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Top e flop 2021
Questo pezzo non riguarderà i film usciti nelle sale nel 2021 (anche perché ne ho visti molto pochi, non un campione attendibile), ma i film che ho visionato personalmente nell’anno appena trascorso. Di conseguenza ci saranno film di tutti i tempi, di tutte le nazioni, di tutte le colorazioni, di tutte le tipologie di suono, muti, sonori o musicali e chi più ne ha più ne metta. Questi sono solo una piccola parte dei film guardati, i migliori e i peggiori. Sarà insomma un compendio di consigli e sconsigli, con la garanzia che il sottoscritto è sempre dalla parte del pubblico e detesta i film barbosissimi che ricevono i magnificat della critica parruccona e dormiente. Lista dedicata al mio Maestro Massimo Bertarelli.
Il migliore (voto 10 e lode)
Scarpette rosse
I grandissimi (voto 10)
Là dove scende il fiume
La folla
Luci della città
Il ferroviere
L’appartamento
Europa ‘51
Gran Torino
Dies irae
L’ereditiera
Uno, due, tre!
Castaway on the Moon
Gioventù bruciata
I notevoli (voto 9)
Il giovedì
L’altro delitto
Duello mortale
Saving Mr. Banks
Rambo
Scrivimi fermo posta
Léon
Mommy
Non lasciarmi
Se mi lasci ti cancello
Il tetto
La gatta sul tetto che scotta
Rapina a mano armata
Birra ghiacciata ad Alessandria
Il gigante di ferro
Fuga di mezzanotte
Hard Boiled
La notte
Cognome e nome: Lacombe Lucien
Gli anni spezzati
Vento di terre lontane
Un posto al sole
Secondo amore
Il mago di Oz
L’uomo dal braccio d’oro
La stanza di Marvin
Ad Astra
Gli avvoltoi hanno fame
il Gattopardo
Lilli e il vagabondo
Io sono un evaso
Il treno
E’ arrivata la felicità
Rififi
Quattro passi fra le nuvole
Addio Mr. Harris
Gii angeli con la faccia sporca
Il terrore corre sul filo
Non voglio morire
La grande parata
Ragione e sentimento
58 minuti per morire
La costola di Adamo
Madre e figlio
Dark Crystal
Le mani sulla città
Il volo della fenice
Solo sotto le stelle
Trappola mortale
L’immagine mancante
Risate di gioia
Quando soffia il vento
Orizzonte perduto
Il presagio
Dietro la porta chiusa
I discutibili (voto 5)
Hereditary
L’arco
A casa tutti bene
Storia di fantasmi cinesi
Moon
Tutti i colori del buio
Io sono l’amore
La favorita
Wampyr
Barbarella
Domenica maledetta domenica
Thirst
Sangue chiama sangue
Fellini Satyricon
Lei
La signora scompare
L’ascensore
La quinta stagione
Le porcherie (voto 0-4)
La presa del potere da parte di Luigi XIV
Teorema
Le armonie di Werckmeister
Fantasmi
Rusty il selvaggio
Raw
Waking Life
Cittadino dello spazio
Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante
Personal Shopper
Goodbye, South, Goodbye
Border
La valle del peccato
Il cielo sopra Berlino
Il pasto nudo
Scandalo al sole
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Top e flop 2020
Questo pezzo non riguarderà i film usciti nelle sale nel 2020 (anche perché ne ho visti molto pochi, non un campione attendibile), ma i film che ho visionato personalmente nell’anno appena trascorso. Di conseguenza ci saranno film di tutti i tempi, di tutte le nazioni, di tutte le colorazioni, di tutte le tipologie di suono, muti, sonori o musicali e chi più ne ha più ne metta. Questi sono solo una piccola parte dei film guardati, i migliori e i peggiori. Sarà insomma un compendio di consigli e sconsigli, con la garanzia che il sottoscritto è sempre dalla parte del pubblico e detesta i film barbosissimi che ricevono i magnificat della critica parruccona e dormiente. Lista dedicata al mio Maestro Massimo Bertarelli.
I migliori (10 e lode):
Family Life
La ragazza con la valigia
I grandissimi (voto 10)
I vitelloni
La sposa in nero
Hana-bi
Il pianeta delle scimmie
Il sorpasso
Umberto D.
La caccia
Un uomo da marciapiede
Miseria e nobiltà
C’eravamo tanto amati
Un volto nella folla
Un mercoledì da leoni
Wargames
Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo
Rosemary’s Baby
I notevoli (voto 9)
I visitatori
Furia
Cimitero senza croci
Orgasmo
Harvey
Aguirre furore di Dio
A prova di errore
La guerra dei mondi (1953)
Kapò
Il texano dagli occhi di ghiaccio
Dancer in the Dark
La grande bellezza
Guardie e ladri
Odio implacabile
Re per una notte
Alba fatale
La mia vita da zucchina
Rocco e i suoi fratelli
La corazzata Potemkin
Francesco, giullare di Dio
Gli orrori del liceo femminile
After Life
Il romanzo di Mildred
Notte senza fine
Il capitalista
La notte di San Lorenzo
Non si uccidono così anche i cavalli?
La storia di una monaca
Reazione a catena
Bassa marea
Parole, parole, parole...
Arriva John Doe!
Domenica d’agosto
Il tempo del raccolto del grano
The Nice Guys
Bugsy
El Cid
Tutti a casa
Reality
La marcia su Roma
Ultimo domicilio conosciuto
La collina del disonore
Manhunter
Leon Morin, prete
Spider Baby
I soliti ignoti
Toy Story 4
Milano odia: la polizia non può sparare
Ragazze interrotte
20.000 leghe sotto i mari
Blood Diamond
Il cattivo tenente
8 1/2
L’ultima eclissi
Chicago
Nessuno lo sa
Un mondo perfetto
Sette notte in nero
Le vie della violenza
L’ultima risata
I tartassati
Piccole volpi
Nazarin
I guerrieri della notte
Il ritratto di Jennie
Testimone d’accusa
I discutibili (voto 5)
Birdcage Inn
Ballando con uno sconosciuto
L’ora più buia
Per favore, non mordermi sul collo!
Il conte di Essex
Donne in attesa
Tokyo Fist
Gozu
Il grande inquisitore
Mariti
Porcile
Dark City
Ashes of Time
La notte dei serpenti
Le parole che non ti ho detto
Un americano a Parigi
Linea mortale
Una lunga domenica di passioni
Zona di guerra
Elizabeth
Le porcherie (voto 0-4)
I visitatori 2: Ritorno al passato
Conoscenza carnale
Midsommar
Cronos
La terza parte della notte
Utamaro e le sue cinque mogli
Lo specchio
American Beauty
Il serpente di fuoco
Gli amori di una bionda
Lo spirito dell’alveare
Room
Burning - L’amore brucia
I diavoli
The Endless
Before Midnight
Borat
Mind Game
Tempesta di ghiaccio
Cuore selvaggio
L’elemento del crimine
Valhalla Rising
Giochi nell’acqua
Nel corso del tempo
Racconto di Natale
Lion - La strada verso casa
Yi yi - E uno... e due!
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Bilancio cinematografico del decennio
Un decennio si è chiuso, sempre che si sia della scuola di pensiero secondo cui gli anni '10 vanno dal 2010 al 2019 e non dal 2011 al 2020. Poco male, perché la lista che qui presenterò ha più buchi di uno scolapasta, causa mancata visione di tantissime opere, e verrà perciò rivista molte e molte volte: è solo una fotografia di fine decennio. Il criterio è banalissimo, e ha l'implacabilità della matematica: i film migliori sono quelli a cui ho dato come voto 10 o 9, i peggiori quelli a cui ho attribuito un voto da 0 a 5. Pare essere stato un decennio eccellente per il cinema d'animazione, mentre fra i film inguardabili non manca mai l'apporto insostituibile del cinema indipendente e della fantascienza pretenziosa, e anche il genere drammatico non sembra godere di ottima salute, contaminato e corrotto dalla modernità. Ma bando alle chiacchiere e si parte!
