#+ il fatto che mi faccio schifo ma quella è la base di tutto
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nonsmetteredicercarmi · 10 months ago
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La svolta per avere un goccio di voglia in più di andare in palestra è stato il sostituire il borsone con lo zaino e lo scoprire che l'11 ha una fermata più vicina alla pale rispetto agli altri tram
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falcemartello · 5 years ago
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Le palle (rosse) di Natale
Il Natale, quando arriva, arriva e noi addobbiamo l’albero con tante belle palle rossofuoco. Esce il videoclip promozionale del nuovo film di Checco Zalone e subito una Alessandra Mammì (se stamo a divertì, mammì, mammì) lo fulmina come sessista e razzista: la parodia celentanesca del Checco che si ritrova cornuto e mazziato dall’immigrato non le va giù, le fa contorcere il sorriso caramellato, puro radicalismo chic. Sarebbe da chiederle se anche l’attrice che si presta nel ruolo di moglie sia sessista, e se perfino l’immigrato del video, africano, africano nero, sia razzista.
Poi ci sono quelli che chiamano alla Festa dell’Unità Bello Figo, farsa in fama di risorsa, che “rappa” le stesse cose di Zalone ma in modo penoso (“Hey hey, non pago affito, dai cazzo siamo negri noi, hey hey, non faccio opraio”) e se fa un video sessista all’Università di Pisa pieno di donne bianche “da trombare” lo difendono come novello Duchamp, siccome l’Università è notoriamente cosa loro.
Poi c’è il critico Tomaso, con una emme, che fa tanto intellettuale engage, Montanari che trova una insormontabile “banalità del razzismo” nella favola dolce del Presepe – e sono in quella, le altre confessioni sono salve. Con sgradevole assonanza con la famosa banalità del male che evoca il male assoluto del nazismo e dell’Olocausto, praticamente il Bambinello sarebbe… che schifo, già solo a scriverlo, lasciamolo a Tomaso.
Poi ci sono i facciamorete restiamoumani antifà che su Twitter postano foto dell’albero di Natale a testa in giù, perché il Natale, come suggerisce l’esperto Tomaso, è fascista come Mussolini (e Salvini): e deve fare la stessa fine.
Poi c’è il profeta delle “classi subalterne”, come le ha definite, Gad Lerner, in lotta continua per i poveracci che non sfoggiano Rolex o vacanze a bordo di panfili di potere, ma a debita distanza; ha da stilare continue liste di proscrizione, è un lavoro di testa, non va disturbato.
Poi c’è Michela Murgia che è ossessionata dai fascisti e ha inventato il fascistometro che sarebbe: fascista è chi dico io. Naturalmente si scaglia contro il sessismo, la società patriarcale, preferisce la “matria” alla patria, ma non rinuncia ad apparire languidamente distesa, il piedino ammiccante, sulla dormeuse come una Paolona Bonaparte.
Poi c’è Saviano che di palle rossofuoco ne spara tante e poi tante che sembra “Jack Bidone coi fratelli Bolivar”.
Poi c’è il professore liceale, che sfiga, Christian Raimo, che tanto democraticamente si era speso per impedire la partecipazione al Salone del Libro di Torino dell’editore Giubilei Rignani (mai Lagioia).
Poi c’è Lilli Gruber che ce l’ha anche lei con la società dei maschi fonte di tutte le nequizie ma nel suo salottino di rosse parole siliconate invita quasi solo maschi (forse perciò si spiegano le nequizie).
Poi ci sono gli ex LC (Lotta Continua) che un tempo sprangavano i CL (Comunione & Liberazione) ma adesso se sentono la deprimenta discorsa d’insediamenta della neopresidenta della Corta Costituzionala, Marta Cartabia, che parla solo di potere alle donne, si rotolano in terra per l’orgasmo.
Poi ci sono i giornalisti compagneros della Rai che vogliono “il nemico” Salvini eliminato e i suoi figli piccoli deportati in manicomio.
Poi ci sono quelli che, a proposito della povera Desirée Mariottini, giovane sbandata annientata atrocemente in un rudere, ostaggio di immigrati spietati, arrivano a dire che la colpa era sua, che era una tossica e comunque il problema sta nel fatto che non si educa al “consumo responsabile” di sostanze; lo stesso per Pamela Mastropietro, fatta letteralmente a pezzi a Macerata da alcuni pusher cannibali nigeriani gratificati dalla mostruosa difesa d’ufficio degli integrazionisti ultrà.
Poi ci sono le groupie di Mimmo Lucano, portato in fama di santo, del tutto indifferenti al suo famoso modello, che, al di là delle pronunce giudiziarie a venire, si è comunque confermato, cifre alla mano e senza possibilità di smentita, in una effervescente dissipazione pubblica, per non aggiungere altro. Del resto, se non avessero una tale idea dell’economia non sarebbero veterocompagni…
Poi ci sono quelli che… Bibbiano è un raffreddore, un modo di dire, una strumentalizzazione, e anche qui i processi, le sentenze, faranno il loro corso, se mai lo faranno ma una cosa è certissima, sono gli orrori patiti da troppe, troppe e ancora troppe famiglie (basti la terribile e bella inchiesta di Francesco Borgonovo e Antonio Rossitto autori del libro Bibbiano, i fabbricanti di mostri). Un vortice abissale, oltre le parole, ma riescono ancora a buttarla in ridicolo, a smorzarla, a negarla.
Poi c’è la regista Francesca Archibugi, ma nella sua cerchia pariolina hard fa fino chiamarla “Franciasca Archibbuggi”, che sta “col sistema di Bibbiano perché i figli non appartengono alle famiglie ma allo stato”.
Poi ci sono quelli che vogliono sostituire la famiglia alla rete formale e informale.
Poi ci sono le erinni alla Monica Cirinnà che vogliono rieducare, in senso gender, tutti perché “Dio patria e famiglia è una vita di merda”.
Poi ci sono i genderisti estasiati dalla prima ministra della Finlandia che è “figlia di due mamme”, che fa curriculum anche in politica.
Poi ci sono quelli convinti che la satira non deve avere colori, tranne il rosso; non è censura, precisano, è solo che la satira o è rossa o non è e quindi, in questo caso, va censurata.
Poi ci sono quelli, da Corrado Augias a Michele Serra, che insistono sulla superiorità genetica e culturale dell’homo sinitratus; che a uno basterebbe guardare loro per avere dei dubbi.
Poi ci sono le brigate Greta, gente che pur di non rinunciare a una curiosa idea di autoannientamento planetario, si mette in mano a questa sedicenne (ma sempre 16 anni ha Greta?) dagli evidenti problemi, di non poche incoerenze, di imbarazzante latitanza culturale, una che “vede l’anidride carbonica” prodotta dai capitalisti.
Poi ci sono le brigate Carola che difendono una che, dopo aver rischiato di colare a picco una motovedetta piena di militari della Guardia di Finanza, dopo avere infranto mezzo codice di navigazione tenendo in sequestro circa centoquaranta migranti, ha fatto un libro dove inneggia alla rivolta con toni che quasi quasi riecheggiano gli anni di piombo, in base alla solita strampalata idea della legalità: la legalità sono me, legalità è quello che io intendo per umanità, del resto menefotto.
Poi ci sono le brigate Asia, in arte Argento, che però non sanno bene come difendere una che s’è arrampicata sui vetri insaponati del metoo fino a che non si è scoperto che, oltre a portare una benevola pazienza col pigmalione porcone Weinstein, avrebbe ceduto lei stessa a qualche disinvoltura sessuale di troppo col giovane cacciatore di dote di turno: shetoo.
Poi ci sono i sapienti che per anni hanno rotto le palle con Aung San Suu Hyi, la martire col nome che sembra una birra, e adesso che è imputata per genocidio dei Rohinga al Tribunale Internazionale de l’Aja, fingono di non averla mai conosciuta, sono già passati ad altre icone del buonismo selvaggio (casomai il Tribunale dovesse assolverla, torneranno, uniti nel fatidico grido: contrordine, compagni!).
Poi ci sono i preti di strada, di frontiera, di trincea, dal Ciotti allo Zanotelli, fino al Bergoglio, uniti a pugno chiuso nella stralunata difesa di Ong, centri sociali, balordi assortiti, con ragioni che più strampalate non si può.
Poi ci sono i sardinari a strascico di una signora novantenne, salvatasi dalla deportazione, che, messa a capo di una preoccupante Commissione del Pensiero, trova modo di dire che l’uomo forte le rievoca antiche ferite, il che tradotto significa che Salvini fa rima come Mussolini (o magari con Hitler; con Stalin, no).
Poi ci sono appunto le madonne novantenni che se la godono un mondo nel farsi portare in processione da 600 sindaci amorevoli e antifascisti, benedicono le sardine come “sentinelle della memoria” ma la prima smemorata è lei, visto che sta sul palco con alcuni sindaci di estrema sinistra che hanno concesso la cittadinanza onoraria a notori terroristi e apologeti dello sterminio degli ebrei.
Poi, salate in fundo, arrivano le sardine, questo branco di fannulloni di cartapesta il cui capintesta, ogni ricciolo un capricciolo di vanità, a domanda sugli orientamenti politici risponde: ah, non lo so, non ho un’idea su niente però vengo bene in televisione e le cinquantenni mi si vogliono fare. Riciclati dell’estremismo di sinistra duro, che in rete diffamano, minacciano, insultano, impediscono accessi a luoghi considerati loro. Le “sentinelle della memoria” assumono un significato assai sinistro, e non solo in senso ideologico, con buona pace della loro benedicente Madonna in tour.
Vi bastano, come addobbi natalizi, queste cascate di palline rossefuoco, di palloncini già gonfiati, di pupazzetti di neve rossa? Poi vengono a dirti: ah, però, non sapevo della tua svolta destrorsa. No. Se è lecita una trascurabilissima parentesi personale, chi scrive non si sente particolarmente di destra, anzi non si sente proprio niente; non gliene può fregare di meno dei sovranisti, non perde le notti a pensare al destino di Salvini e (io sono) Giorgia, si ispira se mai a Frank Zappa, convinto che “l’elemento più diffuso in natura non è l’idrogeno, è la stupidità”.
Ora, non è colpa nostra se in questa disgraziata epoca di politicamente corretto manicomiale, la stupidità più stentorea, più possente fluisce copiosa da una certa casta, spelacchiata, ringhiosa, rifatta, caramellata di tromboni che sparano le loro grandi palle di fuoco e non si accorgono di quanto sono arroganti, patetici, imbarazzanti. E ridicoli. E, soprattutto, sempre meno ascoltati.
Max Del Papa
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janiedean · 5 years ago
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Ho appena finito di vedere Blade Runner per la prima volta e mi è piaciuto, soprattutto la scena in cui il replicante uccide il suo creatore e la famosa "ho visto cose che voi uomini..." e questo film è praticamente l'inizio di un certo tipo di estetica nei film sci-fi e è una cosa fighissima, ma overral non mi ha fatto proprio impazzire. Siccome so che tu Sai (e lo dico nel modo più non ironico possibile) mi potresti dire cosa non ho notato ma che invece è interessante nel film?
AAAH DUNQUE (sks il ritardo ieri stavo cotta) io Ho Problemi Pesissimi con blade runner che tipo non smetterò mai di avere MA in ordine (dico la roba che non hai nominato tu nella ask poi magari l’avevi notata ma ecco XD):
le due parti che hai isolato per me sono splendide ma vanno viste nell’ottica della Mia Tematica Preferita Di Questo Dannato Film ovvero: come definisci cosa è umano e cosa non lo è
nel senso, vabbe io mangio distopie fatte bene a colazione e blade runner da un lato mi piace perché ha la distopia realistica-ish nel senso che non mi sembra molto implausibile un mondo dove hai o le città sovrappopolate o il deserto senza vie di mezzo per il riscaldamento globale e dove nelle città sovrappopolate la gente si odia/sta fondamentalmente isolata, e fino lì dici ok bel setting bella estetica ma poi ci butti il conflitto e allora arrivederci;
nel senso, la cosa che mi uccide è che la società del film in questione ti dice che i replicanti non sono umani e non possono vivere in mezzo agli umani e quindi il protagonista sarebbe nel giusto facendoli fuori... non fosse che poi vedi che la cosa è ribaltata e in realtà sono loro che hanno sentimenti/si comportano da esseri umani e non fanno i lupi solitari e vogliono solo cose che noi diamo per scontate, il che rende la tagline della tyrell corp una cosa doppiamente ironica perché usano più umani degli umani per dire che sono così simili che potrebbero esserlo solo che non lo sono, e invece la narrativa ti dice che ovvio che sono più umani degli umani e di ogni singola persona *umana* che compare nel film;
(tra l’altro è un angolo che comunque caschi in piedi reinterpretandolo a seconda di come pigli i film, nel senso che se vedi il director’s cut di br è palese che anche deckard è replicante come rachel quindi la sua umanizzazione arriva man mano che si rende conto di esserlo, ma nel seguito è implicato che fosse umano e hanno smollato quella plotline e PER UNA VOLTA IL SEGUITO HA DIRITTI quindi se scegli quell’interpretazione allora vuol dire che deckard - che era umano - si è umanizzato innamorandosi di una replicante che neanche sapeva di esserlo, quindi il punto è che l’umanizzazione dei personaggi non replicanti se esiste avviene attraverso i personaggi che secondo la società contestuale del film non sarebbero umani che io trovo una cosa geniale ma vbb)
a questo punto si inserisce anche tutto un altro discorso, nel senso, chi può dire cosa ha sentimenti o meno e quanto sei umano o meno dichiaratamente - risposta: nessuno -, che poi si rimette nel filone robot vs umani che vabbè a me ha fatto venire la fissa sto film di base ma personalmente il discorso ‘le macchine programmate da umani possono evadere la programmazione e/o diventare senzienti o provare sentimenti umani’ è una di quelle cose su cui potrei leggere/vedere roba per i prossimi cinque secoli (non ci sto a scrivere l’originale da novembre nooooo), che poi come dire... torniamo al discorso libero arbitrio vs predestinazione vs essere in grado di fare le proprie scelte vs no in realtà non possiamo;
tornando al discorso di sopra, da persona che è grande fan di narrative dove la risposta è ‘sì abbiamo il libero arbitrio no non siamo predestinati si possiamo sempre fare le nostre scelte’ capirai che una narrativa che mi dice che ‘la categoria pensata come subumana che invece ha più dignità/capacità di prendere decisioni dei cosiddetti umani’ per me è tipo un invito a nozze;
che cioè di nuovo come dicevo prima, il fatto che roy (che per me è il personaggio migliore punto senza manco battere ciglio) a) uccida il suo creatore che lo considera solo una creazione riuscita bene e non un essere umano come gli altri che vuole solo campare normalmente in quel modo, b) muoia salvando il tizio che ha cercato di ammazzarlo finora perché non vuole morire da solo/non vuole morire senza che qualcuno si ricordi di lui o sappia perché ha fatto quello che ha fatto visto in questa inquadratura è tipo una cosa che mi devasta perché appunto la narrativa ti sta dicendo che uno che secondo quelli che l’hanno creato neanche doveva porsi il problema è morto facendo quello che voleva/cercando quello che tutti noi vogliamo in quanto spettatori (perché cioè i replicanti alla fine vogliono ricordi, una vita, una famiglia e una vita sentimentale e non fare quello che vogliono gli altri, sai che richieste assurde) e quindi la narrativa vuole che tu spettatore ti identifichi con lui, non con deckard, o almeno non vuole che lo fai fino a quando deckard non se rende conto che il suo lavoro è uno schifo;
tra l’altro gli ammmmericani mo sti film li fanno molto più raramente ma cioè mi garba anche molto il concetto della narrativa che non ti dice da subito che devi sta dal lato del protagonista e che comunque non sta dalla sua parte tutto il tempo fino alla fine, perché il punto è che non devi parteggiare per deckard fino a quando non capisce che cazzo vuole dalla vita e tipo posso apprezzare una narrativa che mi dice che no non devo stare dalla parte del protagonista in virtù del fatto che lo sia (sta cosa è stata ribaltata in maniera geniale nel sequel tbh ma cioè io con br2049 ho altri problemi simili ma n’è quello il punto);
(anzi tra l’altro il char development di deckard che parte che è nammerda e poi migliora ma ci arriva alla fine quando quell’altro gli salva la vita al 100% è una cosa della madonna imvho ma lì è pure il fatto che l’arco ‘tizio che è nammerda che si rende conto che è una parte di un organismo marcio e cerca di smarcarsi’ per me è catnip veramente pesa)
