1998. Viene fondato Google, debutta nelle sale Salvate il soldato Ryan, Lucio Battisti ci lascia, Harry Potter affronta Voldemort. Nasco io. E vbb mica poteva essere un'ottima annata.
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Non dico addio — Recensione
Quando si legge un libro si forma un tacito accordo tra autore e lettore. L’autore si fa carico di avere qualcosa da dire, e del compito di provare a dirlo al suo meglio. Il lettore però a sua volta si impegna ad affidarsi all’autore, a lasciare che le sue parole si facciano largo in lui, a fidarsi della persona che sta dietro a quelle parole, magari senza avere nemmeno idea di chi sia. Ci vuole…
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Moriremo tutti ma non oggi — Recensione
Cosa significa avere 27 anni e soffrire d’ansia? O meglio, cosa significa avere 27 e non voler ammettere a se stessi di soffrire d’ansia?Lo riesce a spiegare perfettamente Gilda, la protagonista di Moriremo tutti ma non oggi di Emily Austin. Fin dall’inizio appare evidente come Gilda sta passando un periodo difficile, dato che già nelle prime pagine del libro si ritrova coinvolta in un incidente…
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L’Hallyu — l’influenza della Corea del Sud nell’editoria italiana
A partire dagli anni Novante – quando manga e anima di provenienza giapponese hanno iniziato a spopolare in tutto il mondo – si è potuto osservare un poderoso propagarsi dell’influenza asiatica all’interno della cultura occidentale e dei suoi consumi. Nell’ultimo ventennio, però, altri Paesi provenienti dal continente asiatico si sono fatti largo sullascena internazionale. Primo fra tutti la…
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Han Kang — come la Corea del Sud si aggiudica il Nobel per la Letteratura 2024
La scrittrice sudcoreana Han Kang — già vincitrice del Man Booker International Prize nel 2016 e del Premio Malaparte nel 2017 — ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura 2024 per “la prosa intensamente poetica che si confronta con i traumi storici e che espone la fragilità della vita umana”, come annunciato dagli stessi account del Premio. Nata nel 1970, Han Kang è quella che si può…
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La figlia oscura: l'inizio della "frantumaglia" di Elena Ferrante
Se esiste qualcuno in grado di incarnare il concetto di ossimoro vivente nel panorama letterario italiano , è sicuramente Elena Ferrante: scrittrice conosciuta da tutti, di cui però nessuno sa la vera identità. Famosa principalmente per la sua saga in quattro volumi de L’amica geniale, la quale ha conosciuto un successo mondiale — grazie anche alla serie televisiva conclusasi quest’anno — al…
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Quando pensavi di aver già toccato il fondo dei fondi, e invece cadi ancora piú in basso.
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Non promettermelo mai.
Chiudo gli occhi. Volto la testa. Non le voglio leggere quelle parole, non voglio sentirmi nelle ossa quella promessa che non osi pronunciare. Ma anche se chiudo gli occhi, anche se ignoro i segni soffocanti, tu sai che io so. Chiudo gli occhi e cerco di dimenticare. Certe promesse non andrebbero mai dette, non andrebbero mai pensate. La tua promessa di lasciarmi sola un giorno non la voglio, cancellala, eliminala come farai con me. Le tue non sono promesse. Sono condanne. E io non so mai come oppormi ad esse.
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Prometti.
Il coltello scivola silenzioso sul palmo di S, come uno strascico sul marmo; il sangue impiega pochi secondi e fare la sua comparsa, fluisce dai piccoli lembi di pelle disegnando una diramificazione che si estende per tutta la mano fino a far colare piccole gocce al polso. -Prometti.- C osserva la mano e il taglio che lei gli porge, è come se a ogni battito del suo cuore una nuova goccia ne fluisse. "Prometti" gli dice quel sangue cremisi, quel liquido nascosto sotto pelle. "Prometti" gli dicono i suoi occhi, che sono un po' qui, fissi nei suoi, e un po' da un'altra parte. Prometti tutto quello che le parole non sanno esprimere, questi sentimenti e quelle promesse che solo il sangue riconosce. Prometti. C prende il coltello dalle sue mani, poggia la punta dove l'indice si attacca al corpo e schiaccia. È meno delicato, meno veloce e preciso il suo taglio, ma anche meno profondo; nelle sue mani la lama sembra voler scegliere per lui, essere il fine invece che il mezzo. Delinea una retta che finisce all'estremo opposto, eppure non potrebbe mai chiamare nessuna delle due ferite. Lascia che il coltello cada a terra mentre stringe la mano di lei, palmo contro palmo, sangue che si mescola col sangue, una promessa indisolubile che ora scorre nelle vene di entrambi. -Prometto.- Non dicono cosa promettono. Noi non lo riveliamo. Ma il sangue, lui sa.
