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hotel calacuncheddi: facebook insight | agenzia: cherries comunicazione
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bocciata
Sogno spaventoso, stanotte. Tobia con i suoi 2 anni e 3 mesi sale da solo su un autobus e sparisce. Così: puf. Io lo cerco dappertutto, chiamo la radio, la polizia, gli autisti di tutti gli autobus del mondo. E piango, piango, piango, a un certo punto non ho più nemmeno la forza di piangere. Sono nei sotterranei della città, poi in una biblioteca, poi dentro una stazione della metropolitana, e lo cerco dappertutto, persino nei tombini. Ed è notte fonda, e sono da sola e penso al mio bambino che si è perso e chissà dov’è, e chissà che paura che ha, e magari lo sta dicendo a qualcuno: paura! con quella sua vocina come quando me lo dice al mattino mentre passiamo in una strada stretta e bassa tra due muri e io gli dico non avere paura, tesoro, c’è la mamma e lui aggiunge e c’è la Sally. E adesso a chi sta dicendo paura, e chi gli risponde non avere paura? Porca puttana vacca, non voglio pensarci.
Succede che dalla stanza accanto arriva un suono piccolo tipo Tobia che tossisce, e questo fa sì che io mi tranquillizzi e allora nel sogno qualcuno mi chiama l’abbiamo trovato, sta bene, non gli è successo niente e io me lo trovo subito tra le braccia e sta bene davvero, e profuma di Tobia ed è caldo e sereno e tutto va bene.
Ora che sono finalmente sveglia, penso che questo è IL brutto sogno delle mamme - l’ho letto - è la paura ancestrale di perdere il proprio bambino e che prima o poi tocca farlo, ‘sto sogno, un po’ come le spose che il giorno prima del matrimonio sognano che il vestito si scioglie e sono nude davanti a tutti, altro passaggio tipico nell’inconscio femmineo. Allora visto che lo so, mi riaddormento pensando, dovevo farlo, sto sogno, e l’ho fatto, un po’ come la vaccinazione.
Peccato che la seconda parte sia anche peggio. ho appena fatto un esame, e non ho il coraggio di andare a vedere il voto che mi hanno dato. tipo maturità, laurea, licenza media, che ne so. qualcuno mi chiama al telefono, è davanti al tabellone, ha la voce un po’ tremante: mamma? dimmi, tesoro, come sono andata? Ecco, niente, sei stata bocciata, mamma.
ohmamma blog, marzo 2016
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Questo è proprio un bel titolo
yamaha motor: annuncio Dragstar 650 Classic | agenzia: united 1861 milano
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la mamma
Un piccolo inno a tutte le mamme, quelle meravigliosamente imperfette come le nostre, come le vostre, come noi.
La mamma anche se non ha la moto e ha a malapena la patente della macchina, sa lei cose che hanno a che fare con la libertà più di chiunque altro. La mamma sa quand’è il momento di legare le briglie e sa pure quand’è il momento giusto per aprire la porta e dire “vai, quella è la porta, esci a conoscere il mondo ma mettiti sempre la maglia della salute”. La mamma stira ascoltando la Bohème e pure la Turandot e non è perché la sua vita è stata triste e squallida che piange qualche lacrima sulle magliette inamidate. La mamma ha una vita che non conosce nemmeno il papà e forse a malapena la conoscono le magliette inamidate e i gatti che sono passati sulle librerie mentre lei leggeva libri difficilissimi. La mamma è andata a migliaia di concerti rock, ha ascoltato milioni di tracce, ha inciso nel cuore così tanti solchi che forse nemmeno i suoi occhi che sorridono facendo le rughe possono raccontarli. La mamma ogni tanto pensa che dovrebbe comprarsi una crema per far andar via quelle rughe che le sono spuntate intorno agli occhi, ma poi vede che in libreria c’è un’edizione speciale de “Il Piccolo Principe” da regalare a uno dei suoi piccoli e allora addio crema, almeno per questo mese. La mamma ogni volta che passa davanti a un negozio di scarpe vede quel paio di meraviglie con il tacco alto così, ma poi pensa che se deve inseguire l’autobus o il cane oppure qualcuno di casa che si merita uno scapaccione, con cavolo che vanno bene i tacchi. La mamma si alza prima di tutti e va a dormire dopo di tutti e nel mezzo ha almeno sette o otto vite diverse come i gatti: la mamma, la donna che lavora, la sorella, la figlia, l’amica, la collega, la spesa, la posta, la bicicletta, il mal di pancia, il mal di piedi, cinque o sei caffè. La mamma conosce un sacco di altre mamme e spesso mentre ci parla spera di non essere come loro che si parla solo di figli, però quando le vien voglia di sfogarsi non sa bene come fare per non far la figura della mamma mammosa che parla solo di figli. La mamma è prima di tutto una donna, e guarda che nella vita non c’è mica bisogno di diventare mamma per restare tutta la vita una donna meravigliosa, certo però che avvicinandoci alla festa della mamma l’argomento è necessariamente quello delle mamme. La mamma una volta ha detto: io se anche dovessi scappare con qualcuno lo farei con una moto piuttosto che con un uomo imbecille”, poi a un certo punto è successo che in famiglia una mattina sono scesi per la colazione e hanno trovato la tavola vuota e il cane affamato e sulla porta un piccolo biglietto di quelli che stanno attaccati da soli con sopra scritto “scusate ma è successo” e il papà è quello che più di tutti si è dato dell’imbecille perché tutte le volte che lei gli ha detto “scappiamo” lui le ha risposto “non posso”. La mamma è quella parte di noi che si sacrificherebbe per qualcuno o per qualcosa, che non c’è bisogno di aver generato per conoscere il sacrificio. La mamma certe volte è un’idea, una luce, un pensiero e allora più che mamma è madre, la madre di tutte le idee, le luci, i pensieri. La mamma insegna la vita e l’amore e abbracciarsi forte e anche sbagliare e rialzarsi e andare, certe volte persino ad odiare, e questo basta per sempre a vincere almeno un giorno sul calendario, anche se due sarebbero decisamente meglio.
