Don't wanna be here? Send us removal request.
Text
Anniversari di radici (18 maggio 2021)
Battiato è morto. Viva Battiato. Disimparare la sua musica è stato arduo. Me lo sono imposto qualche anno fa per ragioni personalissime. Non ci sono mai riuscita. Ho anzi scoperto che Battiato stava riemergendo nei testi e nelle sonorità dei miei nuovi guru musicali, più giovani e comunque a lui legatissimi. Grazie a Battiato ho scoperto Parco Lambro 1976, il fascino irresistibile di Milano, la vita incredibile di Giuni Russo, il pellegrinaggio a Milo ai piedi dell’Etna, la piazza centrale di Ascoli Piceno, Anthony and the Johnson, Giusto Pio e Juri Camisasca, la psichedelia moderna, Guccini, le curve del Verghereto tra Marche e Umbria, il significato di un piano che inclina verso di noi.
youtube
A un concerto stupendo al Teatro del Verme, quando mi sembrava di essere a fianco a lui tanto l’acustica era cristallina e serena l’atmosfera, a un certo punto ha tolto le mani dalla tastiera del pianoforte, si è voltato verso il pubblico per prendere fiato e con la sua solita ironia ha detto qualcosa come: “ (…) ora invece suonerò una canzone che raramente faccio ai concerti, ma che vi devo dire, ci sono ancora quei quattro sciroccati che la apprezzano”. Io ero una di quei quattro. Stage Door. Mi sembrò di ascoltarlo cantare per me, nel tinello di casa mia. Sempre grata del suo passaggio.
0 notes
Text
26 luglio 2020.
dondolo, ode agli amici mentre il tempo ci cresce
quanta libertà nelle associazioni di pensieri. quanta libertà nelle persone che ci piacciono, solo a star con loro e sorridere in silenzio. quanta libertà nel sentirsi al sicuro, nel non domandarsi se stai dicendo la cosa giusta. che bello avere gli amici che ho, nel dedicare energie di anni per riavere i gesti di cuore e le sintonie che hai solo intravisto. quanta libertà nel ballare quando ti va e nello stare sul dondolo per dondolarsi.
1 note
·
View note
Text
2 maggio 2020
Ieri era una giornata da insalata di riso e oggi ho vissuto nella mia casa al mare. La seconda era ovviamente immaginata, ma mi è piaciuto rincorrere per ore quel barlume di azzurro e di freschezza che me l’ha portata alla mente. E’ stato godere del riflesso di un mare che non c’è al di là del balcone. Aiutata dal prosecco e dal ciarlare di alberi e umani al di là della finestra, ho sospinto la chimera andando a fare la spesa per prendere due sciocchezze; come quando si va al supermarket sotto il residence perché manca il tonno per i tramezzini delle cinque. In fondo ho sempre voluto una casa al mare e l’estate è da anni per me ripercorrere quel sogno. Sogno tramandatomi da mia mamma, del resto. La mia famiglia infatti si è divertita a farmi crescere con i racconti di qualche estate dei primi anni Ottanta tutti riuniti ed accampati in un casolare che dava sulla spiaggia, una sorta di cascina di mare. Solo che io ho avuto la fortuna di starci giusto due settimane dopo la mia nascita e quello che ricordo arriva dalle sparute foto e delle planimetrie che mio nonno ancora traccia allungando le braccia nell’aria quando passiamo di fronte alle palazzine azzurrine che hanno costruito al posto della mitica casa. E’ come avere una nostalgia di famiglia, che ognuno di noi interpreta a suo modo. A me ha dato l’energia di imprimere nella mente ogni istante in cui ho avuto un letto con vista mare. Poche volte invero. A Vieste con gli amici dei mei quando avevo nove anni; nei weekend in Liguria ospite di Cate e dei Berlanda o la scorsa estate tra i limoni di Ravello con Andre. E’ stato forse per via di quella vacanza in Campania che il mare è entrato a pieno titolo nella nostra coppia, come non fossero bastati i pomeriggi in scooter a Senigallia. Andre, un mese fa, mentre ristrutturava i pensieri in vista di un paese rallentato, d’un tratto mi ha chiesto: “E se quest’estate ci prendessimo una casa al mare?”. Non son sicura di voler abbandonare il sogno, mi son detta. Così intanto, mi porto avanti.