I film migliori:
Still Life (Gran Bretagna - 2013) - Drammatico - di Uberto Pasolini. Voto: 10
Toy Story 3 - La grande fuga (USA - 2010) - Animazione - di Lee Unkrich. Voto: 10
Inside Out (USA - 2012) - Animazione - di Pete Docter e Ronnie Del Carmen. Voto: 10
Interstellar (USA - 2014) - Fantascienza - di Christopher Nolan. Voto: 10
La mia vita da zucchina (Svizzera - 2016) - Animazione - di Claude Barras. Voto: 9
Ready Player One (USA - 2018) - Fantascienza - di Steven Spielberg. Voto: 9
Madre! (USA - 2017) - Orrore - di Darren Aronofsky. Voto: 9
Rango (USA - 2011) - Animazione - di Gore Verbinski. Voto: 9
Little Sister (Giappone - 2015) - Famiglia - di Hirokazu Koreeda. Voto: 9
La La Land (USA - 2016) - Musicale - di Damien Chazelle. Voto: 9
The Hateful Eight (USA - 2015) - Western - di Quentin Tarantino. Voto: 9
Sette minuti dopo la mezzanotte (USA - 2016) - Fantastico - di Juan Antonio Bayona. Voto: 9
La storia della principessa splendente (Giappone - 2013) - Animazione - di Isao Takahata. Voto: 9
Revenant (USA - 2015) - Avventura - di Alejandro Gonzalez Inarritu. Voto: 9
La grande bellezza (Italia - 2013) - Drammatico - Di Paolo Sorrentino. Voto: 9
I film peggiori:
L’ora più buia (Gran Bretagna - 2017) - Biografico - di Joe Wright. Voto: 5
Il passato (Francia - 2013) - Drammatico - di Asghar Farhadi. Voto: 5
Al di là delle montagne (Cina - 2015) - Drammatico - di Jia Zhangke. Voto: 5
Dogman (Italia - 2018) - Drammatico - di Matteo Garrone. Voto: 5
Drive (USA - 2011) - Crimine - di Nicolas Winding Refn. Voto: 5
Loveless (Russia - 2017) - Drammatico - di Andrey Zvyagintsev. Voto: 5
I Saw the Devil (Corea del Sud - 2010) - Azione - di Jee-woon Kim. Voto: 5
Animali notturni (USA - 2016) - Drammatico - di Tom Ford. Voto: 5
Veronica (Spagna - 2017) - Orrore - di Paco Plaza. Voto: 5
Re della terra selvaggia (USA - 2012) - Avventura - di Benh Zeitlin. Voto: 5
Adaline - L'eterna giovinezza (USA - 2015) - Sentimentale - di Lee Toland Krieger. Voto: 5
Super 8 (USA - 2011) - Fantascienza - di J. J. Abrams. Voto: 5
Alice in Wonderland (USA - 2010) - Fantastico - di Tim Burton. Voto: 5
Blade Runner 2049 (USA - 2017) - Fantascienza - di Denis Villeneuve. Voto: 4.5
Arrival (USA - 2016) - Fantascienza - di Denis Villeneuve. Voto: 4.5
Il club (Cile - 2015) - Drammatico - di Pablo Larraìn. Voto: 4.5
Cold War (Polonia - 2018) - Sentimentale - di Pawel Pawliwowski. Voto: 4
Stray Dogs (Taiwan - 2013) - Drammatico - di Tsai Ming-liang. Voto: 4
Frances Ha (USA - 2012) - Drammatico - di Noah Baumbach. Voto: 3
Tre manifesti a Ebbing, Missouri (USA - 2017) - Drammatico - di Martin McDonagh. Voto: 4
It Follows (USA - 2014) - Orrore - di David Robert Mitchell. Voto: 4
Rapunzel (USA - 2010) - Animazione - di Nathan Greno, Byron Howard. Voto: 4
J. Edgar (USA - 2011) - Biografico - di Clint Eastwood. Voto: 4
Non-Stop (USA - 2014) - Azione - di Jaume Collet-Serra. Voto: 4
Midsommar (USA - 2019) - Orrore - di Ari Aster. Voto: 4
Quella casa nel bosco (USA - 2011) - Orrore - di Drew Goddard. Voto: 3
Manchester by the Sea (USA - 2016) - Drammatico - di Kenneth Lonergan. Voto: 3
Camera Obscura (USA - 2017) - Orrore - di Aaron B. Koontz. Voto: 3
Take Shelter (USA - 2011) - Drammatico - di Jeff Nichols. Voto: 3
Coherence (USA - 2013) - Fantascienza - di James Ward Byrkit. Voto: 2
12 anni schiavo (USA - 2013) - Biografico - di Steve McQueen. Voto: 2
Senza lasciare traccia (USA - 2018) - Drammatico - di Debra Granik. Voto: 1
Biancaneve (USA - 2012) - Commedia - di Tarsem Singh. Voto: 1
Si accettano miracoli (Italia - 2015) - Commedia - di Alessandro Siani. Voto: 0
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Top e flop 2019
Questo pezzo non riguarderà i film usciti nelle sale nel 2019 (anche perché ne ho visti molto pochi, non un campione attendibile), ma i film che ho visionato personalmente nell’anno appena trascorso. Di conseguenza ci saranno film di tutti i tempi, di tutte le nazioni, di tutte le colorazioni, di tutte le tipologie di suono, muti, sonori o musicali e chi più ne ha più ne metta. Questi sono solo una piccola parte dei film guardati, i migliori e i peggiori. Sarà insomma un compendio di consigli e sconsigli, con la garanzia che il sottoscritto è sempre dalla parte del pubblico e detesta i film barbosissimi che ricevono i magnificat della critica parruccona e dormiente. Lista dedicata al mio Maestro Massimo Bertarelli.
Il migliore (10 e lode): Oscar insanguinato
I grandissimi (voto 10)
Il mucchio selvaggio
Sacco e Vanzetti
Le due sorelle
Toy Story 3
Sciuscià
My Fair Lady
Repulsione
Il circo
Sogno di prigioniero
La visita
Una gita scolastica
L’anno scorso a Marienbad
L’asso nella manica
Pioggia di ricordi
Lo strano amore di Marta Ivers
Tarda primavera
I notevoli (voto 9)
L’eterna illusione
Vampyr
Mister Hula Hoop
Sbatti il mostro in prima pagina
Adua e le compagne
Prima linea
Il corvo (1943)
Dove la terra scotta
Il cammino della speranza
Rollerball
Il giorno più lungo
Don Camillo
Arlington Road
Mamma Roma
Zelig
Il carretto fantasma
Volto di donna
Ready Player One
Phenomena
The Killer
Madre!
Magnolia
Rango
Grisbì
Little Sister
La voce nella tempesta
La vita futura
La bisbetica domata
Il lungo addio
Quo Vadis
Germania anno zero
Una squillo per l’ispettore Klute
Anna dei miracoli
Sonatine
Ucciderò un uomo
Peggy Sue si è sposata
Cleo dalle 5 alle 7
Pane e tulipani
Non ci resta che piangere
Mery per sempre
L’isola di corallo
Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)
L’inafferrabile
Il grande sentiero (1930)
Lettera da una sconosciuta
L.A. Confidential
Senso
Luci del varietà
Gli uccelli
Figlia del vento
Vincitori e vinti
La rosa bianca
Un condannato a morte è fuggito
Lo spione
La storia dell’ultimo crisantemo
Accattone
L’età dell’innocenza
Lady Snowblood
Marty
I discutibili (voto 5)
Animali notturni
Naked
I Saw the Devil
Boiling Point
Loveless
Rainy Dog
Calvaire
Lettera a tre mogli
Insider
El sur
Drive
Kynodontas
Dogman
El Topo
Al di là delle montagne
Z, l’orgia del potere
Il migliore
Un genio, due compari, un pollo
L’amante immortale
Gatto nero, gatto bianco
Schegge di follia
Quanto costa morire
Il mistero di Wetherby
Winchester ‘73
The Village
La città verrà distrutta all’alba (1973)
Blow Out
Fuggiasco
Il passato
Il mondo perduto
Pelle alla conquista del mondo
Le porcherie (voto 0-4)
L’uomo dei cinque palloni
I ragazzi di Feng-Kwei
Coherence - Oltre lo spazio tempo
Matador
Anche i nani hanno cominciato da piccoli
L’asso di picche
Camera Obscura
La città perduta
L’uomo che venne dalla Terra
Manchester by the Sea
Hostel
It Follows
Lost in Translation
Sorgo rosso
L’isola
Tre manifesti a Ebbing
La vita a modo mio
La casa nera
Frances Ha
Stray Dogs
L’ultima onda
Paranoid Park
Cold War
Paranormal Activity
Maborosi
Senza lasciare traccia
Quella casa nel bosco
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Previsioni del mago Gian: risultati
A inizio 2019 mi ero avventurato in qualche profezia tennistica. Questi sono i responsi:
NOLE Djokovic vincerà al massimo uno slam (FALSO) e non resterà numero uno per tutte e 52 le settimane (VERO)
Rafael Nadal vincerà ancora una volta il Roland Garros (VERO), ma con più difficoltà (FALSO): qualcuno lo porterà al quinto set (FALSO). Inoltere perderà più di un torneo sul rosso (VERISSIMO)
Federer non vincerà slam (VERO) né disputerà finali slam (FALSO) ma vincerà un Masters 1000 su cemento (VERO). Giocherà Roma e Roland Garros con risultati rivedibili (FALSO). A fine anno sarà fuori dalla top 3 e annuncerà il ritiro per il 2020 (FALSISSIMO)
Alexander Zverev vincerà probabilmente tra UO e AO. Entrerà in pianta stabile nei top 3. FALSISSIMO
Thiem vincerà il primo 1000 (VERO) su terra (FALSO) ma perderà ancora una volta da Nadal a Parigi. VERO
Tsitsipas vincerà il suo primo 1000 (FALSO, però ha vinto le Finals) e farà almeno una semifinale slam. VERO
Murray non riuscirà a rientrare in top 10 prima della fine del 2019. VERO
Wawrinka non si farà mancare qualche exploit con le teste coronate del circuito, ma senza più tornare il giocatore straordinario che alzava slam in faccia ai fantastici 3. VERO
Uno fra Medvedev, Khachanov e Coric riuscirà a insediarsi nella top 5. VERISSIMO
Fognini uscirà dalla top 20 (FALSO) e vincerà al limite un solo torneo sulla terra battuta (VERO, ma che torneo!)
Cecchinato uscirà al primo turno al Roland Garros (VERO, con l’erbaiolo, e sulla via del ritiro, Mahut!)
Berrettini entrerà nei primi 30, continuando a migliorarsi, soprattutto sul rovescio e mietendo qualche vittima illustre (VERO, ma è andato molto oltre)
Kyrgios anche quest’anno si farà notare più per le mattane fuori e dentro il campo che per le prodezze di cui pure sarebbe capace (VERO, le sedie di Roma ne sanno qualcosa)
Tsonga (FALSO) e Berdych (VERO) annunceranno il ritiro
Shapovalov persisterà nel deludere e a fine anno ci chiederemo se non lo abbiamo elevato a campionissimo prima del tempo (FALSISSIMO)
Rublev invece esploderà definitivamente, riscattando il pessimo 2018 (VERO)
Due nomi da appuntarsi sul taccuino: Moutet (abbastanza VERO) e Molleker (FALSO)
Simona Halep vincerà Parigi (FALSO) e un altro slam (VERO), solidificando il suo dominio sul circuito WTA (FALSO)
Wozniacki annuncerà il suo ritiro per problemi di salute (VERO), come anche le sorelle Williams e Maria Sharapova, per la disperazione dei vertici WTA (FALSO)
Naomi Osaka non disputerà un 2019 all’altezza del suo 2018 (VERO), ma ciò non le impedirà di issarsi ad un’altra finale slam (VERO, vinta)
La vincitrice inedita di Slam di quest’anno sarà Aryna Sabalenka (FALSISSIMO, ma chi avrebbe scommesso un copeco su Barty e Andreescu?)
