#''ma che è 'a parabola mia?''
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IL RACCONTO DELL'IMMAGINE - di Gianpiero Menniti
SETTE ANNI
Ero un adolescente alla metà degli '80, quando il "secolo breve" prese la via del suo ripido declino.
I muri, patologia del confine, cominciarono lentamente a sgretolarsi come gesso sotto una minuta pioggia.
I "due blocchi", inatteso ma inevitabile residuo delle guerre suicide d'Europa della prima metà del '900, si affacciarono da un'unica soglia rimasta per un quarantennio nascosta.
L'aria aveva l'odore di una primavera di speranza e Sting cantava "Russians":
«[...] Condividiamo la stessa biologia, indipendentemente dall'ideologia. Ma ciò che potrebbe salvarci, me e te, è se anche i russi amassero i loro figli. »
Era il 1985, il mese di Marzo.
Michail Sergeevič Gorbačëv divenne Segretario Generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica.
La sua parabola durò fino all'estate del 1991.
L'anno prima era stato insignito del Premio Nobel per la Pace.
Mentre in Sudafrica Nelson Mandela riacquistava la libertà.
E nel 1989 la "cortina di ferro" di churchilliana memoria veniva abbattuta tra lo stupore e l'entusiasmo generale.
In quei sette anni di formidabile accelerazione degli eventi non finiva la storia, come qualcuno improvvidamente profetizzò: la storia riapriva i suoi volumi impolverati.
Nulla, poi, andò come previsto.
Il fragore sordo e potente del "Muro di Berlino" fece sentire i suoi effetti sismici in un mondo da tempo ridotto alla sua globalità.
E la mia generazione, senza più la macchina da scrivere ma catturata dagli schermi dei primi pc, orfana di un modello politico e incerta del futuro, visse l'ultimo decennio in corsa verso il XXI secolo osservando il paesaggio come su un treno che lascia appena l'istante di un'immagine sfocata.
Eppure, in quei sette anni, l'illusione della luce fu più ardente della sua stessa ombra.
- Michail Gorbačëv (1931 - 2022) fotografato da Francis Giacobetti (classe 1939)
#thegianpieromennitipolis#racconti brevi#fotografia#francis giacobetti#Michail Gorbacev#gianpieromenniticopywriter
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L'avidità è giusta (?)
Oggi ho assunto una nuova dipendente. Solo pochi mesi fa pensavo che dopo Stella, la mia fidata collaboratrice e prima dipendente, non avrei assunto più nessuno, troppe rotture e sbattimenti a fronte d’un esiguo guadagno. E invece, dopo ruminanti notti insonni passate a studiare come trattenermi da vivere, sono impazzito e ho deciso di darmi a un altro investimento, che tanto lo stato è già lì che m’adunghia al varco e quindi fallito per fallito, almeno ci proviamo. Stamattina il consulente del lavoro, ben più scaltro e navigato di me, m'ha tentato con un’ampia serie di contrattini indegni, ma essere stato dall’altra parte, ora che sono io il megadirettore galattico, mi ricorda sempre di non fare troppo la merda e continuare a lottare per i diritti dei lavoratori, ché nel mio mondo nessuno merita di viver su di sé l’umiliazione d’un contratto a chiamata o cococo. Un comunista al potere. In un certo senso, essere stato dall’altra parte mi ricorda ciò che non voglio essere e mi stimola a plasmare una versione migliore dei miei ex capi, creare un’atmosfera vivibile e serena, gratificare il lavoro altrui, essere gentile, saper chiedere scusa e rispondere a quel cazzo di telefono se consultati. Mi torna in mente la parabola di Buddy Fox in Wall Street 1 e 2, magari adesso scrivo così perché ancora inviolato dalle auree lusinghe del potere, ma chissà, fra cinque anni potrei diventare lercio come loro, avido, stronzo e cattivo, a litigare ogni giorno per le ferie. Stamattina fra le altre cose ho discusso con una mamma, perché da quest’anno, per disperazione, ho aumentato le tariffe da miserrime a misere e mi sono chiesto chi mai avrebbe avuto il coraggio di parlare. Chiaramente nessuno ha osato proferir parola, perché è gente che a quanto pare sa star al mondo, a parte la furbetta che subito ha cercato il grande sconto. Forse un po’ di tempo fa, avrei ceduto alle tristi lagne e ai perfavore, ma gli affari sono affari, quindi ho tenuto fermo il punto e alla fine, incredibile, ha accettato. Sono fiero di me, tanto, ma non posso far a meno di chiedermi se in qualche modo non mi stia già trasformando in Gordon Gekko.
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Io da ieri continuo a pensare a quei disgraziati del team marketing Balocco. Quelli che in una riunione di brainstorming, svariati mesi prima del Natale, hanno avuto la brillante idea di fare questa operazione commerciale in collaborazione col top di gamma delle influencer, il non plus ultra, massì, puntiamo in alto, successo assicurato! E così hanno pagato un cachet esorbitante, si sono ritrovati con il 20% di prodotto invenduto (costi per realizzarlo, costi per distribuirlo, costi per smaltirlo), e alla fine si sono pure beccati circa mezzo milione di multa per pubblicità ingannevole. E sì che se ne erano anche preoccupati: non volevano esplicitare una relazione diretta tra vendite e donazione, perché non sussisteva. E perché va bene che la charity rende tutto più notiziabile (viceversa chi se lo caga un pandoro industriale che costa 10 euro), ma non si può proprio dichiarare il falso, speculare sull’equivoco, strumentalizzare la beneficienza e intestarsi meriti e donazioni che non ci sono, no? E invece sì. La comunicazione che ne è derivata (comunicazione che, per chi non lo sapesse, parte sempre da un comunicato stampa congiuntamente redatto e approvato dalle parti), era ingannevole per i consumatori. Tutto in buona fede, s’intende. Mi chiedo se quei disgraziati abbiano ancora un impiego o se, come succede nel mondo dei comuni mortali plebei alle dipendenze di qualcuno, non sia saltata qualche testa. Mi chiedo se quelle teste sappiano ancora come pagare le rate del mutuo a tasso variabile oppure no. Mi chiedo soprattutto se questa vicenda possa diventare una bella case history di insuccesso, di quelle raccontate ai corsi di alta formazione, di lauree in digital-cose, insomma una parabola che serva a formare i futuri manager e a ricordare alle aziende che i soldi possono essere investiti diversamente: in beneficenza a chi ne ha bisogno, certo, ma pure distribuendo premi di produzione ai dipendenti, offrendo benefit aziendali ai lavoratori, retribuendo gli straordinari (ove non retribuiti); assumendo le persone invece di fare tagli sistemici all’organico da anni; investendo sulla formazione del personale; aumentando gli stipendi che sono fermi da decenni e sono tra i più bassi in Europa mentre il costo della vita è alle stelle. Avete letto che per circa la metà dei 40enni che percepiscono la tredicesima, essa va destinata in toto al pagamento delle spese arretrate? No, per dire, cosa accade in questa privilegiata fetta del mondo occidentale. Qualche volta, in qualche corso, qualcuno disse: non esiste pubblicità migliore per un’azienda di quella che fanno i dipendenti soddisfatti. In quel caso, non vi arrivano nemmeno le multe dell’Antitrust, pensate un po’. Con cordialità, dalla mia anima ingenua, populista e sindacalista. Memorie Di Una Vagina, Facebook
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"Dottore, le posso portare il cane per fare quella siringa, quella per addormentarsi?"