0 notes
Text
La festa del ritorno
Mi immagino tutti riuniti in una grande sala da ballo. La balera di Porta Venezia sarebbe un luogo perfetto. Con le gambe snelle sui tacchi e i cappottini leggeri che avevamo lasciati appesi con il languore della primavera. Sarebbe tutta una giravolta, una polka in cui ad ogni occhiata prenderemmo le mani di un conoscente ritrovato, con inchini per iniziare il ballo di racconti, cuciti sui sorrisi ilari dei nostri interlocutori. Non avremmo neanche il tempo di pensare a quante definizioni di noi avremmo dato in un’ora, scoprendoci più poliedrici di quanto ci immaginavamo seduti davanti ai nostri computer a veder scorrere i giorni o a dimenticarci del calendario. La musica ci sembrerà una compagna inaspettata, perché la trepidazione che sale nel veder le gambe muoversi insieme si dimentica presto. Eppure quel colpo d’occhio al soffitto, sopra le chiome o verso il pavimento illuminato di viola e punteggiato di ginocchia, offre ogni volta una intramontabile energia. E nella sala da ballo circolerà di nuovo l’aura di cui si ammantano i corpi ballando. Ci sarà la tranquillità del tempo libero, dove si gode senza chiedere troppo in cambio. Ci stupiremmo delle lampadine che alla balera non si spengono mai. Ci accorgeremmo che si possono appoggiare i gomiti alla ringhiera liberty del secondo piano e chiacchierare senza tempo come su una terrazza in un anticipo d’estate.
Foto da Zero.eu che racconta cos’è la balera di Porta Venezia per i milanesi. Qui: https://zero.eu/en/luoghi/3754-sala-venezia,milano/
0 notes
Text
youtube
Dreaming of your terrace Caterina, you know, and the warm light of Giulia's house. All the spots I remind I can stay safe, as laying in my porch in Ann Arbor. Do not care having a place of your own if you are able (or lucky) to find a confy place everywhere. One of your cherished friend is still there, close or far away.
0 notes
Text
I put my vans on and all is okay. It is very unusual for me laying on the armchair in the living room of this Ann Arbor mansion and only listening to my feelings. People around me move silently and I can choose what I can do, without any restrain. I have all time I want. It seems a soap ball, Fabri told me yesterday and he was right as usual. I am in another continent and it is so amazing. Early in the morning I was chatting with Andrea and then mom and then Cate. And now, after only few hours, it seems another world. I keep with me all the warm feelings they send me: they are so close to my soul. Or maybe I am very near them, without any sovrastructures. This cosmic balance won't last so much, I already know. But it is still amazing and I want remind me all this writing it down. I will put my vans on and Balthazar's Fever on my headphones and all will be okay. Keep going on.
0 notes
Text
Antidoti alla lontananza
Qui Mr. Andrea Montesi non era troppo certo di essere nuovamente al mare, in una giornata di sole chiaro, con la sottoscritta in carne ed ossa. Comprensibile il suo scetticismo: lui era incantevole come sempre e a fianco aveva un orsetto estasiato che stava insolitamente facendo foto di sua sponte.
Poi si è convinto del vero.
0 notes
Text
Ho aperto la porta del bar pensando che non ho mai preso un treno prestissimo così sveglia e così contenta. Ho scelto ‘Le Foto Non Me Le Fai Mai’, mi sono accesa una sigaretta ed ho ascoltato i minuti gonfiarsi in una bolla di sapone: gli avevo rubato un pezzetto di cuore ed ero addirittura uscita con gli occhiali. In automatico li ho spostati in testa, ho respirato il conforto dei contorni sfocati. Cercando la carrozza pensavo di averli persi, senza rendermi conto di averli di nuovo davanti agli occhi. Le sorprese non finiscono, quando c’è lui. E cantavo ad alta voce, mentre ero in fila per salire. E’ stato allora che ho capito, nel lampo di spazio tra la valigia davanti e i piedi miei. Con la lentezza del mio sentire finalmente era arrivata: “Non lasciare che le preoccupazioni di domani rubino gioia all’oggi".
