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parrari-latinu · 5 days ago
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parole francesi in russo: э ю ё ж ль ф
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parrari-latinu · 5 days ago
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perché "memorizzare" delle"regole di grammatica" per "le declinazioni" quando puoi semplicemente fare una ricerca inversa mentale per tutte le volte che hai sentito una proposizione che vuole il caso che ti (mi) serve col genere giusto nel tuo (mio) vastissimo repertorio di memini carini scritti male?
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parrari-latinu · 12 days ago
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in russo volere, esigere, chiedere, aspettare e cercare possono reggere accusativo o genitivo, illustro la follia: con i sostantivi concreti reggono l'accusativo, con i sostantivi astratti reggono il genitivo + il verbo aspettare, nello specifico, regge l'accusativo con i sostantivi concreti femminili e il genitivo con i sostantivi concreti maschili + con le negazioni, oltre alla consueta frase di non esistenza che vuole il genitivo (cioè se io non ho una cosa o se quella cosa non c'è, la cosa va al genitivo), il verbo amare vuole l'accusativo per i nomi singolari e definiti, il genitivo per i plurali o generici. oppure, ancora, con aspettare e volere e la negazione, quando il verbo si riferisce a oggetti non presenti nella realtà del soggetto (??????), il sostantivo è al genitivo. in generale con negazione un nome determinato ha più probabilità di essere all'accusativo e uno indeterminato o plurale al genitivo. come faccio a vivere così?
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parrari-latinu · 25 days ago
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Da quando ragionare su certi meccanismi è diventato il mio pane quotidiano mi affascina vedere che giri di boa facciano le parole e soprattutto la loro funzione, affidata originariamente -ma senza garanzie- all’etimologia. Uno tra i moltissimi esempi che mi viene da fare è quello della parola intimate, in inglese, che per lo più vuol dire sì intimo, ma solo in alcune delle accezioni dell’italiano, e che più che altro ha l’accezione dell’aggettivo graduato ‘closest’. A proposito proprio dei superlativi, la riflessione più significativa che mi venga da fare è che l’aggettivo intimus in latino nasce già come superlativo, e questo si vede dalla ‘m’, che in latino (ma anche in greco e in germanico, antenato di inglese, tedesco ecc.) era un formante di superlativi; vediamo infatti parole come: massimo, minimo, supremo, infimo, che sono, ad oggi, tutti superlativi. In inglese, però, dato che [nonostante la comune matrice indoeuropea con il latino] questa m non viene etimologicamente percepita come indizio di un superlativo (la storia è ben più intricata di così) allora diventa del tutto corretto dire ‘most intimate’, come se in italiano si dicesse, in soldoni ‘il massimo intimo’. Tuttavia, vi stupirò: moltissimi aggettivi già al grado superlativo, in italiano, compresi quelli elencati sopra, non vengono più percepiti come tali, ed ecco che si sentono espressioni come ‘più intimo, più infimo, più pessimo’. Sono ancora espressioni che suonano male ai più, ma credo che inizino già a conoscere una parziale accettazione, se non altro nel parlato. Non si avverte più infatti la loro natura di superlativi a meno che non si scomodi la linguistica storica, ed è esattamente così che si muove il mutamento linguistico, a piccoli passi ma con un movimento che procede a macchia d’olio. Per questi motivi l’approccio prescrittivistico (cioè la tendenza all’interno degli studi linguistici a imporre la lingua, anziché a descriverla) lascia il tempo che trova, e questo vale anche per le iniziative sociali benefiche (come quelle del linguaggio inclusivo, ma non sono qui a parlare di questo). La lingua insomma non ubbidisce in nessun caso a costrizioni e castrazioni attuate dal singolo; ed è così che per rafforzare l’idea di intimo, già superlativo dell’aggettivo ‘interiore’ - fatto che rende superflua l’enfasi - tra una cinquantina d’anni saremo costretti a dire ‘più intimo’ (espressione che nei quaderni di mia madre veniva sottolineata in rosso) per esprimere la stessa gradazione già insita in ‘intimo’. Intimo significa già, per sua etimologia “interiore al massimo grado” e questo dovrebbe bastare a far capire perché in teoria “più intimo” sia almeno per ora un costrutto erroneo perché pleonastico. Questo vale anche per tutti gli altri aggettivi di sorta: massimo, minimo, infimo, supremo, ottimo, pessimo e i vari altri. Magari qualche volta vi parlo anche degli aggettivi elativi, che collateralmente sono coinvolti in questo discorso.
A che pensi tutto il giorno, Acribia?
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parrari-latinu · 28 days ago
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io, facendo zapping sul wikizionario: ohh, quindi лист fa di plurale sia листья che листы a seconda del significato... figo!
io tre giorni dopo: ... aspè ma è la stessa identica differenza che c'abbiamo noi tra "foglie" e "fogli".
