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yoga
si risolve nel terreno
lo stridico grido del cielo
passando da strato a tarlo- cervello pensante e pieno di marmo -
senza trovare rincuoro o spavento
indemoniabile ribaltamento di orchestrali bozzi da disegno
dove tra gli angoli si trovano gradi di disimpiego - dimentico -
rincorre nelle falde un qualcosa che ormai si è spento
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buddhist monks
i wanna clean your rose
i wanna die in a hole
i wanna skip tonight and be tomorrow
and I think we shuould leave our shoes outside
where they won't disturb the owner's night
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come se fosse facile
Sei ancora capace?
A riscrivere il padre nostro
Ad accogliere nel tuo grembo il tuo infinire
Il tuo mascherato sincreto di lamento
Di piccolo baffo sottile e spesso
Annesso e connesso
Luci di piccole lepri si rincorrono
Come se fossero luci nel benevento
Più sole più vento
Luce e discomforto di questo cielo
Arrossato e spento
Come se fosse
Specchio del mio sincero gesto
Come se fosse gesso
Mentre sul fuoco brilla
Il bacio del signore e del suo anello.
Bastino i bacci di boccale
Si schiantino in segreto tra lo stupore
Come se fossero venuti giù dal mare
In un vortice di bianco squame
Gli spilli ascoltano dai portici e dagli anfratti
Piccoli innamorati
Bacini ed amanti, taciti matti
Come fossero santi
Senza pregiudizi e morali
Ascolatano dalgli anfratti
Gli spettri e i cani.
Si mangiano, si accanano
E poi si azzannano, di affanno
Si rimboccano il bavero
Guardano
Si fermano
Si arrestano
Come fossero bambini di pesto
Sciolti tra gli sguardi del sale
Tra l’acqua di mare
Tra le alghe.
Ma qualcuno bussa a una porta
Come fosse un gioco di carte
Di donne e regine, di ancelle e di frigide
Tra chi arriva a castello e chi dall’oste
Chi bussa, chi risponde
C'è un uomo con una luce sotto il mantello
E fa il vagabondo
Un tempo era un mistero
Di voci e sussurri
Ma è vero
Lui può vederti dentro
Profezie terribili aspettano
Come fossero scalini per un convento
Abbandonato e argilloso il paviemnto
Non vi ticcettano passi ma solo veli
Segni nel deserto
Di pitture sul petto e guerrieri.
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un'altra
si rifugia nella sua mente, ascolta il grido sordo di un ricordo, gira la testa, cerca di fissare il sole. la sdraio è blu, il prato è verde, i bambini sono cacofonici, l'acqua è troppo calda. e un'altra volta ancora le hanno detto che c'è un' altra.
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cotta
rombante rumore di ossa
nelle prime ore del giorno e del cuore
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Go ahead, put anything.
Ma con un punto, una frase compiuta, finita, un due di picche e una suora senza spinta, che si ferma alla prima pausa, che si ferma e continua indecisa su una gamba traballante ed incarinata, come il pelo che ha sulla figa, una lucertola e una coccinella che non porta bel tempo ma sfiga, chi ti ha visto in passerella e che ti butta addosso la merda, una lucertola e una coccinella, addosso al manto rosso e puntato di sua maestà la schifezza.
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i don't care about my publicum
si alza sulla sedia, prima un piede e poi l'altro, si tira su, posiziona i piedi bene in centro nel mezzo, vicini, stretti, allineati, un pezzo alla volta alline gambe e ginocchia, sale bacino petto spalle collo spalle testa e arriva alle mani che spiega ai lati. è tutta tesa, verso l'alto e verso l'altro, i muscli tirati, in posa, a farsi vedere, a godersi l'applauso come una statua perfetta per un momento, finchè si piega, si inchina, ringrazia, e poi di botto alza la testa. i capelli muovo l'aria, ne tagliano gemotriche line di spazio temporale e ritmo, una coltellata all'amante e una al suo nemio. tutta seria, si sistema la testa, prende la bacchetta in mano, e con un inclinazione di 25 gradi verso destra inizia a dirigere.
