#27 luglio 1942
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italianiinguerra · 4 months ago
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Pillole di Seconda Guerra Mondiale: 27 luglio
1941 – Fronte sovietico. I tedeschi occupano Tallinn, capitale dell’Estonia, sul Golfo di Finlandia 1941– Fronte sovietico. Nel settore centrale, completano l’accerchiamento delle forze sovietiche a Smolensk. Tuttavia i sovietici riescono a organizzare una nuova linea di resistenza 40 km a est della città. 1941 – Battaglia d’Inghilterra. Dopo una relativa tregua durata qualche settimana, i…
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claudiodangelo59 · 5 months ago
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1 luglio - 27 luglio 1942
Prima battaglia di EL ALAMEIN
Con questo mese di duri combattimenti in uno degli ambienti più estremi della terra, il Soldato Italiano ancora una volta si consegnava alla Storia e alla Gloria imperitura.
Non dimentichiamoli:
132ª Divisione corazzata "Ariete"
133ª Divisione corazzata "Littorio"
101ª Divisione motorizzata "Trieste"
102ª Divisione motorizzata "Trento"
XXXI Battaglione guastatori d'Africa
185ª Divisione paracadutisti "Folgore"
9º Reggimento bersaglieri
17ª Divisione fanteria "Pavia"
60ª Divisione fanteria "Sabratha"
27ª Divisione fanteria "Brescia"
XLIX Gruppo di artiglieria pesante campale
CXLVII Gruppo di artiglieria pesante campale
25ª Divisione fanteria "Bologna"
580º Gruppo esplorante
136ª Divisione "GG.FF."
Questa epigrafe, conservata nel sacrario di El-Alamein, li accompagni tutti:
« Fra sabbie non più deserte
sono qui di presidio per l'eternità i ragazzi della Folgore
fior fiore di un popolo e di un Esercito in armi.
Caduti per un'idea, senza rimpianti, onorati dal ricordo dello stesso nemico,
essi additano agli italiani, nella buona e nell'avversa fortuna,
il cammino dell'onore e della gloria.
Viandante, arrestati e riverisci.
Dio degli Eserciti,
accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell'angolo di cielo
che riserbi ai martiri ed agli Eroi »
(Foto: da web)
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barbara-stefani · 2 years ago
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Le tracce mnemoniche sono vive, 2017-2022 Hommage à E. Hopper Serie “Troppo presto, troppo tardi? Sottrazioni.” pittura ad acrilico su scatole di carta di occhiali Polittico di 18 opere, 8 x18 cm ognuna
“The nighthawks” (I nottambuli) 1942 di Edward Hopper rappresenta di fatto solo l’opera di riferimento, la cornice visiva ed espressiva verso cui Barbara Stefani, attraverso il lavoro dal titolo “Le tracce mnemoniche sono vive” 2017-2022, innesta un confronto. I richiami di Hopper si intravedono principalmente nei silenzi, nei vuoti, nelle sospensioni atemporali, nelle luci metafisiche che promanano da un luogo in cui la presenza umana è totalmente assente. I nottambuli, “the nighthawks", di Hopper sono infatti usciti di scena, e con essi i temi dell’incapacità di comunicare, della solitudine esistenziale, dell’estraneità. E’ un vuoto, quello della Stefani, incorniciato da un preciso contesto architettonico, straniante e artificiale, che non appartiene a nessun luogo, e proprio per questo è ovunque e ci è così familiare. Nel polittico “Le tracce mnemoniche sono vive” si condensa l’esperienza di un vissuto elaborato dal 2017 al 2022, un tempo lunghissimo nel quale la continua rilettura e riflessione sull’opera dell’artista americano, ha dato origine a diciotto singoli “frame” che spaccano “The nighthawks” in una sequenza cinematografica. Una successione di momenti che va scorsa in movimento, ripercorrendo perciò non solo con la memoria, ma anche con il corpo, lo spazio-tempo del vissuto dell’artista. Diciotto “frame” tridimensionali, che segnano un itinerario lento, composto da diciotto lunghe pause in cui lo sguardo inabissa, per ognuna di esse, in una dimensione atemporale, che genera un tempo multiplo, pluridirezionale, moltiplicato, un tempo che si espande in infinite direzioni. Un tempo che successivamente viene ricompattato, riallineato in un unico luogo, come a chiudere un ventaglio fatto di istantanee nell’opera dal titolo “Retrospettiva”. “Le tracce mnemoniche sono vive” sono diciotto attimi impressi su piccoli dipinti su carta supportati da objet-trouvé, scatole di occhiali, che da oggetti di scarto del consumismo si trasformano, come in un esperimento alchemico, in contenitori di uno straordinario vissuto, palpitante e attuale. Serena Bellini, Trieste, 27 luglio 2022
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lf-celine · 4 years ago
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Louis-Ferdinand Céline compare in due rapporti di polizia presso la Questura di Parigi, redatti in due periodi diametralmente diversi: il primo, infatti, è del 1928, e riguarda il dottor Destouches non ancora diventato Céline. La Questura si interessa all’allora trentaseienne medico, domiciliato al 36 di Rue d’Alsace a Clichy, banlieue rossa di Parigi, arrivatovi quell’anno con la ballerina americana Elizabeth Craig, la sua “Imperatrice”. Louis Destouches vi risiederà per una decina d’anni sino al 1937, praticandovi la professione medica prima privatamente e poi presso un dispensario, perché membro dell’Associazione d’Igiene sociale e di prevenzione anti tubercolosi di Clichy. Tra i suoi fondatori vi è Gaston Paymal (1898-1943), funzionario amministrativo dell’ufficio pubblico d’igiene e in seguito sindacalista confederale e strenuo attivista: il rapporto della Questura nota infatti come il nobile scopo dell’associazione possa “senza dubbio servire presto o tardi quale paravento alla propaganda comunista e come la municipalità non mancherà di far leva sulla sua creazione per influenzare il corpo elettorale al momento opportuno”. Il dottor Destouches è indicato come segretario, e oltre le sue generalità anagrafiche e professionali è notato come “non è oggetto di alcuna osservazione dal punto di vista politico” e come “sia ben rappresentato in tutti i rapporti”. Fu proprio a Clichy che scriverà Viaggio al termine della notte, prendendo il nome d’arte di Céline, e trasferendosi prima in Rue Lepic e poi in Rue Girardon, a Montmartre, con la nuova compagna Lucette Almansor. Questi cambi di residenza sono diligentemente appuntati nel secondo documento, redatto in circostanze drammatiche: è infatti datato 11 giugno 1945, quando la coppia, fuggita in Germania prima e in Danimarca poi dopo lo sbarco Alleato in Francia, è tuttora in clandestinità, essendo Céline ricercato per collaborazionismo. Riproduciamo il documento di seguito dato il suo interesse céliniano, visto che mette nero su bianco le debolissime accuse della Giustizia francese a Céline, accuse che gli valsero comunque il rischio della pena di morte per “alto tradimento”, e anche per il quadro generale che dà della Parigi occupata e dei complessi rapporti tra francesi e tedeschi in quel periodo, che trovano secondo noi una immagine certamente tragicomica nell’informazione riferitavi di un “posto radio trasmittente, in collegamento con Londra” della Resistenza francese “operativo nel sottotetto del Moulin de la Galette” frequentato dagli alti Ufficiali tedeschi della Kommandantur di Parigi, con il probabile tacito assenso del suo proprietario, peraltro occupato a procacciare avvenenti “donne russe” agli Occupanti! (Andrea Lombardi) *** Parigi, l’11 giugno 1945 Questura Ufficio del Questore Dipartimento Amministrativo N° 419597 Estratto di un rapporto 5 giugno 1945 Firmato Informazioni Generali, allegato al dossier N° 125815 Destouches Louis Ferdinand nato il 27/5/1894 a Courbevoie Dottore alla facoltà di medicina residente al 36 Rue d’Alsace a Clichy è stato oggetto di un rapporto come collaboratore tedesco. 5 giugno 1945 [timbrato] a/c di Chayrou Pierre segnalato come “collaboratore dei tedeschi” A seguito di una informativa in data 14 dicembre 1944, segnalante il proprietario del “Moulin de la Galette” quale amico di Louis Ferdinand Céline e noto per aver ricevuto nei suoi locali, durante l’occupazione, dei membri dello stato maggiore tedesco; avendo inoltre egli praticato la borsa nera “in grande”, in compagnia di due donne russe delle quali una si era ritrovata incinta di un ufficiale dello stato maggiore tedesco si è proceduto ad una inchiesta che ha permesso di raccogliere le seguenti informazioni: CHAYROU Pierre, André, Jules, nato il 12 aprile 1899 a Parigi, 10°, […] Dal 1936 dirige gli esercizi “Le Moulin de la Galette e i Jardins de Montmartre” […] L’esercizio “Le Moulin de la Galette” è noto ai Servizi della Direzione Informazioni Generali e del Gioco per essere stata oggetto di una informativa il 1° aprile 1944. A quella data, la direzione di questo esercizio ha lanciato un certo numero d’inviti a diverse personalità francesi e tedesche in occasione della prima rappresentazione della rivista “Album d’Images” di Géo Bury [cantante d’operetta e attore]. Si notano in particolare i nomi di: Georges Hilaire, Segretario generale alle Belle Arti, Otto Abetz, ambasciatore della Germania, Knothe Console della Germania, il Generale Boineburg-Lengsfeld, comandante della Grand-Paris [Il Generale Hans Boineburg-Lengsfeld, decorato comandante di unità corazzate, fu coinvolto nell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944 come molti altri Ufficiali del comando di Parigi, ma per sua fortuna non fu scoperto evitando l’epurazione all’interno del corpo ufficiali tedesco seguente], oltre che una ventina di ufficiali superiori delle truppe d’occupazione e di funzionari dell’Ambasciata di Germania. I Sigg. de BRINON, BUSSIERE e BOUFFET [Fernand de Brinon, segretario di stato a Vichy e poi presidente del governo in esilio a Sigmaringen; Amédée Bussière, capo della Polizia di Parigi, e René Bouffet, prefetto del Dipartimento della Senna] che erano stati egualmente invitati hanno fatto sapere che assisteranno in altra occasione al nuovo spettacolo del “Moulin de la Galette”. Per quanto concerne l’informazione secondo la quale degli Ufficiali dello Stato Maggiore tedesco si riunissero in un locale dipendente da questo esercizio, sono stati raccolte le seguenti notizie: Il Moulin de la Galette si compone di una sala da ballo (ingresso al 77, Rue Lepic) di uno studio di danza (entrata Rue Girardon e 1 avenue Junot) e da un cabaret “Sur les toits de Paris” (entrata 81, Rue Lepic). Dal 1941 al 1943, una sala da cabaret situata a quest’ultimo indirizzo era riservata con il nome di “Bierpausen” ai membri dell’esercito d’occupazione che giungevano a visitare Montmartre e lì vi consumavano. L’arredo di questa sala rappresenta un grande atelier di pittura. Degli ufficiali tedeschi di tutti i gradi vi facevano frequenti visite e questo va e vieni ha presto attirato l’attenzione del vicinato. […] La direzione del “Moulin de la Galette” aveva parimenti fatto distribuire tra i membri dell’esercito occupante dei volantini redatti in francese e tedesco concernenti il cabaret “Sur les toits de Paris”, dei quali alleghiamo un esemplare. Secondo le notizie raccolte nel suo ambiente, CHAYROU avrebbe guadagnato cifre considerevoli con i tedeschi che erano la principale clientela. Per contro non è stato raccolta nessuna notizia per quel che concerne il mercato nero che si sarebbe operato e che è segnalato nella stessa informativa, oltre che sul soggetto delle due donne russe, che sono sconosciute al personale come al vicinato. Nono si è potuta identificare nessuna delle due. È da notare come, durante l’occupazione, un posto radio trasmittente, in collegamento con Londra, era operativo nel sottotetto del Moulin de la Galette, fatto che il Chayrou sembrasse ignorare. Quest’ultimo era stato in relazioni amichevoli con Destouches detto “Céline” del quale si parla in altra parte. In privato, Chayrou non è stato oggetto di alcuna osservazione particolare. Non ha mai attirato l’attenzione dal punto di vista politico. Non ha precedenti giudiziari. *** DESTOUCHES detto Céline, Louis Ferdinand, nato il 27 maggio 1894 a Courbevoie (Senna) di nazionalità francese, è sposato e padre di famiglia. Dall’aprile 1941, egli è domiciliato al 4, rue Girardon (18°) ma non è più stato visto a questo indirizzo dal giugno 1944. Si suppone che a quella data si sia recato a Sigmaringen (Germania) ma si ignora dove si trova attualmente [Céline e Lucette a quest’epoca erano a Copenhagen, ove erano giunti ad aprile del 1945. Céline fu arrestato a dicembre nello stesso anno, e rinchiuso in carcere in Danimarca per 14 mesi]. È stato vanamente ricercato nella circoscrizione della Questura. In precedenza, DESTOUCHES aveva abitato successivamente al 36, Rue d’Alsace a Clichy e al 98, Rue Lepic (18°). Dottore in medicina della facoltà di Parigi, la sua laurea è stata registrata il 17 ottobre 1927 alla Questura, ma non ha mai esercitato [Probabilmente si riferiscono alla professione medica ospedaliera strettamente intesa; come noto, Céline lavorò come medico sia presso la Società delle Nazioni (SdN) che in diversi ambulatori e dispensari]. DESTOUCHES è conosciuto negli ambienti letterari per aver scritto, con lo pseudonimo di Céline numerosi romanzi tra i quali “Viaggio al termine della notte”, “La Chiesa”, “Morte a credito”, “La scuola dei cadaveri”, per i quali ha ottenuto nel 1932 il premio Théophraste Renaudot. Durante l’occupazione, ha anche collaborato a numerosi giornali di tendenza collaborazionista, tra i quali “Le Pilori” nel 1945 e “Germinal” nel 1944. In un articolo apparso sul giornale “Le Cri du Peuple” del 31 marzo 1943, egli dichiarava: “Bisogna lavorare, militare con Doriot” [L’articolo citato era stato inizialmente pubblicato il 21 novembre 1941 su “L’émancipation nationale”. Tuttavia, Céline negò di esserne stato l’autore, come cercò di dissimulare le diverse altre lettere scritte sulla stampa collaborazionista francese tra il 1940 e il 1944, tra le quali proprio una lettera-appello a Jacques Doriot, creatore del Partito Popolare Francese, apparsa sui “Cahiers de l’émancipation nationale” del marzo 1942]. Destouches è noto agli Archivi dei Servizi di informazione della Polizia come membro del Comitato d’Onore del “Cercle Européen” [Un’ordinanza del 26 dicembre 1944 stabiliva che tutti i membri del “Cercle Européen”, “circolo francese di collaborazione economica e culturale europeo”, ritenuto collaborazionista, sarebbero stati colpiti dall’indegnità nazionale. Questo fu uno dei capi di accusa al processo a Céline del 1950; quest’ultimo contestò l’accusa confermando solo di essersi recato tre volte al “Cercle Européen” quale invitato, ma di non esser mai stato nel suo comitato d’onore, come invece millantato dal suo direttivo per questioni di prestigio], dove era stato inscritto sotto il 26 bis, e da dove era stato radiato il 15 maggio 1943. È anche noto agli Archivi della Polizia Giudiziaria, dove è depositato il fascicolo n° 222.258, concernente una querela depositata nel 1939 da un certo FROT residente in 11, bis Rue Jean Leclaire (17°) che accusa Céline di attentare al pubblico pudore per la pubblicazione del libro “La scuola dei cadaveri”. Questa faccenda non ha in ogni caso avuto un seguito legale. Al Casellario Giudiziario Destouches è annotato come segue: 200 Franchi (12° Camera) 21/6/39 – Diffamazione [Céline era stato querelato dal dottor Pierre Rouquès da lui definito come “ebreo comunista” in La scuola dei cadaveri. Rouquès, che era effettivamente un militante comunista, miliziano repubblicano in Spagna e resistente, divenne nel dopoguerra ministro della Sanità francese. Pubblicato nel 1938, il libro fu ritirato dal commercio dopo la legge Marchandeau contro l’antisemitismo nel 1939, e quindi ristampato nel 1941-1942. Un’altra querela contro Céline per lo stesso motivo era stata depositata dal giornalista Léon Treich, ma stavolta senza esito] Ad ogni buon fine, il suo nome è stato posto all’attenzione del servizio alloggiati della polizia. Grazie/Merci a Émeric Cian-Grangé per la segnalazione!
