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Tutte le lettere che ti ho scritto porterebbero il tuo nome, se potessero averne uno. Le stanze buie dei miei pochi pianti, avrebbero la tua luce, e non avrei bisogno di ricordare dov'è una porta, dove una finestra, un gradino. Città, alfieri, pagine, la storia del mondo sarebbe soltanto un margine, un fondale per viverci insieme e allora avrebbe persino un senso tenere aggregati questa manciata di atomi a fare un corpo, capelli, dita, piedi, buffi nei. Le stringhe dell'universo ripeterebbero inesauste un solo episodio, variante dopo variante, uno per ogni prima volta che ti ho vista. È così che mi manchi.
Cardiopoetica
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Così mi ruoto e salto,io nel tuo cuore
Acrobata (s. m.) è chi cammina tutto in punta (di piedi): (tale, almeno, è per l’etimo): poi procede, però, naturalmente, tutto in punta di dita, anche, di mani (e in punta di forchetta): e sopra la sua testa: (e sopra i chiodi, fachireggiando e funamboleggiando): (e sopra i fili tesi tra due case, per le strade e le piazze: dentro un trapezio, in un circo, in un cerchio, sopra un cielo): volteggia su due canne, flessibilmente, infilzate in due bicchieri, in due scarpe, in due guanti: (dentro il fumo, nell’aria): pneumatico e somatico, dentro il vuoto pneumatico: (dentro pneumatici plastici, dentro botti e bottiglie): e salta mortalmente: e mortalmente (e moralmente) ruota: (così mi ruoto e salto, io nel tuo cuore). - Edoardo Sanguineti
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Ci hanno provato in molti a non passare. Persone, anni, talvolta giorni. Di quelli rimandati indietro come nastri consumati nello stesso punto, che a furia di ricordare e rivivere abbiamo travisato, e poi anche dimenticato.
Ma esistono linee che non hanno nulla a che vedere con soglie convenzionali, con i simboli abusati del cambiamento. Esistono tragitti chiari e netti, i quali portano ad un cammino deciso, mai stanco, consolatorio.
Ed è così che ci imbattiamo in questo nuovo anno, con la fede dei passi e delle condivisioni.
Le novità saranno tante, dal nuovo libro in uscita a febbraio, al nuovo tour in giro per l'Italia.
Sarà un modo come un altro per dirci di tutto questo nostro vivere.
Cardiopoetica
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Quando cresco (ho solo cinquant’anni)
voglio essere montagnosa e saggia
come Marguerite Yourcenar.
Una grande sfinge di pietra
silente come un’ombra.
La bilancia perfetta
tra grazia e potenza.
Voglio essere forte abbastanza da vivere
su un’isola al largo della costa del Maine,
far inselvatichire il bel giardino,
ricevere un intervistatore
da un prestigioso programma d’arte TV
ogni vent’anni, scendere
per leggere a voce alta con altero distacco
passaggi profetici dal lavoro passato,
rifiutare le investiture d’accademia.
Non mi mancherà la mia terra natale.
Saprò chi sono.
La mia voce sarà bassa, salda,
senza enfasi, purificata dai bisogni.
Non m’importerà se ho ossa grandi,
pesante, non baderò
se i miei capelli sono fini,
se i miei occhi sono giunti a un punto morto,
se i problemi più veri restano senza risposta.
La perdita di amanti, la defezione dei figli
mi lascerà fredda.
Diventerò l’assoluto
che mi ci è voluto una vita annichilire.