poi vabbe sempre per il discorso di sopra mi piace da morire come deckard vs roy è costruito nel senso che come dire roy non c’ha il character development è solo che ha l’arco dove cerca di scoprire come allungarsi la vita e non ci riesce ma comincia in un modo e finisce uguale e non ha bisogno di farsi l’analisi della moralità ma tu di base vedi questo che più passa il film più fa cose che tu spettatore puoi assolutamente capire/concepire e ti fa l’effetto strano perché secondo il contesto questo dovrebbe essere un criminale da bruciare vivo per avere osato volere una vita, mentre deckard ha il development che parte da ‘faccio un lavoro dimmerda senza preoccuparmi degli strascichi morali e vivo da solo in un palazzo orrendo e neanche ho l’animale da compagnia da sfigato’ e passa per le stesse cose per cui passa roy ie lui ammazza i replicanti/roy ammazza quello che fa gli occhi e tyrell, vedi deckard che si mette con rachel e vedi roy e priss che sono tipo gli innamorati adorbs del secolo fino a quando non si beccano alla fine per la resa dei conti ma fondamentalmente tu vedi che roy ha già tutte le cose umane ™️ che deckard deve rendersi conto di volere eccetto che ha la data di scadenza e deckard no, e il fatto che si risolva con roy che fa la cosa altruista/salva il tizio che gli ha ammazzato gli amici/la fidanzata e sbatte in faccia a deckard tutti i suoi limiti prima di fare la morte più splendida mai concepita e a quel punto deckard fa 2+2 definitivo e si rende conto che la sua umanità (esistente o meno a prescindere da come la interpreti perché pure se è replicante si credeva umano fino all’inizio del film quindi XD) non è un cazzo in confronto a quella di roy mi devasta perché narrativamente è geniale e non è scontato e di nuovo ritorna sul tema di sopra che non puoi decidere tu chi ha diritto alle cose e chi no e non puoi sindacare sull’umanità altrui
poi vabbe ovviamente c’è anche tutto il discorso del PERCHE’ ESISTONO I REPLICANTI CHE MANDIAMO SULLE COLONIE A FARE IL NOSTRO SPORCO LAVORO che se lo metti assieme a quello che diciamo di cui sopra fa anche il suo porco commento politico perché ovviamente te sta a dire che non puoi sbolognare il lavoro sporco a gente che consideri subumana senza pensare che poi ti si ritorce contro
potrei pure fare n’altra ora di discorso su come sto film tra le altre cose è fondamentalmente un noir anni trenta con l’estetica cyberpunk e gli androidi perché di nuovo hai il detective antieroe che alla fine si rende conto di essere nel torto, la femme fatale e tutto, solo che c’è ovviamente la decostruzione fatta da dio perché il detective antieroe del noir tipico di solito è molto come dire apolitico/vuole solo i soldi mentre invece deckard è proprio narrativamente moralmente dal lato sbagliato, la femme fatale è una povera disgraziata che pensava di essere umana fino a quando deckard si presenta a farle il test e vuole solo essere umana pure lei, gli avversari non solo hanno ragione ma gli salvano anche i cosiddetti, e poi solitamente il noir anni trenta finisce col detective che iL MONDO E’ UMAMMERDA MA IO VADO AVANTI E MI FACCIO PAGARE E INTANTO CI HO GUADAGNATO UNA SCOPATA CON UNA CHE PUO’ O PUO’ NON AVERMI TRADITO, qui finisce col detective che fa la cosa giusta e piglia una cazzo di posizione XD e tipo parli con una che si beve noir anni trenta a colazione quindi pure lì era esattamente il tipo di roba che ci muoio sopra;
tldr: sto film fondamentalmente a parte quello che hai detto tu c’ha l’overachieving theme di cosa è umano e cosa non lo è e ti sta a dire che no non è quello che penseresti di primo acchitto, te lo fa vedere visivamente (con la gente che non comunica nella città sovraffollata con la pioggia opprimente che non finisce mai, l’eroe che è un pezzo della macchina marcia del sistema che vive in un buco nei bassifondi mentre quello che si arricchisce vendendo gli androidi è nella piramide dorata ecc), ti dice che il tuo protagonista Ha Torto mentre l’antagonista Ha Ragione e che cosiddette macchine programmate da umani per fare il lavoro sporco nelle colonie possono essere e sono umane come e quanto noi e quindi che non puoi arbitrariamente considerare subumano nessuno (tra l’altro c’è anche il discorso atroce del ‘muoiono dopo quattro anni così non sviluppano sentimenti’ e le intelligenze diverse applicate al tipo di replicante ie roy che è quello categoria A c’aveva il lavoro per cui gli serviva la materia grigia, quella che di base doveva fare il modello piacere ie farsi stuprare ma non per quelli che la toccano è B, quello che fa i lavori di forza è C quindi c’è pure il discorso che questi vengono categorizzati per presunta intelligenza basandosi sul loro uso ma poi quando vedi che hanno una personalità non conta un cazzo grazie retorica antiableist xD) e il protagonista non può avere ragione finché non si rende conto che tutto il suo sistema è lo schifo e non può avere la love story finché non si ribella al sistema, quindi la narrativa va contro a tutto quello che uno supporrebbe da uno schema classico scifi buoni vs cattivi (e dall’americanata media) e ok che ritorna al solito discorso libero arbitrio vs SEI QUELLO CHE TI DICONO CHE SEI A SECONDA DI COME NASCI ma ecco per me è declinato in maniera veramente splendida e per una santa volta so riusciti a fare finire l’arco ammazzando uno senza farla sembrare una morte gratuita 
nel senso, ultima cosa: di solito tutti sti redemption arc ammmericani calvinisti sono ‘ah pg cattivo si redime sacrificandosi perché tanto non c’è vita dopo la redenzione merda era e merda rimane’, ma con roy il punto è che a) la narrativa non gli chiede di redimersi perché gli dà ragione, b) il gesto che fa è assolutamente altruista e lo fa in quanto più umano dell’umano, c) sai benissimo da subito che al 99,9% questo ci lascia le penne perché ti dicono subito che stanno tutti vicini alla data di scadenza, quindi non è una cosa che narrativamente ti cade in testa tipo AH MA NON ME LO ASPETTO perché ovvio lo sappiamo tutti che capita, ma quando capita ci rimani dimmerda perché non deve farti piacere e la narrativa di nuovo ti sta a dire che lui ha avuto la morte dignitosa ma che non se la meritava per volere cose che tutti noi diamo per scontate, ergo in realtà quello che ha il redemption arc è deckard... ma intanto hanno usato la morte del suo foil narrativo in maniera intelligente per farti capire quanto il contesto sia ingiusto XD che di sti tempi è chiedere troppo XD
(posso smadonnare sul sequel per un anno facendo lo stesso discorso btw)
....... ok this was long e prob incoerente spero si capisca XD
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disastrosamenteca0tica · 5 years ago
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Covid-19
Alle ore 02:28 del mattino, mi è venuta voglia di esprimere tutto quello che mi è venuto in mente da questa quarantena.
All’inizio non potevo crederci che avrei passato 30 giorni della mia vita rinchiusa in casa, se qualcuno me lo avesse detto mesi fa mi sarebbe venuto un’attacco di panico, poiché sono sempre stata una persona che non voleva mai restare sola, che tra le mura della sua camera, non trovava un posto accogliente, ma un luogo che sbatteva in faccia tutte la problematiche della vita, un luogo, che se pur familiare, era una scatola soffocante per me. 
Nel mio percorso di vita, ho avuto molte problematiche ( come tutti del resto ), le più ostiche le ho superate, diciamo quelle che ritenevo più importanti da combattere, ma da due anni a questa parte sono riuscita sempre a rinchiudere, o a cercare di farlo, il mio senso di solitudine e non in amicizia, perché di quello non mi posso lamentare, ma in base alle relazioni amorose.
Mi distacco per un attimo da quest’ultimo argomento, che riprenderò dopo...
Ecco, stando sola per una settimana faccia a faccia con il mio inconscio, ho capito di aver scelto e fatto troppe cazzate, di aver rinunciato a dei desideri che ho da molto tempo e che non ho le palle di attuare.
Per dirvi, il fatto che vorrei fare un lungo viaggio in giro per qualche paese, come il Nepal o la Thailandia, ma aver troppa paura di farlo da sola, perché vorrei aver qualcuno che venisse con me, ma so che non ci sarà, ma non perché io abbia amici di merda, ma per via del fatto che non ho ancora trovato quella persona a cui piaccia questo tipo di avventura, e qui mi domando...Sei così dipendente da terzi per fare una cosa simile? Si può darsi, ma grazie a questa “vacanza” ho capito che potrei fare un pazzia del genere.
Ricollegandoci a questo, il bisogno di andarmene è sempre più forte, non trovo più stimoli, trovo tutto sempre monotono, soffocante...l’unica cosa che mi motiva è l’università, che mi sta appassionando, ma comunque finite le ore la, si ritorna sempre nella stessa identica monotonia del cazzo. 
Quei luoghi, che fino a poco tempo fa mi piacevano, mi creavano felicità, ora mi creano angoscia e non so nemmeno il motivo, o meglio, so che non voglio stare li perché mi porta sempre faccia a faccia con persone, ricordi o situazioni, che non mi fanno star bene e l’unica motivazione per cui ci vado sono i miei amici e la vicinanza. 
Ma questo è un problema che si risolverà poi, magari con il tempo, nuove conscenze e cambi d’umore...
Tornando al tema principe, che in realtà si collega anche agi altri, oggi mi è capitata una cosa nuova.
Oggi scopro che una persona con cui sono stata insieme, si è fidanzata, subito mi è salito un senso di tristezza, poi mi sono sentita come se mi stessi spaccano in due, perché in fondo in fondo, ho sempre sperato che ci sarebbe stato un finale per noi, e attenti, non ho detto buono, ma solo un finale, perché?..Perché non ho mai preteso un ritorno di fiamma, ma un sentimento così strano e così forte, non mi è capitato con nessuno, nemmeno con l’unica la persona che ho amato in vita mia.
Ed è ipocrita che io ora mi metta ha dire questo, perché?..Perché è stata l’unica persona che ho tradito in vita mia, l’unica per un unica volta, che mi è costata tanto, anche per l’andamento di quelle avvenire, o meglio di quelle che ho provato ad avere. 
E comunque, pur volendo tornare in dietro o sistemare tutto, ho sempre avuto chiara la situazione che non avrei avuto, in primis, le palle di riprovarci e poi, la consapevolezza che se pur ci sarei riuscita, in qualche modo astruso, sarebbe stata una relazione, da parte sua, di sfiducia e dalla mia, di senso discolpa, Ne sarebbe valsa la pena ? BOH ormai le speculazioni sono vane.
Ma dopo aver pensato a questo, con tanto di “ Tutti si fidanzano e io no...perché faccio cosi schifo alla gente, sono e sarò sempre segnata dal karma..” e altre varie autocommiserazioni, ho avuto un senso di libertà, come se un pezzo importante della mia storia si fosse chiuso e ho pensato, Perché?...Perchè evidentemente mi ha fatto talmente penare il fatto che volessi riavvicinarmi, che volessi scusarmi, spiegare meglio la situazione, ora lui è fidanzato avrà la sua vita, i la mia e se vuole il destino, avrò occasione di scusarmi in altro modo, senza sperare in qualcosa di più o di meno, solo per il piacere di farlo.
E quindi in toto conto, Elì, svegliati, alza il culo e non farti troppi film mentali, lascia il passato alle spalle, non ti ci fossilizzare per proteggerti, che tanto a far così ci hai solo rimesso.
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whitesweetmermaid · 6 years ago
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Non ho mai avuto un gran rapporto con il mio corpo, di base non c'è mai stato un periodo nel quale mi piacesse
Come non c'è ora, solo che la cosa sta diventando abbastanza difficile
Non lo so
Odio i miei capelli, li rivoglio lunghi, li vorrei meno fini, non li vorrei grassi che li ho lavati ieri e sono già da lavare e che schifo e li vorrei ricci. O almeno un po' mossi. Non quattro spaghetti attaccati così. E li rivoglio rossi.
Ho il naso di papà, che non è un gran naso
Lo vorrei piccino e adorabile
Vorrei meno guance, meno la faccia tonda
Le labbra un po' più grosse, un po' più grandi, con quella bella forma a cuoricino
Ecco forse gli occhi li salverei, mi è sempre piaciuto il fatto che non avessero un colore definito e sono grandi, almeno così dicono, ma se dovessi scegliere li vorrei di un bel verde, o azzurri
Vorrei meno tette, che le odio e sudo dieci volte di più con due reggiseni sportivi quando faccio palestra
E mi mettono a disagio in ogni situazione
A volte mi sembra di vedermi ancora come ero, mi sembra non ci sia differenza
Le gambe grosse, le braccia, i fianchi, la pancia sempre gonfissima
Poi salgo sulla bilancia e i numeri mi riportano un po' alla realtà
Ma non cambia che quello che vedo mi schifa
Ci provo a fingere non sia così, a fregarmene
Ma in questo periodo è più difficile delle altre volte
Vorrei strapparmi via la faccia e il resto
Mi uccide un po' tutto questo
#me
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toscanoirriverente · 6 years ago
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Il nuovo codice di Hammurabi
Su Le Monde, un gruppo di femministe dichiara che se un uomo viene accusato di stupro è colpevole fino a prova contraria. Lena Dunham, sceneggiatrice di Girls, ha dichiarato la stessa cosa: le donne non mentono sullo stupro. Quindi se un padre, un fratello o un figlio verranno accusati di molestie da una tizia qualsiasi, è giusto linciarlo su Twitter, farlo licenziare, calunniarlo, diffamarlo e possibilmente suicidarlo. Sarà bellissimo andare da un uomo di 66 anni e dirgli “papà, hai 12 ore per dimostrare a degli sconosciuti che 30 anni fa non hai toccato il culo a una tizia, altrimenti ti toglieranno la pensione”. Sperando non crepi subito d’infarto come con gli errori di Equitalia, sarà spassoso.
Mi colpisce come né le femministe di Le Monde né la Dunham abbiano spiegato perché questo principio si debba applicare solo ai casi di molestia/stupro e non, che so, a quelli di tortura. O di omicidio. O strage. Vorrei inoltre far notare che se un tizio stupra una donna, conoscendo questo principio gli conviene ucciderla; se lei è morta avrà un processo equo e assistenza legale. Se lei è viva, no. Portentoso, ‘sto principio.
Altra domanda: se la stupratrice/molestatrice è una donna, magari di un’altra donna, o di un bambino? Anche lei è colpevole fino a prova contraria? Perché è risaputo che anche le donne stuprano, torturano, uccidono e sfregiano uomini, donne e bambini. In quel caso come funziona? La parola di un uomo vale meno che quella di una donna? E quella di un bambino?
Lo so, lo so, sto facendo il cockblocker. So che queste domande complicano una cosa “semplicissima” e tolgono alla folla il suo giusto e meritato linciaggio quotidiano, ma sto ancora imparando come funziona il tribunale popolare Social. Faccio domande a questi nuovi Savonarola e mi sento come quando discutevo con certi elettori che rispondevano “ma va làààà, va làààà, checcivuole a gestire un comuneeeee?”.
E non ho nemmeno finito. Perché con tutto il rispetto del mondo e senza voler sembrare antipatico… c’è un altro problema non trascurabile, in questo nascente tribunale sociale.
Ecco, lungi da me rovinare tutta quest’allegra giustizia sommaria, ma in agosto una ragazza ha accusato un collega di Lena Dunham di averla molestata. Lena ha risposto che la ragazza certamente mentiva. Per questa dichiarazione è stata massacrata dal tribunale social, nonostante si sia scusata per aver dubitato. Tolta Lena, ci sarebbe la storia della tizia che non aveva voglia di pagare il taxi e se n’è andata minacciando di accusarlo di molestie. Un altro tassista è stato salvato dall’app per lo stesso scherzo. E un altro ancora. A Milano un tassista sudamericano ha violentato la turista canadah, no. Sempre a Milano, la studentessa violentata sul treno da due marocchini si era inventata tutto. C’è poi il caso dello stupro di Chiaia denunciato su Facebook, proposte di giustizia sommaria e poi era una palla. Un’altra ha mentito perché voleva 1000 euro al mese da un imprenditore. Una chiede un passaggio, la carichi e scatta il ricatto. Anche le prostitute lo fanno. A Torino c’è stata la ragazza violentata dai ROM; guerriglia urbana, poi scusate, mentivo. Una donna ha accusato il suo ex fidanzato di stupro ”per farlo tornare da lei”. Idea che ha avuto anche un’altra donna a Olbia. Dev’essere tipo “prima Badoo, dopo #metoo”.
Un’altra, per nascondere al marito l’amante, lo ha fatto incarcerare per un anno dicendo che l’aveva violentata. Un’altra l’ha detto per attirare l’attenzione. Una, per nascondere i succhiotti che le ha lasciato l’amante, racconta di essere stata violentata. Messa alle strette confessa di “avere fatto una cavolata”. Una passa la notte con l’amante, poi si presenta dalla polizia millantando di essere stata sequestrata e stuprata. Non è la sola a usare il trucco per coprire tradimenti. Ci sono poi gli immancabili 2/3 immigrati stupratori; roboanti dichiarazioni di Salvini, immancabile “castrazione chimica”, poi non è vero. Notare che, stando ai Carabinieri, la signora era “non nuova a questo genere di reati”. Un’altra non ha il coraggio di dire al marito che fa la pornostar e dice che “è stata costretta da un conoscente”: falso. Un’altra s’è inventata tutto per far ingelosire il fidanzato. Una ha accusato il vicino di casa di stupro per liberarsene. Un’altra ha speso tutti i soldi, non ha avuto il coraggio di dirlo al marito e ha inventato stupro e rapina. Un’altra lo ha fatto per non pagare il biglietto del treno. E l’ha fatto anche un’altra. In Inghilterra, una tizia nel corso degli anni ha rovinato la vita a ben 15 uomini, finché qualcuno non si è accorto che nessuno l’aveva mai stuprata. Che ne è degli uomini, dopo? A me viene in mente Mohammed Fikri, intercettato durante l’indagine su Yara Gambirasio. La brava gente si è premurata di rovinargli la vita. Poi è saltato fuori che non c’entrava nulla. C’è anche il caso di un italiano mandato in galera dalla compagna un mese per niente. Per. Niente.