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corallorosso · 6 years ago
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I crimini (anche razzisti) dei soldati italiani nei Balcani e in Africa di Giovanni Giovannetti C'è una pagina della nostra storia nazionale che da quasi ottant'anni si fatica a leggere. Quella dei crimini, anche a sfondo razziale, compiuti dall'Esercito italiano in Africa e nei Balcani. Maggio 1941. Germania, Italia e Ungheria occupano la Slovenia, e la provincia di Lubiana viene annessa al Regno d'Italia. Ma temendo la resistenza sociale ben più di quella armata, il comandante supremo della Seconda armata d'occupazione generale Mario Roatta il 1° marzo 1942 emana la famigerata “circolare 3c” contro la popolazione civile slovena. Roatta dispone rappresaglie, incendi di case e villaggi, razzie, torture, esecuzioni sommarie, la cattura e l'uccisione di ostaggi, internamenti di civili e militari nel campo di concentramento nell'isola di Arbe (Rab) in Croazia e in quelli di Gonars in Friuli, Monigo presso Treviso, Chiesanuova di Padova o Renicci d'Anghiari in Toscana. Se possibile, queste misure saranno rese ancora più draconiane dalle circolari integrative del comandante dell'undicesimo Corpo d'Armata generale Mario Robotti, altro delinquente («si ammazza troppo poco», dirà), e dell'alto commissario per la provincia di Lubiana Emilio Grazioli (come Roatta è nell'elenco dei criminali di guerra italiani). 
I non umani 
E si badi, a usare la mano pesante con i civili non sono le Camicie nere di Mussolini ma uomini dell'Esercito fedele al re e alla corona, che vedono gli sloveni come dei selvaggi piantagrane, alieni e inanimati: uno sguardo deumanizzante, l'alibi per ogni sorta di arbitrio, come quello che oggi provoca una tutto sommato modesta indignazione per la morte di 200 esseri umani che annegano nel Mediterraneo. Stando all'ex partigiano e studioso del movimento di liberazione sloveno Tone Ferenc, nella sola provincia di Lubiana verranno «fucilati o come ostaggi o durante operazioni di rastrellamento circa 5.000 civili, ai quali vanno aggiunti i circa 200 bruciati e massacrati in modi diversi. 900 invece i partigiani catturati e fucilati. A loro si devono aggiungere oltre 7.000 persone in gran parte anziani, donne e bambini morti nei campi di concentramento in Italia. Complessivamente moriranno più di 13.000 persone su 340.000 abitanti, il 2,6 per cento della popolazione». A questo triste bilancio aggiungeremo l'incendio di 3.000 case, l'internamento di 33.000 persone, la distruzione di 800 villaggi. La Commissione di Stato jugoslava per l'accertamento dei crimini di guerra ha inoltre accusato Roatta e sodali di aver ampiamente disatteso la seconda Convenzione internazionale dell'Aja relativa ai prigionieri, ai feriti e agli ospedali; di aver disposto la fucilazione di partigiani fatti prigionieri e di ostaggi; di aver ordinato l'internamento dei componenti di intere famiglie e villaggi e di aver consegnato i civili incolpevoli ai tribunali militari; di aver ordinato che i civili fossero ritenuti responsabili di tutti gli atti di sabotaggio commessi nelle vicinanze della loro abitazione e che, per rappresaglia, si potesse sequestrare il loro patrimonio, distruggere le loro case e procedere al loro internamento. Sul fronte economico si registra la depredazione delle risorse slovene pianificato dall'Iri, l'Istituto italiano per la ricostruzione industriale sorto nel 1933. 
Criminali in divisa Che dire di più? In applicazione delle severe disposizioni di Roatta, la notte tra il 22 e il 23 febbraio 1942 Lubiana è posta in stato d'assedio e i Granatieri di Sardegna capitanati da Taddeo Orlando, affiancati da collaborazionisti slavi, rastrellano per settimane con «metodo deciso» migliaia di civili (un quarto degli uomini validi «prescindendo dalla loro colpevolezza» dirà Orlando) e 878 di loro vengono internati nei campi di concentramento. Altri rastrellamenti avverranno tra il 27 giugno e il 1° luglio – con il fermo di 17mila civili – e dal 21 al 28 dicembre, con l'arresto di oltre 500 persone; tra loro donne, vecchi e bambini. Pochi, i più fortunati, li deporteranno in alcune città del nord Italia. Ma in questa “strategia della snazionalizzazione” – come l'ha chiamata Davide Conti – sono 33mila gli sloveni internati in duecento lager in Italia e sul posto, a morire di freddo, stenti, tifo e dissenteria (per Robotti erano «inconvenienti igienici»). Come si legge in una relazione del 9 settembre 1942 di Roatta a Robotti, «si tratterebbe di trasferire, al completo, masse ragguardevoli di popolazione e di sostituirle in posto con popolazioni italiane». Altri rastrellamenti seguiranno nei centri più importanti del Paese. «Dicono che donne e bambini e vecchi, a frotte, o rinvenuti nei boschi o presentatisi spontaneamente alle nostre linee costretti dalla fame e dal maltempo, sono stati intruppati, e avviati (tra pianti e pianti e pianti) ai campi di concentramento». Lo si legge al giorno 25 settembre 1942 del Diario di don Pietro Brignoli, cappellano militare del secondo Reggimento Granatieri di Sardegna. ...l'ispettore e i loro tirapiedi interrogano i prigionieri e li torturano flagellandoli, bastonandoli, colpendoli al basso ventre, infliggendo bruciature o esponendo i testicoli alla corrente elettrica (non mancano i casi di stupro su alcune detenute). Quando i detenuti vengono consegnati al Tribunale speciale di guerra, a reggere la pubblica accusa trovano il tenente colonnello Enrico Macis, altro “criminale di guerra”, altro vessatore impunito (dal novembre 1941 al settembre 1943 questo Tribunale sentenzierà la morte di 83 civili e partigiani). Macis non manca poi di manifestare il suo compiacimento per le deportazioni: come scrive il 26 aprile 1943, «nello scorso anno le autorità militari con apprezzato senso di opportunità avevano rastrellato la città ordinando l’internamento di tutti gli uomini dai 18 ai 35 anni».... Passata la guerra, a Macis verrà conferita la qualifica di “Partigiano combattente”. Non bastasse, nel 1946 l'ufficio informazioni dello Stato maggiore dell'Esercito gli commissionerà uno studio sui problemi di carattere giuridico in ordine ai crimini di guerra. Come affidare ad Al Capone uno studio sul consumo illegale di alcolici... dopo la liberazione, ritroveremo i torturatori Messana e Verdiani non in galera, non silenziosamente pensionati, ma l'uno dopo l'altro a occuparsi di antimafia alla guida dell'ispettorato di pubblica sicurezza per la Sicilia, ovvero a depistare indagini e a coltivare relazioni con latifondisti, mafiosi, monarchici e banditi come Salvatore Giuliano. In totale, 109.437 jugoslavi verranno deportati nei campi di concentramento fascisti in Italia. Ad Arbe, Carlo Alberto Lang, capitano medico incaricato di un sopralluogo, segnala che tra il settembre e l'ottobre 1942 in trenta giorni muoiono 209 persone, di cui 62 bambini sotto gli 11 anni. E al medico provinciale che segnala i numerosissimi casi di «dimagrimento patologico ... il generale Gastone Gambara (altro “criminale di guerra”) il 17 dicembre 1942 cinicamente replica quanto fosse «logico e opportuno che campo di concentramento non significhi campo di ingrassamento, in quanto “individuo malato = individuo tranquillo”». Non fosse arrivato l'8 settembre, tutto questo avrebbe assunto le dimensioni del genocidio. 
L'Italia si auto assolve 
Nel dopoguerra, in quell'Europa divisa in due, in Italia si enfatizzeranno, decontestualizzandole, la diaspora dalmata-istriana e le foibe, mentre si minimizzeranno, sino alla rimozione, le violenze compiute dall'esercito italiano nei confronti della popolazione civile slovena, dalmata, montenegrina, croata, greca, russa e albanese, in aggiunta alle violenze già a referto in Libia (100mila vittime su 800mila abitanti: un genocidio) e in Etiopia (nel Corno d'Africa tra il 1935 e il 1943 si contano 300mila vittime). Calerà il silenzio anche sui bombardamenti di natura terroristica compiuti dalla Regia aeronautica italiana sulla città basca di Durango il 31 marzo 1937 (morti 289 civili) e su Barcellona in Catalogna tra il 16 e il 18 marzo 1938 (670 morti) durante la Guerra civile spagnola. Sono atti criminali non inferiori a quello tedesco e italiano del 26 aprile 1937 su Guernica (quattro settimane dopo la strage di Durango), a torto ritenuto il primo atto di terrore dal cielo deliberatamente compiuto contro la popolazione civile. Insomma, brandendo il paradigma dell'“italiano buono”, benevolmente assunto dall'opinione pubblica, sui nostri crimini cala l'oblio e l'Italia si auto assolve, cancellando dal senso comune (e dai testi scolastici) la memoria dei nostri omicidi e ogni traccia dei nostri campi di morte.
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paoloxl · 6 years ago
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«Inizialmente solo per gli ebrei esistevano le camere a gas, unicamente per loro. In un secondo momento, nell’estate del 1944, purtroppo anche per gli zingari fu decretata la stessa “soluzione finale”. Li hanno mandati a morire nelle camere a gas. Ebrei e zingari morivano per gas» (Pietro Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz)
Porrajmos: 500mila rom e sinti vittime del genocidio nazi-fascista
Il 27 gennaio si celebra in Italia la Giornata della Memoria – riconosciuta grazie alla Legge n.211 del 20 luglio 2000 – che ricorda lo sterminio del popolo ebraico, la Shoah, ma che dimentica di commemorare anche i 500mila rom e sinti vittime del genocidio nazi-fascista. Una storia segnata dalla persecuzione su base etnica che, in tempi e con modalità differenti, ha colpito le comunità rom e sinte in Italia nel ventennio fascista: il Porrajoms.
I quattro periodi del Porrajmos
Sono quattro i periodi del “Porrajmos”, la violenta azione che in Italia ha inghiottito nel vortice dello sterminio centinaia di famiglia colpevoli solo di appartenere ad una “razza” giudicata senza speranza di conversione. Il primo periodo è inaugurato con la Circolare del Ministero degli Interni del 19 febbraio 1926 che dispone il respingimento delle carovane entrate nel territorio “anche se munite di regolare passaporto” e l’espulsione di quelle soggiornati di origine straniera. Il secondo periodo è racchiuso trail 1938 e il 1942 e risulta segnato da una pulizia etnica organizzata presso le frontiere. Il terzo periodo si inaugura con un Ordine emanato l’11 settembre 1940 dal Capo della Polizia Nazionale che ordina, per i rom di nazionalità italiana “certa o presunta” il rastrellamento “nel più breve tempo possibile” e il concentramento “sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte in ciascuna Provincia”. L’ultimo periodo, il quarto, parla il drammatico linguaggio della “soluzione finale” verso i campi di sterminio.