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application essays
cosa puoi tu,
davanti al mattino che sorge,
cosa puoi tu,
che non riesci neanche a vivere senza ochiali da sole.
cosa puoi tu, davanti alla massa di giovani spiriti e coraggiose storie di vita e di morte, di cancro e di bombe, di lucertole e sonate e traumatici balli all'ombra di pini e di titoli primi
cosa puoi tu davanti a chi conosce tutti i numeri e li chiama per nome, davanti all'eccellenza che si fa malumore, davanti all'ego che si fa eccellenza, davanti alle prime volte che si fanno storia infinita ed eterna, massa di luce e modello d'esperienza
cosa puoi tu
che non hai una sola definizione, che ancora non sai chi sei, che la tua passione è questa roba e manco sei sicura di poterla fare, cosa puoi tu davanti a chi questa roba la usa a suo piacere, a chi non ne è vittima, a chi eppure nonostante tutte le botte, nonostante il dolore e le rime e le faccie di polvere, è vincitore.
cosa puoi tu, davanti a chi si scompone e rimane in ordine
cosa puoi tu, davanti a tanta soddisfazione
cosa puoi tu, davanti a chi fa dell'errore sfida e ricordo
cosa puoi tu, davanti a chi non si apre la giugulare sul foglio ma mostra il coriadolo di collo che ha scelto per scopo
cosa puoi tu, davanti alla leggerezza e alla passione e alla pregnanza e alla profondità apposta creata per essere tale ed osannata.
cosa puoi tu, davanti a chi sa scrivere e parlare
davanti a chi non ha paura di essere grande
davanti a chi vuole essere sole e non solo guardare
cosa puoi tu, che stai qui ad aspettare.
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musa
innamorati, di chi trovi, di qualcuno da servire senza che lo sappia, ci serve un pubblico di incantato amore e nauseante rifiuto, ci serve un pubblico. ascolta la mia canzone, ascolta il mio urlo, le mie piume sono qui apposta, ascolta. innamorarsi a venezia, in giro per creta, sulle strade di rodi, in macchina in grecia, innamorarsi per scelta. trova qualcuno, che importa il suo rango, che importa il suo manto, solo che sia un impressionante bastardo. impressionalo e mangialo. che ci frega del suo contratto, impressionante sbando, tra figli e lacrime di metallo, tra anelli e porta pranzo, vite improprie dai confini incerti del cambiamento climatico, quello ormonale e quello bancario. tu pensa ad altro. trova un dio e ringrazialo. osanna lo specchio e il suo soqquadro. innamorati al parco. non mentire al tuo bianco, al tuo malcelato diniego, al tuo ipocrito credo, al tuo menzognero indipendente dente al veleno. la solitudine ti spezza il sonno, la scrittura ne narra i contorni come se fossero il brodo del gioro dopo, come se fossero preferenze forti, cure d'indifferenza e utili giochi, intanto piangi tra i lenzuoli, nel malcelato disprezzo del tuo volto e del tuo sesso, nel malcelato disprezzo del tuo insufficiente comico ed intelletto. nel malecelatao disprezzo di quel uomo che non vuole il tuo seno. nel suo desiderio. non v'�� scampo al peggio.
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rivivere un sentimento
Ritrito ritornello da puntellamento interno
dorsale dolore dal bicipite inferiore
ripone
piccoli sassi ai margini e ai bordi
li guarda, li studia, se ne innamora, li mangia.
Ascolta come se fosse il primo di luglio,
festa popolare e di ritrito nazionalpopulismo
mentre insieme il dolore le colora il viso,
piccolo piccone sulle nocche -
Cicatrici e botte.
Dorme.
Il ghiaccio le brucia il tempo
il soggiorno le appare spento, il cielo terso
aspice di frumento e lontani sogni di gesso,
rolma senza ritegno di gloria - sfronda e sfolla.
