#è stata una sofferenza dirgli di no
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i-am-a-polpetta · 2 months ago
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oggi per la rubrica "la gente non sta bene" vi parlo di Alessandro, quel mio collega che quando ho iniziato a lavorare qui mi urlava in faccia e mi faceva sempre piangere, collega che ODIO PROFONDAMENTE che oggi mi scrive per chiedermi se prendiamo una moto insieme da mettere nel mio "garage in campagna"...........
no bro, cioè ma ieri ti sei fatto di acidi?
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vincentp17 · 1 year ago
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RELIGIONE BUDDISTA (parte I°)
Gautama Siddhartha ( Il Buddha)
Gautama Siddhartha, è un personaggio ipoteticamente esistito, dato che non ci sono prove materiali della sua esistenza, tra il VI° e il V° secolo avanti cristo. Il personaggio è un principe dei suoi tempi, che viveva in una reggia in cui non gli mancava praticamente nulla dalla vita, ogni bene materiale di cui necessità era a sua disposizione, bastava solo che lo chiedesse, ogni desiderio, capriccio che fosse non mancava nessuno per poterlo esaudire. egli era il principe ogni suo volere era un ordine per i sudditi che lo servivano, nessuno poteva dirgli di no, eppure egli per amore della conoscenza e della verità sul mondo che lo circondava e in cui viveva, per quel desiderio di conoscenza che nacque in lui, abbandonò ogni cosa, ogni comodità, rifugiandosi nella foresta a vivere come un asceta. Egli non era il primo che faceva una simile scelta di vita, e non era nemmeno l’unico ai suoi tempi, essendo predestinato ad ascendere a una coscienza superiore, dopo molti tentativi e sacrifici, riuscii a ottenere dalla meditazione quello che desiderava, ovvero tutte quelle risposte che cercava dalla vita, il perché si nasce e dopo si muore, soprattutto perché la vita che ognuno viveva era così travagliata, piena di ostacoli e di sofferenza, anche se avevo tutto dalla vita. così come era successo a lui, nulla ti salvava dalla vecchiaia, dal decadimento del tuo corpo, dalla decadenza della tua mente fino a diventare quasi un vegetale incapace di intendere e di volere. Ma soprattutto, egli ebbe la conoscenza del perché bisognava rinascere in continuazione e rivivere la medesima sofferenza, anche se con vite diverse, in ambienti diversi, in situazioni diverse.
Nel spezzare questi cicli di rinascita della sua esistenza, egli non pensò, né si comportò in maniera egoistica, prima che la sua vita giungesse alla fine, dato che sarebbe stata la sua ultima morte poiché non ci sarebbe stata altra rinascita avendo raggiunto il totale risveglio, egli decise che sarebbe stato opportuno insegnare quanto lui ha appreso, la conoscenza acquisita dalla sua ascensione a una coscienza superiore, ovvero quella del risvegliato, del Buddha. Nel libro che ho letto, non è minimamente menzionata che fu sua volontà la fondazione della religione buddista, nulla lo indica infatti che egli stesse fondando una religione, il suo scopo era insegnare ai suoi simili e risvegliare la mente, renderli come lui, ovvero dei buddha, in modo di interrompere il loro ciclo di morte e di rinascita da questo mondo, togliendosi, così, ogni sofferenza che comporta il vivere in questo mondo; di tutte le sofferenze che la vita di questa finta realtà -lui definisce questa vita terrena finita, priva di ogni valore poiché non dà scampo dalle malattie, dalla fame, dalla sete, e infine dalla morte e da ulteriori rinascite-. Egli definisce finto il tutto, poiché non c’è reale appagamento dal soddisfare i bisogno materiali del corpo di cui siamo dotati. Non esiste infatti possibilità che la fame una volta soddisfatta non torni, la sete anche, ovvero il bisogno di assumere acqua, ma anche appagare il bisogno di sesso anche con lo scopo di riprodursi è del tutto impossibile; una volta terminata la frenesia e aquietato il proprio organismo questi ritornano prorompente un altra volta a farsi sentire a vuole essere assecondato e soprattutto soddisfatto. Tutto questo, naturalmente crea dolore nel soggetto, dolore che egli deve a tutti i costi attenuare ma di conseguenza appagare il bisogno intrinseco.
In ogni modo, egli non parla mai di religione, in nessuna parte del testo, eppure in alcuni manoscritto in rete, egli è definito il fondatore del buddismo. Egli definiva il tutto, insegnamento di come lavorare sulle proprio io interiore ed avere il pieno controllo delle attività mentali, ovvero abolizione dell’inconscio, addestrando la propria mente con esercizi mentali ma anche fisici, ad eliminare tutti quei pensieri negativi della nostra mente tenendoli sotto controllo, onde evitare che essi producano tutto quel dolore da cui lo stesso Buddha cerca di sfuggire per poter liberare la propria mente da quei vincoli che lo tiene legato fortemente a questa vita terrena, spezzando così quel ciclo di morte e di rinascita cui ogni individuo e costretto a subire poiché rinchiuso in quella spirare soprattutto inconsciamente.
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amicidomenicani · 2 years ago
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Quesito Caro Padre, sono affranta per aver tradito il mio fidanzato. Con fatica ho interrotto questa relazione e mi sono riavvicinata a Cristo. Anzi forse l'ho conosciuto veramente dopo questo periodo, e questo mi ha riportata con il cuore dal mio fidanzato. Ora mi sento rinata, felice. C’è però un dubbio che mi attanaglia: devo confessare al mio ragazzo questo tradimento? Penso che rivelandogli l’accaduto possa diminuire il senso di colpa che mi opprime e sentirmi onesta con lui. Temo però di provocargli una immensa sofferenza. Ho paura di fargli male e vederlo soffrire. Non se lo merita, come non merita ciò che ho fatto. Io voglio solo il meglio per lui e voglio donargli tutta la mia vita, ma mi domando se possa sposare un uomo senza dirgli ciò che ho fatto  La ringrazio Risposta del sacerdote Carissima,  1. anche se forse non sarai del tutto convinta, sono stati i rapporti prematrimoniali che ti hanno portato sull'infelice tratto di strada che hai percorso. La castità impegna nella fedeltà e aiuta ad essere signori di se stessi, anche nei confronti delle tentazioni. 2. La fedeltà matrimoniale e prematrimoniale non si improvvisa. Va preparata e custodita mediante la purezza. Nel fidanzamento la purezza deve essere molto grande, perché diversamente si pongono le premesse per consegnarsi a chi non ci appartiene. Nel fidanzamento vi siete promessi, ma non vi appartenete. Vi apparterrete l’un l'altro solo con il vincolo del matrimonio. 3. Adesso che, grazie a Dio, sei tornata con il tuo ragazzo, impegnati a vivere in maniera casta. Impegna anche lui a fare altrettanto. Quando arriverete al matrimonio, avvertirete che il tempo più bello del vostro fidanzamento sarà stato proprio quello che avete vissuto in perfetta castità. 4. È con la castità che l'amore si purifica e imparate a stimarvi sempre di più. Una bella definizione di castità ci viene proposta da Giovanni Paolo II in Familiaris consortio: “La castità è energia spirituale che libera l’amore dall’egoismo e dall’aggressività e sa promuoverlo verso la sua piena realizzazione” (FC 33). 5. Tutti hanno bisogno di energia spirituale per tutelare la fedeltà e promuovere la vera donazione di sé eliminando l’egoismo. La castità è un'energia che va tirata fuori dalla buona volontà e nello stesso tempo dalla grazia di Cristo attinta nei sacramenti, principalmente l'eucaristia e la confessione. La grazia di Cristo comunica una forza nuova di ordine soprannaturale e indirizza la propria vita affettiva verso il suo senso ultimo: la santificazione in Cristo. 6. L'impurità, al contrario, toglie ogni freno e fa rimanere vittime della passione e della sensualità. Si trova qui la causa di tante infedeltà, seguite da sofferenza senza fine e non di rado dalla dissoluzione del rapporto di coppia. 7. Per grazia di Dio questo non è successo tra voi. Ma adesso va a confessare davanti al sacerdote non solo il tradimento, ma anche le impurità prematrimoniali. Sarà lui a dirti se è opportuno o meno rivelare quanto è successo al tuo futuro sposo. 8. Secondo me, dal momento che è stata coperta per sempre dalla misericordia di Dio, è una cosa che deve essere sepolta tra te e il sacerdote confessore. Lo svelamento di quanto è successo sarebbe certamente causa di enorme sofferenza per lui e di riflesso anche per te, ma anche di permanente insicurezza del rapporto.  Il tuo futuro sposo deve essere sereno e assolutamente fiducioso sulla tua fedeltà. 9. Prendi la confessione sacramentale, che è il sacramento della guarigione cristiana, come punto di riferimento costante nella tua vita. Deve essere regolare e frequente. Come ogni medicinale, va fatta con metodicità. Volta per volta ne sentirai l'effetto liberante. Diventerà una delle esperienze insopprimibili nella tua vita cristiana. Ne hai bisogno in modo tutto particolare perché certe ferite non si rimarginano in non batter d’occhio. Ti auguro ogni bene insieme con un sereno e Santo Natale. Ti assicuro la mia pregh
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kon-igi · 3 years ago
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Ciao Kon, volevo un consiglio, quindi scusami se sarò un po’ lunga.
Ieri parlavo col mio ragazzo e sebbene in passato abbiamo già affrontato temi difficili (la sua depressione; gli psicofarmaci; i suoi traumi; la mia depressione; i miei traumi) ho sentito come se non fossi stata totalmente sincera, poiché ho omesso dei dettagli. Ieri ho creduto fosse il caso di farlo, ma mi sono bloccata, perché lui ha detto, mentre preparavo il discorso:«a me le ragazze obese non piacciono».
Io, ad oggi, peso 63 kg. Tutto bene, qual è il problema? Be’, un anno fa ne pesavo 92 per 1.70 cm. Ho avuto alti e bassi con il cibo ed è stato il modo attraverso cui sono riuscita ad infliggermi dolore. In quarantena ne misi 20 e la dietologa mi suggerì di vedere uno psicologo, cosa che non ho fatto.
Morale della storia: temo, che rendendolo edotto di questo, possa giudicarmi in malo modo e magari affievolire quello che prova per me.
Evito di parlargliene?
Visto che l'intertumblr si sarà già diviso tra chi ha approfittato dello sconto su torce e forconi e chi sta lucidando spada, armatura e scudo con lo stemma I.N.C.E.L sopra, ci terrei a presentare tre personaggi a me molto cari, con la preghiera di considerare attentamente le loro storie in modo preciso e specifico.
KLAATU, BARADA e NIKTO.
