pandoraheartsfanfictions
Through the Looking-Glass
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If you're here, this means that you passed through the looking-glass. How delightful. Uh! Help yourself with some muffins - don't you think they smell wonderful? And please, feel free to take a book from the library, and allow yourself to slide into our Wonderland... *** A collection of Pandora Hearts fanfictions written by Break and Sharon. Languages: ITA & ENG Dream with us: Let us know if you'd like your fanfiction to be posted here! Send us a message! <3
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pandoraheartsfanfictions · 10 years ago
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Life, what is it but a dream? [ITA]
Capitolo XXI
Il vascello del commodoro
“Era una nuvola di taffettà, non trovi?” “Di certo non avrà avuto problemi a trovare un marito”
Limoge, madreperla e finissimo chiacchierino. E dipinti alle pareti risalenti a due secoli fa. Il calore di questa sala da the è senza dubbio un pregio.
“Non lo sapevi? Il giorno dopo il Commandeur Visser si è presentato all’alba da lei e le ha chiesto la mano!”
“E lei? Non dirmi che…?”
Chiudere gli occhi qui, seduta sulla mia poltrona fin troppo barocca, e dimenticare ogni preoccupazione.
“Macché! Certo che ha accettato! Si sposeranno in primavera, subito dopo la fioritura dei ciliegi!” 
La voce chiara delle due cameriere che non smettono di chiacchierare mi piace. Probabilmente si sono trasferite a Reveille quando erano due bambine, e per questo sono così pratiche nell’uso di parole assolutamente inutili e leziose, ma non è servito a togliere loro quella leggera inflessione morbida e vagamente nordica delle loro terre d’origine. Mi ricorda qualcosa di antico, di piacevole e rassicurante.
“Darjeeling…? Sei sicura? Non sarebbe stato meglio un Earl Grey, a quest’ora?” “Non dirlo a me, ma miss Rainsworth ha insistito perché le fosse servito questo, anche se le avevo cons—“
Una cosa che non smette mai di farmi sorridere è lo sguardo colpevole che hanno quando si rendono conto che le sto ascoltando. Sono giorni che si sorprendono e si scusano, inchinandosi, e giorni che non smetto di trovarlo divertente. Non credevo che sarebbe stato tanto facile trovare qualcosa di esilarante da fare. Sul tavolino ricoperto di centrini preziosi c’è l’ultimo romanzo che ho preso dalla biblioteca. Un’avventura lunga quasi novecento pagine, in cui lei, la figlia illegittima di un principe decaduto, diventerà la concubina del Sultano dei Deserti ma, sterile, fuggirà alla sua condanna a morte trovando riparo tra le braccia di lui, il più temibile dei predoni d’Oriente. Ho appena scoperto che sotto il suo turbante si nasconde l’erede al trono, e sono in trepidante attesa di scoprire se si innamoreranno. Lo spero. Le pagine erano piene di polvere, e sembrava trovarsi lì da chissà quanto, dimenticato su uno scaffale troppo in basso perché la normale curiosità e la ragionevole statura gli dessero una possibilità d’esser visto. Essere bassi deve avere i suoi vantaggi.
Se Megan, la più piccola delle due cameriere che si prende cura di me, e certamente la meno disinibita, non avesse nominato il Commandeur, probabilmente adesso non starei pensando a flotte regie impegnate in battaglie epiche e mortali. Non mi sono mai piaciute le battaglie navali, somigliano a una danza dal macabro epilogo. “Prego, miss Rainsworth” la voce dell’altra giovane domestica mi distoglie proprio un attimo prima che la Garland affondasse nella mia mente, portandosi dietro il commodoro e tutto il suo equipaggio. L’aroma del the caldo e floreale allevia decisamente ogni dispiacere per la perdita. “Gradisce anche dei fiori freschi nella stanza, miss?” Gradisco dei fiori freschi? Chissà che stagione è, adesso, per i fiori freschi… Chissà se è ancora tempo per dei… “Gelsomini, Anna…?” “Oh, miss, mi dispiace, ma di recente ha grandinato, e… Gran parte dei gelsomini sono andati distrutti. Le porterò delle belle campanule, miss!”
Come se fossero la stessa cosa. Almeno il the è delizioso, e i biscotti all’anisetta sono così lontani da ciò a cui sono abituata da farmi dimenticare il motivo per cui mi ero indispettita… Ah, già, i gelsomini. Nemmeno cinque minuti più tardi - il grande pendolo Luigi XVI appeso alla parete potrà confermarlo - Abigail, di certo un nuovo acquisto data l’incertezza con cui si muove tra la mobilia, entra con uno splendido vaso di campanule. I decori sono in oro zecchino, come quelli della tazzina che mi riempie le mani. Arabeschi senza il minimo senso, così ipnotici da far correre l’occhio lungo tutta la superficie vellutata della porcellana. Il profumo delle campanule non mi piace, ma non è la prima cosa a cui mi abituo senza troppe remore. L’anisetta sul tavolino me lo ricorda a ogni respiro.
“Domani pomeriggio Lady Morris darà un tea-party nella sua residenza estiva, l’ho sentito dire da Abigail, perché sua sorella Adeline è a servizio da Lady Morris!” “Che notizia fantastica! Credi che dovremmo proporre a miss Rainsworth…?”
Oh no, non dovreste disturbarvi a chiedermi se desidero partecipare a un the delle cinque in mezzo all’alta società. Potreste preoccuparvi di abbassare la voce, mi sembrerebbe di essere da sola. Da quando la servitù è così disinvolta?
“Sono giorni che è lì seduta ogni pomeriggio…” Questo perché questa sala mi dà sollievo, è una delle mie preferite, e gli arazzi alle pareti non sono invadenti come quelli della sala da lettura. In cuor mio mi chiedo come sia possibile rimanere concentrati su un romanzo con due enormi occhi intessuti nel damasco che ti guardano. Ma avrei dovuto cogliere segni di stravaganza già nelle uniformi piene di merletti delle domestiche. Troppi merletti. Qualcuno li troverebbe addirittura ridicoli…
“C-credo che andrò a fare una passeggiata in giardino!” “Ma miss… Aspettate, vengo con voi!” “No, Megan, so passeggiare da sola. Grazie”
Sarà meglio andare a sgranchirsi le gambe senza la compagnia di nessuno. I miei pensieri incessanti sono già abbastanza fastidiosi senza che altre voci contribuiscano a farmi perdere la rotta. Mentre chiudo la grande vetrata che mi separa dalle tre ragazze dalla pelle troppo chiara per essere del luogo e dalla lingua troppo sciolta per essere state bene istruite a servire, mi rendo conto di aver fatto male i miei calcoli: il giardino - una sconfinata distesa di pruni della varietà più tipica e dai toni così profondi - mi ricorda esattamente dove sono, e il perché.
Ho ripreso una frivola abitudine abbandonata da bambina, e ho ricominciato a scrivere il mio diario. Pagine pregiate, scritte con il migliore inchiostro di Reveille, su cui appaiono parole che non devono essere lette. Per questo le brucio, subito dopo averle scritte, prima ancora che l’inchiostro sia asciutto. Per questo chiedo sempre ad Anna che le mie stanze siano le ultime a essere riordinate. Ho bisogno che l’odore della carta bruciata si perda nell’aria, e non insospettisca nessuno. Non c’è spazio per domande alle quali non sarei in grado di rispondere senza creare altri sospetti. Mi piace, stare qui.
A occhio e croce dovrei aver raggiunto l’ingresso principale attraverso il giardino. Da una rapida occhiata alle ampie finestre che trovo alla mia sinistra, i visi familiari delle mie tre cameriere personali. Mi hanno seguita dall’interno, probabilmente, e restituiscono un sorriso che a me pare fin troppo pronto. Forse devo aver lasciato trasparire qualcosa dalla piega neutra che le mie labbra avrebbero dovuto avere. Forse si sono accorte che le ho scoperte proprio mentre parlavano di me, ancora una volta. Una folata di vento ha portato a me un aroma flebile, ma caldo e familiare. Gelsomini, quei pochi che il tempo non ha distrutto, probabilmente. Mi sento come loro. Incapace di raggiungere chiunque, troppo debole per oltrepassare i confini.
Sono ancora lì. Tutte e tre, in fila, a guardarmi da una finestra. Megan mi ha addirittura salutato con la mano come se fossimo grandi amiche. Quel gesto, nella sua inopportuna semplicità, mi fa quasi male, mi fa… Pensare. E non posso permettermi di pensare. Non davanti alle mie dame da compagnia e mie carceriere. Da giorni mi torna in mente una frase letta in una favola, tanti anni fa. Una storia totalmente assurda di una principessa vittima di un maleficio, costretta a vivere ogni giorno all’interno di un sogno, senza saperlo. Una di quelle storie che qualcuno troverebbe troppo assurda per poterla rapportare alla vita reale. «Ogni grado di libertà a me concessa era stato accuratamente pianificato da degli occhi nell’ombra, e mani silenziose avevano preparato per me ognuna delle possibilità che credevo di aver scelto. Avevo imparato ad accettare la realtà del mondo così come si presentava» Qualcuno si stupirebbe di quanto queste parole mi sembrino adatte, adesso.
Dopo il secondo giro intorno al pruneto, direi che questo pomeriggio può concludersi così, accompagnato da un assolato tramonto che non fa che enfatizzare i colori che mi circondano. Il fato non mi ha assistito, e nessuna carrozza a me familiare ha battuto il selciato del viale principale. Non potrò fare le mie domande. Che non avrebbero comunque avuto risposta.
Sembrano leggere i miei pensieri, o forse sono solo così attente ai miei passi da prevedere le mie mosse, ma le mie tre cameriere sono già lì, una per ognuno dei tre gradini del portone principale, ad accogliermi con quel sorriso che… Inizio a detestare. Mi ricorda la compassione con cui mi guardano le signore al the delle cinque. La distanza che hanno quando si sforzano di conversare. Mi fa tornare in mente a quanto sia unica, e per questo sola, in una società che ha capito come andare avanti, e non ha intenzione di guardare cosa è disposta a lasciare indietro. Cielo, se osassi dire a voce alta anche uno solo di questi pensieri, qualcuno riderebbe senza riserve. Ma se osassi farlo, accanto al mio Earl Grey avrei anche il mio solito éclair al cioccolato, e non dei biscotti all’anisetta.
“Vi siete riposata, miss?” “Anne e io vi abbiamo preparato un bel bagno, miss, con i petali di rosa come piace a voi!”
Essenza e petali di rosa canina versati appena l’acqua raggiunge la sua massima temperatura, prima che si raffreddi, così che possa sprigionare il suo profumo e mantenerlo costante durante il bagno. Rimane sulla pelle, che profuma e somiglia a un petalo di rosa. È inebriante e persistente, come un roseto dietro casa… È mia nonna che ama il bagno con i petali di rosa, non io. Sorrido, oltrepassando il loro sguardo sorpreso nel vedermi un sorriso così imprevisto. Nessuno potrebbe comprenderne il motivo, in questo momento, ma l’incanto si è rotto. Mentre Megan riprende la sua posizione a guida di quella che sembra una processione verso la sala da bagno, vedo molto più chiaramente cosa mi circonda. Ognuno dei pizzi nelle mie stanze, dei piatti prelibati e delle decorazioni floreali più stravaganti, non sono per me. Non devono colpire me. Le vedo crollare davanti ai miei occhi come i piccoli frammenti di uno specchio. L’aria di cui si riempiono i miei polmoni, d’un tratto è più pulita, mentre le cameriere iniziano a slacciarmi il corsetto. E se… “Potreste andare a prendere dei dolcetti? O anche… Beh, potreste far preparare una crème anglaise? La gradirei con dei lamponi sopra!” Quanta fatica nel fingere che mi importi qualcosa di ciò che chiedo mi venga servito. Vedo il disappunto sulle labbra di Abigail. So bene che non ci sono lamponi a meno di qualche paese di distanza da Reveille. Ho casualmente sentito delle voci risalire dallo scantinato, giusto stamani, parlare di disagi nel trasporto della frutta. Un Chain ha devastato le strade di collegamento e quindi niente merci fresche per qualche giorno. La ricerca di un lampone in lungo e in largo le terrà impegnate almeno un po’.
“Mossa astuta, ojou-sama… E se ripiegassero su qualcos’altro?” Mi par di sentirne la voce, mentre mi perdo a osservare il cancello al limitare dell’immenso giardino ormai imbrunito. Il ferro battuto è lavorato con attenzione, chissà da quanti secoli è lì, incurante del tempo, delle epoche e dei padroni che ha protetto, immutabile e pronto ad accogliere ospiti e carrozze come adesso, grandi e illuminate da tante luci quanti sono gli angoli impunturati di metallo… Ma due soli cavalli, segno che, in questo caso, non si tratta certo di nobiltà. Odio il buio di cui si è tinto il panorama oltre la finestra, mi impedisce di avere una visuale completa, ma sono quasi certa di sapere a chi appartiene quella tipica sfumatura di capelli, anche se alterata dalla luce delle lampade a petrolio. Se le finestre fossero aperte, potrei quasi sentirne l’odore pungente, ma non mi distoglierebbe da ciò che ho visto. Mi guardo intorno e sono compiaciuta nel constatare che nessuna crème anglaise è apparsa sul tavolino di fine ciliegio. Molto bene, farò in tempo a rivestirmi. E guadagnerò minuti preziosi se eviterò di indossare il corsetto. Nessuno lo nota mai, e di certo è un vezzo che non mi gioverebbe, adesso.
~~~
Se non fossi impegnata nel non far sapere a nessuno che non sono nella stanza da bagno insieme a dei petali di rosa che non ho chiesto, probabilmente mi soffermerei su quanto sono stata brava nell’evitare quelle due grandi statue di bronzo cesellato alla fine delle scale. Solo una persona dal pessimo senso dell’umorismo avrebbe potuto scegliere due mostri come quegli uccelli stravaganti come guardiani dei piani superiori.
Mi aspettavo di trovare tutto buio, e invece le luci della sala da lettura sono accese, un bagliore fioco arriva fin nel corridoio. Non posso rischiare di non raggiungere la mia destinazione, avrei dovuto già esserle di fronte, se non fosse stato per quello stupido tappeto di velluto che chissà chi ha deciso di togliere proprio questa sera: spero che i miei passi non abbiano risuonato troppo lontano per le stanze.