La Pliskova continuerà a navigare a vista nella top 10, ma senza risultati di gran rilievo (FALSO, è numero 2 e ha vinto Roma, il quinto slam)
Ci sarà invece il ritorno della Muguruza, che tornerà fra le prime 5 al mondo (FALSISSIMO)
La Giorgi darà seguito all’eccellente anno 2018 grazie ai buoni sorteggi di cui potrà disporre con le sue teste di serie, e ascenderà finalmente alla sua prima semi slam. Dove? Ma ovvio, a Wimbledon (FALSISSIMO, mai vista una tale messe di assurdità)
Tutte le altre nostre portacolori rimarranno invece al buio (VERO, ma Paolini e soprattutto Cocciaretto fanno ben sperare), e nessuna di esse riuscirà a qualificarsi per un tabellone principale slam (FALSO, Paolini ha giocato il RG e Gatto Monticone RG E Wimbledon, facendo un figurone con Serena)
I nuovi nomi per il 2019 saranno Yastremska (abbastanza FALSO) e Anisimova (VERISSIMO, ma la Andreescu…)
La Piquè Cup sarà un flop di pubblico (VERO) e di spettacolo (FALSO, chi l’ha vista dice sia stato buon tennis). L’unico big che si presenterà sarà Nadal (FALSO), vincendo con la Spagna il torneo (VERO)
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Appunti per vivere più serenamente Inter-Juventus
E a dirla tutta, debbo dichiararvi che tutto questo lacrimare, questo scuotere la testa, questo sgomento domandarsi, non m’aggrada, poiché manca di coscienza. «Perché mai ha vinto la Juventus?, «Non s’intuivano forse segni favorevoli al trionfare nerazzurro?». Ebbene, non s’intuivano, nemmeno il più babbeo li avrebbe intuiti! Ebbene, la Juventus non poteva che pervenire al fatale successo! L’esito del campo è stato soltanto il manifestarsi terreno di un’immutabile volontà scritta lungo le pareti del cosmo. Vi prego, tuttavia, non fraintendete questa volontà con ciò che alcuni improvvidi chiamano impropriamente destino: non esiste un destino, o altrimenti un dover essere, esiste però una volontà creatrice dell’essere superiore - la Juventus - alla quale lo schiavo, con fiato mozzo e mormorio servile, deve piegarsi, finché è cinto del giogo. Questa sconfitta nerazzurra è però di specie diversa rispetto ad altre sconfitte del triste passato recente. Non al cattivo agire dell’Inter è dovuta questa sconfitta: essa ha prodotto un convinto ripensamento su se stessa, e ha estirpato quasi ogni ramo secco dal suo albero, ora quasi rigoglioso, ora ben radicato nelle profondità del terreno. Manca ancora il colpo finale, ma è a buon punto. La disfatta dell’Inter - come potrei definirla, se non disfatta? - non è figlia dell’Inter, ma della Juventus. E’ bene? E’ male? E’ solo frutto della forza della Juventus? Ma pensate al doppio infortunio, prima di Sensi, poi di Godin. E che dico, doppio, diciamo triplo: Lukaku, titano noto per la forza bruta, e non già per sofisticherie d’ingegno, arrivava alla partita con mende fisiche di complessa risoluzione. Eppure tutto era filato diritto come un fuso, privo di perigli, fino al fatale incontro di quella domenica sera. Io vi dico che un genio maligno s’impadronisce del campo, e governa gli eventi, quando si gioca contro la Juventus. Lo sciocco s’appella all’arbitro. Il meno sciocco s’appella alla sfortuna. Sfortuna, la chiama! Io dico invece che è un genio maligno materializzato dalla volontà eccelsa, e nobile, della Juventus. Essa preda dove non c’è bisogno di predare, infierisce dove anche per il più malvagio sarebbe iniquo infierire. Essa è così tanto insinuata e introdotta fra un’increspatura e l’altra del mare del calcio, tanto padrona dei fenomeni che lo governano - un governo che va oltre il sudiciume degli uomini, è un governo degli eventi, è un governo del pensiero - che quanto a noi appare gigantesco e letterario e ineluttabile tanto da chiamarlo destino avverso, per la Juventus ha la portata ontologica di uno starnuto. Tanto ancora deve lavorare l’Inter, non più su se stessa, ma sulla Juventus. Non sia uno stolido imitare, quanto piuttosto l’osservare il picco di una montagna con lo spirito dell’intrepido, privo d’accortezza, pieno di amore per l’abisso.
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Inter-Juve, sulla liberazione dai pesi
Tu dunque mi chiedi, fanciullino: «Dove s’annida la sozzura che annerisce la mia virtù? Dove, il parassita che la piaga? Forse nei buchi del mio spirito? Forse il mio spirito è un telo pieno di buchi?» In verità, ti dico: nessun buco ha, il tuo spirito, ma troppo superfluo ha, il tuo spirito. Nel tuo spirito è, la tua virtù, acqua fresca che ti reca conforto nel tuo migrar per il deserto. Ma nel tuo spirito sono anche gelosia verso l’eletto, invidia verso il vittorioso, superbia per il tuo superfluo. Superflue sono le debolezze, superflui i vizi. Il superfluo fa pesanti le tue membra, l’orizzonte del tuo occhio invade, la tua schiena piega e ti rende schiavo. Liberati del superfluo, ed eleva il tuo occhio al di sopra dell’orizzonte del mondo! Guarda con nuovi occhi e nuovo spirito il vittorioso e l’eletto, e nuova virtù scaturisca dai resti abbandonati delle antiche gelosie ed invidie. Dimentica, fanciullino, ciò che fu. Incendia i malfermi edifici che furono. Nuove fondamenta dovrai edificare, e quando anch’esse saranno divenute superflue, distruggile, non esitare! E quando la Grande Primavera avrà spazzato via le nebbie dell’inverno, e il vittorioso potrai guardar da pari a pari, distruggi anche il vittorioso, brandisci le cose dimenticate, riscopri la malvagità serena della tua invidia e gelosia, ricostruisci il tempio del male! E se perirai - libero perirai!
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Contro l’ode alla sconfitta
Un fiato gelido, avverto. Ombre funeste cantano lugubri canti. Prefiche sputate dal più profondo degli inferni, così mi appaiono. Ah, ecco cosa siete! Vi chiamano adulatori: io vi chiamo assassini della santità, ostacoli sulla via che conduce alle più alte altitudini! Fuggite, e liberatemi del vostro orrendo rumore! Il sentiero del vittorioso corre lontano dalle vostre limacciose paludi, corre dritto mentre voi siete storti, e fate tutto storto. Voi intendereste convincermi che a Barcellona fu trionfo. No, fu sconfitta! Voi, con la vostra astuta eloquenza da sensale di cavalli, con parole di fiele imbevute di delizioso miele, vorreste forse persuadermi che c’è nobiltà nella disfatta, bellezza nell’incompiuto! Voi, che mai avete percorso i sentieri del vittorioso, non avete più coscienza di un insetto: siete un riflesso dell’arte adulatoria di chi vi ha preceduto, siete eterni allievi della falsità, bassi fra i bassi. In verità vi dico che cercare bellezza nella sconfitta è come cercare bellezza in un bel corpo decapitato. Esprime forse bellezza un bel corpo decapitato? O esprime ribrezzo? O forse - tristezza? Sia lontano da me, quest’oppio - la tristezza! Gaie sempre t’accompagnino, fanciullo, le immagini - no, non immagini, le verità - di quell’ometto minuscolo (1) che trasformò un pallone aereo in volontà, e conquistò le altitudini, disponendo la propria volontà sopra se stesso, creando un frammento di mondo, e sempre t’accompagni quell’Iperione che salendo sul più alto fra i cerchi fece sole quando era notte, portò luce dov’era solo tenebra (2). Attorno al vittorioso ruotano i cerchi del mondo. Il vittorioso crea e governa secondo giustizia. Ma la sconfitta - non deve esisterne nemmeno il nome!