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parrari-latinu · 1 month ago
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Dubitare del primissimo livello!
Ovvero: se vedete in giro l’espressione “primissimo livello” e altri composti con l’aggettivo “primissimo” state pur certi che la conoscenza dell’italiano del suo autore non è di “primissimo livello”.
Quando si dice “primo”, infatti, si parla già di un primato (per l’appunto) indiscusso, di una posizione assoluta.
Perché però è così? Che indizi ci dà la linguistica storica in proposito? È così perché l’aggettivo latino “primum”, al pari di altri con la stessa origine (ottimo, pessimo, intimo, infimo), nasce già come superlativo.
Chiunque si ritenga appassionato di indoeuropeistica, infatti, sarebbe in teoria tenuto a sapere che quella <m>, nel finale di parola di un aggettivo (in grassetto non a caso negli esempi soprastanti), tende a individuare un antichissimo superlativo assoluto, ormai cristallizzato nella forma (ma un po’ meno nel significato, come stiamo avendo modo di vedere insieme). Così come non si può dire (o comunque non dà senso dire) “più ottimo, più pessimo, più infimo, più intimo” e quindi anche “più primo”, allo stesso modo non ha senso dire “primissimo” che nel caso di specie, volendo qualificarlo come un superlativo assoluto, equivale sul piano logico a dire proprio “più primo”. Solo che “più primo” per fortuna ancora stride all’orecchio, laddove “primissimo” già non più.
Per concludere e per amor di completezza mettiamo in campo due obiezioni:
La più ovvia: nessun linguista ha potere sulla cosiddetta “deriva semantica” delle parole e più in generale sul mutamento linguistico;
Rimane ugualmente una coniazione comprensibile e dal valore enfatico evidente.
À bientôt, mes amis!
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parrari-latinu · 1 month ago
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Lo conosco in siciliano come:
Bianca a terra, nìura a simenza, l'omu ca simina sempri penza
Indovinello veronese
«se pareba boues alba pratalia araba & albo uersorio teneba & negro semen seminaba
gratias tibi agimus omnipotens sempiterne deus»
Traduzione:
«Teneva davanti a sé i buoi arava bianchi prati e aveva un bianco aratro e un nero seme seminava
rendiamo grazie a te dio onnipotente ed eterno»
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parrari-latinu · 1 month ago
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❤️
In Sicilia quando non sei proprio convinto dici “ora poi lo facciamo…” oppure ad una domanda rispondi contemporaneamente “sì,no…”
Noi siciliani, abbiamo una percezione del tempo molto particolare, ad esempio quello che hai fatto il giorno prima diventa passato remoto, come fossero trascorsi secoli… oppure quando stai uscendo di casa, rassicuri tutti affermando “sto tornando”, anche se il tuo rientro sarà dopo un paio d'ore.
Per noi il condizionale è quasi inutile, infatti lo sostituiamo direttamente con il congiuntivo, tipo “se putissi, u facissi”. Abbiamo anche il “potere” di far diventare transitivi i verbi intransitivi, infatti noi usciamo la macchina, saliamo la spesa, usciamo i soldi… Poi a noi piace molto utilizzare gli spostamenti “salire e scendere” in modi molto fantasiosi, infatti noi “scendiamo giù a Natale” e “saliamo dopo le feste”, anche il caffè “è salito” e la pasta si cala. Qui, in Sicilia, le macchine camminano come avessero gambe, e non vengono guidate ma “portate”.
Spesso utilizziamo una sola parola per indicare più oggetti, ad esempio non c'è differenza tra tovaglia, asciugamano, tovaglietta, strofinaccio, per noi è solo tovaglia, e basta. Se vogliamo dire ad un amico di venire a trovarci, gli diciamo di “avvicinare”, che è meno formale e più amichevole.
Riusciamo anche a trasformare un luogo in un modo di fare, ad esempio il cortile diventa curtigghiu, ovvero spettegolare, anche se quest'ultimo non rende molto l'idea.
Se parliamo in questo modo, non vuol dire che siamo ignoranti e arretrati, dietro ogni parola o espressione che utilizziamo si nascondono le nostre origini, la nostra storia. Ad esempio “tumazzu, carusu, cammisa”, sono parole greche (vedi tumassu, kouros, poucamiso); “carrubo” deriva dall'arabo “harrub”, così come le parole “cassata e giuggiulena”. “Accattari”, deriva dal normanno “acater” (da cui il francese “acheter”), oppure “arrieri” (da darriere). Dal catalano abbiamo preso in prestito le parole “abbuccari” (da abocar),“accupari” (da acubar), “cascia” (da caixa) ecc… Questi sono solo alcuni esempi, in realtà sono migliaia i vocaboli presi in prestito dalle altre lingue.