Fay Zwicky, Crescere
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Ti prometto l'insonnia e una distesa d'erba infuocata. Ti prometto un giaciglio di carne da abbracciare alla vista dei tetti raggelati, da scacciare quando il morso sarà netto sul raffermo. Ti prometto navi a picco e intemperie poco utili. Ti prometto il formicolio del presente, incerto per sua natura, come ti aggrada. Ti prometto le tredici e ventidue di domenica e quei sessanta secondi che portano un altro armistizio. Ti prometto una malattia rara e incurabile per non dartene peso. Ti prometto amici mai veduti, più che altro fantasmi e lunghe passeggiate nei cimiteri. Una certa staffetta di malinconia, che non conviene persistere con la felicità. Ti prometto un Mediterraneo, dissimile, con uomini mare. Ti prometto la lotta, solitaria, e due vittorie sul finale, entrambe tue. Ti prometto un compleanno bisestile, l'abbacinante rozzezza dell'infatuamento. Cose nuove, inscrutabili; pretesti per altri dialoghi con altri giacigli di carne. Ti prometto un numero civico a tua scelta, poche pale d'altare, una cassetta delle lettere trabondante. Un sicario infallibile e un solco su misura, perché ti prometto già delle direzioni e della polvere da sparo e del sale. Ti prometto il mito, una sonata a Kreutzer, noccioli di pesca art déco, tutto questo superfluo, l'illusione della concordanza, la giustificazione della fine, i malgrado, i tentativi, il categorico, le cartilagini che ti permettono il primo movimento dal mio fianco, la Legione straniera utile dopo il disastro. Ti prometto Octavio Paz e tutta l'anarchia del Messico e quel mondo ancora da fare che noi stiamo mutando.
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La luce irrompe nel buio interstellare della mia testa. Ho la testa piena di stelle cadute; la loro, di luce, non serve più, non brilla, non scalda, è fredda e i marinai di tanto in tanto la usano per capire il corso delle parole, per dividere le acque del passato da quelle del futuro. Ma questa luce è differente, non è quella di una stella qualsiasi: è più forte, è l'uscio di un altro universo, non una semplice stella. "È pronto a cena", una voce sussurra da un altro pianeta. Guardo orizzonti, solletico stringhe. Sono ovunque, ho un figlio, sono orfano, ho conquistato la Gallia ancora e ancora, ho crocifisso Cristo, ho passeggiato con Pilato sulle rive di Canaan. La luce divide in due questo istante: un sì, un no. È tutta qui la mia vita.
cardiopoetica
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Riessere giovani una notte di mezzo inverno... per cinque minuti, un minuto... Il tempo di prendere a braccetto il vento e arrampicarsi fino a una cara finestra... E qui baciare pioggia e labbra insieme, confondere un perdifiato con un batticuore, esalare le sillabe d’un nome breve entro un odore di gelsomino... Per cinque minuti, un minuto...
Gesualdo Bufalino, da Bluff di parole
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Sembra un vano delirio questo credere alle cose.
A. Gatto
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La prima volta che muoio, voglio morire sul serio. Non come certi tipi: scendo a comprare le sigarette, porto il cane a pisciare, ti manderò una cartolina. La prima volta che muoio, vedrai, non mi troverai sui manifesti funebri, né fiori, né opere da gran poeta, me ne starò su una panchina, senza motivo, senza attendere autobus illibati e arancio, senza mendicare nulla, nessun minuto o istante, o rimpianto, checché ne dicano certi saggi che non si muore senza. La prima volta che muoio, voglio dare una festa, di quelle mai viste, invitare chi non ho mai invitato, disturbarti come fa una cometa in un cielo d'estate, come quelle cose che non c'entrano niente, ricordarsi della spesa subito dopo un orgasmo, inchiodare baci sulle colonne delle cattedrali, rispondere a tono a prelati astrali, dire loro che siamo oltre l'apocalisse, testamento nuovissimo, danzare con diecimila cristi e crederti un angelo, così priva dei vestiti nella sera, vederti venire fuori da te, il dettaglio fuori posto nello specchio dei tuoi ricordi. La prima volta che muoio, voglio abbaiare nella tomba, megalomania, grattacielo di morti viventi, rincontrare tutti -come sta Signor Lincoln?- offrire da bere per l'eternità, convincere dio ad affittare un monolocale in California, vista mare, che tanto non mi serve più andarci con te e ridere dei segreti di chi è già stato, e vedere Giuda tirare un calcio di rigore e sbagliarlo, e dirgli "dai, riprovaci, andrà meglio." La prima volta che muoio, vorrei dirti addio sul serio, non come il fiume che promette di scorrere e poi, e sì che son tutti bravi qui, e brava anche tu, non credere. La prima volta che muoio, voglio vivere come voglio io, senza bisogno più di mentire, su tutte quelle cose, cambiare una gomma, l'olio, riconoscere un vino, saper scegliere il posto giusto, fare a meno dell'infinito dei verbi, coniugarti al presente e perderti, per un altro giro, per un altro me.
cardiopoetica
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Se un giorno tornerò alla vita, la mia casa non avrà chiavi, sempre aperta, come il mare, il sole, l’aria.