(1) Sensi contro l’Udinese
(2) Lukaku contro il Milan
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Banane e lampone
Non ci posso fare proprio nulla: la sola cosa per cui riesca ad indignarmi è l’indignazione altrui. Stavolta, il malcapitato caduto mani e piedi nella carta moschicida dei moderni Torquemada è Luciano Passirani, direttore sportivo d’un calcio, ed un mondo, d’altri tempi, riciclatosi opinionista nel circo equestre di Fabio Ravezzani, e sino a oggi noto al pubblico di Internet unicamente per la caduta del suo parrucchino durante una puntata di qualche anno fa. Passirani è reo di aver motteggiato che Lukaku è così incontenibile che “lo fermi solo con 10 banane” (sic!). Apriti cielo. La stangata del direttorissimo Ravezzani è giunta immediata e severissima: Passirani non sarà più invitato in trasmissione, malgrado le scuse tosto presentate per l’efferata e proditoria scelleratezza uscita dalla sua bocca. Andrebbe premesso che in quel lupanare intellettuale che sono i programmi culturali di Ravezzani è stato tollerato di molto peggio, da spogliarelli di sacripanti di cinquant’anni rimasti letteralmente in mutande, alle intemerate al napalm della buon’anima di Ginone Bacci contro i “fffrosci”, ai refoli di gusto vagamente filo-fascistoide e guerrafondaio di Gian Luca Rossi. ai biascicamenti reiterati ed incomprensibili di un personaggio tanto pittoresco quanto francamente impresentabile quale Cesare Pompilio, alle sinistre analogie di Matteo Colturani, desumibili fra le righe, tra i centrocampisti di colore (proprio loro!) e gli schiavi delle piantagioni di cotone. QSVS è una lunga e frastagliata galleria di pattume televisivo la cui funzione sociale perspicua è indurre un sorriso nel bilioso spettatore, raffreddandone lo spirto guerrier che rugge entro il suo cuore: le stesse liti, palesemente dei maldestri artefatti, diventano fonte di sghignazzo, e non già di incazzatura. Lo stilnovistico eloquio di Passirani si va quindi a installare in un’intelaiatura molto definita e congruente. Stavolta però il direttorissimo ha deciso che la misura era colma. Il sospetto è che Passirani abbia fatto le spese, con una frase facilmente impugnabile, di un clima ultra-esacerbato a causa dei recenti fatti di cronaca che hanno visto protagonista proprio Lukaku a Cagliari: Ravezzani, da opportunista qual è, ha sfruttato l’episodio a suo favore per dare una lezione di buone maniere e di tolleranza a tutta Italia. Passirani è stato un involontario mezzo asservito agli scopi di una delle più spietate faine del panorama televisivo italiano. Se una colpa gli si può imputare, più dell’irricevibile accusa di razzismo (di cui tratteremo più diffusamente nel seguito), più dell’ignoranza, più dell’idiozia, è certamente l’inopportunità di una frase del genere. Una frase simil-razzista, su Lukaku, in un momento in cui tutti, ma proprio tutti, hanno parlato di quell’episodio di Cagliari! Sei fori di melone, caro Luciano: parafrasando Gianni Clerici, ti sei fiondato alla pugna, sotto il fuoco di sbarramento, senza l’elmetto. Come mi sarei comportato io, al posto di Ravezzani, si domanderà qualcuno? Avrei rivolto una reprimenda a Passirani, senz’altro, richiamandolo al decoro e dissociandomi con convinzione da quella che è un’idiozia bella e buona. Avrei porto le mie scuse alle persone di colore all’ascolto - o ai neri? o agli individui di etnia africana? come si dice per non beccarsi del razzista? - e avrei chiuso il caso. Sono peraltro pronto a scommettere che i neri abbiano strepitato per l’episodio molto meno dei sommi sacerdoti “bianchi” della Congregazione della Tolleranza. Rinvenire un seme di odio o discriminazione razziale in una frase di tal fatta è folle e irriguardoso e rinvia ad una problematica di cui da molto tempo ho posto l’urgenza e l’attualità, ossia la perdita di significato dei concetti, delle parole che diventano puri significanti a disposizione di una volontà forcaiola. Magari gli strenui difensori del congiuntivo s’applicassero con un decimo della dedizione alla salvaguardia dell’integrità delle parole! Aprirei una parentesi sul tema del significato delle parole: una difesa di Luciano Passirani potrebbe pure articolarsi attorno alla ricerca di una volontà “goliardica”, è inutile precisare che si tratterebbe di una difesa d’ufficio sciocca e ancora una volta dimentica del senso dei termini. Quella di Passirani non è goliardia: è pura idiozia. Così come i satiri di Charlie Hebdo, quando frequentemente esondano dal loro preteso diritto di satira, non sono dei fini analisti della società: sono degli idioti. Tornando al razzismo, esso, nella storia dell’uomo, ha dei connotati molto precisi. Ha il volto degli assassini che hanno compiuto il linciaggio di Jesse Washington, a Waco; ha il volto degli assassini dei tre ragazzi dei diritti civili, nel 1964; ha il volto degli aguzzini di Nelson Mandela; ha il volto dei segregazionisti americani; ha il volto incappucciato dei demoni bianchi del Ku Klux Klan; ha il volto del procuratore che ha mandato alla sedia elettrica Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti; ha il volto di coloro che lanciarono proprio delle banane al ministro Kyenge durante una festa del Partito Democratico, un gesto plateale, umiliante e calcolato, tre attributi che non appartengono al motteggio che è oggetto della nostra speculazione. Il razzismo non ha certamente il volto beota e forse un poco alticcio di Luciano Passirani. Ne ho abbastanza di mostri usa e getta sbattuti in prima pagina. Forse qualche sciagurato crede che Passirani picchierebbe un nero, o che lo insulterebbe ad alta voce per strada, o che si rifiuterebbe di sedergli accanto in un bar? O alternativamente, crede che Passirani, con questa frase, trasformerebbe dei galantuomini all’ascolto in potenziali picchiatori di neri? L’odio razziale, la discriminazione razziale, sono concetti di una gravità socio-storica inaudita che hanno una loro area semantica di competenza specifica ed intoccabile. Le indignazioni verso i milioni di Passirani di questo mondo producono, piuttosto che una sensibilizzazione al fenomeno, una sua sottostima. Se così tante manifestazioni dell’agire umano sono riconducibili al razzismo, quelle poche volte che ci troveremo davanti al razzismo autentico, quando non basterà mettere all’indice l’inerme Passirani, sapremo come comportarci?
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Tutto quel che ci ha evitato Novak Djokovic (e tutto quel che ci ha regalato)
L’eredità a lungo termine che la vittoria di Nole lascia nel cor di noi che follemente lo amiamo è un piacere che non si estinguerà mai. Una vittoria giunta a conclusione di una delle sue finali slam giocate peggio (tra quelle vinte, seconda sola a Parigi 2016), e per contro, in una delle giornate più ispirate del suo avversario, il GOAT, ma chissà ancora per quanto. Il corollario di benefici che invece porta in questi giorni successivi a quella che già possiamo definire la PASSONATA IRREVERSIBILE E SUPREMA è assai ricco. Nole ci ha evitato tante di quelle suppostone che cento pellegrinaggi a piedi a Belgrado non basterebbero per rendergli grazie:
1) i pistolotti sull’immortalità di Federer che ha domato il tempo, lo spazio, la biologia, la fisica, la matematica, la geometria. Ma non Nole, che tutte le transeunti umane conoscenze trascende
2) i pistolotti sul bel tennis di Federer che ha sempre la meglio sui maniscalchi privi di fantasia e di talento (Nole senza talento? deh, o INCOMMENSURABILE bestialità, o INCOMMENSURABILE ingenuità!)
3) ci ha evitato il faccione festante a fine match di quell'ippopotamo della Mirka, che nell’inquadratura nemmeno ci entrava per quanto era spropositato. Non ci si raccapezza sul perché l’abbiano inquadrata non meno di cinquecento volte durante la finale e nemmeno una volta dopo i championship point annullati o durante la premiazione, quando sarebbe stato altamente sfizioso bearsi della vista del suo rassegnato grugno. Ma forse anche i cameraman tifavano Federer, erano in buona compagnia del resto: buona PASSONATA IRREVERSIBILE E SUPREMA anche a loro
4) i tweet grondanti vieta retorica di Mangiante, che ha dovuto abbozzare e tradurre la sopraggiunta terrificante tranvata in un “hanno vinto tutti e due, bravo Roger, e, ahem ahem, perdonate la raucedine stagionale, bravo anche il serbo capitato lì per caso che gli ha fatto da sparring partner”
5) platoniche discettazioni sul tennis di Federer quale esperienza religiosa, da parte di ciukkettoni in prestito dalle curve del calcio, i quali d’altra parte non saprebbero distinguere un’impugnatura semi-western da una continental
6) decenni di repliche su supertennis della finale. Invece, una distratta sintesi alla domenica sera, e poi, tutto nella pattumiera
7) fondini, elzeviri e articolesse vergati da insigni docenti universitari di filosofia che ci avrebbero spiegato come la vittoria di Federer rientrasse in un disegno superiore già previsto da Heidegger
8) il possibile (probabile?) ritiro alla Sampras di Roger Federer, col coppone slam in mano. No, ruggero ancora, molte passonate ancora dovrai patire prima di giungere all’estremo passo
9) la chiusura tombale del discorso GOAT. Nolone oggi poteva trovarsi a -6, o addirittura a -8, se ripensiamo ad altri match point in questa settimana rievocati, quelli annullati nella semifinale di Flushing Meadows 2011. Federer avrebbe disposto poi in finale del timido Nadal di quel 2011, e, zacchete, fine dei giochi. Che invece sono apertissimi
La PASSONATA IRREVERSIBILE E SUPREMA ci ha d’altro canto permesso di assistere a sollazzevoli fenomeni, alcuni dei quali mai avremmo creduto possibili:
1) quelle carampane che col ditino sollevato supplicavano il roger “Ancora uno, roger, ancora uno”. Un’immagine diventata già sfondo del cellullare di mille e mille tifosi noliani
2) la necessità invocata da taluni geniacci di introdurre il pareggio nel tennis, come a volerlo parificare con altri sport pilateschi (qualcuno ha detto calcio?) che non si assumono la responsabilità di esprimere per forza un vincitore. Il tennis è cattivo, il tennis è brutale, il tennis è crudele come la vita. C’è chi vince e c’è chi perde. Si è mai visto qualcuno pareggiare nella vita?
3) la spietatezza del tie-break sul 12 pari, che evira il pathos del match, riducendo la soluzione di un enigma lungo quasi 5 ore a un’estrazione del lotto. Cosa su cui potrei anche essere d’accordo, non essendoci nel tennis uno più passatista di me, ma come sempre c’è un però. Obiezione numero uno: se il long set fosse stato mantenuto per intiero, e Nole avesse vinto 35-33, il latrato di lor signori sarebbe stato “Il robot serbo ha vinto perché ha più fiato, ed usa pure la camera iperbarica, tiè!”. Obiezione numero due: il tb sul 12 pari è stato introdotto dopo 140 serenissimi anni, proprio perché il roger ha perso al long set contro Anderson nel 2018. Per i peones Isner e Mahut nel 2010 nessuno si era dato pena. Il tie-break, introdotto per fare un piacere al roger, gli si è ritorto alla fine contro.