Evitare la luce della sala da lettura e procedere oltre. Questo mi ripeto mentre avanzo tastando con la mano destra il muro. Se le luci fossero accese sembrerei una sciocca, ma è l’unico modo che ho per evitare di inciampare. Evitare la luce della sala da lettura. Eppure dovrei sincerarmi che nessuno sia in ascolto, e che tutto sia come dovrebbe essere. Come se miss Rainsworth stesse facendo il bagno immersa in meravigliosi petali di rosa canina che mia nonna avrebbe apprezzato senza dubbio… Eccolo. Concentrato su un volume grande il doppio del suo avambraccio, rannicchiato in un modo poco consueto per lui, col viso adombrato dalle stesse pagine che legge. Troppo concentrato per accorgersi di me, una figura che passerà oltre la porta in fretta. Penserà a uno scherzo dei suoi occhi, quando noterà in ritardo un’ombra che infrangerà il fascio di luce appena percepibile oltre la porta. E procedere oltre. Se il tappeto - un altro - fosse ancora qui il mio stupido tacco non avrebbe prodotto nessun suono. Nessuno. E invece adesso temo sia tutto perduto. Dovrei correre. Potrei togliermi le scarpe e scappare verso la fine del corridoio. Potrei metterci non più di tre minuti, per percorrere quelli che potrebbero essere meno di quattro metri.
“E se foste stata scoperta, ojou-sama…?” Se fossi stata scoperta dovrei giustificare la mia presenza al piano terra, in direzione dell’uscita. E non mi viene in mente niente che suoni anche solo intelligente. La mia crème anglaise dovrebbe essere dalla parte opposta. Sarà meglio controllare di non aver dato nell’occhio. Anche se adesso… Ora si che, se le luci fossero accese, sembrerei una sciocca, accovacciata in un angolo, a sbirciare dalla porta che tutto sia come prima del mio passaggio. Chissà se i battiti del mio cuore si sentono così forte anche da fuori il mio petto…
Un ricco rivestimento di damasco, da questa prospettiva, mi si mostra in tutto il suo splendore. Rosso e oro, così carico da ricordare il Natale, e così soffocante da desiderare di essere altrove. Poco più in là, altro rosso ingombra il tavolino - di ciliegio anch’esso - disegnando ricami di pizzo all’uncinetto. Odio l’uncinetto quasi quanto odio ricamare, ma non ho tempo per crogiolarmi nel suo disprezzo, ora. Una poltroncina identica a quella su cui ho passato giorni interi, foderata di pesante velluto cremisi, piena solo di un ventaglio a me familiare, sta di fronte alla sua gemella, occupata da lui. Deve aver alzato lo sguardo sulla porta quando ho fatto rumore, perché le due ciocche rosse sulla sua spalla sono diventate una sola, e quell’antenna è appena scivolata verso il basso. Va bene così, finché rimane concentrato sul suo… Trattato d’amor cortese. Dovrò ricordarmi di questa scena per quando dovrò riferirla. So che lo farò, e so che questa immagine sarà motivo d’ilarità per settimane. O forse mesi. O magari… No.
Il mio cuore esploderà, me lo sento, ma sono costretta a correre più in fretta e a percorrere il corridoio in meno, molto meno dei tre minuti che mi ero data, con le scarpe in una mano e l’eccesso di gonna nell’altra. Spero che non mi abbia vista, spero che i suoi occhi grigi non abbiano davvero guardato me quando si sono sollevati all’improvviso da quelle pagine. Spero che non abbia capito e che sia tornato alla sua lettura, rannicchiato in quel modo strano sulla sua poltroncina, dondolando un piede che sbuca da chissà che groviglio di stoffa e carne. Spero che non abbia deciso di seguirmi, perché nessuna persona che adora stare lì fuggirebbe sgattaiolando al buio per i corridoi, cercando chissà cosa. Ho paura che lo direbbe alla nonna - lo farebbe senza dubbio - e lei saprebbe perché l’ho fatto. Anche senza conoscere i dettagli, saprebbe per chi l’ho fatto.
Le luci della carrozza sono ancora accese, ma è stata spostata verso le stalle, per dare ai cavalli il giusto ristoro. Potrei raggiungerla, e sperare che sia ancora lì… Sull’erba fresca il suono delle mie scarpe non sarà un problema, per cui posso anche rimetterle senza problemi.
“Miss Rainsworth…?” Un colpo al cuore. E scenari impressionanti in cui accampo scuse poco plausibili si fanno strada nella mia mente, annebbiando ogni ragionevole capacità di giudizio. Persino la mia capacità di riconoscere le voci, persino la mia volontà nel voltarmi e guardare in volto chi ha rovinato così il mio piano perfe—tu.
Evito di sollevare lo sguardo, ma in un momento non molto preciso devo aver trovato il coraggio per voltarmi, e in quel momento ho riconosciuto i bottoni troppo lucidi della divisa della Pandora. In tutta l’organizzazione, soltanto una persona riesce a mantenerli lucidi come specchi.
“Reim-san!” “Cosa ci fate qui fuori…?”
Lo vedo arrossire al buio, rischiarato appena dalle luci del patio dell’immensa Villa Barma alle sue spalle. Sento una parte del mio cervello chiedersi il perché, ma tutto il resto è concentrato nel dare una buona risposta.
“Dov’è?” “Chi, miss Rainsworth…?” Smettila. Sai benissimo chi. “Dov’è? Come sta, almeno…?”
Sento il mio cuore battere così forte che spero solo di aver pronunciato bene le mie parole, il suono dei miei battiti sovrasta ogni cosa.
“B-bene, sta… Bene”
“Bene”? Significa che sono l’unica a pensarci notte e giorno, e a illudermi che stupidi pruni troppo rossi e sciocche cameriere troppo allegre possano distrarmi? Sta bene, Reim-san? Devo aver chiuso gli occhi, e probabilmente ho anche tremato, perché ho sentito la sua giacca sulle mie spalle. Non ho mosso un dito per aggiustarmela addosso, ho solo sperato che continuasse a parlarmi. “Dov’è? Ti avevo implorato di lasciarmelo vedere, e avevi detto che avresti fatto il possibile per… Credevo fossi sincero. Da quando sei diventato come tutti gli altri, Reim-san…?”
“Ottima mossa, ojou-sama. Reim-sensibile-Lunettes è un morbidone che soffre di sensi di colpa…” Spero di non aver sorriso troppo vistosamente. Non so dove ho trovato il coraggio per guardarlo negli occhi, non so come ho potuto immaginare di averti al mio fianco, e imitare la posa perfetta di una principessa disperata. Hai sempre detto che non sono una brava attrice. Beh, Reim-san mi ha fatto credere il contrario, proprio in questo momento, mentre i suoi occhi si sono spalancati e le sue mani strette a pugno.
“È… In missione, miss Rainsworth. Non… Con Oz-sama e Raven. Anche Alice-san è con loro, e… Non torneranno prima di qualche settimana. Un Chain, molto pericol—No, non molto a dire il vero, è… Apparso al confine con il vecchio centro di Lebleux, dopo la ferrovia, e…”
“Oh, Reim-san mente, ojou-sama. Sentite come gli trema la voce mentre parla? Emily lo riconosce, lei è la sua fidanzata, sa bene quando mente…!” Come dare torto a Emily, in fondo. “Reim-san, so che probabilmente hai inventato tutto. In questo momento” Decido di essere temeraria, e mentre stai per interrompermi, scuoto la testa. “La tua voce, trema. Stai mentendo. Sei l’unica persona che conosco, qui, che può darmi sue notizie…”
“Ma qui avete tutto ciò che vi occorre, miss. Ho anche chiesto che vi fossero portati i migliori romanzi della biblioteca direttamente in camera, e non… Vi prego, cercate di ragionare, non dipende da me…”
I migliori libri in camera…? Mi stai dicendo che il romanzo che ho iniziato non ha un finale degno di un buon romanzo…? Questo non migliora il mio umore, di certo.
“Non mi importano i romanzi, e nemmeno tutto ciò che mi occorre, Reim-san. L’unica cosa che voglio non è con me, dove dovrebbe essere. Due giorni, Reim-san” Vedo una luce diversa nei suoi occhi. Terrore, o forse solo le poche nuvole che hanno scoperto la luna. “Se non avrò notizie di Xerxes entro due giorni… Potrei raccontare al Duca Barma quanto odiavi portare lettere a villa Rainsworth, quando eravamo bambini…” Chissà da dove mi è venuta, questa minaccia senza il minimo senso… Se non altro, per me, visto che di fronte ai miei occhi, sembra essere caduto un pezzo della sua armatura di finto coraggio.
“Al più presto” e “vi accompagno” sono le uniche cose chiare che sento nel balbettio che segue in risposta, e forse il sorriso sulle mie labbra è appena più pieno, e più vero. Mi sento più leggera, tanto da dimenticare il mio bagno - ma non i petali di rosa - e la crème anglaise e lamponi che probabilmente non arriverà mai, e decido di seguirlo mentre mi riporta al piano di sopra. Sembra un calore reale, quello che mi scalda il cuore in un attimo quando, con la sua giacca addosso, riesco a sentire il tuo profumo su quella stoffa. Fingerò di averne ancora bisogno, e non gliela restituirò quando sarà sulla porta. Voglio portarti con me, voglio sognarti ancora…
Quando mi saluta, con quell’inchino composto che mi ha sempre fatto ridere da bambina, provo compassione per lui. Sono tentata di sorridergli, ma non posso lasciare che pensi che ho cambiato idea…
“Buonanotte, miss Rainsworth…” “… Due giorni, Reim-san”
Richiudo la porta poco alla volta, vedendolo scomparire dietro il primo snodo del lungo corridoio del primo piano.
“Che colpo basso, ojou-sama…” Sorrido ancora, tra me, sperando di poter cantare vittoria al più presto.
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pandoraheartsfanfictions · 10 years ago
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Life, what is it but a dream? [ITA]
Capitolo XX Clessidra
Estate. Sole. Brillante, troppo brillante. Acqua che scintilla. Piccole onde. Non c’è vento. Florence: “E’ una giornata deliziosa! La giornata perfetta per una gita in barca!”. Emily, saltellando in preda alla gioia: “In barca! In barca! Kevin remerà!” Kenneth, una spiga di grano in bocca. Sorride. I suoi occhi dicono: “Qui. Adesso. Viviamo”. Barca che scivola sul fiume. Profumo di iris. Florence si adagia sulla prua. Una mano dipinge la nostra scia sull’acqua. L’altra stringe un ombrellino. Emily cinguetta. Parla di biscotti. Kenneth rema al mio fianco. Mi fissa. Mi sento osservato. Kenneth: “Non ti senti schifosamente sporco, lurido assassino?” La barca traballa. Una mano deturpata afferra un remo. Mi sporgo. Dita. Volti mangiati dai pesci e dal tempo. A ogni cadavere manca l’occhio sinistro. “Kevin Regnard…”, “Assassino…” La barca traballa. Un’altra mano deturpata afferra la bambina. Shelly-sama lascia volare via l’ombrellino. “Dov’è Florence-sama?”, domando. Rispondono che è morta. E’ morta di nuovo. La barca traballa. La bambina sta per cadere in acqua. Cerco di afferrarla. Non portatemela via. Non portate via… Sharon.
  Riapro lentamente il mio unico occhio. Da circa un anno, questo sogno mi perseguita quasi ogni notte. Non è sempre lo stesso. Non accade sempre nello stesso modo. A volte Kenneth e io stiamo cavalcando silenziosamente nel bosco, e i suoi occhi spalancati e muti non mi abbandonano mai. A volte Emily mi chiama nella camera della musica e strappa con forza le corde del liuto. Tutte meno una, e solleva lo sguardo sul mio viso, gli occhi, di nuovo, spalancati e muti. Poi parlano. Parlano entrambi, sia Kenneth che Emily, pronunciano sempre le stesse parole: “Florence è morta. E’ morta di nuovo”.   Poso il bicchiere sul pavimento e piego un ginocchio, offrendo un appoggio al mio gomito che presto sosterrà la mia fronte.   E’ morta di nuovo...   Florence morì quel giorno, quel maledetto, disgraziato giorno in cui accompagnai Emily alla capitale. Morì con la mia vita, col mio signore, col mio padrone. Morì in circostanze sospette, si disse, uccisa - come gli altri – da una banda di miseri banditi.   E morì di nuovo.   Nella nuova realtà che il mio folle, disgustoso peccato aveva plasmato a partire dal sangue e dalla carne di bambini, e donne, e anziani, e uomini innocenti, Florence venne assassinata. Fu l’unica a essere uccisa, l’unico bersaglio di un ignoto macellaio. Fu la ragione della follia di Emily e della conseguente estinzione dei Sinclair: a causa di quel singolo omicidio, la bambina sterminò i miei signori, offrendo il suo tributo a un Chain – o almeno, così riportano le cronache e le parole di Sheryl-sama.   Premo l’indice sulla tempia destra, tento invano di massaggiarla. Per un anno la mia mente ha spostato tasselli, ruotato il quadro e inserito nuovi dettagli nel mosaico. Per un anno intero ho inseguito senza successo quell’unica epifania donatami dai sogni: perché, nonostante il mio Contratto Illegale, nonostante le lancette siano state portate indietro, nonostante una nuova realtà sia stata creata per i Sinclair, Florence è morta due volte?   D’improvviso, il suono della chiave che fa scattare la serratura mi distrae da quei pensieri. Allontano la mano dal viso, sollevo lo sguardo verso Reim che entra nella propria stanza e che, trovandomi seduto sul pavimento in dolce compagnia del suo claret più datato e pregiato, mi rivolge uno sguardo interrogativo e allo stesso tempo, mi pare, irritato. Ah, sono contento che tu provi fastidio. Te lo sei meritato. Come ci si sente quando qualcuno ruba qualcosa che ti appartiene, Reim?   “Xerx… Che cosa ci fai qui? Dovresti essere a Vil---“.   “Dove l’hai portata?”.   “Cos---?”.   “Dove hai portato Sharon?”.   Indietreggi di un passo. Sembri intimorito. Ma non scappi. Ah, sei un servitore devoto, eh? Abbassi lo sguardo, ma non intendi cedere. Ti sistemi gli occhiali sul naso, prendi un respiro profondo, e assumi in un attimo quell’aria insopportabile, distaccata, professionale, che usi quando ti rivolgi ai membri della Pandora.   “Francamente, Xerx… Non… E’ più una faccenda… Di tua competenza…”
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pandoraheartsfanfictions · 10 years ago
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Life, what is it but a dream? [ITA] - Intermezzo
Capitolo XIX
Col senno di poi, tanti piccoli dettagli avrebbero potuto aprire questi miei occhi troppo distratti.
Col senno di poi, avrei potuto capire allora che lei era follemente innamorata di lui...
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pandoraheartsfanfictions · 11 years ago
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{Italian Version: X} The Slow Dance of the Infinite Stars
The light blue chiffon swished faintly on her ankles.
As she walked, slow and determined, she looked like a somnambulist. The light of the moon caressed her cheeks and, by dint of her head which tilted from time to time, it seemed as if the celestial body itself was whispering her what to do. But then - she thought -  she did not need the advice of the moon. She was perfectly conscious of the moves she was to perform - her mind had staged them for her a million times.
