s-gobetti
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Stefano Gobetti educated as an architect in Venezia, now living in Torino. Image maker, visual resercher and folly lover. Glad to show my room, sorry for the messy atrium. CONTACTS:[email protected]
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s-gobetti · 7 months ago
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“Preparatevi a passare dei guai!” così inizia il motto del Team Rocket collettivo antagonista del anime giapponese Poketto Monsutā (1997) apparso nella televisione italiana nel 2000 con il nome di Pokémon che se non ha condizionato la cultura di tutto il mondo sicuramente l’ha fatto per chi scrive in questo momento “e dei guai molto grossi” risponde James.
Questo trio dai capelli magenta e lilla appare in tutte le puntate ripetendo sistematicamente il loro motto
proteggeremo il mondo della devastazione, uniremo tutti i popoli della nostra nazione, denunceremo i mali della verità e del amore,estenderemo il nostro potere fino alle stelle…
utilizzando dei travestimenti nel tentativo di rubare Pikachu per poter entrare nelle grazie del loro Boss Giovanni, fallendo miseramente ogni volta. Giovanni è un uomo dai capelli corti, in completo e camicia dalla doppia vita: nella penombra è il Capo del Team Rocket mentre alla luce del sole è il Capopalestra di Smeraldopoli. Insomma rappresenta a pieno titolo un uomo di successo, un collezionista il quale piano è quello di impossessarsi di tutti i Pokémon rari.
«Il Louvre è nato da un atto di aggressione. Fu attaccato nel 1972, durante la Rivoluzione francese, e da deposito di collezioni fatte con bottini di guerre feudali (una versione d’epoca dello stoccaggio in porto franco) fu trasformato in un museo di arte pubblico, probabilmente il primo al mondo, inaugurando un modello di cultura nazionale. In seguito divenne la nave ammiraglia culturale di un impero coloniale dedito a seminare cultura in altri mondi con metodi autoritari»
Hito Steyerl, Duty Free Art, L’arte nell’epoca della guerra civile planetaria, Johan & Levi Editore 2018
chissà perché per legittimarsi in un discorso si dice sempre “da sempre”, “da quando sono nat*”, come per dare più importanza alle cose che si sta dicendo, come se la coerenza fosse un valore aggiunto o come se la tradizione o l’autoctonia fossero ancora delle parole che non ricordano soltanto tristi monumenti negli angoli delle strade da dover pulire dagli escrementi dei piccioni e visitare ogni tanto quando non si va a scuola. In ogni caso da che ho memoria, quando veniva raccontata una storia c’erano i buoni e poi c’erano i cattivi e nella pausa pranzo nel giardino delle elementari con lə amichə giocavamo al Team Rocket, in breve facevamo guai, alle volte i guai erano semplici come rubare la palla a chi faceva il gioco del calcio, altre più complessi come colorare le pareti bianche dei muri bianchi con il verde del prato, insomma alla fine si risolveva tutto con una nota sul registro e tutto tornava come prima: le pareti pulite, l’erba nelle aiuole -non calpestabili- ed il gioco del calcio indisturbato che tutto sommato mi ricorda molto il motto della quarantena “ritorneremo alla normalità” ed eccoci qua, dopo tutto ciò che ci dice la storia a parlare di tradizione, storia e normalità. Ebbene ecco cosa hanno in comune queste cose le si ritrova nei musei, le pensano le persone che hanno il potere, le organizzano secondo la loro logica che spesso, per non dire sempre è autoritaria, gerarchica e cronologica. Si segue una linea dunque dritta e retta che va a finire nel giusto e che nega tutto ciò che considera sbagliato. Non c’è tempo Momo smettila di cercare Cassiopea! È una cosa seria, ne va del nostro onore. Come tutte le parole che abbiamo elencato prima le cose peggiorano quando si parla di Nazione allora li è immediato aggiungere ferrovia e guerra, insomma confine per finire in burocrazia, documenti e decoro.
«Abbiamo recitato per tanto tempo. Siamo attori consumati. Adesso possiamo cominciare a vivere. E sarà un gran bello spettacolo».
Dal manifesto del Gay Liberation Front inglese (1970)
Come si fa quindi a parlare di autonomia del linguaggio nel arte contemporanea da parte della cultura queer? Ma sopratutto può esistere una storia della cultura queer? e chi è a farla, soltanto le persone queer?