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[storia originale]
Mi chiedo se tu abbia ancora quella foto attaccata sopra al letto. Quella in cui ti ho disegnato un paio di baffi alla francese per scherzo e tu per ripicca mi hai disegnato una proboscide scrivendomi ‘Dumbo’ in fronte. Mi chiedo a chi rubi le felpe ora, o se Bianca ti permetta di indossare quella roba strana dalle maniche diverse che alla fine eri costretta a indossare solo quando eravamo io e te. Se la sera apri le finestre per controllare la luna anche se non ci sono piú io a indicarti dov'era la sera prima. Mi chiedo se quando ci sono i tuoni pensi anche a me ora. Se quando senti il rombo che sovrasta la musica delle cuffiette ti ricordi di noi, abbracciati sotto le coperte tirate fin sopra la testa; delle mie labbra che ti baciano i capelli, le tempie, quelle mani che non riesci a tenere ferme, ogni volta che non ti sussurro che quelli sono solo i colpi di tamburo del cielo. Mi chiedo se ora a farti paura siano sempre quei tuoni o non avermi lí con te. Ma soprattutto mi chiedo se tu sappia che ti sento trattenere il fiato ogni volta che mi fermo davanti alla tua porta, il pugno alzato, pronto a bussare su quel legno, un pugno pesante come il mio stupido passo che deve avermi tradito. So che trattieni il respiro, perchè ti sento sospirare ogni volta che mi allontano. Perchè è piú facile farsi odiare che odiarti?
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Caro C. E’ proprio in questi momenti vorrei che tu arrivassi qui da me e mi amassi. Non a modo mio, come lo immagino nelle storie dentro la mia testa. Ma a modo tuo, qualunque esso sia. Tua S.
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22.24, ho perso per poco le 22.22 e ,forse, perdo anche te.
Eccoci qui, vorrei dire che siamo una di fronte all’altra, ma sarebbe una misera bugia, una di quelle che ci si dice da sole, sono quelle licenze poetiche che concediamo a noi stessi pur non essendo poeti. Perchè tu non sei qui davanti a me. Tu non ci sei proprio. E sai qual è la cosa peggiore? Che non mi hai abbandonato come gli altri. Non te ne sei andata, non mi hai lasciato indietro, non hai eretto muri o urlato insulti. Tu ti sei consumata. Tu eri davanti a me, e mentre io rimanevo immobilizzata, schiava delle tue parole, tu non ti muovevi, non facevi nulla. Sarebbe bastato che tu alzassi la mano, che la allungassi verso di me, io l’avrei afferrata e avremmo risolto anche questa, insieme, come abbiamo sempre fatto in questi anni. Ci penso sai, a tutti i nostri anni, non riesco a non pensare a tutti i momenti in cui sei stata con me. Come sei potuta passare da quello a questo? Non riesco a capirlo. Non lo accetto. Ci penso anche guardandoti stare ferma, senza far niente. “Prendila come vuoi.” Aveva ragione chi diceva che l’indifferenza è peggio di qualunque insulto, mi avessi urlato contro almeno avrei potuto dire che di me, comunque, ti importava ancora. Ti guardo e tu ti consumi, fino a diventare cenere, che vola via nel vento di questo mio luogo immaginario. Tu ti sei consumata. E con te hai portato anche una parte del mio cuore.