Klaatu è il tuo ragazzo e in quanto tale, a dispetto di quello che si crede normalmente, tu sei la persona meno indicata a dare un giudizio su di lui. Ok, lui si è aperto e forse ti ha raccontato cose che non aveva detto a nessuno ma in quanto persona sentimentalmente coinvolta ognuno dei frammenti che compongono la sua interezza di persona tu potresti averli fatti tuoi ricomponendoli con il bias dell'aspettativa, del pregiudizio, della speranza e dell'illusione. Nessuno può sapere cos'abbia voluto dire con «a me le ragazze obese non piacciono», una frase che può esprimere tanto una banale preferenza estetica da concedere a chiunque quanto un'egocentrica pretesa manipolatoria che basa il suo essere su canoni visivi superficiali e adolescenziali.
Sapessi quante cose non piacciono a me e nonostante tutto ho imparato ad andare oltre la parte per valutare l'intero.
Barada invece sei tu e in quanto tale, a dispetto di quello che si crede normalmente, sei la persona meno indicata a dare un giudizio su te stessa. Hai riconosciuto di avere un problema di autostima che però non riguarda l'essere ingrassata (quello è una conseguenza) ma che si manifesta nella paura dell’altrui giudizio su una tua deviazione dalla normalità.
Hai un problema da risolvere e ho come l'impressione che tu ti stia illudendo di farlo passando attraverso l'etero-validazione, cioè facendotelo nascondere da qualcun'altro che ti dica che non c'è alcun problema.
Klaatu e Barada sono due individui separati con trascorsi e percorsi di vita che potrebbero riempire un'enciclopedia a testa ma è qua che entra sul palcoscenico l'ultimo personaggio.
Nikto è il Figlio del Sacrificio, ciò che risulta dalla pesatura delle vostre priorità e dei vostri desideri sulla bilancia del rapporto sentimentale.
A chi mi dice che è già tutto scritto, io rispondo sempre che lo è perché ognuno lo sta scrivendo con le scelte che decide (o non decide) di fare (o non fare) ogni giorno.
Quanto può durare o quanto può essere solido un rapporto basato sul silenzio della paura? Quanto ti può far stare bene, nel lungo periodo, avere accanto una persona alla quale ti senti costretta a dare un'immagine di te a lei gradita, nascondendo i motivi della tua sofferenza interiore?
L'amore è equilibrio fra due ma l'equilibrio si raggiunge non con la sofferenza della perdita di sé bensì col lasciare indietro quelle parti di sé che si riconosce non più utili alla propria crescita.
Se deciderai di non dirgli nulla, vivrete il resto del vostro rapporto in modo asimmetrico a tuo sfavore (potrebbe anche funzionare, almeno fino al prossimo presunto motivo di disaffezione da parte sua) mentre se affronterete anche questo argomento magari potresti scoprire che ti stava chiedendo aiuto per riuscire a vedere oltre le apparenze di un mondo che basa la validità dei suoi abitanti sulla crosta scintillante che li ricopre e non sul coraggio del loro cuore.
Buona fortuna... e non temere l’oscurità di chiedere aiuto.
<3
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ghiacciointempesta · 3 years ago
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L
Yesterday I got pretty drunk, said something that I shouldn’t have, told you that I really loved you, you do not reciprocate those feelings but that’s ok I’ll be fine anyway.
La televisione è accesa e manda l’ennesimo episodio di una sitcom che sto seguendo senza veramente prestarci troppa attenzione. I miei occhi sono immersi nel contenuto del bicchiere che tengo in mano, piuttosto traballante ora che ci faccio caso. Questo vino che ho comprato fa abbastanza schifo, eppure fa il suo lavoro. Lo lascio roteare un paio di volte nel calice, osservando le bollicine frizzare piano e poi disperdersi veloci nel liquido dorato; poi prendo un sorso, allungando il braccio oltre il bordo del divano per prendere la bottiglia ai miei piedi. L’etichetta - di un pacchiano nero con scritte oro - ne decanta i sentori floreali e le note agrumate, ricamando la denominazione con descrizioni di vitigni e fermentazioni. Faccio una smorfia e ne verso ancora un po’ nel bicchiere: con 12% di grado alcolico non c’era dubbio che mi sarei ubriacata, ed era proprio a questo che volevo arrivare.
Perché non ho il coraggio di affrontare la situazione. Ho passato gli ultimi sei anni della mia vita a parlargli di tutto eppure non riesco a dirgli questo, questo piccolo insignificante dettaglio che mi sta mangiando viva da sei mesi. E ad essere sincera è anche stupido che io mi faccia tutti questi problemi, dato tutto quello che ci siamo detti in precedenza.
Do un’occhiata alla finestra e poi all’orologio che mi brilla sul polso. Sono le due del mattino. È tardi, penso riportando gli occhi alla tv, anche se ormai la mia concentrazione è andata a farsi benedire. Quante notti passate al telefono, a parlare di tutto e di niente, a starci accanto attraverso le linee telefoniche.
Probabilmente lui avrà appena finito di lavorare, magari sta tornando a casa. Ricordo di un paio di anni fa, quando rientrava ad orari assurdi e mi chiamava nel cuore della notte perché gli facessi compagnia; inevitabilmente finivamo col prenderci in giro ma non riattaccavo mai prima che arrivasse a casa sano e salvo.
Ho messo il cellulare a faccia in giù sul tavolino da caffè perché potessi trattenermi dal fare cazzate, ma questo era circa tre bicchieri di Sauvignon fa e adesso sono poco lucida e troppo emotiva per prendere qualsiasi decisione razionale. Comunque, mi trattengo. La nostra ultima telefonata notturna non è stata decisamente la più piacevole, anche se era iniziata così bene.
————
“Ciao. Come mai mi chiami a quest’ora?”
“Ehi è così che mi rispondi? Nemmeno un ‘come stai?’ o un ‘che piacere sentirti’?” Sorrisi come una scema al finestrino dell’auto.
“Te l’avrei detto se fosse stato un piacere davvero”
“Ah si? Va bene, allora non ti chiamo più” e lo sentii allontanarsi dal ricevitore. Per un attimo temetti che riattaccasse, quindi m’affrettai a ripescarlo.
“Dai! Come stai, mio caro? Per quale motivo mi stai chiamando?”
“Bene, grazie. Tu come stai?” Sospirai, vedendo le strade di una notturna Parigi scorrere oltre il vetro.
“Stanca, ho appena finito di lavorare. Allora?”
“Hai lavorato tanto? E comunque niente, volevo rompere le scatole a qualcuno e ti ho chiamato” e di nuovo un sorriso.
“Ah adesso funziona cosi? Mi fa piacere!” punzecchiai, sapendo quanto lo divertisse darmi sui nervi
“Eh si funziona così. Dove sei, ti disturbo?”
“No. Sono in Uber, sto tornando a casa. Tu?”
“Ho staccato da poco, sto bevendo una birretta con dei colleghi”
“Capito.” Ci fu un piccolo momento di silenzio.
“E poi volevo sentirti”Il primo tuffo al cuore.
“Ah si eh?”
“Si. Perché, non posso?” avrei potuto dire che stava facendo un sorrisetto malizioso anche a tutti quei kilometri di distanza, talmente lo conoscevo bene.
“No figurati, ci mancherebbe altro.”
————
Sbatto le palpebre per riprendermi dai miei pensieri e affondo la mano nella ciotola dei popcorn. Adoro mangiarli ma detesto doverli preparare, e mi sono resa conto che dopo averci dedicato più di mezz’ora del mio tempo non li ho quasi toccati per tutta la sera, troppo occupata a bere per pensare a riempirmi lo stomaco.
Un po’ come la mia relazione con Blake: lo amavo ma detestavo come mi faceva sentire, e dopo aver impiegato due anni a cercare di farla funzionare sul serio mi sono accorta tardi che non sarebbe mai andata come volevo io perché ero troppo persa nell’immaginare come avrebbe potuto essere.
La serie prosegue con un nuovo episodio e sembra cadere proprio a pennello con in mio stato d’animo. Uno dei protagonisti si è innamorato dell’altro, che però non lo ha capito. Com’è assurda la vita. Tutto attorno a noi ci bombarda con le definizioni giuste e sbagliate d’amore, ci riempie di film, canzoni, serie, video, storie di amori sbagliati e complicati che però in qualche modo succedono e talvolta funzionano. Ma la verità è che non basta amarsi per essere felici. Non è sufficiente provare un sentimento del genere per qualcun altro, bisogna avere la situazione dalla propria parte. Può succedere come no, e a volte devi combattere perché succeda, faticare per far incastrare pronostici e karma. Ma quando succede, alla fine quello che ti serve è il coraggio. Senza coraggio va tutto a puttane, e mi pare di esserne diventata così esperta da poter tenere delle conferenze a riguardo.
————
“È un peccato che tu non ti fidi.”
“Non ho mai detto che non mi fiderei di te”
“No, però delle relazioni a distanza tu non ti fidi.” a questo punto gesticolai nel vuoto e quasi al buio del mio salotto, mentre mi sembrava di rivivere la stessa conversazione per l’ennesima volta.
“È solo che… è difficile per me dopo...”
“...dopo quello che hai passato con la tua ex. Lo so Blake, ma io non sono come lei”
“Non ho mai detto che sei come lei, assolutamente” come al solito mise le mani avanti, e come al solito la cosa non fece che irritarmi
“E allora qual è il problema vero? Dimmelo. Voglio saperlo.”
“È... complicato” sbuffai esasperata, portandomi una mano nei capelli.
“Ho bisogno di saperlo, me lo devi dire.”
————
Non ero preparata a quello che mi disse dopo, e a ripensarci adesso forse non lo sarei mai stata per come le cose si svelarono. Come si può amare una persona dopo che ti ha fatto tanto male? Puoi amare qualcuno che decide di ferirti consapevolmente, non dettato dalla collera o dalla delusione? È passato poco ma ricordo ancora quella notte, probabilmente è per questo che passo tutte le altre da sola a fissare il soffitto o a bere vino scadente. Può essere che cerchi di affogare nei fiumi dell’alcool per ovviare al bere le mie lacrime. E nel frattempo mi dico che non posso essere davvero incazzata perché l’ho obbligato a dirmelo, ho insistito affinché parlasse. Quindi immagino che sia un concorso di colpe.
E se non posso essere incazzata, e non c’è nulla da vendicare o da rimpiangere, cosa mi resta?
La delusione, forse. La ferita.
E la consapevolezza che se mi avesse amata mi avrebbe risparmiato una tale sofferenza.
————
“Avremmo potuto farla funzionare. Saremmo potuti stare insieme ed essere felici, ma tu ti fai condizionare da una cosa del genere e io non riesco proprio a capire perché. Mi sembra assurdo.”
“Lo so, e tu non centri, è un mio problema. È per questo che volevo venire da te.”
“Per cosa?”
“Per provarci davvero. Nonostante le mie paure io sarei venuto, e ti avrei detto di provarci ma adesso lo so che con quello che ti ho detto è cambiato tutto” Cercai di riprendere il mio respiro perso fra i singhiozzi, invano.
“Saresti venuto qui a dirmi di provarci senza dirmi di questa cosa? E come avresti fatto più avanti, su quali basi avremmo costruito una relazione io e te così?”