Essere orgogliosi delle proprie radici però non significa chiudersi e rifiutarsi di conoscere la grammatica italiana, ritenendo snob “quelli del nord” quando ci correggono. Anzi, utilizzare il proprio dialetto (più che dialetto è una lingua a tutti gli effetti) con consapevolezza, può soltanto arricchire.
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parrari-latinu · 1 month ago
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amo le canzoni
per ricordare una parola, ho bisogno di conoscerla almeno 3 volte.
la prima è quando la concepisco per la prima volta come un concetto a sè, anche se ancora non la capisco. la seconda è quando la vedo in un'altro contesto, e connetto che è la stessa parola. e la terza, è quando la imparo davvero e la posso usare!!
(ecco perché non mi fido solo dei libri e dei dizionari. sono al massimo 1/3 del mio processo) (per questo ho messo 3 fonti nel mio primo post!)
e per questo le canzoni sono carinissime, perché anche se ci sono parole che stanno allo stadio 1, con la melodia le posso riconoscere anche dopo mesi e mesi per passare agli altri stadi!!! yay
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parrari-latinu · 1 month ago
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c'è una regola di grammatica che non riesco a farmi entrare in testa perché non ha senso quindi appena avrò tempo la scriverò qua perché tutte le cose che scrivo qua poi me le ricordo
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parrari-latinu · 1 month ago
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И верьте или не верьте
E acredite ou não
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parrari-latinu · 1 month ago
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chi, il vestito che il quale lei ha comprato è risultato (il vestito soggetto) troppo piccolo ed è stata costretta dat +  пришлось ha dovuto fare qualcosa (мa senza desiderio) e il soggetto - lei diventa dativo - a lei è stata costretta??? a regalar-lo (il vestito) a chi? a sua sorella (dativo) che è tornata TORNANTE aggettivo del complemento di termine da dove? moto da luogo dalla Spagna iz + gen e prefisso при (venire, arrivare, giungere, atterrare) + verbo di moto unidirezionale con un mezzo trasformato in participio passato attivo (credo) e declinato al dativo in quanto si accorda in genere e numero con la sorella che ha ricevuto il vestito dall’amica che ho incontrato mentre attraversavo la strada per andare a lezione
e mi sembrava opportuno riportare qui tutto il processo mentale (che capisco solo io e solo per circa 3 secondi e poi me lo dimentico) dietro alla traduzione di una frase del genere perché dopo aver fatto un simile ragionamento è ingiusto che io cerchi consolazione in mia madre e lei mi risponda vedi? tu lo avresti fatto mai con tua sorella? prendi esempio 
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parrari-latinu · 1 month ago
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odio scrivere la coniugazione dei verbi transitivi. arrivi fino ai modi impersonali, fai infinito gerundio e participio, e poi devi tornare al presente indicativo perché QUALCUNO ha deciso di essere deciso.
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parrari-latinu · 1 month ago
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Rispetto a lingue come il francese e soprattutto l’inglese, in italiano c’è indubbiamente una maggiore vicinanza tra la parola scritta e quella pronunciata; da un altro punto di vista, le regole di pronuncia dell’italiano (come quelle del tedesco) consentono nella maggior parte dei casi, per esempio a uno straniero che le abbia imparate, di pronunciare correttamente la maggior parte delle parole nuove che si incontrano.
Tra convenzioni grafiche e regole di pronuncia, però, qualcosa resta fuori.
Come sappiamo tutti…
• Di solito, il gruppo GL seguito da una I indica un unico suono (palatale): gli, glielo, negli, foglio, germogli. Però ci sono parole in cui GL rappresenta i suoni distinti di G e L anche se dopo c’è una I: glicine, glicerina, negligenza, ganglio, geroglifico. L’ortografia non rivela la differenza.
• Non possiamo distinguere, nello scritto, la S sorda di sera dalla S sonoradi osare, né la Z sorda di alzare dalla Z sonora di zona. L’alfabeto cirillico, invece, ha lettere diverse per suoni diversi:
С = S sorda                 З = S sonora               Ц = Z sorda
(Il suono della Z sonora non esiste nelle lingue slave, e quindi manca la lettera.)
• In italiano esistono sette vocali, ma l’alfabeto ce ne offre solo cinque. In un testo scritto, quindi, venti indica sia il numero 20 (che in italiano standard si pronuncia con la E chiusa: vénti) sia il plurale di vento (pronunciato con la E aperta: vènti); così botte indica sia quella del vino (con la O chiusa: bótte) sia il plurale di botta (con la O aperta: bòtte). Per quanto riguarda le vocali E e O, insomma, o uno proviene dalle regioni centrali d’Italia in cui la pronuncia è “naturalmente” quella dell’italiano standard, o ha studiato dizione, oppure pronuncerà le vocali secondo la propria pronuncia regionale, e non troverà nella forma scritta un aiuto alla pronuncia corretta (se non nel caso delle E accentate sulle parole tronche: l’accento acuto su perché indica che la pronuncia corretta è quella con la E chiusa, quello grave su caffè che la E va pronunciata aperta).