4) ma sì, facciamo votare la bellezza dei punti a una giuria tecnica al pari di quelle del pattinaggio artistico. Il tariffario: un tweener vincente vale 3 game; una volèe in tuffo, un game; un dritto in controbalzo del roger, 2 punti; un rovescio lungolinea di nole dopo uno scambio di 50 colpi, mezzo punto, perché nole è brutto, cavernicolo e pure puzzone. Chi glielo dice poi a questi illuminati che il roger ha costruito i suoi successi nell'età dell’oro 2004/2007 giocando da fondo campo? Chi glielo dice che in quanto a bellezza del gesto, Feliciano Lopez, Llodra, Youzhny, gli sono anche superiori?
5) “in fondo in fondo il vero vincitore è stato il rogiah, statistiche migliori, tennis migliore, più break, più punti, più game, non resta che abrogare anche il vile istituto del match point, che non fa che premiare il tennista meno meritevole”
6) ci ha permesso di assistere alla sublimazione delle lagnanze circa la velocità dell’erba. Lamentazioni che si erano susseguite senza posa lungo le due settimane, ma che oggi hanno raggiunto il loro acme. Con l’erba vera rogiah avrebbe vinto 20 wimbledon su 18 giocati, con l’erba vera NOLE avrebbe fatto il giardiniere a Church Road... Ignorando che non si era mai visto un NOLE così in difficoltà in risposta, che Nadal, non proprio un Karlovic, in questo torneo ha fatto un mare di ace come mai in carriera, e ignorando anche che il rogiah, sull’erba finta post 2001, ha vinto tutti i suoi tornei di Wimbledon, e magari sull’erba vera avrebbe perso pure con l’Airone Stich o col mitico Pat Cash, senza scomodare Sampras e Becker... considerando che negli attacchi in controtempo e nei serve and volley d’antan non è proprio un drago, qualcuno ha detto 8-7 40-30?
7) La frangia più oltranzista della claque narcisiota, sentendo tremare il terreno sotto i piedi, sta principiando a sostenere che gli slam sono solo un numero, e che quindi NOLE potrà anche vincerne 25, 30, ma la natura divina di Roger ne verrà punto intaccata. Gli head to head? Idem, pure fandonie, oppio dei popoli. Il 3-0 nelle finali sul suo giardino di casa? Ma roger era vecchio, e stanco, se NOLE fosse stato coetaneo di roger ne avremmo viste delle belle (magari avremmo visto anche meno finali con Baghdatis e mano de piedra Gonzalez...)
8) a proposito di età: i federasti rilanciano la tesi che tra 5 anni NOLE sarà a far la fila all’INPS per prendere quota 100 e reddito di cittadinanza, ma quando il roger vinceva Wimbledon a 31, o faceva finali a 33, emettevano identici espettorati. Eppure NOLE, a 32 anni, invece di essersi ritirato, ancora li inchiappetta, e a 37 anni - se il roger non si sarà rassegnato a passare le intere giornate insieme a quella simpatica arpia della Mirka - li inchiappetterà ancora, e ancora, e ancora...
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Se NOLE avesse perso...
Ace. Una pioggia di ace. Stavolta in Nole l’occhio della tigre è assente. Rocky deve gettare la spugna contro Ivan Drago: prima o poi doveva accadere. Se c’è un automa freddo e spietato in campo, quello è Federer. L’epopea dell’uomo che vince ed esorcizza l’incubo della macchina subisce una tragica battuta d’arresto. Forse fra molto tempo, questo giorno ci apparirà più rivelatorio che infausto. Lo celebreremo come l’epifania definitiva dell’umanità di Nole Djokovic. Una rivelazione che è molto lontana dall’essere lo scoperchiamento di un inganno. E’ in fondo quello che avevamo sempre saputo, sebbene il suo folle, utopico e fortunato slancio di opposizione al regime ci avesse illusi del contrario. Siano elevate laudi all’umanità di Nole, peste alla macchina, peste al tiranno!
Ace. Una grandinata di ace. Lo scorrere della sabbia nella clessidra è lento. L’agonia nell’attesa di un colpo di grazia che crudelmente non giunge è terrificante. Germoglia un’angoscia negli animi. La paciosa soddisfazione sui volti del clan di Federer, l’acclamazione divertita e a mo’ di sberleffo dell’insaziabile platea ce lo confermano. Si sta consumando un sacrificio umano sull’altare del dio tiranno, del dio macchina. Il moloch esige di riscuotere il suo fatale tributo. Il prolungamento dei supplizi dell’innocente è la sua privilegiata fonte di soddisfazione. La resistenza di Nole al piano inclinato che minaccia di inghiottirlo è eroica, umanissima ed inutile. Il dio ha deciso che oggi è giorno di sacrificio. La sua fame è illimitata. La consapevolezza e la compostezza di un’Ifigenia, abitano ormai lo sguardo di Nole. All’apparir del vero, tu misero cadesti, Nole. Non ci sarà gloria, questo è giorno di lutto.
Ace. Prime vincenti. Ace. Il pensiero si rifiuta di accettare l’assassinio che si sta consumando sul prato del centrale di Wimbledon, e corre verso la folla di idolatri del vitello d’oro sulle tribune. Da venti anni si perpetua il rito dell’acclamazione del vuoto. Il tennis di Federer è reiterazione ostinata e in fondo idiota di una bellezza concepita in vitro. E’ perfezione apollinea che con incoscienza si pasce di se stessa. Federer è un dio bambino che si balocca con i fili dei destini degli uomini come fossero soldatini di piombo. E’ Michelangelo se per tutta la vita avesse continuato a scolpire e contemplare il David, senza curarsi di creare alcunché d’altro. E’ la fissità classica, amorfa e secca di una Piazza d’italia di De Chirico. Mancando in Federer il conflitto fra le opposte passioni, fra il buio e la luce, fra l’abisso e la redenzione, manca anche l’equilibrio da esse raggiunto. S’armonizzano in Rafael Nadal selvaggia virulenza e timidezza d’un pulcino, Nole Djokovic è insieme precisione cartesiana e fuoco vivo, ma Federer? Maniacale dedizione da travet e barbaro collezionista di teste di cervo. Somiglia all’Haydée de “La collezionista” di Rohmer, una donna vacua e sciocca che accumula amanti per consuetudine, non per amore, ma neppure per trovare piacere. Solo perché così è e così dev’essere.
Ace. L’ultimo ace. Tutto è compiuto. Si accendono i primi fari della sera, ormai. Federer può divorare brano su brano il suo fiero pasto, che è in fondo semplicemente una linea di separazione fra la preda che l’ha preceduta e quella che la seguirà. Persino Nole Djokovic andrà a far bella mostra sulla vasta parete dei trofei di caccia di Federer. Questa sarà infine l’eredità che Federer lascerà al tennis: la sfilata ininterrotta dei suoi titoli e delle sue vittime. La stolida onanistica assenza di finalità nel suo tennis un giorno presenterà il conto, e del Federer impiegato, sicario ed esecutore della sua stessa volontà divina, ricorderemo esattamente ciò per cui ha inteso per tutta la vita essere ricordato: il freddo numero, guscio vuoto, vano idolo. C’è più gloria e più vita nella testa di cervo che nell’abitudine del cacciatore.
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Se il tuo nemico è migliore di te, copialo
Non sono mai stato tenero con la proprietà cinese: chi mi legge, sa e capisce. Ho amato al contrario visceralmente Massimo Moratti, perché ha dilapidato un patrimonio - più di un miliardo di euro! - solo per amore dell’Inter. Qualcuno la chiamerebbe retorica, invece sono fatti. Lo amo ancora adesso, benché i pasdaran nerazzurri vogliano mettergli la museruola e impedirgli di esprimere i suoi sacrosanti pareri su quella che rimarrà sempre una creatura generata dai suoi lombi. Parimenti, non si possono tacere gli errori commessi da Moratti nel corso della sua lunga gestione: il cosiddetto interismo, sentimento nobile, è stato spesso un’arma a doppio taglio, un fremito che fa battere fieramente i petti di chi lo prova, ma una strategia raramente vincente. Persino Massimo Moratti, per cominciare a vincere, dovette piegarsi alla ragion di stato: prima ci provò con Lippi, ed andò male, più per il caratteraccio di Lippi che per la sua juventinità, benché il concetto che viene fatto passare sia sempre il secondo; nel 2006, in piena tempesta Calciopoli acquistò Vieira e Ibrahimovic, e questa è la vulgata che conosciamo tutti. Ma prima che deflagrasse la buriana calciopolara, Moratti aveva deciso di assumere sia il sulfureo Luciano Moggi, sia il simbolo bianco-rossonero Fabio Capello. Poi, scudetto di cartone, e avanti tutta con Mancini.
Credo che l’interista sia molto indigesto alle altre tifoserie per questo suo battersi il petto credendo di essere il centro del mondo. Come esiste nell’agone politico, una superiorità morale storica e indimostrata della sinistra, così nel mondo del calcio c’è lo smoking bianco di Materazzi, a eternamente significare il primato etico dell’Inter sopra tutte quante le altre squadre. Per il rossonero, il Milan è una delle squadre più vincenti del mondo; il bianconero ammette di tifare una squadra tirannica todo modo, e se ne compiace senza farne mistero; per l’interista, invece, l’Inter è la squadra più pura, la più bersagliata dai dardi d’atroce sorte, immacolata, incorrotta, illibata fra tutte. E’ il centro del mondo. Mentre i tifosi delle altre due big del calcio italiano fanno vanto dei loro successi e sulla base di essi fondano la propria idea di supremazia, l’interista rintraccia il primato in una serie di attributi esterni al fatto sportivo. Il milanista schiaffa in faccia le 7 Champions League, dati numerici e irrefragabili; l’interista nel frattempo si appiglia all’aria.