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pandoraheartsfanfictions · 11 years ago
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Life, what is it but a dream? [ITA]
Capitolo XVIII
Le bosquet de la Reine
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Partecipo a questo evento come rappresentante della famiglia Rainsworth, per cui era chiaro che ci mettessi almeno cinquanta minuti per scegliere l’abito adatto, e poco più di un’ora per decidere che pettinatura abbinarvi. Probabilmente, il silenzio in carrozza è il suo modo per punirmi per averci messo troppo. Ma non potevo rischiare che una sfumatura facesse sfigurare il casato. Anche se, solo pensare a una sciocchezza simile mi fa ridere. Bisogna che impari ad ammettere le mie colpe: mi piace metterci tanto, spero sempre che si accorga di qualcosa. Di cui invece non si accorge mai.   I Giardini. Ricordo che da bambina mi piaceva andarci, ricordo che l’unico a potermi portare era proprio lui, Xerx-nii, perché la mamma era sempre troppo fragile per respirare le centinaia di fiori presenti, e allora giocavo a far di lui il mio cavaliere. Gli chiedevo di portarmi a braccetto come quelle grandi e belle dame, e gli chiedevo che mi usasse la cortesia di inchinarsi, quando mi allontanavo per sedermi ai tavolini. Poi, dopo che la mamma… Smisi di andarci. Seppi poi che un problema alle fontane ne aveva causato la chiusura, e per anni mi dimenticai di loro. Per questo fui così felice di ricevere quel compito, dalla nonna. Lei non aveva tempo, e forse nemmeno voglia, di partecipare alla riapertura dei Giardini, così ha dato l’incarico a me. Così ho potuto impiegare ben cinquanta minuti per scegliere un abito che ricordasse quelli che indossavo da bambina, e forse un po’ anche quelli che piacevano tanto a mia madre, e solo un’ora per decidere se fosse meglio che i boccoli in testa non ricordassero i parterre sui sentieri. Un tempo ragionevole, che però non è stato apprezzato.   “Ricordo a memoria ognuno di quei sentieri a Ovest, Xerx-nii. Ricordi che era lì che mi piaceva andare quando il sole riverberava sul selciato?” Sono ricordi preziosi, per me, questi. Ognuno di quei sentieri ha un nome, che ho dimenticato, perché l’ho sostituito con un ricordo. C’è il sentiero in cui ho imparato a fare gli inchini come una signorina, mentre tu ridevi sperando non me ne accorgessi, e quello in cui ho imparato a leggere, perché non potevo rischiare che inventassi parole che non esistevano leggendo per me le targhe delle favole. Ora, quei sentieri sembrano molto più stretti e brevi, eppure il ricordo è ancora lì, in ognuno di essi. Quando sollevo lo sguardo su di te, mi aspetto di vederti almeno sorridere, ma la tua espressione è sempre la stessa, da quando siamo entrati in carrozza. Non puoi avercela ancora con me, non è giusto.   “Che ne dici di andare lì? Sembra ci sia tanta gente, probabilmente stanno per riaccendere le fontane!” Ti prenderei per mano, ma non ho più otto anni, e non posso permettermi di arrossire in pubblico, per cui lascio semplicemente che la distanza del mio passo si metta in mezzo, perché so che mi raggiungerai. Ho ragione io, le fontane hanno appena ricominciato a zampillare, e mentre tutti applaudono per quel magnifico spettacolo, io mi prendo la libertà di guardarti in viso, mentre tu guardi altrove. Sembri stanco, probabilmente cercare qualsiasi cosa tu stessi cercando in quel posto dev’essere stato faticoso, anche se… “Sembra che tu non dorma da mesi, Xerx-nii… Qualcosa non va?” “Niente di cui dobbiate preoccuparvi adesso, ojou-sama. Volevate godervi le fontane, no?” Noto del disappunto nella tua voce, Xerxes. Possibile che non ti sia accorto nemmeno per un attimo che non faccio che guardare te? Sospiro, e insieme a quelle sulla gonna, con le mani cerco di scacciar via anche le pieghe dei miei pensieri, che probabilmente sono troppo contorte. Sei così strano, Xerx-nii. Il tuo sguardo sembra essere più che lontano… Trafigge ogni cosa per passare oltre. Mi chiedo se non sia stato un errore, portarti qui. Avrei dovuto rinunciare…?   “Miss Rainsoworth…? Posso presentarvi il baronetto Wetmore, miss? Suo nonno conosceva vostra madre, e sarebbe molto lieto di poter chiacchierare con voi.” Chiacchierare? Con un baronetto? E Xerx-nii…? Mi volto cercandolo, ma è a più passi di distanza di quanto non mi aspettassi, completamente disinteressato. Sembra che stia… Osservando una magnolia. Sul serio, Xerxes? E va bene. Inchino, sorriso, e abbassare lo sguardo per non dar l’impressione di essere troppo sfacciata. Un’operazione meccanica, e spero tu abbia guardato verso di noi appena in tempo per vedere le guance del baronetto arrossire. O il suo braccio teso perché lo prenda per passeggiare. O il fiocco della mia gonna, che ondeggia mentre mi allontano accanto a lui. Secondo il Manuale della dama felice dovresti raggiungermi, scusarti con il baronetto e inventare un’urgenza che mi riguarda, portandomi via. Dovresti, al massimo prima che io abbia superato la Fontana di Bacco…   … O almeno quella di Apollo.  
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  Non tornerò mai più ai Giardini di Reveille. Discutere di ognuna delle cinquecentotredici varietà di piante e fiori dovrebbe essere vietato dal Re.  
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  “Vado a incipriarmi il naso.”   La scusa più antica del mondo, solo uno sciocco non avrebbe notato che non avevo niente in cui poter contenere qualcosa con cui incipriarmi il naso. Solo uno sciocco. Ma non ha detto niente, e io sono fuggita dentro la piccola residenza dei Giardini, per poi uscire di nuovo, dall’ala Est. Ci ho messo un’eternità a trovarlo, fino anche a pensare che fosse andato via, e che mi avesse lasciata lì, da sola.   “Sai, Xerx-nii, che esistono delle statue che non sono statue? Si chiamano «sculture naturali» e nelle grotte vicino il labirinto, ce ne sono tante! Mi ci porti?” A ogni sentiero che imbocco, sembra di risentire la mia stessa voce ridere e torturare un pover’uomo costretto ad accompagnarmi in lungo e in largo per le mie fantasie. Dove mi trovo adesso, non c’è nemmeno l’ombra di una fontana; sentieri bianchi che si incrociano e accolgono qualche busto. Mi sembra di riconoscere una dea antica, ma… Forse Afrodite, ma forse è solo una qualche eroina sconosciuta. Sono abbastanza lontana da tutta la folla accorsa per la riapertura dei Giardini da potermi permettere di togliere questo insopportabile cappellino: dopotutto, non è servito al suo scopo enessuno, nonostante i mille complimenti del baronetto, ha notato che avessi un cappellino. Non ricordavo davvero che fosse tutto così grande, forse la sua presenza aiutava il mio cuore a sentirmi sicura. Adesso, da sola, ogni angolo potrebbe essere un vicolo cieco.   Non ci sono siepi troppo alte, e anche una come me può avere una visuale completa di questa piccola oasi. Conto gli alberi da qui, e vedrei se ci fosse qualcuno. Se mi sono addentrata in questo sentiero che profuma di erba appena tagliata è solo perché sono sicura di non aver ancora cercato, per cui è bene fare un tentativo.   “Ojou-sama…?” Quella voce. Mi volto, ma non c’è nessuno. Eppure so di non averla immaginata. Mi schiarisco la voce e ti chiamo, ricevendo solo l’eco di un risolino, e sbuffo, ricordandomi che ce l’ho con te anche io, in fin dei conti.   Un albero. Salti giù da un albero e ti rimetti a posto la giacca. Siamo soli, e non sei tenuto a sorridere per cortesia. Siamo soli, e posso permettermi di guardarti in viso, senza dovermi affidare alle buone maniere. In quel momento, vedo che non ci sei. Non sei tu. Quei segni sotto le ciglia non sono stanchezza, vero Xerx-niisan…? No, non lo sono, o non mi avresti dato in fretta le spalle, sedendoti all’ombra di questa quercia. Ricorda un po’ quella che c’era a casa, sotto cui ti piaceva stare. Non occorre chiederti se la ricordi: quel velo che ti copre il tuo unico occhio ti fa somigliare così tanto a un ricordo sbiadito nella mia memoria, che mi sembra di essere tornata una bambina, di fronte al suo cavaliere arrivato dal nulla. Non c’è spazio, per me, sotto quella quercia, il modo in cui ti sei accomodato lo lascia trapelare, ma non importa. Ti vedo sobbalzare quando la nuvola di taffetà ti nasconde la visuale del giardino, ma non importa. Mi sono ugualmente seduta accanto a te.   “Il baronetto non è stato di vostro gradimento, ojou-sama…?” Allora avevi sentito, vecchio sciocco. “Non più di quanto non lo sia questo caldo. Fortunatamente, sotto le querce l’ombra è piacevole…”   Non ti piace parlare di te, vero, Xerx-nii? Lo so, da sempre. Parlavi con lei, con mia madre, durante quei pomeriggi di fine estate, sotto quella quercia, ma io non sono mia madre, e tu non sei più quel cavaliere. Ti piace, questo mondo, Xerxes? Chiudo gli occhi, sono cieca, e lascio a te l’intimità di questo momento. Ma chissà se davvero è questo che vuoi. La tua missione, la Pandora, noi, me. Quanto il nuovo nome che mia madre ti ha dato è rimasto soltanto un nome, e quanto è diventato qualcos’altro?   D’un tratto, tutta questa giornata mi sembra inutile. Persino il corsetto con un doppio rinforzo che ho indossato - soprattutto quello - mi sembra inutile. Saluti, inchini, convenevoli, per un po’ d’acqua dalle fontane. Adesso che ti vedo, mi sento una sciocca.   “Ti ho trascinato qui contro la tua volontà, vero? Possiamo andare via, ne ho abbastanza.” “Non è vero, ojou-sama. Adorate questi Giardini. A pochi passi da qui ci sono le vostre amate sculture naturali, sapete?” “Ti sbagli, erano alla fine del labirinto, me lo ricordo ben--“ “Il labirinto è stato raso al suolo, ojou-sama.” Devi aver sentito il mio respiro rompersi. Adoravo quel labirinto. Hai rivolto il tuo sguardo su di me, lo sento senza nemmeno aprire gli occhi. Ho le guance rosse, non può essere altrimenti.   “Mi piaceva, è un peccato.”   “A volte, per poter costruire qualcosa, qualcos’altro dev’essere demolito.” Ma parliamo ancora del labirinto…?   Non ti ho mai visto così lontano, Xerx-niisan. Non ti ho mai visto cambiare umore e pelle così rapidamente. Sembra passato un tempo infinito da questa mattina, quando il tuo sorriso sciocco ha fatto infuriare le cameriere, perché continuavi a dire di non aver avuto la tua colazione. Quando sei tornato da quella maledetta biblioteca, l’uomo che avevo di fronte era un’altra persona.   “Cosa ti è successo…?” Probabilmente mi stai ancora guardando. Probabilmente, hai sollevato un sopracciglio. Il sinistro. Sollevi sempre quello, perché credi che nessuno lo noti. Ma sono anni che so come leggere il tuo viso, anche se non ho le parole per descriverlo. “In quella biblioteca… Cosa ti è successo?” Spero di aver avuto un tono risoluto abbastanza da farti desistere dal raccontarmi altre frottole. Prendi un respiro profondo, lo sento, e spero vivamente che sia la volta buona.   “Oh, ojou-sama, non è come credete…” Ah no? E allora com’è? Riapro un occhio, per sicurezza, perché il silenzio che sento è durato più del solito, e ti vedo a fissare un busto di marmo, a metri e metri di distanza. Forse sei pronto a fidarti di me?   “Mi sembra fosse giugno, vostra madre aveva avuto una crisi molto acuta, ed era costretta a letto da giorni. Eravate una bambina, e quella situazione doveva pesarvi molto, per questo mi chiedeste di portarvi ai Giardini. Quello della villa non era abbastanza profumato e abbastanza grande, diceste, per la bella giornata appena sorta.” Cosa c’entra, tutto questo, con la tua biblioteca, però…? Non comprendo, ma non ho voglia di interromperti, così richiudo il mio occhio aperto e inspiro prendendo una boccata di fiori freschi che viene da chissà dove. “Proprio come oggi, il sole dava fastidio agli occhi, e ci rifugiammo in uno dei boschetti di fiori al limitare dei Giardini. Eravate ostinata, ojou-sama, e costringeste un povero vecchio a giocare a nascondino con voi.” Ricordo quel giorno, e l’unico vecchio con cui parlai eri tu. Stai manipolando i miei ricordi, antipatico. Ho il sospetto che non mi racconterai niente, di quella biblioteca.   “Era una magnolia, vero? L’albero su cui vi arrampicaste come una scimmietta, per poi scendere e correre da me con un fiore in mano…?” Una magnolia…? Prima, quando il baronetto mi ha importunata, stavi osservando una magnolia… Davvero ricordi ancora…?    “Emily ricorda ancora di aver visto i mutandoni di Sharon-chan, quella volta~” Devo essermi distratta anche troppo, per averti permesso di prendermi in giro così tanto. Tu e la tua bambola. Sei odioso, Xerxes. Credevo davvero che mi avresti raccontato il perché di quello stato d’animo. Perché avessi l’aria di chi è caduto da cavallo, perché… Ma sei sempre il solito.   Cosa mi stai nascondendo, e perché? Non credi che potrei tenere un segreto per te? Ne tengo tutti i giorni, con le cameriere, quando rubi i dolci dalle cucine, e ne terrei anche per qualcosa di più importante. Terrei in serbo ogni cosa, per te. Cosa c’è che non ho ancora fatto e che potrei fare per farti capire che vorrei solo… Proteggerti?   Questo pensiero mi ha spinto a sorridere, a un certo punto. Non per coraggio, ma nemmeno per follia. Eppure l’ho fatto, e ho sentito, al buio delle mie palpebre chiuse e piene di sole al tramonto, alcune dita sfiorare le tue nocche. Niente di più. Non ho potuto, perché le guance andavano a fuoco, e non potevo darti un altro elemento per prendermi in giro, ma…   Riapro gli occhi. Tu sei lì, a fissarmi, come avevo immaginato, e l’incanto si è rotto. “Torniamo a casa, ho voglia di una cioccolata calda e di un bel bagno rilassante. Non c’è bisogno che tu rimanga ad aspettarmi.” Ho distolto immediatamente lo sguardo, lasciandomi sfuggire pochi sussurri che mi ero ripromessa di non dire, per paura di farti sentire debole. “Dovresti riposare…”  
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  L’atmosfera cupa con cui è iniziata questa giornata sembra essere tramontata insieme al sole. Non sento più quell’angoscia che mi ha portato quasi a odiarti, oggi, per come mi hai trascurato. Ne approfitto, anzi, per lanciarti qualche occhiata mentre osservi dal finestrino della carrozza. Spero che un giorno mi considererai abbastanza forte da sostenere il peso delle tue confidenze, sempre che ci sia qualcuno che consideri tale. Sempre che ci sia qualcuno a cui vuoi farle, le tue confidenze, brutto testone. La mia risata ti coglie di sorpresa, mi guardi, incuriosito, ma non ottieni risposta, e quel sorriso appena accennato, stanco e strano che mi fai, mi fa sentire importante.   “Miss Rainsworth, Lady Rainsworth è nella sua stanza, vorrebbe vedervi” Ti vedo già pronto a rimettere i panni del perfetto e mai stanco servitore, ma no, Xerx-nii, non occorre. “Vai a chiedere una cioccolata calda, ne ho proprio voglia…” Dopotutto, la nonna vorrà solo sapere se ho fatto per bene gli onori della famiglia, e che le racconti dei Giardini…   Anche se lo sguardo serio che mi ha rivolto non appena entrata non promette niente di buono. Non ha relazioni di Pandora sulla scrivania, non ci sono segni che sia successo qualcosa. Forse è solo stanca.   È un ronzio fioco, quello che sento nelle orecchie, ma sufficientemente forte perché perda metà delle parole che mi dice. Sfortunatamente, la metà che ho sentito, è stata chiarissima. “… Voci ovunque. Alla villa non si parla d’altro.”   “Xerx-nii… Sapete bene che lui è…” “Lo so. Ma è forse un motivo valido perché la gente pensi a voi due non come la futura Duchessa e il suo servitore, ma come due amici o…Altro?”   “Ma nonna, non… Che importa delle voci? Sono grande abbastanza per poter decidere a chi dare la mia amicizia.” Tentenno, guardandola. “… No?”   “Non è bene, Sharon, non è decoroso.” Il decoro… Mai quanto adesso, il corsetto col doppio rinforzo e il cappellino e gli inchini e i baronetti mi sono sembrati tanto inutili. Provo ancora a riprendere fiato, provo ancora a farle capire che a dispetto di questo stupido corpo, non sono una bambina, ma distoglie lo sguardo, e a me non rimane che guardare l’opale dell’unico orecchino che riesco a scorgere.   “Sei una donna, Sharon. E proprio per questo, è bene che tu comprenda che una donna ha degli obblighi, molto più rigidi di quanto non li abbia una bambina.” Obblighi? Dove vuoi arrivare, nonna…? Il mio stomaco ha già iniziato a contrarsi, anche se non hai ancora finito di parlare. Non è un buon segno. “Sarebbe meglio se per un po’ Xerxes-kun ti accompagnasse meno durante le tue giornate.” Il ronzio è tornato, insieme allo stomaco ormai ridotto alla metà del suo volume, e al cuore che batte nelle mie orecchie. “Potrebbe essere l’occasione migliore per fugare i dubbi sulla vostra inseparabilità, e potrebbe aiutare me in alcuni casi che hanno destato il mio interesse.” No. No… No.  Quell’odioso pizzicore appena sopra gli zigomi, se non faccio qualcosa, si trasformerà in lacrime, lo so. E non posso piangere adesso. Forte, devo essere forte. Non posso rifiutare, non posso oppormi, non posso proporre nient’altro. Non ha accennato a guardarmi negli occhi, non ha intenzione di lasciare che la muova a compassione. È definitivo. I tratti che vedo di fronte a me, il viso che osservo sono indistinti, mentre la saluto e mi dirigo fuori.   “Sharon…?” Mi fermo e torno a guardarla, con l’ultimo brandello di speranza che mi rimane completamente rivolto a lei. “Parlerò io con lui, tu… Limitati a stargli lontana.”   Fa male. Il cuore, di fronte a questo, fa troppo male. Sapere che è lì, con la mia cioccolata, che non berrò, aspettando che gli racconti di questo dialogo, e non potrò nemmeno dirgli addio, fa male.   Non le ho raccontato dei Giardini ma, come tutto il resto, non ha più importanza. 