«Così abbiamo deciso di chiamarci queer. Usare “queer” è un modo di ricordarci di come veniamo percepiti dal resto del mondo. È un modo di dirci che non dobbiamo essere persone spiritose e piacevoli che devono condurre vite discrete al margine del mondo eterosessuale. Usiamo queer come uomini gay che amano lesbiche che amano essere queer. Queer, a differenza di gay, non significa maschio»
«Essere queer significa condurre vite diverse: niente a che vedere con il mainstream, il profitto, il patriottismo, il patriarcato, o l’essere assimilat*. Niente a che vedere con direttori esecutivi, privilegio ed elitarismo»
Dal Queer nation manifesto, diffuso durante la marcia del New York Gay Pride Day del (1990)
Di certo ci sono solo i dubbi e sicuramente abbiamo capito che la certezza appartiene a quella visione del mondo straight che poi è il contrario di queer. Che poi è quella mentalità per la quale si fanno le torri ed il punto di una torre è averci la più alta della città, lo so bene io che vengo da Lucca e che il signor Guinigi -per superare il limite di altezza che poi bruciava tutta la città- ci ha messo un albero sopra, adesso gli alberi li mettono sui balconi così abbiamo anche risolto il problema del verde e delle pareti che si lavano bene. Oggi non si chiamano più grattacieli ma il concetto è sempre il solito, deve stare in centro, deve occupare spazio e deve essere la più grossa e noi dobbiamo passare il nostro tempo a lavorarci dentro oppure fuori a guardarlo dicendo “che bravo”. Ma siccome poi succede che le cose non durano bisogna farle ricordare ed ecco perché sono importanti i musei, gli archivi e la storia. Un pò come nelle case quando le cose vanno a male bisogna metterle nel frigorifero perchè è poi tutto un problema di conservazione quindi poi c’è la questione del restauro, ma soprattuto del cosa ricordare.
Picasso, oh no, otra vaz tú! Oh no, otra vez Warhol! Cecilia Gimenez lo sa bene non si tocca Hecce Homo, altrimenti lo si rovina.
Dórica, dórica, jónica, jónica
Corintia, corintia, corintia, corintia
 
Historia del arte, penes con pincel
Famosos, pintaje, sin píxel, con papel
Quindi si sa che andando al contrario si finisce fuori dai binari e per niente confuse diciamo addio a confini, norma e patriarcato. È un pò come quando ti spiegano la storia del arte nella quale ti spiegano a cosa dare importanza allora è importante l’autore e che poi si finisce per entrare alla Tate e se ne esce che si è letto solo un sacco di didascalie, per non parlare che se poi si va davvero nei musei si finisce per accorgersi di cosa sono, da dove vengono le opere e chi non finisce ne nei musei, ne negli archivi e neanche nella storia. Della serie Amal Clooney sta ancora lavorando per riportare i fregi del Partenone ad Atene, in Virginia rimuovono la statua del generale Robert Lee e nelle americhe vengono abbattute le statue di Cristoforo Colombo.
Ma quindi dove si va a cercare la cultura queer se non la si può trovare nei musei? nelle istituzioni? nelle scuole -grazie provita- o negli archivi?
«Se davvero vogliamo salvare il museo, dovremmo scegliere la rovina pubblica rispetto alla redditività privata. E se non è possibile, si vede che è arrivato il momento di occupare collettivamente il museo, di svuotarlo dai debiti e di alzare le barricate del buon senso, di spegnere le luci affinché, senza alcuna possibilità di spettacolo, possa funzionare come il parlamento di un’altra sensibilità»
New York, 14 marzo 2015
Paul B. Preciado, Un appartamento su Urano. Cronache del transito, Fandango Libri, 2020
La si incontra per strada, alle volte nel letto, altre a cena? forse come ipotizza José Esteban Munoz non la si incontra mai o come consiglia Jack Halberstam bisogna fallire al momento guardando alla storia si può osservare soltanto che i tentativi di farla durare l’hanno poi ingabbiata, fissata e cristallizzata. Quindi la si trova in cose che non durano, in arti minori, non è arte da museo e non è arte Classica, nè bianca, nè occidentale. È un estetica fatta di spari, lanci, ricami. Spillette, scritte sui muri, slogan urlati. Toppe serigrafate, volantini distribuiti, pelle tatuata. Attività ludiche in locali notturni, bagni pubblici, parchi, pinete, parcheggi come case private, strade e spazi abbandonati.