0 notes
Text
Lei va ma non sa dove va, come dice Ari
Mars (amici da una vita, grazie Tom) Martini (il mio battesimo milanese) Marta Sun (sorella di Ely Sunvip) Martimix (lettura scenica di Fra Nalli) Marti (concesso solo ed esclusivamente a Fabri) Martissima (un sempreverde) Marsolina (special guest per quella coccona di Claudia) (…) La toponomastica felice della mia identità è in continuo aggiornamento.
0 notes
Text
Non è un giorno come un altro
Vorrei andare a dormire e provare a risvegliarmi. Ci sono ondate che vanno e vengono, proprio come l’acqua sulla spiaggia, proprio come quelle mattine in cui il sole sorge piano e tu sei lì ad aspettarlo con un carico di sonno mai considerato nello zainetto da clubbing. E’ una sensazione bella quella: quando il tempo non esiste e le ore scorrono senza che tu te ne accorga. Perché sei dentro al momento, a contatto con la sabbia. Il mondo si è già fermato davanti a te e tu ti lasci cullare senza pensare. Le energie non le devi contare, perché non ci sono discorsi da seguire. La musica ha fatto il suo gioco e può continuare a fluire cambiando di tono. Sei solo più fortunato che ad esser sul tuo balcone affacciato sul palazzo dirimpetto. Sono felice sì, perché le emozioni tornano a galla, perché ho mille occasioni per imparare mediate dai fili dell’affetto e delle relazioni, in continuo divenire, quotidianamente rimesse in discussione. Credo che conoscere qualcuno da vicino sia un enorme detonatore. E penso alle persone con cui sono più me stessa e a quelle che invece non hanno capito nulla di me. A cui mando segnali morse, sempre più labili e indistinti. Penso a chi ho appena incontrato, con cui ho apparecchiato una tavola senza mangiare, con chi ho bevuto, a cui ho gettato un amo. A chi mi è compagno per strada e a chi è al mio fianco, con un sorriso ad aspettarmi. E poi ti capita che un nuovo viso compaia dal nulla. Non l’ho ancora conosciuto perché fra qualche ora avrà un giorno. Ma mi sembra che sia fatto apposta per questa stupefacente vita.
0 notes
Text
Tema delle elementari
Lei non esce mai senza sigarette. Sono l'ultima cosa a cui pensa prima di varcare la soglia e se non le trova impazzisce. Eppure ne fuma una appena. Inspira profondamente, con le guance che diventano concave e la bocca che si fa piccolissima. Sembra ci metta tutto il suo ardore e poi lascia perdere, torna alla sua attitudine disincantata. È la mia amica mutevole. Sa arrabbiarsi, infastidirsi, ridere, ironizzare e godere. Quando è stanca la sua pelle è tesa e si immobilizza senza espressione. Ma a tratti sfodera battute raffinate che risvegliano al clangore di una scatola di spilli rovesciata. Ha la verve della comicità, anche se non ce la vedrei su di un palco. Lei è laterale, felpata, elegante. E’ come un sommesso guerriero in bilico tra le sue radici: la romanità gradassa da una parte e l'eloquio colto di Bergamo alta dall'altra. Ma non si pensi che le origini siano motore del tutto. La sua personalità cammina su forze autonome, affinate con la tenacia di uno scalatore che fatica ad ogni appoggio ma avvista la sua cima per agguantarla. E’ una spadaccina di se stessa, che va incontro alle sfide in punta di piedi senza schivarle. Non conta che sia camminare sulle mani o imparare la quarta lingua a trent’anni: lei non lo dirà mai ma ha preso posizione.
0 notes
Text
Neve
Per essere la hall di un albergo da sogno aveva un tocco dimesso, quasi casalingo. La signora dietro il bancone della reception aveva un ciuffo che le cadeva sugli occhi senza che lei ci facesse caso, con gesti accoglienti tra le mani. Le pareti erano rivestite di legno chiaro. Luce fioca tra di noi, che con movimenti regolari sfumavamo l’imbarazzo. Il silenzio nell’ascensore e le occhiate trafugate allo specchio non avrebbero mai potuto introdurre meglio lo spettacolo al di là della porta: una finestra spalancata sulle montagne azzurre in una stanza irregolare, un quadrato sbilenco che traspirava energia. Il copione avrebbe voluto che mi fossi gettata sul letto bianco ed alto, ad aspettarlo mentre si toglieva la giacca. Invece sono rimasta davanti ai vetri socchiusi, in piedi, per un quarto d’ora d’infinito. Mi ero quasi dimenticata di lui, che perciò ha messo il suo braccio sopra la mia spalla, appoggiandosi lievemente. Ricordo perfettamente quel contatto dei fianchi, sotto gli strati di maglioni, perché da lì in avanti ho cominciato a vivere. Ci siamo baciati e compenetrati con un’empatia che non c’era altrove e in nessun altro momento tra noi. Me ne sono stupita e divertita. Lui ha preso la mia testa fra le mani e mi ha detto con gli occhi sgranati: “Grazie per tutto l’amore che mi hai dato”. Non c’entrava niente l’amore, era un puro delirio estatico sotto al cielo di neve. Ma ho accolto quelle parole con un sorriso sincero, come un tributo ai simboli della tradizione.