“Io... l’avrei superata”
“Quindi l’avresti superata più avanti ma non sei riuscito a farlo negli ultimi due anni...” ci fu un lungo silenzio, riempito dai flebili versi di chi piange da entrambi i lati della cornetta.
“È per questo che non volevo dirtelo, perché sapevo che ti avrei fatto del male.” Piangeva anche lui, e anche nel bel mezzo di quel dolore così opprimente non dubitai che fossero lacrime vere.
“No, va bene. Dovevo saperlo, e poi ho insistito io nel chiedertelo.” Presi il fiato e la dignità necessari per ricompormi e dire qualcosa, qualsiasi cosa mi concedesse di concludere quanto prima quella chiamata, perché sapevo che più tempo restavo al telefono, più pezzi ci sarebbero stati da raccogliere. E allo stesso tempo, masochisticamente, non volevo riattaccare.
“...”
“Va bene, io... io starò bene. Ho solo bisogno di tempo però. Devi darmi un po’ di tempo.”
————
E di tempo me ne aveva concesso, devo riconoscerglielo. Fu la settimana peggiore della mia vita, il mio inferno personale; ancora oggi quando soffro ripenso a quel momento e mi dico che ho attraversato il cerchio di fuoco e son riuscita a non bruciare completamente. Quando lo richiamai aveva una voce sfinita, e devo ammettere che lo feci solo per vomitargli addosso tutta la mia rabbia: ho imparato a posteriori che non serve a niente e che ci vuole tempo per tutto. E quando la sofferenza si è placata ed ho rivisto la pace, ho provato a considerare la situazione da tutte le prospettive.
Quindi, ho capito.
Niente è nero o bianco a questo mondo; e le sfumature te le perdi quando vedi le cose da troppo vicino.
Netflix mi chiede se sto ancora guardando e francamente non ricordo nemmeno quando ho smesso: perciò con non poco sforzo spengo tutto e la stanza cade in penombra. Mi sono accorta che ha iniziato a piovere. Com’è giusto che sia.
Non avrei dovuto bere così tanto; la mia capacità di giudizio è offuscata e tutto quello che riesco a pensare è quanto muoio dalla voglia di risentire la sua voce. Credo che adesso nel mio cuore ci sia solo mancanza: vorrei che mi stringesse e mi dicesse che tra noi non è cambiato niente.
E anche se questo vino fa schifo sta facendo il suo effetto, mannaggia il mondo.
Prendo il cellulare dal tavolino e me lo rigiro tra le mani, stando attenta a non avviare la chiamata quando capito davanti al suo numero in rubrica. Prendo un altro sorso e contemplo le mie opzioni: mi piace pensare di averne molteplici, quando in questa versione della realtà fatta di bollicine aromatiche ne ho - di fatto - solo due.
O lo chiamo. Oppure no.
Lascio che la mia testa ciondoli da una parte all’altra un paio di volte, poi la smetto quando mi accorgo che mi sta salendo una leggera nausea. Ho finito le parti del corpo da torturare: le pellicine sono tutte tirate e sono abbastanza sicura che se non fossi talmente anestetizzata sentirei il labbro inferiore dolere. Non contenta, mi sono anche scavata un solco dietro l’orecchio sinistro, che nonostante tutto brucia parecchio.
È inutile che ci giro intorno, lo so pure da ubriaca.
Che cosa spero di ottenere?
Inoltrare una nuova chiamata adesso sarebbe autoinfliggersi una punizione tutta nuova, e nonostante tutta la mia mancanza di autostima riservo ancora un briciolo di amor proprio necessario a frenarmi.
Che Dio solo sa se ho bisogno di questo adesso.
Scuoto la testa nel tentativo di scacciare i brutti pensieri e chiudo gli occhi, le palpebre diventate pesanti e un po’ umide grazie all’ebbrezza e all’oscurità. Spengo lo schermo del cellulare e, a fatica, mi tiro su dal divano e mi trascino verso la camera da letto.
Questa prima decisione è un buon segno, penso, prendendo un respiro profondo nel buio.
Una delle poche mosse egoistiche della mia vita.
Forse sto iniziando a guarire.
Me lo auguro con ogni frammento di cuore.
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clouddep · 4 years ago
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il grande re
domenico albano è il grande re e vive in una grande baracca. negli ultimi tempi ha sconfitto la camorra, un drago, l'artrite reumatoide e scientology. come sempre, nessuno si è preso la briga di ringraziarlo, ma egli è un re comprensivo e sa che il suo popolo è timido e che la sua statura morale mette in soggezione. per questo perdona tutti e accetta i loro tributi. ogni sera, fumando nudo davanti alla porta della sua baracca, legge il proprio nome scavato nel rossore del tramonto e sa che quello è il regalo dei suoi timidi sudditi, e lo accetta con indulgenza. alcuni doni, certo, bisogna dirlo, sono spiacevoli da ricevere. come, per esempio, quella volta in cui ricevette una pioggia di sassate da parte di un gruppo di ragazzini, al grido di vecchio bastardo, oppure quando, al rientro da una dura battaglia, ritrovò la casa piena di escrementi. ma domenico albano è un sovrano che ha imparato saggezza e bontà, non se la prende per le goffe e bizzarre dimostrazioni di affetto dei suoi sudditi, anzi, passa oltre e cerca di aiutarli. sapendo che il regno è stato creato a sua immagine e somiglianza, una volta alla settimana, si spinge nel centro del paese più vicino per tracciare sul muro di un supermercato i punti principali della sua cosmogonia personale. lo fa per rassicurare i suoi sudditi, affinché possano comprendere che dietro le loro vite, spesso difficili e insensate, vi è un piano, e che ogni cosa, persino la più insignificante, è stata creata con uno scopo ben preciso. le finalità della creazione sono le seguenti: 'cose che sono state create con la speranza di vedere albano domenico. cose che sono state create per pronunciare il nome albano domenico. cose create per ringraziare albano domenico. cose create per mostrare l’impossibilità di ringraziare albano domenico. cose create per sfogare la rabbia che nasce dall’impossibilità di ringraziare albano domenico per i suoi sforzi immani.' a dimostrazione del profondo pudore con cui i sudditi accolgono le verità del proprio sovrano, basti sapere che le parole tracciate sul muro vengono puntualmente cancellate, oppure vengono coperte da fotografie ingannevoli di petti di pollo in offerta speciale e prodotti per la pulizia delle superfici lavabili. domenico sa perfettamente che tale opera di rimozione è nient’altro che una supplica nei suoi confronti, un modo per dirgli, dacci la verità, ogni settimana, amen. grazie a questa pratica domenico ha insegnato a molte religioni il concetto di rituale. e dal rituale sono nate molte altre attività debitrici nei confronti del grande re. come l’arte e il teatro, per esempio. o la televisione e la politica. lo sciopero e la guerra. tutte attività nobili. ma, di tanto in tanto, il grande re finisce col perdere la pazienza, in quanto alcuni dei suoi sudditi, giocando a una di queste attività, finiscono col fare troppo rumore o prendersi troppo sul serio. va bene giocare, grida dunque domenico contro il cielo illuminato a giorno dai razzi, ma qui c’è un re che ha appena ridipinto la volta celeste e merita di riposare. solitamente, dopo le sue urla, il cielo si riempie di luci a forma di corolle di fiori, e questo avviene perché i fiori sono una delle creazioni preferite del grande re e, quindi, un bel modo di scusarsi per il gran fracasso. c'è poi il fatto che non è facile sopportare la solitudine del grande re quale lui è. le notti d’inverno, soprattutto, sanno creare una solitudine dolorosa a tal punto da fargli battere forte i denti e costringerlo a tossire uno spesso catarro che va poi sputato.
in alcune di quelle notti, il re si reca in uno dei tanti posti che i suoi sudditi hanno realizzato nella speranza di incontrarlo. questo posto si chiama ospedale in quanto ospita la gente in attesa di poterlo vedere. ma, una volta dentro, i suoi sudditi hanno talmente soggezione di lui da spostarsi e andare a sedersi lontano. addirittura, c'è chi finge che il re puzzi, e lo dice ad alta voce per prendere coraggio, perché l’emozione di trovarsi davanti il grande re è tanta. normalmente, queste notti, finiscono con dei sudditi che indossano camici e gli fanno bere uno sciroppo e gli dicono che poi starà meglio e che dovrebbe avere maggiore cura di sé, che non dovrebbe sprecare così la sua vita, il suo tempo. lui sorride benevolo, perché è saggio e buono, ma in silenzio riflette su quanto essi siano sprovveduti e faciloni. come può trovare il tempo di prendersi cura di se stesso, se ne passa la maggior parte a proteggerli da temibili nemici? altro che spreco... in tali circostanze, il grande re va a letto un po' mesto, preoccupato, perché teme di aver creato un regno di bambini viziati. allora, per scuoterli dal loro torpore, fa una cosa che gli costa tantissimo: abbassa la guardia. pospone le battaglie, ritarda certi provvedimenti, rimanda le decisioni necessarie. in breve, si ubriaca. e lo fa con estrema sofferenza, perché, da grande re quale è, si sente per natura responsabile del suo regno. egli beve diversi cartoni di un liquido alcolico rosso, leggermente frizzante, dal sapore metallico. tale liquido, miscelato in bocca assieme al fumo delle sigarette, lo aiuta ad abbassare la guardia. il grande re, allora, vaga nella notte, instabile e del tutto inadatto a combattere draghi, persino quelli dalle più piccole dimensioni. arriva persino a perdersi nel regno che lui stesso ha creato e che conosce meglio di chiunque, ma spera fortemente, così, che tale lezione serva ai suoi sudditi, per costringerli a crescere. ondeggia sui marciapiedi e osserva le macchine sfrecciargli accanto. sa molto bene che il motore nascosto dentro quelle auto altro non è che uno strumento musicale di ferro che produce un unico suono che significa 'perdonaci nostro sire', ma il re, in tali notti di ubriachezza e sconforto, è risoluto. mette un passo dopo l'altro e non importa quanti motori si avvicinino e urlino la loro supplica. quasi sempre, in questo procedere e perdersi, domenico finisce per incontrare un gruppo di donne un po' particolari. si tratta di alcune suddite che, non importa quanto il freddo sia pungente, lo aspettano notte dopo notte in uno stesso angolo della strada e ci tengono talmente a dimostrargli il loro affetto da farsi trovare sempre nude, ritenendo, probabilmente, il grande re, sensibile ai piaceri della carne. immancabilmente, gli si fanno incontro schioccando rumorosamente baci con le bocche tutte lucide di rossetto, mentre alcune, le più affettuose, gli mettono la mano tra i pantaloni e gli sussurrano 'come è grosso, tesoro', riferendosi naturalmente all’amore e al rispetto che nutrono nei suoi confronti. il re, allora, sente il cuore riempirsi del sentimento per i suoi sudditi e fa per tornare verso casa. a questo punto, però, queste suddite che lo aspettano, notte dopo notte, si arrabbiano, perché vorrebbero stare sempre con il loro re, e gli gridano cose sulla vecchiaia e l'avarizia perché vorrebbero che il re fosse più generoso e concedesse loro più tempo da passare assieme e arrivano a gridargli di fottersi sua madre, che è un modo molto contorto, certo, per dire di preoccuparsi di dare loro un suo discendente, un altro re buono e saggio come lui, che il tempo, inesorabile, passa. ingenue fanciulle, pensa domenico, che il grande re non ha bisogno di fare figli, perché è immortale. e questa è la verità, assolutamente.
eppure, una mattina di febbraio, perfino lui sentì un dubbio a riguardo. accadde quando avvertì una violenta fitta al cuore e il respirò gli si incastrò in gola. domenico vide un buio denso come l’acqua delle fogne, e per un istante ebbe paura. per un istante. poi, si ricordò di essere immortale e si distese per terra, dove si trovava, con le braccia lungo i fianchi. se dormo non sento il dolore, concluse. e, chiudendo gli occhi, si addormentò. il dolore effettivamente svanì. perché il grande re ha sempre ragione. anche quando muore.