Ora: sono assolutamente certo i casi qui sopra siano rarissimi e isolati. O forse non così tanto. Ma sempre attenendosi ai numeri: quanti uomini innocenti è accettabile rovinare, per saziare la sete di giustizialismo della casalinga di Voghera? Uno su mille? Su diecimila? Soprattutto: chi ha deciso che una massa dietro una tastiera ha il diritto di giudicare e punire qualcuno? Chi gli ha dato il potere di farlo?
Bè, ammettiamolo: noi media, opinionisti e webstar di stocazzo abbiamo una discreta responsabilità.
Non facciamo muro contro la falange d’immondizia umana che si indigna per noia e lincia per divertimento; anzi, ne abbiamo un terrore assoluto. Tanto da legittimare calunnie e diffamazioni coi vari “l’opinione della rete”, “il web insorge”, “la rete si indigna”. Non sono opinioni, sono calunnie e diffamazioni, ossia reati. Il terrore di essere bollati come sessisti ci ha portati a presumere la colpevolezza in base all’organo sessuale. Abbiamo accettato il linciaggio dei colpevoli, e questo ha legittimato il linciaggio dei presunti colpevoli, in un delirio giustizialista collettivo dove chi cerca di moderare i toni è bollato come complice, e per dimostrare di avere la coscienza pulita bisogna fare a gara a chi è più intransigente; chiedere punizioni via via più severe fino alle immancabili torture, mutilazioni, esecuzioni.
Forse, prima di ritornare al codice di Hammurabi, sarebbe il caso di tirare fuori i coglioni e opporsi. Non partecipare a questo schifo. Non fare nomi. Non dare visibilità ai linciaggi. Boicottare, bloccare e impedire ai capipopolo di crearne altri. In una parola, comportarci da persone responsabili e non da bestie emotive.
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caro migliore amico
a te che mi hai giurato d'amare da sempre,
e me lo hai dimostrato in tutti i modi possibili, dalla prima volta quando quel giorno di scuola inciapai tra le tue braccia.
detto così, sembra l'inizio di una storia d'amore.
ma mi duole dirlo, la nostra non lo è...
sei stato, sei e sarai sempre la persona più importante della mia vita.
per tutto e per qualunque cosa, io sono sempre qui per te. per noi.
e ti devo mille grazie, infiniti ed eterni.
ma è proprio per questo mio grande affetto ed amore fraterno dei tuoi confronti, che ti ho spezzato il cuore spezzandolo un po anche a me.
e ti chiedo perdono, fino a quando non sarai davvero felice, ed anche dopo forse ti chiederò scusa.
quando quel ragazzo di cui ero innamorata da due anni, come è successo a te, mi ha spezzato il cuore; non avrei mai creduto un giorno di poter avere la forza di compiere quello stesso gesto. lui mi aveva distrutta, ed io non avrei mai voluto vedere nessuno in quelle mie stesse condizioni.
fino a quella mattina sembrava andare tutto bene, non volevo farti preoccupare. pensavo di parlare coi miei dubbi per un altro, o altri due giorni. poi però ho capito dov'è che sbagliavo. sbagliavo nel pensare egoisticamente di continuare a illuderti, prendendo tempo magari per pensare, per come fino a quel momento non mi ero resa conto di fare anche con me stessa. ci ho illusi entrambi, ti rendi conto? ma lo vedi che persona sono? che stronza egoista bambina capricciosa? faccio pena, schifo da sola per come ho osato comportarmi. lo piangerei ogni giorno, ma anche le lacrime hanno il loro tempo e comprendi che non posso usare tutto quello che mi resta da vivere per queste.
dentro di me era un po che aleggiava un dubbio, il mix tra la certezza di volerti al mio fianco sempre nella mia vita, perché ho bisogno te in essa, e l'incertezza di amarti davvero per come era giusto fare. un mix orribile, mi metteva preoccupazione. preoccupazione prima di tutto per te, poi per me stessa.
ma il destino gira, ci sorprende sempre in un modo o nell'altro. un cuore oggi l'ho spezzato anch'io, più volte, senza ritegno e considerazione della promessa fatta a me stessa in passato.
quel cuore era il tuo.
per il fottuto bene che ti voglio, al punto di dar la vita per te, ho voluto provare a capire se anche da parte mia ci fosse altro.
ma non c'era, nonostante averlo provato, cercato, non era la stessa cosa che tu purtroppo provavi per me.
ma avrei davvero voluto amarti per almeno la metà di come tu riuscivi a fare in ogni mio piccolo difetto ed imperfezione.
lo avrei voluto davvero...
oggi non è passato molto tempo, ma caro migliore amico; tu per me sei la persona più fondamentale nella mia vita.
ma per quanto abbia bisogno di te in quest'ultima, non posso egoisticamente prendere che tu ne faccia parte al costo di soffrire. non me lo perdonerei mai, non mi perdono già adesso.
perciò, se vorrai ancora pause o tempo basterà dirmelo. ed io non ti scriverò finchè non mi darai il consenso, non ti cercherò per provare ad aiutarti e chiederò agli altri notizie su di te.
gli chiedo come stai e non mi rispondono convinti. mi odiano un po, ed anch'io lo faccio per quel che ti ho fatto.
cambiano sguardo o lo tengono fisso e severo, non li biasimo, è normale. li capisco, hanno ragione. anche se non sanno tutto, ne hanno ogni diritto. vorrei guardarmi anch'io in quel modo, ricordarmi quanto ti ho fatto male.
ci abbiamo provato anche se abbiamo fallito. per colpa mia, perché io ho fallito. ma far della sincerità del cuore una colpa, forse è quasi sicuramente sbagliato. comunque sia, ci abbiamo provato e non lo rimpiangerò mai. purtroppo è andata male.
forse un giorno ti amerò davvero per come hai saputo fare mentre tu sarai già andato avanti, sarebbe ironico...
ma mi duole non averti saputo amare al tempo per come tu riuscivi senza fatica a fare da sempre. ma non lo rimpiango il momento in cui, per base di onestà, sono stata del tutto sincera con te.
tu sei una delle, se non la, persone più importanti che abbia mai potuto vivere.
ti auguro di essere felice un giorno, anche senza di me se serve. di trovare il meglio, di innamorarti e soffrirne meno. ti auguro una vita dove tu sappia amare ancora dopo tutto questo tempo.
sei fantastico, speciale in tutto ciò che sei. sei meraviglioso ed io ne ho avuto la certezza sempre.
questa è la mia unica lettera per te oggi, perché non potrei scriver meno e più di quel che il cuore ha già scritto per me in questo testo.
a te quindi
che sei il mio migliore amico, a cui vorrò sempre bene in ogni modo. sappilo e ricordalo, ricordami e ricordaci. anche perché come noi di amici, ce ne sono davvero pochissimi.
grazie di tutto
e perdonami. perdonami se puoi, se riesci, se vuoi, se desideri.
perdonami, per sempre tua
scema.
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switchtokryptonite · 6 years ago
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trentun anni e ventun piani
Marzo 2016, questa è la data dell’ultima volta che ho scritto qualcosa su questo blog. Ho speso così tanto tempo a fare il layout di questa pagina che mi ricorda un po’ camera mia a Milano, tanto infantile quanto vissuta, e forse proprio per non dimenticarla che non ho mai avuto la voglia di cambiarli entrambi.
Più di due anni e sono dal lato strano dei trenta.
E ora ho trentun anni e mi ritrovo ad osservare la città di Guangzhou dal mio appartamento al ventunesimo piano.
Sono cambiate tante cose, forse non abbastanza, o forse troppe, dipende a che peso si da ai cambiamenti.
Ho imparato col tempo a viaggiare come palliativo allo stress, mi rilassa, ho avuto l’anno dei treni, l’anno dei Blablacar, l’anno dei FlixBus e l’anno del qualunque cosa abbia un motore. Avrei dovuto capirlo da tempo che sarebbe diventata una parte di me.
Ce l’ho fatta? Sono soddisfatto della mia carriera? Posso dirlo? No, non penso proprio, e forse è anche per questo motivo che mi sono ritrovato a riversare qualche parola in questo blog.
Lavoro nel mondo dei videogiochi, era uno dei miei sogni, almeno penso, o se non lo era, lo è diventato col tempo, e sicuramente la cosa mi piace e sinceramente si addice al mio modo di lavorare. Mi sono fatto un po’ di esperienze e ho costruito una carriera che non mi sarei aspettato. Posso dire di essere uno UX Designer esperto e la cosa a volte mi mette ancora qualche dubbio.
Ciò che non avevo calcolato è che ad una certa, non si accettano più compromessi e si iniziano a fare scelte pesanti, in realtà ogni cosa sembra cruciale quando in fondo non lo è, solo che la spada dei trent’anni ha questa magica capacità di dare un peso assurdo a tutto.
Qualche mese mi è capitata tra le mani la possibilità di andarmene dalla Cina, che ammetto è attualmente uno dei miei obiettivi principali. Posso dirlo finalmente, vivere in una metropoli, fare la bella vita e avere una paga ben retribuita, NON GARANTISCE la felicità. Cinicamente aiuta molto ma non la garantisce, ed è per questo che ho deciso di trovare altro ma di non tornare in Italia. 
Tornando a noi, ho avuto la possibilità di andarmene in Canada, con una paga superiore e in una città altrettanto importante, ma appena ho scoperto il tipo di azienda che era, mi sono soffermato qualche giorno e mi sono chiesto, sacrificare il proprio tempo, facendo qualcosa che non è che mi faccia impazzire, ne vale davvero la pena? La “mia” risposta è stata no. Al momento del rifiuto, mi sono dato dell’imbecille da solo, sopratutto se ripenso alla paga, ma ogni giorno che passava mi sono sentito sempre più sicuro e convinto di aver fatto la scelta giusta. A essere onesti, qua “si potrebbe” mettere da parte molto, ma purtroppo a una certa arrivano dei doveri da adulti, tipo un mutuo in Italia e il dentista.
Cosa non funziona qua in Cina? Qua non è il male, ma non si combatte il veleno con il veleno, non potevo accettare il lavoro in quell’azienda (definita da alcuni miei amici “il male”) bisogna pazientare e aspettare che arrivi la porta giusta, che poi magari non arriva eh, però sono scelte.
Mi ritrovo a trentun anni, con una famiglia che dipende da me (dal mio conto in banca perennemente vuoto) e con l’ansia di non riuscire più a decidere egoisticamente per me stesso, cosa io voglia davvero. 
Quante volte avrei voluto dire, eh vabbè dai ciccia, io ora mi tengo tutto per me e ciao, però quella parte di me che ci tiene non ce la fa mai, e mi ritrovo a rinunciare a risparmi e a grattare il fondo del conto per iperventilare in  un viaggio a caso, senza posti a sedere per farmi passare l’ansia da vita.
La Cina è il futuro, ma il mio futuro anteriore, promette molto ma io non riesco a immaginare me stesso che affonda le sue radici qui. 
Vivendo all’estero ho scoperto di essere troppo “Italiano”, e la cosa che all’inizio la percepivo come un fastidio, è diventata poi motivo di orgoglio, e non parlo dell’odio verso la pizza con l’ananas o durian, ma di quanto a mi manchino certe piccolezze che davo per scontato a casa, tipo le strette di mano quelle forti, guardarsi negli occhi quando si parla o il sushi all you can eat.
Un altro lato che ho sviluppato in questi anni, è la pretesa di avere gente che mi sappia dare una motivazione precisa, costruttiva riguardo alle critiche. Ho avuto una discussione con il mio “capo” (ancora non capisco come sia strutturata questa azienda, e siamo quasi ad un anno eh...), in cui diceva che il mio lavoro non era buono e che si aspetta di più, io gli ho chiesto gentilmente di spiegarmi cosa non andava e cosa potessi migliorare di preciso, ma la risposta non mi è arrivata, ha iniziato a farmi esempi di colleghi che stanno in ufficio fino a mezzanotte (straordinari non retribuiti) e di come ci tenessero al progetto. Spezzando una lancia a mio favore, io ho risposto dicendo che i miei lavori venivano per la maggior parte selezionati tra le varie proposte e che se  riuscivo a farli entro l’orario di lavoro, non mi sembrava mai necessario rimanere oltre. Ovviamente il “capo” si è indignato e ha iniziato a darmi contro, dicendomi che questo mio atteggiamento non andava bene, e che che così facendo non mi avrebbero rinnovato a fine anno. Armato di calma e un sorriso smagliante gli ho detto che in ogni caso la qualità del lavoro non si giudica in base a quanto uno sta in ufficio, ma in base alla bontà del risultato. Ovviamente ho scatenato l’ira funesta insita in lui, dicendomi che fosse ora di iniziare a trovare un nuovo lavoro, perché non mi avrebbe rinnovato.
La verità è che non mi importava davvero, gli ho sorriso e gli ho detto “ok” facendo spallucce, lasciando lui e la mia traduttrice (sì, parliamo attraverso la traduttrice) a bocca aperta.
I miei colleghi in seguito mi hanno spiegato, che ho interpretato male il motivo del suo richiamo (cosa c’era da interpretare non so). In Cina il capo non ti dirà mai, “ottimo lavoro”, ma ti dirà che hai fatto tendenzialmente schifo e che dovrai impegnarti di più (davvero, è una prassi). La risposta tipica cinese sarebbe dovuta essere “va bene capo, mi perdoni. prometto che rimarrò oltre l’orario di lavoro e mi impegnerò di più per farla felice”. Questo è quelle che si aspettava lui o almeno così i miei colleghi mi hanno spiegato. Io invece mi sa che l’ho mandato in crisi, ma la verità è che così, senza una critica costruttiva, non sono riuscito a prenderlo sul serio, nemmeno ora.
La verità è che rinnovo o non, a fine contratto vorrei comunque andarmene o fare una pausa, anche se la parola pausa mi mette paura, forse non saprei nemmeno come godermi una vera pausa. Non faccio una vera pausa da cinque anni penso, e non è che durante gli anni da universitario l’avessi mai fatta per davvero.
Penso sia arrivato il momento di iniziare davvero a costruire qualcosa, il “con chi” lo si scoprirà più avanti, ho trovato me stesso nel frattempo, e ho le basi per costruire qualcosa.
Chi lo sa dove sarò tra qualche mese, per ora seguo l’istinto di sopravvivenza e si vedrà.
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hervorstuff · 2 years ago
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sfogo - rabbia e frustrazione, ansia.
Volevo tanto entrarci per aiutare me stessa nella conoscenza, affinché potessi migliorarmi e conoscere sempre più cose, e per poi aiutare gli altri. Un percorso che già nel nome fa riflettere "psicologia clinica" ma che in realtà produce solo paradossi, perché sì è paradossale che un percorso nato per aiutare il prossimo sia motivo di declino emotivo-cognitivo e di crisi d'ansia, che teoricamente attraverso questo corso un minimi dovresti imparare a gestire. Ho sempre amato questo percorso, anche quando, dopo averlo iniziato, ho scoperto che mi attendevano 10 anni di base di studio, anche quando sono venuta a conoscenza che portasse facilmente a precarietà, povertà (quantomeno iniziale), stress, frustrazione. Io l'ho amato comunque perché è così che funziono: una volta individuata qualcosa che mi piace, mi rapisce perché di base a me non piace quasi un cazzo (cioè, ho molti interessi, ma sono più dei "passatempi", niente di base riesce a farmi emozionare dopo ore di studio e farmi dire "sì, ora cerco anche questa cosa in più, per approfondire"), e mi fisso. Sono una testarda di merda, ho un'indole che a volte ammiro, ma che la maggior parte delle volte detesto perché non faccio altro che intestardirmi, provarci con tutte le mie energie, bruciare per raggiungere l'obiettivo e alla fine fare la fine di Icaro. Odio non aver dato ascolto a nessuno, odio trovare tutt'ora giuste le motivazioni per cui non ho dato ascolto a nessuno, da brava testarda rincoglionita fissata di merda che sono. Come al solito, devo prima sbattere la testa e poi realizzare la minchiata che ho fatto (o in alternativa uso troppo la testa, ci penso troppo, faccio una scelta puramente razionale e me ne pento amaramente). Ciò non toglie quanto il sistema universitario italiano mi faccia sempre più schifo. Ci dovrebbe essere meritocrazia, ma quella vera e non quella secondo cui chi più copia, ha un punteggio più alto e sfanculizza tutti gli altri scemi che perdono testa e tempo a studiare. Ci vorrebbe più chiarezza e meno tossicità negli ambienti universitari: tra graduatorie che non escono mai, compagni che non condividono un cazzo e prof che se ne sbattono i coglioni di chi, per motivi legati alla burocrazia universitaria e alla situazione caro-affitto / non c'è un cazzo in affitto, non riesce a seguire in presenza, io inizio a credere che prima di diventare un clinico, sarò paziente per tanti anni A CAUSA DELLO STRESS E DEL MIO CAZZO DI GAD + MDD AGGRAVATO DALLE VOSTRE POLITICHE DI MERDA.
Sono davvero amareggiata, questo sarebbe dovuto essere l'anno della rinascita e invece mi ritrovo nell'ennesima situazione di stallo a piangere perché tutto è totalmente fuori dal mio possibile controllo, ormai.
