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Sfuocato
Come sempre anche quest’anno mi sono concesso una viaggio in compagnia di me stesso, per una settimana. Lo faccio sempre, mi aiuta ad imparare, ad accettare, a scoprirmi, a coccolarmi ed a rimettermi a fuoco. Peccato che qualche vicissitudine oculistica appena trascorsa abbia al contempo aiutato ma anche complicato la mia vista e che la fotocamera dell’iPhone, solidale alla mia pupilla destra, ha deciso di dare forfait. Così mi sono ritrovato in viaggio con sia lo sguardo analogico che quello digitale compromesso. Avevo il grandangolo digitale per allargare lo sguardo ed il macro analogico per focalizzarmi sui dettagli. Nel mezzo c’ero io. Ecco, penso di non essermi mai osservato così bene come in questo viaggio. Ho girato per mercatini dell’antiquariato acquistando un passato che non ho, mi sono fatto male concentrandomi su insignificanti particolari, mi sono voluto bene riconoscendomi unico nel mucchio. Mai centrato, mai totalmente a fuoco.
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Devi solo sforzarti un po’ di più. Era la frase perenne che chiudeva tutte le mie pagelle: ha le capacità ma non si applica. Un leitmotiv che m’ha accompagnato anche tante altre frasi della vita, più spesso ripetuta da chi mi conosce meglio di altri.
Devi impegnarti di più nella matematica. Dovresti passare più tempo a fare sport. Se mettessi tutte le energie anche su altri progetti e non solo su quello che piace a te. Trovo che sia un’enorme passo falso. Ho sempre sostenuto che sia più produttivo convogliare l’impegno, le energie, il tempo e gli sforzi principalmente verso qualcosa che già un po’ si padroneggia per farne la propria strada, il proprio futuro. Meglio essere unici in un solo aspetto che mediocri in un po’ tutti i campi.
Devi solo sforzarti un po’ di più in quello che senti più tuo.
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Come sono sotto gli occhiali da sole
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Buona notte amore Che se così lontano E questo canto voli sopra il mare e sopra tutte le città Così leggero sulle strade Come una brezza e sappia dove andare È una carezza, lascia un po' socchiuso e arriverà Buona notte amore Che dormi così poco E lo so bene, non è per il caldo, è che non sono lì con te E avrai una luce nella stanza E come me nel cuore la speranza Di rivederti quando fa mattino e "non partire più". Buona notte, amore mio lontano Ti arriva questo canto O forsi dormi già?
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Lo so, state fissando il ponte di San Michele.
E fate bene, è un ponte storico. Venne costruito nel 1265, in legno. Duecento anni dopo decisero di rifarlo, in pietra e quindi nel 1600 assunse la forma ad arcata unica che vediamo adesso.
Collegare due sponde è da un po’ di anni a questa parte uno degli obiettivi che mi sono posto. Ma di questa foto, di questo scorcio di Vicenza, a catturare il mio sguardo sono quegli arbusti, là sotto, sommersi.
Piegati dalla corrente, guardano al ponte anche se vorrebbero alzarsi come tutte le altre piante o forse, chissà, voltarsi dall’altra parte. Che poi sarebbe anche più comodo lasciarsi andare, farsi trascinare, partire.
Loro però non mollano, ancorate al fondale. Hanno deciso che quella è la loro dimensione, il loro posto, la loro casa.
Mi sento come voi, arbusti acquatici sconosciuti: sommerso ma deciso a restare.
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Indietro
Sono rimasto indietro. Ho 36 anni ma ne ho vissuti 28. È sempre stato così, lei correva ed io arrancavo per starle dietro. Ed alla fine è successo: è scappata via. Non mi ha aspettato, è sparita dietro una curva. Ed ora mi ritrovo ad osservare gente allineata mentre io ho rinunciato, cammino a passo svelto ma rassegnato. È andata, non si fermerà.
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Cos’è il genio? Per la festa della mamma Togheter ha realizzato la campagna "Happy Mother's Day" per Control con l'obiettivo di sfatare uno dei tabù sessuali che coinvolge le donne.