Da Largo 16 ottobre a piazza degli Zingari per abbracciare le due Memorie
All’interno della Settimana della Memoria, Associazione 21 luglio, con il patrocinio di Progetto Memoria – Associazione che si compone di sopravvissuti ai lager e testimoni diretti e indiretti -, organizza domenica 3 febbraio alle ore 11,00 una passeggiata urbana nel cuore di Roma per unire, in un unico abbraccio le Memorie delle due persecuzioni. La passeggiata avrà inizio alle ore 11,00 presso Largo 16 ottobre 1943 con la testimonianza del sopravvissuto Lello Dell’Ariccia. I partecipanti si sposteranno poi in una passeggiata libera verso Piazza degli Zingari dove lo strorico Luca Bravi, accompagnato da alcune testimonianze, racconterà la vicenda del Porrajmos in Italia.
L’evento si concluderà in piazza degli Zingari
L’evento, accompagnato da musica tzigana, dalle canzoni di Maurizio Di Veroli e dalle riflessioni della giornalista Annalisi Camilli e dell’antropologo Piero Vereni, si concluderà in Piazza degli Zingari alle ore 12,30 con un omaggio presso la targa che ricorda lo sterminio del popolo rom.Ogni singolo partecipante è invitato a portare un fiore da deporre in piazza degli Zingari.
Aderiscono all’inizitiva (in ordine di adesione): Associazione Progetto Memoria, Laboratorio di Pratiche Etnografiche dell’Università di Tor Vergata, A Buon Diritto, Arci Solidarietà, Associazione Radicali Roma, Gruppo EgaulMente, Partito Democratico, Partito Democratico di Roma. Per informazioni e adesioni: [email protected]
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carmenvicinanza · 3 years ago
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Jane Drew
https://www.unadonnalgiorno.it/jane-drew/
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Ho praticato architettura in un’epoca piena di speranza e ottimismo. In un’epoca in cui sentivamo che i cambiamenti che proponevamo avrebbero trasformato le condizioni di vita e migliorato il mondo.
Jane Drew, architetta e urbanista, è stata una delle principali esponenti del Modernismo.
Ha progettato edifici in Gran Bretagna, India, Ghana, Nigeria, Iran e Sri Lanka. È stata la prima donna a insegnare architettura a Harvard e al MIT e prima a presiedere l’AA (Architectural Association). È stata anche la prima nel Consiglio del Royal Institute of British Architects.
Nata il 24 marzo 1911 a Thornton Heath nel Surrey, era figlia di un noto designer di strumenti chirurgici e di un’insegnante che ne incoraggiarono la formazione e creatività. Si laureò alla prestigiosa Architectural Association School di Londra nel 1929.
Nel 1933 entrò a far parte del MARS, Modern Architectural Research Group fondato per applicare i concetti del Movimento Moderno rappresentati dall’opera di Le Corbusier sintetizzabili nel concetto di uso dello spazio per l’attività umana piuttosto che la conseguenza di convenzioni stilizzate. Attraverso il gruppo conobbe colui che nel 1942, sarebbe diventato suo marito, Maxwell Fry.
Nei primi anni ’40 aprì uno studio di architettura in cui assumeva soltanto donne con cui progettò alloggi sociali e pubblici. All’epoca c’era molto poco spazio per le architette, la professione era a quasi totale appannaggio degli uomini.
La sua collaborazione col consigliere urbano del governo britannico, aprì le porte del continente africano allo studio fondato col marito, nel 1946, Fry, Drew & Partners, specializzato in mastodontiche opere pubbliche.
Negli anni ’50 la coppia disegnò uno dei loro progetti più iconici, l’Università di Ibadan in Nigeria.
Dopo le grandi costruzioni in Africa, all’inizio degli anni ’50, ricevettero da Nehru, allora presidente dell’India, il prestigioso incarico di costruire la città modello di Chandigarh, per accogliere le migliaia di rifugiati che arrivavano ogni giorno dal Pakistan. Nel più grande progetto utopico del Movimento Moderno, coinvolsero anche Le Corbusier, con cui vissero per tre anni a stretto contatto, per sperimentare nuove forme di design e progettazione di scuole, ospedali, piscine e teatri. Tutte le case, con affitti calmierati, avevano servizi igienici adeguati e la possibilità di accedere all’acqua. Il loro design influenzò la successiva progettazione del subcontinente. La loro collaborazione, non sempre semplice e lineare, diede vita a un’opera passata alla storia dell’architettura.
Jane Drew ha avuto uno stretto legame con l’arte e collaborato con numerosi artisti e artiste del suo tempo. Tra amici e collaboratori ci furono personaggi del calibro di Alvar Aalto, Marcel Duchamp e innumerevoli altri nomi passati alla storia. La sua opera più importante è stata il London Institute of Contemporary Art del 1964, per il quale disegnò anche parte dei mobili, e la Milton Keynes Open University nel Bedfordshire completata nel 1977.
Due anni dopo, la celebre architetta decise di ritirarsi continuando però a insegnare e tenere conferenze in tutto il mondo.
È stata insignita con varie lauree honoris causa e numerose onorificenze. Ha fatto parte del Comitato consultivo della città di Londra per le aree di conservazione e scritto molti libri, è stata la fondatrice dell’annuario di architettura, ha scritto un saggio per avvicinare l’infanzia alla materia e vari compendi sulle architetture tropicali e sul rapporto con l’ambiente, tutti argomenti innovativi per i tempi in cui ha vissuto.
Sette mesi prima della sua morte, è stata nominata Dame of the British Empire.
Si è spenta il 27 luglio del 1996.
Due anni dopo la sua dipartita, è stato istituito il Jane Drew Prize, diventato un prestigioso premio assegnato annualmente dall’Architects’ Journal a chi mostra innovazione, diversità e inclusività nell’architettura.
Il nome di Jane Drew è uno di quelli che sono ben fissati nella storia del design e della progettazione. Ha fatto da apripista a tante donne che hanno intrapreso la professione e resta un punto di riferimento per lo sguardo lungimirante, visionario, ampio e internazionale, che ha conservato per tutto il corso della sua vita.
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pangeanews · 4 years ago
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“Arrestate il collaborazionista Céline!”. Louis-Ferdinand nei documenti della Questura di Parigi, 1928-1945
Louis-Ferdinand Céline compare in due rapporti di polizia presso la Questura di Parigi, redatti in due periodi diametralmente diversi: il primo, infatti, è del 1928, e riguarda il dottor Destouches non ancora diventato Céline. La Questura si interessa all’allora trentaseienne medico, domiciliato al 36 di Rue d’Alsace a Clichy, banlieue rossa di Parigi, arrivatovi quell’anno con la ballerina americana Elizabeth Craig, la sua “Imperatrice”. Louis Destouches vi risiederà per una decina d’anni sino al 1937, praticandovi la professione medica prima privatamente e poi presso un dispensario, perché membro dell’Associazione d’Igiene sociale e di prevenzione anti tubercolosi di Clichy. Tra i suoi fondatori vi è Gaston Paymal (1898-1943), funzionario amministrativo dell’ufficio pubblico d’igiene e in seguito sindacalista confederale e strenuo attivista: il rapporto della Questura nota infatti come il nobile scopo dell’associazione possa “senza dubbio servire presto o tardi quale paravento alla propaganda comunista e come la municipalità non mancherà di far leva sulla sua creazione per influenzare il corpo elettorale al momento opportuno”.  Il dottor Destouches è indicato come segretario, e oltre le sue generalità anagrafiche e professionali è notato come “non è oggetto di alcuna osservazione dal punto di vista politico” e come “sia ben rappresentato in tutti i rapporti”. Fu proprio a Clichy che scriverà Viaggio al termine della notte, prendendo il nome d’arte di Céline, e trasferendosi prima in Rue Lepic e poi in Rue Girardon, a Montmartre, con la nuova compagna Lucette Almansor. Questi cambi di residenza sono diligentemente appuntati nel secondo documento, redatto in circostanze drammatiche: è infatti datato 11 giugno 1945, quando la coppia, fuggita in Germania prima e in Danimarca poi dopo lo sbarco Alleato in Francia, è tuttora in clandestinità, essendo Céline ricercato per collaborazionismo. Riproduciamo il documento di seguito dato il suo interesse céliniano, visto che mette nero su bianco le debolissime accuse della Giustizia francese a Céline, accuse che gli valsero comunque il rischio della pena di morte per “alto tradimento”, e anche per il quadro generale che dà della Parigi occupata e dei complessi rapporti tra francesi e tedeschi in quel periodo, che trovano secondo noi una immagine certamente tragicomica nell’informazione riferitavi di un “posto radio trasmittente, in collegamento con Londra” della Resistenza francese “operativo nel sottotetto del Moulin de la Galette” frequentato dagli alti Ufficiali tedeschi della Kommandantur di Parigi, con il probabile tacito assenso del suo proprietario, peraltro occupato a procacciare avvenenti “donne russe” agli Occupanti! (Andrea Lombardi)
***
Parigi, l’11 giugno 1945
  Questura Ufficio del Questore Dipartimento Amministrativo N° 419597 Estratto di un rapporto 5 giugno 1945 Firmato Informazioni Generali, allegato al dossier N° 125815
  Destouches Louis Ferdinand nato il 27/5/1894 a Courbevoie Dottore alla facoltà di medicina residente al 36 Rue d’Alsace a Clichy è stato oggetto di un rapporto come collaboratore tedesco.
  5 giugno 1945 [timbrato] a/c di Chayrou Pierre segnalato come “collaboratore dei tedeschi”
In seguito a una informativa in data 14 dicembre 1944, segnalante il proprietario del “Moulin de la Galette” quale amico di Louis Ferdinand Céline e noto per aver ricevuto nei suoi locali, durante l’occupazione, dei membri dello stato maggiore tedesco; avendo inoltre egli praticato la borsa nera “in grande”, in compagnia di due donne russe delle quali una si era ritrovata incinta di un ufficiale dello stato maggiore tedesco si è proceduto ad una inchiesta che ha permesso di raccogliere le seguenti informazioni:
  CHAYROU Pierre, André, Jules, nato il 12 aprile 1899 a Parigi, 10°, […] Dal 1936 dirige gli esercizi “Le Moulin de la Galette e i Jardins de Montmartre” […]
L’esercizio “Le Moulin de la Galette” è noto ai Servizi della Direzione Informazioni Generali e del Gioco per essere stata oggetto di una informativa il 1° aprile 1944. A quella data, la direzione di questo esercizio ha lanciato un certo numero d’inviti a diverse personalità francesi e tedesche in occasione della prima rappresentazione della rivista “Album d’Images” di Géo Bury [cantante d’operetta e attore]. Si notano in particolare i nomi di: Georges Hilaire, Segretario generale alle Belle Arti, Otto Abetz, ambasciatore della Germania, Knothe Console della Germania, il Generale Boineburg-Lengsfeld, comandante della Grand-Paris [Il Generale Hans Boineburg-Lengsfeld, decorato comandante di unità corazzate, fu coinvolto nell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944 come molti altri Ufficiali del comando di Parigi, ma per sua fortuna non fu scoperto evitando l’epurazione all’interno del corpo ufficiali tedesco seguente], oltre che una ventina di ufficiali superiori delle truppe d’occupazione e di funzionari dell’Ambasciata di Germania.
I Sigg. de BRINON, BUSSIERE e BOUFFET [Fernand de Brinon, segretario di stato a Vichy e poi presidente del governo in esilio a Sigmaringen; Amédée Bussière, capo della Polizia di Parigi, e René Bouffet, prefetto del Dipartimento della Senna] che erano stati egualmente invitati hanno fatto sapere che assisteranno in altra occasione al nuovo spettacolo del “Moulin de la Galette”.
Per quanto concerne l’informazione secondo la quale degli Ufficiali dello Stato Maggiore tedesco si riunissero in un locale dipendente da questo esercizio, sono stati raccolte le seguenti notizie:
  Il Moulin de la Galette si compone di una sala da ballo (ingresso al 77, Rue Lepic) di uno studio di danza (entrata Rue Girardon e 1 avenue Junot) e da un cabaret “Sur les toits de Paris” (entrata 81, Rue Lepic).
Dal 1941 al 1943, una sala da cabaret situata a quest’ultimo indirizzo era riservata con il nome di “Bierpausen” ai membri dell’esercito d’occupazione che giungevano a visitare Montmartre e lì vi consumavano.
L’arredo di questa sala rappresenta un grande atelier di pittura. Degli ufficiali tedeschi di tutti i gradi vi facevano frequenti visite e questo va e vieni ha presto attirato l’attenzione del vicinato. […]
La direzione del “Moulin de la Galette” aveva parimenti fatto distribuire tra i membri dell’esercito occupante dei volantini redatti in francese e tedesco concernenti il cabaret “Sur les toits de Paris”, dei quali alleghiamo un esemplare.
Secondo le notizie raccolte nel suo ambiente, CHAYROU avrebbe guadagnato cifre considerevoli con i tedeschi che erano la principale clientela. Per contro non è stato raccolta nessuna notizia per quel che concerne il mercato nero che si sarebbe operato e che è segnalato nella stessa informativa, oltre che sul soggetto delle due donne russe, che sono sconosciute al personale come al vicinato. Nono si è potuta identificare nessuna delle due.