0 notes
Text
Alla fermata dell’autobus
Si sono incontrati alle 15, di lunedì, sotto la paletta di una fermata dell'autobus. Il cielo era addensato di nubi e loro erano con il naso all'insù. Non è dato sapere se aspettassero il temporale che avrebbe potuto screziare il loro primo appuntamento o se invece avessero nell'animo la carica del sogno che rende curiosi anche di serrande e palazzi. Lei aveva una postura trattenuta a fatica, insicura sui dodici centimetri che aveva tirato fuori dall'armadio sotto scatole impolverate. Sperava di arrivare per prima e godersi l'attesa, appoggiata all'asta della fermata. Lui non aveva timori. Come sanno fare gli uomini non aveva coscienza di sé in quel preciso istante: allungava i passi per abitudine. Non ci sono stati testimoni del loro saluto, ma si sa per certo che lei si è appoggiata cautamente al braccio di lui quando si sono incamminati insieme verso la metropolitana. Lei non si è chiesta se poteva fidarsi: aveva indossato il vestito di raso migliore e questo sarebbe stato garanzia di successo. Le spuntava qualche pizzo nero da sotto il piumino e le gambe grosse torreggiavano come pietra ricoperta di nylon sullo stivaletto che puntellava il polpaccio. Lui non si era neanche accorto che lei faticasse a camminare. Le mostrava gesti romantici facendo impercettibili volute con le mani. La guardava in volto mentre salivano le scale fuoriuscendo dalla metro. Stavano andando da un amico di lui. Lui che indossava un giubbino corto rinforzato sulle spalle, squadrato come il suo mento sotto agli occhi vispi. Degli operai smontavano le ultime luci di Natale rimaste in città, alle porte della periferia. La strada era trafficata da persone con la testa bassa e loro mantenevano un passo calmo, godendosi l’aria libera. Una croce verde al neon ha illuminato in obliquo le loro facce mentre svoltavano su una strada laterale all'arteria. Nessuno li ha visti entrare nel portone. Lei ha trascorso le ore sorridendo mentre i due uomini che non conosceva si accendevano sigarette davanti a un the. Hanno parlato di calcio, del motore della macchina dell'amico che ultimamente borbottava, di biglietti arei e scali per la partenza del prossimo mese. Lui ogni tanto la guardava lasciandole sorrisi compiaciuti: si trovava bene in quella stanza, in compagnia del suo amico e con al fianco una bella signora. Lei si perdeva qualche frammento di conversazione mentre navigava con lo sguardo sulla carta da parati, soffermandosi sulle pieghe scollate. Il sole era calato ed era ora di rientrare. Lui l'ha aiutata a rimettersi il piumino rimasto cadente sulla sedia, hanno salutato l'ospite e sono usciti dall’appartamento. Una mia amica che abita in quel palazzo mi ha detto di averli incrociati per le scale che scendevano a braccetto. Lei stava attenta a non scivolare sui gradini ripidi ma il suo sguardo era leggiadro. Lui ha guardato l'orologio e si sono incamminati verso la metro. La fermata dell'autobus alle 18,30 era piena di pendolari. Si sono fatti strada fino alla paletta e sotto l'alone vuoto del lampione lui le ha preso la mano. Lei ha lasciato che lui facesse come desiderava. Lui ha portato alle labbra le dita intirizzite di freddo e le ha baciate. Un fremito l'ha percorsa, ma quando stava per rialzare lo sguardo per cercare i suoi occhi lui era già un paio di passi lontano, di spalle.