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len-scrive · 6 years ago
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Incorrectly Female
Ho guardato lo spettacolo di Hannah Gadsby, Nanette.
L’ho cominciato per curiosità, perché ne avevo letto solo recensioni negative da parte di uomini. E quasi tutti recensivano negativamente il TRAILER.
Questo mi ha fatto pensare che fossero prevenuti, che si arrogassero il diritto di parlare in anticipo perché lei doveva essere una scomoda.
Ho fatto bene a basare la mia voglia di vederlo su queste considerazioni, ogni tanto parlarne male fa bene sul serio.
Ne sono uscita colpita, affondata, massacrata.
Ho riso come una pazza e ho pianto anche di più.
È uno spettacolo che attira l’attenzione suscitando proprio quelle due reazioni, come Hannah stessa spiega nel corso del suo lungo monologo.
Non so com’è, ma mi sono ritrovata in almeno metà delle cose che diceva, nell’altra metà mi sono semplicemente immedesimata.
Hannah parla della sua difficoltà di dichiararsi omosessuale in un’epoca in cui già le cose erano difficili e nel suo paese ancora di più. Hannah parla dell’essere diversi e sentirsi in colpa per questo. Parla di uomini, sensibilità, abuso e perfino religione e arte.
Essenzialmente parla, facendoci anche sorridere, di come sia semplice mettere sul ridere la tua vita per lungo tempo (come lei ha fatto) senza rendersi conto che così facendo ci si sta umiliando. Dice che non prendersi sul serio va bene, ma fino ad un certo punto, quello in cui si passa il confine tra umiltà e umiliazione.
Lei dice di voler lasciare la vita da stand-up comedian perché ha basato la sua carriera sull’autoironia accorgendosi troppo tardi di aver utilizzato questa cosa per far finta che il suo difficile passato non fosse poi così importante (not a big deal).
Ecco perché in più di un’ora di spettacolo riesce a fondere egregiamente emozioni diverse: il divertimento dato dal racconto comico di certe situazioni o comportamenti e la tristezza e la rabbia date dal racconto delle stesse togliendo loro proprio il lato ironico.
Perché è importante.
Dice un cosa fondamentale. Che il comico per far ridere deve mantenere la tensione, e che la tensione si mantiene solo fino a metà del racconto.
Quello fa ridere. Fermarsi a metà.
Lei fa notare come finire lo stesso racconto, portarlo fino alla sua conclusione, toglie tutto il ridicolo.
Ed è quello che ti fa pensare che la tua vita possa essere presa sul ridere: non raccontarla tutta. Cosa che lei non vuole più fare.
Ho ascoltato fino in fondo il suo racconto e la sua è stata una vita difficile, eccome.
Quindi mi chiedo qui e lì durante lo spettacolo come faccio io ad essere danneggiata, se vogliamo toccata, alla stesso modo pur non avendo avuto la sua stessa vita.
Credo che questo spettacolo sia molto utile a mettersi nei panni di qualcun altro, ad imparare cosa voglia dire vivere una vita diversa dalla tua.
Quindi forse può essere empatia. Ma io la penso esattamente come lei, esattamente.
Allora forse non è solo questione delle esperienze che TU fai nella vita, è anche questione di quelle che fanno gli altri. Puoi essere incazzato se una cosa è successa ad un’altra persona, puoi essere incazzato come se fosse successa a te.
Oppure ancora… Lei parla di sensibilità.
Lei dice che per tutta la vita si è sentita dire “Smettila di essere così sensibile, Hannah!”
E con la sua maturità di adesso dice che è proprio la sua sensibilità la sua più grande forza.
La gente ti dice di non essere sensibile credendo di farti un favore. Credendo di darti un consiglio per il tuo bene.
Apprezzo lo sforzo, io me lo sento dire in continuazione.
Ma a parte che è una stronzata chiedere ad una persona di non essere sensibile, una stronzata che mostra in particolare quanta poca capacità di immedesimarsi ha il genio che lo chiede, a parte quello la sensibilità non è debolezza.
Anzi.
Il fatto che io non possa evitare di sentire le cose come le sento mi rende più forte. Più ferita e ammaccata, ma più forte.
Una delle frasi che più mi ha colpito è stata
“I don’t think even lesbian is the right identity fit for me. I identify as TIRED.”
Intendendo che è stanca che tutto giri attorno al sesso, sia quello di appartenenza che quello che ti attira.
È stanca del fatto che la scambiano per un uomo e dopo averlo fatto si scusano.
Questa è una cosa che mi ha sempre lasciato basita. L’importanza che la gente dà al sesso a cui appartieni.
L’importanza che ha il mettere un cappellino rosa o azzurro al tuo bambino indistinguibile, perché la gente deve subito capire di che sesso è.
Perché quello definirà tutta la sua vita.
Posso solo dire per quanto mi riguarda che non mi frega niente di che sesso sono, che quello non definisce affatto chi sono, e soprattutto che potrebbero dirmi domani che avrò un altro sesso ed io sarei perfettamente tranquilla con la svolta degli eventi. L’importante è che è il MIO corpo e che posso farci ciò che voglio. E che mi sia utile.
Del resto me ne frega zero.
Hannah dice che la maggior parte dei suoi problemi sono stati dati dal fatto che è percepita come Incorrectly Female.
Questa considerazione mi ha annichilita.
Non avrei saputo dirlo meglio e sono solo due parole.
Mi fa ridere il fatto che io non ho mai avuto e mai avrò i problemi di Hannah perché? Perché io non sono percepita come Incorrectly Female.
Eppure non so se si possa trovare una più Incorrectly Female di me.
E mi fa incazzare il fatto che si debbano subire abusi e ingiustizie per essere diversi fisicamente. Ma se appari normale le cose ti diventano più semplici. Che schifo.
It’s dangerous to be different.
Certo, perché le persone ti percepiscono come un pericolo per la loro tranquilla vita normale.
Ed è così ingiusto che io raderei al suolo il mondo solo per questo.
Io sono percepita come normale… E bisognerebbe parlarmi per due secondi per capire quanto questa percezione sia sbagliata.
Sto parlando delle idee sulla vita, sulla morte, sulla famiglia, sulla religione… Non sto parlando di malattie mentali che ti portano ad essere un pericolo, né di sociopatia o altro.
Solo di diversità.
Non si sentirà mai uscire dalla mia bocca frasi sull’importanza di avere una famiglia, su quanto è bello riprodursi o su come si debba preparare il mondo per le future generazioni.
Ciò che penso io è quanto di più lontano dalla normalità femminile come la si intende. Ma assomiglio ad una donna quindi come una donna ho il diritto di essere trattata.
Che poi anche lì… È un vantaggio?
Eh no, non proprio.
Hannah dice “Se sono sola in una stanza piena di uomini ho paura e se voi pensate che questa non sia la regola allora vuol dire che non parlate con le donne della vostra vita.”
Io ho paura in una stanza piena di uomini. Eccome.
Ed è giusto questo?
Anche per gli uomini stessi, quelli che si lamentano del fatto che questo spettacolo non fa ridere e che è solo un attacco agli uomini etero (e non lo è), vi piace l’idea che le donne vi temano?
Non c’è orgoglio né soddisfazione nel rendere un’altra persona indifesa e spaventata, come si può godere di qualcosa del genere?
E in questo caso non sto parlando degli schifosi maniaci abusivi e psicopatici, sto parlando di tutti gli altri.
Perché il maniaco è ovvio che prova piacere nell’umiliazione e nell’abuso, ma gli altri dovrebbero indignarsi al solo pensiero che una parte della popolazione mondiale li avverte come una minaccia per deformazione culturale. Anni e anni di convinzioni che gli uomini per primi dovrebbero trovare disgustose.
Ahimè, in molti invece le alimentano e anche l’animo più nobile sotto sotto, nel nucleo del suo cuore, un po’ ci gode a sapere che la definizione sesso forte è per lui. Che se c’è da pagare qualcuno di più per un lavoro, lui ha quella possibilità. Che il potere che ha sull’altro sesso è dato per scontato.
Sono dati di fatto, non sto facendo propaganda femminista così come non la fa Hannah che infatti aggiunge una cosa con la quale sono d’accordissimo.
Che le donne non sono meglio, che sono pronte allo stesso tipo di cattiveria da essere umano solo forse con danni fisici minori rispetto a quella sfoderata da un uomo.
Alla base di tutto sta il fatto che riusciamo ad essere stronzi esseri umani che non sanno mettersi nei panni degli altri.
“We think is more important to be right than it is to appeal to that humanity of people we disagree with.”
Ed è terribilmente vero.
In ogni contesto non c’è mai la voglia solo di confrontarsi e parlare, per il gusto di condividere idee. No, c’è il bisogno fortissimo di dire Io ho ragione e tu torto, di schiacciare, sopprimere ogni idea che sia diversa.
Penso inevitabilmente alle stronzate che sento ogni giorno, ma che sono ritenute accettabili solo perché le pensa la maggioranza.
Se la maggioranza pensa che bisogna sposarsi prima dei trent’anni… Beh, sarà una legge, no?
Se la maggioranza pensa che sia corretta una frase come, Fai un figlio altrimenti chi si prenderà cura di te da vecchio?
Allora sarà legge, no?
No, non lo è.
E se su queste convinzioni si basava la nostra vita centinaia di anni fa (soprattutto quella femminile), fatevi un paio di domande su come sia possibile che in centinaia d’anni ancora si discuta su come devono vivere la vita GLI ALTRI.
Qui non si parla di persone che scendono in piazza a dire “Io mi sposo prima dei trent’anni impeditemelo!”
Che cavolo, fallo pure, ci mancherebbe.
Ci sono persone che vorrebbero imporlo agli altri. Perché loro hanno ragione e la minoranza ha torto.
Gli omosessuali non si devono sposare, non devono adottare, il sesso di appartenenza lo decidiamo noi in base a come appari, se appari in un modo e sei qualcos’altro vuol dire che cerchi di fregarci, sei pericoloso, le donne non devono abortire, bisogna fare più figli, le donne stanno a casa a tirare su i figli, gli uomini lavorano, le donne non si devono vestire in un certo modo se non vogliono essere stuprate…
Questi sono discorsi che sento ogni giorno. E ogni giorno sempre di più mi rendo conto che un posto in questo mondo per me non c’è.
Un’altra cosa che condivido con Hannah, che dice anche lei.
Non ho posto qui perché tutto ciò mi fa uno schifo che non posso esprimere a parole, le parole falliscono miseramente di fronte ad una sensazione di sbigottimento totale.
Mi stupisco del fatto che concetti così terrificanti fanno parte della vita e dei pensieri di alcune persone, davvero.
Che lì fuori c’è gente che pensa queste cose e ha la possibilità di dirle in televisione, nei libri, alla radio, nei film.
Mentre gente come Hannah fa uno spettacolo solo, magari viene derisa ancora prima di aver cominciato a parlare, cerca di fare telefilm innovativi e viene subito cancellata, dirige film che vengono considerati di nicchia e non fanno abbastanza soldi, scrive libri che non vengono pubblicati.
Mi sento molto sola.
Non parlo del contatto umano, eh? Parlo di condivisione di idee.
Sono felice per tutte le dimostrazioni che vedo del fatto che persone che non vogliono piegarsi ad uno schema di cose stabilito nel Medioevo esistono e fanno sentire le loro flebili voci. Spero prima o poi serva.
Ma io personalmente mi sento dire ogni giorno frasi tipo Io sono uguale a te, sono come te.
E dentro di me penso no, no per niente, non sei come me.
Il che va benissimo, ma comprendo Hannah quando dice che non c’è posto per lei.
Siamo tutti diversi e sarebbe stupendo se tutti accettassero la cosa come una benedizione e non come un affronto. Però quando le basi stesse dell’esistenza sono poggiate su idee completamente diverse ci sono persone che si ritrovano più sole di altre nei pensieri.
Io so per certo che sarò sempre emarginata per avere l’ardire di vivere come vivo e che mi ritroverò sempre in un angolo quando le persone con cui vado d’accordo per un po’ di tempo inevitabilmente faranno delle scelte che le porteranno lontane da me.
È dura vivere con la consapevolezza che tutte, tutte le persone a cui vuoi bene prima o poi penseranno di te che sei strana, che sei sbagliata.
Non dovrebbe succedere, perché basterebbe solo evolversi ognuno nella propria direzione, ma capita sempre nella mia vita di ritrovarmi con qualcuno che si sposa e ha figli e subito dopo cerca di sistemare me credendo che quella sia un’opera di bene, non concependo neanche per un istante che la felicità che loro provano col compagno/a e con la famiglia non è felicità per me.
Ho sempre avuto amiche diverse, come me, fino a che non lo sono più state e hanno deciso che non dovevo più esserlo neanche io.
Parlavo di idee scomode da non dire ad alta voce. Ecco una mia confessione.
Quando un amico o un parente mi comunica la nascita di un figlio io faccio auguri e complimenti. Perché?
Perché così vuole il buon gusto.
Dentro di me penso che la loro vita sia appena diventata triste, condannata, senza via d’uscita, buia.
Lo penso tutte le sante volte. Non sono felice per loro, ma devo esserlo e faccio finta di esserlo.
Un omofobo che non approva il matrimonio gay, che non vuole che genitori gay adottino e che ritiene l’omosessualità un peccato contro natura può urlare queste cose ai quattro venti senza troppe ripercussioni.
Io che ammetto la mia visione della famiglia come una specie di condanna a morte verrei considerata una Incorrectly Female.
So per certo che anche le persone che mi vogliono bene, loro stesse, guarderebbero con meno sbigottimento l’omofobo.
Ho più volte detto a mio fratello che il giorno in cui decidesse di avere un figlio io non sarò sua zia, non nei fatti, non nella pratica. Di sangue forse, ma chi se ne frega di quello? Non è quello che fa una famiglia.
Lo dico e lo ripeto e tutti fanno spallucce pensando che di fronte ad un bambino poi chiunque si scioglie, che parlo così perché quel bambino ancora non esiste. E so che quando si renderanno conto che non parlavo tanto per parlare, perché è una cosa che non ho mai fatto nella mia vita, sarò ancora più sola al mondo e guardata con orrore dalla mia stessa famiglia.
Incorrectly Female, eccome.
E beh, insomma, a questo mi fa pensare lo spettacolo di Hannah. A quanto il mondo sia ingiusto perché impone regole anche su cose che non dovrebbero assolutamente averne: l’amore, l’identità, le scelte di vita. A quanto sia ingiusto trattare in modo diametralmente opposto alcune persone solo perché si azzardano a non vivere esattamente come vivi tu. A quanto sia bellissimo ma spaventoso essere diversi.
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tempestainmare · 2 years ago
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Come cosa
Ma cosa succede?
Ti sei inventato tutto.
Ennesima Aulin e posta del cuore STRAPIENA.
PRIMO MESSAGGIO
Cara mai lei, ho scelto una vita OLTRE e mi sta bene. Voglio però essere come te. A casa a fare il figlio di famiglia. Mamma e babbo sempre con me. Eterno 15enne.
Caro G. non faccio la figlia di famiglia. La mattina vado a lavorare, quella cosa che vi fa schifo assai, neanche a pronunciarla nel vostro Lilliput mondo. Non sarà il fisso, ma mobile GRAZIA. Chi ti dice certe cose? Non sono mai stata figlia di famiglia. Unica si, grazie il padre mi è morto. Se non vuoi procreare con un altro uomo allora nucleo familiare figli 1. Eternamente ora. No, il tempo DEVE scorrere. Accetto il passato e MAI PIU'. Si sceglie per proseguire. Io ho scelto ALTROVE, tu OLTRE. Due rette parallele che non incidenteranno mai. Le sigarette me le compro da sola. "Volevo tutto con il assente sforzo". A me?
SECONDO MESSAGGIO
Cara lei mai, io e mamma viviamo inventando la vita degli altri. Prendiamo i social, leggiamo la frase o vediamo foto e video e... INVENTIAMO TELENOVELAS.
Cara M.M., la realtà è ben lontana dai social. Come voi mi insegnate il social serve ad avere una vita fake per giustificare una oltre. La gente, a mio m-odesto parere, ti lascia parlare. Non esci, non hai amici, non hai un fidanzato, non hai un lavoro, trascorri la tua giornata al pc o al telefono. Mi spieghi come fai a sapere i FATTI della gente? Ops!
TERZO MESSAGGIO
Cara mai lei, sono la tua fedelissima sfascia vita. Ti devi fare bionda, comando io e basta.
QUARTO MESSAGGIO
Cara lei mai, ti chiediamo di insegnarci qualche copione nuovo per stare in mezzo alla gente. Una lite furibonda con una collega, un litigio disturbato con i genitori, un'amorevole conversazione al bar. Mai ci dobbiamo parlare perchè da sola devi passare per pazza.
Care lino nere, manca il destinatario. Te la farei anche la sceneggiata napoletana ma manca l'uomo.
Cari lettori, la situazione è degenerata e non vi nascondo preoccupazioni e mai perplessità. La comunicazione è la matrice movente il fatto. La cattiveria l'aggravante. Vettore è il ruolo.
Cara lei mai, non comprendiamo la lingua italiana base S+P+C tu belle e buono te ne esci con la scienza?
Cara trottolina 44, mai fare di tutta l'erba un fascio. 7 sono i nani della principessa, 1 sola la regina cattiva, 3 i porcellini e solo 3 le casette. Una sola Dorothy e un solo Mago di Oz.