  È da notare come, durante l’occupazione, un posto radio trasmittente, in collegamento con Londra, era operativo nel sottotetto del Moulin de la Galette, fatto che il Chayrou sembrasse ignorare.
Quest’ultimo era stato in relazioni amichevoli con Destouches detto “Céline” del quale si parla in altra parte.
In privato, Chayrou non è stato oggetto di alcuna osservazione particolare. Non ha mai attirato l’attenzione dal punto di vista politico.
Non ha precedenti giudiziari.
***
DESTOUCHES detto Céline, Louis Ferdinand, nato il 27 maggio 1894 a Courbevoie (Senna) di nazionalità francese, è sposato e padre di famiglia.
Dall’aprile 1941, egli è domiciliato al 4, rue Girardon (18°) ma non è più stato visto a questo indirizzo dal giugno 1944. Si suppone che a quella data si sia recato a Sigmaringen (Germania) ma si ignora dove si trova attualmente [Céline e Lucette a quest’epoca erano a Copenhagen, ove erano giunti ad aprile del 1945. Céline fu arrestato a dicembre nello stesso anno, e rinchiuso in carcere in Danimarca per 14 mesi].
È stato vanamente ricercato nella circoscrizione della Questura.
In precedenza, DESTOUCHES aveva abitato successivamente al 36, Rue d’Alsace a Clichy e al 98, Rue Lepic (18°).
Dottore in medicina della facoltà di Parigi, la sua laurea è stata registrata il 17 ottobre 1927 alla Questura, ma non ha mai esercitato [Probabilmente si riferiscono alla professione medica ospedaliera strettamente intesa; come noto, Céline lavorò come medico sia presso la Società delle Nazioni (SdN) che in diversi ambulatori e dispensari].
DESTOUCHES è conosciuto negli ambienti letterari per aver scritto, con lo pseudonimo di Céline numerosi romanzi tra i quali “Viaggio al termine della notte”, “La Chiesa”, “Morte a credito”, “La scuola dei cadaveri”, per i quali ha ottenuto nel 1932 il premio Théophraste Renaudot.
Durante l’occupazione, ha anche collaborato a numerosi giornali di tendenza collaborazionista, tra i quali “Le Pilori” nel 1945 e “Germinal” nel 1944. In un articolo apparso sul giornale “Le Cri du Peuple” del 31 marzo 1943, egli dichiarava: “Bisogna lavorare, militare con Doriot” [L’articolo citato era stato inizialmente pubblicato il 21 novembre 1941 su “L’émancipation nationale”. Tuttavia, Céline negò di esserne stato l’autore, come cercò di dissimulare le diverse altre lettere scritte sulla stampa collaborazionista francese tra il 1940 e il 1944, tra le quali proprio una lettera-appello a Jacques Doriot, creatore del Partito Popolare Francese, apparsa sui “Cahiers de l’émancipation nationale” del marzo 1942].
Destouches è noto agli Archivi dei Servizi di informazione della Polizia come membro del Comitato d’Onore del “Cercle Européen” [Un’ordinanza del 26 dicembre 1944 stabiliva che tutti i membri del “Cercle Européen”, “circolo francese di collaborazione economica e culturale europeo”, ritenuto collaborazionista, sarebbero stati colpiti dall’indegnità nazionale. Questo fu uno dei capi di accusa al processo a Céline del 1950; quest’ultimo contestò l’accusa confermando solo di essersi recato tre volte al “Cercle Européen” quale invitato, ma di non esser mai stato nel suo comitato d’onore, come invece millantato dal suo direttivo per questioni di prestigio], dove era stato inscritto sotto il 26 bis, e da dove era stato radiato il 15 maggio 1943.
È anche noto agli Archivi della Polizia Giudiziaria, dove è depositato il fascicolo n° 222.258, concernente una querela depositata nel 1939 da un certo FROT residente in 11, bis Rue Jean Leclaire (17°) che accusa Céline di attentare al pubblico pudore per la pubblicazione del libro “La scuola dei cadaveri”. Questa faccenda non ha in ogni caso avuto un seguito legale.
Al Casellario Giudiziario Destouches è annotato come segue:
  200 Franchi (12° Camera) 21/6/39 – Diffamazione [Céline era stato querelato dal dottor Pierre Rouquès da lui definito come “ebreo comunista” in La scuola dei cadaveri. Rouquès, che era effettivamente un militante comunista, miliziano repubblicano in Spagna e resistente, divenne nel dopoguerra ministro della Sanità francese. Pubblicato nel 1938, il libro fu ritirato dal commercio dopo la legge Marchandeau contro l’antisemitismo nel 1939, e quindi ristampato nel 1941-1942. Un’altra querela contro Céline per lo stesso motivo era stata depositata dal giornalista Léon Treich, ma stavolta senza esito]
  Ad ogni buon fine, il suo nome è stato posto all’attenzione del servizio alloggiati della polizia.
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gardanotizie · 5 years ago
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“Nil sine magno/vita labore dedit mortalibus” (Nulla si conquista in vita senza grande fatica da parte dei mortali).
La considerazione di Orazio si addice ad una tormentata vicenda del cui epilogo conservo vaghe ed infantili ricordanze. Il grande edificio costruito nel primo secolo dopo Cristo sull’area in cui probabilmente sorgeva un immobile più modesto ed antico era ridotto a triste rovina quando lo visitò Arici, nel terzo decennio dell’Ottocento. Con questi endecasillabi, infatti, lo descrisse il poeta: “Tutto quel che di terra alto sorgea, da due mill’anni in qua ruppe e travolse l’operoso del tempo volger lento, l’ira delle procelle, e ognor più spesso dell’uom la cieca irriverenza e stolta … “. Nulla verosimilmente mutò fino al 1911, allorchè una legge impose il divieto di fabbricazione in tutta la zona ab antiquo denominata Grotte di Catullo, al palese fine di facilitarne l’esproprio. L’8 maggio 1920 tra il soprintendente ai Monumenti della Lombardia, Augusto Brusconi, e il possidente Angelo Gennari fu pattuita la cessione di un terreno di mq. 8780 al prezzo di L. 10.097. Non risulta che la convenzione, vincolante per il venditore sirmionese, abbia ottenuto la necessaria approvazione dal Ministero della Pubblica Istruzione. Nell’anno 1942-XX si registrò uno scambio di lettere tra il commissario prefettizio, Cesare Cenzi, ed alcuni proprietari. Se ne evince che il Comune intendeva acquisire l’area della zona archeologica in forza di un accordo stipulato venti anni prima con la Regia Soprintendenza alle Antichità. In una nota datata 4 marzo 1943-XXI il ministro Biggini, fresco successore di Bottai all’Educazione nazionale, consentì che le somme necessarie all’esproprio “venissero fornite dalla locale Azienda di cura”. Il 18 luglio 1944 (manca il XXII, n.d.a.) lo stesso Biggini, confermato nella carica dal governo di Salò, decretò la pubblica utilità dei fondi ”comprensivi dei grandiosi ruderi romani denominati Grotte di Catullo”. All’atto era annesso un elenco: tra gli espropriandi figuravano la Società Anonima Terme e Grandi Alberghi, nonché la Parrocchia. Il 7 agosto di quell’anno il prefetto chiese alle autorità sirmionesi di esprimere un parere sulla domanda della citata società, “intesa ad ottenere, per un periodo di tempo da stabilirsi, il godimento della proprietà che convenientemente migliorata potrà, successivamente, essere assegnata alla amministrazione locale”. Pochi giorni dopo, il podestà Cenzi assentì alla “lodevole iniziativa”. Ma il 3 gennaio 1945-XXIII il soprintendente alle Antichità della Lombardia, Nevio Degrassi, gli confermò la superiore decisione di espropriare i terreni, onde provvedere alla loro “sistemazione archeologica e paesistica”. L’alto funzionario così concludeva la lettera: “Confido quindi che anche Voi vorrete usare la Vostra autorevole parola verso i proprietari per un’accettazione immediata del prezzo offerto (L. 6,25 al mq., n.d.a) e ciò come ho già detto nell’interesse dei singoli proprietari stessi e del Comune di Sirmione perché questa grande opera, che dovrà costituire il primo effettivo passo per la valorizzazione turistica della penisola catulliana, abbia, nel più breve tempo possibile, anche in un periodo così tormentato per l’Italia, la sua immediata realizzazione”. Il 26 ottobre 1945 la Prefettura decretò una parziale occupazione dell’area per la durata di due anni. Il 20 febbraio1946 venne presentata al prefetto e ai consiglieri una “opposizione alla domanda di esproprio della zona delle così dette Grotte di Catullo”. Nella memoria, aperta dalla frase: “Tutta Sirmione è commossa”, si contestava “lo splendido dono” di Degrassi alla nazione e si negava che, nella fattispecie, un opinabile interesse generale potesse indurre l’effettiva violazione di diritti individuali. Vi si leggeva pure: “il cosiddetto Ministro Biggini non ha voluto oziare come Achille sotto la tenda, e dallo stesso Quartier Generale, in data 18 luglio 1944, ha decretato che i terreni comprensivi dei grandiosi ruderi romani denominati Grotte di Catullo erano a tutti gli effetti di legge dichiarati di pubblica utilità”. I ricorrenti, tre dei quali agivano anche in nome di altrettante signore, “virilmente” contestavano tale qualificazione ad “un complesso di loculi informi, monotoni, squallidi, tetro invito alle upupe e ai pipistrelli”. Conseguentemente, proponevano di “delimitare, con criteri giustamente restrittivi, la zona archeologica vera e propria ed espropriarla”. Richiedevano, peraltro, di procedere “alla abolizione di ogni vincolo nei confronti dei circonvicini terreni”. Primo dei firmatari fu il parroco, don Giuseppe Martini. L’opposizione non fu accolta e il 16 settembre 1947 il prefetto ordinò al sindaco Camillo Migliorati “il deposito nell’Ufficio comunale del piano parcellare di esproprio, nonché dell’elenco delle indennità offerte a ciascun proprietario”. La vicenda si concluse, ma non tutti gli animi si rasserenarono. il primo agosto 1950 don Lino Zorzi, giunto da pochi mesi a Sirmione, indirizzò una vibrata protesta al ministro della Pubblica Istruzione. Lamentò l’esiguità dell’indennizzo per “il tratto di oliveto di complessivi mq. 9130, indicato da tempo immemorabile col nome di ‘argini dell’arciprete’ e rappresentante, con i suoi 394 ulivi, la parte maggiore e la più redditizia dell’esiguo beneficio della Parrocchia di S. Maria Maggiore”. Osservò, inoltre, che gli ulivi “coltivati come si deve” producevano kg. 540 di olio ad ogni raccolta e ciò equivaleva a L 270.000, mentre alla Parrocchia erano andate in tutto L 220.000. Per rimediare ad un ‘ingiustizia tanto palese, il religioso propose “l’accettazione di una enfiteusi impegnativa, sia pure contro un canone annuo dimostrativo”, che consentisse la coltivazione degli ulivi con il relativo godimento dei frutti. Ed aggiunse: “La somma rappresentante l’indennizzo d’esproprio del 1947 potrebbe essere considerata quale modesto e parziale (molto parziale) risarcimento dei danni subiti dal 1945 ad oggi”. L’archivio comunale non rivela l’esito di questa doglianza. Ci consente, invece, di apprendere che il 9 gennaio 1951 il sindaco Cenzi, confortato “dall’atteggiamento di parlamentari bresciani di ogni partito”, si rivolse al ministro della Pubblica Istruzione, onorevole Segni, e al presidente della Camera dei Deputati, onorevole Gronchi, per chiedere il ritiro del disegno di legge concernente il pagamento dell’ingresso alle Grotte di Catullo. In quell’anno la Soprintendenza e il Comune si confrontarono anche con l’insorgente problema del traffico automobilistico diretto alla zona archeologica. Il 27 agosto il primo cittadino della penisola gardesana scrisse al soprintendente Degrassi che, per salvaguardare la quiete della stazione di cura, era necessaria “la costruzione di un lungo-lago ad est dell’abitato, che … passando dietro l’abside della Chiesa, avesse a raggiungere il viale Gennari … “. Il 6 gennaio 1952 il Consiglio comunale approvò un ordine del giorno, che venne sottoscritto da 419 dei 471 capi famiglia, mentre 22 furono gli astenuti. Nell’atto si affermava: “Non esistono dati di fatto o altra documentazione per asserire che il poeta romano Catullo abbia avuto una villa o fissa dimora su questa terra”; si rifiutava la classificazione di monumento agli “avanzi di un pur grandioso stabilimento romano di bagni”; si faceva presente che erano i ruderi ad essere “valorizzati in conseguenza del patrimonio termale-alberghiero della stazione turistica”; si dichiarava, infine: “L’approvazione … di una tassa sull’entrata … porta un gravissimo danno finanziario alla categoria alberghiera locale che da anni e anni, con una tenacia senza pari, lotta per l’avvenire di questo incantevole paese”. Ancora del poeta di Venosa è il saggio ammonimento: “Quid sit futurum cras, fuge quaerere” (Rifuggi dal chiederti quale sia il domani). Ma non si dà mai soverchio ascolto ai poeti.
Il Catullo espropriato “Nil sine magno/vita labore dedit mortalibus” (Nulla si conquista in vita senza grande fatica da parte dei mortali).
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tmnotizie · 5 years ago
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LORETO – Tra le molte iniziative internazionali per la Giornata della Memoria 2020 ci sono anche quelle programmate a Loreto in occasione del 75° anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz.
Due le iniziative organizzate in collaborazione con il Comune di Loreto, la Pro Loco “Felix Civitas Lauretana”, l’associazione culturale Vox Phoenicis col patrocinio della Regione Marche: la mostra “I disegni dei bambini di Terezin” e la serata-testimonianza “Shemà, Ascolta! שְׁמַע‎!”.