"Ma cos'ha il cane?"
"È vecchio!"
"Ma che cure sta facendo?"
"Un anno fa ha preso del cortisone, ma adesso si muove a stento."
"E in un anno nessuna visita e nessuna cura?"
"Dottore, ha 15 anni!!!"
Quando si adotta un cane si dovrebbe fare un giuramento come nei matrimoni: "Lo adotti nella buona e nella cattiva sorte? In salute e in malattia? […]", e invece al primo problema tutti a cercare di disfarsene. Beh, con me cascano male, sono un medico, non un killer. Con questo non voglio dire che sono contrario all’eutanasia. Spesso sono costretto a praticarla, ma solo per rimuovere inutili sofferenze laddove non esistano ragionevoli speranze di cura.
Ricordiamo brevemente due casi in cui la legge consente l’eutanasia:
1) grave stato di sofferenza;
2) impossibilità di guarigione in malattia che provochi sofferenza
È evidente che la vecchiaia NON È una malattia e la 'non voglia' di spendere soldi nelle cure non è una giusta causa!
Ma poi che insegnamento date ai vostri figli? Che l’anziano, al primo problema, si getta in un ospizio? Che la misericordia è una perdita di tempo? Che i nonni prima muoiono e meglio è?
Qualche tempo fa mi telefonò un tizio dicendo: "Dottore, ho un cane con un tumore alla mammella, vorrei sapere quanto costa operarlo e quanto costa l’eutanasia, così scelgo”. Per decenza non vi scrivo cosa risposi.
Un'altra volta venne un tizio in ambulatorio il 31 luglio (data molto sospetta) dicendo: "Dottore, dovrei abbattere questo cane perché beve ed urina in continuazione, e mia moglie sta sempre ad asciugare e non ce la fa più", e io: "Guardi che potrebbe essere semplicemente un diabete, in 5 minuti potrei trovare una terapia per riportarlo alla normalità!". Lui: "Lo abbatte lei o devo portarlo da qualcun altro?"
Ecco il problema: c’è sempre qualcun altro che si mette qualche bel biglietto da 100 euro in tasca e lava la coscienza del cliente... 'Ma fa bene... Ma era vecchio... Tanto sarebbe morto lo stesso...'
La vita va rispettata, non si può essere così privi di etica. È proprio da noi veterinari che devono partire quegli input che aiutano le persone a rispettare gli animali; il rispetto della vita aiuta anche ad avere migliori rapporti fra noi umani. La velocità della parabola della vita dei nostri amici a quattro zampe è una meravigliosa metafora che ci aiuta a fare i conti anche col nostro fine vita; la vecchiaia e la sua accettazione è una stupenda palestra in cui si fortifica il rispetto.
La vita merita rispetto e il rispetto è l’ultima arma che c’è rimasta contro il cinismo.
Voglio guadagnare di meno ma continuare a parlare col piccolo idealista che è ancora dentro di me.
Dottor Vincenzo Minuto
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Articolo del teologo Vito Mancuso pubblicato oggi su La Stampa e dedicato alla memoria di Berlusconi nel giorno dei suoi funerali privati e di Stato.
"La parabola dell'ateo devoto che credeva solo nel suo Io"
Insegna l'antico proverbio: "De mortuis nihil nisi bonum", vale a dire: "Di chi è appena morto, o si tace o si parla bene". Di Silvio Berlusconi io non avrei scritto nulla, non avendo per parte mia molto di buono da riconoscergli, laddove "buono" lo intendo nel senso radicale del termine che rimanda al Bene in quanto sommo valore che coincide con la Giustizia e la Verità (concetti che scrivo al maiuscolo per indicare la loro superiorità rispetto al mero interesse privato). Se però, ciononostante, ne scrivo, è per cercare di mettere a fuoco la frase del cantautore Gian Piero Alloisio, talora attribuita a Giorgio Gaber (cito a memoria): «Non temo Berlusconi in sé, ma il Berlusconi che è in me». Non parlerò quindi di Berlusconi in sé, bensì del Berlusconi in noi, convinto come sono che quanto dichiarato da Benigni valga per milioni di italiani, forse per tutti noi, che portiamo al nostro interno, qualcuno con gioia, qualcun altro con fastidio o addirittura con vergogna, quella infezione che è, a mio avviso, il "berlusconismo".