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Non è vero che le persone sono solide, con contorni e confini netti. Le persone sono come l'acqua che muta costantemente, che prendono la forma del contenitore del momento, senza averne una vera e propria, fissa e stabile. Nemmeno, le persone sono una sostanza ancora, una nuova, di quelle che i chimici hanno sotto il naso ma ancora non riescono a scoprire, siamo un sostanza che non ha forma, ma che puó decidere quale avere, non costretta a subirne una come l'acqua. Decidiamo i contorni da darci, decidendo che è così che siamo, ma basta vedere una bottiglia più bella per decidere che non vogliamo piú essere lisci e dalle line curvee morbide, ma essere fatti di spigoli spessi e appuntiti, di diventare ruvidi dove prima la pelle scivolava. Non sappiamo più come siamo. Io non so piú come sono, sono un materiale nuovo e vecchio come il mondo; sono come gli altri, senza una forma, senza conoscermi, ma non saró mai come gli altri. Vedo le sagome delle altre persone in giro e prendo quello che mi piace per farlo mio. Non sono più un animale, perchè non ho piú istinti a guidarmi, abbiamo ormai perso la naturalezza. Siamo un elemento nuovo, nato dal cervello, dai calcoli, dal programmare e valutare. Siamo qualcosa di pericoloso per noi e per noi stessi. Sono pericolosa per me e per gli altri, perchè ancora non mi conosco.
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Storia di una me che scopre l'Inail.
Oggi (stamattina, sveglia alle 8) sono stata mandata da padre all'Inail, e non sto a raccontarvi i fogli da fare, "ma così puó", "così non puó" ecc. Non é questo il fulcro della storia. La parte in cui devo trovare la strada per arrivarci e ci arrivo lo è. Partiamo col dire mia cara Inail che forse, e dico forse, le indicazioni dovresti metterle un po' più spesso che ogni venti metri, soprattutto se la strada è fatta in modo da essere circondati da vetrine scure identiche su ogni lato, ogni due metri colonnini grigi creano angoli bui come le scenografie dei film horror e ogni tre metri hai scale che scelgono e salgono. Ora Inail, il mio senso dell'orientamento sarà praticamente inesistente, e io mi perderó con una facilitá impressionante, ma tu non aiuti certo. E questa strada posso assicurarvi che era letterlamente un mix tra le vie stereotipate americane dove rischi di essere accoltellata in ogni angolo, e un laboratorio scientifico dove si fanno esperimenti sugli esseri umani. Tutto solo molto piú abbandonato, grigio e solitario. Finalmente dopo cunicoli, TUBI (letteramente), sali e scendi, e la sensazione di essere in un thriller ambientato in un cubo arrivo dalle porte scorrevoli spalancate dell'Inail, e una luce dalle toalitá oro e il canto degli angeli mi accolgono. No ok niente canto degli angeli (ma nemmeno nessun campanello fastidioso, punto a te Inail), peró tutto la hall era illuminata da queste lucette gialle, molto gialle, che facevano molto ambientazione Cittá Incantata (no, nessun bel spirito del fiume mi è apparso aimè). Comunque, entrata ho deciso di buttare alle ortiche la mia reputazione e gettarmi sul bancone a chiedere aiuto alla donnina dietro il bancone, questa mi ha un po' guardata e dopo avergli spiegato perchè ero li e "E non ho la più pallida idea di dove devo andare" deve aver avuto pietá di me perchè gentilmente mi ha mandato al piano che cercavo indicandomi pure dove era l'ascensore. L'ascensore. Più. Horror. Che. Abbia. Mai. Visto. E ne ho visti tanti! Luce così forte e bianca che rendeva l'atmosfera esterna come se fosse stata piena notte, e la voce. Gi�� solo che ci sia una voce rende il tutto molto inquietante, ma quella era sicuramente di qualche doppiatrice di film dell'orrore perchè non trovo altra spiegazione. E ora numerino in mano sono seduta nella sala d'attesa. Esatto, avete indovinato, tipicissima sala d'attesa da film horror. Ormai mi viene da ridere, altro che paura. Stephen King esci da quest'Inail. Spero arrivi presto il mio turno.
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Cosa fai quando ti rendi conto di essere una brutta persona?