La mostra “I disegni dei bambini di Terezin”, edita da Coop Lombardia e presentata dall’Associazione Figli della Shoah, attività finanziata grazie al contributo 8×1000 2017 dell’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), sarà inaugurata lunedì 27 gennaio alle ore 19 nel rinnovato Bastione Sangallo a Loreto e sarà visitabile fino al 9 febbraio.
La Mostra si compone di 27 pannelli che raccontano di Terezìn, la città fortezza e di frontiera che dal 1942 al 1944 diventò il “ghetto dell’infanzia”: vi furono rinchiusi circa 15.000 bambini strappati ai loro genitori e sottoposti ad un brutale regime di vita. A gruppi furono trasportati ad Auschwitz e qui avvelenati e bruciati nei forni crematori. Soltanto un centinaio erano ancora vivi al momento della liberazione da parte delle truppe sovietiche.
Sempre lunedì 27 gennaio alle ore 21.15 al Teatro Sangallo di Loreto, con ingresso libero, si svolgerà la serata-testimonianza “Shemà, Ascolta! שְׁמַע‎!”  con il coro Vox Phoenicis diretto da Carlo Paniccià, accompagnato al pianoforte da Marco Mannini e la voce recitante di Daniele Quintabà  . Per l’ebraico biblico Shemà è la preghiera che si recita due volte al giorno.
Shemà, un imperativo rivolto all’uomo di oggi per ascoltare e ricordare l’orrore perpetrato verso sei milioni di esseri umani assassinati dalla barbarie nazifascista. Una serata di musica, canti, testimonianze, videoproiezioni “per ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.” (art.1 Legge 20 luglio 2000, n. 211, Istituzione del “Giorno della Memoria”).
La mostra a ingresso libero “I disegni dei bambini di Terezin” è aperta tutti giorni prenotando l’orario di visita presso la Pro Loco Felix Civitas Lauretana. Domenica 2 febbraio rimarrà aperta negli orari: 10-13 / 17-19
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claudiodangelo59 · 1 year ago
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OGGI 18 GIUGNO, ITALIANO RICORDA…
1836
STORIA
DELL’ESERCITO ITALIANO
VIENE COSTITUITO IL
PRIMO REPARTO DI BERSAGLIERI
I Bersaglieri sono una specialità dell'Arma di Fanteria dell'Esercito Italiano.
Ogni 18 giugno si festeggia l'anniversario della loro costituzione, avvenuta nel 1836.
L'associazione d'arma di riferimento è l'Associazione Nazionale Bersaglieri.
Il Corpo dei Bersaglieri venne istituito, con regio brevetto del 18 giugno 1836, da re Carlo Alberto di Savoia su proposta dell'allora Capitano del Reggimento delle Guardie (i Granatieri di Sardegna odierni) Alessandro Ferrero della Marmora (o Alessandro della Marmora o Alessandro La Marmora) (TORINO, 27 marzo 1799 – KODYKOJ, 7 giugno 1855) è stato un Generale e patriota italiano, e ricevette il battesimo del fuoco l'8 aprile 1848 nella battaglia di GOITO durante la prima guerra di indipendenza italiana.
Il compito assegnato alla nuova specialità prevedeva le tipiche funzioni della fanteria leggera - esplorazione, primo contatto con il nemico e fiancheggiamento della fanteria di linea (senza però schierarsi e frammischiarsi con quest'ultima) - ma si caratterizzava, come nelle intenzioni del suo fondatore, per un'inedita velocità di esecuzione delle mansioni affidate ed una versatilità d'impiego che faceva dei suoi membri, ancorché appiedati, oltreché dei cacciatori, anche delle guide e dei guastatori ante litteram.
Dotato di ampia autonomia operativa, il Corpo era formato da uomini addestrati alla corsa ed al tiro con moderni fucili a retrocarica pronti ad agire, anche isolatamente, per impegnare di sorpresa l'avversario in azioni di disturbo col preciso intento di sconvolgerne i piani, organizzati in piccoli gruppi schierati in quadrato, però, i bersaglieri potevano essere impiegati anche in contrasto alla cavalleria per romperne la carica.
Nel 1854 furono impegnati nella guerra di CRIMEA, prima "missione all'estero" di truppe italiane dove morì lo stesso Alessandro La Marmora.
I bersaglieri vennero impiegati, dopo l'unificazione italiana, anche per contrastare il brigantaggio nel meridione.
Protagonisti della presa di ROMA del 20 settembre 1870, i battaglioni persero l'autonomia operativa dal 1 gennaio 1871 e passarono alle dipendenze dei reggimenti, portati a dieci.
Questi, dal 1882, passarono su quattro battaglioni ciascuno. Con l'ordinamento del 1910 presso ogni reggimento si formò un battaglione ciclisti, soppresso poi nel marzo 1919.
Durante la prima guerra mondiale (1915-1918) il Corpo venne ordinato in 2 Divisioni speciali, 7 Brigate, 21 Reggimenti e 5 Battaglioni autonomi.
Nel 1924 i 12 Reggimenti rimasti vennero trasformati in ciclisti, organico che poi cambiò nel 1936.
Reparti di Bersaglieri parteciparono all'occupazione dell'ALBANIA.
Durante la seconda guerra mondiale i Reggimenti Bersaglieri erano inquadrati nelle Divisioni corazzate, motorizzate e celeri, e combatterono su tutti i fronti.
Si distinsero soprattutto sul fronte del NORD AFRICA sotto il comando del Generale tedesco Rommel che grazie al loro intervento di schermaglia, riuscì ad ottenere una ritirata strategica in netta inferiorità numerica durante la seconda battaglia di EL ALAMEIN, contro le truppe britanniche con minime perdite.
Il 22 agosto 1941 la GERMANIA diede inizio all'Operazione Barbarossa, l'attacco all'UNIONE SOVIETICA, la più vasta operazione militare terrestre di tutti i tempi, che determinò qualche anno più tardi la sconfitta del Terzo Reich.
Il nostro Esercito inviò il 10 luglio 1941 il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (C.S.l.R.) composto da 3 Divisioni celeri: Pasubio, Torino e Principe Amedeo Duca d'Aosta. In quest'ultima Divisione confluì il 3° Reggimento Bersaglieri.
Alla fine del 1941 il Reggimento aveva perso la metà degli effettivi, così ne fu inviato uno nuovo, il 6°, reduce dalla JUGOSLAVIA.
Verso la fine del dicembre 1942, il 3º Reggimento Bersaglieri venne praticamente distrutto in combattimento. Anche il 6° Reggimento Bersaglieri, a causa delle gravi perdite, fu ricostituito.
Un contributo del Corpo dei Bersaglieri venne dato durante la Guerra di Liberazione con unità combattenti sia nell’Esercito Italiano al fianco degli Alleati e sia con reparti inquadrati nella Repubblica Sociale Italiana che ostacolarono le mire titine di annessione territoriale nel NORD EST d’ITALIA.
Già nel 1946 avvenne la ricostruzione del 3º Reggimento cui fece seguito nel 1949 quella dell'8º che nel 1975 diede vita alla 8a Brigata Bersaglieri "Garibaldi".
I Bersaglieri, a partire dagli anni 1980, furono una delle Specialità più impiegate nelle missioni militari italiane all'estero (KOSOVO, LIBANO, IRAQ, AFGHANISTAN).
DECALOGO DI LA MARMORA
1. Obbedienza
2. Rispetto
3. Conoscenza assoluta della propria arma
4. Molto addestramento
5. Ginnastica di ogni genere sino alla FRENESIA
6. Cameratismo
7. Sentimento della famiglia
8. Rispetto alle leggi ed onore al capo dello Stato
9. Onore alla Patria
10. Fiducia in se stessi sino alla presunzione.
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italianiinguerra · 5 years ago
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Il 17 luglio veniva ucciso in combattimento nei cieli di Sicilia, uno dei maggiori assi della Luftwaffe nella seconda guerra mondiale, Wolf-Udo Ettel. Quel giorno quando venne abbattuto da un cannone contraereo Bofors da 40 mm nei pressi di Lentini, Wolf a soli soli 22 anni aveva all’attivo ben 124 abbattimenti complessivi.
Il protagonista del nostro post, nacque il 26 febbraio 1921 ad Amburgo, nella Repubblica di Weimar, figlio di un rappresentante della produzione di aerei Junkers e a causa del lavoro del padre trascorre l’infanzia fra Teheran e la Colombia. Dopo il divorzio dei genitori e il ritorno in Germania nel 1934, lui e i suoi due fratelli più piccoli frequentarono le scuole Napola (Nationalpolitische Erziehungsanstalt) collegio secondario fondato dal Nazismo per allevare una nuova generazione per la leadership politica, militare e amministrativa della nuova Germania.
Il 1° settembre 1939 le armate naziste invadono la Polonia dando inizio al più spaventoso conflitto della storia dell’umanità. Il 15 novembre dello stesso anno, Ettel si offrì volontario per il servizio militare nella Luftwaffe e dopo aver frequentato vari corsi di formazione, fra cui la Jagdfliegerschule (scuola di addestramento dei piloti di caccia) con sede a Parigi, in Francia. Nel settembre 1941 fu assegnato ad un Ergànzungs-Jagdgruppe (gruppo di caccia supplementare), un’unità di addestramento per piloti di caccia con sede in Danimarca.
Il 10 aprile 1942, il Leutnant Ettel viene assegnato a 4. Staffel (squadrone) di Jagdgeschwader 3 “Udet” del II. Gruppe (2 ° gruppo) basato a San Pietro Clarenza , in Sicilia, con il compito di partecipare insieme alle unità della Regia Aeronautica all’assedio di Malta dove tuttavia rimane per un brevissimo lasso di tempo prima di essere trasferito sul fronte orientale in un campo di aviazione a Chuguyev.
Il 24 giugno il II. Gruppe si trasferì a Shchigry, un campo d’aviazione circa 50 chilometri ad est di Kursk e quello stesso giorno Ettel ottenne le sue prime due vittorie abbattendo due aerei sovietici, per la precisione di trattava di due velicoli d’attacco terrestre Ilyushin Il-2 “Shturmovik”.
Lui stesso è stato abbattuto a circa 15 km (9,3 mi) a nord di Voronezh il 10 luglio mentre stava distruggendo un bombardiere Douglas Boston a bordo di un Soviet, il suo settimo reclamo in totale. Salpò dal suo danneggiato Messerschmitt Bf 109 F-4 “White 1” dietro le linee sovietiche, attraversò il fiume Don e tornò nella sua unità quattro giorni dopo.
Il 24 luglio 1942 ricevette la Croce di ferro di 2ª classe e la Croce di ferro di 1ª classe il 2 agosto. Il 9 di agosto, Ettel  ottiene la sua ventesima vittoria aerea, la trentesima il 7 ottobre, e il 23 ottobre viene insignito del Front Flying Clasp in oro, la decorazione assegnata ai piloti della Luftwaffe dopo 60 missioni di guerra. In seguito alla perdita tedesca nella Battaglia di Stalingrado , il 4. Staffel viene trasferito sulla testa di ponte di Kuban.
Durante gli intensi mesi di operazioni, Ettel dichiarò 28 aerei sovietici abbattuti a marzo e altri 36 ad aprile, inclusi 5 abbattuti nello stesso giorno, l’11 aprile. Il 28 aprile 1943, Ettel ottenne la sua centesima vittoria aerea, era il 38esimo pilota della Luftwaffe a raggiungere il prestigioso traguardo. L’11 maggio, Ettel rivendica la sua 120esima vittoria, l’ultima sul fronte orientale, ma viene abbattuta dalla contraerea sovietica.
Ettel è costretto ad un atterraggio di fortuna con il suo Bf 109 G-4 nella terra di nessuno ma riesce a riguadagnare le proprie line nonostante la caccia serrata da parte di pattuglie sovietiche e più tardi a guidare una pattuglia della Werhmacht per distruggere importanti attrezzature rimaste a bordo del suo aereo.
Il 1° giugno a Berlino, Wolf viene insignito della Croce del Cavaliere della Croce di ferro (Ritterkreuz des Eisernen Kreuzes) dal generale der Jagdflieger Adolf Galland. Promosso a Oberleutnant (primo luogotenente), Ettel viene nominato Staffelkapitän (comandnate di squadrone) di una nuova unità l’8. Staffel di Jagdgeschwader con sede a Tanagra, in Grecia, equipaggiato con i Messerschmitt Bf 109 delle serie G-4 e G-6.
A giugno, il Gruppo prende possesso e familiarizza con i nuovi aerei e a fine mese l’unità viene trasferita ad Argos nel Peloponneso, con il compito di pattugliare il Mar Egeo. Il 10 giugno 1943 due armate alleate sbarcano sulle coste siciliane e il gruppo caccia di Wolf viene trasferito a Brindisi nell’Italia meridionale il 14 luglio 1943, partecipando ai primi combattimenti a sostegno delle forze di terra tedesche a sud-est di Catania già il 15 luglio.
Nei corso dei combattimenti a nord dell’Etna, nella grande battaglia per il controllo del ponte di Primosole che vide rifulgere il valore del X arditi, Ettel ottenne la sua prima vittoria aerea nel Teatro Mediterraneo, abbattendo un caccia Supermarine Spitfire della RAF. Il giorno successivo, rivendicato un altro Spitfire abbattuto e due bombardieri Liberator statunitensi. In soli due giorni Ettel può aggiungere quattro aerei abbattuti al suo bottino personale e raggiungere quota 124 vittorie.