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pandoraheartsfanfictions · 11 years ago
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If this be error... [ITA]
Autore: Echo_Baskerville Leggi la storia su Efp: x
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- Sono cieco, milady -
Non mi serviva la vista per capire le emozioni che sicuramente erano passate sul suo splendido viso, non potevo sopportare di saperla triste a causa mia, quando io avrei solo dovuto essere il motivo della sua gioia.
Temevo piangesse, ma sorrise. Un sorriso così luminoso da squarciare per un attimo le tenebre che mi avvolgevano già da un po'. Sentii qualcosa, qualcosa di sincero che credevo non avrei mai più provato, quando la sua mano strinse dolcemente la mia. Calore...un calore così dolce da farmi quasi piangere, se non avessi già versato tutte le mie lacrime tanti anni fa, quando questa ragazza era poco più che una bambina. Allora avevo dovuto farlo in silenzio, in solitudine, per non mostrarmi debole davanti alla donna che ora mi stringeva, facendomi ballare lentamente.
Per la prima volta nella mia vita non sapevo cosa fare. La mia mente già tanto provata sembrava avermi abbandonato del tutto, non che non me lo aspettassi, ma era insospettabilmente piacevole...staccare da tutto, da tutti, da me stesso e anche dalla realtà, lasciandomi trasportare da quel calore, tanto noto quanto completamente sconosciuto...
Ma io sono sempre stato una persona realista.
Riaprii il mio unico occhio rosso, rilevando l'inutilità del gesto, e la avvicinai di più a me, iniziando a condurre io la danza. In quel momento avrei dato tutto anche solo per vedere il suo viso un istante, ma la vita non è mai stata gentile con me e mi accontentai di poterla stringere tra le mie braccia, anche se consapevole che lei, la mia splendida oujo-sama, non provava per me quello che io provavo per lei...ma come ho già detto, la mia mente mi aveva abbandonato. Sulle ultime note di quella canzone mi fermai e la strinsi al mio petto, accarezzandole piano i capelli, e con tutta la dolcezza che non ho mai avuto appoggiai le labbra sulla sua fronte. Non so cosa provò, se arrossì o se semplicemente appoggiò la sua mano sul mio petto, all'altezza del sigillo...no, all'altezza del mio cuore e io misi la mia sulla sua. Doveva aver sentito il mio battito lento e regolare, per una singola volta calmo e tranquillo, così come lo ero io.
Alzò il viso verso il mio, senza smettere di sorridere, e seppi per certo che i suoi occhi si chiusero come i miei quando le mie labbra si spostarono sulle sue, andando incontro ad un calore anche maggiore di quello della sua mano, ancora stretta alla mia sul mio petto.
Dimenticai chi ero, la mia vita, il mio dolore e il mio passato, ero solo l'uomo che baciava la più splendida ragazza mai esistita, la mia piccola oujo-sama...
- Ti amo, milady -  
"If this be error and upon me proved I never writ, nor man ever loved" [Shakespeare]
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pandoraheartsfanfictions · 11 years ago
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Saving our world {Break; Sharon; Reim}
[Read it in ITA: X]
Break glanced out of the window. Oh. It had started raining. He tilted his head, while his alert ears tried to compensate for his sight – a sight which had been blurred for too long a time. He found himself thinking that it wasn’t so bad, after all, relaxing like that – just for a few minutes – enjoying the suffused light of the evening candles. They were warm, crackling red and yellow, and they allowed him to deceive himself, to pretend that he was unable to discern the details of what was surrounding him not as much because of the dusk which had enveloped his only eye, but rather because of the dimness which had repainted the walls of the room.
Break could not comprehend the reason for so much agitation. Far-back he had quit trying to understand why Reim always became animated, almost to the point of being panic-stricken, when the evening herald brought tidings like that one. Perhaps it was a question of youth. He remembered the times when he had been likewise impatient, likewise shuddering – those were the times when life had not already showed him its real load: a burden he would not have shrugged off his shoulders anymore, more and more oppressing, weighing on his chest and his heart, day by day, month after month, year after year. Growing up, growing old, contributed to make him wiser – or, perhaps, just more foolish, careless of the consequences of favoring today over tomorrow. After all, he had learnt the inestimable value of a second, and the fatuous, transient taste of moments he would have never had the chance to seize and drink up again. 
All of a sudden, his name, pronounced by Sharon’s tuneful and yet unsettled voice, brought him back to reality. He turned and pointed his eye towards the direction which the sound of the small cup that was put back on the plate was coming from, in order to create the illusion of being able to see them. He tried not to show that weakness which, internally, humiliated him enormously.
“Break… What should we do?”
What should we do?
It was a tricky situation, he thought. Maybe it was out of control. Maybe they would have never been able to find a solution to put a end to the problem, once and for all.
What should we do?
He thought about it. He thought about it carefully.
He thought about it carefully, and he thought about it for a long time.
Then he decided that – after all – he didn’t care.
Because Xerxes Break…
Was a bunny.
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pandoraheartsfanfictions · 11 years ago
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Life, what is it but a dream? [ITA]
Capitolo XVII
Gocce del Tempo
Da dove dovrei cominciare?
  Avvicino la mano al viso, e lascio che le dita guantate tamburellino sulle labbra. Ala Est? Ala Ovest? L’ultima volta Reim ha parlato di un corridoio che aveva a che fare con un qualche… Animale… Un falco, forse? Sospiro. Ho troppo poco tempo, ma devo farmelo bastare. Chiudo gli occhi, e l’odore della polvere invade le mie narici. Non è sgradevole, mi ritrovo a pensare. E’ frizzante. E’ opprimente. E’ stranamente familiare…   Da dove dovrei cominciare?   Anche la Tenuta aveva questo odore.
{Continua a leggere qui: X}
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pandoraheartsfanfictions · 11 years ago
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Life, what is it but a dream? [ITA]
Capitolo XVI
Dissonanza
Sapevo che sarebbe andata a finire così. 
Era inevitabile, eppure - ingenuo me - avevo pensato che le cose avrebbero potuto prendere una piega differente, e che non avrei assistito a tutto… Questo. 
I marmi intarsiati ricoperti da ogni sorta di confetto. Agli angoli, decine e decine di coriandoli e i resti delle decorazioni colorate servite al loro scopo. Persino i preziosi corridoi, irriconoscibili. Calici, porcellane, tutto pericolosamente in bilico tra la normalità e il caos. 
Uno dei membri giovani della Pandora, in cima a una scala, ha appena rimosso dei nastri dal lampadario di cristallo. Dal lampadario. Inutile chiedersi come ci siano finiti. Oltrepasso un cumulo di macerie che solo poche ore fa era polvere di stelle misto a cocci di qualche bicchiere rotto, e sospiro. Quando ho accettato di occuparmi della sicurezza della festa da ballo, ho accettato anche di supervisionare tutto quello che sarebbe successo dopo, quella festa. E mi ero assicurato che tutto fosse così perfetto, così ordinato, che non avrei mai potuto immaginare che la sala sarebbe stata ridotta in questo stato. 
Ingenuo e idealista, come mi definisce qualcuno… 
“Lunettes-san, cosa dobbiamo fare con questo…?”
Quello che mi ritrovo tra le mani è un preziosissimo, unico e delizioso orecchino di smeraldi. Da come brilla, quelli che lo incorniciano si direbbero diamanti purissimi. Probabilmente da solo vale più del mio compenso annuale presso il Duca. Una autentica rarità, di quelle che non si vedono tutti i giorni. “Insieme a tutte le altre chincaglierie smarrite, per favore.”
Devo controllare la terrazza. Ieri sera era troppo buio quando sono stato lì, non ho idea dello stato in cui versi, ma forse il freddo pungente ha tenuto lontane le dame e i cavalieri… Meno uno. È riuscito a trascorrere tre ore al gelo, nella stessa posizione. Di certo, nessuno degli uomini moderni che conosco sarebbe in grado di tanto stoicismo. Per di più quando il fuoco del suo sguardo era Sharon-sama. Chiedergli perché fosse lì mi è valso un ghigno e una scusa talmente stupida che non mi ha preso in giro, ma ha crudelmente lasciato che mi sentissi un idiota. 
Ma, dato che non era lì solo perché l’aria calda della sala rischiava di far soffocare la sua bambola, era fin troppo ovvio che qualcosa dovesse avergli guastato l’umore. Ha iniziato a borbottare quando ha letto la lista completa degli invitati, nel pomeriggio. 
“Reim-san, cosa bisogna fare con le argenterie spaiate…?”
L’alta società di Reveille è molto raffinata, non c’è che dire. Qui nella capitale si trovano concentrati una innumerevole quantità di marchesi, baroni, conti, e persino una buona percentuale della nuova classe dei ricchi senza titolo di tutto il paese. Eppure, le posate d’argento continuano a sparire ogni anno. Magari, la nobiltà risiede altrove. 
Era tutto così perfetto, ieri, ogni cosa al suo posto, ogni colore abbinato, e ogni maschera riconoscibile e innocua. Adesso è un campo di battaglia, e a ogni corsa verso i rifiuti che vedo fare ai quindici di Pandora che stanno mettendo a posto, mi chiedo chi sia lo sconfitto, se la festa o noi. 
La terrazza è fortunatamente incolume. Tutto sembra come è sempre stato, e davvero, sembra che i suoi unici ospiti siano stati gli unici due così folli da star fuori in pieno inverno. Da fuori, oltre le vetrate del salone, è bello vedere l’operosità di tutti quei ragazzi. Dà uno strano senso di pace, vedere Corey suonare il clavicembalo dell’orchestra, ma non sentirlo affatto.  Mentre rientro in sala, penso che bisognerà concordare con la compagnia perché vengano a riprenderselo; non sappiamo cosa farcene, di un clavicembalo, abbiamo già il nostro bel pianoforte nella sala dei Duchi. Mi serve il mio fazzoletto, fuori era troppo freddo, dentro la sala si respira un’aria ancora così calda e accogliente che… Non posso lasciare che mi vedano con le lenti appannate, sarebbe troppo imbarazzante. Il mio fazzoletto… Che non è nelle mie tasche.
Al suo posto, ci sono le sue forcine.  Di quello sciocco che non ha considerazione per le buone maniere. “Non trovi che sia una festa incantevole? Lady Rainsworth ha davvero organizzato una serata impeccabile…” ti avevo chiesto, sperando di comprendere perché nei tuoi occhi ci fosse, anche in quel momento, quell’ombra distante, ma mi hai rifilato un commento di quelli senza pensieri. Dovrei ritenermi lusingato che tu non l’abbia messo in bocca a Emily.
Vengo distratto da una melodia. Oltre al clavicembalo, qualcuno ha occupato le due viole e ha deciso di interrompere le pulizie. Beh, finché la musica è così dolce, non vedo perché chiedere loro di tornare a lavorare. Dopotutto, qualche minuto può solo renderli più produttivi, e concedere a me il privilegio di sedermi un attimo, con ancora le mani in tasca. 