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basically-im-a-clown · 4 years ago
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Ciò che non uccide è il rispetto.
Una sola domanda: com'è possibile? Come si può arrivare a sostenere ancora tali cazzate? Il coronavirus colpisce solo gli anziani? Peccato che sono morti ragazzi e persone giovani, peccato che il virus esiste e persiste tuttora e paccato che ci siano ancora teste vuote come questa a dire la loro. Quando dico la mia opinione cerco sempre di essere equilibrata e di non accusare nessuno, ma questa volta mi risulta davvero difficile. Questa tizia che possiede 3 neuroni che si connettono tra loro solo per andare a urinare, (e sono stata fin troppo buona) lo sa che tante persone hanno perso una persona a loro cara a causa di questo virus? Non parlo solo dei nonni, ma anche di fratelli, genitori, amici e figli? Sa quanti nipoti hanno perso i loro nonni senza aver nemmeno potuto dirgli addio per l'ultima volta come meritavano? Le bare trasportare dall'esercito il 18 marzo 2020 ce le siamo dimenticate? Io no e sarà difficile farlo, nonostante la mia giovane età posso dire che ciò che ho vissuto durante un anno di pandemia mi ha segnata nel profondo, così tanto che so di non poter più essere la stessa. Il dolore, la sofferenza degli altri, le incertezze e la paura costante mi hanno lacerata, ma come diceva Nietzsche: "Ciò che non uccide, fortifica." Dobbiamo imparare ad essere più forti, più sensibili e più empatici dopo questa catastrofe, non più ignoranti, strafottenti e stronzi, perché sì, per affermare una cosa del genere devi essere davvero una persona infelice che non dà un peso alle parole che dice, che non conosce il rispetto per se stessa, ma specialmente per gli altri. Queste parole mi hanno ferita e so di non essere l'unica, ma so anche che continueranno a ferirmi perché questa ragazza è solo una piccola e insignificante parte dell'intero ingranaggio dell'ignoranza e della cattiva informazione che è sorta con l'arrivo della pandemia.
Chi non conosce, non parli. Grazie.
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sfumature-stelle · 4 years ago
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Sto cercando di smettere di drogarmi di persone. È difficilissimo. Sono romantica e incline alle dipendenze. E quando stai continuamente male per qualcosa, alla lunga ti stanchi. Ti dici: non posso andare avanti così. Voglio stare bene. Io sto provando a smettere, ma ho già collezionato svariati tentativi falliti.
Disintossicarsi dalle persone non è come smettere con l'alcol o con le droghe. Da alcolizzata, ci sono delle chiare barriere su cosa posso e non posso fare. Non posso mandare messaggi all'alcol. Non ricevo foto intime dagli spacciatori. In più, l'alcol e le droghe avranno anche invaso l'America, ma mai quanto le persone. Le persone sono ovunque. Persone attraenti. Puoi astenerti dall'alcol e dalla droga, ma non dalle persone.
Penso che tutti abbiano il diritto di amare, anche chi, come me, sta cercando di uscire da una dipendenza da altre persone. Ma non sono qua per parlare di amore. Sono qua per parlare di come le persone diventino una droga, per me. Ci ho messo un po', ma comincio a capire la differenza tra le due cose: persone, e persone da cui sono dipendente. Adesso quando mi lascio ossessionare da qualcuno senza neanche conoscerlo (o senza averlo mai incontrato) mi suona subito il campanello d'allarme. Allarme rosso. Quando riconosco i segnali, prendo le distanze.
Prendere le distanze è triste. Non c'è niente di poetico. Non c'è opera d'arte ispirata al tema. Io voglio credere nell'esistenza dell'amore a prima vista. Ma mi innamoro a prima vista tutti i giorni. Mi innamoro anche al primo messaggio spinto. Non ne ho mai abbastanza. Ovviamente più mi faccio trascinare, più dura è la ricaduta.
Qualche giorno fa ho bloccato la persona-droga più potente di tutta la mia rubrica. È stato difficile, soprattutto perché è una droga che si è sempre comportata bene con me, mi ha sempre rispettata.
Era amore vero. Direi che eravamo tutti e due innamorati, ma anche che abbiamo entrambi sbagliato. Ho sofferto molto—nonostante l'amore—perché, non importa quanto stupenda sia l'altra persona, una droga rimane sempre una droga, non può cambiare. Ad alimentare la dipendenza era la distanza, e altri fatti, per cui era chiaro che non avremmo mai potuto stare insieme. Nessuno dei due era pronto. Vivevamo in un perenne stato di desiderio—uno stato quasi commovente—un po' come l'Ode su un'urna greca di Keats, ma con iPhone.
La verità è che erano la distanza e il fatto che nessuno dei due fosse pronto a rendere quella persona così tossica. Volevo molto più di ciò che avrebbe mai potuto darmi. Quando non mi arrivava un suo messaggio mi sentivo male, una vera astinenza. Quando ricevevo un suo messaggio, diventavo improvvisamente euforica. Ma l'euforia durava solo fino a che non rispondevo. Poi tornavo di nuovo ad aspettare, e stavo di nuovo male.
Avevo già provato a smettere un sacco di volte, ma cedevo sempre. Se non tornavo io, lo faceva la persona-droga. E se la persona-droga mi mandava un messaggio, dovevo rispondere. Non volevo "ferirlo."
Avevo davvero paura di ferirlo? Non lo so. Forse avevo soltanto paura di come mi avrebbe giudicata se non gli avessi risposto, temevo che mi avrebbe considerato una stronza e non una persona stupenda. O forse avevo solo paura di smettere.
Alla fine, il dolore di aspettare i messaggi è diventato più forte delle botte di felicità che ne ricavavo. Quindi ho annunciato il mio addio finale. Ho bloccato il suo contatto.
È seguito un periodo di sofferenza molto più profondo, più di tutte le altre volte che avevo provato a chiudere. Ho pianto per morti avvenute 15 anni prima. Ho pianto per il fatto di dover crescere (ovviamente il dolore non riguarda mai solo la persona da cui si è ossessionati, ma cose successe anni e anni fa).
Qualche settimana fa, però, mi sono accorta che stavo bene, meglio di tutte le altre volte in cui lo avevo lasciato. Quando lo sognavo, non erano più sogni di desiderio e dolore. Anche nel mondo onirico sapevo che non eravamo fatti l'uno per l'altra. Ho sognato che volavo sopra casa sua in un elicottero. Lui si affacciava e mi chiedeva di entrare dal soffitto. Io rifiutavo. Ero come se fossi riuscita a liberarmi di lui anche nel mio inconscio, mi sentivo forte e libera.
Poi, la droga si è fatta risentire. Due volte. Può essere che abbia percepito che ero guarita, e non voleva che lo dimenticassi. O forse non voleva che io mi sentissi dimenticata. Nessuno vuole essere dimenticato.
La prima volta, ha commentato un mio post su Facebook. In passato, tutte le volte che lo faceva andavo su di giri. Ma questa volta non me ne fregava niente. Anzi, avrei preferito non l'avesse fatto. Dovevo mettere mi piace? Se non lo avessi fatto, sarei sembrata fredda. Ma se lo avessi fatto, avrei infranto la mia regola del "niente contatti" e magari lo avrebbe preso come un incoraggiamento a contattarmi di nuovo. Non ho messo nessun mi piace, e sono stata fiera di me.
Qualche giorno dopo, mi ha mandato una serie di messaggi su Facebook. Non sapevo che fare, e ho deciso di ignorarli.
Non ho aperto Facebook per due giorni. Poi ci hanno pensato i suoi messaggi alcolici e grammaticalmente sconnessi ad alimentare nuovamente la mia ossessione [per l'occasione ho ricostruito la corretta grammatica dei messaggi].
Mi ha detto: È difficile non scriverti, chiaramente sono ancora innamorato.
Ha continuato: Annuso le tue cose e mi piace tantissimo... in senso romantico.
Ancora: Mi sono già pentito di questa conversazione...comunque devo dirti che...più tempo passa più capisco il mio errore...ti amo tanto...sto piangendo...sei il mio essere umano preferito...scusa sono a Marrakech... sono ubriachissimo
Ho capito che anche lui aveva qualche problema di dipendenza. Se riesci a stare dietro, anche solo per un po', alla mia ossessività, non puoi essere completamente normale.
Un altro messaggio: Ti ho persa, mia regina. Volevo solo farti sapere che sei la migliore e spero di scomparire e basta—non c'è bisogno che mi rispondi.
Ancora: Per favore, ignorami. Devo lasciarti in pace. Scusa davvero :/
Mi piacerebbe poter dire che l'ho ignorato. Questo articolo dovrebbe parlare di me che lo ignoro. Ma ovviamente non ho resistito a lungo.
Ho detto: Per favore non scrivermi cose del genere da ubriaco, ora come ora sono molto fragile e non sono un oggetto (che credo sia una cosa ipocrita da dire, perché qualche volta sono io che ti ho trattato come un oggetto).
Poi: È facile dirmi che mi ami ora che abbiamo chiuso e sei a migliaia di chilometri da qua.
E anche: Me lo diresti anche se mi avessi davanti?
Poi: Non credo proprio.
Non ci credevo davvero. E anche se mi ha risposto di sì, non significava che era vero. Ma ovviamente io volevo solo che dicesse di sì, anche se non l'avrebbe mai fatto. Nemmeno io l'avrei mai fatto.
Mi ha scritto: Non so che fare e so che non è giusto ma mi manchi.
Gli ho detto di non contattarmi mai più
Poi c'è stato un momento di pausa, in cui ho pensato a quello che avevo appena fatto. Mai più. Non solo stavo buttando nello scarico una bustina di droga, la stavo eliminando completamente dalla mia vita.
Ho detto: Lol mi dispiace che sia finita così.
Poi: T__i prego dimmi ciao lol.