0 notes
Text
La luna sulla terrazza
Metti una notte di inizio estate. Le lucciole se ne sono già andate ma resta un casolare tra le colline. Ho attraversato un parco e i suoi lampioni stonati, una strada buia intorno ai fari, fino alla villa antica di generazioni. Non c’erano neanche le ombre al suo cospetto: ho riconosciuto il mio amico dall’abbraccio. Musica reagge mentre salivo le scale ripide e occhi che si abituavano alle luci soffuse. Qualche stanza e poi la luce vera: la luna si rispecchiava sulla terrazza. Si apriva un mondo tutt’intorno. Come potevo non essermene accorta prima? Ci attendeva lassù, incima al casolare. Colline appianate dagli aratri con una pelle chiarissima. Qualche fila di alberi a circondare quell’isola. Si intravedeva anche un canneto alzarsi dal prato. Non c’era solo la luna in quella dimensione onirica. C’erano tanti spicchi di terra che si mostravano placidi. E noi eravamo in dieci, in sette e poi in quattro, silenziosi e seduti sotto quel bagno di latte sulfureo. Le gambe mi tremavano gracili al cospetto di quella zona franca. Le parole sembravano servire a poco. Ho allungato le gambe in qualche passo ma eravamo solo macchie nere. Cercavo il contorno delle figure che sfuggivano come in una danza immaginaria. Non riuscivo ad acquietarmi, tra incanto e eccitazione. Mi sono avventurata in una stanza dall’altra parte della casa. Ho socchiuso la persiana e le ho trovate. Le lucciole si erano nascoste lontane, nel buio pesto del fogliame. In quella notte ho fatto sogni di plenilunio.
0 notes
Text
Sulle sue tracce
Ogni tanto penso: ora chiamo nonna Vincenza. E’ ancora lì in rubrica il suo nome. Potrei provare con nonno Torquato, il marito, ma è un po’ sordo e ha un rapporto conflittuale con il telefono. Potrei andare a casa dei miei per qualche giorno, ma mi accorgerei ancora di più della sua assenza. Nulla è cambiato, ma in fondo tutto è cambiato. In sua memoria ho mandato dei curricula alle scuole private, che lei me lo diceva sempre di intraprendere la via dell’insegnamento. Il giorno del suo funerale, ironia della sorte, mi ha chiamato una nonna per dare lezioni private alla sua nipotina. Poi la vita scorre uguale a se stessa. Io in un luogo lontano da quello in cui lei ha trascorso gran parte della sua vita. Immagino le sere senza di lei a guardare la tv ad alto volume nella cucina della grande casa, qualche metro sotto il letto della mia adolescenza. Non posso capacitarmi di aver dato per ovvia la sua presenza per tanti anni. E d’improvviso il vuoto. Se n’è andata alle 6,30 di una mattina di gennaio, quando ho alzato il telefono in preda al sonno e ho incominciato a piangere per la sua dipartita. I giorni seguenti in ospedale non sono nemmeno esistiti: quella donna distesa che respirava affannosamente non era lei. Me l’ha confermato qualche notte fa in sogno. Eravamo a tavola, portava un fazzoletto in testa come quand’era giovane e andava a lavorare al campo. Mi ha parlato della sua morte e che c’era un dono in serbo per me che lei aveva chiesto a un amico in cambio del trapasso. Poi non accadeva nulla di insolito: l’ho vista di spalle che andava di sopra a fare i letti.