Cosa infetta precisamente il berlusconismo? Risponderò presto, prima però voglio ricordare questa frase di Hegel: «La filosofia è il proprio tempo colto nei pensieri». Io penso che quello che vale per la filosofia, valga, a maggior ragione, per l'economia e la politica: il loro successo dipende strettamente dalla capacità di saper cogliere e soddisfare il desiderio del proprio tempo. Berlusconi è stato molto abile in questo. Con le sue antenne personali (al lavoro ben prima che installasse a Cologno Monzese le antenne delle sue tv) egli seppe cogliere il desiderio profondo del nostro tempo, ne riconobbe l'anima leggera e se ne mise alla caccia esercitando tutte le arti della sua sorridente e persistente seduzione. Si trasformò in questo modo in una specie di sommo sacerdote della nuova religione che ormai da tempo aveva preso il posto dell'antica, essendo la religione del nostro tempo non più liturgia di Dio ma culto ossessivo e ossessionante dell'Io. Il berlusconismo rappresenta nel modo più splendido e seducente lo spodestamento dell'antica religione di Dio e la sua sostituzione con la religione dell'Io. E il nostro tempo se ne sentì interpretato in sommo grado, assegnando al fondatore i più grandi onori e costituendolo tra gli uomini più ricchi e più potenti non solo d'Italia.
Ho parlato del berlusconismo come di un'infezione, ma cosa infetta precisamente? Non è difficile rispondere: la coscienza morale. Il berlusconismo rappresenta la fine plateale del primato dell'etica e il trionfo del primato del successo. Successo attestato mediante la certificazione dell'applauso e del conseguente inarrestabile guadagno.
Vedete, Dio, prima, lo si poteva intendere in vari modi: nel senso classico del cattolicesimo e delle altre religioni, nel senso socialista e comunista della società futura senza classi e finalmente giusta, nel senso liberale e repubblicano di uno stato etico quale per esempio lo stato prussiano celebrato da Hegel, nel senso della retta e incorruttibile coscienza individuale della filosofia morale di Kant, e in altri modi ancora, tutti comunque accomunati dalla convinzione che esistesse qualcosa di più importante dell'Io, di fronte a cui l'Io si dovesse fermare e mettere al servizio. Fin dai primordi dell'umanità il concetto di Dio rappresentò esattamente l'emozione vitale secondo cui esiste qualcosa di più importante del mio Io, del mio potere, del mio piacere (a prescindere se questo "qualcosa" sia il Dio unico, o gli Dei, o l'Urbe, la Polis, lo Stato, la Scienza, l'Arte o altro ancora).
Ecco, il trionfo del berlusconismo rappresenta la sconfitta di questa tensione spirituale e morale. In quanto religione dell'Io, esso proclama esattamente il contrario: non c'è nulla di più importante di Me. Non è certo un caso che il partito-azienda del berlusconismo non ha mai avuto un successore, e ora, morto il fondatore, è probabile che non faccia una bella fine.
Naturalmente questa religione dell'Io suppone quale condizione imprescindibile ciò che consente all'Io di affermare il suo primato di fronte al mondo, vale a dire il denaro. Il denaro era per il berlusconismo ciò che la Bibbia è per il cristianesimo, il Corano per l'islam, la Torah per l'ebraismo: il vero e proprio libro sacro, l'unico Verbo su cui giurare e in cui credere. Il berlusconismo è stato una religione neopagana secondo cui tutto si compra, perché tutto è in vendita: aziende, ville, politici, magistrati, uomini, donne, calciatori, cardinali, corpi, parole, anime.
Tutti hanno un prezzo, e bastano fiuto e denaro per pagare e ottenere i migliori per sé. Chi (secondo la dottrina del berlusconismo) non desidera essere comprato?
Il berlusconismo ha rappresentato un tale abbassamento del livello di indignazione etica della nostra nazione da coincidere con la morte stessa dell'etica nelle coscienze degli italiani. La quale infatti ai nostri giorni è in coma, soprattutto nei palazzi del potere politico. Ma cosa significa la morte dell'etica? Significa lo spadroneggiare della volgarità, termine da intendersi non tanto come uso di linguaggio sconveniente, quanto nel senso etimologico che rimanda a volgo, plebe, plebaglia, ovvero al populismo in quanto procedimento che misura tutto in base agli applausi, in quanto applausometro permanente che trasforma i cittadini da esseri pensanti in spettatori che battono le mani. Ovvero: non è giusto ciò che è giusto, ma quanto riceve più applausi. Ecco la morte dell'etica, ecco il trionfo di ciò che politicamente si chiama populismo e che rappresenta la degenerazione della democrazia in oclocrazia (in greco antico "demos" significa popolo, "oclos" significa plebaglia).
Tutto questo ha avuto e continuerà ad avere delle conseguenze devastanti. In primo luogo penso all'immagine dell'Italia all'estero, che neppure dieci Mario Draghi avrebbero potuto ripulire dal fango e dalla sporcizia del cosiddetto Bunga-Bunga. Ma ancora più grave è lo stato della coscienza morale dei nostri concittadini: eravamo già un paese corrotto e di evasori, ora siamo ai vertici europei; eravamo già tra gli ultimi come indice di lettura, ora siamo in fondo alla classifica.
Ricordo che una volta mi trovavo con un imprenditore all'autodromo di Monza per una convention aziendale e, forse per la vicinanza di Arcore, forse chissà per quale altro motivo, egli prese a parlarmi di Berlusconi. Mi disse che molti anni prima gli aveva indicato una massa di gente lì accanto e poi gli si era rivolto così: «Secondo lei, quanti sono gli intelligenti là dentro? Il 10 percento? Ecco, io mi occupo del restante 90 percento». Questa è stata la politica editoriale delle sue tv che hanno portato alla ribalta personaggi fatui ed equivoci e hanno fatto strazio della vera cultura.
Il berlusconismo ha di fatto affossato nella mente della gran parte degli italiani il valore della cultura, riducendo tutto a spettacolo, a divertimento, a simpatia falsa e spudoratamente superficiale, a seduzione. Seduzione da intendere nel senso etimologico di sé-duzione, cioè riconduzione a sé di ogni cosa, secondo quella religione dell'Io che è stato il vero credo di Silvio Berlusconi e da cui non sarà facile liberare e purificare la nostra "povera patria" (come la designava, proprio pensando al berlusconismo, Franco Battiato).