Non so perché continuavo a scrivere lol. Stavo piangendo.
Mi ha risposto: Da ora in avanti per te sono morto, bloccami e basta.
Poi: Pensavo che non mi sarei mai abbassato a fare queste cazzate da ubriaco, sono uno stronzo. Dovrei imparare a stare zitto. Ciao.
È stato il finale più triste del mondo. Adesso vorrei contattarlo e dirgli un attimo__! Voglio un finale migliore. Ma un finale migliore non esiste. Il finale perfetto è un lieto fine, perciò non è una fine. Il finale perfetto alimenterebbe solo la mia compulsione. Quindi mi tengo questo finale imperfetto e faccio finta che sia perfetto.
Adesso sto di nuovo male. Nella testa ho un buco nero nel quale vorrei nascondermi dalla vita. Quel buco nero è pieno di voci che mi dicono che insieme eravamo perfetti. A me sembra che quelle voci dicano la verità, perché sono una drogata e vedo quello che voglio vedere. Non so se riuscirò mai a riempire quel buco nero. Ma ce la sto mettendo tutta, almeno per non ricaderci dentro.
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paoloxl · 5 years ago
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La mattina del 14 dicembre, a Sondrio, una giovane madre di 22 anni si accorge che la sua piccola, una bimba di appena 5 mesi, non respira più mentre si trova nel suo lettino. La donna afferra sua figlia e corre in strada in cerca di aiuto. Grazie al soccorso di un automobilista riesce rapidamente a raggiungere l’ospedale. Purtroppo, giunta in Pronto soccorso, a nulla servono le cure del personale ospedaliero per farla tornare in vita: la piccola muore a seguito di un arresto circolatorio. Tra le ipotesi più probabili quella della morte in culla. Su decisione della Procura della Repubblica, sarà l’autopsia a stabilire le cause del decesso.
Una tragedia immensa. Un dolore senza fine. Uno strazio indicibile.
Ma voi lo sapete cosa vuol dire perdere un figlio? Ve lo immaginate il dolore di una madre?
Eppure, le persone che erano in attesa al Pronto Soccorso quel giorno forse non se lo sono chiesto. Ha prevalso la loro cattiveria. E cosi le “urla” strazianti di una madre addolorata per la perdita della sua piccola, sono diventate elemento di “disturbo” per chi era lì in attesa. Ma come mai? Perché la giovane madre in questione è una cittadina nigeriana ed è nera. E il cinismo di queste persone, pur coscientemente sedute in un luogo di dolore e sofferenza per antonomasia, si è spinto sino a commenti indicibili. La morte di questa piccola creatura è diventata “un rito tribale”, “un rito satanico”, “una tradizione africana”. Come se le altre mamme, quelle “bianche” e “occidentali”, non piangessero e non manifestassero dolore per tragedie come queste. Addirittura si è arrivati a dire che per “questi africani” perdere un figlio non conta, “tanto ne sfornano uno all’anno” (qui una testimonianza). Fino alla frase terribile: “Mettetela a tacere quella scimmia”.
Nelle ultime ore, la notizia, inizialmente resa nota solo dalla stampa locale (SondrioToday e La Provincia di Sondrio), è stata ripresa da quotidiani e siti di portata nazionale, fra i quali anche Fanpage, Next e Open.
E l’indignazione e la rabbia nell’opinione pubblica stanno salendo.
Eppure, la stampa mainstream è tutta concentrata su di un’altra faccenda. Poco importa che sempre di razzismo si parli. Ma si sa. In Italia, il calcio è davvero più appetibile e attira molti più lettori. E soprattutto “vende” di più. E allora, messa da parte la tragedia della mamma nigeriana, capita che ci s’indigni di più davanti a questa nuova campagna messa in atto dalla Lega di Serie A che, per combattere il razzismo, ha scelto di mostrare l’opera Trittico di tre scimmie (ironia della sorte!) realizzato da Simone Fugazzotto (un’opera, oltretutto, realizzata nel maggio scorso in occasione della finale della Coppa Italia). In molti, sono rimasti basiti di fronte a questa operazione “comunicativa” e in tanti stanno cercando di capirne il senso. Ma poi perché la scelta delle scimmie? Persino l’International Advertising Association (IAA) si è espresso a riguardo contestando il modo poco chiaro e poco diretto (assolutamente “contro-intuitivo”) con cui è stato veicolato un messaggio che dovrebbe impattare su un pubblico molto vasto. L’organizzazione ha concluso il discorso cosi: “È come pensare di parlare in greco antico al popolo degli stadi”.
Oltre ad alcuni club e alle proteste sui social, anche alcuni media internazionali bocciano la scelta della Lega Serie A. Le parole di Fare (Football Against Racism in Europe) network nato per combattere la discriminazione nel calcio europeo supportato da FIFA, Uefa e commissione europea, pubblicate ieri su Twitter, vengono condivise dal The New York Times, dalla BBC, dalla CNN, solo per citare alcune testate, fino ad Al Jazeera. In Inghilterra il Sun si è chiesto se si trattasse di uno scherzo e il Guardian ha parlato di una “burla malsana“.
“Queste creazioni sono un oltraggio – afferma il Fare -, saranno controproducenti e continueranno la disumanizzazione delle persone di origine africana. È difficile capire cosa pensasse la Serie A, con chi si sono consultati? È tempo che i club progressisti della Lega facciano sentire la loro voce”.
Ecco. “Disumanizzazione”. E’ questa la parola giusta.
Scegliere dei ritratti di scimmie (peraltro con dei tratti “tipizzati” per rappresentare Europa, Asia e Africa) mostra scarsa sensibilità, se pur in buona fede. La scimmia è il simbolo che hanno scelto i razzisti per “disumanizzare” i neri, per dirgli che loro e tutti quelli come loro, sono solo degli “animali”, o peggio delle “bestie”. E a poco funziona questo sottilissimo e maldestro tentativo di voler rovesciare lo stigma. Il codice usato è quello razzista da stadio (basti pensare ai famosi ululati): è che per loro esistono uomini che sono più scimmie di altri. Ed è questo che andrebbe combattuto.
Però, fanno più rumore le tre scimmie di Fugazzotto degli insulti razzisti pronunciati nell’ospedale di Sondrio. E anche questa scelta andrebbe contestata.
Ci piacerebbe guardarli negli occhi, ad uno ad uno, questi “signori” che erano in Pronto soccorso a Sondrio. E ci piacerebbe dire di avere loro la decenza di tacere. Perché un tale dolore non ha colore né nazionalità. Non vi è una formula codificata per esprimere le emozioni, tantomeno il dolore. Non vi è contegno che tenga. E’ una cosa troppo grande da poter “contenere”.
E’ il dolore di una mamma che ha perso sua figlia. E noi stiamo perdendo anche quel briciolo di humana pietas che ci restava. E questa è l’Italia che si appresta a festeggiare il Santo Natale, che difende strenuamente il presepe e le tradizioni.
Abbiate almeno la decenza di vergognarvi. Noi intanto chiediamo scusa a nome vostro.
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cerchiofirenze77 · 5 years ago
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L’inganno delle religioni
Estratto dal libro "Conosci te stesso" , inserisco questo messaggio, estremamente "duro", che però diventa illuminante se inserito nel contesto di tutto l'insegnamento. Infatti non lo ritengo una condanna delle religioni, ma una necessaria presa di consapevolezza dei movimenti dell'io, il quale si appoggia a queste, non tanto in funzione di una verità cercata, ma di una speranza di sopravvivenza che viene promessa. Accettare questo è molto difficile; ma se ci si riesce, ci si pone a un nuovo livello di ricerca, con nuovi interrogativi, che diversamente, non si sarebbero mai potuti formulare. E' una nuova maturità, che non ci fa diventare più bravi o più buoni, ma sicuramente più maturi per accogliere nuove proposte di verità. Così si impara.
 L'inganno delle religioni
“Le religioni e il misticismo in genere si fondano su tre postulati: l'esistenza di un ente supremo, la sopravvivenza dell'anima alla morte del corpo, l'influenza della condotta tenuta nella vita umana sulla vita dopo la morte.
Senza pudori e preconcetti, guardiamo in faccia la realtà.
Dio è una invenzione dell'uomo per poter vantare una natura divina; è un illusorio paravento creato dall'io per mascherare la propria ignoranza e l'incapacità di spiegare la vita.
Che cos'è la sopravvivenza? Una menzogna dell'io, un rimedio che l'io inventa per fugare l'incubo della morte. Chi può fare a meno di credere o perlomeno sperare di sopravvivere, o non ama la vita, o è un gran coraggioso, o vive nel presente.
Guardiamo in faccia la realtà. Quanti credono solo perché la fede è di conforto alle delusioni della vita! Quando un uomo soffre, la fede in una vita di felicità e di pienezza oltre la morte è un consolante rifugio.
La sofferenza, anziché denunciare gli errori commessi, è vista come un mezzo di elevazione con il quale Iddio mostra la sua predilezione per certe creature. Quando l'uomo soffre, si volge sempre a qualcuno che valorizzi la sua sofferenza. Dirgli: "Tu hai errato e questa è la conseguenza del tuo errore" significa inasprirlo; dirgli invece: "La tua sofferenza è voluta da dio acciocché tu sia grande nel regno dei cieli" significa confortare l'individuo, accarezzare la sua ambizione, alimentare il suo io.
Ma credere per essere confortati è espandere il proprio io.
I tre postulati sui quali si fondano le religioni sono tre verità; ma l'uomo li accetta perché bene si adattano agli ambiziosi sogni dell'io.
Nessuna verità è mai stata rivelata da dio all'uomo. Chi crede questo, vanta un privilegio in realtà inesistente, e chiunque si ancora ad un privilegio, asseconda l'espansione del suo io.
Vive nella realtà solo chi ha dimenticato l'io e i suoi processi espansionistici.
Si può conoscere e credere la verità, ma se è l'io che l'ha accettata non si è diversi dagli atei e si vive nell'illusione. 
Così, la fede o il misticismo che si fondano sulla ricerca di conforto, o che comunque sono adottati dall'io per la propria espansione, sono illusori.
Le religioni sono depositarie della moralità dei popoli, ma la vera morale è inconciliabile con gli interessi personali.
La legge umana vieta e punisce certe azioni, né si potrebbe pretendere di più: non potrebbe fare il processo alle intenzioni. Ma noi proprio questo dobbiamo fare! L'uomo si conosce dalle intenzioni: se l'intenzione è egoistica, l'individuo è egoista anche se è intento a compiere un'opera altamente umanitaria.
Queste parole vi demoralizzano perché siete ancora mossi dall'io. Il vostro io vorrebbe conoscere la via per il miglioramento e continuare così nell'espansione. Ma ogni cammino che l'io prenda in esame per poter dire "sono nel vero" è un vicolo cieco. La realtà è irraggiungibile dall'io. L'io è separatività, la realtà è comunione. Queste parole non hanno il potere di cancellare l'insistenza dell'io. Ascoltandole suscitano l'interrogativo: "Che cosa debbo fare? " La risposta è: "Niente. Conosci te stesso!".