0 notes
Text
Le età dell’orto
“Credo proprio che dopo di noi voi non le farete più queste cose”. Nonna alza la zappa un attimo e mi guarda nel mio cappottino blu mentre me ne sto seduta su un cippo di legno ad osservare il suo lavoro nell’orto che si affaccia sulla valle. Nonno è sul trattore che le gira intorno per rivoltare la terra da preparare per la prossima semina di pomodori. Io ho un’ora prima di un incontro con un mio amico e me ne sto lì immersa nel sole a vedere cosa accade. Ho messo delle vecchie gazzelle rotte sotto il pantalone con la piega per sentirmi meno fuori luogo. Spero di essere utile con la mia presenza, di far loro compagnia. Il paesaggio del resto mi accoglie quieto. Nonna mi chiede di andare a prendere l’acqua con un grande innaffiatoio che riesco a reggere solo grazie a quei quattro esercizi in palestra. Gliela porto facendomi strada tra le zolle rivoltate e seguo a fatica la fila di aglio che mi ha detto di bagnare. Lei intanto alza e abbassa la sua zappa sulle erbacce che crescono intorno ai piselli in fiore. Lì a fianco anche un’altra pianta mostra timida i suoi petali. E’ la fava, mi spiega e mi passa dei finocchi da riporre nella cesta. Attratta dal verde delle foglie abbandono la mia posizione incima al campo e inizio a fare delle foto. Le bietole sono lucide e crescono in un quadrato quasi perfetto. Il grano è nella sua stagione migliore, come quando gli correvo accanto per andare a prendere il pullman che mi portava alla scuola superiore. Seguo per qualche metro la strada sterrata che porta all’ovile e poi mi fermo di nuovo per contemplare le tracce di mia nonna sul cippo in cui sedevo: il grembiule da lavoro abbandonato per il caldo e un coltellaccio con cui stacca di netto le radici dei finocchi.
Lei è a capo chino contro la terra, imperturbabile nei gesti che compie da decenni. Mia nonna ha settantacinque anni. Guardo le mie mani giovani, ma devo scappare per l’appuntamento. La saluto e in un sol fiato le dico: “Anche una mia amica ha un orto e l’altro giorno ha passato il pomeriggio a vangarlo”.
3 notes
·
View notes
Text
Il mondo in un citofono
Voce: Signora sono Carmen e sto facendo a molti una domanda. Ma lei crede che un giorno tutta la corruzione che c'è in politica finirà?
Io: dopo averci pensato - Sa, credo di non avere tempo, ora, per una discussione di questa portata.
Voce: Ah, è impegnata? Ma lei lo sa che Dio ha già previsto che un giorno tutto questo finirà?
Io: Ah - faccio un'altra pausa - non sono credente.
Voce: Ma davvero? E da quando?
Io: Eh, signora, non credo che il modo più giusto per parlare di queste cose sia al citofono.
Ho pensato a tutto dopo averle sentito dire che stava interrogando tante persone. Che fosse una signora sudamericana e che stesse cercando lavoro. Un modo un po' impegnativo suonare ai campanelli di un'intera via del centro, in ogni palazzo, con venti citofoni a cortile. Ma anche ingegnoso, che con la sua originalità poteva fare buona impressione e andare a segno. E magari Carmen era una studentessa italiana, perché no. Questo ho pensato prima che mi sparasse con soave dolcezza l'idea della corruzione. Era così calma e fiduciosa che le avrei dato una risposta, così deliziosa che per un po' ho esitato. Ma in effetti avevo altri programmi. Non potevo mandarli in fumo per parlare di un così gravoso problema con una sconosciuta. Poteva finire che non era neanche informata. Allora avrei davvero solo perso tempo. No, il gioco non valeva la candela.
Poi il sillogismo di Dio l'ha smascherata.
E io sarei scesa giù in cortile comunque, a chiederle come faceva questo dio di Geova a sapere così tanto sugli italiani da parlare di corruzione in politica. La corruzione umana è tipica del pensiero di ogni dio che si rispetti, ma quella politica, quella fatta di moneta sonante, è una particolarità di precisione geografica. Quel suo dio avrebbe estirpato solo quella romana e quella del Pirellone o si si sarebbe dedicato anche alle banconote intascate abusivamente dai funzionari della Repubblica del Congo? Questo le avrei chiesto a quella voce soave. Ma finendo di formulare il pensiero mi sono accorta che avevo quella cornetta bianca in mano, che ero in un corridoio e la plastica del citofono era impolverata.
Quando ho riattaccato mi son diretta in camera con aria scocciata, forse avrò pure fatto il gesto di mandare a quel paese certa gente, con la mano alta e poi appoggiata sulla fronte. In realtà, percorrendo il corridoio, mi sono chiesta anche "chissà", sarà vero che non sono credente? Magari a qualcosa credo.
Credo che dopo due ore dal fatto sto ancora qui a pensare che sarebbe davvero bello se ci fosse in giro quella spontaneità tale da fermare qualcuno e chiedergli la sua opinione sulla fine della corruzione. Così, per curiosità e coscienza. Significherebbe di sicuro che staremmo a parlare, tra noi, di cose serie, oltre i nostri molteplici citofoni.
0 notes