L'AMORE è anche questo, ti posso chiamare per nome? pure il cognome va bene, l'importante è che tu sei tu e nessun altro.
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volevoimparareavolare · 7 years ago
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🐌- il fatto che fosse tutto un insieme di cose brutta, ma adesso ho paura del mio braccio e mi faccio schifo. Non l'ho mai guardato con così tanta paura. Ora la mia domanda è: come dovrei parlarne con il mio ragazzo (e se dovrei farlo)? Cioè so che dovrei farlo, ma ho paura di mettergli addosso un peso che non può sostenere. Almeno finché non avrò una nuova psicologa, non voglio farlo preoccupare. Allo stesso tempo vorrei non avere paura di togliermi la felpa quando siamo nella stessa stanza...
Ohh stellina...I tuoi messaggi mi hanno profondamente colpito. Davvero. Vedi... nella vota di ciascuno di noi succedono cose. E in base alle nostre esperienze incominciamo a plasmare il nostro carattere e il nostro modo di vivere. Se dal profondo baratro ove la routine oscillava tra il tagliarsi i polsi e non mangiare per giorni fino a svenire... l'incontro col tuo lui é stato l'arcobaleno dopo tanti anni di pioggia. E tutto iniziò a cambiare. Completamente. Soprattutto per il tuo modo di vedere il mondo; stai imparando a volerti bene, stai imparando ad accettarti e a non odiarti più così tanto. Stai incominciando, lentamente, a intraprendere la strada della felicità. Ma non é lineare e monotona. Affatto!Stellina, dopo tanta forza e molto coraggio, É normale avere una ricaduta, un momento di smarrimento. Tranquilla. Va tutto bene. Credimi. Sei un essere umano; é stato troppo, tutto assieme... e sei tornata alle "vecchie abitudini". MA IL PUNTO É QUESTO; TU NON SEI PIÙ QUELLA PERSONA. Non sei più la ragazza di sei mesi fa. Ora nel tuo stomaco ci sono farfalle e le tue mani sono riscaldate dalle sue. Ora quando lui ti dice che sei bellissima, inizi a sentirti bellissima per davvero. Ora tutto é mutato. Ecco perché detesti ciò che ti sei fatta. Ecco perché provi così tanta rabbia e soprattutto disgusto nel fatto di esserti tagliata. NON SEI PIÙ QUELLA PERSONA. LE ABITUDINI PASSATE NON VANNO PIÙ BENE. La tua mente sta guarendo, come il tuo cuore. Sai, ora, che per affrontare un problema ESISTONO ALTRE MANIERE. Ad esempio, parlare. Lui ti ama. Ti ama per ciò che sei. Ti ama per il tuo carattere e tutte le tue mille insicurezze. Ama ogni cellula del tuo corpo. E, credimi, vuole aiutarti. Se solo tu gli dessi la possibilità di lasciarlo provare... c'è l'avresti fatta! Avresti vinto !Tesoro, nel mondo non esistono solo persone che bramano per farti cadere e vederti perdere, che sono pronte a riderti alle spalle e a prenderti in giro. Nel mondo ci sono persone che hanno a cuore la tua salute e tengono molto a te. Ecco; parla con quelle persone. Vai dal tuo ragazzo, stringiti fra le sue braccia e lascia che le lacrime ti bagnino il volto. Non sembrerai né patetica, né debole, né altro; non penserà nulla di tutto questo lui. Ma ti asciugherà le lacrime e ti farà sentire amata, ascoltata, voluta, capita. E tu gli riverserai addosso quel gomitolo di paure che crea sempre un nodo doloroso dentro al tuo stomaco. Lui continuerà ad amarti più di prima; CAPIRÀ CHE TI FIDI DI LUI. e la fiducia é un pilastro basilare per una relazione. Si sente responsabile di te, delle tue azioni, del tuo essere. Fidati di me; non se lo perdonerebbe MAI.Non se lo perdonerebbe mai il sapere di non esserci stato quando avevi bisogno di lui. Il non aver potuto far nulla perché tu lo respingevi, chiudendoti in te stessa. Merita di sapere. Meriti di essere amata. Parlargli.
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magicnightfall · 7 years ago
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(FRANKLY, MY DEAR, I DO AND I DON’T GIVE A DAMN ABOUT MY BAD) REPUTATION
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Era il 1981, e Joan Jett cantava che non gliene poteva fregar di meno della sua cattiva reputazione. Nel 2017, lo stesso può - ma parimenti non può - dirsi di Taylor.
Questo perché quando, in agosto, è stato rivelato il titolo del sesto album (e anche a giudicare dal tenore del primo singolo estratto, Look What You Made Me Do), ho pensato che sì, a Taylor frega della sua cattiva reputazione.
Tuttavia i vari ascolti di reputation mi hanno anche convinta del contrario: che in fin dei conti Taylor abbia deciso di non dare poi troppo peso a quello che pensano i suoi detrattori, privandoli in effetti della soddisfazione di credere di esercitare su di lei chissà quale potere.
C’è una frase, di autore anonimo ma tradizionalmente attribuita a Charlie Chaplin, che fa: “Preoccupati più della tua coscienza, che della tua reputazione, perché la tua coscienza è ciò che sei, la tua reputazione è quello che gli altri pensano di te. E quello che gli altri pensano di te è un problema loro”.
Che è, credo, quello che fondamentalmente ha fatto Taylor con quest’album. Perché è vero che si sia sicuramente risentita del fatto che la sua reputazione sia stata così arbitrariamente e irragionevolmente infangata, ma è anche vero non è nemmeno il punto focale dell’album, a dispetto del titolo, e a dispetto della (a questo punto un po’ fuorviante) scarna promozione estiva, con tanto di serpente assurto a simbolo del suo ritorno, e sulle cui spire ha galoppato la fantasia di tutti.
Alzi la mano, infatti, chi ha pensato che questo album sarebbe stato l’equivalente in musica della lista mentale di Arya Stark o del quaderno di Oliver Queen: una canzone per ogni nome sull’elenco, da depennare uno ad uno non con la spada o le frecce, ma con le parole, che sanno essere altrettanto letali.
- Vuoi starmi a sentire? Dobbiamo fare qualcosa, perché se quell’essere si rigenera compirà la sua maledizione, e tutta la Terra sarà distrutta.
- Sì? E questo è un problema mio?
- Un problema collettivo, mi sembra.
(questo scambio di battute nel film “La Mummia” descrive in maniera abbastanza fedele l’impatto che un album di vendetta di Taylor Swift potrebbe avere su tutto il mondo mondiale)
In questo disco, infatti, se da un lato Taylor prende sì coscienza della negatività che viene fatta gravitare intorno alla sua persona (“Reputation precedes me, they told you I'm crazy”, “My reputation’s never been worse”), dall’altro è pure evidente che francamente, miei cari, se ne infischia. Ha scritto quindici canzoni andando per la sua strada, continuando a fare quello che ha sempre fatto, cioè cantare della sua vita e dei suoi sentimenti attraverso la lente di ingrandimento dei suoi testi, e chissenefrega di cosa ha da dire il mondo.
E trovo emblematico di quanto appena sopra proprio il fatto che reputation sia stato rilasciato senza una massiccia promozione alla base (che infatti si è limitata all’estrazione di una manciata di canzoni e di un paio di video), asettica a livello di social network e invisibile a livello di stampa. Sì, è sempre stata la sua musica a parlare per lei, ma mai questo assunto si è rivelato vero come in questa era. La stessa chiosa del booklet recita che non ci sarà alcuna ulteriore spiegazione, ma solo reputation. Della serie “tiè, beccateve ‘sto disco e non rompete tanto i cojoni hashtag bonjour finesse”.
Questo mi fa venire in mente quello che il mio prof. di arte delle medie diceva a proposito della Pietà di Michelangelo nota come “Pietà Rondanini”, meno famosa di quella Vaticana ma non per questo meno degna di nota. Ci spiegò infatti che la preferiva a all’altra perché “era esattamente ciò che voleva Michelangelo”. Libero dagli orpelli dei committenti (la stava scolpendo ad uso personalissimo, con l’idea di averla collocata sulla sua tomba), affrancato dal “la voglio così e cosà, deve rappresentare questo e quello”, secondo il mio prof. era la Pietà del “nonmenefreganiente, ‘sto giro faccio il cacchio che me pare, hasthag thug life”.
Lo stesso, insomma, ha fatto Taylor con reputation. Non solo ha deciso che sarebbe stata la musica - e solo la musica - a rappresentarla, ma evidentemente nemmeno si è conformata all’idea che il pubblico si era fatto dei contenuti di questo sesto album, anzi prendendo tutti alla sprovvista.
Quello che sembrava volesse e dovesse essere un album di vendetta e di rivincita (anche se, a ben guardare, dichiarare di star meglio di quanto non sia mai stata è già una rivincita), si è invece rivelato un album di rinascita personale svincolata dal giogo delle opinioni degli altri: a livello espressivo, mai come in questo caso le canzoni mi sono sembrate sincere, se non proprio “senza freni”, cioè libere di raccontare e di esplorare quello che le passa per la testa (e nel bicchiere, e… tra le lenzuola).
Certo è anche vero - o perlomeno così sembra a me - che questo album, come già Blank Space, abbia anche una chiave di lettura ironica e iperbolica, nel senso di aver volutamente esagerato quegli aspetti della sua vita che sono stati così tanto scrutinati. Ciò non toglie che da questi testi traspaia comunque molta onestà. Non che quelli dei suoi lavori precedenti ne fossero carenti, tutt’altro, ma forse mancavano di quella consapevolezza che non può che arrivare con il passare degli anni. Così, alle soglie dei trenta, Taylor smette di navigare a vista e si spinge nelle acque inesplorate di uno champagne sea che altro non è se non un diverso approccio alla vita. Per questo motivo reputation è, oltre che un bel disco, anche il suo lavoro più maturo: raccontandosi da diversi angoli e prospettive, rivendicando le sue azioni ma anche riconoscendo i suoi errori, reputation è un’ammissione di umanità.
(o di un problema con l’alcol)
                                                               ***
Giunta ormai al terzo tomone (dopo quello su Red e quello su 1989), anche in questa occasione butto giù qualche personalissimo parere e qualche spunto sui quindici brani che compongono reputation: opinioni sulle quali potreste concordare (oppure no), spunti di riflessione che potrebbero farvi “leggere” le canzoni sotto una diversa luce (oppure no), o semplicemente farvi pensare che, scrivendo ‘sto coso, ero più ‘mbriaga di Taylor. In ogni caso… are you ready for it?
BASS BEAT RATTLING THE CHANDELIER
…Ready For It?
[Taylor Swift, Max Martin, Shellback, Ali Payami]
Un brano di questo tipo non poteva che fare da apripista. Basso e batteria dell’intro sembrano prendere la rincorsa, e la prima strofa è preceduta da uno schiarirsi di voce, una sorta di invito a mettersi comodi perché lo spettacolo sta per cominciare (“Fasten your seatbelts, it’s going to be a bumpy night”, direbbe Bette Davis nei panni di Margo Channing).
Già il titolo è emblematico. Proprio perché è quello della prima canzone di reputation, pare voler chiedere a noi ascoltatori se siamo pronti a ciò che ci aspetta nelle successive quattordici (spoiler: no). Tanto più che, già da questa interpretazione dal sapore vagamente rap, dovrebbe venirci il dubbio che forse reputation è qualcosa di totalmente diverso da ciò che Taylor ci ha abituato in passato.
Non solo, ma il titolo è anche un’esortazione a prestare attenzione, perché per via della percezione distorta che alcuni hanno di lei, diventa quasi pericoloso associare il proprio nome al suo: “Touch me and you'll never be alone”, avverte. Puoi sopportarlo? Sei in grado di gestire tutto quello che ci verrà addosso? Insomma, sei pronto?
(per approfondire, a questo link il mio post sul video)
#AlcoholicCount: 0
#FavLyrics: “And, he can be my jailer / Burton to this Taylor / every love I’ve known in comparison is a failure”
End Game (feat. Ed Sheeran & Future)
[Taylor Swift, Max Martin, Shellback, Ed Sheeran, Nayvadius Wilburn]
Confesso che, nei riguardi di questa canzone, partivo un po’ prevenuta: vuoi perché si trattava di un’altra collaborazione con Ed Sheeran, la cui musica ha su di me lo stesso effetto barbiturico dello spiaggiarsi sul divano dopo le diciotto portate del pranzo di Natale, vuoi che ci ha dovuto per forza ficcare dentro un rapper (e io odio quando accade: il cantante principale sembra ridursi ad un ospite nel suo stesso disco, mentre a parti inverse funziona un po’ meglio), fatto sta che prima di premere play ero abbastanza recalcitrante. Poi mi sono detta vabbè, dai, apri la mente, dalle una chance, che magari non ti fa schifo. E allora l’ho ascoltata. In effetti non mi fa schifo. Mi fa proprio cagare. L’unica cosa che salvo di questa canzone è il ritornello, perché so già che mi troverò a canticchiarlo soprappensiero (non vedo altri modi di affrontare questa canzone se non in uno stato di semi-incoscienza).
Anche il testo non mi colpisce, se non per il verso “I swear I don't love the drama, it loves me”, che ha quel tocco di ironia che mi piace.
#AlcoholicCount: 3 (“drinking”, “drinking”, “liquor”)
#FavLyrics: “And I bury hatchets / but I keep maps / of where I put 'em”
I Did Something Bad
[Taylor Swift, Max Martin, Shellback]
Questa canzone è suggestiva fin dal primo strimpellio di note, che mi danno l’idea di un carosello in un luna park infestato, dove Taylor è la serial killer che ti aspetta al varco per sbudellarti. Ma le atmosfere vagamente sinistre, che (mi) fanno pensare ad un serial killer altrettanto sinistro, si scontra invece con un testo che ha più il sapore di un vigilante vendicatore: i suoi bersagli, infatti, pare proprio che se la siano andata a cercare. Seminando vento non puoi che raccogliere tempesta (Kanye West dice “ciao”), e lei non si sente minimamente in colpa di aver reso pan per focaccia, anzi, la sensazione che prova è galvanizzante. In questa canzone non si predica il precetto evangelico del porgere l’altra guancia, ma piuttosto il Cristianesimo 2.0. di Papa Francesco, quello per cui a volte la soluzione più diplomatica contro un’offesa è un sano pugno sul naso.
La parte migliore del brano è sicuramente il verso “If a man talks shit, then I owe him nothing / I don't regret it one bit, 'cause he had it coming”, con cui liquida, ma senza nemmeno dedicargli troppo tempo, perché non se lo merita, il verso di Kanye West secondo il quale Taylor sarebbe in debito con lui, in termini di sesso, per averla “““resa famosa”””.
La Taylor che emerge da questa canzone ha un che di femme fatale: gioca con narcisisti e playboy come fossero delle marionette, lasciando creder loro di averla salvata, quando in realtà è lei ad avere il pieno controllo della scacchiera. In effetti, Taylor è così padrona del meccanismo che non è per nulla intimorita dalla caccia alle streghe che le hanno costruito intorno, tutti pronti a cogliere un suo passo falso così da poter millantare prove su quale persona orribile in realtà sia. Anzi, il suo è un esplicito invito a farsi sotto. E non importa che le vadano addosso con torce e forconi, tanto li asfalta lo stesso.
#AlcoholicCount: 0
#FavLyrics: “They're burning all the witches / even if you aren't one / so light me up, light me up / light me up, go ahead and light me up”
Don’t Blame Me
[Taylor Swift, Max Martin, Shellback]
Voglio ipotizzare la genesi di questa canzone: Taylor, dopo essersi scolata vino whisky birra old fashioned champagne caselibriautoviaggifoglidigiornale, si addormenta davanti alla tv mentre trasmettono Sister Act.
Il modo in cui questa canzone ammicca al genere gospel mi ha decisamente sorpresa in positivo, specie nel finale dove la musica per un momento si ferma e la voce aumenta di intensità, il tutto con un effetto simile ad un coro. E Deloris Van Cartier può solo inchinarsi.  
#AlcoholicCount: 0
#FavLyrics: “I once was poison ivy / but now I'm your daisy”
Delicate
[Taylor Swift, Max Martin, Shellback]
Nell’introduzione dicevo che in questo disco traspare molta onestà, e credo che uno degli esempi migliori a sostegno di quell’affermazione sia proprio Delicate. Paradossalmente, però, quell’onestà non emerge esplicitamente ma risiede nel sottotesto, e pervade il ritornello:
“Is it cool that I said all that? / Is it chill that you're in my head? / ‘Cause I know that it's delicate (delicate) / Is it cool that I said all that / Is it too soon to do this yet?”
Taylor sembra voler dire “ehi, ti avverto, io ho la tendenza a partire per la tangente, non importa se ci conosciamo da poco, io già immagino cavalli bianchi e gesti grandiosi, quindi va bene se inizio a fantasticare? Ti sta bene il fatto che tu sia già nella mia testa, o pensi che sia troppo presto?”.