«IL QUEER NON È QUI. Il queer è un’aspirazione. Detto in altre parole, non siamo ancora queer. Potremmo non raggiungere mai il queer, ma possiamo percepirlo, come la calda luce di un orizzonte infuso di possibilità. Non siamo mai stat* queer, eppure il queer esiste per noi come un’aspirazione che può essere distillata dal passato e usata per immaginare un futuro.»
José Esteban Munoz, Cruising Utopia, NERO 2022
È un gesto irripetibile come Silvia Spolato con un cartello con scritto “sono lesbica”, come Sylvia Rivera che lancia -la seconda- bottiglia molotov o la dragqueen che getta il caffè in faccia al poliziotto. Sono gesti di rottura e pratiche transfemministe di cura e mutoaiuto come quelle delle STAR (Sreet Transvestite Action Revolutionary) o delle Queen o delle Madri delle Black Ball. Sex worker, razzializzate, senza casa che per poter esprimere la propria cultura organizzavano TAZ! È un arte che non si posiziona prima del museo, non può trovare una forma perchè non può avere definizione o profilo.
«Già da prima, da sempre, l’attivismo, non solo transfemminista e queer, produce saperi “indisciplinati” che hanno lo stesso valore della produzione accademica: servono infrastrutture che se ne prendano cura dal basso e si preoccupino della loro libera circolazione, senza privatizzare (anche in senso economico) questa ricchezza comune.
[…]
Servono luoghi per organizzare collettivamente il rifiuto della “promessa di riconoscimento” sulla quale si basa tanta parte dello sfruttamento del lavoro intellettuale dentro e fuori l’accademia. Perché l’accademia, in questo senso, è solo un esempio nemmeno il più importante.
»
Fallire sempre meglio, postfazione a cura di CRAAAZI di Jack Halberstam, L’arte queer del fallimento, minimum fax 2022
È uno spazio liberato dal patriarcato, dal consumismo e dal colonialismo. È uno luogo dissedente dal sistema ciseteronormativo che può essere il palco di un locale, una casa come una pineta. Ma chissà come mai è sempre un atto considerato illegale, illecito o criminale. È uno scandalo, è perverso, è storto. Ed è uno spazio che va occupato, perchè altrimenti visti i rapporti di potere si finisce per essere sussunte, canonizzate e sfruttate perchè i processi di istituzzionalizazione riconoscono certo la legittimità ma comportano allo stesso tempo la rinuncia di autonomia nel percorso di ricerca e sfruttamento e normalizzazione per chi porta avanti le stesse lotte sociali fuori, dentro o contro le istituzioni.
Un arte dal basso che non può entrare in un museo se non che ricodificata, resa accettabile, sbiancata.
è solo dopo che vengono rese innocue al ordine stabilito che le persone queer entrano nei musei, nella moda, nelle belle arti. Non è queer aderire al sistema che l’opprime, lo impedisce e lo combatte: Sgombero di Atlantide 9 ottobre 2015 #AtlantideResiste!