Ma non è mia intenzione presentare qui una fenomenologia del tifoso interista. Piuttosto, mi rallegra che la proprietà cinese una fra tante decisioni l’abbia indovinata. Ha capito che il modello Inter semplicemente non funziona, se mai ha funzionato, e, senza troppa fantasia, ma con gran prontezza, ha deciso di copiare l’unico modello vincente in Italia: la Juventus. Ha tolto l’Inter dal centro del mondo. Ne ha demolito pietra su pietra il sedicente primato morale. L’ha finalmente riconsegnata al mondo reale. L’ha fatta ridiscendere da quell’iperuranio fatto di sogni morti e di illusioni mendaci. Marotta e Conte sono due uomini di calcio, così come l’Inter è una società di calcio. L’Inter non è al di fuori dello spazio e del tempo, e non è al di là del bene e del male. Il tifoso interista, anche se non vuole ammetterlo, desidera più di ogni altra cosa vincere, e non urlare a squarciagola di essere diverso mentre gli juventini alzano coppe, coppette e coppone a ripetizione. Leggo che Conte dovrà far voto di interismo per lavare le colpe passate. Io dico che Conte non dovrà fare proprio niente. Si vorrebbe obbligare Conte a recitare la parte dell’interista, a fare l’interista, ma il tempo di quelle ruffianerie è bell’e che passato, scappato via con quel taxi madrileno della notte del 22 maggio 2010. Conte dovrà conquistare i suoi giocatori - cosa che gli riesce sempre senza troppe difficoltà - ma dovrà rimanere se stesso. La rivoluzione contiana sarà vincere facendo a meno dei brandelli di interismo retrivo che ancora resistevano e persistevano nei motteggi di Spalletti (che interista, però, dentro non lo è mai stato). Conte spazzerà via il passato una volta per tutte, e allora sarà solo presente.
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Adieu au langage
Abbiamo perso il linguaggio. Viviamo in una gigantesca torre di Babele. Non ci capiamo più l’un con l’altro. L’origine di questa incomunicabilità contemporanea è da far risalire, suppongo, all’esplosione delle tecnologie digitali, e di conseguenza di una conoscenza accessibile alle masse. Non perché, come erroneamente si dice, le piazze di Internet abbiano sostituito le piazze reali, e pertanto si sia persa la comunicazione de visu con il proprio interlocutore: questo è semmai un sottoprodotto secondario, un epifenomeno accessorio di un problema di più ampio respiro. Piuttosto, le tecnologie hanno consentito a tutti (o a molti) di costruirsi una conoscenza personale, e un linguaggio personale, e un’idea personale. Il web non ha sostituito le piazze, ma le scuole. Oggi, la vera scuola è costituita da Internet. Qui ci si ciba di politica, di sport, di economia. Qui si arricchisce il proprio bagaglio di nomenclature specifiche, spesso e volentieri anglicismi antipatici quanto incomprensibili. Un uomo che si forma da solo diventa il Dio di se stesso. Un umanesimo contemporaneo, molesto e deformato, tutto rivolto al sé, nel quale viene a mancare la tensione dell’Uomo nel suo ensemble verso l’alto: l’uomo oggi è autocentrato, non cerca la salvezza del suo prossimo e non desidera concorrere con il proprio simile all’adempimento di un disegno più grande.
La conoscenza approfondita sottende al più la rincorsa a un ideale. Ad esempio, una persona che legge tanti argomenti (circostanziati e competenti, ed è questo il guaio) attorno alla necessità dell’uscita dell’Italia dall’Eurozona, diventerà un antieuropeista convinto, a maggior ragione avendo la lama affilata della conoscenza nel suo fodero. Viceversa, chi intraprenderà una ricerca sugli studi di genere, diventerà un accanito sostenitore di tali tematiche e, lingua tagliente, metterà a tacere tutti quanti osino mettere in discussione i suoi ideali. Il punto fondamentale è che si rincorre un ideale non tanto per uno slancio di generosità anacronistico verso il prossimo, quanto per affermare il sé, ricercando all’esterno, nella conoscenza e nell’ideale, il riempimento di un vuoto interiore. Mi viene in mente il personaggio di Marcello Mastroianni ne La dolce vita: un sibarita, un viveur privo di vincoli etici, il paradigma dell’egoismo. Ma soprattutto, privo di ideali. Il che lo rendeva al contempo l’egoista assoluto, ma anche l’altruista assoluto. Come sempre gli estremi si toccano, in una circolarità perfetta. Egli non pretendeva affatto schiacciare il prossimo, che invece diventava occasione per un piacere condiviso. L’umanità unita sotto il linguaggio comune del piacere. Un mondo purtroppo irrealizzabile, o nel migliore dei casi andato perduto.
Ideali, e non idee. L’idea non ha colore. Chi desidera pervenire all’idea, padroneggia tesi e antitesi, e non prende posizione, osserva sornione dall’alto l’infrangersi delle maree del mondo. Il vero sapiente è in tutto uguale al vero insipiente. La totale conoscenza non potrebbe essere uno strumento per scaramucce verbali di piccolo cabotaggio e di grande antipatia su Internet: lo capite bene anche voi, deve essere per forza destinata ad altri scopi. L’uomo che avesse la piena conoscenza di ogni cosa si farebbe luce e guida per coloro che ancora annaspano, attorno a lui, nel buio di un ideale fallace e transeunte. La piena conoscenza è altruista, la conoscenza parziale è egoista.
Nell’Andrej Rublev di Tarkovskij, Teofane con pessimismo lamenta l’ignoranza del popolo, la quale aveva portato all’orrendo crimine della crocifissione di Gesù. Egli insegnava il bene - la conoscenza totale di cui sopra, la sola che valga la pena acquisire - e il popolo, ignorante, incosciente, lo ha tradito. Andrej Rublev risponde che non già il popolo, ma i farisei, ovvero un’elite, per censo e per intelletto, avevano sfruttato l’ignoranza del popolo e l’avevano volta a proprio vantaggio. Il popolo era innocente: non aveva peccato. Oggi, a differenza di quel che si può intuire, tale rapporto di subalternità elite-popolo non esiste più, poiché si è persa la non conoscenza. Orbene, dove sono finite quelle belle comunità agricole di inizio Novecento fieramente ignoranti (cfr. Albero degli zoccoli) che condividevano, in dialetto, tutto quanto, pane, acqua, il poco denaro, piccoli e grandi turbamenti, e naturalmente spiritualità? Sono oramai irritrovabili, in questo benessere indistinto dove l’ignoranza è scomparsa e si è affermato un dannato e frammentario sapere. L’elettore dei 5stelle, per fare un esempio terra-terra, non è affatto ignorante: è fin troppo istruito e cosciente. E potete star sicuri che sul web vi elencherà a menadito tutti i motivi per cui l’Italia deve tornare alla lira, e saranno tutti perfettamente plausibili e inattaccabili. L’incomunicabilità nasce anche dall’eccesso di precisione, dalla convinzione - il più delle volte assurdamente giustificata - che ha ciascuno di aver ragione.
Ma torniamo a bomba. La conoscenza parziale significa superbia. Perdita della purezza. Rifiuto della semplicità. Siamo bombardati di articoli&articolesse, di elzeviri, di messaggi sui cosiddetti siti social, nei quali l’unica stella polare pare essere l’incomprensibilità. Chi fa un uso abnorme di anglicismi, di gergalità ermetiche, di terminologie inutilmente roboanti, vuole dominare il prossimo, e non certo fraternamente abbracciarlo. Questa degenerazione del linguaggio non è il solito fenomeno di impoverimento di cui si fa un gran parlare: non è la riduzione del vocabolario à la 1984 di Orwell. C’è anche quello, ma non è il fenomeno predominante. Tutt’altro, ciò che denuncio qua io è proprio il fenomeno opposto: gente che scrive fin troppo bene, ma solo per asservire il proprio ego smisurato. Una degenerazione, questa, che incidentalmente ha portato alla quasi sparizione dei dialetti. C’è un’artefazione alla base della maggior parte degli scritti contemporanei: mancano di genuinità, sembrano costruiti in vitro appositamente per ottundere nella loro avvincente morsa i sensi e nient’altro. Di arrivare al cuore, non se ne parla.
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La gita a Tindari
Colpevolmente e tardivamente, benché io nutra gran trasporto verso le peripezie televisive del commissario Montalbano e benché da molti anni in casa giri il volume di cui vo testé a rendere conto, non mi ero mai arrischiato ad accostarmi a uno dei romanzi cartacei di Camilleri. Vi provai, varie volte, soprattutto in età adolescenziale, ma sempre desistetti a causa di quel linguaggio tipico camilleriano, un dialetto siciliano frammisto a vernacolo d’invenzione pura e semplice dello scrittore, che temevo di non comprendere fino in fondo. Tuttavia, come spesso accade, ciò che ci più intimorisce in tenera età, disvela in un secondo tempo tutta la sua carica attrattiva, allorché siamo dotati di una sufficiente esperienza per capire e quindi ammirare. Per cui, quello che pareva essere un limite insuperabile si è trasformato nella più interessante virtù del romanzo: lo stile di scrittura di Camilleri, oltre ad essere di una chiarezza disarmante anche per un lettore altoatesino, è trascinante, conturbante, unico. Non solo il contesto rende intuitivo il significato di qualunque termine, per cui, se leggo “babbiare”, al volo, senza lambiccarmici più che tanto, comprendo che il senso è “scherzare”, ma succede anche che con “babbiare” il discorso fila che è una meraviglia, risulta miracolosamente più scorrevole, persino più pregnante. Insomma, se il testo fosse scritto in italiano corrente, cosa che Camilleri dimostra in ogni caso di saper far benissimo in alcuni frangenti in cui vi è costretto - quando parla Livia o quando Montalbano ha a che fare con un superiore, ad esempio - non suonerebbe alle nostre orecchie altrettanto bene. Leggere Camilleri è un vero piacere.
