conseguenze impensabili: alla fine, anche i pesci perdono l’olfatto.
Un nuovo articolo su http://www.danireef.com/2021/04/30/lacidita-degli-oceani-sta-causando-la-perdita-dellolfatto-ai-pesci-a-causa-dellaumento-di-co2/
L'acidità degli oceani sta causando la perdita dell'olfatto ai pesci a causa dell'aumento di CO2
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- by Silvia Fabris
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L’acidificazione degli oceani
NAPOLI – La prestigiosa rivista scientifica Nature Communications ha pubblicato uno studio sull’acidificazione degli oceani condotto ad Ischia da ricercatrici della Stazione Zoologica Anton Dohrn.
Il problema dell’acidificazione degli oceani è considerato l’altra faccia del cambiamento globale ambientale negli habitat marini in conseguenza dell’aumento della immissione di anidride carbonica (CO2)…
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Acidificazione degli oceani e rischio biodiversità: la relazione tra specie va tutelata — OggiScienza
Acidificazione degli oceani e rischio biodiversità: la relazione tra specie va tutelata — OggiScienza
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