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s-gobetti · 7 months ago
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s-gobetti · 7 months ago
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post scritto
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s-gobetti · 7 months ago
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copyriot presentazione fanzine at #queernotqueernessmeetlivingroom
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s-gobetti · 3 years ago
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folding: un dialogo con patrizia valduga
piazza arbarello, torino 2022
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s-gobetti · 3 years ago
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s-gobetti · 4 years ago
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intossicat* dai vapori
« Uno strano fenomeno vecchio ormai di un cinquantennio è il culto fanatico tributato negli ambienti omosessuali maschili alle grandi dive del cinema. Una moda del genere non ha riscontro fra le lesbiche, che in America sembrano interessate, come gruppo, piuttosto al softball che non all’arte o alle pose artificiose. La grande diva è una dea, una madre-padre universale. Le parodie cabarettistiche delle grandi dive eseguite da uomini ne sottolineano immancabilmente i tratti androgeni. MAE WEST, MARLENE DIETRICH, BETTE DAVIS, EARTHA KITT, CAROL CHANNING, BARBRA STREISAND, DIANA ROSS, JOAN COLLINS, JOAN RIVERS: tutte sono femmine di successo dalla fredda volontà maschile, che presentano sottili ambiguità sessuali nell’aspetto e nei modi. JUDY GARLAND suscitava fra gli omosessuali maschi attacchi di isteria collettiva. Le cronache riferiscono di urla disumane, assalti in massa al palcoscenico, lanci incessanti di fiori. Tali erano i riti orgiastici degli eunuchi presso il sacrario della dea. Vi sono foto che mostrano uomini in posa mentre mimano un ingresso trionfale nel luccicante costume di scena della Garland, esattamente come nel travestitismo dei devoti dell’antica Grande Madre »
Camille Paglia, Sexual Personae
Che tipo di relazione c'è fra dive, capelli ossigenati e omosessuali? È mia intenzione mettere vicino, accostare per tentativi una serie di cose trovate un pò come i pezzi di vetro levigati dal mare sulla spiaggia, per poi conservarli in dei barattoli, sempre di vetro, che pigramente riposano su mensole nella casa. Le dive, fra le dive, sono di un biondo platino, glaciale quanto preciso, pungente e definito che ci riporta ad una conversazione avuta pochi giorni fa:
c: mi fai venir voglia di riossigenare
f: la smania delle frocie
f: assurdo che tutte ci ossigeniamo ad un certo punto della nostra vita
f: come un bar mitzvah
Questo rito di passaggio, di pulizia, si ritrova nell’ossessione del pittore David Hockney per il bleach (candeggiare) dei suoi capelli quanto nella parrucca di Andy Warhol, paragonabile ad un turbante. Il medesimo artista che nel suo linguaggio unisce questi simboli riproducendoli attraverso lo strumento della comunicazione pubblicitaria, dell'epoca, la serigrafia: drag queen e Marilyn Monroe sono trattati nello stesso modo, con la stessa noia ed indifferenza, di come la stella dell'arte contemporanea tratta tutto, ma in particolare un prodotto messo su uno scaffale del supermercato: -un barattolo di zuppa Campbell grazie! Similmente questo accade nello sbiancamento operato da Madonna al Vouging che di fatto pulisce l’immaginario emerso da una cultura fatta di corpi di immigrat, non bianch, non ricch e sexworkers attraverso un elenco di icone -che sempre bionde sono- hollywoodiane, riprendendo le distanze della comunità gay di New York composta principalmente da maschi bianchi rispetto ad alcune personalità presenti all’interno della lotta per la liberazione del desiderio omosessuale: le STAR (Street Transvestites Action Revoluctionary).
« Beauty’s where you find it (move to the music)
Greta Garbo e Monroe,
Dietrich and DiMaggio
Marlon Brando, Jimmy Dean
On the cover of a magazine »
Madonna, Vogue
Trasportando la questione nel campo della rappresentazione, volendo indagare il mondo del fenomenico, quindi interrogando ciò che appare come appare agli occhi e mantenendo una particolare attenzione alla percezione riprendo le considerazioni sul guardare di John Berger. Il quale osservava come la figura della donna venga dalla più tenera età in-formata dallo sguardo che le si posa addosso, abituata quindi a dover controllare il proprio apparire e a doverlo renderlo piacevole, subendo quindi lo sguardo dell’uomo. Questo sguardo disincarnato sembrerebbe coincidere con il punto di vista, la posizione teorica propria a quell'occhio occidentale, che Camille Paglia vede nascere all’alba della nostra cultura. Ed è proprio in questo rito di detersione che le divinità dell'antico Egitto che ancora conservano parte del loro legame con la natura (ctonia) vengono coinvolte. Le sembianze animali non vengono accettate ai vertici del monte Olimpo e come ricorda il fregio del Partenone: il classico, il bianco, l'ordine