Ed è qui, nel rapporto sempre problematico tra pronuncia standard dell’italiano e pronunce regionali, che si nascondono le differenze più grandi (e meno avvertite) tra “come si scrive” e “come si legge” l’italiano.
Forse non tutti sanno che…
• Nella pronuncia italiana standard, la Z fra due vocali, sia sorda sia sonora, è sempre pronunciata “doppia” (cioè intensa), anche quando l’ortografia prescrive la presenza di una sola Z. Parole come ozono, nazione, azione, concezione, organizzazione “devono” essere pronunciate come se fossero scritte ozzono, nazzione, azzione, concezzione, organizzazzione. Il suono della Z singola in veneziano è intenso quanto quello della doppia Z in spezziamo, o se preferite il cognome del poeta Mario Luzi si pronuncia esattamente come quello del radiocronista Ezio Luzzi (ed Ezio, naturalmente, va pronunciato Ezzio). Questa affermazione è ovvia per chi proviene dalla Toscana e in generale dall’Italia centromeridionale, ed è considerata assurda e insensata dalla stragrande maggioranza dei settentrionali. Per approfondire la questione, cominciate a leggere la voce Z del dizionario Treccani.
• Nella pronuncia italiana standard, la I non accentata che segue una C e una G (fiducia, cielo, sufficiente, igiene, ciliegie…) o i gruppi SC (scienza, coscienza…) e GN (consegniamo, sogniate…) è sempre muta. Questa affermazione è scontata per molti italiani, ma in alcune pronunce regionali meridionali (per esempio in Campania) quella I è presente eccome: si pronuncia ci-elo, suffici-ente, igi-ene, sci-enza ecc.
Perché molti settentrionali si rifiutano di credere che la pronuncia corretta di paziente sia pazziente, o di Luzi sia Luzzi, e molti meridionali, simmetricamente, si rifiutano di credere che la pronuncia corretta di sufficiente sia sufficente? Proprio perché osservano le parole scritte e dicono: guardate, c’è una Z sola, non due (se c’è scritto caro mica si pronuncia carro, no?); guardate, quella I si vede benissimo, perché non dovrei dirla?
Questi due casi toccano una caratteristica essenziale dell’italiano. L’italiano è diventato lingua nazionale (e oggi per molti anche vera madrelingua) attraverso la forma scritta. Le lingue regionali settentrionali non hanno la pronuncia intensa (doppia) delle consonanti, ma solo quella tenue (scempia). Quando la pronuncia intensa è rappresentata nello scritto dalla doppia, un settentrionale ha imparato ad accoglierla; quando invece la grafia non aiuta, il sostrato regionale spinge a mantenere la pronuncia tenue. Non avviene solo con le Z: anche i suoni rappresentati dai gruppi GN, GL e SCI sono sempre intensi in italiano standard (Sciascia si pronuncia Sciasscia), e pronunciati sempre tenui al Nord. Lo stesso vale per la I presente nelle pronunce regionali meridionali, e “giustificata” dall’ortografia italiana.
E quindi, che si fa?
Niente. Ci teniamo l’ortografia italiana con le sue imperfezioni (un sistema ortografico è sempre un compromesso, sviluppato nel corso della storia, tra precisione e praticità), ci teniamo le pronunce regionali (o decidiamo liberamente di studiare dizione). È utile sapere, però, che ha ragione chi pronuncia doppia la Z intervocalica o non pronuncia le I mute, e converrà evitare di correggerlo.
Se poi vogliamo toglierci qualche dubbio, possiamo consultare i dizionari di pronuncia. Ce ne sono due ottimi di libera consultazione online:
DIPI, Dizionario di pronuncia italiana online (di Luciano Canepari, pronuncia Canepàri) DOP, Dizionario italiano multimediale e multilingue di ortografia e pronunzia (della RAI)
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parrari-latinu · 1 month ago
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woah... prima volta che vedo un verbo con чь...
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parrari-latinu · 1 month ago
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raga perché tutte l'altre lingue simili, il polacco, il bielorusso, l'ucraino, c'hanno але/ale e il russo no? che scarsi. è tanto utile e carina.
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parrari-latinu · 1 month ago
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Почетокот на црковнословенската глаголица (буквица, но и Кириловица) е ист со почетокот на македонската азбука: а, б, в, г, д. Но, на црковнословенски јазик буквите имаат свои имиња: А = аз, Б = буки, В = веди, Г = глаголи, Д = добро, итн. Глаголицата започнува вака: Аз (јас) буки (букви) веди (знај) глагол (говори) добро (добро) – што во превод би значело: „Азбуката знај ја и говори ја добро“.
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