Abituarsi a riconoscere la lunga mano dell'io, deporre l'intenzione di accrescersi. Può darsi che un giorno, pur restando attivo l'individuo, si abbia una passività dell'io. Quel giorno cesseranno le lotte ed i conflitti: la fede non sarà più un sogno ma la realtà dell'individuo, la verità del Tutto.”
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gloriabourne · 6 years ago
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The one with Ermal’s mom
Ermal lo sapeva che sarebbe successo. Se lo sentiva.
Aveva avuto quel presentimento fin dal momento in cui aveva accettato quell'incarico, ma poi si era ripetuto che non era possibile, che Fabrizio era un uomo maturo, che non ci sarebbero stati problemi.
Certo, come no.
I problemi in realtà c'erano stati eccome, ed Ermal non poteva nemmeno incolpare Fabrizio. Era ovvio che se la fosse presa.
In fondo, aveva scoperto che il suo fidanzato sarebbe andato a Bilbao insieme a un altro. E poco importava che fosse per lavoro.
A peggiorare le cose, c'era stato il fatto che Fabrizio lo avesse scoperto per caso da Instagram.
Ermal aveva tentato di giustificarsi, prendendo la cosa di petto come al solito e rispondendo alle sue accuse dicendo: "E di chi è la colpa? Ho provato a chiamarti decine di volte questa settimana, ma tu eri sempre troppo impegnato per parlare con me."
Cosa vera, per altro. Ma questo non toglieva che Fabrizio fosse sinceramente urtato per aver scoperto quel nuovo impegno di Ermal da internet e non dal suo compagno.
Così erano passati giorni senza sentirsi. Zero messaggi, zero telefonate. Niente di niente.
Ermal si lasciò cadere sul divano dopo aver controllato il cellulare per l'ennesima volta, mentre sua madre lo fissava preoccupata.
Era andato a Bari per qualche giorno, prima di partire per Bilbao, e sua madre era stata felicissima di averlo a casa per un po' ma non in quelle condizioni. Ermal era nervoso, lo si vedeva a chilometri di distanza, e sua madre non ne sapeva il motivo.
"Che succede?" chiese, forse per la decima volta nell'ultima mezz'ora, sedendosi accanto a lui.
"Niente, mamma."
"Non è vero."
Ermal la guardò per un attimo, indeciso su cosa fare.
Avrebbe voluto sfogarsi con sua madre, ma c'erano troppe cose che lei non sapeva. Come avrebbe potuto dirle che aveva litigato con il suo fidanzato, quando sua madre nemmeno sapeva che stesse con qualcuno?
Anzi, a dirla tutta sua madre non sapeva nemmeno che aveva improvvisamente capito di essere interessato anche agli uomini. O almeno, a Fabrizio.
"È complicato, mamma."
"Prova a spiegarmelo lo stesso" rispose sua madre accennando un sorriso.
Ermal sospirò. "Sto frequentando una persona."
"Quindi sono problemi di cuore."
"Diciamo di sì. Ha scoperto che vado a Bilbao, ma non l'ha saputo da me. L'ha scoperto da Instagram e non l'ha presa bene" spiegò Ermal.
"Eh, direi. Nemmeno io l'avrei presa bene."
Ermal si voltò verso sua madre fingendosi offeso. "Ma tu da che parte stai?"
"Sempre dalla tua, tesoro. Ma credo che in questa situazione dovresti ammettere le tue colpe."
Forse sua madre aveva ragione.
Forse avrebbe semplicemente dovuto mettere da parte il suo orgoglio e telefonare a Fabrizio, chiedergli scusa per non avergli detto niente di Bilbao e sperare che lui decidesse di perdonarlo.
"Questa ragazza con cui stai uscendo, ti piace davvero?" chiese sua madre dopo un po'.
Ermal la fissò per un attimo, indeciso su come rispondere.
Avrebbe potuto dire di sì e chiudere il discorso. Oppure avrebbe potuto dire la verità, ammettere che non stava con una donna e aprire un discorso ancora più grande al quale non sapeva come avrebbe reagito sua madre.
Sua madre c'era sempre stata per lui e l'aveva sempre supportato in ogni sua decisione. Ermal era certo che lo avrebbe supportato anche in quel caso, eppure era spaventato.
Ma non poteva farsi bloccare dalla paura.
Prese un respiro profondo e disse: "Non è una ragazza la persona che sto frequentando."
Sua madre lo guardò sorpresa, ma non disse nulla.
"So che sei stupita. Questa cosa ha stupito anche me all'inizio" disse Ermal passandosi una mano tra i capelli.
Ricordava perfettamente il giorno in cui era iniziato tutto. Non il giorno in cui si era innamorato di Fabrizio, ma il giorno in cui aveva capito di esserlo.
Era un giorno come tanti altri, a Lisbona. Erano seduti l'uno accanto all'altro, mentre aspettavano di fare l'ennesima intervista, e Fabrizio si era sporto verso di lui per dirgli qualcosa. Si era appoggiato a lui, mettendogli una mano sulla spalla e l'altra sulla coscia, un gesto che non aveva nulla di malizioso o ambiguo ma che aveva fatto fremere Ermal.
Si era sentito andare a fuoco nei punti su cui Fabrizio aveva appoggiato le mani e quello era stato il momento in cui aveva capito di essere completamente spacciato. Lo amava e ormai non c'era modo di uscirne.
Erano passati mesi prima che Ermal prendesse la decisione di confessare tutto a Fabrizio, ma poi l'aveva fatto.
Una sera di ottobre, dopo l'ennesimo evento in cui si era lasciato sfuggire troppe parole, aveva chiamato Fabrizio e gli aveva detto tutto. Aveva messo da parte la paura e aveva tirato fuori le parole con calma.
Gli aveva raccontato del momento in cui, di fronte al pubblico dello showcase di quella sera, aveva detto che se sei amico di qualcuno e poi ti innamori non c'è più modo di uscirne. E poi gli aveva detto che, dicendo quella frase, aveva pensato a lui.
Fabrizio era rimasto in silenzio e Ermal aveva aggiunto: "Non te lo sto dicendo perché mi aspetto qualcosa da te. È solo che le cose stanno così: siamo stati amici per un po' e io alla fine mi sono innamorato di te. E ora non so come uscirne. Non so nemmeno se voglio uscirne."
E Fabrizio gli aveva semplicemente risposto: "Ti amo anch'io."
E quella frase lo aveva fatto sentire talmente bene che si era reso conto che tutte le paranoie dei mesi passati - sulla sua sessualità, su quella di Fabrizio, su un possibile rifiuto - erano davvero solo paranoie e niente di più.
"Non pensavo che fossi interessato anche agli uomini" disse sua madre con un leggero sorriso sulle labbra.
A parte un momento di stupore iniziale, non era rimasta scossa da quella notizia improvvisa. In fondo, lei voleva semplicemente che suo figlio fosse felice.
"Nemmeno io lo pensavo, prima che arrivasse lui."
"Deve piacerti davvero tanto se hai messo in discussione te stesso per lui."
"Sono innamorato, mamma" disse Ermal.
Sua madre lo guardò per un attimo, poi sorrise e disse: "Certo che lo sei. Dovresti vedere come ti brillano gli occhi."
Ermal sorrise imbarazzato. Era perfettamente consapevole dell'effetto che Fabrizio aveva su di lui, ma sentirselo dire da sua madre era tutt'altra storia.
"E proprio perché lo ami, forse dovresti chiamarlo e chiarire la situazione" aggiunse sua madre.
"Non credo voglia parlarmi" rispose Ermal, gettando un'occhiata al cellulare.
"Se ti ama quanto lo ami tu, certo che vuole parlarti. Probabilmente è solo arrabbiato e ha paura di dire la cosa sbagliata" disse sua madre alzandosi dal divano e allontanandosi per lasciare al figlio un po' di privacy.
Era quasi uscita dalla stanza quando Ermal richiamò la sua attenzione e disse: "Comunque la persona che sto frequentando è Fabrizio."
Il sorriso di sua madre si allargò. "Ottima scelta, tesoro."
  Quando Ermal sentì Fabrizio rispondere dopo il primo squillo, fu quasi sorpreso.
"Ehi" disse semplice, con la voce un po' spezzata.
"Ciao" rispose Fabrizio dall'altra parte.
"Ti disturbo?"
"No. Anzi, stavo per chiamarti. Mi dispiace per come ho reagito."
Ermal si rilassò leggermente, sentendo svanire il rischio di una nuova discussione.
"No, è a me che dispiace. Avrei dovuto dirtelo."
"E io avrei dovuto darti modo di parlarmene, invece ultimamente sono stato sempre per conto mio. Quasi non ti ho calcolato."
"Hai tanti impegni, lo capisco" disse Ermal sincero.
"Non è solo quello."
"Che vuoi dire?"
Fabrizio sospirò ed Ermal sentì il cuore accelerare, timoroso che Fabrizio stesse per dirgli qualcosa che a lui a non sarebbe piaciuto.
"Era un modo per allontanarmi da te, per tenere le distanze."
"Perché?"
"Perché viviamo a 700 km di distanza, non ci vediamo mai! E le cose non cambieranno, non adesso almeno. Devo abituarmi a stare senza di te" disse Fabrizio.
In quelle parole, Ermal percepì tutta la sofferenza che purtroppo sentiva anche lui.
Nemmeno lui era bravo a gestire le relazioni a distanza. I suoi impegni e la sua assenza erano stati alcuni dei motivi per cui la sua storia con Silvia era naufragata poco più di un anno prima, ed era ovvio che la paura che potesse succedere di nuovo lo stesse uccidendo. Ma quella stessa paura stava uccidendo anche Fabrizio e Ermal non poteva permetterlo.
"Non devi abituarti a stare senza di me. Io ci sono sempre, anche se non sono fisicamente con te" disse, forse più a sé stesso che a Fabrizio.
"Prima o poi troverai qualcuno meglio di me e te ne andrai" mormorò Fabrizio.
Ermal sorrise leggermente compiaciuto e disse: "Allora è questo il problema. Sei geloso!"
"Non sono geloso!" replicò Fabrizio.
"Sì, lo sei. È questo il vero problema di tutta la storia di Bilbao? Sei arrabbiato perché ci vado con qualcuno che non sei tu?"
"Ma ti pare? Quello è un ragazzino, mica sono geloso di lui."
"Sicuro?" chiese ancora Ermal, ormai convinto di aver centrato il punto.
"Ovviamente non mi fa piacere che vai a farti un viaggio con un altro."
"Vado a lavorare, Bizio" rispose Ermal, divertito dal comportamento del suo fidanzato.
"Se, va beh. Andate a divertirvi e poi se avanza tempo lavorate."
Ermal cercò di soffocare una risata, ma appena riuscì a tornare serio si rese conto che la cosa migliore che poteva fare per Fabrizio era rassicurarlo.