#vito mancuso#berlusconi#seduzione#religione del sé#denaro#berlusconismo#funerali#coccodrillo#santificazione#alloisio
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"Una barca, quando è continuamente ormeggiata in porto, non rischia certo di affondare. Però si perde i bei viaggi. Le acque cristalline. I giochi dei delfini. Se anche dovesse arrivare una tempesta ad affondarla, pensaci, Arghirenia: quanta grandezza, quanto mistero ci sono in una barca affondata? E invece che schifo, che tristezza una barca ormeggiata, che marcisce lentamente e si disfa al sicuro nel porto! Io se non avessi conosciuto Stéphane mi sarei persa il viaggio più bello della mia vita. Forse abbiamo fatto naufragio. Ma abbiamo conservato dentro di noi tutta la magia del viaggio. Perché l'amore, il grande amore voglio dire, non completa sempre il suo ciclo. Non è un virus dell'influenza. Traccia una parabola. Un arcobaleno".
- Il viaggio che sognavamo" - Alkioni Papadaki scelto in tumblr da https://www.tumblr.com/viperaromantica
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Emilia-Romagna, "Come una specie di vertigine Il Nano, Calvino, la libertà" scritto, diretto e interpretato da Mario Perrotta
Emilia-Romagna, "Come una specie di vertigine Il Nano, Calvino, la libertà" scritto, diretto e interpretato da Mario Perrotta La lunga tournée di Come una specie di vertigine. Il Nano, Calvino, la libertà dell’autore e regista Mario Perrotta fa tappa al Teatro Ermanno Fabbri di Vignola mercoledì 31 gennaio alle ore 20.30. Lo spettacolo nasce in occasione del centenario della nascita di Italo Calvino (1923-1985) ed è una coproduzione di Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale con Permàr - Compagnia Mario Perrotta. Perrotta sceglie di interpretare il Nano, un personaggio minore a cui è dedicata una sola pagina memorabile del più autobiografico fra i libri di Calvino, La giornata d’uno scrutatore. Ambientato durante le elezioni del 1953, il protagonista del romanzo breve è Amerigo Ormea, intellettuale comunista alter ego dello scrittore, che lavora in un seggio nella Piccola Casa della Divina Provvidenza "Cottolengo" di Torino, istituto religioso dove erano ricoverate migliaia di persone con problemi fisici e mentali, e rimane profondamente scosso dall’incontro con il mondo di coloro che sono lì rinchiusi. «Ho scelto il Nano – scrive Perrotta – e ne ho immaginato tutta l’esistenza, che Calvino non ci racconta, proprio perché il mio intento era ragionare intorno al concetto di libertà e lui ne è totalmente privo». Come una specie di vertigine, infatti, non è solo un omaggio a Calvino, ma soprattutto un lavoro che, attraversando molte delle opere dell’autore, si interroga sul senso profondo dell’autodeterminazione. È un tema che occupa da molto tempo la ricerca artistica di Perrotta e la sua riflessione sull’uomo “animale sociale”, immerso nelle storture del nostro convivere quotidiano. «Per mia fortuna – continua l’artista – lo stesso tema ha assediato i pensieri di Italo Calvino lungo tutta la sua parabola letteraria, attraversando ugualmente i romanzi realistici, così come quelli fantastici e l’epoca combinatoria. Questo mi ha consentito di coniugare il mio “ragionare di libertà” con la possibilità di affrontare un autore che ho molto amato ma che mai avevo osato accostare al mio teatro. Ho sempre pensato, infatti, che Calvino fosse impossibile da rappresentare, almeno così com’è. È stato questo confluire delle mie riflessioni e di quelle di Calvino intorno a quella parola fragile che è “libertà” che mi hanno convinto a provarci». Quello di Mario Perrotta non è un tributo di circostanza alla figura dello scrittore, ma il frutto di un’affinità elettiva con il suo straordinario percorso artistico e intellettuale. In scena, un uomo privato della libertà, o meglio, la sua voce interiore: l’attore Perrotta diventa il Nano in un monologo in cui confluiscono episodi tratti anche da Palomar, Le Cosmicomiche, Le città invisibili, cuciti insieme per un personaggio che, partendo da un corpo, una lingua e una mente che non rispondono alla sua urgenza di dire, cerca la libertà tra queste pagine. Mescola versi, parabole, sarcastiche canzoni-teatro e improvvisi minuetti intimi, con collegamenti iperbolici tra un romanzo e l’altro. «Parto dalla sua condizione antitetica di disabile totale – racconta Perrotta – per parlare della condizione di noi “abili” che la libertà la sprechiamo ogni giorno. E affondo le mani liberamente negli altri scritti di Calvino “scalvinandoli”, scompigliandogli e ricomponendoli, così come serve al Nano per procedere nella sua serata di spettacolo. Ne è venuto fuori uno spettacolo profondamente mio che, al contempo, mi sembra rispettare nella sua sostanza profonda la lezione calviniana sulla libertà. Un omaggio personalissimo a un autore che ha saputo modellare la mia visione delle cose del mondo». Mario Perrotta è autore, attore e regista teatrale. Le sue drammaturgie, da lui dirette e interpretate in Italia, sono tradotte e messe in scena anche all'estero in diverse lingue e in vari contesti, tra gli altri il Festival d’Avignone e il New York Solo Festival, dove riceve il Premio come Migliore drammaturgia straniera nel 2018. Vince più volte il Premio Ubu, nel 2011, 2013, 2015 e nel 2022 come Migliore nuovo testo o scrittura drammaturgica per Dei figli. Premio Hystrio nel 2008 e nel 2014 per il Migliore spettacolo dell’anno, nel 2015 ottiene il Premio Nazionale della Critica per il Progetto Ligabue. Fra i riconoscimenti istituzionali, quelli della Presidenza del Consiglio e della Camera dei Deputati per “l’alto valore civile del testo e per la straordinaria interpretazione” con il progetto Cìncali, dedicato all’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra. Come una specie di vertigine - Il Nano, Calvino, la libertà - scritto, diretto e interpretato da Mario Perrotta - collaborazione alla regia Paola Roscioli - mashup e musiche originali Marco Mantovani / Mario Perrotta - produzione Permàr - Compagnia Mario Perrotta, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale - con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Comune di Medicina - in collaborazione con Teatro Asioli di Correggio, Duel Prossime date - 1-2 febbraio 2024 – Teatro degli Atti, Rimini - 3 febbraio 2024 – Teatro di Ragazzola, Ragazzola - 7 febbraio 2024 – Cinema Teatro Giardino, San Giorgio delle Pertiche - 8 febbraio 2024 – Teatro Ruggeri, Guastalla - 2 marzo 2024 – Teatro Sociale, Pinerolo - 3 marzo 2024 – Teatro Alfieri, Asti Informazioni - Teatro Ermanno Fabbri - Via Pietro Minghelli 11 – Vignola - tel. 059 9120911 | link - Orari biglietteria martedì, giovedì e sabato ore 10.30-14 - [email protected] | link biglietti... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Ero nell'ombra e nell'ombra ho parlato col vento. Oreste, il gatto della psicologa, mi dice che il mondo delle ombre è più asettico di quello che sta alla luce del sole. Immersa in una commovente onestà, la mia onestà stessa mi punisce. È repellente dirsi campioni di qualcosa. Arrivai terza alla gara di nuoto. Mi piace essere un ruolo secondario. La parabola del protagonismo non mi appartiene, perché io sono ombra che mangia le membra della terra, e dal basso ogni tanto scruto qualche tomba che appare tra i fili d'erba: vermi che pranzano con persone, io che sarò così o io che brucerò. Parlavamo spesso di chi sarebbe morto prima tra noi due. Dicevi che ti avrei seppellito io. Spargo già le tue ceneri dalla mia finestra. Ogni istante, l'acqua del Busento si rinnova. Un origami si arrotola nelle cartacce dei maghi del Rendano. Battito, ultimo battito. Cuore, cuore implorato. Mai nato il sospetto di essere stato per sbaglio attaccato nello sterno, come diadema, tipo stemma, cartellino da citofono. Indica "questo è ancora vivo", ma la vita è finita quando sono nata.
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO PRIMO - di Gianpiero Menniti
L'UOMO GRECO E L'UOMO CRISTIANO
La tragedia di Sofocle narra del figlio che in apparenza infrange due tabù: uccide il padre e giace con la madre. Ma Edipo non è colpevole: l'origine della vicenda è nel misfatto di Laio, il re che teme il pronunciamento dell'oracolo e decide di assassinare il figlio. Il padre è l'assassino. Edipo è la vittima. Laio è dunque colui che non accetta la metafora della morte come passaggio del testimone al figlio. Non accetta la decadenza del corpo. Non accetta di trasmettere la sua eredità, l'Io che si scioglie nella figura del figlio. Non accetta la condizione che la natura impone per se stessa, per le sue finalità di vita senza scopo. La vita che necessariamente è morte. Così, Laio si ribella, infrange l'ordine e apre le porte al caos. Edipo è la vittima. Inconsapevole, rifiuta il nuovo ordine imposto dagli eventi, non segue la regola dell'equilibrio, nella scia dell'ignota ma presente e angosciosa eredità paterna. Nella sua sfrontata ricerca di verità si condensa la tragedia indicibile, struggente, insanabile. Egli è il figlio che si affaccia al mondo attratto dal suo disvelamento, dalla fiducia nella conoscenza. Anche lui senza misura. Anche lui epigono del caos. La tradizione cristiana ripensa il ruolo del padre, ma non entro "l'aretè", necessità di natura e accoglimento del destino di mortale. L'uomo cristiano coltiva la speranza della salvezza dalla morte e sposta l'asse della verità dall'ordine di natura all'ordine divino. Il Dio non è caos ma è padre. Il Dio non è solo onnipotenza ma è divenuto amore. E Amore vince sulla Natura fino a sovvertirne il corso, fino a superarne la muta indifferenza attraverso il Verbo che è coscienza e ricerca. Ecco che il padre accetta la sentenza di morte del figlio:
«Il più giovane disse al padre: "Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta."» (Luca, 15,12).
Nel mondo ebraico l'eredità chiesta prima della scomparsa del genitore equivaleva ad un delitto, rappresentava il desiderio di sopprimere il padre stesso. Ed era punibile con la sentenza capitale. Ma il padre divide l'eredità e lascia andare il figlio: riconosce che il desiderio della sua morte è nel figlio anelito di libertà, estrema pulsione di conoscenza, inclinazione naturale alla vita che divora la vita. Non si vendica, non si lascia cadere nell'impulso contrastante e sceglie la speranza, confida nella salvezza. E nel ritorno. Quando la speranza si avvera e l'ordine naturale dei sentimenti ancestrali è sovvertito, vinto, sconfitto, il padre cancella il passato (il passato è peccato, il presente è redenzione, il futuro è salvezza) e riabbraccia il figlio ritrovato. La Natura rimane in agguato: l'altro figlio osserva e recrimina e rimprovera:
«Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare. Ma egli rispose al padre: "Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici; ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato" » (Luca, 15, 28, 29, 30).
Ma è qui che la parabola evangelica tocca il suo culmine, spesso misconosciuto:
«Il padre gli disse: "Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato."» (Luca, 15, 31, 32).
Il padre, sublimazione dell'Amore, salva anche lui, anche l'altro figlio incapace fino a quel momento di comprendere l'ordine di Dio, il figlio rimasto entro l'ordine di Natura che reclama la vendetta. Ma lo salva davvero? Rembrandt lo pone nella scena, a destra, solenne e torvo di rancore. In severo contrasto con l'espressione di disperata compassione che sorge nell'abbraccio tra il padre e il figlio ritrovato. Chagall lo esclude, ponendolo di spalle e accostandogli una figura ferina di risentimento, in basso a destra. Mentre lascia al centro del mondo che accorre l'atto d'amore del padre, approdo finale ed ascesa nel superamento dell'impeto.
- Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606 - 1669): "Ritorno del figliol prodigo", 1661/1669, Ermitage, San Pietroburgo
- Marc Chagall (1887 - 1985): "Il ritorno del figliol prodigo", 1975, Museo nazionale messaggio biblico Marc Chagall, Nizza
- In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
#thegianpieromennitipolis#arte#arte moderna#arte contemporanea#rembrandt#marc chagall#maria casalanguida
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➡️🌺🙏Domenica 12 Novembre 2023
👉🌺❤️🌼S. Giosafat (m); S. Macario; S. Diego
32.a del Tempo Ordinario (anno A)
Sap 6,12-16; Sal 62; 1Ts 4,13-18; Mt 25,1-13
Ha sete di te, Signore, l’anima mia
👉🕍📖❤️VANGELO
Ecco lo sposo, andategli incontro!
Dal Vangelo secondo Matteo 25, 1-13
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”.
Parola del Signore.❤️🙏
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Fotografare il momento
2 Novembre 2023
Ho sentito una live di Rick DuFer qualche anno fa. Non la ricordo tutta, però parlava di come rimurginiamo nei momenti bui, e ci lasciamo andare nei momenti felici. Della necessità di fissare, ragionare e essere presenti anche nei momenti di gioia e soddisfazione, che ne avremo un beneficio in termini di consapevolezza, una volta che la parabola tornerà a scendere. Ebbene, questo post ha questo scopo, intendo fare una fotografia di questo scenario.
E' infatti la prima volta dalla fine dell'Erasmus, da Febbraio 2020 quindi, che mi sento sereno, spensierato. Almeno in alcuni momenti. Credo sia dovuto in buona parte almeno a V., a quanto mi piaccia e a come mi accetti per quello che sono. Certo, non sa ancora di tristezza, di rabbia e depressione. Però sa che faccio terapia, e mi accetta così. Questo è già una cosa ottima. Ovviamente non tutto è rosa e fiori: mi hanno rifiutato il paper, sono parzialmente insoddisfatto del mio lavoro (solo parzialmente però) e il rapporto coi miei genitori va molto, molto male.
Certo, perché non c'è mai stato penso un momento così basso. Mi verrebbero i crampi a scrivere il perché in maniera esaustiva. Con mio padre, non solo non riesco più a parlare, ma faccio addirittura fatica a stare nella stessa stanza. Mi dà fastidio tutto di lui, dai piagnistei, alle prepotenze, alle cazzate sparate senza minimamente accendere il cervello. Questo perché mi ricordo di 27 anni di bullismo perpetrato verso di me, mia sorella, mia mamma, etc. Altro che attitudine al comando, infatti ora che non è più il più grosso nella stanza, non solo non fa più paura a nessuno, ma fa venire anche rabbia. Mia madre invece ha sempre avuto la grande capacità di infilare la testa sotto la sabbia, non affrontare i problemi e, di recente, circoscrivere la causa dei problemi che abbiamo a me. Come se fossero ancora le stesse discussioni di quando eravamo piccolini. L'altro giorno, all'apice dell'ennesima litigata, è stata solo capace di dire "sei maleducato, stai esagerando". Io mi imbestialisco, perché non capire le cose nemmeno quando arrivano in fronte è solo da idioti. Che pena che mi fa.
Quindi, direi che in questo momento c'è questa dicotomia, questo dualismo, questa bicromia. Sto cercando di affrontare il discorso con la psicologa, per cercare di risolvere questo problema almeno con me stesso, perché sono conscio che con loro non c'è speranza. Sono vecchi e stupidi, e moriranno tali. Al tempo stesso, sono contento di aver finalmente trovato qualcuno che mi apprezza, che mi cerca e che per la quale io sono speciale. Fino a pochi mesi fa era totalmente estranea l'idea che io potessi piacere a qualcuno. E V. addirittura piaccio fisicamente.
Ma questa è una delle grandi paure: ho continuamente paura di perderla, che mi lasci, che desideri qualcun altro al mio posto esattamente come ha fatto con Alex. Di questo ho continuamente timore, pur rendendomi conto che è tutto nella mia testa. Perché si, le poche volte che sono da solo, senza lei, amici o colleghi, la tristezza mi riassale e mi sento perso, sperduto e abbandonato. Anche questa fragilità mi spaventa, ho timore di non riuscire a farcela. Devo lavorarci.
Però, almeno una volta da quasi quattro anni, finalmente sono più contento.
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29 ott 2023 16:22
LA PARABOLA DEGLI EX COMUNISTI: SEMPRE DALLA PARTE OPPOSTA DEL PROLETARIATO – PIETRO TIDEI, IL SINDACO HOT DI SANTA MARINELLA, FACEVA VIVERE LA FAMIGLIA DEL SUO FACTOTUM, BASHKIM KURTAJ, IN UNO SGABUZZINO DI TRENTA METRI QUADRATI SENZA FINESTRE, CON DUE MATERASSI BUTTATI A TERRA – “LA VERITÀ” PUBBLICA IL VIDEO DELL’ALLOGGIO DOVE ERANO COSTRETTI IN QUATTRO: “CHE COSA FARÀ ADESSO IL PARTITO DEMOCRATICO? ROMPERÀ FINALMENTE L’OSTINATO SILENZIO SULLE IMPRESE DI QUESTO SUO STORICO ESPONENTE O DOBBIAMO RITENERE CHE PER I SEDICENTI PROGRESSISTI SIA TUTTO A POSTO?”
Estratto dell’articolo di Giacomo Amadori per “La Verità”
Viene dal Partito comunista italiano, il partito dei lavoratori per antonomasia, ha cercato di assumere aumm aumm il nipote di un «compagno», ma in realtà sembra proprio che il sindaco hot di Santa Marinella, Pietro Tidei, proprietario di un grande patrimonio immobiliare, abbia più l’indole del latifondista in stile Via col vento che del paladino del proletariato.
Su Internet si trova ancora un filmato in cui una telecamera spazia sulla tenuta da decine di ettari del politico dem con in sottofondo la musichetta del telefilm anni ’80 Dallas. Lì per più di due lustri ha svolto la mansione di factotum part-time Bashkim Kurtaj, cinquantatreenne ex poliziotto albanese, il cui racconto assomiglia più al film 12 anno schiavo che a Berlinguer ti voglio bene.