in moto, maggio 2016
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vibram industrial soles: stories of modern heroes | agenzia: cherries comunicazione
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Blackout
È successo a Luca. È successo a Maria. È successo a Jacopo. È successo ad Andrea. Ma è successo anche a Elena, a Paolo, a Serena. Dicono sia una specie di black-out, il cervello che per un attimo spegne il collegamento, e nella lunga lista delle cose da fare ogni giorno, che diventano una sorta di mantra di gesti sempre uguali, il pensiero “questa l’ho fatta” subentra alla cosa da fare, senza che quella cosa sia stata fatta. La spesa: fatta. Andare in posta: fatto. Dare i soldi per la gita: fatto. Chiamare la nonna: fatto. Prendere il treno in tempo: fatto. Finire il lavoro in viaggio: fatto. Cucinare: fatto. Accompagnare i bambini a scuola: fatto. Iscriverli in piscina: fatto. Farmacia: fatto. La vita diventa una sequenza di cose da fare, di compiti da svolgere, di obblighi da assolvere, di telefonate da fare, di cose da pagare, di cene da preparare, di tasselli da riordinare. Una specie di “giorno della marmotta”, quello di un film anni ’90 in cui il protagonista restava intrappolato in una giornata che si ripeteva ogni giorno, identica a sé stessa, dal suono della sveglia al momento di andare a dormire. Si può provare a teorizzare, a spiegare, a fare della morale, persino. Ma è successo a Luca, Jacopo, Andrea, Paolo, Elena, Maria e potrebbe succedere a me, a te, a voi, a ognuno di noi, in qualsiasi giorno, in qualsiasi momento. A noi che siamo brave persone, persone attente, che vogliamo bene ai nostri bambini, che vogliamo esserci, che ci mettiamo l’anima. Brave persone come Andrea, che una mattina di qualche mese fa è andato a lavorare dopo aver creduto di aver accompagnato il piccolo Luca al nido. E invece l’ha lasciato in auto, e il piccolo non ha resistito al caldo. Tutto qui. Un blackout, un momento in cui la mente è convinta di aver fatto quella cosa senza averla fatta. Accompagnare il piccolo al nido: fatto. Andare a lavorare: fatto. Il piccolo dorme, non fa nessun rumore, la mente intanto corre alle mille altre cose da fare. E il papà va a lavorare sapendo di aver fatto quello che doveva, e magari racconta del bambino ai colleghi, e che buffo è Luca quando è al nido, e come si trova bene, e siamo contenti della scelta fatta. Una cosa dobbiamo capirla: può succedere a tutti. Può succedere a me, a te, a tutti noi che siamo brave persone. Conosco mamme bravissime che hanno lasciato un figlio a scuola, padri eccezionali che l’hanno lasciato in auto una mezzora. La differenza la fa solo la fortuna: in una mezzora il piccolo ha solo pianto un po’, il figlio a scuola ha pranzato con le suore, e tutto è andato a finire bene, con un grande spavento, il domandarsi come sia stato possibile, il sentirsi terribilmente in colpa ma non avere nulla da recriminarsi, in fondo. Succede e basta, anche ai migliori tra noi. E’ incredibile quanto ci sembri impensabile prima di avere figli: “se io avessi bambini non li dimenticherei mai in auto”, ci si dice. Ma poi succede qualcosa, la mente cambia, anche se i figli sono quel pensiero a cui pensi 24 ore al giorno, anche quando non ci pensi. E succede che li dimentichi. Accompagnare i bambini: fatto. Aiutare i genitori, non colpevolizzarli: questa è l’unica cosa da fare. Un gruppo di studenti di una scuola in provincia di Arezzo sta mettendo a punto una serie di interventi in questi casi: il finestrino si apre, le quattro frecce si azionano. Dopo qualche tempo di mancato intervento si aziona una sirena, partono sms al numero impostato. Piccoli accorgimenti, un’idea geniale: bravi ragazzi speriamo che qualcuno ve la brevetti. Perché è successo a Luca. Ma può succedere anche a me, a te, a noi.
motosprint, ottobre 2013
#blackout #succede #genitori #genitori e figli #bambini #tristezza
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