si impostano sullo sterminio di creature ambigue, mezze umane mezze animali: i centauri, le amazzoni e i giganti. Nella mitologia greca queste battaglie, sono combattute da Apollo che vaga uccidendo i vari serperti -un pò come San Giorgio lo si trova sempre impegnato ad uccidere un drago- e le immagini delle divinità olimpiche vengono così lavate presentando delle figure completamente antropomorfe. Questo sguardo ritrova forza nel Rinascimento che infatti viene contrapposto ad un periodo di buio, fatto di ombra, il Medioevo. Prendendo adesso le considerazioni di Marshal McLuhan sulla Galassia Guttenberg: nascita dell'uomo tipografico (1962) dove associa l'introduzione in Europa della stampa a caratteri mobili (1455) con l'inizio del dominio del visivo, e quindi dell'occhio sugli altri organi di senso (naso, bocca, orecchie e pelle). Inaugurando così una lineare, progressiva, cronologica, Storia accompagnata da una sempre più luminosa società. La luce in effetti come ci insegnano praticamente quasi due secoli di sperimentazione nell'arte (George Seurat, Josef Albers, Lucio Fontana, Dan Flavin, etc..) è un medium che spesso viene letteralmente piegato per prendere significati, basti pensare alle insegne fatte con i neon, dove la tautologia si compie, la luce prende la forma di una parola. Ma cosa ci potrebbe dire per esempio una lettura del cambiamento dell'illuminazione nell'ambiente domestico? e del mondo dello spettacolo? quale pensiero si può trovare dietro la cecità per eccesso di luce? Dopo il libro diviso per capitoli, stampato e non trascritto o dettato (trasmesso quindi per via orale), l'altro strumento da indagare è la prospettiva che trova fortuna proprio nello stesso periodo (Leon Battista Alberti, De Pictura, 1434-1436) e che David Hockney associa alla necessità della chiesa cattolica di fissare una certa idea, rappresentata da un cristo in croce alla fine di una navata, che sarà proprio uno dei temi formali affrontati dall'architettura nel rinascimento: che forma ha una chiesa cattolica? Ah la fissità! Quale orrore, la cristallizzazione di sé stessi e la coerenza con la persona che si era ieri, che terribili gabbie, autoimposte, performate e ripetute. Ma che centra il dominio, l’autorità, il lineare, il progressivo, il dritto, con noi creature queer? E soprattutto cosa centra tutto questo con i capelli ossigenati? Come ultima testimonianza presenterò qualcosa che ho riesumato dalla cultura televisiva italiana, tipica del pomeriggio Rai di quando ero piccola, l’episodio diciannove della prima serie di Popular, (Ryhan Murphy, 1999), biondo è bello, uscito in Italia nel luglio del 2003 dove una regista frocia mette in scena il ribaltamento dei ruoli sociali attraverso il rito della decolorazione, l’ottenimento dunque di privilegi attraverso un elisir di potere dettato dal capello color dell’oro: Britney, Cristina, Pink, Paris Hilton, quanto Anna dello Russo, Donatella Versace e Lady Gaga che a colpi di I'm so fab. Check out, I'm blonde, I'm skinny, I'm rich And i'm a little bit of a bitch! portano avanti una vera e propria crociata conservatrice, ricca e bianca. Con una chiarezza tale, da brillare come un diamante, una prigione geometrica, una macchina perfetta dove tutti gli ingranaggi funzionano a tempo e con ritmo, una parete completamente bianca (il moderno in architettura), una attrazione ai vincoli e all'autorità tale da portare alla morte chi ricerca il bello. L'uomo occidentale annega quindi nel suo specchio e come ammette Bernadette in Priscilla regina del deserto (Stephan Elliott, 1994) di nero vestita, in rigoroso lutto, per la morte del suo compagno:
« non è scivolato, si stava di nuovo ossigenando i capelli ed è rimasto intossicato dai vapori »*
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s-gobetti · 4 years ago
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PRESENTISNOTPRESENTISPRESENTED, Genova 2018
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s-gobetti · 4 years ago
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DOMESTIC LANDSCAPE: READY TO INSTAL, anywhere, anytime
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s-gobetti · 4 years ago
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Refresh, Mostra Poster Digitali - GALLERIA ARTE IN PORTO, Genova 2018
Plastis Bugs a photographic project on trasparency.
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s-gobetti · 4 years ago
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My last projects Sex Positive Digital Defence is now on ISG
https://isgisgisgisgisgisgisgisgisg.com/
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s-gobetti · 4 years ago
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Svizzera 240 : House Tour, Freespace 2018
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s-gobetti · 4 years ago
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la princesse est modeste*
Entrando nella mansarda di Villa Croce, oggi museo di arte contemporanea, ricordo una Villa sulla Costa Azzurra a Cap Martin, la E1027.