Mentre mi rigiro queste forcine tra le dita, realizzo di essere davvero testardo, con te più che mai. Mi torna in mente la luce con la quale mi hai guardato, solo per un attimo, quando ti ho confessato che mi piacciono, in verità, le feste. Non ne ricordo molte a casa mia, e il Duca ne teneva di vietate ai bambini, per evitare che creassero scompiglio nell’élite di Reveille. Mettono allegria, però, con i loro rituali composti, prevedibili. Mi hai deliberatamente preso in giro quando ti ho fatto notare che, al terzo giro di valzer, anche chi non danzava, si muoveva per la sala in tre quarti. Mi hai convinto di infastidirti e disturbare i tuoi pensieri proprio un attimo prima di sorridermi e iniziare a toglierti quelle mollette che con fatica ero riuscito a infilzarti in quella tua testa selvaggia. “Xerx, non è educato, è una serata elegante…” ma tu hai sorriso. 
Non sei più abituato a portare i capelli legati, eh Xerx? Eppure, quando entravo di soppiatto nella tua stanza, per portarti un libro da leggere o per spiare quanto sangue fresco ci fosse sulle tue bende, non mancavi mai di tenerli stretti in quel nodo così complicato che a volte mi chiedo ancora come facessi a non stancarti. Era una parte di te, a oggi non credo di averti mai visto con i capelli sciolti. E fino a ieri, credevo che fosse perché te ne vergognavi, perché nessuno degli uomini presenti a villa Rainsworth li portava lunghi come i tuoi. Ieri sera, costruendo una struttura pericolante fatta di forcine proprio sulla balaustra, hai distrutto la mia convinzione. 
“Ai miei tempi…” Non dovresti mai usare frasi del genere per iniziare una frase Xerx, in fede mia, non sei credibile.
“… I capelli non erano un accessorio. Portarli corti era tipico degli uomini di mare.”  Probabilmente devo essermi toccato la nuca. Il pensiero di essere paragonato a un “uomo di mare” ha solleticato la mia ilarità quanto la tua, che hai riso del mio gesto forse troppo prevedibile.
“Per la cavalleria, invece, la regola era la stessa che per il matrimonio. Lunghi e stretti in code e nodi.” Hai posato l’ultima forcina, facendo crollare il castello precario, spargendole sul marmo. “Indicavano il vincolo che si aveva con qualcuno. Un consorte, un padrone…” La voce che avevi mentre mi parlavi aveva il tono della confessione. Qualcosa mi ha invitato a non farti altre domande. In cuor mio, sapevo che mi avevi concesso più di quanto non avessi fatto in tanti anni di amicizia… Ripensandoci, adesso è tutto più semplice. 
… Chiederti di legare i capelli per una festa, è qualcosa che non fa per te.
“Lunettes-san, abbiamo terminato di inventariare i servizi rotti.”
… È un peccato, perché i capelli legati ti stanno proprio bene. 
“E Kingley ha smontato le lanterne in cima al soffitto.” Annuisco distrattamente, ancora aggrappato ai miei pensieri e alle immagini che ancora invadono i miei occhi. Adesso ho io queste forcine, perché era troppo pigro per metterle a posto da solo. Sto sorridendo, come uno sciocco, al divano. Non sono mai stato in grado di arrabbiarmi con lui. Xerx è sempre stato così… Riservato, isolato, chiuso in se stesso. Per quanto sorrida, non ride mai davvero, per quanto parli, non dice mai davvero quello che pensa. 
Annuisco ancora, senza rendermi conto del perché lo faccio: non ho sentito la domanda, ed è troppo imbarazzante ammettere di non prestare la minima attenzione a un compito così importante. 
Ero un bambino, quando mi facesti la prima confessione, Xerx, e forse non era nemmeno così importante, per te. Per me fu il primo segno di amicizia. Notasti che ero senza occhiali - rido, adesso, al pensiero di aver temuto che potessi rompere anche quelli - e mi dicesti che da dove venivi tu, gli occhiali non erano per niente usati, e che si preferiva andare in giro un po’ alla cieca. Ancora oggi, mi viene da ridere al pensiero di persone che camminano a tentoni. 
Com’era il mondo da cui sei arrivato? Com’era quella società per cui tu eri così importante, prima, e così temuto… Poi… È il caso che mi alzi, e che mi trovi anche io un compito in questa sala, pensare fissando una parete non è ciò che il responsabile della sala della festa dovrebbe fare. Ci sono le porcellane da riportare sotto chiave, vorrà dire che andrò io  nella sala sopra le cucine.
Mi fai male, Xerx. Amo il mio lavoro, ma quando riesci a infiltrarti così, nei miei pensieri, non riesco a fare altro che ritrovarti in ogni angolo della mia mente. E mi chiedo ancora quando tu sia diventato così… Importante, quando tu abbia iniziato a ossessionare i miei pomeriggi di studio. Portare lettere a Sheryl-sama per conto del Duca non era mai stato così piacevole, ricevere i suoi puntuali rifiuti e accettare una fetta di torta per merenda non era mai stato così dolce. Lady Shelly ti aveva riportato alla vita, e sulle tue labbra c’era un’ombra nuova, che le curvava all’insù, e mi faceva sempre arrossire, quando tornavo a casa con la carrozza che mi aspettava sempre troppo a lungo. 
Ottanta piatti piani bordati di cobalto e settantanove sottopiatti. Si, ne abbiamo perso uno, ma immagino abbia combattuto valorosamente contro l’orda dei partecipanti. Riprendo il mio carrello vuoto, e ripercorro i corridoi brulicanti di operosi colleghi, per tornare in sala. 
Ho provato per anni a chiedergli qualcosa del suo passato, penso svoltando lungo il corridoio degli archivi, per far prima, e per anni ho ricevuto sorrisi di circostanza e niente più. Per anni mi sono chiesto chi fossero i suoi padroni, se fosse felice di essere il loro cavaliere, se si sentisse a casa, se… Avesse più provato quella sensazione, insieme a loro….
“Hai le mani di uno scrittore, con i calli nei punti sbagliati. Queste non sono mani per combattere” mi dicesti una volta, e ancora, guardando le mie dita ossute e così familiari, con quelle curve nei punti sbagliati, sorrido. Ora capisco cosa volevi dirmi. Non volevi che combattessi. Spingo ancora il carrello, lo porto dentro e mi compiaccio di trovare la sala molto più in ordine di quanto non fosse poco prima. Sono proprio al centro, qui ieri danzavano coppie in incognito, e tu mi hai regalato qualcosa. Tiro fuori dalla tasca le forcine, e come un gioco, le incastro come facevi ieri. Hai voluto dirmi qualcosa, raccontarmi qualcosa di te dopo anni che avevo disperato, ma sei sempre il solito, Xerx. Non mi hai detto niente e mi hai lasciato con l’amaro in bocca. E no, Corey, non occorre che orienti i cuscini dei divani tutti a 37°, cederanno sotto il peso del primo avventore, ma non importa. Non in questo momento. Sono di nuovo seduto a quel tavolino, e ho ricostruito in parte il tuo castello di metallo. 
Cavalleria e matrimonio? Era un obbligo? O sentiva davvero quel legame?  Oh, Xerx, quanto potremo sembrarti stupidi a curarci dell’estetica? Ma tu non l’hai mai fatto per l’estetica. L’hai fatto e continuerai a farlo per Sharon-sama, e forse un po’ per me, che provo ogni volta a ragionare con quelle ciocche troppo corte eppure troppo lunghe.  … Chissà se l’hai mai davvero fatto per me. Una sciocchezza simile, per un uomo come me, non dovrebbe essere così importante, eppure… Pensarlo mi impedisce di smettere di sorridere. 
Il pendolo rintocca una volta. Dal rapido sguardo che ho dato solo qualche istante fa, direi che le cucine sono già state rifornite: un ottimo momento per prendere una bottiglia di latte senza che si noti la sua assenza. La sala è ormai come è sempre stata, come se la festa di ieri non avesse lasciato nessuna traccia visibile, forse potrei occuparmi dei sedici civili attaccati a nord di Reveille. Se nessuno ha ancora trovato il Contraente, dev’essere stato tralasciato qualcosa. 
“Lunettes-san, hanno appena portato questi dalla Guardia.” Corey ha appena mandato in fumo i miei progetti segreti, riempiendo il tavolo a cui mi ero momentaneamente seduto di tre pile di fogli, che hanno pericolosamente vibrato appena posati, rischiando di perdere la loro perfetta forma di gruppo. Ne sollevo uno, sospirando. Avrei preferito le cucine, avrei potuto nascondere i miei intenti prendendo uno di quei croissant che sfornano a quest’ora. 
Sorrido, poi, leggendo tre delle quarantuno righe di quel foglio.
Mi hanno portato le liste dei presenti e dei movimenti degli invitati, per cui posso rimanere qui, seduto, a leggere questi dati mentre qualcuno, senza che lo chiedessi, mi ha appena servito del the insieme a un piattino di biscotti. Il cielo si è aperto, e le nuvole che questa mattina incombevano sul Quartier Generale, hanno perso la loro battaglia contro il sole, che ha attraversato le vetrate e inondato i pavimenti chiari.
Come mosso da qualcun altro, non penso abbastanza da chiedermi perché, ma piego uno di quei fogli e me lo infilo in tasca, dove ho di nuovo raccolto le mie forcine, e supero Corey, rimasto lì immobile e attonito. Fuori dalla sala e nell’atrio, ci arrivo con un sorriso sulle labbra e nessun ricordo della strada percorsa. Quando mi rendo conto di aver dimenticato il cappotto, sono già salito sulla carrozza di servizio. 
“A villa Rainsworth, per favore.”  Forse, in questi tempi, Xerx, i legami non si dimostrano con i nodi ai capelli.
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pandoraheartsfanfictions · 11 years ago
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Collection of a Fool's Fragments
Lazy Day {Break x Sharon}
One Last Time {Break & Reim}
Making Love {Reim x Break x Sharon}
Those Words {Break & Reim} 
Waltz No. 2 - Shostakovich {Break x Sharon}
Slowly {Break x Reim}
Cross the Line {Break x Sharon}
Reflections {Reim x (Break x) Sharon}
Memoria {Break x Sharon}
House Party {Reim x Break}
Tramonto di un Sogno {Sharon - Break}
"I am the Love that dare not speak its name" {Break - Reim}
Who I am {Break x Sharon}
Quiet {Reim x Break x Sharon}
Ballade {Break x Sharon}
Unrequited {Break x Reim}
Piccoli Giochi {Break x Sharon}
A Second Chance {Break x Reim}
Fairytale {Reim - Break - Sharon}
Colors {Break x Sharon}
Margherite {Reim x Sharon}
Sunlight {Break x Sharon ; Reim}
Scegliersi ancora {Break x Sharon}
Gore {Kevin Regnard} ~ not-a-fragment
My handsome young man {Break - Reim - Sharon}
In good times and in bad, in sickness and in health {Break x Sharon}
Ever After... {Break x Sharon}
Jasmine {Break x Sharon}
Clair de Lune {Break x Sharon}
Funhouse {Break x Sharon}
Unrelentingly {Break x Reim}
A Stabbing Love {Break x Sharon}
To be continued...
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pandoraheartsfanfictions · 11 years ago
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I could have danced all night
Characters: Kevin; Shelly
Language: ITA
Read it on EFP
*** 
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pandoraheartsfanfictions · 11 years ago
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Life, what is it but a dream? [ITA]
Capitolo XV
Sul bel Danubio blu
La Pandora è un’Associazione che si regge sulla base delle donazioni dei Quattro Ducati. Ogni anno, secondo un ordinamento stabilito, uno dei Quattro Casati si occupa di finanziare e sostenere al meglio delle sue possibilità la Pandora. L’ultimo anno in cui toccò ai Barma, il Duca aumentò la portata della biblioteca di circa il doppio. Oscar Vessalius, lo scorso anno, si era limitato a far sparire dalla circolazione quei discutibili ritratti ai corridoi che Bernard Nightray aveva fatto appendere.   “Questo è l’anno delle Rainsworth.”   Forse l’ho detto a voce troppo alta, e ora tutte le cameriere mi guardano, ma che importa. Questo è l’anno in cui spetta a noi decidere quali provvedimenti sono più urgenti di altri, come gestire al meglio le risorse della Pandora, come provvedere a—   “Miss Rainsworth, azzurro o verde?” “E’ pervinca, Madeleine, pervinca!”   Secondo la nonna, il segreto per amministrare gli affari come un uomo è non lasciare a intendere che ci sono cose che non saresti disposta a fare. Sto cercando di crescere, di migliorare, perché toccherà a me, tutto questo, un giorno. E voglio poter essere in grado di occuparmi di questioni come quella brutta storia di quei Chain fuori Revei—Ah!   “Mi dispiace, Miss! Sono mortificata! Va bene così?” “S-si… Ancora un po’, forse…”   … Sedici persone attaccate e non hanno ancora trovato il Contraente che ha causato tutto quel trambusto. Chissà se Xerx-nii ne sa di più…   “Dov’è Break?” “Oh, Miss, non è ancora rientrato, ma ha lasciato de—“ “Non…E’…?”   Ci risiamo. Se c’è di mezzo un ballo, Xerx-nii, fai di tutto per boicottarlo. Non questa volta, però. Non nell’anno delle Rainsworth. Non ho intenzione di presentarmi al Ballo della Pandora senza un cavaliere. Ti costringerò a venire anche se fossi costretto a cambiarti in carrozza!  