#AlcoholicCount: 4 (“drink”, “dive bar”, “drink”, “drink”)
#FavLyrics: “Long night with your hands / up in my hair / echoes of your footsteps on the stairs / stay here, honey / don't want to share”
Look What You Made Me Do
[Taylor Swift, Jack Antonoff, Richard Fairbrass, Fred Fairbrass, Rob Manzoli]
Quando è stata rilasciata questa canzone il mondo è impazzito. Il video non ha fatto che confermare le sensazioni iniziali: col suo nuovo album, Taylor Swift vi verrà a cercare, uno per uno, come il biblico angelo della morte. Ma fortunatamente per chiunque si fosse sentito chiamato in causa, non è stato necessario cospargere di sangue gli stipiti della porta per far sì che l’angelo della morte passasse oltre, perché è passato oltre sua sponte. In effetti, inizio a credere che Look What You Made Me Do come primo singolo sia volutamente servita a mandarci fuori strada, poiché reputation si è rivelato tutt’altro: non un album vendicativo ma la dimostrazione che si può vivere una vita felice anche a prescindere dalle opinioni altrui. Il che è, forse, la miglior forma di vendetta.
(per approfondire, a questo link un post sulla canzone e a quest’altro uno sul video)
#AlcoholicCount: 0
#FavLyrics: “I'm sorry, but the old Taylor can't come to the phone right now… - Why? - Oh, 'cause she's dead!”
So It Goes…
[Taylor Swift, Max Martin, Shellback, Oscar Görres]
All eyes on me, miei teorici del complotto. Come già …Ready For It?, anche questo brano fa uso dei puntini di sospensione. Sono le due uniche canzoni dell’album ad adoperare segni di punteggiatura, quindi mi chiedo se non ci sia una chiave di lettura nascosta. Tanto più che, da una parte, i tre puntini precedono la parola (…Ready For It?), e dall’altra succedono alla parola (So It Goes…), quindi visivamente creano una sorta di alveo - rappresentandone i limiti iniziali e finali - al cui interno sono state collocate End Game, I Did Something Bad, Don’t Blame Me, Delicate, Look What You Made Me Do. Se osservate la tracklist, noterete che siamo a metà (quasi precisa - con un numero dispari di canzoni non si può fare altrimenti) del disco, che quindi si può dividere in due blocchi: 1-7 e 8-15. Considerato che la stessa cover di reputation è divisa in due (presumibilmente per indicare la vera Taylor da un lato, e quella creata dai giornali dall’altro), forse qualcosa sotto c’è. Tuttavia non mi è ben chiaro cosa, anche perché non mi pare di scorgere, nei due blocchi, delle tematiche che si esauriscano tutte nell’uno o tutte nell’altro (per dire, sento una sorta di affinità di significato tra Look What You Made Me Do e This Is Why We Can’t Have Nice Things, ma una è collocata nella prima metà e l’altra nella seconda).
Ma vabbè, dietrologie a parte, di So It Goes… mi piace l’atmosfera vagamente ipnotica, cui contribuisce tanto l’effetto computerizzato di voce e strumenti quanto i riferimenti all’illusionismo e agli spettacoli di magia, che danno l’idea di qualcosa di assolutamente fittizio e ingannevole, salvo poi porsi in contrasto con qualcosa di decisamente reale come i graffi sulla schiena.
#AlcoholicCount: 1 (“bar”)
#FavLyrics: “See you in the dark / all eyes on you, my magician / all eyes on us / you make everyone disappear / and cut me into pieces”
Gorgeous
[Taylor Swift, Max Martin, Shellback]
Probabilmente andrò controcorrente, visto che tutti sembrate odiare Gorgeous come se vi avesse ucciso un parente, ma a me questa canzone piace. Non è per nulla un capolavoro, è vero, e sicuramente per essere arrivata a scrivere un verso come “I can't say anything to your face ‘/ Cause look at your face” Taylor doveva essere tanto, ma proprio tanto ubriaca (e non mi pare un’ipotesi così peregrina) ma è orecchiabile, leggera e si prende poco sul serio, quindi non capisco perché sentiate così ardentemente il bisogno di invocare la damnatio memoriae. Cioè, non quando esistono I Don’t Wanna Live Forever e End Game.
#AlcoholicCount: 2 (“drunk”, “whisky”)
#FavLyrics: “Guess I'll just stumble on home to my cats”
Getaway Car
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Getaway Car è la mia preferita di tutti i suoi album presenti e futuri nei secoli dei secoli amen reputation, ma ha un difetto di non poco conto: è troppo corta. Mi sono legata al dito il fatto che End Game duri 4 minuti e 5 mentre questa solo 3 e 54, perché mi sento defraudata nell’animo di (almeno) undici secondi.
Ora, non so voi, ma io ogni volta che ascolto questa canzone ho già in testa il video musicale, che non è in realtà un video musicale ma un vero e proprio film. Tra le pieghe dei suoi versi c’è materiale per una sceneggiatura, e io sono già partita per la tangente. Tanto più che Taylor paragona la sua storia a quella di Bonnie e Clyde, la coppia di criminali più famosa d’America, entrati di prepotenza nell’immaginario collettivo ancora prima della loro morte, e che continuano ad ispirare autori, artisti e sceneggiatori ancora oggi.
Anche in …Ready For It? Taylor utilizzava come termine di paragone due icone della cultura di massa, Richard Burton ed Elizabeth Taylor: i due si sono sposati per ben due volte, e per ben due volte hanno divorziato. Certo è, quindi, che nell’uno (Bonnie e Clyde, morti ammazzati) e nell’altro caso (Burton e Taylor) le premesse non sono delle migliori.
Paradossalmente, però, la storia di Bonnie e Clyde è “positiva”, perché se non fossero finiti trucidati (a 23 e 25 anni), probabilmente sarebbero invecchiati insieme innamorati come il primo giorno. Non sarebbe allora stata completamente priva di senso una loro menzione in …Ready For It? perché perfettamente in linea con il messaggio della canzone: “lo sappiamo che può finire in A come atrocità e doppia T come terremoto e tragggggedia, ma vogliamo provarci lo stesso”.
In Getaway Car, invece, Taylor - diversamente da Bonnie - è quella che vuole tirarsi fuori da tutto (“I wanted to leave him”) perché non era mai stato quello che voleva (“I struck a match and blew your mind / but I didn't mean it”), ma non sa come fare, e alla fine ci riesce scappando e tradendo.
Ad ogni modo, è altrettanto evidente come ugualmente abbia senso parlare di Bonnie e Clyde in una canzone come questa: i due hanno vissuto in fuga, e la loro storia è finita nel peggiore dei modi. Taylor ci sta dicendo in pratica che non può venire nulla di buono da presupposti del genere (“No, nothing good starts in a getaway car”). Lei e chi per lui si sono evidentemente conosciuti in una situazione precaria e pericolosa (“Think about the place where you first met me”), il che la porta a chiedersi cosa mai potrebbe nascervi di positivo (beninteso, a parte la canzone più bella di tutti i suoi album presenti e futuri nei secoli dei secoli amen reputation).
Infine, tanto per non farci mancare niente, vorrei anche far notare come il primo verso della prima strofa richiami l’incipit di Racconto di Due Città di Charles Dickens (“It was the best of times / the worst of crimes” - “It was the best of times, it was the worst of times”).
#AlcoholicCount: 4 (“Old Fashioned”, “drinkin’”, “Old Fashioned”, “motel bar”)
#FavLyrics: “We were jet-set Bonnie and Clyde / until I switched to the other side / it's no surprise, I turned you in / ‘cause us traitors never win”
King Of My Heart
[Taylor Swift, Max Martin, Shellback]
Non sono stata la sola a pensare, leggendo la tracklist per la prima volta, che King Of My Heart fosse un titolo un po’ stucchevole, e di conseguenza temevo che lo fosse anche la canzone. Tuttavia, diversamente da End Game, in questo caso sbagliavo a partire prevenuta. La melodia è orecchiabile, la canzone nella sua interezza è accattivante, e il testo non fa particolari concessioni alla (paventata) stucchevolezza del titolo, specie nel bridge che racconta del bere birra sul tetto con la cotta delle superiori, che quindi risulta concreto e realistico anziché fiabesco e sdolcinato.
#AlcoholicCount: 1 (“beer”)
#FavLyrics: “Late in the night / the city's asleep / your love is a secret / I’m hoping, dreaming, dying to keep”
Dancing With Our Hands Tied
[Taylor Swift, Max Martin, Shellback, Oscar Holter]
Ascoltando e riascoltando Dancing With Our Hands Tied, ad un certo punto mi sono accorta che nella mia testa è legata a doppio filo con I Know Places, perché mi trasmette la stessa sensazione angosciosa di avere qualcuno che ti sta addosso e ti giudica (“I can hear them whisper as we pass by” - “People started talking, putting us through our paces”). E a differenza di una terza canzone come Ours che affronta il medesimo tema (“Seems like there's always someone who disapproves / they'll judge it like they know about me and you”), ma lo affronta piena di speranza, in I Know Places tutta la situazione è vista come un presagio funesto (“It's a bad sign, bad sign”) e in Dancing With Our Hands Tied si prende coscienza di un brutto presentimento (“I had a bad feeling”).
Addirittura si potrebbe introdurre un ulteriore termine di paragone: Getaway Car come ultimo step di una linea narrativa che invece si rivela una spirale discendente.
Così, Ours prende coscienza di una situazione potenzialmente distruttiva, ma è ancora tutto troppo bello, e la fiducia troppo forte, perché il problema si riveli per quello che è, un problema. Quella consapevolezza è demandata a I Know Places, in cui tuttavia si nutre la speranza che le cose andranno a posto. Ma se perché ciò avvenga è necessario nascondersi, allora forse le premesse non sono delle migliori. E in Dancing With Our Hands Tied si è sempre più invischiati in qualcosa senza futuro, che è destinato a fallire, tanto che non è nemmeno la volontà a tenere insieme i due protagonisti della storia, ma una forza esterna sulla quale non è possibile esercitare alcun tipo di arbitrio: la gravità (“Oh, 'cause it's gravity / oh, keeping you with me”). Infine, in Getaway Car arriva il momento di mollare tutto e allora ci si dà alla fuga, che è una fuga totalmente opposta a quella di I Know Places: là serviva a salvare il salvabile, mentre qua a riconquistare la propria libertà.
#AlcoholicCount: 0
#FavLyrics: “I, I loved you in spite of / deep fears that the world would divide us / so baby can we dance / oh, through an avalanche?”
Dress
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Non amo molto le canzoni che, in tutto o in parte, sono cantate in falsetto (ecco uno dei motivi per cui I Don’t Wanna Live Forever non mi piace), e quindi a malincuore devo confessare che il ritornello di Dress non fa eccezione (ovviamente per quanto riguarda il testo è tutto un altro discorso, cioè, “Only bought this dress so you could take it off”, voglio dire…). In linea di massima è l’intera canzone non mi dice un granché, ma fortunatamente il pre-chours è vita e potrei ascoltare solo quel “All of this silence and patience / pining and anticipation / my hands are shaking from holding back from you” in loop fino all’uscita di TS7.
#AlcoholicCount: 1 (“wine”)
#FavLyrics: “All of this silence and patience / pining and anticipation / my hands are shaking from holding back from you”
This Is Why We Can’t Have Nice Things
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Per quel che mi riguarda, tra le canzoni che preferisco di reputation, This Is Why We Can’t Have Nice Things segue a stretto, strettissimo giro Getaway Car.
Idealmente è un po’ il seguito di Bad Blood, con la differenza che se là era un problema farsi pugnalare alle spalle, qua alla fine chissenefrega, pazienza, arrivederci e grazie: la prima, infatti, sembra una canzone scritta a caldo, quando ancora la ferita brucia e ci si rimugina sopra, cercando di capire cosa è andato storto. La seconda, invece, prende atto che non sempre le cose vanno per il verso giusto, se ne fa una ragione e passa oltre, perché evidentemente a certa gente è stato dedicato fin troppo tempo e non vale la pena perderne ancora. Quello scuotere la testa mi dà l’idea di una tacita rassegnazione nei confronti di qualcosa che in effetti era più che prevedibile, un “come volevasi dimostrare”, che la porta a mettere il lucchetto al cancello e lasciare fuori tutta la negatività. Dall’altra parte, infatti, c’è una festa, dove la gente si diverte a stare insieme, ed evidentemente non c’è più spazio per chi non ha più ragione di stare là in mezzo.
Se vogliamo, il brano è costruito proprio nel senso di andare a sottolineare quello che, alla fine della fiera, conta davvero (e che infatti risalta perché è collocato nel bridge): gli amici veri che non si lasciano influenzare dalle dicerie, il ragazzo che non si fa spaventare dalle etichette che le stanno attribuendo (si passa da “serpe” a “neonazista”, ma il lato positivo è che non possa andare peggio di così), e la madre che, poraccia, da anni è costretta a vederne e sentirne di ogni sulla figlia.
#AlcoholicCount: 2 (“champagne”, “toast”)
#FavLyrics: “And there are no rules when you show up here / bass beat rattling the chandelier / feeling so Gatsby for that whole year”
Call It What You Want
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Il gradino più basso del podio, nella mia personale classifica di reputation, spetta a questa canzone. L’ho ascoltata per la prima volta su un Frecciarossa tornando a casa, e l’ho trovata di una dolcezza così inaspettata e disarmante che per quei 3 minuti e 24 ho completamente dimenticato di essere incazzata con Trenitalia perché viaggiavamo con un ritardo tale che temevo avremmo perso la coincidenza (dopo che nel corso della giornata avevamo rischiato di perderne anche altre due). Ça va sans dire, finita la canzone ho ripreso a sperare che Trenitalia andasse fallita.
Ma venendo alle cose belle. Il testo è tra i più curati di tutto l’album, e facendo ampio uso di immagini altamente espressive ed evocative - il castello che crolla, i fiori che crescono spine, le finestre sbarrate dopo la tempesta (in realtà si sbarrano prima per proteggersi dal maltempo in arrivo - immagino Taylor stia dicendo di essere ancora sulla difensiva pur lasciando intendere che il peggio è passato), i giullari vestiti da re - è quello che potrebbe maggiormente far pensare alla Taylor delle origini. Ficcateci un violino e togliete un po’ di unz e tunz, e avrete una perfetta canzone country.
E a proposito di canzoni country: in Love Story Taylor chiedeva di essere salvata e in Mean aspettava il giorno in cui sarebbe stata grande abbastanza da non farsi più colpire. Call It What You Want ci sta dicendo che quel giorno è arrivato: non ha più bisogno di qualcuno che le venga in soccorso, perché ci ha già pensato da sola (“Slowly I said: “You don't need to save me”).
#AlcoholicCount: 0
#FavLyrics: “My castle crumbled overnight / I brought a knife to a gunfight”
New Year’s Day
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Ecco un’altra canzone che potrebbe tranquillamente essere a prova di Trenitalia. Piena di speranza, è il modo perfetto per chiudere l’album, come a suo tempo lo è stata Begin Again.
È un brano che sento molto vicino perché quella sensazione di quando la festa è finita, e sono andati via quasi tutti, ma il gruppo di amici più stretto è ancora lì a rimettere a posto e a pulire è una delle cose che amo di più, e sono abbastanza fortunata di averla vissuta più di una volta.
Così, per compensare la stucchevolezza mancata di King Of My Heart, dico che mi riempie il cuore di gioia vedere come Taylor abbia trovato qualcuno con cui (desiderare di) poterla vivere.
In effetti, qui Taylor compie una deviazione tanto nella poetica quanto, evidentemente, nella vita: smette di fantasticare di incontri sotto la pioggia battente e di baci sui marciapiedi, o di desiderare che qualcuno si presenti alla sua porta nel cuore della notte, e invece vira su qualcosa di decisamente meno eclatante ma molto più significativo: raccogliere le bottiglie vuote la mattina del primo dell’anno.
Perché sì, ad andare alla festa - dove festa è metafora per quei momenti della vita in cui ogni cosa scorre liscia ed è fantastica (“I want your midnights”) - sono buoni tutti (cioè, quasi tutti) - ma fermarsi a riordinare quando il party è finito (“But I'll be cleaning up bottles with you on New Year's Day”), e quindi, per esteso, quando it's hard, or it's wrong / or we're making mistakes, è appannaggio di pochi.
#AlcoholicCount: 3 (“bottles”, ““bottles”, “bottles”)
#FavLyrics: “Please don't ever become a stranger / whose laugh I could recognize anywhere”
THE END OF ALL THE ENDINGS
Dicevo nell’introduzione che quello di Taylor è un nuovo approccio alla vita. Se prima era la ragazza che fingeva di aggiustarsi i vestiti per evitare l’imbarazzo di un confronto (l’equivalente del cercare il nulla nello zaino per evitare di essere interrogati), ora è quella che ti sfida a bruciarla sul rogo (ehi, anche questo è un buon modo per non essere interrogati). Se prima era la ragazza che continuava a rimuginare su qualcosa che aveva evidentemente (e forse fisiologicamente) finito il suo corso e doveva sforzarsi per non telefonare all’altra persona, ora è quella che prende la borsa coi soldi e ruba le chiavi della macchina lasciando il suo complice al bar come un baccalà, e ci mette pure il carico a coppe perché evidentemente l’ha anche denunciato alla polizia.
Quello che però non è cambiato è il suo modo di raccontare esperienze sì personali, ma dando voce a sentimenti ed emozioni universali con cui chiunque può immedesimarsi, anche se non ha vissuto la stessa identica situazione, o si trova in una diversa fase della vita.