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La Faffa - Incipit. /original/
Quando vivi alle pendici ci una montagna in Nepal è difficile comprendere quando avvengono i cambi di stagione, ancora di piú se non si va a scuola e gli unici bambini vivono al villaggio, troppo distante per andarci da sola. Al villaggio si va solo con mamma, e noi ci eravamo sempre andate nei giorni di mercato. Era grazie a mamma e al mercato che riconoscevo una stagione rispetto all'altra. In autunno i banchetti erano pieni di conserve e delle prime coperte, quelle ancora colorate con i gialli e azzurri dell'estate, ma in cui spuntavano giá i rossi e gli arancioni. Avevamo la casa piena di queste tipiche coperte del Nepal, perchè mamma le appendeva in casa, sui muri, su un filo che aveva deciso di fare passare in mezzo alla cucina, "cosí tu avrai la tua parte di cucina, e io la mia. E quando arriverá l'inverno, sará bello aprire la coperta e scoprire che le nostre cucine sono ora la stessa e unica". L'autunno era sempre stata la mia stagione preferita perché mi ricorda mamma. Con la sua pelle del colore delle foglie cadute e i suoi capelli tinti di henné era la perfetta armonia dei colori autunnali, guardarla era come guardare un bosco di quercie dove le foglie morivano lentamente al tramonto. Era bellissima, con i capelli sembre ribelli e il sorriso che scioglieva le nevi, e il cuore caldo, caldo come il fuoco intorno a cui si riunivano i saggi del villaggio una volta l'anno e le donne ballavano fino all'alba. In quei eventi anche mamma ballava, trasformandosi in una delle sue sorelle fiamme. Poi mamma aveva sempre qualcosa da raccontare per me, che fosse una storia che si era inventata sul momento, o cose che le erano successe davvero. Pur non essendomi mai allontanata molto dalla nostra piccola casa in legno, grazie a lei mi sembrava quasi di aver giá girato tutto il mondo. Con l'inverno poi arrivava ogni sera un racconto nuovo. "Allora, stasera vuoi che la Faffa ti racconti qualcosa?" Mi chiedeva, al chè mi gettavo sul letto, lasciandole lo spazio per sedersi accanto a me, e annuivo, giá in silenzio, decisa a non perdermi una parola. "E allorá la Faffa ti racconterá qualcosa." La mia mamma si chiama Valeria. Ma tutti la chiamano Faffa.
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Kiss between the bars.
Baciami, anche se so che farà male, anche se sto ancora lottando con le persone che sono stata. Baciami e fammi sentire meno inadatta, piú amabile. Baciami attraverso le sbarre della gabbia che ci siamo costruiti. Rendiamo queste catene più leggere, preghiamo un cielo che ci ha abbandonato. Baciami e liberami. Baciami e dammi fuoco.
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Una cosa senza titolo.
Cavolo gente, fra un'ora e 14 minuti diventeró maggiorenne. Lo so, lo so, "ma che ti esalti? Ma che ti credi che sia questa gran ficata?" E invece sta qui il punto. Sono felice, davvero, non me la sentirei mai di negarlo, so giá che domani mia madre, mio padre e mio fratello mi sveglieranno tutti assieme; che probabilmente giá da mezzanotte riceveró un sacco di auguri dalle persone che mi vogliono bene, o che qualcuno da qualche parte starà a prescindere pensando a me. So che domani delle mie amiche mi faranno una sorpresa che non è poi cosí sorpresa. So che nel fine settimana delle altre mie amiche mi festeggieranno in un'altro modo. So che domani sera saró con le persone a me piú vicine. Sono tutti esaltati per questi miei 18 anni come se fossero i loro, e la cosa mi rende felice. Saró felice, lo so. Lo sono giá. Peró. Eggiá, c'è un peró. Dovete sapere che giá alle medie io avevo un brutto rapporto con l'etá, col "crescere", col "cambiare"; a me le cose piacevano cosí com'erano, riconoscevo la bellezza della mia vita, quindi perchè doveva tutto pian piano volgere al termine? Anche se è la fine delle foglie d'autunno, destinate a una metomorfosi che le renderá altro. "Ma dai, ti fai giá venire le crisi di mezza etá?" Eh peró anche voi con queste domande, care voci nella mia testa, cosí non va. Non credo siano crisi di mezz'etá, penso si avvicini piú quasi a una leggera fobia, un freddo senso di inadeguatezza, un oscuro presagio che ti si aggrappa alle spalle, trasformandosi in un indesiderato peso sulla schiena. È un fiebile freddo che arriva a ghiacciarti l'intero cervello se non si sta attenti, se non ci si riscalda nel giusto modo. Quattro anni fa non mi facevano a sentire a mio agio i 18 anni di mio fratello, pensate i miei adesso! E quindi eccomi qui. Aspetto le 00:00 perchè me l'ha chiesto una mia amica, guardando X-men perchè sostanzialmente sono giá una nerd vissuta, a modo mio. Sono passati solo 17 minuti. L'ansia cresce. L'esaltazione pure. Questo post non ha titolo, nè senso.
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