Il libro, rispetto alla trasposizione televisiva, ha il potere di amplificare maggiormente sia i pregi sia i difetti del commissario, ma anche della stessa Vigàta. Per esempio, ci sono parti in cui apparentemente non accade nulla, e vediamo Montalbano recarsi per diporto, o per riflettere, sotto un enorme albero con tutti i rami avviluppati e attorcigliati in un groviglio inestricabile descritto con dovizia di particolari da parte dello scrittore; oppure seguiamo il commissario nel godimento dei piaceri della buona tavola e dell’aria fresca sulla mitica verandina. Tutti particolari di cui la serie fa menzione, per amore di fedeltà allo scritto, ma senza indugiarvi troppo. Il Montalbano cartaceo non è il poliziotto perfetto: qua e là accusa manchevolezze, scivola in errori che potrebbero costar caro, è superficiale, disattento. Non interroga testimoni che potrebbero essere chiave, si lascia sfuggire indizi rivelatori, non pensa a cose lampanti a cui dovrebbe pensare. Il fatto che ogni volta pervenga alla soluzione, malgrado questi incidenti di percorso, ne moltiplica la mistica.
Vigàta è un posto fatato, atemporale, adimensionale. E se non si legge il romanzo, non lo si può cogliere completamente. Ogni fatto, ogni episodio, persino ogni stortura, come le classiche ammazzatine, che sono truci esecuzioni talora - i due anziani coniugi assassinati nel romanzo, prima di morire “sparati” capitombolano malamente per terra, una terra dissestata, si fanno del male al punto che Montalbano paragona il loro martirio a una Via Crucis - o la presenza stessa della mafia, vengono avvertite come realtà inevitabili. Accadono, non ci si può far nulla. Così l’ammazzatina ci appare come il luculliano pasto a base di spigole di Montalbano, mentre il palazzo spropositato del boss mafioso Don Balduccio non ci ispira rabbia, incredibilmente, ma addirittura meraviglia, per tacere poi delle fìmmine, alle quali lo scrittore tributa inaudita adulazione: sono tutte sfaccettature di un disegno sovraordinato. Camilleri non condanna la realtà, ne tratta affascinato e al tempo stesso partecipe. Non è fatalista, poiché il dover essere del mondo comprende tutto quanto, cose belle e cose brutte, nella sua Weltanschauung. Lo scrittore siciliano alterna sapientemente momenti tragici a parentesi distensive di ineffabile divertimento, chicche di saggezza popolare simil-verghiane (Nuttata persa e figlia fìmmina), concessioni alla sensualità e alla disinibizione. Perché la vita a Vigàta ci sembra così bizzarra, così anti-esperienziale, così contromano rispetto al resto del mondo? Perché a Vigàta la vita è qualcosa di totale, fin troppo per gli standard che comunemente riteniamo accettabili, e al contempo rappresenta una liberazione dai vacui schemi della civiltà.
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Un tentativo di difesa di Mauro Icardi
Chi ha la ventura di osservare il dipanarsi delle mie acrobazie verbali, si sarà reso conto dell’improvviso ribaltamento di opinione sulla querelle che senza sosta tiene banco da due settimane abbondanti. Verrò accusato di essere un incoerente, un opportunista, un falso: esistono contumelie più gravi, e io sono un muro di gomma, respingo tutto, talora porgendo anche l’altra guancia. Sono mitridatizzato al veleno che scorre copioso attraverso l’etere. Apro una piccola e non indispensabile digressione: sono fatto così, il pensiero del popolo è come una calamita che mi respinge, polo positivo contro polo positivo. Non ne faccio un discorso di portata politica, absit iniuria verbis: non mi sentirete mai berciare di populismo e demagogia a sproposito, e forse nemmeno a proposito. La mia è un'attrazione naturale verso le cause perse: se avessi fatto l’avvocato probabilmente mi sarei trasferito negli States per lavorare a cottimo in quelle associazioni per la difesa dei condannati a morte. Uno dei motivi per cui mi sono ritrovato tifoso senza volerlo dell’Inter è proprio questo. Non so se sia così per altri.
Per cui, non ho avuto cuore di unirmi alla lapidazione indefessa ed unanime verso l’ex Capitano. I processi intentati dalle masse contro un unico imputato messo alla gogna pubblica mi hanno sempre disgustato, anche perché storicamente l’imputato si è quasi sempre rivelato un innocente. Ho cercato ordunque delle ragioni valide per poter perorare, anche stavolta, la causa del perdente, rinvenendole, alfine. Mi par di capire che il campione della tifoseria nerazzurra, in questa singolar tenzone fra l’interismo e l’icardismo sia il neo-amministratore delegato Giuseppe Marotta. Sguardo onnicomprensivo ed onnisciente, novello Temistocle. stratega provetto, Marotta, da simbolo del bieco oscurantismo bianconero, è trasfigurato in un fascio di luce che ha portato pace e sicurezza là dove prima c’erano miseria e sventura. Poco cale, agli aedi delle prodezze marottiane, che l’Inter prima del suo arrivo fosse pienamente in corsa per la qualificazione agli ottavi di Coppa dei Campioni e in campionato stesse viaggiando a vele spiegate con concrete velleità persino di secondo posto. Tutto ciò è svanito dopo l’avvento del Don: coincidenze, naturalmente. In qualità di exemplum della fermezza marottiana, viene portato spesso l’episodio del recalcitrante Bonucci, reo di insubordinazione verso l’allenatore nel febbraio 2017, e punito tosto con l’ormai mitologico sgabello. Dopodiché, marette dissolte e amici come prima. Fino a quei sulfurei quindici minuti di intervallo di Cardiff, i cui contorni rimarranno sempre sfumati, ma con una quasi-certezza inappellabile, suffragata dall’addio di Bonucci alla Juve giusto il mese successivo: Bonucci che apostrofa a malo modo Dybala, Bonucci allenatore che consiglia la sostituzione di Barzagli, Bonucci che sfiora la rissa fisica con i compagni. Quei quindici minuti hanno mandato a monte l’intera stagione bianconera. Questo è avvenuto, incredibile dictu, alla Juve, roccaforte storica ed inespugnabile della disciplina. L’eccesso di severità, malgrado un ambiente geneticamente predisposto come quello della real casa, ha sortito l’effetto opposto di una nuova insubordinazione, nel momento meno propizio della stagione.
Figuriamoci in un pollaio caotico come quello nerazzurro. All’Inter non avremo nemmeno quel bene, della ricomposizione, anche solo temporanea, delle frizioni fra giocatore e spogliatoio/allenatore. Non c’è dubbio che Icardi sbagli nel suo seguitare a non voler scendere a compromessi, ma si tratta dell’errore di un innamorato tradito e lasciato solo, abbandonato, dimenticato. In fisica c’è il terzo principio di Newton: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Togliere la fascia di capitano a Icardi è stato un gesto inutile, ma soprattutto dannoso: inutile perché se la fascia la indossa Icardi, o Handanovic, o Dalbert, non c’è differenza apparente - qualcuno conosce chi siano i capitani della Lazio, della Fiorentina, della Sampdoria?; dannoso perché è stata sottratta proditoriamente a un calciatore che la riteneva un oggetto prezioso, segno del suo sacrificio. Non un premio, poiché la fascia di capitano non ha un valore matematicamente quantificabile, bensì un simbolo. Icardi ha reagito con un rifiuto pari all’affezione che provava verso la fascia di capitano. Certo, si dirà che il principio di azione e reazione è applicabile tale e quale a quel che ha preceduto il mortale schiaffo: le richieste reiterate e sguaiate di Wanda Nara dalle libertine tribune dei salottini pardeschi meritavano un punto fermo, abbisognavano di un freno inibitorio. Tuttavia, nel mare magnum delle interviste esclusive, dei messaggi criptici, delle missive a mezzo social, del chiacchiericcio indistinto e perpetuo sulla vicenda, sembra che anziché tacitare i queruli ronzii dell’Ape Regina, essi abbiano ricevuto al contrario un’insperata cassa di risonanza.
Il provvedimento è stato un salto mortale senza rete di salvataggio. Non dirò che bisognasse rinnovare il contratto a Icardi, perché ho sempre sostenuto il bisogno di staccarsi dalla mammella dell’ex capitano, molto più matrigna che materna, assolutizzante, ipertrofica, dispotica. Tuttavia, la realpolitik avrebbe imposto di continuare almeno fino a giugno tenendo il piede in due staffe: guardandosi intorno alla ricerca di alternative, ma nel contempo tenendo buoni i due amorevoli piccioncini, tergiversando, prendendo tempo come un Quinto Fabio Massimo, non devastando il nemico come Attila. Quello mi sarei aspettato dallo stratega Marotta, non il decisionismo di pancia che sempre si assicura la salva di applausi nell’immediato, ma quasi mai conduce alla Luce, alla Salvezza, alla Verità. In questo muro contro muro stanno perdendo tutti: l’Inter, privata di un uomo da 122 gol, in una stagione che avrebbe dovuto essere necessariamente di riconferma, ma castrata anche di un asset che sta precipitando nel valore giorno dopo giorno; l’ex capitano, naturalmente, divenuto in men che non si dica il nemico numero uno della tifoseria e l’artefice di ogni male; e lo stesso Marotta, il quale, in caso di fallimento dell’obiettivo quarto posto, inizierebbe come peggio non potrebbe la sua avventura nerazzurra.