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trilocale con balcone vista lago (2)
Entra in camera e trova i gatti, sul letto uno, sul tappeto l'altro, li ha svegliati accendendo la luce, stanno sbadigliando e guardandola male, come se senza pensarci gli avesse fatto del male. Se ne dimentica così spesso, poi pensa a come troverebbe maleducato, illegittimo e narcisistico entrare in una camera dove qualcuno dorme accendendo la luce senza neanche chiedere permesso, che sia casa sua o meno. Chiede scusa ai gatti e poi peggiora le cose dandogli un bacio a testa, un' altra sua piccola tiranneria, e poi appoggia anche lei la testa sulla coperta, i piedi ancora per terra, a ricordarle che deve comunque alzarsi ancora, che deve ancora spogliarsi, lavarsi i denti, bere un po' d'acqua, far partire la lavastoviglie, svuotare il posacenere sul tavolo, dar da mangiare ai pesci, dar da bere alle piante, prendere il libro dal terrazzo, accendere il computer, sistemare la coperta sul divano, socchiudere le persiane, tirare il chiavistello, e poi forse finalmente andare a letto. 5 minuti e poi vado. 5 secondi e poi vado. 3 minuti e 35 primi e poi vado. 27 alla radice quadra di 92 e poi vado. 187 cerca di continuare a contare, finchè conta sarà salva, riuscirà a perdersi nelle nebbie del troppo stanco, riuscirà a far finta di niente, riuscirà a rimanere perfettamente immobile, a tenere la mascella rilassata e il viso sciolto, ma il conto già inizia a cedere, già inizia a pensare che sta contando, inizia a pensare che non deve smettere di farlo, che se smette si sveglia e poi deve alzarsi e poi deve lavarsi i denti e spogliarsi e lavare i piatti e dar da mangiare agli animali, faunici florici e acquatici. Prima lo faccio prima finisco è sempre un buon motto in queste situazioni, la fa sentire meno sola, centinaia di milioni di persone ad averlo pensato e si alza, è uno scatto, meglio di quello del gatto, è detto e scontato, poi fatto: si alza, trascina leggermente i piedi sul tappeto per sentirsi confortata dal morbido e dal caldo, si dirige prima in terrazzo, tira dentro il libro, lo appoggia vicino al computer che accende, recupera il posacenere, va in cucina, butta i mozziconi, mette in lavastoviglie il posacenere, inserisce nello scomparto la pastiglia di madreperla di siviglia e la fa partire, poi riempie la bottiglia d'acqua, ne basta poca, tutte piante che con troppa acqua annegano e marciscono e muoiono, meglio sapersi contenere di questi tempi aridi per spirito e corpo 382, e torna in salotto, si avvicina all'acquario, il mangime è lì imparte, ne butta una manciata ai pesci rossi e dice ciao bubbles, si avvicina al divano e la coperta viene riquadrata e piegata finchè non è un rettangolo 40×180 che appoggia allo schienale, quindi è ora del chiavistello che tira senza girare la chiave, intanto da da bere alle piante che incontra sulla sua strada finchè arriva in bagno, dove entra sapendo di temere il freddo delle piastrelle, si siede in punta di piedi a pisciare, si spazzola i denti facendo attenzione ai molari, si passa acqua sulla faccia e sulle mani, va in camera, le ultime piante, beve quel che rimane, molla la bottiglia in cucina, prende computer e libro in braccio, li appoggia sul pavimento, si sfila il vestito, lo appende a una sedia ed entra nel letto 524. Sipario, supplemento di prezzo e pornodocumentario.
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trilocale con balcone vista lago (1)
Lasciami stare, oggi ho paura. E al tempo stesso sono annoiata e triste e insicura. Sfiduciata, dimentica di me stessa, incurante materia grezza di impossibile bellezza. Ascolto seria le navi passare davanti a casa, portano lontano sapori di genziana e dolce amarena un poco salata, ribelle e scompigliata. Poi abbasso seria il muso sulla sedia, e mi guardo le dita dei piedi che si spezzano senza che io possa salvarne i pezzi, coriandoli di specchi, sensazionali titoli di giornali - reporter e sciacalli. Porto una mano al mignolo, lo ispezioni, è sempre rotto, è sempre la stessa unghia tagliata in due, è sempre lo stesso gobbo star male. La faccia al vento, il vestito al vento, i pois rossi al vento, i capelli al vento, le trecce al vento, la figa al vento, le briciole di giornale al vento, mi passo una mano sul ventre e accarezzo l'acqua di dentro. Ascolto il vento. Ascolto il lago. Ascolto lo sbuffare delle nuvole e di un treno lontano, senza maschere e pazzo. "Aspettami ti prego", lo penso appena, senza il coraggio di urlarlo. Confrontare se stessa ed il proprio bagaglio, rimando, ritardo, con moto o rallentando, andante, avvizzato, svolto e rinato, problema di lingua come di sottogonna, metafora di bocca e bacio. Appoggio la mano al bracciolo, il ginocchio a un rettangolo di metallo che mi separa dal vuoto, il piede l'altro lo appoggio al bordo, il vento gli fa fare un tremito, inaspettato, posso ancora sentire la pelle di gatto, indispettita posa di curiosa grazia e indifferenza al peccato. Accendo tabacco, sento i pois rossi risplendere di rimando, mi aggiusto l'orlo dello smanicato, me lo passo tra un dito e l'altro, ne seguo le cuciture ed il nostalgico, sentendomi come se per un attimo, fossi davvero erinne del mio passato. mi alzo. Le mani alle ringhiera, incallite e rapaci si aggrappano, mi tengono mentre mi alzo sulle punte dei piedi, sempre più in alto, i muscoli delle gambe tesi, le punte che vogliono staccarsi, quanto posso far forza sulle braccia senza sbilanciarmi in avanti, sfiorano il pavimento ora, ora forse è mezzo centimetro, ora sono già tre e adesso cinque, e poi sono già dove un tempo stavano le ginocchia e intanto inizio a piegarmi, la schiena ad inarcarsi, i gomiti leggermente piegati, li dita dei piedi dritte come se dovessero vivere di vita propria e staccarsi, arrivano al ventre e iniziano a girarsi, iniziano un'ascesa verticalissima dettata da ginocchia e addominali, perpendicolari a quei mignoli delle mani che intanto diventano rossi e bianchi, finchè non si fermano puntati al cielo, tra razzi e gabbiani. In estensione completa. In tensione. Spingere e allungare, direzioni opposte e in contrasto, verso il basso e verso l'alto, mi dimentico di tutto per un attimo. Mi allontano. Sono senza peso e senza fiato. Dura un attimo, poi un respiro mi fa assaggiare il vento e masticarlo. E poi con un balzo sono di nuovo su un balcone in riva al lago.