Pure la moglie Mira sarebbe stata sfruttata e, a un certo punto, entrambi avevano fatto armi e bagagli e se ne erano andati, lasciandosi dietro più di incomprensioni. Forse anche per questo Tidei, ripreso a sua insaputa dalle telecamere della Procura di Civitavecchia, intenta a indagare su una presunta corruzione ai danni del primo cittadino, aveva dedicato alla coppia frasi razziste come queste: «Bashkim è stato un mascalzone. Più che lui è stata la moglie. Una mandria di mascalzoni. Se rigirava mi moje… poi mi moje ci piagneva… comunque vabbè, mo va via e pazienza […]. L’hanno cacciato pure dalla Polizia perché rubava. Quindi voglio di’ non è che era uno… poi capirai, in Albania rubano tutti».
A inizio ottobre Bashkim, ferito da queste parole, aveva deciso di replicare e ci aveva raccontato che Tidei aveva fatto vivere lui e la sua famiglia in una stamberga di «trenta metri quadrati, senza finestre o comfort». «I miei figli per quasi dieci anni hanno dormito nell’intercapedine della casa, quella costruita per isolare l’immobile dall’umidità» ci aveva detto. E aveva aggiunto: «Abbiamo fatto una vita da bestie. Era come essere in una cella».
[…] Il «compagno» Tidei […] aveva replicato da par suo: «Per facilitare il lavoro, abitando la mia famiglia in campagna abbiamo messo a disposizione della famiglia Kurtay un alloggio di cui disponevamo per consentire a questa famiglia di abitare sul posto». E aveva specificato: «La famiglia Kurtay non ha mai pagato affitto, bollette per le utenze, né altro ancora, perché la disponibilità dell'abitazione si intendeva compensata da piccoli lavoretti a casa Tidei».
Un cambio merce per i servigi prestati da Bashkim decisamente irricevibile anche perché il contratto della coniuge, anche lei, secondo i Kurtaj, sottopagata («il contratto era, inizialmente, per 25 ore settimanali, poi per 36, ma mia moglie ne lavorava 50-60» spiega Bashkim), prevedeva «un appartamento a uso abitativo con incluso il consumo delle utenze».
Adesso Kurtaj e signora sono assistiti dall’avvocato Giancarlo Tortorici che sta verificando tutte le eventuali mancanze dell’ex datore di lavoro della coppia. Ma prima che un giudice si esprima sulla questione noi possiamo mostrare in anteprima ai lettori in che tugurio dormissero i figli, un maschio e una femmina dei due lavoratori albanesi: uno sgabuzzino a forma di «L» con appoggiati per terra due materassini. Intorno gli oggetti che di solito si tengono in un ripostiglio.
Insomma, uno di quei disimpegni o cunicoli che solo nelle zone di guerra, nelle favelas o in certi centri profughi abbiamo visti adattati a stanze. «Nonostante io abbia tinteggiato di bianco quel piccolo spazio si notano ancora le macchie dell’umidità e la feritoia da cui entrava l’aria» sottolinea oggi Bashkim. Che descrive un ambiente insalubre che non può aver giovato alla crescita dei suoi ragazzi.
Le condizioni […] non sono giustificabili ed esigono una risposta prima di tutto politica: se quel bugigattolo è stato davvero la camera da letto di due bambini diventati lì dentro adolescenti, che cosa ha da dire il sindaco a propria discolpa? Un uomo, che si autodefinisce di sinistra, può far vivere degli esseri umani dentro a uno stambugio, magari solo perché sono stranieri? Che cosa farà adesso Tidei? Ci gratificherà con un altro dei suoi chilometrici post? Oppure chiederà scusa? E il Partito democratico? Romperà finalmente l’ostinato silenzio, immaginiamo imbarazzato, sulle imprese di questo suo storico esponente o dobbiamo ritenere che per i sedicenti progressisti sia tutto a posto?
Anche perché c’è pure un’altra questione che può essere utile rendere pubblica e che emerge dai racconti di Bashkim. «Un giorno Tidei mi chiese di acquistare una scheda telefonica a me intestata da consegnargli. Diceva che aveva perso la sua, anche se non mi era chiaro perché non potesse comprarsene una da solo. Quando gliela portai mi accorsi, però, che lui parlava normalmente al telefono e che su Whatsapp il profilo collegato al suo vecchio numero era attivo».
E allora? «Allora non ci badai, ma adesso, dopo che in questa storia di Santa Marinella ho sentito citare tante cose che non mi sono piaciute, nomi di famiglie di Ostia, ho deciso […] di approfondire questo episodio per capire che uso sia stato fatto di quella tessera, visto che non voglio avere brutte sorprese». […]
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CONFUSIONE E VERGOGNA _________ *Mio Dio, io sono confuso; e mi vergogno, mio Dio, di alzare a Te la mia faccia (Esdra 9:6)* ------- Sebbene fosse confuso e si vergognasse a motivo del peccato, Esdra cadde in ginocchio e stese le mani verso il Signore pregando. Dio non rifiuta di ascoltare la preghiera di chi è confuso e pieno di vergogna. Egli, come il padre della parabola raccontata da Gesù, è sempre pronto ad accogliere il figlio che si accosta a Lui pieno di vergogna e rammaricato per gli errori commessi. La preghiera di Esdra produsse uno straordinario risultato: "Mentre … pregava e faceva questa confessione piangendo e prostrato davanti alla casa di Dio, si radunò intorno a lui una grandissima folla di Israeliti, uomini, donne e bambini; e il popolo piangeva a dirotto" (Esdra 10:1). Ci fu un genuino ravvedimento: le infedeltà commesse vennero non soltanto confessate davanti a Dio, ma anche abbandonate. La confusione e la vergogna sparirono e poterono rialzare il capo! Se sei pieno di confusione e vergogna non perdere tempo: rivolgiti a Dio in preghiera, confessa i tuoi peccati, abbandonali con la forza del Signore ed Egli ti libererà da questa condizione.