"Non ho intenzione di andarmene. Non adesso che ho avuto il coraggio di dire a mia madre di noi" disse con tranquillità.
Fabrizio si ammutolì per qualche secondo prima di dire: "L'hai detto a tua madre?"
"Già."
"E come l'ha presa?"
"Bene, in realtà. Vuole solo che io sia felice e crede che tu sia un'ottima scelta."
Fabrizio sorrise mentre stringeva il telefono all'orecchio, cercando di impedire alle sue mani di tremare.
Sapeva quanto Ermal tenesse al giudizio di sua madre e sapere che lei approvava la loro relazione lo rendeva così felice da non riuscire nemmeno a parlare.
"Bizio?" lo richiamò Ermal.
"Mh?"
"Se mia madre avesse reagito male, l'avrei ignorata. Lo sai questo, vero? Io sarei rimasto con te comunque. Non posso lasciare qualcosa che mi rende così felice."
Fabrizio annuì muovendo la testa, poi si ricordò che Ermal non poteva vederlo e disse semplicemente: "Sì, sì."
La voce spezzata con cui aveva risposto non era altro che il risultato del discorso che gli aveva fatto Ermal.
La consapevolezza che sarebbe stato disposto a mettere da parte sua madre - letteralmente la persona che amava di più al mondo - solo per lui, lo rendeva felice e allo stesso tempo gli lacerava l'anima.
Cos'era successo? Com'era possibile che, in nemmeno un mese di relazione, fossero arrivati a quel punto?
Forse non contava poi molto da quanto tempo si stessero frequentando. Forse l'unica cosa che contava era l'intensità dei loro sentimenti.
"Ma che fai? Piangi?" chiese Ermal.
"No, ma va" rispose Fabrizio, senza però riuscire a ingannare il più piccolo.
"Sì, piangi. Ma perché?"
"Niente. È che sono felice."
Ermal sorrise. "Lo so. Anch'io sono felice."
E lo erano davvero.
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nusta · 6 years ago
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Di ossa rotte e sensi di colpa
(Nato come ask @kon-igi è venuto fuori così lungo che lo metto tutto qui, a disposizione di chiunque abbia avuto simili esperienze e voglia magari farsi avanti per un parere)
Buongiorno dottore, ti chiedo un consiglio per capire quanto mi devo mangiare le mani e rodere il fegato.
Il mio fidanzato si è rotto la spalla cadendo circa un mese fa: frattura composta della testa dell'omero, gli hanno fatto i raggi e messo un tutore per 30 giorni. La sera doveva togliere il fermo per muovere un po' la mano e l'avambraccio, ma il resto doveva stare bloccato. Gli ultimi 10 giorni sono stati particolarmente frustranti per il dolore crescente a tutto ciò che osso non era. Martedì, 30° giorno, ha fatto la visita, non gli hanno fatto esami con macchine, solo mosso e toccato la spalla e il braccio, lui ha cacciato qualche "ahi!" più o meno vigoroso e gli hanno detto di fare fisioterapia. Ha preso il primo appuntamento libero con il dottore che lo segue per le visite sportive per la corsa e oggi (lunedì, quindi 6 giorni dopo) nell'esaminarlo per valutare la situazione il dottore toccando la zona si è insospettito per una situazione a un tendine: ha fatto una ecografia e gli è sembrato troppo sottile, anche confrontandolo con quello dell'altra spalla. Gli ha detto di fare una risonanza per verificare una eventuale lesione o rottura.
Ora le mie mani e il mio fegato sono in pericolo per questo: quando fece la prima visita, il giorno dopo la caduta, nessuno gli disse di fare altri esami, tranne i miei genitori che subito sollevarono il dubbio se era il caso di fare anche una ecografia o una risonanza, proprio per i tendini. Io glielo ho detto, ma non ho insistito proprio perché i dottori non avevano invece proposto nulla.
Preciso che all'epoca, dopo essere caduto, si è fatto 3 km di corsa per finire il percorso di gara ed è pure tornato da solo in auto, dolorante ma non ai livelli di sofferenza a cui è arrivato il giorno dopo quando ha fatto i raggi e, di nuovo ma diversamente, negli ultimi giorni di fermo con il tutore. Questo per dire che forse all'epoca non sembrava particolarmente "rotto", oltre che nell'osso.
Insomma, quanto mi devo sentire in colpa per non aver fatto la rompiscatole (per usare un gentile eufemismo in questi giorni in cui le imprecazioni volano da destra a manca)? Quanto è frequente che in caso di caduta e frattura "non" si facciano ulteriori esami oltre ai raggi x? Quanta differenza farà il fatto che una eventuale lesione a un tendine sia stata individuata oltre un mese dopo? Può essere che invece sia stato il fermo di 30 giorni a compromettere il tendine e la zona in generale? A confronto con l'altra spalla gli mancano a occhio e croce 2 cm di carne di muscolo "perso", sembra come una psatasfoglia prima e dopo la cottura.
Ovviamente speriamo che la risonanza non rilevi in realtà nessuna lesione, ma, dato lo sbanderno di ibuprofene consumato anche dopo aver tolto il tutore, la fiamma della speranza è a questo punto molto debole u_u
Io continuo a ripetermi che tra le varie sfighe e conseguenze per una brutta caduta siamo ancora largamente dalla parte delle meno peggio, però lo vedo molto stanco e amareggiato e, per quanto io non mi sognerei mai di dirgli "te l'avevo detto", temo di non poter garantire altrettanta premura da parte dei miei genitori e vorrei avere qualche base strategica sia per prevenire uno scontro, ma soprattutto anche per attutire i suoi, di sensi di colpa, per non aver chiesto ulteriori esami.
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fraluceetenebre-blog · 6 years ago
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Tornerò sempre...
Perché è tutto così difficile? Mi sento così sporca,così cattiva e ingiusta nei suoi confronti...
Per me c'è sempre...
Come faccio a dirgli che non lo voglio perché non è te?
Ma non è te.
È dolce e simpatico e mi tratta come se fossi l'unica donna al mondo e forse per lui lo sono davvero...
Ma,ripeto,non è te.
Nessuno sarà mai come te perché solo tu hai quei difetti stupendi che mi hanno fatto innamorare fin da subito.
Solo tu sai farmi aspettare ore,se non giorni,per un messaggio,magari anche senza senso.
E la cosa peggiore è che io aspetto mentre un'altra ragazza ti avrebbe mandato a fanculo fin da subito.
E io aspetto non perché non abbia nulla da fare ma perché ci tengo un casino a te.
Te che mi sei entrato nel cuore ad una velocità allarmante.
Te che sei intelligente e colto e dolce ma anche stronzo e menefreghista e soprattutto orgoglioso.
Te che mi fai accapponare la pelle quando mi scrivi "ti amo".
Chissà se mi ami ancora.
Io si.
Non ho mai smesso.
Anzi,sono stata la prima ad iniziare.
Io ti aspetto.
Sempre.
Da sempre.
E non importa quanto la nostra relazione possa essere complicata e instabile,io sceglierò sempre te.
Anche con la distanza di mezzo.
Anche coi miei che di sicuro ti odiano.
Anche con il tuo maledettissimo orgoglio che prima o poi ti allontanerà da me per sempre.
E non importa quanto lui possa essere fantastico e dolce e gentile e disponibile,io tornerò sempre da te.
Nonostante tutte le lacrime che mi hai fatto versare.
Nonostante tutte le notti in bianco a riempirmi la testa di immagini di noi insieme in quella casetta tra le montagne innevate.
Nonostante le mattine a scuola stanca morta perché dormivo poco o niente solo per stare con te a far nottata e tu puntualmente ti addormentavi col cellulare in mano.
Nonostante tutte le canzoni che ci siamo dedicati che se le riascolto un brivido arriva sempre e comunque al cuore.
Nonostante i miei tentativi disperati di porre fine a questa sofferenza chattando con tutti i ragazzi possibili ed immaginabili pur di distrarmi dal pensiero che costantemente volgeva a te.
Nonostante la dieta ferrea che mi sto imponendo insieme ai tantissimi esercizi fisici perché voglio dimagrire in modo da non farti schifo.
Nonostante i "ti amo" scritti sul banco con mille colori diversi perche è così che succede quando mi parli:le mie giornate si colorano di emozioni.
Nonostante tutte le volte che ho deciso di mandarti via,ma che ho avuto paura di farlo definitivamente perché sapevo che non saresti tornato perché ne potresti avere altre 1000 e tutte migliori di me in tutto.
Nonostante le mie amiche che dicevano di dimenticarti perché sei capace di fare solo del male.
Nonostante tutti i poemi che mi hai scritto quando ancora non eravamo nient'altro che due conoscenti.
Nonostante i miei messaggi che ti intasavano whatsapp quando credevo mi stessi ignorando perché offeso mentre invece stavi solo dormendo.
Nonostante la mia timidezza che spero sparisca prima che ci vedremo perché,dio io voglio godermi ogni singolo istante con te perché non so se e quando ce ne saranno altri.
Nonostante i mille sorrisi che mi fai spuntare quando quel led si illumina di giallo anche se non ci speravo più e forse più belli proprio per questo.
Nonostante io sia un casino assillante e fastidioso.
Nonostante tutto questo,bello o brutto che sia o sia stato,io sceglierò sempre te.
Io tornerò sempre da te.
Io vorrò sempre te.
Te e nessun altro.
Sempre.
@fraluceetenebre
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somebody-whois-tired · 3 years ago
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È da un po’ di tempo che non scrivo. Sono successe così tante cose, io sono cambiata tanto proporzionalmente alla sofferenza che ho provato e nascosto a tutti.
L’ho lasciato andare perché mi stava distruggendo, ogni piccola parte di me stava crollando. Non volevo ammetterlo, non volevo vederlo, poi qualcosa è cambiato.
Ho sofferto, sì, ho passato alti e bassi ma provando sempre a rialzarmi.
Ho imparato a contare su me stessa, a camminare solo sulle mie gambe e a non dipendere più da nessuno.
Sapete, una relazione tossica ti porta a questo, ti porta a credere che da solo non vali nulla, che hai bisogno di quella persona per andare avanti perché senza saresti perso.
Io mi stavo perdendo con quella persona, era così narcisista e tossica che ad un certo punto credevo di essere io il problema, credevo che le mie paranoie fossero il problema, credevo che fossi io il mostro e non lui.
Invece così non era, amici. Non era così perché ci ho provato e provato e provato ancora a spiegare perché non stessi più vivendo come prima e lui non ha fatto nulla. Nessuna comprensione, ha solo puntato il dito verso di me dicendo che fossi io a sbagliare, lui faceva tutto bene. E passavano settimane senza parlarci, quel silenzio che ti fa solo assalire la mente di pensieri bui e oscuri.
La distanza non aiutava tutto ciò, e probabilmente era stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Ho deciso di prendere in mano la mia vita, mi stavo annullando troppo per colui che non si preoccupava minimamente di me. A quel punto ho deciso che solo io avrei potuto farlo.