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been down so long it looks like up to me
Fissato rompersi di cieli e dolori, ne vengono giù interi mestoli, di brodo come di teschi. Si fissano nel muro, si perdono nel sonno, sono stanchi e bruciano, gli occhi di chi guarda troppo. Poi si chiudono. Si chiudono. Si chiudono. Ma non arriva sollievo, non arriva il meritato riposo, rimangono invece accesi ad inventarsi film dai finali insinceri, profetiche profezie che si autorealizzano solo se sono catastrofici misteri. Che verrà prima e chi dopo a rubare l’intonaco, lasciando spoglio quel muro che sembra non racchiudere il benché minimo significato simbolico, sono i suoi occhi a farne santo sanctorum, inchini e giravolte per il vuoto.
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unicity
È troppo triste per sfuggire al dramma, è troppo triste per non risultare pesante e melodrammatica, è troppo triste per riuscire ad allacciarsi i lacci delle scarpe, è troppo triste per alzare la forchetta e mangiare, e allora si rigira in un letto, guarda il soffitto, guarda l’interno delle sue palpebre sperando che si colorino di multicolorati merletti, chi dipinge e chi cuce, lei chiude gli occhi, e ascolta il ronzare del computer e del termosifone, ascolta l’officina meccanica 8 piani di sotto, ascolta le macchine, ascolta le aspirapolveri, ascolta il colorificio e si chiede come possa un colorificio fare tanto rumore, ascolta porte e portoni, ascolta i passanti e i macchinari, le automobili e i pedoni, ascolta il battito dei suoi piedi, il tremore dei suoi nervi, lo scintillante accendersi dei suoi vasi sanguigni, lo sbarbellante brilluccicare dei suoi nei, finché non esiste che quello, finchè non è immersa nei colori e nei suoni che i suoi occhi proiettano, finchè non ne è sommersa fino alla testa, e poi finalmente respira. Respira senza accorgersene, ma profondamente, senza singhiozzi, senza colpi di tosse, senza restringersi e tirarsi e rabbrividire, respira finchè i muscoli fino al basso ventre sono distesi, distesi, si passa quella parola sul labbro, la assapora, la testa, la scompone, ne ascolta lettera per lettera, le lascia dissolvere, assapora dissolvere, assapora dissolvere se stessa, dissolversi, sciolta e poi sparire, si lascia aprire e riempire, respira ancora, ogni respiro più basso, più profondo, più inconscio e totalizzante, i colori iniziano a dissolversi, i suoni a farsi lontani, ma il nero nei suoi occhi rimane a brillare, e lei vi si scioglie dentro, diventa quel colore stesso, prima muovendosi come su un fondo marino o in un deserto caldissimo, sentendo il peso di quello spazio su di lei, finchè non si dissolve la membrana che ve la separa, finchè è dello stesso peso, finchè non distingue più i suoi bordi dal resto, e poi allora finalmente fluttua mezzo metro sopra il letto.