~ ~ ~
  Sapevo che sarebbe stata bellissima, ma la nonna ha davvero organizzato la Festa di Carnevale più bella di sempre. Tutto è perfetto, persino i profili di cobalto delle porcellane sono intonati ai delicati damaschi della sala da ballo della Pandora. Non l’ho mai vista così sfarzosa. Tutti ricorderanno questa festa, ne sono convinta.   La dama di Ernest Nightray non è la stessa della scorsa festa. E, a ben pensare, nemmeno la stessa che passeggiava per Reveille con lui la scorsa settimana. Sembra molto più grande di lui, e molto più… Beh, di certo quel corpo andrebbe mostrato con più grazia, ma né lei né il terzogenito del Duca sembrano preoccuparsi di come sia letteralmente strizzata dentro quel corpino. È così che dovrebbero essere le donne, probabilmente, per attrarre l’attenzione degli uomini…   Xerx-nii è sparito proprio quando la stanza si è riempita della squisita melodia degli archi e di meravigliose girandole di seta e taffettà colorata. “Certamente, ojou-sama” ha detto, quando gli ho chiesto se mi avrebbe invitata a danzare, ma avrei dovuto assicurarmi che rimanesse almeno accanto a me, come mio cavaliere. “Prendo dei dolci e torno” ha detto, quando gli ho chiesto di non andare via, ma avrei dovuto assicurarmi che non potesse scappare, e invece mi è sfuggito di nuovo. Senza nemmeno portare i dolci.   Sapevo già, grazie alla nonna, che Reim-san avrebbe dovuto occuparsi della sicurezza della festa, ma ora che lo guardo, non avrebbe potuto essere diversamente: chi meglio del preciso, sicuro e affidabile Lunettes-san? Da bambino dicevi che l’unica arma per difendersi fosse la cultura, ma le cose sono cambiate, da allora. Se è necessario che otto guardie, escluso te, vigilino sui presenti, è perché il mondo non è più lo stesso posto di quando eravamo bambini, vero? Ognuno ha la propria mascherina di biscuit, ma sono tutti tenuti ad abbassarla, su richiesta. È perché tutti e quattro i Duchi sono lì, tutti e quattro mascherati e tutti e quattro scoperti? Oscar-sama ha avuto la deliziosa idea di vestirsi da… Pavone, a giudicare dal coloratissimo colletto con cui si annuncia senza parlare. È così divertente come creda davvero di non essere riconoscibile. Solo lui potrebbe essere così estroso da fare una cosa del genere, e solo lui è così biondo. Ho rinunciato a trovare Xerx-niisan, ma non posso rimanere qui, seduta in disparte insieme a… Oh. L’anno scorso, ero in compagnia di dodici bambine, figlie dei nobili di Reveille, senza cavaliere. Quest’anno siamo solo in sette. Verrà il giorno in cui, probabilmente, ci sarò solo io.   No.   Mi alzo, non ho intenzione di pensare a cosa ho perso e a cosa non otterrò, non questa sera. Potrei chiedere a Reim-san di invitarmi a danzare, per vederlo arrossire, ma probabilmente lo disturberei soltanto dai suoi compiti, per cui raggiungerò da sola i dolci e mi servirò da sola di uno di quei pasticcini, dato che nessuno si è ancora presentato per portarmene un po’.   “Mi assicuri che il vino sia di quello buono…?” “Certo, milady!” “Ottimo, allora ne prendo due!”   Mi ritrovo a sorridere tra me, mentre penso che quello sia proprio un modo di fare strano. Chiunque sa che a quel genere di feste non viene certo servito del vino scadente… Ma non è certo la cosa più strana, in questo momento. Avverto qualcosa, nell’aria, che prima non c’era. Qualcosa di insolito, di… Scadente. E dozzinale. Ho già sentito quest’odore, ma non—   Xerxes.   Lui, aveva addosso lo stesso, identico, volgare profumo da donna, ecco dove ho già sentito questo odore, ma è impensabile che qui, proprio al Ballo della Pandora possa esserci quell’odore. Devo trovarlo, devo capire a chi appartiene. Ho un terribile presentimento, e se fosse come immagino, io… Io… Oh, accidenti a te, Xerx-nii, dove sei? Non posso credere che tu… Che quell’odore appartenga a qualcuno che… Tu…   Passo in rassegna le donne lontane dalla zona di ballo, che chiacchierano, ridono, sventolano dei ventaglini di piume. Me ne serve una, soltanto una, ma non ho altro che un odore… Mi sembra un’impresa troppo difficile, in mezzo a tutte quelle persone, ma poi eccolo. Dev’essermi passata accanto, perché lo sento distintamente nelle narici, acre e pungente, e finalmente riesco ad associarvi una soprana color cognac e delle piume di struzzo viola. Non mi resta che avvicinarmi. E’ un bell’abito, dopotutto, molto più raffinato di quel profumo che si porta addosso e, nel momento in cui mi avvicino abbastanza da distinguere i ricami sulla sua schiena, mi accorgo che chi lo indossa ha anche dei bei fianchi. Dei fianchi da donna, morbidi. Non è il momento buono per distrarsi. Forse queste paure sono infondate, forse è un odore simile a quel profumo, forse dovrei lasciar perdere… Sento la sua voce chiedere il passaggio, e faccio appena in tempo per scorgere una cascata di boccoli bruni sparire dietro una volpe e una farfalla. Sembra avere tutta l’intenzione di voler uscire dalla sala, e se così fosse, vorrebbe dire che uno dei due calici di vino che porta in mano è per qualcuno che in sala non c’è, e che l’aspetta, altrove. No, non ho il tempo per pensare che forse non c’è da preoccuparsi. Se rimanessi qui, in questa sala piena di gente e vuota dell’unica che sto cercando, sarebbe peggio, quindi sarà meglio assicurarsi che mi sbaglio.   Ci si rende conto della scomodità di un abito non quando lo si indossa, e nemmeno quando si danza, ma quando si cerca di non fare rumore. Queste balze sono così pesanti, e questa gonna così spessa che sono costretta a tenerla con entrambe le mani, stringendo coi denti la speranza che nessuno mi veda in questa indecorosa condizione. La nonna non approverebbe, e nemmeno io, se potessi vedermi con gli occhi di qualcun altro, ne sono certa. Ma sono stata brava, la donna dalle piume viola non mi ha notata, probabilmente perché è troppo impegnata a ridere. Quelli non devono essere gli unici due calici di vino che tocca, quella sera. Ha imboccato il secondo corridoio a destra e poi il primo a sinistra, come se conoscesse la strada…   Come se sapesse dove sta andando. Come se qualcuno la stesse aspettando.   Oh, nessuno di estraneo alla Pandora conosce così bene questi corridoi, e questo non fa che rendermi più ansiosa. Non è proprio possibile che tu… La vedo, finalmente, fermarsi, e guardarsi intorno. Sono costretta a nascondermi dietro l’angolo, ma sento i cardini di una porta nel silenzio dei corridoi. Mi auguro che il mio cuore, che batte più forte di quel cigolio, non attiri l’attenzione. Chissà, forse è solo nella mia testa, ma mi sembra che gli sguardi dei ritratti di fronte a me mi stiano rimproverando, per quello che sto facendo. Ma ho bisogno di sapere. Lascio passare qualche minuto, per assicurarmi che non sia più in allerta, e mi affaccio. Ma ormai è sparita oltre una delle tre porte presenti, e non può più vedermi, per cui posso anche lasciare andare il mio vestito e avvicinarmi.   “Sala dei registri n°3”, campeggia in oro su una delle porte di legno massiccio, l’unica socchiusa. Perché una sconosciuta dovrebbe entrare nella sala dei registri, mentre c’è una festa meravigliosa nella sala da ballo? So di aver lasciato il senno in quella sala, insieme alle altre sei bambine sedute in disparte. Lo so, qualcosa dentro di me lo urla con forza. E se fosse paura di scoprire la verità…? Se non fosse senno, se avessi timore di vedere i suoi capelli, insieme a quei boccoli bruni, timore di trovare un’altra volta quell’odore sui suoi vestiti?   Coraggio, Sharon. Sei una Rainsworth, e le Rainsworth possono affrontare qualsiasi cosa. Ho una mano sulla maniglia quando mi fermo a pensare che potrei aver frainteso tutto. Che potrebbe non esserci niente che mi riguardi, lì dentro. Ed è con questa speranza nel cuore che scosto appena la porta. Non serve molto, appena appena, ho solo bisogno di vedere che non sia… Lui.   Mani fasciate da guanti da uomo, bianchi come il latte, hanno appena scostato una manica di quel vestito color cognac, scoprendo una porzione di pelle di un bel colore caldo. Una porzione che nessuno dovrebbe scoprire in pubblico. Il fruscio della stoffa che cede è suadente quasi quanto il leggerissimo sospiro che lo accompagna, e le piume della maschera, adesso non più sul volto della donna, creano un percorso immaginario che porta fino al viso di un uomo, senza maschera. Le debolissime luci accese in sala rendono fioco il colore della sua coda, di un castano ormai grigio, e riflettono la luce in un modo insolito sul panciotto, stirato al massimo delle sue capacità da quella figura non certo slanciata. Labbra rosse sul viso di lei scoprono i denti quando le dita del suo compagno le premono le guance, e lei canta, a tempo con le note distanti del valzer in sala. La festa è lontana, come pure i suoi colori. Solo bagliori dorati di damasco e mani ingorde, che profanano la seta e si insinuano, mostrando a occhi ancora più ingordi gambe così dritte da essere ingiuste. Ma non è abbastanza, sembrano dire quelle mani che accarezzano, pretendono, risalendo lungo la pelle troppo nuda…   Seguire quella mano mi ha restituito coscienza di cosa stessi facendo, e a cosa stessi assistendo. Troppo per le mie guance che avvampano, troppo per le mia mani che tremano, troppo per il mio cuore che… Scoppia, pieno di… Troppo.   Mi ritrovo di nuovo lungo il secondo corridoio senza ricordare di aver chiuso la porta, o ripreso il vestito in mano per non fare rumore. O anche solo di aver notato i ritratti lungo le pareti. Negli occhi, ho solo quelle mani, quei colori, quel.. Non è lui, e il mio cuore scoppia di gioia, ma subito la vergogna per ciò che ho fatto mi colpisce in pieno. Forse, l’unico modo per scacciarla è correre in sala, e magari prendere un po’ del vino che i camerieri in livrea nero pece continuano a servire a tutti gli ospiti della Pandora. Forse dovrei cercare Xerx-nii, ma il solo pensiero di poterlo guardare negli occhi è troppo imbarazzante, al momento. Se lui non si fosse allontanato per nascondersi chissà dove, tutto questo non sarebbe successo. Se lui non mi avesse lasciato da sola insieme alle bambine dell’alta società, non avrei avuto il bisogno di alzarmi e andare via. Se lui non mi avesse ingannata promettendomi dei dolci che non sono mai arrivati, non avrei… È tutta colpa tua, Xerxes.  
~ ~ ~
  Il dondolio della carrozza è così conciliante, a quest’ora della notte, e i sedili non mi sono mai sembrati così morbidi. Sento che potrei cedere al sonno che avanza sempre di più ma poi ti vedo, di fronte a me, con uno sguardo che ride molto più di quanto non facciano le tue labbra, e devo concentrare tutte le mie energie per non arrossire. Non davanti a te. Perché mentre io temevo che potessi aver trovato una compagnia migliore della mia, tu eri in terrazza, perché il suono dei violini infastidiva le tue orecchie. Non riesco a essere solidale con te, però, perché è tutta colpa tua.   “Ojou-sama sembra arrabbiata… Non vi siete divertita alla festa?”   Non ti rispondo, perché non voglio parlarti e voglio che tu lo capisca, per cui distolgo anche lo sguardo, fissando un indefinito nero oltre il finestrino della carrozza fino a che l’equilibrio non viene stravolto, e il dondolio si fa più forte per un attimo, e poi tutto torna come prima. Ma con te al mio fianco. Non ti guardo, perché non te lo meriti - e perché potrei arrossire - ma non riesco a resistere a lungo a quella tortura, così vicino a me. Mi lascio andare con la testa sulla tua spalla, senza dire una parola e, senza una parola, tu sposti la tua Emily, per me.   “Non ci credo, sai…?” “A cosa, ojou-sama…?” “Che sei stato in terrazza per tutta la sera. Non ci credo… “ Il tuo sorriso beffardo non scioglie affatto il mio broncio, che anzi è più marcato di prima. “Era pieno di bellissime dame, alcune anche troppo in mostra, come la compagna di Nightray… E tu? Non ne hai trovata nessuna che ti piacesse?”   Sei lì, sei accanto a me e sento che il tuo profumo dolce è sempre lo stesso, e qualcosa, oltre la voglia di farti sapere che mi hai fatto male, lasciandomi tutta da sola, ci tiene a dirmi che non dovrei dirti tutto questo, ma non riesco a fermarmi. Sento che prendi fiato, ma non voglio un’altra scusa.   “Magari sei andato anche tu in una sala dei registri, hai acceso poche luci e hai tolto la maschera a una bella donna…?” “Ojou—?“ “… E magari le hai anche detto che aveva un buon profumo, mentre invece puzzava di profumo volgare?”   Provi a interrompermi, a bassa voce, ma nella mia immaginazione, gli eventi scorrono come un fiume.   “È così… Xerx-nii mi ha lasciata alla festa per andarsene anche lui in una sala dei registri. Non la terza, quella era occupata dal conte Gyre insieme alla dama con le piume viola, ma magari un’altra…? È così, Xerx-nii?”   Il dolore che quelle immagini nella mia testa provocano al mio cuore è reale. Solo pensare che potresti essere stato… Ti sento bisbigliare qualcosa, a un passo dal sonno, ma non distinguo che il mio nome.   “Sono molto stanca… Mi sembra addirittura di sentire la tua mano sui capelli…”   Ho gli occhi chiusi, e il tuo sussurro è una melodia che va oltre i giri di valzer che non ho avuto, e oltre i violini che risuonano ancora nella mia mente. Si mescolano alle luci dorate, alle mani avide della sala numero tre, alle dita gentili tra i miei boccoli, fino anche a sentirle su una guancia.   “… Ma non può essere il mio niisan… Lui non…”
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Life, what is it but a dream? [ITA]
Capitolo XIV
Sfalsato
Mi sento stanco.
Percorro lentamente il corridoio del secondo piano. Un passo dopo l’altro, un piede dopo l’altro, lo sguardo sulla moquet. Devo arrivare alle scale. Devo raggiungere l’uscita. Devo tornare a casa, e chiudermi in camera. Non voglio che—   Troppo tardi. Le pareti spariscono, e il mondo ruota, ruota troppo in fretta. Chiudo gli occhi, appoggio la schiena al muro, copro la mia bocca con la mano.   Avanti. Avanti, respira. Non puoi svenire alla Pandora. Non puoi.   Sento le orecchie fischiare, e quel buio doloroso penetrarmi le tempie, insinuarsi nella mia mente. E’ un’oscurità gelida, che mi afferra il cuore con dita graffianti, e mi spezza il fiato. Non voglio… Cedere… Non qui…    
Mani.
  Mia… Signora…
  Sei solo un ragazzino.
  “Giochiamo alle signorine, nii-san!”
  Sangue.
  Bianco.