Che entrino la notte e il giorno, la pioggia azzurra, la sera, il pane rosso dell’aurora, la luna: mia dolce amante.
Che l’amicizia non trattenga il passo sulla soglia, né le rondini in volo, né l’amore le labbra.
Nessuno.
La mia casa, il mio cuore, mai chiusi. Che passino gli uccelli, gli amici, l’amore e l’aria."
Marcos Ana
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In un campo io sono l'assenza di campo. Questo è sempre opportuno. Dovunque sono io sono ciò che manca.
Quando cammino divido l'aria e sempre l'aria si fa avanti per riempire gli spazi che il mio corpo occupava.
Tutti abbiamo delle ragioni per muoverci io mi muovo per tenere assieme le cose. (Mark Strand)
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(via https://www.youtube.com/watch?v=H5yQkVJ2-g4)
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Da qui si doveva cominciare: il cielo. Finestra senza davanzale, telaio, vetri. Un’apertura e nulla più, ma spalancata.
Non devo attendere una notte serena, né alzare la testa, per osservare il cielo.
L’ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre. Il cielo mi avvolge ermeticamente e mi solleva dal basso.
Perfino le montagne più alte non sono più vicine al cielo delle valli più profonde.
In nessun luogo ce n’è più che in un altro.
La nuvola è schiacciata dal cielo inesorabilmente come la tomba. La talpa è al settimo cielo come il gufo che scuote le ali. La cosa che cade in un abisso cade da cielo a cielo.
Friabili, fluenti, rocciosi, infuocati e aerei, distese di cielo, briciole di cielo, folate e cumuli di cielo. Il cielo è onnipresente perfino nel buio sotto la pelle.
Mangio cielo, evacuo cielo.
Sono una trappola in trappola, un abitante abitato, un abbraccio abbracciato, una domanda in risposta a una domanda.
La divisione in cielo e terra non è il modo appropriato di pensare a questa totalità.
Permette solo di sopravvivere a un indirizzo più esatto, più facile da trovare, se dovessero cercarmi.
Miei segni particolari: incanto e disperazione.
Wisława Szymborska
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Ti meriti un amore che ti spazzi via le bugie che ti porti il sogno, il caffè e la poesia.
-Frida Kahlo-
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Se per amare intendi voler prendere da questo doppio contatto la spuma che vi galleggia sopra senza smuovere la feccia che può esservi al fondo, unirsi con un insieme di tenerezza e di piacere, essere incantati di vedersi e lasciarsi senza disperazione [...] poter vivere l’uno senza l’altra, poiché si vive ben privi di tutto quello che si desidera, orfani di tutto quello che si è amato, vedovi di tutto quello che si sogna, eppure provare a questi incontri degli smarrimenti che fanno sorridere come per uno strano solletico, sentire infine che questo è venuto perché doveva venire e che passerà perché tutto passa, giurandosi anticipatamente di non accusare né l’altro né se stesso, e, in mezzo a questa gioia, vivere come al solito, solo un po’ meglio, con una poltrona di più per appoggiare il nostro cuore i giorni di stanchezza, senza che per questo si sia molto più divertiti di alzarsi tutte le mattine;
sì.
Gustave Flaubert, Lettere d’amore a Louise Colet
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http://sweetapolita.com/2011/04/chocolate-espresso-bundt-cake-with-dark-chocolate-cinnamon-glaze/
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Ai lati del tuo viso c’è una luce e una consolazione che esce dagli specchi tu, mia cagionevole isola, abitata da frutta e uccelli ti faccio un cielo rosa come un cotone e nel pallore ti narro un amore gonfio e spiaccicato.
Greta Rosso
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