Quota 124 vittorie sarà il suo score finale, il 17 luglio 1943, il gruppo è nuovamente incaricato di svolgere missioni di supporto a terra contro le forze britanniche nelle vicinanze di Catania. Nelle vicinanze di Lentini, il Gruppo perse cinque aerei abbattuti dal micidiale fuoco contraereo britannico fra cui quello di Ettel che nell’azione muore a soli 22 anni,dopo che il suo Bf 109 G-6 si schianta a nord-est del Lago di Lentini.
  Il 31 agosto 1943 Ettel ricevette la croce cavalleresca della croce di cavaliere con foglie di quercia (Ritterkreuz des Eisernen Kreuzes mit Eichenlaub), era il  289° militare della Wehrmacht a ricevere la prestigiosa decorazione.
La Croce di Cavaliere della Croce di Ferro era conferita per eccezionali meriti di comando e/o di coraggio a militari di qualsiasi grado e si suddivide in cinque classi:
Croce di Cavaliere
Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia , istituita il 3 giugno 1940
Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia e Spade istituita il 21 giugno 1941
Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia, Spade e Diamanti istituita il 15 luglio 1941
Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia in Oro, Spade e Diamanti, istituita il 29 dicembre 1944.
In totale vennero distribuite 7.361 decorazioni della Croce di Cavaliere (43 delle quali a militari alleati del Terzo Reich), dei quali 890 ricevettero le Fronde di Quercia (8 stranieri), 159 le Fronde di Quercia e Spade (più una distribuzione onoraria all’ammiraglio giapponese Isoroku Yamamoto). Solo 27 uomini vennero decorati anche con i Diamanti, mentre Hans-Ulrich Rudel, pilota della Luftwaffe abbattuto trenta volte e con all’attivo circa 1.300 mezzi corazzati o blindati distrutti fu l’unico a ricevere la Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia in Oro, Spade e Diamanti.
Tornando al protagonista del nostro post odierno, Wolf-Udo Ettel fu sepolto nel cimitero tedesco di Motta Sant’Anastasia in una tomba non contrassegnata. Grazie per aver letto con tanta pazienza il nostro post, con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.
17 luglio 1943, nei cieli di Lentini muore uno dei maggiori assi della Luftwaffe Il 17 luglio veniva ucciso in combattimento nei cieli di Sicilia, uno dei maggiori assi della Luftwaffe nella seconda guerra mondiale, Wolf-Udo Ettel.
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purpleavenuecupcake · 6 years ago
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A 107 anni ci lascia il generale dell’Aeronautica Oreste Genta. L’Aeronautica piange colui che ha scritto un importante pezzo di storia d’Italia
Il due novembre scorso il  Generale dell’Aeronautica Militare Oreste Genta aveva compiuto 107 anni e oggi si è spento un grande uomo e un grande comandante che ha segnato con il suo coraggio e il suo servizio la storia dell’aviazione e dell’Aeronautica militare italiana. La Forza Armata ha sempre ricordato con orgoglio l’ufficiale pilota che nella sua carriera ha percorso la storia dell’Aeronautica Militare e che ancora nel 2016,  con lucidità fuori dal comune, riusciva  a percorrere i passaggi storici e decisivi dell’Arma Azzurra e dell’Italia, durante i periodi più bui della seconda guerra mondiale. https://www.youtube.com/watch?v=ThtKqZaIFKU Il Generale Oreste Genta nacque a Frasso Sabino, in provincia di Rieti, il 2 novembre del 1911. Nel 1931 entrò nella Regia Aeronautica come allievo presso la Regia Accademia Aeronautica di Caserta dove frequentò il Corso Leone. Venne promosso Sottotenente il 1 ottobre 1933, e conseguì il brevetto di pilota d’aeroplano il 3 giugno 1934 volando a bordo di un biplano da addestramento Breda Ba.25, ed in seguito quello di pilota militare il 19 febbraio 1935. Promosso Tenente pilota il 15 luglio 1935, conseguì il brevetto di Osservatore Marittimo il 5 gennaio 1936, prendendo servizio il 1 febbraio 1937 nell’Aviazione dell’Alto Tirreno volando su velivoli idrovolanti Savoia-Marchetti S.59. Dal febbraio 1937 si imbarcò sull’incrociatore leggero Armando Diaz volando a bordo dei ricognitori catapultabili IMAM Ro.43 Maggiolino. Il 16 giugno successivo passò sull’incrociatore pesante Trieste, per passare poi sul Duca degli Abruzzi e quindi sul Pola. Venne promosso Capitano in data 15 luglio 1938. Nell’aprile 1939 prese parte alle operazioni per l’occupazione dell’Albania e il 16 settembre dello stesso anno fu assegnato alla Scuola di Osservazione Marittima come comandante della 3ª Squadriglia dotata di idrovolanti Savoia-Marchetti S.62. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, nel mese di luglio assunse il comando della 141ª Squadriglia da Ricognizione Marittima Lontana, di base a Brindisi, ed equipaggiata con gli idrovolanti CANT Z.501 Gabbiano. Il 13 ottobre 1941 venne trasferito presso il Comando dell’Aviazione per la Marina in Libia, dove assunse il comando della 196ª Squadriglia R.L.M. di base a Bengasi. Il 18 aprile 1942, ai comandi di un idrovolante Z.501, mentre era di scorta ad un convoglio navale, aiutò a respingere un attacco portato da velivoli avversari, e per questo fu decorato con una prima Medaglia d’argento al valor militare. Nell’agosto 1942 prese servizio presso il Comando Aviazione per lo Jonio e Basso Adriatico come comandante della 142ª Squadriglia R.L.M., dotata sia dei CANT Z.501 che dei più potenti trimotori CANT Z.506 Alcione Promosso Maggiore il 20 ottobre successivo, a partire dal 26 aprile 1943 prese servizio presso lo Stato maggiore della Regia Aeronautica decentrato a Palestrina, Roma. Giudice presso il Tribunale militare di Taranto, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 rimase in servizio presso l’Italian Co-Belligerent Air Force, e il 27 settembre 1944 assunse il comando del 82º Gruppo Idrovolanti di stanza sull’idroporto Luigi Bologna di Taranto. Dopo la fine delle ostilità transitò in servizio nella neocostituita Aeronautica Militare, e passato alla Scuola addestramento idro venne promosso Tenente Colonnello il 1 dicembre 1948, imbarcandosi poi sulla nave da battaglia Caio Duilio come Ufficiale di collegamento. Dopo aver frequentato il Corso Superiore presso la Scuola di guerra aerea, nel 1951 venne destinato all’Istituto di Guerra Marittima come insegnante di Arte Militare Aerea. Promosso Colonnello il 1 febbraio 1952, dopo aver frequentato la Scuola di Volo Senza Visibilità di Latina assunse il Comando del Reparto Volo della 46ª Aerobrigata. Divenne Generale di Brigata Aerea il 12 marzo 1960, e il 15 settembre 1962 assume il comando della 36ª Aerobrigata Interdizione Strategica, equipaggiata con i missili balistici a testata nucleare PGM-19 Jupiter, avente Quartier generale a Gioia del Colle. Lasciò il prestigioso incarico il 1 luglio 1963, in seguito alla decisione di chiudere la Grande Unità dopo la crisi dei missili di Cuba, per assumere il comando del Settore Aereo della Sardegna. Il 20 novembre 1965 è promosso Generale di Divisione Aerea, e il 31 dicembre 1968 Generale di Squadra Aerea, assumendo il comando della III Regione Aerea di Bari il 18 ottobre 1969. Lasciò il comando della Regione Aerea al Generale Emanuele Annoni il 1 febbraio 1972 e venne posto in posizione ausiliaria, per passare in congedo assoluto il 3 novembre 1984. Dopo la fine della sua carriera militare fu per quattro anni presidente dell’opera Nazionale Figli degli Aviatori (ONFA). Nel corso della sua lunga e brillante carriera è stato insignito con una serie di importanti e prestigiose onorificenze. Medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione “Comandante di una Squadriglia, primo pilota a bordo di un apparecchio da R.M. in missione di scorta a.s. ad un nostro importante convoglio, attaccato da tre apparecchi nemici accettava e sosteneva eroicamente l’impari lotta. Ferito insisteva nel combattimento e per tre volte riportava il suo apparecchio contro il nemico che intanto aveva colpito altri due membri dell’equipaggio e gravemente danneggiato i cavi di comando. Deciso a proteggere dal bombardamento il prezioso convoglio aveva finalmente ragione della superiorità numerica avversaria mettendo in fuga gli assalitori. Cielo del Mediterraneo centrale, 28 aprile 1942”. Medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: “Comandante di Squadriglia da Ricognizione Marittima, partecipava a numerose missioni di volo di scorta a.s. e di esplorazione su zone di mare particolarmente soggette all’insidia aerea e navale nemica, prodigandosi al buon esito delle missioni. Dava prova di senso del dovere e di sprezzo del pericolo. Cielo del Mediterraneo e dell’Africa Settentrionale Italiana, luglio 1940 – XVIII – giugno 1942 – XX”. Medaglia di bronzo al valor militare con la seguente motivazione: “Comandante di Squadriglia da ricognizione marittima, partecipava a numerose missioni di guerra. Capo Equipaggio nel corso di una missione di scorta ad un nostro convoglio, veniva attaccato da numerosi apparecchi nemici. Con l’apparecchio colpito in varie parti, riusciva a disimpegnarsi e concalma esemplare, si portava nuovamente sulla zona delle ricerche dando le relative segnalazioni sui naufraghi di un piroscafo colpito. Esempio di attaccamento al dovere e di elevate virtù militari. Cielo dello Jonio, 30 agosto 1942- 2 maggio 1943”. Croce di guerra al valor militare “Cielo dello Jonio, 30 agosto 1942- 2 maggio 1943”. Croce al merito di guerra Medaglia commemorativa della Campagna di Spagna (1936-1939) Medaglia commemorativa della spadella spedizione in Albania Medaglia commemorativa del periodo bellico 1940-1943 Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana (27 dicembre 1969) Medaglia Mauriziana al merito di 10 lustri di carriera militare Croce d’oro per anzianità di servizio Read the full article
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trapaniamoremio-blog · 6 years ago
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Le origini
La mitologia vuole che una falce caduta dalle mani di Cerere oppure di Saturno, quest’ultimo il tradizionale dio patrono della città, si mutò in una lingua di terra arcuata sulla quale sorse poi la città, per tale forma detta appunto Drepanon (“falce” in greco antico).
Nell’Eneide, Virgilio racconta che il padre di Enea, Anchise morì a Drepanum e, dopo la fuga da Didone, l’eroe troiano vi ritornò per celebrarvi dei giochi, i ludi novendiali.
Gli Elimi, un popolo stanziato in Sicilia occidentale in epoca protostorica e di cui Eryx (Erice) era uno dei centri principali, furono probabilmente i fondatori del primo nucleo abitativo di Trapani. Il piccolo villaggio di Trapani doveva sorgere su un’isola divisa dall’entroterra paludoso mediante un canale navigabile ed avere il ruolo di porto commerciale di Erice. Trapani divenne presto una città-emporio grazie alla sua felice posizione geografica.
L’influenza cartaginese
Tra IX e VIII secolo a.C. si affermò a Trapani l’influenza punica. Durante le guerre contro i Greci e Siracusa dei secoli successivi, Trapani si fortificò e si mantenne saldamente alleata alla città di Cartagine. Nel 260 a.C. Amilcare giunto in Sicilia, ne rafforzò la cinta muraria, fece costruire il Castello di Terra, la Torre Pali e la Torre Peliade o Colombaia, e vi trasferì parte degli abitanti di Erice. Il generale Aderbale, che vi aveva insediato il comando generale delle forze cartaginesi, sconfisse i Romani nella battaglia di Trapani. Drepano (Trapani), insieme a Lilibeo, fu una delle ultime roccaforti cartaginesi in Sicilia.
Dai Romani alla dominazione spagnola
L’importante posizione strategica fu utilizzata durante la Prima guerra punica quando i Cartaginesi sconfissero la flotta romana nella Battaglia di Trapani del 249 a.C. Ma alcuni anni dopo, nel 241 a.C., Gaio Lutazio Catulo sbaragliò la flotta cartaginese nella battaglia delle Isole Egadi che pose fine alla guerra. I Romani così conquistarono la città, latinizzandone il nome in Drepanum.
I Romani trattarono le città siciliane a seconda della loro condotta durante la guerra punica. Drepanum rientrò fra le 26 città censorie (civitates censoriae) ovvero fra quelle più pertinaci nella resistenza contro i Romani. Osteggiata dai Romani, che non le perdonarono la fedeltà a Cartagine, Trapani entrò in un periodo di decadenza e si spopolò.
Dopo i Romani, dominarono la città i Vandali, poi i Bizantini, ma fu nel IX secolo d.C. con gli Arabi (che la chiamarono Itràbinis, Taràbanis, Tràpanesch), e poi con i Normanni che la conquistarono nel 1077 guidati da Ruggero II, che la città raggiunse un fervido sviluppo, florida nei commerci e nelle attività culturali, e il porto ebbe grande fermento anche grazie alle crociate. Il porto di Trapani durante il Medioevo fu uno dei più importanti del Mediterraneo: tutte le più potenti città marinare (Genova, Pisa, Venezia, Amalfi) avevano un consolato nel porto trapanese e, specialmente con le prime due, Trapani aveva l’accordo per fungere da scalo verso i loro possedimenti nell’Africa settentrionale.