Progettata da Eileen Gray nel 1926 una Villa costruita per due persone, Eileen Gray e Jean Badovici. Progettata da lei per lei e da lei per lei e lui. In questa abitazione si consuma un dialogo, architettonico, che avviene su quelle pareti tanto rivoluzionarie perché progettate da una donna, quanto bianche. Lei sceglie di avere i muri bianchi e arredi, che oggi definiremmo site specific, in tubolare di acciaio e pelle che si contrapponevano ai coevi corredi in stile dalle zampe di leone. In questa casa la Gray esprime nei volumi puri, nel intonaco bianco e nell’organizzazione della pianta, modellata secondo l’osservazione e l’esperienza diretta del lotto, quello che in parole traduce come «Anche nella casa più piccola uno deve potersi sentire solo». In questo risuona il futuro della casa, negli anni 30 Charles-Éduard Jeanneret aka Le Corbu frequenta la villa. È estate e in assenza dei proprietari realizza otto murales, gesto poi ricordato da un articolo del Guardian come «he asserted his dominion, like a urinating dog, over the territory». La Gray non metterà più piede nella E1027. 
Successivamente Le Corbusier realizzerà Villa Savoye (1928-30) che non solo sarà riconosciuta come manifesto del movimento moderno ma ha tutte le pareti completamente bianche. Il bianco diventerà uno dei suoi famosi cinque punti sull’architettura e bianca sarà anche la sua città ideale concretizzatasi in India, Chandigarh (1951). Contemporaneamente come regalo per la moglie, a Cap Martin costruirà Le Cabanon (1951), un capanno progettato secondo il Modulor, un sistema di proporzioni che unisce il metodo geometrico della sezione aurea alle misure di un uomo alto 1,83 m, dipinto in una delle parete dell’architettura minima. La famosa unità abitativa minima pensata appunto per un uomo nudo in vacanza dove «non serve molto più di un letto, servizi, un tetto e la vista del sole che riprende sul mare». Mare in cui successivamente morirà nuotando verso il sole.
L’INVESTIGATORE DUPIN È UN ARTISTA ESTETA CHE RISOLVE I CASI CRIMINOSI CON IL METODO DELLA PERCEZIONE VISIVA. POE.
Marshall McLuhan, The Gutenberg Galaxy: The Making of Typographic Man, 1962
«IL GOVERNO, CHE È STATO FIN TROPPO GENEROSO CON MONSIEUR DEGUERRE, HA DETTO CHE NON PUÒ FARE NULLA PER MONSIEUR BAYARD, E IL POVERO DISGRAZIATO SI È ANNEGATO.»
David Hockney & Martin Gayford, A History of Pictures: From the Cave to the Computer Screen, 2016
#casaInternet si inserisce in questo spazio, tra la parete bianca lavata del moderno -richiamando Svizzera 240: House Tour padiglione elvetico alla Mostra internazionale di Architettura di Venezia del 2018- e della E1027, e la foto di Le Corbusier che dipinge vestito solo con i tondi occhiali i murales;
affonda in quella sottile sostanza «A thin coating of some substance», che Gottfried Semper osserva sui monumenti degli antichi greci, liquida policromia che si scontra con l’autorità del classico rivendicata dal Palladio;
#casainternet gusta gli arredi fantasmi progettati per la riapertura del primo edificio in stile Bauhaus, la Haus Am Horn, che richiamano nella miniatura il monumento fatto di soli contorni, ferro laccato di bianco Casa di Benjamin Franklin a Philadephia;
guarda alla metamorfosi da interno pubblico e esterno privato del Chiostro di Sant’Andrea in Piazza Dante a Genova;
tocca la facciata dell’edificio di Bartolomeo Bianco, l’Università genovese, che contrasta per la semplicità del disegno non per austero carattere ma per mancanza di dettagli architettonici illusionistici -che, almeno secondo il Wittkower l’avrebbero reso più simile all’uso vigente nel tardo secolo XVI; ascolta una bottiglia di Klein che propone la struttura per un dialogo nel dialogo:
«Ernst: Gilbert, tu tratti il mondo come se fosse una sfera di cristallo. Lo tieni in mano, e lo rivolti per compiacere un’ostinata fantasia. Non fai che riscrivere la storia.