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Meravigliarsi di tutto p il primo passo della ragione verso la scoperta
Louis Pasteur
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Lettera a uno studente
Carissimo, mi hai chiesto in che modo tu debba studiare per acquistare il tesoro della scienza, ed ecco il mio consiglio: non voler entrare subito in mare, ma arrivaci attraverso i ruscelli, perché è dalle cose più facili che bisogna giungere alle più difficili. Voglio che tu eviti i discorsi inutili; abbi purezza di coscienza; non trascurare la preghiera, ama il silenzio e la riflessione se vuoi gustare il vino della sapienza. Sii cordiale con tutti, non essere curioso dei fatti altrui. Non avere eccessiva familiarità con alcuno perché essa genera disprezzo e dà occasione di trascurare lo studio. Non intrometterti in cose che non ti riguardano, non voler sapere tutto, cerca di imitare gli esempi delle persone rette e dei santi, non guardare chi è colui che parla ma tieni in mente tutto ciò che dice di buono. Procura di comprendere ciò che leggi e ascolti, chiarisci i dubbi, sforzati di riporre nello scrigno della mente tutto ciò che ti sarà possibile, bramoso di riempire il vaso, non cercare cose superiori alla tua capacità. Seguendo queste orme metterai rami e produrrai frutti buoni dove il Signore ti ha destinato a vivere. Se osserverai le cose che ti ho detto, potrai raggiungere la meta alla quale tu aspiri. Tommaso d’Aquino
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L’offline è finito? Mah, ditelo a quelli di WeRoad
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Ormai
Già, eccola la parola assassina: ormai. Lei non passa mai di moda, e ora come allora serve a non partire, non fare, non provare mai a cambiare le cose intorno a noi. È una parola corta, ma basta a riempire una vita di scontento, giorno dopo giorno fino all’ultimo, raccontandoci che per essere felici è troppo tardi, ormai. Quante volte ci lamentiamo del lavoro, delle scelte, di mariti e mogli, fidanzati o compagni e insomma della vita tutta intorno e addosso a noi. E diciamo scemenze tipo che l’infanzia era l’età più bella, la più libera e spensierata. Ma non è mica vero: come può essere libera, un’età in cui per fare qualsiasi cosa devi chiedere il permesso a genitori, familiari, maestri, catechisti e adulti in generale? È quando diventi grande che sei libero davvero, non devi obbedire a nessuno, e disegnare la tua vita spetta a te. Solo che ce la disegniamo da schifo. Da bambini abbiamo un sacco di sogni, ma ce li teniamo dentro perché è troppo presto, in attesa di diventare adulti e realizzarli. Poi però cresciamo, e decidiamo che i sogni sono roba da bambini, e al posto di quelli ci riempiamo i giorni di obblighi e doveri e altra roba che non ci piace e non ci fa felici, e vorremmo cambiare ma non cambiamo nulla di nulla, perché è troppo tardi, ormai. Troviamo un sacco di scuse: siamo troppo giovani o troppo vecchi, oppure siamo sfortunati, diversi, siamo nati nel posto sbagliato. O magari sono gli altri che sono cattivi, sono invidiosi, sono raccomandati, sono ... sono tutte scuse, che ci raccontiamo per non fare nulla. E io non ho niente contro le scuse, anzi, le amo. Sono preziose quando le usi con gli altri, per evitare cene noiose, ritrovi di parenti, riunioni di condominio e altri inaccettabili furti di vita. Ma che senso hanno le scuse, se le raccontiamo a noi stessi per non essere felici? Non lo so e non lo voglio sapere. Per stare meglio, a me basta sapere che sono negato a suonare il pianoforte. E sembra che non c’entri nulla, ma invece sì: fin da piccolo, quando alla tv c’era qualcuno che suonava il piano, io seguivo e annuivo, pensando che avrei saputo farlo anch’io. (...) Non ho quel talento, non ce l’ho per niente, però non ho nemmeno quel rimpianto dentro. Ci ho provato, e ho fallito enormemente, ma va bene così. Mi hanno detto che sono negato, che sono patologicamente negato, ma sono contento di non aver detto ormai. (Fabio Genovesi - “Il calamaro gigante”)
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