Da quel momento ho viaggiato per staccare la spina, ho allontanato persone che non mi facevano bene, sono tornata in palestra e ho messo ME al primo posto, come avrei sempre dovuto fare.
È stato difficile per me aprirmi di nuovo, l’ho fatto dopo 5 mesi da quando non l’ho più sentito. Qualcuno ha provato ad avvicinarsi a me, ha provato a conoscermi, ma io ero così impaurita e stanca e stufa che non ho dato modo a nessuno di conoscermi per come sono realmente. Ho una piccola parte di me che voglio proteggere ad ogni costo, quella parte che ho dato con tutto il cuore ma che è stata calpestata e buttata nel cesso.
Lui è andato avanti senza nemmeno darmi la possibilità di dirgli il motivo per il quale lo abbia lasciato; si è subito rifatto una vita con un’altra e questo, dopo due anni e mezzo in cui abbiamo riso, scherzato, urlato, litigato, non me lo meritavo.
Perciò ho imparato a pesare le persone come prima non avrei mai fatto. Non mi aspetto più nulla e mi aspetto di tutto, non so se mi spiego. Credo che ognuno passi nella nostra vita per lasciarci qualcosa, bella o brutta che sia. Ma non mi aspetto che restino per sempre.
Quello esiste solo nelle favole/
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È successo questa sera.
Con uno che non mi piaceva nemmeno.
Sono stata ad una festa e mentre loro chiacchieravano, un ragazzo troppi ubriaco per aver cura di presentarsi e di provare a fare una buona impressione mia ha preso in braccio.
Rideva e mi prendeva in giro. La mia amica era preoccupata che potessi prenderlo a pugni.
E in effetti aveva ragione a preoccuparsi.
Poi però, senza neanche darmi il tempo di capire cosa stava per succedere, ha iniziato a toccarmi.
Io avrei voluto divincolarmi, avrei voluto dirgli di smetterla, ma non ho trovato la forza di farlo.
Sono rimasta bloccata, con una paura che non provavo da tempo.
È stato un tocco all'odore di rum. Un tocco prepotente, diverso dal tuo, un tocco che se ne frega di tutto il resto.
Mi ha detto il suo nome e io gli ho risposto poi che mi chiamavo Ilaria. Lo sai che non sono brava ad essere sincera quando sono bloccata dalla paura.
Era furbo. Aveva capito che ero un bersaglio facile perché la.sofferenza non si può nascondere nemmeno con in bel vestito e un trucco fatto ad arte. La sofferenza è un invito a nozze per quelli che non hanno voglia di sforzarsi troppo per un po' di compagnia.
Ero debole e lui voleva divertirsi. Comunque non lo biasimo. Mi metteva a disagio.
Mi ha presa e mi ha appoggiata al muro, Pontano da tutti e non ha perso tempo. Le sue mani erano ovunque e più mi toccava più mi bruciavano gli occhi.
Non sapevo cosa fare, mi sono rivista a 7 anni con le sue mani addosso.
Ma la vuoi sapere una cosa? Non ho pianto.
Mi sono concentrata su una stella, una stella dalla luce flebile, una stella poco luminosa, quasi invisibile ma, pensavo, pur sempre una stella.
E poi ti ho scritto, sconvolta, quando sono riuscita a tornare dai miei amici, grazie al loro vizio di cercare chiunque si allontani.
E poi ti ho scritto con la voglia di dirti quanto successo perché solo le tue mani avrebbero dovuto toccarmi e solo tu avresti potuto calmarmi.
Ma non ce l'ho fatta a dirtelo, non ne ho avuto la forza e così ti ho scritto che ti pensavo, stupida che sono.
E tu che non mi pensi neanche più, ma cosa mi aspetto da tutto questo? Cosa mi aspetto dalla vita?
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tiseguiro · 4 years ago
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Gesù, maestro di contemplazione
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Nella seguente dispensa degli “Insegnamenti settimanali” vorrei condividere con voi alcuni estratti da “Viaggio verso il Cuore”.
Questo libro si basa su conferenze tenute da vari autori nel corso “Radici del Misticismo Cristiano”, che è stato tenuto per quattro anni come corso annuale di 30 sessioni settimanali da Shankar e da me, sotto il patrocinio della Comunità Mondiale per la Meditazione Cristiana, nel Centro di Meditazione Cristiana di Londra. L’obiettivo del “Viaggio verso il Cuore”, come anche del corso, è di introdurre i meditanti della nostra tradizione e altri interessati alla Mistica Cristiana alla ricca corrente che fluisce nei secoli, utilizzando alcuni insegnanti spirituali come pietre miliari lungo il percorso. Leggere il libro è caldamente consigliato per fare un viaggio di scoperta spirituale; non è semplicemente una raccolta di informazioni, quanto invece un processo di crescita che avviene tramite l’essere a contatto con la saggezza di questi insegnanti. Spero che questi estratti vi stimolino l’appetito alla lettura dell’intero libro.
Laurence Freeman inizia il volume riportandoci al fondamento della preghiera contemplativa cristiana, Gesù. Lo fa non esplorando passi specifici della Scrittura, come è stato fatto nel passato, ma sottolineando che è il modo di insegnare di Gesù e il suo modo di essere a mostrarcelo come maestro di contemplazione.
Laurence inizia le sue riflessioni con la storia di Maria e Marta: “Gesù viene a visitare Marta e Maria, due sorelle, due sue amiche. Marta, che rappresenta la vita attiva, gli da il benvenuto in casa mentre Maria, che rappresenta la vita contemplativa si siede ai suoi piedi per ascoltare la sua parola. Il testo dice che lei si siede e sta lì. Marta invece viene distratta dai molti lavori e ne esce come una specie di terrorista domestica che esplode in rimostranze con Gesù: “Signore, non vedi che mia sorella mi ha lasciata da sola a servire? Dille di aiutarmi!”.
Marta è chiaramente la star o l’anti-eroina di questa storia. Il lettore medio si identifica e simpatizza con lei. Chi a volte non ha provato quello che prova lei? Non è di umore piacevole, ma non viene condannata da Gesù – o dal narratore o dal lettore – perché è così chiaramente in uno stato di sofferenza, isolata, arrabbiata, paranoica, oberata, piena di sentimenti di abbandono. Il suo ego si è dolorosamente gonfiato e vede tutto in relazione a se stessa. Se dovessimo dare alla Marta tuttofare un lavoro in più nel suo riposo celeste sarebbe quello di essere la santa patrona dello stress, del quale mostra tutti i sintomi classici. Eppure, al di là della auto-drammatizzazione sta solo cercando di preparare un buon pranzo, di essere ospitale. Perché non chiede direttamente a Maria di aiutarla? Perché dà la colpa a Gesù e diventa la sola discepola nei vangeli a dirgli cosa fare? Queste sono domande che, ad un livello di lettura, ci rendono la storia istruttiva, offrendoci lumi sul suo significato morale. Come ci aiuta la storia a capire il nostro comportamento? Eppure, ad un livello spirituale più profondo non ci stiamo occupando di psicologia ma della vera natura della nostra umanità. Le due sorelle rappresentano non solo due tipi di personalità, ma le due metà del nostro animo umano. Questo è implicito nel modo in cui Gesù risponde a Marta. Con calma e in modo amichevole spiega a Marta, prima di tutto, che ha un po’ perso il contatto con se stessa. Pronuncia due volte il suo nome per riportarla al presente. In questo modo, si spera, Marta comincia ad imparare ad ascoltarlo come Maria stava facendo. “Marta, Marta, tu ti affanni e ti preoccupi di troppe cose,” le dice. Gesù non sta addossandole colpe, ma le sta offrendo una diagnosi del suo problema, mostrandole quanto si sia alienata dalla sua altra metà, da sua sorella. Le dice che ha accumulato un grado di stress non più gestibile nel suo darsi da fare mentre “una cosa sola è necessaria”. Non dà una definizione di questa unica cosa. Ma certamente “l’unica cosa” è essere uno, il reintegrare il sé diviso le cui fratture interne l’hanno condotta alla rabbia e alla violenza.
Nelle parole successive, difende la dimensione contemplativa della vita che regolarmente viene messa sotto attacco dal lato attivista del sé diviso perché ritenuta inutile, non produttiva ed egoista. Questa unità originale dell’anima, l’equilibrio e l’armonia tra azione e contemplazione decide dell’intero disegno e tono della vita. Senza di essa ogni aspetto della vita è frammentato. In termini religiosi, teologia, preghiera e adorazione sono tutte danneggiate da divisioni interne. La fede stessa, senza la dimensione contemplativa, in ultimo degenera in ideologia o conformità sociale.
In termini più generali, la psiche umana collassa nell’unilateralità, squilibrio e disarmonia. Questo è il motivo per cui Gesù dice qualcosa che può essere male interpretato come una dura critica di Marta: “Maria ha scelto la parte migliore e nessuno gliela porterà via.” In realtà, sta dicendo che l’essere viene prima del fare e la qualità del nostro essere determina la qualità ed efficacia di tutte le nostre azioni. Non sappiamo come Marta abbia risposto. Alza le braccia in disperazione e se ne va sbattendo la porta, o improvvisamente si calma e fa quello che avrebbe dovuto fare prima, ovvero chiedere a Maria di aiutarla? Sarebbe il test del lavoro di Maria. Se lei dovesse rispondere “No, sto contemplando, lasciami in pace”, mostrerebbe che il suo lavoro è inautentico. Se saltasse in piedi per aiutarla, la sua altra metà sarebbe in armonia. L’errore di Marta, fatto da culture e religioni come anche da individui, è il non essersi ricordata che anche Maria stava lavorando. Noi siamo sia Marta che Maria. Il nostro squilibrio è rappresentato qui da Marta che lo mostra come problema universale. L’unica cosa necessaria è di portare le due metà della nostra anima di nuovo in relazione di amicizia e in equilibrio. Ci sono molti modi con cui possiamo farlo. La cosa più importante ovviamente è recuperare il lavoro che Maria sta facendo – Marta ha dimenticato il valore della non-azione di Maria: anche se Maria sembra non fare nulla, sta lavorando, ascoltando, ponendo attenzione e restando tranquilla.
La storia ci mostra Gesù come maestro di contemplazione che capisce e vuole comunicare quanto la completezza sia equilibrio santo e integrazione. Gesù ha insegnato questo, non solo con le parole, ma con l’esempio. Specialmente nel vangelo di Luca, lo vediamo fermare di frequente il ritmo veloce della sua vita, la sua predicazione, la sua opera di guaritore e di viaggiatore, ritirandosi in luoghi tranquilli per pregare da solo o con pochi discepoli. (Luca 6,12; 9,18; 22,39). Se non ci fosse stata una armonia tra ciò che insegnava e ciò che faceva, il suo insegnamento sarebbe mancato di autorevolezza. L’identità cristiana dipende direttamente da questa autorità”.
Kim Natarja
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