E nemmeno sono cambiate le ragioni per cui scrive, che sono quelle su cui si basa l’espressione artistica fin dai tempi di Aristotele: la purificazione dell’animo. Attraverso la sua musica - lei scrivendola, noi ascoltandola - si compie quella catarsi tanto cara alla cultura greca antica, ciò che lo stagirita, nella Poetica, descriveva come quel processo che, messi in scena una serie di casi che suscitano pietà e terrore, “ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni”. Ancora, nella Politica, il filosofo scriveva: “E queste emozioni come pietà, paura ed entusiasmo, che in alcuni hanno una forte risonanza, si manifestano però in tutti, sebbene in alcuni di più e in altri di meno. E tuttavia vediamo che quando alcuni, che sono fortemente scossi da esse, odono canti sacri che impressionano l’anima, allora si trovano nelle condizioni di chi è stato risanato o purificato”.
Insomma, detto in soldoni, Taylor, cantando delle sue emozioni e mettendo nero su bianco le sue paure e le sue insicurezze, ci aiuta a comprendere e ad esorcizzare le nostre.
Ma c’è un altro aspetto, già menzionato, che vale la pena ribadire anche in sede di conclusioni, cioè che TS6 indugia molto di più sulla rinascita che sulla rivincita.
È capitato a fagiolo il fatto che Meredith Grey (la dottoressa, eh, non la gatta) vincesse il prestigioso Harper Avery proprio nella settimana in cui usciva reputation, perché il discorso con cui Jackson ha accettato in sua vece si attaglia a questo album perfettamente. In breve, spiegava come Meredith abbia preso tutte le sfighe che l’hanno perseguitata per quattordici anni, e le abbia trasformate nella sua motivazione. Poteva mollare tutto e mettersi a cercare il fondo di una bottiglia di tequila corretta con l’antigelo, e invece ha colto, nel dolore, l’occasione di fare qualcosa di buono.
Al rilascio di Look What You Made Me Do avevo fatto lo stesso ragionamento: scrivevo infatti in un tweet, con quell’eleganza tipica di un muratore di Tor Pagnotta che è solita contraddistinguermi, “Oh, avercela tutta ‘sta forza d’animo di creare arte dalla merda, io mi sarei rannicchiata in posizione fetale e ciao”.
E il fatto che sia arte che non porta rancore, a dispetto delle speculazioni iniziali, la rende ancora più significativa. Insegnava giustamente Fabrizio De Andrè che dal letame nascono i fior, e il corollario di Taylor a questa verità è che quei fiori possono essere senza spine.
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.         📜     𝔞𝔯𝔱𝔢𝔪𝔦𝔰𝔦𝔞 & Henrick                 𝖍𝖔𝖒𝖊 ⁄ paris.           ¹⁵ˑ⁰⁶ˑ²⁰²⁰        ʰˑ⁰¹ˑ⁰⁰
« Dorme » 𝓗 : « Finalmente, oggi è stato intrattabile. È orribile da dire ma è un sollievo » « Aveva paura dei fuochi, come dargli torto » 𝓗 : « Anche ne tu avevi paura? » « No a me piacciono i fuochi, più i fuochi che le luci. mi rilassano » 𝓗 : « Perché? In che modo ti rassicura un rumore così forte? Sono curioso » « Perché te lo aspetti, sai che dopo il fischio c’é il boom. Quello che ti avvisa non può essere un male. » 𝓗 : « Non è male perché ti dà il tempo di prepararti a ciò che viene dopo. Le tue risposte non sono mai scontate » « Vuoi bere qualcosa ? » 𝓗 : « Sai fare un whiskey sour? » « Bleah, ma si. Wishkey, ghiaccio più sour » 𝓗 : « Whiskey, succo di limone e albume. Tu cosa bevi ma soprattutto Cosa festeggiamo? » « Non tutti mettono l’albume, secondo alcune politiche dei locali, non si possono servire crudi, ed il succo di limone, o meglio lime viene sostituito con il preparato. Sai che penso a volte? Che avrei dovuto fare il barman » 𝓗 : « Io penso di preferire la versione con albume e lime perché mi ricorda una ricetta vera e propria per certi versi. Saresti stato un bravo barman, di quelli che dopo il servizio ascolta sempre i pensieri più profondi delle persone e li analizza » « Però verrei pagata di meno » 𝓗 : « Avresti il dono nell'analisi anche nella vita di Artemisia la barista.Sicuro e invece che risposte elaborate avresti avuto rutti ma ti saresti divertita di sicuro » « Che schifo no. I rutti mi infastidiscono » 𝓗 : « E poi Artemisia è un nome troppo elegante, non puoi fare la barista. Avresti dovuto avere un nome in codice, tipo Ethel.Schifosi ma eloquenti » « Io non torno a New York » 𝓗 : « In che senso? Quando? » « Domani, non torno a NewYork, non so quando ci torno » 𝓗 : « Così, all'improvviso? » « Non è all’improvviso. Ci pensavo da un po’ e sono convinta che tu lo hai iniziato, almeno a sospettare » 𝓗 : « Diciamo pure che prenderti dei giorni sabbatici non è da te » « Ho preso una pausa dal lavoro. A tempo indeterminato » 𝓗 : « Okay. Non so se sentirmi sollevato o preoccupato. Non l'ho fatto ma lo faccio adesso: dunque, cosa è successo? Cosa ti ha spinto a prendere questa decisione? Sento che qualcosa di importante è cambiato. › « Io ho troppe cose, emozioni, sensazioni e vita che ho soppressò, ho fatto finta che non sia mai esistita. Che il dolore, solo ignorandolo, potesse passare. Invece sì É accumulato e la mia voce è diventata sempre più flebile, fino a perdere il timbro. Un urlo, senza voce. » 𝓗 : « A furia di ascoltare voci diverse, hai smesso di sentire la tua. Sento anche che non riguarda il modo in cui ti senti nei miei confronti e che era un processo in atto da diverso tempo, credo. È giusto? » « Non lo so, non lo so Henrick non ho più risposte » 𝓗 : « Artemisia, va bene non sapere le risposte, forse vuol dire che ti devi porre più domande. Io voglio esserci, vorrei davvero, ma almeno fino a fine luglio, sono bloccato con le riprese a New York. Potrei chiedere....non lo so, cosa potrei chiedere. Potremmo vederci nei weekend....senti di poter dare una risposta qui, giusto? » « Prima di partire ho organizzato delle cose ho sistemato i conti e la tua agenda. Sono con Guglielm e penso che andremo con lui a Roma o starò qui... non lo so. So che non puoi restare e non te lo chiederei mai, so che hai delle scadenze » 𝓗 : « New York non è il posto giusto eh? Non lo è mai stato. Se vuoi posso tenere Herman in qualche modo, mi organizzerò con Hannah. Non è un trabocchetto nè ironia solo...è giusto che tu faccia quel che senti e di questo ne sono felice, anche perché so che ti porterà dappertutto ma non lontana da me. Io l'ho fatta una ricerca di me stesso e sono arrivato fino in India, direi che siamo pari « Hai Virgil e Dante a cui badare, Herman sarà con me. Forse ci farà bene. » 𝓗 : « Lasciar andare qualcuno che ami è più facile nei film. Chiamami ogni giorno o quasi, ho bisogno di sapere che starai bene. » « Starò bene, ma saremo lontani. Quindi starò meno bene. » 𝓗 : « Quindi starai male ma imparerai cose nuove su di te a furia di ascoltare solo la tua voce. Magari al tuo ritorno staremo vicino e anche più be— e anche meglio. Vedi, mi sono corretto da solo. Starò bene anche io, mo sto già abituando » « Pensi che non stiamo bene ? » 𝓗 : « Penso che stiamo molto bene, ma in base alla mia esperienza in India, conoscere meglio sé stessi migliora sempre tutto. È l'india che mi ha suggerito di essere stato uno stronzo » « Beh te lo suggerisce anche Tereza ogni giorno » 𝓗 : « C'è una lista intera di persone che lo fanno ogni giorno » « Non in India. » 𝓗 : « No. Lì sono stato io, pensando a voi. » « Abbracciami. » 𝓗 : « Come farò senza il tuo fondoschiena e la tua intelligenza? Arrivo. » « Stiamo un po’ così » 𝓗 : « Tutta la vita? » « Si, tutta la vita » 𝓗 : « Non mi basterà. Voglio anche la prossima. › « Mi tradirai?Vuoi un bonus per il sesso? 𝓗 : « Conosci la risposta. Come bonus mi dovrai un po' di sesso telefonico.Foto nella doccia » « Mpf » 𝓗 : « Sarai da sola con Guglielm? O verrà anche qualcun altro a cercare le tue risposte? Tipo quella tipa.... Ah sì, Margaret » « Margot. No solo io e lui per il momento » 𝓗 : « E poi? › « Poi spero anche tu » 𝓗 : « Dovremmo stilare un calendario. E se ad agosto non avrai ancora trovato ciò che cercavi? » « Lo cercheremo insieme » 𝓗 : « È quello che onestamente volevo sentire »
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diana-mars22 · 7 years ago
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Quando una canzone
‹‹È quando ho soltanto una canzone che do il meglio di me stessa.›› Ecco cosa rispondo alle persone che mi chiedono come faccio a fare quello che faccio. Sono una pittrice. Spesso mi avete vista disegnare per strada o sui gradini dell'università, ma non vi siete mai chiesti chi sono, vero? E come potreste? Non potete. Non sono la classica bellona che quando passa per strada si voltano tutti. E non sono la persona più popolare del mondo. Anzi, si potrebbe dire che io appaia quasi insignificante. Se mi vedete spesso mi assimilate alle zingare per le mie gonne variopinte da contadina che spazzano per terra. Ma se mi guardate bene vi vengono i dubbi per la mia pelle candida e i capelli ramati e il sorriso che vi rivolgo. Ecco. Io sono quella ragazza. Mi chiamo Anna. E sono un'artista. Io lavoro quando meno ve l'aspettate. Io lavoro per strada la mattina presto o nel tardo pomeriggio per la città in ricostruzione. Sono mie le opere che vedete sui nostri grigi marciapiedi o nelle mostre. O ai concorsi d'arte. Sono mie quelle opere che fotografate e postate sui social. E sono felice di vedere come le rendete famose con le vostre foto. Ho cominciato a disegnare quando ero molto piccola. È stato papà a insegnarmi. E il nonno ha insegnato a lui. Ma loro non hanno mai fatto quello che faccio io. Non ho mai capito perché. Anche se gliel'ho chiesto spesso, ottenendo solo silenzio e rossori di risposta. Immagino si vergognassero. Alle elementari sapevano tutti che disegnavo.
Poi dopo le medie smisi. E’ stato dopo il liceo che cominciai a usare la città come tela per le mie opere. Durante le scuole superiori questo era ancora un embrione di pensiero dentro la mia testa. Un’idea con la quale amavo trastullarmi quando non avevo niente da fare. In quel periodo mi aveva lasciato da poco il mio ex ed ero distrutta. Ci eravamo conosciuti a scuola grazie a un corso di recupero d'italiano.  Per me fu amore a prima vista ma non fu così per lui. Quando non me la sentii di andarci subito a letto mi lasciò senza motivo per correre dietro ad altre ragazze. E sprofondai in un periodo nero domandandomi dove avessi sbagliato e cosa avessi fatto di male. Io non avevo fatto niente. Sembrava che il mondo mi fosse caduto addosso.
Avrei voluto aprirmi, confidando nell’aiuto di qualcuno, o solo confidarmi con qualcuno. Ma non avevo amici e quei pochi conoscenti che avevo si lasciarono avvelenare dalle parole del mio ex. Che prese a dipingermi come una frigida. E non mi andava di parlare coi miei, nonostante tutto il sostegno. Perciò a tenermi compagnia in quel periodo fu la musica. L'mp3 divenne il mio migliore amico. E, dopo tre anni di inattività ripresi in mano tele e pennelli. E scoprii di non aver mai perso la mano. E che mi sembrò di aver ritrovato una parte di me che avevo perso. Come quando si ritrova un anello molto caro che non si sperava più di ritrovare. E più dipingevo più il dolore andava via. In un mese avevo già dimenticato tutto e avevo ritrovato il sorriso. I miei ne furono contenti. A diciassette anni le cose cambiarono. La mia fama venne accantonata dall’opinione generale e il mio ex trovò qualcun’altra da tartassare. Cominciai a riversare sulle tele ciò che le canzoni mi suggerivano e immaginavo indipendentemente dalle parole. E per me il mondo ritrovò quei colori che aveva perso. A diciotto anni cominciai a disegnare in classe, beccandomi sì qualche rimprovero dai prof ma anche l'ammirazione dei medesimi e dei compagni. Per la prima volta capii cosa significasse essere al centro dell'attenzione per qualcosa di positivo. Anche se per loro ero niente di meno e niente di più di una geisha, un'intrattenitrice, un'artista. Infatti per disegni e simili mi cercavano sempre. Mi dicevano che avevano qualcosa di magico. Anche di naif per i colori. Ma li amavano e non smettevano di chiedermeli. Avrei potuto mandarli affanculo ma la verità era che mi faceva piacere disegnare per loro. E poi la voce sulla mia bravura si sparse per tutta la scuola. Ma io non sono mai stata un tipo orgoglioso. Per cui non me la presi e feci finta di niente anche alla loro indifferenza. A diciannove anni partecipai a un concorso di pittura scolastico. Per puro caso venni a sapere che avrebbe partecipato anche il mio ex. Il quale si dilettava di pittura. Neanche lo immaginavo. Penso che non sapesse del mio talento. Altrimenti mi avrebbe chiesto qualcosa. Ma alcune persone sono così: non gli importa niente del mondo oltre loro stessi.
Quando mi vide mi domandò: ‹‹Oh, ciao. Partecipi anche tu?›› ‹‹Sì››. ‹‹In bocca al lupo››. Poi se ne andò. Io lo fissai per tutto il tempo che restò nel mio campo visivo. Il passare del tempo lo aveva imbruttito. E da quel poco che avevo conosciuto di lui mi domandai cosa c'avessi trovato anni prima. Vorrei potervi dire che lo odiavo ma non è così. Il tempo aveva cancellato tutto. Il tema del concorso era "Il mondo attraverso i miei occhi". Sembra facile a dirsi. Non lo è altrettanto a farsi. Il mondo cambia a seconda dell'osservatore. Alcuni dicono faccia schifo. Altri credono che sia di frutta e canditi. Ma io? Io come lo vedevo il mondo? Passai quasi due mesi a scapicollarmici finché un giorno, a una settimana dal termine della creazione prevista dell'opera; mentre tornavo da scuola con l'autobus, indossai le cuffie e di canzoni in canzone ebbi la mia risposta. Cioè che il mondo era a colori. Tirai immediatamente fuori dallo zaino il quaderno e cominciai a buttare giù lo schizzo iniziale. Ero così presa che di già tanto se mi ricordai di scendere alla mia fermata. Corsi in camera e cominciai a disegnare. Tempo due giorni ed era pronto. Quando portai a scuola quella tela grande quanto me a scuola attirai numerosi sguardi incuriositi. I dipinti vennero appesi per i corridoi. Gli studenti sarebbero stati i nostri giudici. Avrebbero votato l'opera migliore strappando un tagliandino colorato senza numero tipo Ipercoop e lo avrebbero deposto in un'urna apposita. Il mio era giallo. Poi in base al conteggio i prof avrebbero decretato il vincitore. Osservai le opere dei miei concorrenti. Erano veramente splendide e al confronto parevano far sfigurare il mio quadro. Anche se le tele erano molto più piccole. E detesto ammetterlo, ma si erano impegnati tutti molto. Lo capivo dai capannelli di persone radunate di fronte alle croste (termine tecnico) e dai loro commenti entusiastici. Io avevo raffigurato me stessa nell'angolo in basso a sinistra che disegnavo e il disegno prendeva vita dal foglio e da me stessa. Avevo disegnato l'acqua, l'aria, il fuoco, la terra che danzavano insieme. Poi uno stuolo di farfalle e uccelli che passavano da uno sguardo riflettente una diversa realtà a un altro assumendone i colori. Avevo disegnato leggende che si rincorrevano come ricami e figure dipinte su un kimono. Stelle e costellazioni.  Continenti con le loro tradizioni. Feste. Vita e morte unite in un caldo abbraccio. Solitudine. Coraggio. Amore. Ma anche dolore e vittoria. Rinascita. Ma non era un guazzabuglio. Sconsolata rientrai in classe.
Nei giorni seguenti neanche guardai la mia opera. Tanto era ovvio che la vittoria sarebbe andata al mio ex. I prof avevano detto che la sua opera era molto espressiva. Solo per scoprire due settimane dopo di aver vinto io. Ma lo dissero i miei compagni. Io non capivo di che parlassero. ‹‹Vieni a vedere. Vieni!›› Mi trascinarono in piedi tutti felici e commossi. Pensavo scherzassero ma era tutto vero. Vinsi perché ‹‹Hai cercato di rappresentare il mondo ma hai fatto anche di più. Ci hai commosso. Abbiamo sentito la musica i suoni e la passione che ci hai messo. Ci hai messo anche te stessa, letteralmente. Il tuo quadro è una poesia››. Tutti mi applaudirono. E persino il mio ex fece una faccia ammirata anche se minimizzò tutto dicendo: ‹‹Niente male››. Dopotutto era arrivato secondo.