  “Kevin… Non andartene…”
    Sussulto. Dove sono? Chi sono? Sono io. Io. Lentamente, “Io” ha un corpo. Lentamente, “Io” ha delle dita. Delle dita che premono… Su qualcosa di morbido. Su… Della stoffa, forse? Oh. “Io” respira. “Io” è vivo. Dov’è “Io”?   Apro gli occhi. Sto fissando un soffitto. Un soffitto?   Chiudo gli occhi. Respiro. Sento il cuore battere dolorosamente. La Pandora.   Mi metto seduto di scatto, mi guardo intorno con gli occhi spalancati. Devo essere svenuto. Stringo i denti, costringo il mio corpo a rialzarsi, utilizzando la parete più vicina come punto d’appoggio.   Alzati, stupido. Alzati.   Ho bisogno di sentire le mie dita sul viso. Ho la fronte sudata. Sospiro, mentre avverto le gambe tremare. Non voglio che succeda così. Non voglio non essere in grado di controllarlo. Non voglio morire in questo modo estenuante, giorno dopo giorno, ogni secondo un soffio di più.   “Buona serata, Cappellaio-san…”   Questa voce. Questa voce sgradevole. Separo le dita che ancora mi nascondono il volto, e incontro gli occhi di Nightray. Che diavolo vuole?   “Stavi andando da Lunettes-san? Se fossi in te lo lascerei riposare…”   Lascio ricadere la mano lungo il mio fianco, e lentamente mi metto dritto con la schiena. Perché ha nominato Reim? Socchiudo gli occhi.   “Quando l’ho lasciato, era così… Stanco…”   Lo vedo sfiorarsi distrattamente le labbra col pollice, come per ripulirsi la bocca. Un istante dopo sbadiglia, e mi sorride. Che cos--?   “E lo sono anche io… Sono sfiancato… Sogni d’oro, Cappellaio-san…”   Lo seguo con lo sguardo senza dire una parola, finché non lo vedo svoltare per raggiungere la scalinata dell’Ala Est. Sto tremando. Sento dolore. Dolore dentro al petto. Dolore alle mani. Scuoto la testa e mi rendo conto di avere le unghie conficcate nei palmi. Riapro lentamente le dita, e fisso i segni violacei sulla pelle. D’un tratto mi sento attraversare da un brividio. Un brivido di disgusto. Un brivido di profondo disprezzo. Che cosa… Che cosa gli ha fatto…? Non… No. Reim non può… Non… Volontariamente… Non… Con lui…   Improvvisamente il mondo ruota di nuovo, ma stavolta non ho intenzione di cedere. Nightray, puoi benissimo andare al diavolo per quanto mi riguarda. Ma non devi… Non devi osare… Sbatto il palmo contro il muro, mi allontano di scatto dalla parete. Non devi osare sporcarlo. Non devi neanche lontanamente pensare di sfiorarlo. Ti ucciderò.   ...   Reim.   Che accidenti hai fatto?   Percorro velocemente il corridoio, ignorando le vertigini, oscillando da una parete all’altra per trovare un appoggio momentaneo. E’ come danzare sul ponte di una nave che sta andando alla deriva, eh, Emily?   Reim.   Perché…?   Chiudo gli occhi, mi fermo davanti alla sua porta. Ho bisogno di premere la fronte contro il legno, di… Stringere le dita sulla mia camicia.   Perché sento… Che potrei non respirare mai più? Perché mi sento… Andare in frantumi…?   Busso. Tre volte. Solo io busso tre volte alla tua porta. Mi aprirai, vero, Reim?   “Oh, sei tu…”   Chi altri dovrei essere?   “Hai… Hai bisogno di qualcosa?”   “Non mi inviti a entrare?”   Ti vedo esitare. Rifuggi il mio sguardo. Questo… Significa che è… Tutto vero…?   “Mettiti pure comodo… C’è… Un po’ di disordine, Xerx… Non farci caso…”, ti affretti a mormorare, spostandoti di lato per lasciarmi entrare.   Disordine? Inarco un sopracciglio, mentre il mio sguardo percorre la tua stanza. A me sembra tutto al solito posto. Tutto tran---   Il tuo letto.   “Stavi dormendo? Ti ho disturbato?”   “No, no, affatto… Stavo sistemando degli appunti. V-vuoi un the?”, mi sorridi, dandomi le spalle così in fretta da causarmi un ennesimo brivido. Adesso ne sono certo. Stai nascondendo qualcosa.   “Sì, grazie”.   Non riesco a impedire ai miei occhi di tornare a fissare quelle coperte scomposte. Quelle coperte che sembrano aver vissuto una lotta. E se, invece, avessero vissuto… Un abbraccio?   All’improvviso ho bisogno di sedermi, e crollo accanto al tuo tavolo, lieto che tu non possa vedermi, ancora intento a far bollire l’acqua del the. Guardo la tua schiena, il modo nervoso che hai di ciarlare di documenti, inchiostri e di uno sbadato scribacchino.   Non mi interessa, Reim. Non mi interessa affatto. Che cosa hai fatto? E perché…? E se lo hai… Se lo hai voluto, io…   No.   Non voglio.   Non voglio che sia vero.   Premo la guancia sulla mia mano, fisso il pavimento senza più sentire le tue parole. Che cos’è questo vortice dell’anima, questo intenso, acuto grido che mi congela il sangue nelle vene?   “…a soqquadro. Mi chiedo che cosa stessero cercando. Non ho niente di valore in questa camera, in fondo…”   Che cosa hai detto?   D’improvviso, le tue parole catturano di nuovo la mia attenzione. Mi stai fissando, e non me n’ero reso conto. Mi stai fissando, e i tuoi occhi sono dispiaciuti. Forse… Sono imbarazzati.   “Erano ladri?”   Ho optato per una domanda abbastanza ambigua. Non voglio rivelarti di non aver ascoltato le tue parole. Ma voglio che tu mi ripeta ciò che ti ha fatto tremare la voce un attimo fa.   “Te l’ho detto, non ne ho idea. So solo che qualcuno è entrato. Hanno rovistato tra i miei documenti. Quando sono entrato c’erano fogli dappertutto”.   Socchiudo gli occhi, mentre ti guardo prendere la teiera, e tornare da me. Versi lentamente un the scuro, dall’intenso profumo di cannella, nella mia sottile tazzina di porcellana, concentrandoti per non rovesciare neanche una goccia sul piattino.   “Non pensi che possa essere stato Nightray? L’ho incontrato nel corridoio…”   D’improvviso, la tazzina nella tua mano vacilla. Tremi. Trema. Cade a terra. S’infrange. Ti guardo avvampare, posare in fretta la teiera sul tavolo e piegarti a terra per raccogliere i minuscoli frammenti.   “Oh, n-no… Affatto… A-anzi… E’… E’ stato così… G-gentile… Mi… Mi ha aiutato… A rimettere tutto a posto… E… S-si è persino… Offerto per aiutarmi… Con quella ricerca dai… Dai Gyre, sai…?”   Sbatto le palpebre.   Dai Gyre…?   Stringo i denti, comprendendo in un istante il gioco di Nightray. Sei un bastardo. E te la farò pagare. Ma… Oh, come hai potuto? Come hai potuto trascinare lui in questa storia?   Mi piego per aiutare questo sciocco a raccogliere i resti della tazzina. Finalmente sento il cuore ricominciare a battere. Finalmente vedo i colori dipingere di nuovo la stanza. E… Oh, Reim. Accidenti a te. Sei un idiota. Sei un idiota fiducioso e indifeso, con questi tuoi occhi così puri, con questi tuoi occhi così terrorizzati che non osano rivelarmi i tuoi pensieri. Ti guardo, mentre le guance palesano ancora la tua vergogna per avermi dato un simile spettacolo di disordine, e scuoto la testa.   D’un tratto noto il livido sul tuo polso. Capisco. E sia, Nightray. La tua dichiarazione di guerra è stata accolta.   Allungo una mano, la poso sulle dita tremanti di Reim.   Non devi avere paura.
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pandoraheartsfanfictions · 11 years ago
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Ah vous dirais-je maman [ITA]
Author: thyandra
***
L'aria profuma ancora della menta e delle spezie orientali che i domestici hanno sparso per la camera questa mattina, persino sulle ceneri della brace in fondo alla stanza, vicino al letto dove ancora la mia Signora sta riposando. Solo un vano tentativo di portare un briciolo di freschezza in questa stanza già pervasa da un freddo intenso. Getto uno sguardo amaro alle finestre ben serrate e le pareti coperte dagli arazzi invernali, nonostante siano i primi giorni d'estate. Solo in questa camera perdura il gelo di dicembre, da quando la sua unica abitante sembra avere acquisito il chiarore della neve.
"Sei tu, Kevin?" sussurra una voce così debole da sembrare l'eco di uno spirito d'altri mondi. Mi prendo qualche secondo di troppo prima di voltare il capo. E so di essere scorretto, di essere ipocrita, debole, quando mi sforzo di nascondere quella tristezza dei miei occhi, quel velo di lacrime al vostro sorriso gentile. Chi sono, io, per essere triste, se voi guardate la morte negli occhi senza scomporvi? Che diritto ho io di disperarmi, io che sarei dovuto morire anni fa, ma che vivo ancora in questo mondo, ignorando le lancette ormai ferme sul mio petto? Quel nero sepolcro dovrebbe attendere me, non voi...
Senza accorgermene, ho stretto i pugni così forte da lasciare impressa l'impronta bianca delle unghie sul palmo chiuso. Mi costringo a rilassare i muscoli, mentre un leggero sorriso prende largo sulle mie labbra tirate. Non posso permettermi la tristezza, voi non la meritate.
"Ben svegliata, mia Signora" vi saluto, avvicinandomi. Nel mio sorriso perdura un accenno di malinconia. So che lo noterete, ma oggi non riesco ad essere forte come vorrei. Forse perché ogni giorno di più che il vostro male vi costringe a queste quattro mura sento lo stesso gelo corrompere il mio cuore, sussurrandomi crudele di essere l'ultimo sole che vedrete.
Prendo una margherita bianca dal vaso e la rigiro tra le dita per scacciare quel pensiero, il sorriso di poco prima già mutato in una appena accennata piega all'insù. Inspiro il suo delicato profumo per darmi la forza di parlare ancora. Voi non avete smesso neanche per un istante di guardarmi con la vostra delicata grazia, in silenzio. Avete capito che ho da dirvi qualcosa d'importante e state aspettando pazientemente che mi decida a farlo.
Mi avvicino nuovamente al vostro capezzale e, guardandovi dritta negli occhi, poso quella delicata corolla tra i vostri capelli morbidi, appena scompigliati dal recente riposo. Cerco in quelle iridi così calde la risposta che mi corrode dall'interno: cosa trovate di così apprezzabile in questo codardo buono a nulla che sono?
Non saprei dire per quanto tempo io sia rimasto in quella posizione, quando la vostra mano mi sfiora la guancia, scostandomi dolcemente una ciocca.
"Non essere triste per me, Kevin" mi ammonite dolcemente, carezzando con le vostre dita sottili il mio volto, più morbide e lisce dello stesso raso della vostra veste da notte.
Le mie labbra si dischiudono come per dire qualcosa, ma trovano solo silenzio. Siete così bella e così forte, mia Signora...
Il sorriso che adesso affiora sul mio viso è sincero, quel velo di lacrime sul rosso sangue delle mie iridi peccatrici un ricordo sgradevole, quando osservo i vostri occhi ridere sfiorando con l'altra mano i petali tra i vostri capelli.
"Vuoi confidato un segreto?" chiedete, assumendo il vostro solito tono scherzoso. Annuisco e voi aggiungete: "Sono molto fortunata ad averti al mio fianco, sai, Kevin? Non riuscirei a farmi forza se non sapessi che tu veglierai per me la mia piccola Sharon... E il ricordo di... di noi."
Non smettete di giocare con i miei capelli, mentre pronunciate quelle parole, dandovi un tono di poca importanza.
Il mio cuore prende a battere furioso nel petto, tanto che mi sembra possa uscirne da un momento all'altro, e non sarebbe male, se così potessi morire con voi. Una sola lacrima cade dalle mie pupille sgranate, subito catturata dalle vostre dita esili e fredde.
"Io..." comincio a dire, ma le parole muoiono ancora sulle mie labbra. Mi faccio coraggio, prendendo la vostra mano nella mia, guantata, e avvicinandola alle mie labbra, per deporvi un leggero bacio illusorio. Non mi permetterei mai di avvicinare queste mie labbra così impure a voi, senza il vostro consenso.
"Mia signora, ho... Ho composto una canzone per voi" dico, infine, con decisione. E voi sorridete, prendendo colore per la prima volta dopo settimane. Il mio cuore ad un tratto è così caldo...
"Vorresti suonarla per me, mio Cavaliere?" dite, e annuisco con fermezza. Con un leggero inchino, prendo congedo per avvicinarmi al pianoforte.
                  Cominciano timide, poi si susseguono sempre più veloci, frenetiche, le note della melodia sprigionata da pressioni fugaci e decise su quello strumento, cariche di passione.
Le mie mani si muovono con la destrezza e la leggerezza dovute agli anni di esperienza. Non guardo lo spartito, non più. Il mio occhio ha tradito il mio cuore da tempo, ma non prima di aver permesso a queste dita di imparare a memoria l'esatto movimento da compiere, impresso a fuoco sulla mia anima. A distanza di anni, sento ancora vivo il calore di quel giorno, il profumo della menta e delle margherite di inizio giugno. Adesso non serve più che sorrida per voi, non è vero, mia Signora?
I tasti del pianoforte sono lisci e familiari, come la melodia così triste che stanno irradiando dentro questa stanza troppo grande.
Avrei voluto che la vostra camera rimanesse per sempre come l'avete lasciata, ma Lady Sheryl ha ritenuto più saggio portare lo strumento nel salone grande. Diceva che fosse ingiusto che un oggetto capace di portare tanta gioia restasse relegato a ricordi dolorosi.
Ojou-sama ha appreso qui i primi rudimenti di musica, quando era ancora così bambina da non poter abbracciare l'ampiezza dei tasti con le sue braccia troppo corte. Così la aiutavo io. Sedendo accanto alla mia piccola miss, ritrovavo la compagnia di questi bianchi denti, carezzandoli in vostra memoria, nel ricordo del colore delle vostre guance, quando suonavo per voi, quando suonavo con voi. Ojou-sama non sa nulla di tutto questo, ovviamente. Ricordo come già da bambina amasse esibire quel suo broncio altezzoso, nel notare con disappunto che padroneggiavo lo strumento meglio di lei, chiedendomi sospettosa da chi ne avessi appreso l'arte. E di come incrociasse le esili braccia al petto da ragazzina con disappunto, quando le rispondevo con una codarda alzata di spalle.
Sorrido al ricordo, carezzando le ultime, tenui note di questa triste melodia, facendole tremare di libertà in questo vasto, vuoto salone.
Quasi chiamata in causa da questi miei pensieri, poco dopo sento chiaramente i leggeri passi della mia ojou-sama farsi strada nella stanza, ora ripiombata nel silenzio.
"Non ti ho mai sentito suonare quella canzone, Xerxes-nii. È molto triste" dite, in soffio, a qualche passo di distanza da me.
Come la vostra voce in questo momento. Avete capito, non è vero? Mi state giudicando?
Sorrido, stringendomi nelle spalle. "È che questa è una delle poche che ricordo a memoria..." mi scuso, mettendo su un piccolo broncio. Che giullare scadente che sono diventato. Anche senza distinguere bene il vostro viso, che appare come una confusa macchia di colore a quest'occhio stanco, intuisco che le vostre iridi nocciola sono già velate di tristezza.
"Suonate voi qualcosa per me" dico d'impulso, senza sapere bene il motivo che mi spinge a fare quella richiesta.
Non appena vi sento avvicinarvi e prendere posto accanto a me, come un tempo, vengo preso da una inattesa malinconia. Oh, sì che so il motivo. Detesto le vostre lacrime. Come le mie.
Piansi quando morì Shelly-sama, piansi quando morirono i miei signori Sinclair. Piangevo spesso, in passato, eppure continuavo ciecamente a peccare, a sperare che per me ci fosse posto, in questo mondo. Ma alla fine dei conti, delle nostre lacrime, lei non se ne fa niente.