Gilbert: Il solo dovere che abbiamo verso la storia è riscriverla. Questo non è il minore dei compiti tra gli altri dello spirito critico. Quando avremo scoperto tutte le leggi scientifiche che governano la vita, vedremo che l’essere che ha più illusioni del sognatore è l’uomo d’azione. Infatti, egli non conosce le origini delle sue azioni, né i loro risultati. Sul campo in cui lui pensava di aver piantato pruni, noi abbiamo fatta la nostra vendemmia, e il fico che egli pianto per il nostro piacere è sterile come un cardo, e più amaro.
 Solo perché non ha mai saputo dove andava, l’umanità è riuscita a trovare la propria strada.»
Oscar Wilde, Intenzioni, 1891
#casainternet è anche una conversazione in un salotto sul bleach dei capelli di David Hockney, sul girocollo nero di Andy Warhol o le scarpe con le onde di Robert Wilson.
#casainternet si ritrova nel concetto originario di cura, nel significato latino di sollecitudine, premura, preoccupazione, attenzione, nel quale l’inquietudine si trasforma in preveggenza e godimento. Contrapposto al concetto occidentale, maschile, bianco di funzione. Sono quindi elencate qui progettiste che hanno ampiamente dimostrato ciò che qui si intende: Eileen Gray, Gae Aulenti, Carla Venosta, Franca Helg, Anna Castelli Ferrieri, Nanda Vigo, Anna Gili, Lilly Reich e Charlotte Perriand. Ombre dei maestri moderni.
#casainternet è il YES di Yoko Ono scalato da John Lennon e Il manifesto del Tattilismo, presentato nel 1921 al pubblico del Théatre de l’Oeuvre di Parigi, da Filippo Tommaso Marinetti ma completamente ispirato dall’incontro della moglie Benedetta Cappa ed il genio pedagogico di Maria Montessori.
«non ebbi mai la pretesa d’inventare la sensibilità tattile, che già si manifestò in forme geniali nella Jongleuse e negli Horsnature di Rachilde». 
F.T. Marinetti, Il Tattilismo, Milano 11 gennaio 1921
#casainternet è l’artista Sofonisba Anguissola. Sono I limoni di Eugenio Montale. È la notte in cui Marguerite Yourcenar visita villa Adriana.
«Ora, negli anni ottanta, è diventato di moda affermare che il movimento moderno è morto. Se presa sul serio, è forse un’affermazione discutibile, ma è un’idea interessante, forse la prima idea nuova e ricca di ispirazione da quando il movimento è nato. È comunque liberatoria. Significa che può esserci di nuovo qualche utilità nell’analizzare il linguaggio architettonico, nel cercare di definire la natura e il valore della decorazione e nell’approfondire tutta la questione dell’architettura in quanto mezzo di comunicazione sociale»
John Summerson, Il linguaggio classico dell’architettura. Dal rinascimento ai maestri contemporanei, Einaudi, Torino 1971
*estratto da una frase che si riferisce alla villa imperiale di Katsura: «La Ch[ambre] à voucher du Prince à 4 tatamis- lei murs - le tatami = 96 x 192 - !!! la princesse est modeste» da Carnet J37, Le Corbusier, 1955.
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s-gobetti · 4 years ago
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CRYSTAL BALL WASN’T JUST A GAME, Genova 2019
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s-gobetti · 4 years ago
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CRYSTAL BALL WASNT JUST A DREAM, Genova 2019
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s-gobetti · 4 years ago
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#CASAINTERNET: PICKING A BLUE, Museo Villacroce, 2019
Installazioni a cura del collettivo #casainternet
Fotografie dell’allestimento scattate da Silvia Giuseppone
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s-gobetti · 4 years ago
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A breaf dinner to Mollino’s, Messages from The Darkroom, Torino 2020
House as museum or viceversa, Museum as Home another public private issue. As we all knows the ancestor of Museum were rooms of folly in the house and before of that, rooms for the eternal rest. So the question are: are museums domestic spaces? And is design a process of mummification of our personal landscape? And more, what’s the relation between leisure, “noia borghese”, and exhibition? And how that is connect with “Grandi Magazzini”, is “Centro commerciale” the new contemporary art gallery ? And at the end do we ever consider that what we do when we work with architecture, art and design is a strange way of spazialazing our body? The proposal so is Museum as Graveyard of fornitures.
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