Solo per farmi terra bruciata attorno per tutto il periodo che fummo a scuola e oltre. Finché un giorno non mi trasferii. Adesso ho ventisette anni e mi sono trasferita in un'altra città. Vivo da sola e per pagarmi da vivere dipinto e lavoro in un bar. In questi anni ho avuto molti amori e finalmente ho qualche amico. Però non ho mai messo da parte il mio primo amore, cioè l'arte. E ora ho occasione di dimostrare quanto valgo. Questo mondo è complicato. E se non hai le conoscenze giuste non vai da nessuna parte. Spesso mi dicono che le mie opere sono troppo infantili. Anche se in realtà quello che faccio di infantile non ha nulla. Per lo più muovono critiche ai colori e le varie sfumature che uso. Ma più vado avanti più il mondo ha bisogno di colori. Per questo ho cominciato a dipingere abusivamente per strada. Sia tele che opere con gessetti colorati. È una faticaccia e spesso mi fanno male la schiena, le ginocchia e le mani. E spesso me li cancellano. Ma ne vale la pena quando vedo le persone sorridere o commuoversi di fronte alle mie creazioni. Poi verso il 21 di giugno c'è stato il terremoto. Sono morte trecento persone e alcuni tra i palazzi più antichi sono crollati anche per la scarsa manutenzione o perché non a norma di sicurezza. Fortunatamente il mio condominio era ancora in piedi e, a parte una crepa, non era successo niente. Sono stata fortunata. Molte persone si sono messe a fare volontariato. I cantanti hanno raccolto fondi di beneficenza per aiutarci. È venuto persino il presidente del consiglio a farsi pubblicità in vista del prossimo, ennesimo referendum. I credenti gridano al miracolo perché le statue della Madonna e dei Santi si sono salvate. Ma tempo pochi mesi che la notizia del terremoto è già passata di moda e nessuno si ricorda più di noi. Ed è qui che entro in gioco io. Mi sono ricordata di quello che mi dissero al concorso del liceo. Forse non posso salvare tutte quelle persone. Ma potrei restituire loro un sorriso. Per questo ho cominciato a riempire la città di opere d'arte. I passanti che cercano di ricostruirsi una vita mi lanciano occhiatacce e mi urlano che è fatica sprecata. Che tanto la pioggia e i lavori futuri cancelleranno tutto. Ma non li ho mai voluto ascoltare. Nessuno le guarda mai ma non mi arrendo. Un pomeriggio dopo pranzo, mentre sto lavorando a un disegno in trompe l’oeil un ragazzino mi si avvicina. ‹‹Che cosa stai facendo?›› ‹‹Dipingo››. ‹‹Ma perché?›› ‹‹Perché voglio che smettiate di piangere. Perché voglio vedervi sorridere di nuovo. Ed è l'unico modo che conosco per farlo››. ‹‹Ma come fai?›› ‹‹Con la musica. L'ascolto sempre. Ho stoppato l'mp3 perché sto parlando con te››. ‹‹Capisco.›› Poi aggiunge ‹‹Sai che le persone non vogliono che tu dipinga?›› ‹‹Ah, sì?›› Replico con un sorrisetto divertito. Lo guardo. Non avrà più di sedici anni. ‹‹E tu?›› ‹‹Io?›› Annaspa in cerca di parole. Poi arrossisce come un peperone e scappa via. Non l'ho più visto. E intanto ho completato la mia opera. Ho riprodotto un giardino sulle macerie. Muri e strada. Sembra di essere in un parco. E a me fa molto Robin Hood della Disney. Ma ai miei concittadini non piace. E hanno firmato una petizione per cancellarle. La mia opposizione non è servita a niente.
Sono sprofondata nel dolore più nero. Credevo di fare del bene e invece... E non ne sono riemersa finché un giorno non mi sono accorta che dei ragazzi stanno seguendo il mio esempio. Stanno cominciando a riempire la città di disegni come tanti streetarter. Ma più di ogni cosa, mi accorgo che stanno cercando di fissare le mie opere con tinte che resistono agli agenti atmosferici. E che per ogni centimetro cancellato le rifanno. E cercano di proteggerli con le cerate. Lo fanno di sera quando sono sicuri che i genitori non vedano. Poi postano il loro operato sui social. Una sera li ho visti e tra di loro c'è il ragazzino che ha parlato con me. Mi hanno detto che hanno capito quello che faccio e vogliono aiutarmi. Non ho mai visto così tanta determinazione negli occhi di un adolescente. Benché meno in così tanti tutti insieme. ‹‹Tu dipingi e dicci cosa fare. Noi ti aiuteremo››. Non posso fare a meno di commuovermi. Rischiano la loro vita - perché ci sono state altre scosse; anche se di magnitudo inferiore e l'allarme non è cessato - e vanno contro la loro città per me. ‹‹È un sogno...›› Mormoro. Ma i ragazzi rispondono scuotendo il capo. E dentro di me la musica si accende e mi riempie illuminandomi. Improvvisamente vengo colpita dalla loro emozioni e dalla loro intensità. Emozioni che cerco di fissare ogni giorno nel colori. Emozioni che giorno dopo giorno si attenuano sempre più in me. Mentre la musica resta sempre uguale. E io no. Abbiamo avuto un'idea. Abbiamo collegato un impianto stereo all'altoparlante e lavoriamo a ritmo di musica. Ogni giorno si aggiungono persone e finalmente scorgo qualche adulto e coetanei. E pure genitori e disoccupati che ci portano da mangiare e bere se siamo stanchi. Alcuni registrano video e alcuni studenti del dipartimento di disciplina di scienze dello spettacolo hanno girato un documentario sulla città e quello che stiamo facendo. Mi hanno intervistato. E hanno partecipato a mostre e concorsi cinematografici e hanno vinto. La voce si è sparsa e ora, a distanza di due anni le telecamere dei tg sono di nuovo da noi. Ci chiamano "La città dei miracoli" perché abbiamo riempito d'arte questo posto e abbiamo trovato il modo di risollevarci da soli senza l'aiuto dello Stato, sfruttando questa mostra d'arte in scala di città. Abbiamo fatto tutti i permessi quindi è tutto legale. I turisti hanno cominciato ad arrivare a frotte già nel primo anno. E pagano per aiutarci. I volontari procurano i colori. E ora abbiamo anche gli scultori. Abbiamo richiamato altri artisti che ora lavorano con noi. E un giorno mi sono vista arrivare proprio il mio ex del liceo. Lo stesso che mi ha rovinato la vita subito dopo il concorso. Ora ha trentadue anni. Lavora come impiegato e sta già meglio rispetto al giorno del concorso. Mi ha offerto un caffè. Sono stata tentata dal rifiutare ma di fronte al suo sguardo implorante e alla sua supplica ‹‹Almeno ascolta cosa ho da dirti›› non ho rifiutato. Dopotutto non sono più una ragazzina, e vorrei capire perché farmi questo.   ‹‹Ti ho odiata quando vincesti a scuola, mettendomi in ombra, sai? Oh sì. Io che ti odio. Ma è vero. Non lo sopportavo di essere ignorato così. In questi anni però ti ho seguita sui social. Alle mostre e i concorsi e ora qui. Eri la mia ossessione. Ho provato a copiarti perché pensavo che sarei diventato qualcuno ma mi sbagliavo. Ho anche provato a ostacolarti e un po’ci sono riuscito. Ma non era soddisfacente come credevo. Mi sono iscritto all'università e sono diventato professore di storia dell'arte alle medie. Quei ragazzini mi hanno cambiato. Io sono cambiato e mi sono accorto di essermi comportato come un ragazzino. E ti chiedo scusa. E quando mi sono trasferito qui e c'è stato il terremoto e tu hai avuto il coraggio di fare qualcosa li ho incoraggiati a seguire il tuo esempio››. ‹‹Perché?›› ‹‹Perché grazie a te ho capito cosa dovevo fare per salvare me stesso e quel ragazzini. E per chiederti scusa per tutto ciò che ti ho fatto. Anche quando stavamo insieme››. ‹‹È un po' tardi per questo. Non credi?› Gli dico con calma. Lui sorride. ‹‹Lo so. Ma volevo dirtelo. Non sto facendo il cascamorto. Voglio solo fare la mia parte. Se vuoi posso aiutarti a gestire tutto questo è ampliarlo. Tu dimmi cosa devo fare e sarò felice di aiutarti. Fosse anche portarti da bere››. ‹‹Grazie. Ma non occorre. Puoi sempre dipingere assieme a noi.›› Gli sorrido. ‹‹Mi piacerebbe molto››. ‹‹Allora vieni. Prendi un pennello e unisciti a noi.›› Gli dico con un cenno del capo. Sempre sorridendo. Sono contenta per lui. ‹‹Volentieri.›› Ci avviamo al piano di lavoro e gli porgo un pennello e una tavolozza. Li prende e mi accorgo che, da come li impugna, che non ha mai smesso di dipingere neanche lui. Però una volta davanti al muro lui esita e gli chiedo cosa c'è.  ‹‹Mi potresti insegnare?›› ‹‹A fare cosa?›› ‹‹A dipingere come te?›› Suggerisce, ma nella sua voce leggo molto di più. ‹‹Non c'è un metodo. Dipingi quello che hai nel cuore.›› Dalla faccia che fa sembra che non sappia neanche lui che cosa abbia nel cuore. Ma ho il sospetto che lo scoprirà presto. Lui pare aver capito e ci mettiamo a dipingere e mentre la mia creazione prende forma mi chiede: ‹‹Come ci sei riuscita a fare tutto questo?›› ‹‹Sono partita da una canzone. Perché a volte una canzone è  tutto ciò che si ha. Dalla musica ho tratto tutto››. È vero ho solo la musica. Ma quanti viaggi ho fatto grazie a lei. E sono tornata da questo viaggi apposta per riportarli e colorare il mondo. Non voglio un mondo grigio e morto. Perché io amo la vita e la vita, come la musica, è a colori.
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dreamers-queen · 7 years ago
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“Su Le Monde, un gruppo di femministe dichiara che se un uomo viene accusato di stupro è colpevole fino a prova contraria. Lena Dunham, sceneggiatrice di Girls, ha dichiarato la stessa cosa: le donne non mentono sullo stupro. Quindi se un padre, un fratello o un figlio verranno accusati di molestie da una tizia qualsiasi, è giusto linciarlo su Twitter, farlo licenziare, calunniarlo, diffamarlo e possibilmente suicidarlo. Sarà bellissimo andare da un uomo di 66 anni e dirgli “papà, hai 12 ore per dimostrare a degli sconosciuti che 30 anni fa non hai toccato il culo a una tizia, altrimenti ti toglieranno la pensione”.
Sperando non crepi subito d’infarto come con gli errori di Equitalia, sarà spassoso.
Mi colpisce come né le femministe di Le Monde né la Dunham abbiano spiegato perché questo principio si debba applicare solo ai casi di molestia/stupro e non, che so, a quelli di tortura. O di omicidio. O strage. Vorrei inoltre far notare che se un tizio stupra una donna, conoscendo questo principio gli conviene ucciderla; se lei è morta avrà un processo equo e assistenza legale. Se lei è viva, no.
Portentoso, ‘sto principio.
Altra domanda: se la stupratrice/molestatrice è una donna, magari di un’altra donna, o di un bambino? Anche lei è colpevole fino a prova contraria? Perché è risaputo che anche le donne stuprano, torturano, uccidono e sfregiano uomini, donne e bambini. In quel caso come funziona? La parola di un uomo vale meno che quella di una donna? E quella di un bambino?
Lo so, lo so, sto facendo il cockblocker. So che queste domande complicano una cosa “semplicissima” e tolgono alla folla il suo giusto e meritato linciaggio quotidiano, ma sto ancora imparando come funziona il tribunale popolare Social. Faccio domande a questi nuovi Savonarola e mi sento come quando discutevo con certi elettori che rispondevano “ma va làààà, va làààà, checcivuole a gestire un comuneeeee?”.
E non ho nemmeno finito. Perché con tutto il rispetto del mondo e senza voler sembrare antipatico… c’è un altro problema non trascurabile, in questo nascente tribunale sociale.
Ecco, lungi da me rovinare tutta quest’allegra giustizia sommaria, ma in agosto una ragazza ha accusato un collega di Lena Dunham di averla molestata. Lena ha risposto che la ragazza certamente mentiva. Per questa dichiarazione è stata massacrata dal tribunale social, nonostante si sia scusata per aver dubitato. Tolta Lena, ci sarebbe la storia della tizia che non aveva voglia di pagare il taxi e se n’è andata minacciando di accusarlo di molestie. Un altro tassista è stato salvato dall’app per lo stesso scherzo. E un altro ancora. A Milano un tassista sudamericano ha violentato la turista canadah, no. Sempre a Milano, la studentessa violentata sul treno da due marocchini si era inventata tutto. C’è poi il caso dello stupro di Chiaia denunciato su Facebook, proposte di giustizia sommaria e poi era una palla. Un’altra ha mentito perché voleva 1000 euro al mese da un imprenditore. Una chiede un passaggio, la carichi e scatta il ricatto. Anche le prostitute lo fanno. A Torino c’è stata la ragazza violentata dai ROM; guerriglia urbana, poi scusate, mentivo. Una donna ha accusato il suo ex fidanzato di stupro ”per farlo tornare da lei”. Idea che ha avuto anche un’altra donna a Olbia.
Dev’essere tipo “prima Badoo, dopo #metoo”.
Un’altra, per nascondere al marito l’amante, lo ha fatto incarcerare per un anno dicendo che l’aveva violentata. Un’altra l’ha detto per attirare l’attenzione. Una, per nascondere i succhiotti che le ha lasciato l’amante, racconta di essere stata violentata. Messa alle strette confessa di “avere fatto una cavolata”. Una passa la notte con l’amante, poi si presenta dalla polizia millantando di essere stata sequestrata e stuprata. Non è la sola a usare il trucco per coprire tradimenti. Ci sono poi gli immancabili 2/3 immigrati stupratori; roboanti dichiarazioni di Salvini, immancabile “castrazione chimica”, poi non è vero. Notare che, stando ai Carabinieri, la signora era “non nuova a questo genere di reati”. Un’altra non ha il coraggio di dire al marito che fa la pornostar e dice che “è stata costretta da un conoscente”: falso. Un’altra s’è inventata tutto per far ingelosire il fidanzato. Una ha accusato il vicino di casa di stupro per liberarsene. Un’altra ha speso tutti i soldi, non ha avuto il coraggio di dirlo al marito e ha inventato stupro e rapina. Un’altra lo ha fatto per non pagare il biglietto del treno. E l’ha fatto anche un’altra. In Inghilterra, una tizia nel corso degli anni ha rovinato la vita a ben 15 uomini, finché qualcuno non si è accorto che nessuno l’aveva mai stuprata. Che ne è degli uomini, dopo? A me viene in mente Mohammed Fikri, intercettato durante l’indagine su Yara Gambirasio. La brava gente si è premurata di rovinargli la vita. Poi è saltato fuori che non c’entrava nulla. C’è anche il caso di un italiano mandato in galera dalla compagna un mese per niente. Per. Niente.
Ora: sono assolutamente certo i casi qui sopra siano rarissimi e isolati. O forse non così tanto. Ma sempre attenendosi ai numeri: quanti uomini innocenti è accettabile rovinare, per saziare la sete di giustizialismo della casalinga di Voghera? Uno su mille? Su diecimila? Soprattutto: chi ha deciso che una massa dietro una tastiera ha il diritto di giudicare e punire qualcuno? Chi gli ha dato il potere di farlo?
Bè, ammettiamolo: noi media, opinionisti e webstar di stocazzo abbiamo una discreta responsabilità.
Non facciamo muro contro la falange d’immondizia umana che si indigna per noia e lincia per divertimento; anzi, ne abbiamo un terrore assoluto. Tanto da legittimare calunnie e diffamazioni coi vari “l’opinione della rete”, “il web insorge”, “la rete si indigna”. Non sono opinioni, sono calunnie e diffamazioni, ossia reati. Il terrore di essere bollati come sessisti ci ha portati a presumere la colpevolezza in base all’organo sessuale. Abbiamo accettato il linciaggio dei colpevoli, e questo ha legittimato il linciaggio dei presunti colpevoli, in un delirio giustizialista collettivo dove chi cerca di moderare i toni è bollato come complice, e per dimostrare di avere la coscienza pulita bisogna fare a gara a chi è più intransigente; chiedere punizioni via via più severe fino alle immancabili torture, mutilazioni, esecuzioni.
Forse, prima di ritornare al codice di Hammurabi, sarebbe il caso di tirare fuori i coglioni e opporsi. Non partecipare a questo schifo. Non fare nomi. Non dare visibilità ai linciaggi. Boicottare, bloccare e impedire ai capipopolo di crearne altri. In una parola, comportarci da persone responsabili e non da bestie emotive.
Ma immagino sia la frase che dice il classico guastafeste.”
Tumblr media
 Ma ricordate, bambini: la violenza è un problema di genere, tutti gli uomini nascono carnefici - e devono andare in tv a cospargersi il capo di cenere in quanto nati uomini, perché se gli stupratori (almeno quelli che fanno notizia) hanno il cazzo allora tutti quelli che hanno il cazzo sono stupratori e DEVONO scusarsi e guai a loro se fanno notare che a sessi invertiti è la stessa cosa - tutte le donne nascono vittime e questo bisessismo, in fondo in fondo, ci piace, ci fa comodo, ci caratterizza. Fomentiamolo, che va bene così* 
 */s/
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