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dream (2)
Per la colazione ha 15 minuti, una lussuria, 15 minuti di latte e cereali e cartoni immaginari. Ovviamente i cartoni immaginari sono piccoli film paranoici da 30 secondi l'uno, una piccola rassegna, tanti piccoli corti tutti in lizza per l'oscar. I grandi classici però certo non mancano mai, non si può fare un festival senza qualche grande nome, e allora sullo schermo non potrà mai mancare liz taylor nelle vesti di una giovanissima ragazza che 20 anni fa gli ha detto che non lo amava, è veloce, quasi indolore, se non fosse il primo pezzetto del domino che porta ai seguenti 14 minuti e 30 secondi⁰ e poi in realtà alle prossime 8 ore e poi le 8 ore ancora dopo, sono 30 secondi in una scuola pubblica, con liz vestita in minigonna e camicetta che con la voce più dolce e gentile del mondo gli chiede scusa per l'equivoco, ma lei non lo ama per nulla, deve esserci stato una sbaglio gli dice, e gli accarezza una mano, il che rende la cosa ancora più penosa, la scena finisce proprio su quella mano, che da il via al secondo segmento, che di solito per via di quella mano sono i 30 secondi in cui lady maggie smith interpreta sua nonna in un letto di ospedale quando lui aveva solo 8 anni, la sua nonna con le mani grandi che non riescono più a stringere le sue, ed è un taglio netto, velocissimo, impetuoso, corre, scappa, cerca rifugio nell'attualità, qualche segmento di telegiornale, qualche ingiustizis e malessere più impersonale, ci rimane per due, tre, quattro segmenti, dipende da che mattina è, dipende quanto ci impiega a sentire il baratro troppo grande sotto di lui e allora torna a pensare a qualche insignificante episodio sul lavoro, qualche scaramuccia in cui lui non si è riuscito a far valere, qualche battuta a sue spese, qualche rimprovero per una disattenzione od errore, e ovviamente poi non può che pensare al contratto, con un humphrey bogart ceo ma senza sabrina che gli ricorda che è rimpiazzabile e senza grande valore e allora, allora cosa altro può fare se non girare gli occhi, inavvertitamente ma ineluttabilmente verso il letto, verso quel lettino da una piazza meso lì contro la parete, con le lenzuola gialline e la testa in legno, quel letto da monastero in cui dorme da solo, e davanti a quello spettacolo pietoso i colori davanti ai suoi occhi si fanno animati e sullo schermo compare la regina di cuori ad interpretare la sua maestra delle elementari.
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dream
Pitituary si alza dal letto e si avvicina allo specchio chiedendosi che ne sarà del suo lavoro a tempo determinato, ormai è sveglio da due ore, per cui è due ore che ci sta pensando, 60 minuti per due, i calcoli sono facili, non c’è niente da inventarsi, sono 120 minuti che è impallato su un solo pensiero, 120 minuti, anche se a essere sinceri, o meglio senza vergogna, lui lo sa, LO SA, anche se non se lo ricorda, che lui la stessa roba l’ha sognata stanotte, LOSA, per cui davvero non sono 120 minuti, ma almeno 8 ore. 8 ore sono tante, se le vede in faccia, gli occhi incavati, neri, sporchi, opachi direbbe sua madre, direbbe senza gioia, direbbe spaventati, se le vede in faccia, nelle rughe sulla fronte, nelle guance bianche, nelle gengive doloranti, nei denti doloranti, nelle labbra morse, 8 ore ed è come se non ne avesse dormita neanche una. Intanto apre l’acqua, e si lava la faccia nel piccolo lavandino sotto lo specchio, l’acqua fredda, fa delle piccole conche con le mani, le riempie d’acqua e ci ammolla gli occhi, li puccia dentro, ce li inzuppa, aspetta che si distendano, aspetta che facciano meno male, aspetta ancora, di aver voglia di muoversi, allunga il tempo il più possibile, l’acqua fredda lo risveglia e lo rilassa insieme, pensa solo al freddo, pensa solo al sollievo, poi l’acqua si scalda, deve cambiarla, la cambia, va avanti così per un paio di cicli, leggero per un attimo, come se quel rimedio poi funzionasse davvero, come se quella soddisfazione e quel piacere e quel sollievo potesse portarseli dietro, suona la seconda sveglia, si dà un ultimo schiaffo d’acqua alle guance e alza la testa. Mentre si tampona leggermente, e si friziona come direbbero su un giornale di cura e bellezza, per quanto a lui frizionare faccia venire in mente carburante e pompe meccaniche, i cavalli dei motori e i pistoni, si friziona la faccia con un asciugamano bianco, pulitissimo, che profuma di nuovo in mezzo a quella stanza, anche se nuovo nuovo non è, e pensa di nuovo al lavoro, il miracolo dell’acqua è già finito, pensa al lavoro di nuovo e spegne la sveglia. La colazione è già pronte come tutte le mattine, basta aprire il frigo e basta aprire il latte e basta versarlo in una ciotola e basta versarci sopra i cereali e poi mangiarli con un cucchiaio. Lo fa, lo fa, lo fa, lo fa, lo fa e sanno di cartone animato. 419
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If I look hard enough into the settin' sun
My love will laugh with me before the mornin' comes
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