Dopo un breve periodo sotto gli Angioini, Trapani partecipò attivamente alla sollevazione dei Vespri siciliani guidati da Palmiero Abate, e passò nel 1282 agli Aragonesi. Durante il XIV e il XV secolo la città si ingrandì e divenne il centro economicamente e politicamente più importante della Sicilia occidentale. Nel 1443, da semplice Terra diventava Civitas. Nel 1478, Ferdinando il Cattolico concesse alla città il titolo di Invittissima al riguardo «delle gloriose resistenze fatte sempre ai nemici del regno».
Il 20 agosto 1535 Carlo V, arrivò a Trapani dopo aver sconfitto la flotta turca. La città si era ormai talmente affermata nello scacchiere geopolitico dell’epoca da meritare dallo stesso Carlo V l’appellativo di “Chiave del Regno”. Durante la sua permanenza a Trapani, Carlo V giurò di mantenere i privilegi della città, compreso quello con cui il Senato poteva conferire lauree in medicina, fisica, teologia, matematica, belle arti e giurisprudenza.
Nel XVII secolo Trapani conobbe un periodo di decadenza soprattutto a causa delle insurrezioni dovute a carestie, come nel 1647 e nel 1670-1673, e della pestilenza nel 1624. Il XVIII secolo vide aumentare sensibilmente la popolazione trapanese che passò da circa 16.000 a 25.000 abitanti.
      Dai Borboni al fascismo
Dopo le brevi parentesi sabauda (1713) e austriaca (1720), dalla seconda metà del Settecento inizia il Regno borbonico con il Regno delle due Sicilie (1738), che continuerà fino al 1860. I Borboni procedettero alla bonifica di alcune aree della città e al suo sviluppo urbanistico. In questo periodo i trapanesi si dedicano al commercio e all’industria del sale e alle tonnare. Trapani partecipò attivamente ai moti del 1848-1849, sanguinosamente repressi. Nel 1861 Trapani si pronunciò con il plebiscito per il Regno d’Italia.
Dopo la Prima guerra mondiale (durante la quale Trapani ebbe circa 700 caduti), la città visse un periodo di sviluppo: le industrie legate alle saline, alle tonnare, al vino, all’olio fecero di Trapani una città particolarmente dinamica non solo dal punto di vista economico ma anche culturale. Nel 1924 Mussolini, dopo una visita in città, decise di inviare a Trapani il prefetto Cesare Mori che, dopo poco più di un anno, fu trasferito a Palermo con poteri straordinari per la repressione del fenomeno mafioso. La Seconda guerra mondiale vide Trapani impegnata come porto e base sommergibilistica di primaria importanza e, con i locali aeroporti di Milo e di Chinisia, divenne punto di collegamento dei rifornimenti per le truppe dell’Asse in Nord Africa. Fu bombardata dai francesi il 22 giugno 1940, dalla RAF il 10 novembre 1941 e il 31 maggio 1942, e subì 27 bombardamenti degli angloamericani da gennaio a luglio 1943, con la conseguente distruzione dell’intero quartiere storico di San Pietro. Le incursioni aeree che devastarono la città la collocarono al nono posto dei capoluoghi di provincia italiani bombardati. Il 22 luglio 1943 le truppe alleate di Patton giunsero nella piazza di Trapani trovando una città stremata.
  Età contemporanea
Nel referendum del 1946 la Provincia di Trapani si schierò, unica in Sicilia, in maggioranza per la Repubblica. Il capoluogo, al contrario, espresse un voto monarchico. Tra il 1950 e il 1965 vi fu una lenta ripresa delle attività industriali e commerciali, ma la città non si risollevò mai del tutto dalla crisi dell’immediato dopoguerra ripiegando anonimamente nel terziario e nelle attività connesse al suo ruolo politico e amministrativo di capoluogo di provincia. Il terremoto della Valle del Belice del gennaio del 1968 provocò morte e dolore anche nella città di Trapani. Altri lutti con l’alluvione del 1965 e con quella del 5 novembre 1976 che provocò 16 morti.
Con gli anni novanta la città si è proposta con più convinzione rispetto al passato come meta di interesse turistico, storico, culturale e sportivo attraverso piani di riqualificazione del centro storico, la realizzazione di nuove infrastrutture urbane, l’incremento di attività ricettive, di ristorazione e di intrattenimento, e con una più spiccata attenzione alla valorizzazione del suo ingente patrimonio storico, architettonico e naturalistico.
Negli ultimi anni la città ha assunto anche una rilevanza internazionale con eventi di indubbia importanza sia culturale, come le mostre su Caravaggio, Leonardo Da Vinci e del Crocifisso Ritrovato di Michelangelo, sia sportivo con alcune delle fasi della America’s Cup.
Trapani…3000 anni di storia e cultura Le origini La mitologia vuole che una falce caduta dalle mani di Cerere oppure di Saturno, quest’ultimo il tradizionale dio patrono della città, si mutò in una lingua di terra arcuata sulla quale sorse poi la città, per tale forma detta appunto Drepanon (“falce” in greco antico).
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paoloxl · 6 years ago
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L'offensiva nazista al Paese comunista più grande del mondo, l'Unione Sovietica, inizia il 22 giugno 1941, quando 5.500.000 soldati, 3.500 carri armati e 2.000 aerei intraprendono l'attacco: i fronti che vengono aperti sono tre, dal nord verso Leningrado, al centro verso Mosca e a sud verso Kiev e, più in là, Stalingrado e il Caucaso.
I primi mesi di guerra costituiscono per l'URSS una vera e propria disfatta: le truppe dell'Armata Rossa sono costrette a retrocedere su ogni fronte, e le perdite sono innumerevoli.
Il governo comunista dell'Unione Sovietica risponde organizzando un'offensiva senza precedenti, che verrà chiamata la "guerra popolare": centinaia di migliaia di civili, tra cui moltissime donne, intraprendono atti di resistenza e di sabotaggio, mettendo sempre più in difficoltà l'invasore tedesco.
Gli abitanti di Leningrado scavano centinaia di chilometri di trincee anticarro, riuscendo eroicamente a difendere la città dall'invasione per più di 900 giorni, mentre a Mosca Stalin organizza una parata militare nell'anniversario della Rivoluzione d'Ottobre, per ricordare al popolo la potenza militare dell'Armata Rossa: l'esercito dalla sfilata marcia direttamente al fronte.
Il fronte del sud è probabilmente il più importante della campagna di Russia tedesca, in quanto è proprio nel Caucaso, superato il Volga, che si trovano i più importanti giacimenti di petrolio, nonché le maggiori coltivazioni agricole di tutta l'URSS.
Per questo, con l'avvicinarsi dell'esercito occupante al fiume Volga, Stalin pubblica, il 27 luglio 1942, il decreto 227, che dice, tra l'altro : "Se non fermiamo la ritirata rimarremo senza pane, senza gasolio, senza metalli, senza materie prime, senza fabbriche né impianti, senza ferrovie. In conclusione: è ora di fermare la ritirata, non un passo indietro! Questa deve essere d'ora in poi la nostra parola d'ordine. Dobbiamo proteggere ogni punto forte, ogni metro di terra sovietica, irriducibilmente, fino all'ultima goccia di sangue. Dobbiamo aggrapparci ad ogni centimetro della nostra patria e difenderlo in qualsiasi modo. La nostra patria vive tempi difficili. Dobbiamo fermare, affrontare e distruggere il nemico, a qualsiasi costo. I tedeschi non sono così forti come dicono coloro che si son fatti prendere dal panico. Le sue forze si sono tese fino al limite. Fermare i suoi colpi adesso significa assicurarci la vittoria in futuro."
Il 21 agosto 1942 le truppe tedesche conquista il Don, e due giorni dopo, il 23 agosto, la sedicesima Panzer Division del generale Hans Hube irrompe improvvisamente sul Volga, bloccando gli accessi alla città di Stalingrado, iniziando l'assedio con un primo massiccio bombardamento a tappeto sulla città. Coloro che rimangono in città si dedicano totalmente al lavoro di difesa, tutte le fabbriche sono convertite alla produzione militare, e i carri armati vanno dalla linea di montaggio direttamente al fronte. Cujkov, generale messo a difesa di Stalingrado da Stalin stesso, comandante della 62° Armata, con i suoi soldati, difende strenuamente la città, facendo come proprio il motto "A Stalingrado il tempo è sangue".
Nei primi giorni di settembre non c'è più un solo edificio in piedi a Stalingrado, ma gli uomini dell'Armata Rossa, formate piccole unità di 6 o 9 effettivi, continuano a combattere strenuamente: l'ordine di Cujkov è di rimanere a non più di 50 metri, o alla distanza di un tiro di una bomba a mano, dal fronte nemico, in qualsiasi momento.
Alla strenua difesa di Stalingrado, così come a tutta la guerra nell'Unione Sovietica, partecipano centinaia di migliaia di donne, e la loro presenza è particolarmente sconcertate per i tedeschi: un ufficiale tedesco, in una lettera alla propria famiglia, scrive "È impossibile descrivere quello che sta succedendo qui. Ogni persona, a Stalingrado, che ha ancora la testa e le mani, uomo o donna, continua a lottare".
La difesa di Stalingrado dà i suoi frutti, l'occupante subisce perdite importanti e, con l'avvicinarsi dell'inverno comincia ad avere problemi di approvvigionamento; il 10 novembre 1942 l'Armata Rossa lancia il contrattacco con l'operazione Urano, una manovra a tenaglia per accerchiare il nemico.
Finalmente, il 2 febbraio 1943, gli ultimi nuclei tedeschi ancora di stanza a Stalingrado si arrendono.
La storica vittoria di Stalingrado, che ha coinvolto non solo le truppe dell'Armata Rossa, ma tutta la popolazione locale in uno strenuo combattimento casa per casa, aprendo la strada alla controffensiva militare, svela al mondo che la tanto osannata invincibilità tedesca non è altro che propaganda, e ridà ai popoli europei oppressi dalle dittature naziste e fasciste, a da una guerra che non avevano voluto, una reale speranza di libertà, pace e riscatto.
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anmicastellabate · 7 years ago
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Sommergibile Malachite classe 600 – serie PERLA
Impostato il 31 agosto 1935 nei Cantieri del Muggiano di La Spezia varato il 15 luglio 1936 consegnato il 6 novembre 1936 Il 10 giugno 940 e’ dislocato a Taranto (47° sq.IV gruppo)
CARATTERISTICHE
Anno di costruzione: 1936 Cantiere: Odero Terni Orlando – La Spezia (Italia) Nazionalità: italiana Dislocamento in superficie/immersione: 695t/855t Lunghezza: 60,18 metri Larghezza: 6,45 metri Immersione: 4,70 metri Propulsione in superficie: 2 motori diesel (Tosi) Propulsione in immersione: 2 motori elettrici (Marelli) Cavalli superficie: 1.400 Cavalli immersione: 800 Eliche: 2 Velocità in superficie: 14 nodi Velocità in immersione: 7,5 nodi Armamento in superficie: 1-100/47 2-13,2 Armamento in immersione: 6 tubi lanciasiluri da 533mm Autonomia in emersione: 5200 miglia a 8 nodi Autonomia in immersione: 74 miglia a 4 nodi
LE OPERAZIONI EFFETTUATE
Effettua 36 uscite operative: 22 missioni offensive e/o esplorative in Mediterraneo, 1 missione trasporto mezzi d’assalto, 13 uscite per esercitazione o trasferimento, percorse miglia 29085.
Dal 20 al 27/6/1940 – Agguato a N. di Maiorca. Al rientro da questa missione entra in arsenale per turno di lavori. Durante la sosta avviene lo scambio di consegne fra il C.C. D’Elia che assume il comando del “Giuliani” e il T.V. Enzo Zanni.
Agguato a NE di Derna. Il 15/12, durante la navigazione per portarsi in zona, subisce l’attacco di un aereo che riesce a neutralizzare con le armi di bordo. La notte sul 27/1/1941 – Ricerca idroponica nello stretto di Messina.
Dal 15 al 22/3/1941 Agguato nel canale di Cerigotto. La notte sul 19 avvista un incrociatore scortato da CCtt. Alle ore 01.19, lancia due siluri che non colpiscono. Non puo’ proseguire nell’azione perche’ sottoposto a violenta caccia a.s. deve disimpegnarsi in immersione.
Dal 10 al 18/4/1941 Agguato a N del golfo di Sollum. La sera del 14, alle ore 23.37, avvista un grosso convoglio che non puo’ attaccare per la pronta reazione a.s. della scorta che gli impedisce di portarsi a distanza di lancio.
Dal 3 al 14/7/41 Agguato a N di Ras Azzaz. Alle ore 20.00 del 3 avvista un grosso incrociatore contro il quale lancia subito un siluro. Udito lo scoppio dell’arma, si disimpegna in immersione.
Dal 25/9 al 5/10/1941 – Agguato al largo di Ras Aamer. Dal 20 al 27/1/1942 – Agguato al largo di Ras Aamer. Dall’11 al 23/2/1942 – Agguato lungo le coste della Cirenaica. Dall’8 al 21/4/1942 – Agguato lungo le coste della Cirenaica. Dall’1 al 9/6/1942 – Pattuglia a NW di Algeri. Dal 15 al 18/6/1942 – Agguato a NW di Algeri. Dal 22 al 24/6/1942 – Agguato a N di Capo Blanc
PROGETTO “R.S. MALACHITE”
Mentre dal 16 al 17/7/1942 – Pattuglia lungo le coste tunisine. Rientra in anticipo per avaria e va in arsenale per le riparazioni e un turno di riposo all’equipaggio. Durante la sosta e in attesa della missione successiva avviene lo scambio di consegna fra il T.V. Zanni e il T.V. Alpinolo Cinti. Dal 20 al 26/11/1942 – Agguato lungo le coste algerine. Il 24, durante un’incursione nella rada di Philippeville, alle ore 04.11, lancia due siluri contro tre piroscafi che procedono scortati. Rientra a Cagliari dove rimane dislocato temporaneamente. Dal 16 al 24/12/1942 – Pattuglia fra La Galite e Cap de Fer. Dal 4 al 5/1/1943 – Agguato nelle acque di La Galite.