"Ricordi lo spartito di “Ah vous dirais-je maman”, Xerx-nii?"
Mi riscuoto da quei pensieri, focalizzando lo sguardo sull'ombra al mio fianco.
State forse sorridendo, Ojou-sama?
Non devo essere riuscito a dissimulare la mia sorpresa di fronte a quell'atto di maturità inaspettato, perché cominciate a ridere e la vostra risata cristallina riempie per un attimo il mio cuore stanco, facendomi sentire d'improvviso così vecchio...
Mi volto verso i bianchi tasti del pianoforte, sorridendo a mia volta. "Sì, dovrei ricordarla..."
Non posso fare a meno di sentirmi nudo di fronte al vostro sguardo. Avete guardato così bene dentro la mia anima senza che me ne rendessi conto, in tutto questo tempo. E trattengo il respiro, mentre i nostri polsi si muovono fluidi su quella superficie regolare, quasi sfiorandosi, di tanto in tanto, emulando le note di quella nenìa infantile che vostra madre era solita cantarvi quando un incubo turbava il vostro sonno di bambina.
Il suono di quella musica così leggera e semplice avvolge ogni altro, eppure nelle mie orecchie riecheggia ancora la vostra risata.
Quando, di preciso, siete stata voi a cominciare a prendervi cura di me, ojou-sama?
Ah ! Vous dirai-je Maman Ce qui cause mon tourment ? Papa veut que je raisonne Comme une grande personne Moi je dis que les bonbons Valent mieux que la raison.
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pandoraheartsfanfictions · 11 years ago
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Life, what is it but a Dream? [ITA]
Capitolo XIII
Arpeggiando
“Non sono un bambino, sai?”   Il tuo sguardo canzonatorio mi trafigge, e sento ogni muscolo irrigidirsi, le mani ancora a mezz’aria, congelate nell’atto di posare la mia giacca sul tuo corpo ancora debole. Non volevo che prendessi freddo. Non volevo che ti ammalassi. Hai ancora la febbre e non—Oh, accidenti alle mie premure! Ti meriteresti uno stivale in piena faccia, altro che attenzioni.   “Sto bene. Tu, piuttosto, hai una pessima cera…”   Oh, certo. Come se potessi vedermi. Non mi prendo nemmeno la briga di risponderti: mi limito a tornare al mio posto, sedendomi di fronte a te. Questi cuscini scarlatti sono così comodi, così morbidi, che mi sfugge un lieve sorriso. D’un tratto capisco perché non perdi occasione di infilarti in una di queste carrozze. Quest’attutito, pigro dondolio è piacevole. Lascio che il mio sguardo, di minuto in minuto sempre più letargico, vaghi e si soffermi brevemente sui dettagli della campagna che stiamo attraversando, immortalata in effimeri, fuggevoli quadri dalla grande cornice del vetro leggero dei finestrini. Un campo. Un casolare. Un mulino. Due cani che corrono allegramente e abbaiano. Per fortuna il tempo sembra essere promettente. Sarebbe stato fastidioso viaggiare con la pioggia. L’aria è già abbastanza fredda senza ulteriore umidità. Un brivido improvviso mi percorre nel momento in cui la mia attenzione si sofferma concretamente su quel pensiero, e per un attimo guardo con infinito rimpianto la giacca che ho ceduto a te.   A te che non la stai neanche apprezzando. Non hai nemmeno fatto lo sforzo di tirartela addosso. Sospiro. Non sarai un bambino, Xerx, ma per trattare con te c’è bisogno della stessa pazienza che serve con i ragazzini, credimi. Allontano gli occhiali dal viso, cercando velocemente il mio fazzoletto nella tasca dei pantaloni, e mentre le dita puliscono le lenti con movimenti che non ho ormai più bisogno di seguire con lo sguardo, lascio che i miei occhi siano per te. Solo per te –mi ritrovo a pensare - e scaccio quel sussurro inappropriato dalla mente. Sono in questa carrozza per vegliare su di te, non per…   Sobbalzo all’improvviso. Le ruote a sinistra della carrozza devono aver incontrato un sasso sul sentiero. Dubito che l’impatto sia stato così violento come la mia reazione – d’altra parte, tu non ti sei nemmeno svegliato – e mi ritrovo ad arrossire. Mi vergogno. Trasalire in quel modo… Perché mi sono sentito… Colto in flagrante...? Distolgo velocemente lo sguardo, ma so che non può durare. Lo sento.   E infatti, eccomi di nuovo qui, con gli occhi prima sulle tue labbra, poi su quelle tue clavicole così indecentemente scoperte. Hai rifiutato tassativamente il cache-col, e non ho avuto cuore di importelo. Così come non ho potuto vietarti di sbottonare almeno il colletto della camicia. Sospiro ancora. Credo di invidiarti. Farei volentieri a meno delle costrizioni anche io. Tuttavia… In fondo siamo soli, in questa carrozza. Credo che potrei…   Sbottono i guanti sul polso e li sfilo lentamente. Le mie dita sono finalmente libere. Sorrido, le porto di fronte a me, premo l’aria secondo i tasti leggeri, lisci, lascivi del pianoforte della mia mente. E’ questa la libertà, non è vero? Ti guardo, Xerx, e ti sorrido. Ti prenderesti gioco di me se mi vedessi suonare la mia anima. Eppure… A me basta questo, per sentirmi vivo. Lego l’aria fresca intorno alle mie dita, finché il filo rosso della mia immaginazione non appare, collegandomi a te. Guardo la mia mano sollevata fingere di percorrere piano il tuo viso, indugiare sulle tue labbra, scendere sul tuo petto. Lì, premerei il mio palmo contro il tuo cuore. Mi domando che sensazione dia toccare la tua pelle senza che la stoffa dei guanti mi tenga separato da te, preservando la mia individualità. Che sapore avrebbe il tuo corpo sotto le mie dita? Sentirei le tue vene pulsare sotto i miei polpastrelli, emozionandosi? Mi basterebbe un contatto. Un solo, lieve, fugace contatto.       “Ehi, Reim-kun?”. Hai un sorriso strano, stanotte, Xerx. Guardi fuori dalla finestra della mia stanza senza riuscire davvero a contemplare le stelle. Poso la penna sulla carta intestata dei documenti di approvazione delle nuove candidature per la Sezione Scientifica. Qualcosa nel tuo tono ha attirato la mia attenzione. Una nota, forse, di…   “Ehi, Reim-kun. Com’è stato, morire?”   …profondo dolore…       Sbatto le palpebre, ritraggo le dita, e torno con la mente al presente, a quel lungo viaggio in carrozza che ci condurrà di nuovo a villa Rainsworth. Ti guardo, fulminato da quel ricordo improvviso, e sento il mio cuore agitarsi nel petto.   Terrore.   Ogni fibra del mio corpo mi spinge a sollevarmi, a raggiungerti, a toccare la tua pelle con la punta delle dita almeno una volta, prima che sia troppo tardi. Ma non mi muovo, gli occhi spalancati, sovrastato da un’angoscia troppo più grande di me. Ti guardo mentre finalmente ti decidi a coprirti con la mia giacca, ancora profondamente addormentato, profondamente stanco, e noto le tue dita stringere la stoffa come se si stessero aggrappando ad essa.   Che anche tu abbia paura, amico mio?   I miei occhi si soffermano sui lividi sul tuo volto, e sulla tua mano. Senza che riesca a evitarlo, la mia mente corre di nuovo a quegli istanti di infinito, straziante dolore, durante i quali ho pensato di averti perso per sempre. Nascondo la bocca con la mano, impedendomi di parlare, impedendomi di sentirmi male. Che cosa avrei fatto, se tu fossi morto, Xerx?   Chiudo gli occhi, trattenendo le mie lacrime, senza riuscire tuttavia a soffocare il mio senso di colpa. Non posso fare a meno di pensare che forse… Se allora avessi prestato più attenzione… Avrei potuto evitare tutto questo…       Giuro sul mio onore che la prossima volta presenterò un reclamo ufficiale a Oscar-sama. Non mi importa che Kyle sia “un amico di famiglia” o “un bravo scribacchino”. Rovesciare un’intera boccetta d’inchiostro è imperdonabile. Ha vanificato il lavoro di giorni—che dico?! Di settimane! Tre interi fogli—Ah, per non parlare poi della carta! Non ha idea di quanto abbia pagato quella carta, e di tasca mia! Ah, ma il ragazzo non ha ancora uno stipendio, nossignore. E non può –ovviamente!- ripagarla! Oh, certo. E intanto sarò io  a dover fare gli straordinari, e cercare di ricordare tutti i dati del rapporto Clarger.   Sospiro, e cerco di allentare la tensione delle labbra. Sto stringendo i denti troppo forte. Se non mi calmo mi verrà un mal di testa, giusto per concludere in bellezza questa serata. Fisso la moquet del corridoio e accelero il passo, bramando ardentemente la mia camera, il mio letto, e il silenzio. Ma quando, finalmente, raggiungo la mia porta, uno scintillio dorato attira la mia attenzione. Sollevo lo sguardo, e incontro il sorriso di Vincent-sama.   “Buonasera, Lunettes-san…”   I suoi occhi…  I suoi occhi mi fissano… Qualcosa… Mi mette a disagio…   “Ti è piaciuta la biblioteca dei Gyre?”
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pandoraheartsfanfictions · 11 years ago
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Limitless [ENG + ITA]
[ITA: X]
Limitless
“She should have died hereafter; There would have been a time for such a word- Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow…” (Macbeth, Act 5, Scene 5)
***
The pendulum clock rings. It’s three in the morning. I can’t help smiling, my eyes still closed. I have never understood your weird passion for this moment of the night. It was at three in the morning that you used to sneak off in my room. You would sit on my bed, waking me up with that silly voice of yours, a tiny, pleasant whisper in my ear.
“You will have time to sleep when I’m not around anymore. Wake up…”
And then you would have kissed me, without waiting for me to be properly awake –eagerly, fiercely, desperately. 
I remember the scent of cinnamon of your shirt. It was a smell which suited you, and which used to come to my sleeping senses as the perfume of a fresh, carefree breakfast in bed. Oh, how I wish our hearts could have truly been light. They were not, but we both put on our farce, hiding our grief, our awareness of your minutes so cruelly destined to flow too quickly, behind our urgent touching of hands, of chests, of souls. You had mine, and I didn’t care about yours being taken. I loved you for what you could give me, and you loved me for the same reason. This was the agreement: no promises, no “forever”, no tears.
It would be delightful to tell you that I fulfilled those terms. Unfortunately, I’m afraid I’m not as strong as you were. I knew you weren’t meant to last, and still your gentle fingers on my nose, on that mark caused by my spectacles which you loved so much to touch lightly, were such a fragile, delicate pleasure, that I would willingly deceive myself. You would have died, I knew it. But it would have happened tomorrow, and tomorrow, and tomorrow.
Sometimes I pretend that you’re still here. I pretend that the cold air on my face is your soft kiss on my eyelids, on my forehead, on my pierced earlobes. I remember your idle attempts to make them heal with the slow, satiny caresses of your tongue. And our fingers would intertwine, so that our palms could whisper the most secret part of our being human the one to the other.
I am such a failure. I do not have tears to shed anymore, but I still feel them running down my cheeks. They have done so almost every night since two months ago. Since the day we lost you forever. I press my lips gently on her forehead, and I hold her tight in my arms. She is such a dainty, fragile moonlight ray on my life. I brush softly her hair with my fingers, and I know that her soul will never be mine. After all, yours was hers. I can’t help kissing her lips while she is sleeping so sweetly, protected by these not-so-strong arms of mine. I love her, somehow. And she loves me, somehow. We love the memories which keep our hearts so bound together. We love each other for the perfume of cinnamon which still lingers on her lips, and on my skin.
Her thin fingers reach out for my face, touching softly the light mark on my nose.
I smile.
We love each other because you live in us.
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pandoraheartsfanfictions · 11 years ago
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His last words [ENG + ITA]
[ITA: X]
His last words
The blade had stabbed his lung. He panted, in a desperate attempt to hang on to that feeble connection with his life. A life which he had no hope to keep on feeling in the form of warm rays of sunlight on his bare skin, of fragrant fresh-baked bread on his lips, of cool, clear drops of rain upon his closed eyes, of a smile so tender to make his heart giddy.
There he was going to die.
He raised his right hand, his trembling fingers reaching out for the white, soft cheek of Sharon. She understood his intention, and enclosed his cold hand within hers, leading it gently to her lips.
“Do not… Leave me… I pray you… Do not…”
She closed her eyes and pressed his fingertips on her own lids in despair.
“I am—afraid…”
I am afraid that today is the day when the world stop turning on for me, and the sky loses its lights. The wind itself will stop blowing, and no delight will be taken in listening to your tuneful, beloved voice. These were the words he would have spoken, but a cruel coughing imposed him silence: a baleful presage of death.
“I… Don’t want to lose you…”
Sharon pressed her wet lips on his knuckles gently, and her big eyes, wide open, stared at her valiant, precious, silly Xerx-nii. She could tell by his weak look that he had just a few drops of energy left in his body. And he used them to mutter his last words to her.
“There… Is something… I have longed… To let you know…”
“Please! Please, do not speak… S-save your energy…”
“I cannot, my fair lady. You… Must know that… I’ve always lov—“
He coughed, closing his eyes and grabbing her silk sleeve with his fingers. Sharon pressed her forehead against his, hushing him softly, denying his forthcoming death.
“I’ve always loved… those chocolate cookies that we ate at breakfast. Aren’t they delicious?”
“STOP!”.
Miss Sharon shoved the young man before her, a grumpy and pouring expression on her pretty little face.
“You’re not funny at all! You were not supposed to die like that! Actually, no knight dies talking about cookies!”
“Is it so? Oh… And I’ve deemed myself a knight till this very moment! How naïve, how base of me!”
“Stop it, Xerx-nii! Reim-kun, tell him! Sir Flamer do not dies like that in the novel!”
A little boy, hidden under a old, wooden table – a true heirloom of the Rainsworth household which he used as his prompt corner, blushed and touched his spectacles in an anxious, impulsive gesture.
“A-actually… Xerxes-san… You… You should have… Died… More… Well… Ahem… More… knightly… I-I mean… You--- You didn’t have those lines… In your… Script…”
Break laughed, shrugging his shoulders, and quickly got up, offering his hand to Sharon so that the child could take it to stand up. And so she did, but she still sulked.
“I thought princesses were not allowed to make such grimaces, ojou-sama…”
“You don’t know anything about princesses. You don’t know anything at all! I hate you!”
He smiled, and patted her soft hair gently.
“Does that mean that you are not interested in my solemn oath?”
The little girl looked at him, puzzled and curious.
“What oath?”
Suddenly, Break kneeled down, slow and graceful in his movements thanks to those habits of chivalry he would not have ever forgotten. He took the right hand of his little lady, and kissed its back lightly.
“I solemnly swear that my last words will be for you”.
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