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Sulla fatuità delle accuse a Fulvio Collovati
Il tribunale del web ha sentenziato, si svolga l’autodafé: che Fulvio Collovati abiuri le sue sacrileghe frasi sulle donne che non capiscono nulla di calcio, o sia messo tosto sul rogo, figurato, s’intende e si spera. Quello del campione del mondo di Spagna 82 è solo l’ultimo capitolo di una lunga teoria di cyberprocessi nei quali la pena è per nulla commisurata alla colpa, se esiste una colpa. Non più tardi di due settimane fa, il mio quasi-concittadino Francesco Renga si è dovuto inginocchiare sui ceci implorando misericordia dopo aver fatto una notazione innocentemente tecnica circa la differenza tra le qualità canore maschili e femminili. Lo scandalo è stato nazionale. Le bufere fatte esplodere dai napalm51 camerettari sono ormai l’amaro pane quotidiano.
E’ d’uopo una premessa. Non si è liberi di dire ciò che si vuole, tout court. Se valesse il principio della totale e piena libertà di parola, si autorizzerebbe ciascheduno a proclamare le bellezze del cannibalismo, o le soavi lusinghe del lanciarsi da un grattacielo, o i terribili pericoli che si celano dietro i vaccini (ah no, questo lo fanno, e ricevono anche il pubblico encomio!). Sussistono dei vincoli inviolabili, da rinviare al buon gusto, alla decenza, alla sensibilità di un’etnia, di una classe sociale, di un genere. Su questo non ci piove. Ma la frase di Collovati, che qui riporto: “Sara (Peluso, nda) è un’amica, ma quando sento una donna parlare di tattica mi si rivolta lo stomaco, non ce la faccio. Se parli della partita, su come è andata, bene, ma non puoi parlare di tattica. Una donna non capisce come un uomo” non ha contenuti insultanti, per alcune semplici ragioni. La prima, la più evidente: si sta parlando di calcio, e non di fisica nucleare, o di medicina, o di economia. Il calcio non è un prodotto né dell’estetica, né tanto meno della ragione umana. Non si sta dicendo: le donne non possono esercitare la professione medica, o scientifica, o artistica tal quale agli uomini, perché non sono dotate quanto loro. Una donna può tranquillamente sopravvivere e realizzarsi pienamente nella propria esistenza, pur non essendo ammessa al sancta sanctorum dell’episteme futbolistica. Può vincere il premio Nobel, diventare presidente degli Stati Uniti, essere spedita nello spazio, fare tutte queste cose non solo come gli uomini, ma meglio di loro; e non sapere nemmeno la regola del fuorigioco. Sono sufficientemente persuaso che le suffragette non abbiano condotto le loro battaglie per spalancare le porte del calcio al genere femminile.
Purtuttavia, l’enunciato di Collovati non ha necessariamente lo statuto di verità. Anzi, sicuramente non lo ha, perché sicuramente esistono donne che conoscono il calcio, ed anche meglio degli uomini. Di qui, si aprono due alternative: la frase di Collovati o è una fesseria, o è una battuta. Se è una fesseria è inoffensiva per i motivi di cui sopra, Collovati non sta limitando il diritto all’autodeterminazione della donna e non ne sta oltraggiando la sensibilità. Perché mai una donna dovrebbe sentirsi offesa? il massimo che possa fare è riconoscere l’inconsistenza dell’assunto collovatiano. Alternativamente, è una facezia, ipotesi che io mi sento di sposare maggiormente, che rinvia al topos della guerra fra sessi, iper-abusato nel periodo della commedia classica americana, e facente leva sui più innocenti cliché circa la dicotomia sesso maschile-sesso femminile. Il calcio rientra evidentemente fra questi. Altrimenti, tacciamo di sessismo anche “La partita di pallone” di Rita Pavone.
La generalizzazione di Collovati contiene un seme di errore, come tutte le generalizzazioni. Tuttavia, si rivela analogamente errata anche una generalizzazione fatta sul sentimento di indignazione: quella frase non è “sessista”, non offende “tutte” le donne (a parere di chi scrive, non dovrebbe offenderne nemmeno una), ma al più dovrebbe stuzzicare quelle donne che seguono abitualmente il calcio, che non sono “tutte” le donne. Mentre “tutte” le donne devono avere il diritto a poter fare scienza, economia, politica esattamente come gli uomini, non “tutte” le donne nutrono interesse verso il calcio. Una spiegazione ultronea, ma necessaria visti i chiari di luna in cui viviamo. Sarebbe un atto di maturità stendere per una volta un velo di silenzio sopra queste vicende, nell’interesse stesso della causa femminile (o degli stranieri se stessimo parlando di razzismo, o dei più poveri se stessimo discorrendo di classismo, e così via). Mettere nello stesso paiolo le tante banalità e le poche cose serie su cui vale davvero la pena di interrogarsi e, perché no, di indignarsi, significa equiparare tutti i fenomeni sullo stesso piano e banalizzarli, renderli regola, abbassare la soglia dell’attenzione e quindi perdere di vista le reali gravità.
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Wandanovela
Ci risiamo. La querelle tra Icardi e l’Inter si ripropone ancora una volta, sempre uguale a se stessa, come una stanca telenovela argentina. Le sparate della wanda, la divisione della aficiòn nerazzurra in schieramenti pro o contro il prode capitano, l’inanità della società di fronte alle richieste dei due amanti diabolici, il voyeurismo della stampa che osserva le venture di questo miserabile bordello di provincia con occhio lubrico e famelico. Se c’è qualcosa che nega l’assunto eracliteo sul divenire, è proprio l’Inter di queste ultime annate. Cambiano gli addendi, cambia anche l’ordine, ma non il risultato: le sconfitte si susseguono secondo un certosino canovaccio che sembra scritto a tavolino da uno sceneggiatore sadico di quart’ordine, agli allenatori parte la trebisonda sempre nello stesso modo e sempre nelle stesse fasi della stagione, e così anche le esose richieste del capitano seguitano a ripetersi perennemente uguali. Ci si appropinqua alla scadenza del contratto; la wanda comincia a strombazzare offerte da tutto l’universo mondo per il suo bel maritino, con la sgradevole variante, stavolta, del potersi valere di una quinta colonna mediatica, sia pure con share da prefissi telefonici, come l’edificante programma sportivo di Pardo, la cui pinguedine è inferiore solamente alla favella; la dirigenza interista accusa il colpo, viene incalzata, viene messa sotto schiaffo sotto più piani, tutto e il contrario di tutto, qualcuno ci vede della compiacenza nei confronti dei due wanditos, altri della mancanza di polso, altri ancora rimproverano l’esatto contrario e pretenderebbero un rinnovo ricco, tosto, subito ed immantinente.
Ma veniamo all’attualità: la notizia fresca fresca di giornata è la destituzione dal rango di capitano di Icardi. Un mezzo provvedimento che farà esplodere di giubilo tutti coloro che ritenevano Icardi indegno della sacra fascia indossata un tempo da Peppino Meazza, Sandro Mazzola, Mariolino Corso, Facchetti. Ci sarebbe piuttosto da chiedersi quale sia l’utilità e il senso della fascia di capitano nel calcio di oggi, landa sterile deprivata del sentimento. La mozione degli affetti fatta dal tifoso interista è commovente, ma è fuori tempo massimo: non esistono capitani, non esistono più bandiere, non esistono più nemmeno giocatori di calcio, ma esistono partite IVA, aziende, contratti di sponsorizzazione. Che cosa cambierà negli effetti fra prima e adesso? Zero. Non dubito infatti che il contratto sarà adeguato e rinnovato, e nutro il timido sospetto che gli zeri sul bonifico facciano più presa sui due wanditos rispetto alla purezza e alla bellezza incorporea ed incontaminata della fascia di capitano. Siamo davanti a una soluzione di compromesso che accontenta tutti e lascia perplessi solo quei pochi dotati di sufficiente criterio per mettere in crisi i fenomeni penetrandone la superficie.
Sorprenderà venire a sapere che io, così attento e accanito detrattore di wanditos, non lo condanno certamente per aver così spudoratamente brigato per impetrare i numerosi adeguamenti di contratto, né per aver messo in piazza fatti che avrebbero dovuto rimanere nel chiuso degli uffici di Corso Vittorio Emanuele. Siamo nel calcio post-sentenza Bosman, dove miriadi di arraffoni poco più che imberbi, ancora nel fiore dell’età, dirigono sulla Cina pur di spuntare il milioncino in più che sposti il loro difficoltoso ménage familiare. Wanditos è forse più grossolano, ma è in buonissima compagnia, e finché il gioco gli fa premio, fa bene a giocarlo. Non è retorica, ma è evidenza fattuale.
Se devo levare la mia voce contro qualcuno, lo faccio contro l’Inter, oggi ancora più che mai, perché ho la certezza che dopo questo affettuoso buffetto sulla guancia, ben lontano dall’essere bastone, arriverà il carotone del rinnovo, ancora una volta. Si è cambiato tutto, ma proprio tutto negli ultimi 6 anni, si sono succedute 3 proprietà, 6 allenatori, 3 presidenti, si sono rivoluzionate le rose in tutti i reparti, solo due persone sono sempre rimaste al loro posto: il direttore sportivo e la punta centrale. Posto che il direttore sportivo è esautorato da almeno 3-4 anni, ovvero dall’avvento di Roberto Mancini, cui ha fatto seguito Sabatini e infine Marotta, personalità che nella catena di comando stanno tutte sopra di lui, l’unico aggrappato al posto fisso ancor più pervicacemente di un Checco Zalone in Quo vado è lui, è il wanditos. Per puro piacere accademico, lo vogliamo fare prima o poi un esperimento su cosa potrebbe diventare l’Inter senza di Lui?
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