Poi dal 21 al 22/1/1943 – Pattuglia fra Capo Carbon e Bougaroni. Il 22 alle ore 04.55 avvista un convoglio diretto verso Bona. Alle ore 05.18 lancia una salva di quattro siluri. Costretto a disimpegnarsi dalla pronta e violenta reazione della scorta, mentre si immerge avverte distintamente due esplosioni.
Il 6 febbraio effettuato lo sbarco degli uomini a 9 mg da Capo Matifu, attende invano fino alle 06.30 del 7 il loro rientro. Dirige quindi per il ritorno alla sua base di Cagliari. E’ già’ in vista della Costa italiana quando viene silurato.
AFFONDAMENTO
Il 9 febbraio 1943 alle ore 11.00 circa al largo di Capo Spartivento, silurato dal Sommergibile olandese “Dolfijn”. Evita con una rapida manovra tre siluri, il quarto lo colpisce al centro sulla sinistra provocandone l’affondamento in un minuto. Sopravvivono: il comandante , 3 ufficiali, 9 sottufficiali, sottocapi e comuni.
Affondano col battello:
Ufficiali di macchina: S.T.V. (GN) Giovanni Rubino; 34 sottufficiali, sottocapi e comuni:
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C° 2a cl. Francesco Di Corato
C° 3a cl. Giuseppe Serini
2°c. Corrado Cadaleta
2°c. Giuseppe Cesarini
2°c. Mario Fossati
2°c. Giuseppe Rossi
Sgt. Ruggero Casola
Sgt. Aldo Cesca
Sgt. Ettore Etro
Sc. Ernesto Ariani
Sc. Sesto Andreolini
Sc. Dino Buglioli
sc. Bruno Carotenuto
Sc. Vittorio Colombo
Sc. Mario Giberto
Sc. Nello Giovanetti
Sc. Angelo Lamonea
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Sc. Esilio Lazzari
Sc. Mario Loi
Sc. Renato Negrin
Sc. Ermelindo Orlando
Sc. Carmine Passaro
Sc. Pasquale Picca
Sc Ottavio Sciarpella
Com. Dante Baldassarre
Com. Ermanno Bani
Com. Otello Casadei
Com. Alterio Cozzolino
Com. Elios Durazzi
Com. Sebastiano Faoro
Com. Raffaele Franzoni
Com. Vincenzo Piscopo
Com. Mario Piuri
Com. Bruno Raviola.
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Identico alla serie Sirena, della quale altro non e’ che una ripetizione, avevano lo scafo tipo Bernardis con doppi fondi centrali molto resistenti e controcarene esterne, con una profondità di collaudo di 80 metri. Ebbero motori più potenti, una maggiore dotazione maggiore di combustibile ed un nuovo impianto di condizionamento. Esteriormente mostravano solo la falsatorre un po’ più grande nella parte superiore ed un radiogoniometro manovrabile dall’interno dello scafo.
La serie era costituita da: Perla, Gemma, Berillo, Diaspro, Turchese, Corallo, Ambra, Onice, Iride e Malachite.
Solo il Diaspro, Turchese e Onice sopravvissero alla guerra.
Nel corso del mese di Gennaio 1943, al sommergibile Malachite (al suo attivo 22 missioni esplorative offensive, 14 di trasferimento, percorse 29085 miglia) agli ordini del T.V. Alpinolo CINTI, fu affidata una missione in Algeria. A bordo una squadra di incursori del battaglione San Marco agli ordini del Sottotenente Bartolini, con obiettivo la distruzione di un ponte ferroviario a El Kjeur. Una volta sbarcato il commando nelle vicinanze della costa Algerina, il Regio Smg Malachite rimase in silenzio totale in attesa del segnale convenuto per il recupero degli uomini.
L’equipaggio intese chiaramente la violenta esplosione, e dopo pochi minuti fu avvistato il segnale. Mentre si avvicinava al luogo convenuto, sulla spiaggia si scateno una battaglia con una serie di spari ed esplosioni. Rimasto in attesa ben oltre il tempo stabilito, con il pericolo imminente di essere scoperto dalle forze navali ed aeree nemiche, il T.V. Alpinolo CINTI ordinò l’immediata partenza. Fu intercettato per ben due volte sulla via del ritorno, ma il suo Comandante si svincolo’ e riuscì a scappare.
L’affondamento
Il 9 febbraio del 1943 nei pressi della costa sud della Sardegna, risali in superficie iniziando i preparativi per l’arrivo in porto. A 3 miglia a sud di Capo Spartivento, il sottomarino olandese Dolfjn, non si sa come, era in agguato in quelle acque e quando scorse dal periscopio due imbarcazioni che erano più o meno a due miglia da lui, capì subito che uno era un sommergibile che rientrava da una missione e decise di attaccarlo. Lanciò 4 siluri dai tubi di lancio di prora ad intervalli di 5, 8 secondi l’uno dall’altro.Due siluri furono abilmente evitati dal Com.te CINTI ma il terzo siluro esplose sul fianco del Malachite dopo circa due minuti. Il “gigante” iniziò ad affondare di poppa e qualche minuto dopo, prima di sparire negli abissi marini, si alzò verticalmente con la prua e la torretta fuori dall’acqua, qualche istante e scomparì sott’acqua. Subito giunsero sul luogo alcune imbarcazioni per soccorrere i 13 naufraghi, tra di essi il comandante CINTI. Perirono 35 membri dell’equipaggio in quelle gelide acque. Nessuno vide ne si accorse del Dolfjn che silenziosamente si allontanò dalla zona.
Tra i marinai imbarcati sul Malachite anche il nostro cittadino Carmine Passaro
Il Sottocapo Carmine Passaro
Articoli di giornale
TESTIMONIANZE
IL SOMMERGIBILE MALACHITE (BOLLETTINO DI GUERRA 914) – RACCONTATO DALL’EX SOTTOCAPO PASQUALE PELILLO .
La notte del 23 Novembre 1942, notte così pulita e fosforescente che sembrava fatta apposta per mettere in maggiore rilievo il sommergibile in emersione, nonostante la luna. Il Comandante Cinti, ci portò tanto vicino all’imboccatura della Baia di Philippeville, dove si vedevano chiaramente le onde frangersi contro le banchine del porto, le case della città biancheggiare come fossero di gesso, gli alberi del lungomare agitati dal vento, Philipeville senza un lume alle finestre senza una lampada per le vie, in uno scuramento di guerra perfetto.
A questo punto il Comandante Cinti sotto quel plenilunio che illuminava a giorno il mare, vide una motosilurante nemica avventarsi alla distanza di tre o quattro miglia, verso il sommergibile e ordinò immediatamente la rapida immersione. Fu soltanto più tardi, quando gli idrofoni, esplorando bene bene il mare diedero la certezza della zona libera, che effettuammo l’emersione e senza indugio il Comandante ci spinse sotto la costa; adesso la nuvolaggine, mettendo ogni tanto uno schermo allo sfacciato chiarore della luna aiutava il nostro compito. Quando però il riflettore della luna si riaccendeva, tutto tornava improvvisamente terso ed allucinante.
Ci allontanammo dalla Baia di Philipeville, non c’erano navi nemiche ma non era detto che non ce ne fossero nei dintorni, infatti fu proprio ad una decina di miglia dalla costa al largo di Capo de Fer, in una zona dove il nemico doveva sentirsi abbastanza sicuro che avvistammo una formazione composta da quattro piroscafi e tre cacciatorpediniere di scorta. Il Comandante Cinti capì subito che una delle quattro navi era una petroliera. Il sommergibile aveva la luna alle spalle e appariva sullo sfondo del cielo, tanto che la petroliera ci avvistò e cominciò a spararci contro con il cannone. Il Comandante Cinti ordinò subito il lancio di due siluri verso il piroscafo di testa e sentimmo un fortissimo scoppio con accompagnamento di vampe di fuoco.
Ormai il piroscafo era perduto, si arrestò di colpo come fecero le altre navi che gli si affollarono intorno, proprio come si fa con un infortunato sulla pubblica via. I cacciatorpediniere in circostanze simili non possono usare le bombe di profondità come è comprensibile in caso di naufraghi in mare. Mentre tutto questo accadeva altri due siluri erano partiti contro la petroliera che illuminata dai razzi dei cacciatorpediniere continuava a spararci cannonate sino a quando non è esplosa inabissandosi. Era arrivato il momento di effettuare l’immersione e per tutto il giorno seguente restammo fermi sul fondo ad ascoltare il gran “passeggiare” di navi sopra la torretta, un ansimare di turbine, un avvicinarsi ed allontanarsi di motori. Ci allontanammo dalla zona e con l’ultima emersione navigammo diretti alla nostra base di Cagliari.
Pasquale Pelillo
TESTIMONIANZE
L’ULTIMA MISSIONE DEL “SMG MALACHITE”, RACCONTATA DALL’ALLORA “SOTTOCAPO PASQUALE PELILLO ”
Imbarcato sul sommergibile Malachite in qualità di S.C.MN, fui assegnato al motore di sinistra mentre a quello di destra c’era il mio collega Mario Loi. Entrambi avevamo già partecipato a diverse missioni sul Malachite, tranne per l’ultima in quanto il Comandante Alpinolo CINTI, dovendo imbarcare una squadra più numerosa di Incursori con l’obiettivo di distruggere un ponte ferroviario a EI Kjeru in Algeria, ordinò al S.C.RT Pappalardo ed al sottoscritto di rimanere a terra. Il smg.Malachite con a bordo il commando dei guastatori partì e navigando si avvicinò alla costa Algerina dove sbarcò il commando e rimase in assoluto silenzio in attesa del segnale convenuto per il recupero degli incursori, come era già accaduto altre volte nei pressi dell’isola La Galite. Dopo una forte esplosione e violenta battaglia con una serie di spari ed scoppi sulla spiaggia, scaduto il tempo e con il pericolo di essere scoperti dalle forze navali nemiche, il Comandante Alpinolo Cinti ordinò la partenza immediata.
Il giorno 9 Febbraio alle ore 11,00 nei pressi della costa sud della Sardegna, il smg. Malachite navigava in superfice e si preparava per il rientro in porto. Nei paraggi c’era in agguato, a quota periscopica, il smg. Olandese Dolfin che lanciò 4 siluri. Il Comandante CINTI, con abile manovra, riuscì a schivarne 3 mentre il quarto esplose sul fianco del Malachite che iniziò ad affondare di poppa. Dei 48 marinai dell’equipaggio, 13 si salvarono tra cui il Comandante e furono recuperati da imbarcazioni che giunsero subito sul luogo.
lo e Pappalardo, con ansia, li aspettammo e quando giunsero li abbracciai tutti. lo cercavo il mio amico fraterno S.C, Mario Loi, ma lui non era tra loro. A me motorista sarebbe accaduta la sua stessa fine.
Abbracciai il mio Comandante e quella era la prima volta! Era un ufficiale severo e molto serio, infatti quando quasi tutti soffrivamo il maledetto mal di mare lui rimaneva impassibile, solo al mio abbraccio colsi nel suo sguardo quello che nascondeva nell’animo.
Pasquale Pelillo
TESTIMONIANZE
SMG MALACHITE: “GLI ULTIMI ISTANTI”. TRATTO DAL RESOCONTO DEL COMANDANTE DEL “SMG DOLFIN” DI NAZIONALITÀ OLANDESE.
Eravamo in agguato presso la costa Sarda e più precisamente nei pressi del capo Spartivento, ci trovavamo in immersione perché vi erano alcuni motopescherecci intenti alla pesca, quando dagli idrofoni sentimmo il suono di tre eliche, ma poiché erano visibili dal periscopio solo due imbarcazioni, deducemmo che la terza doveva trattarsi di un sommergibile in immersione ed aspettammo. Alle ore 10,48 il sommergibile Italiano emerse a sole due miglia dalla nostra posizione ma era ancora troppo distante e inoltre manteneva una rotta non ottimale per il lancio, quando alle 10,57 cambiò direzione e puntò ignaro del suo destino verso di noi. Dopo solo due minuti e precisamente alle 10,59 diedi ordine di lanciare tutti e quattro i siluri di prua alla distanza di circa 5 /8 secondi uno dall’altro a ventaglio, per avere più possibilità di successo. Dei quattro siluri probabilmente il terzo dopo due minuti di corsa colpì il nemico a poppavia della torretta; a nulla valsero le manovre del sommergibile avversario per evitare i nostri siluri. Dal periscopio vidi tutta la scena, il sommergibile Italiano iniziò ad affondare di poppa e quando questa fu quasi tutta sommersa si impennò con la prua e la torretta tutta fuori dall’acqua ed un istante dopo scomparve portando con se quasi tutto l’equipaggio. A questo punto diedi ordine di allontanarci dalla zona in quanto vidi delle imbarcazioni avvicinarsi per dare soccorso ai superstiti, nessuno si accorse della nostra presenza.
(Lt. Cdr H.M.L.F.E. Van Oostrom Soede)
Video Explorer Team
Link sito spedizione
I marinai di Castellabate: Il Sommergibile Malachite Carmine Passaro Sommergibile Malachite classe 600 - serie PERLA Impostato il 31 agosto 1935 nei Cantieri del Muggiano di La Spezia varato il 15 luglio 1936 consegnato il 6 novembre 1936 Il 10 giugno 940 e' dislocato a Taranto (47° sq.IV gruppo)
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