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#DALVANGELODIOGGI🌱🌾
La spiegazione che Gesù dà della parabola del seminatore non ha bisogno di ulteriori commenti. Vorrei semplicemente fermarmi su alcune considerazioni che Gesù stesso fa per farci comprendere il significato di un’accoglienza che coincida con la possibilità di portare frutto: “tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada”. Che cosa significa comprendere? Significa capire che legame c’è tra la parola e la mia vita reale, quella che sto vivendo in questo momento. Finché non capiamo la parola di Dio legandola esistenzialmente alla nostra vita, possiamo anche capirla in astratto ma non ci aiuterà a portare frutto. In questo senso molti discorsi di alta teologia che facciamo anche tra di noi, possono lasciarci nella condizione di chi si vede rubare il seme dagli uccelli, vivendo però nell’illusione di averne capito la lezione. “Quello che è stato seminato nel terreno sassoso è l’uomo che ascolta la parola e subito l’accoglie con gioia, ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli ne resta scandalizzato”. Questo è il caso in cui non comprendiamo che si entra davvero nella realtà solo dopo aver attraversato la delusione della realtà. È come nell’amore: si può dire di amare solo quando si è attraversato l’innamoramento che finisce spesso con la delusione dell’ideale che ci eravamo costruiti nella nostra testa. Anche la fede ci delude, è solo dopo questa delusione che possiamo veramente credere. Ma molti smettono di credere proprio a causa della delusione. “Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l’inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto”. L’ultimo caso fallimentare di terreno che non porta frutto è quello in cui le preoccupazioni, ma soprattutto l’illusione del possesso hanno la meglio. Chi confida nel possesso (di cose o persone) alla fine rimane con un pugno di mosche. (Mt 13,18-23)
~D.L.M.E~
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Quesito Buongiorno Padre Angelo, in primis grazie per l’opera che svolgi (il tu lo uso perché siamo fratelli in Cristo) quotidianamente secondariamente ti voglio esporre una mia considerazione: L’Uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio e quindi in ogni uomo anche nel più “malvagio” vi è una parte buona e spesso quelli che noi riteniamo malvagi sono solo incompresi. Fatta questa considerazione io ogni giorno prego per tutte le anime che sono oltre che in Paradiso e in Purgatorio anche all’Inferno soprattutto chiedendo l’intercessione di Sant’Antonio da Padova, il Santo dei miracoli. Tu cosa ne pensi? Puoi gentilmente dirmi se vi sono e vi sono stati altri fratelli che hanno pregato per le anime dell’Inferno? Grazie per l’attenzione e buona giornata Sia lodato Gesù Cristo Andrea Risposta del sacerdote Caro Andrea, 1. non è molto che abbiamo sentito nel Vangelo domenicale la parabola del ricco che banchettava lautamente e del povero Lazzaro. Il primo è finito all’inferno. E vedendo Lazzaro accanto ad Abramo, chiese a quest'ultimo di mandare Lazzaro ad intingere la punta del dito nell'acqua per toccargli la lingua. Abramo gli rispose che non era possibile perché tra le due situazioni, paradiso e inferno, c'è un grande abisso. Il grande abisso sta a dire che la situazione dell'inferno, come del resto anche quella del paradiso, è irreversibile. 2. Se fosse utile pregare per coloro che sono all'inferno bisognerebbe concludere che la loro pena potrebbe diminuire fino ad azzerarne l’eternità. Ma questo non è possibile, perché fuori della vita presente non si può più meritare. E non si può meritare perché non c'è il tempo per meritare. Infatti sono fuori del tempo. Sono nell’eternità, che è un istante che non passa. 3. Scrive San Tommaso d'Aquino: “Fu un errore di Origene il pensare che dopo un certo tempo anche i demoni sarebbero stati liberati dalle pene per la misericordia di Dio. Ma questo errore fu riprovato dalla Chiesa per due motivi. Primo, perché contraddice apertamente le affermazioni della Scrittura, tra le quali questa dell'Apocalisse: "E il diavolo loro seduttore fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono già la bestia e i falsi profeti, e saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli" (Ap 20,10): espressione quest'ultima che nella Scrittura sta a indicare l'eternità. Secondo, perché se da una parte Origene esagerava la misericordia di Dio, dall'altra la restringeva. Infatti è identica la ragione per cui si ammette che gli angeli buoni permangano nell'eterna beatitudine, e che gli angeli cattivi siano puniti eternamente. Perciò, come ammetteva che i demoni e le anime dei dannati a un dato momento verranno liberati dalle pene, così ammetteva che gli angeli e le anime dei beati dovranno finalmente essere sottoposte alle miserie della vita presente” (Supplemento alla Somma teologica, 99,2). Perciò “come è da escludere che la vita dei giusti ad un certo punto debba finire, ugualmente va anche escluso che termini il supplizio dei reprobi” (Ib., 99, 3, sed contra). 4. Sull'inutilità della preghiera per i dannati ecco che cosa dice ancora San Tommaso: “Come spiegano Sant’Agostino e San Gregorio, i santi in questa vita pregano per i loro nemici, perché si convertano a Dio, mentre sono in grado di farlo. Se infatti noi sapessimo che essi sono tra i destinati alla [seconda] morte, la nostra preghiera per loro sarebbe come quella fatta per i demoni. E poiché, per coloro che sono morti senza la grazia, dopo la vita presente non c'è più tempo di convertirsi, non si fa per essi nessuna preghiera, né da parte della Chiesa militante, né da parte di quella trionfante. Adesso invece dobbiamo pregare per loro, secondo le parole dell'Apostolo, “affinché Dio conceda loro il pentimento, e si liberino dai lacci del diavolo” (Ib., 99, 3, ad 2). 5. Pertanto la preghiera fatta per i dannati è inutile. Neanche la preghiera di Sant’Antonio può ottenere
il ribaltamento di una sentenza eterna. Tuttavia non è stata inutile per te, perché ogni opera buona, soprattutto se è compiuta in grazia di Dio, è meritoria. Ti benedico, ti ricordo nella preghiera e ti auguro ogni bene. Padre Angelo
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