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I Mercanti dell'Occulto, di Pier Carpi
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Forse il ’68 un’anima occulta, magica, l’aveva avuta sin dal principio, si diceva. È che a un certo punto la commistione si fa esplicita: in fondo, in entrambi i casi, si tratta di forzare le barriere del possibile. “Sono entrato l’altro giorno in prima persona in quella libreria, come si chiama, fa lo stesso, era una libreria che sei o sette anni fa vendeva dei testi anarchici, rivoluzionari, tupamari, terroristi, dirò di più, marxisti…”: adesso s’è riciclata, vende “erbe medicamentose, e istruzioni per fare l’homunculus”, e la bazzica “gente fantastica, gente che parla con gli angeli, che fa l’oro, e poi maghi professionisti, con la faccia da mago professionista”. I pittori espongono quadri con titoli come Mystica Rosa, Atanòr, Sophia. Ex tupamari uruguayani animano riviste esoteriche con nomi da grimorio, ed evocano ectoplasmi nelle sedute spiritiche. E i libri di successo? Niente più Lenin o Mao-Tse-Tung: romanzi gnostici, invece, e il libro “di una giornalista famosa, che racconta di cose incredibili che accadono a Torino, Torino dico, la città dell’automobile: fattucchiere, messe nere, evocazioni del diavolo, e tutto per gente che paga, non per le tarantolate del meridione” (Continua su Mattatoio n° 5)
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Lo spasimante di Mademoiselle Clairon
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Charles André van Loo, Mademoiselle Clairon nei panni di Medea (1760)
Ne La sposa cadavere di Schulze, il misterioso marchese italiano cerca di mettere in difficoltà lo spergiuro duca de Marino raccontando la storia di un amante infedele, perseguitato nel giorno del fidanzamento dal fantasma della donna da lui abbandonata. Durante il pranzo, nel momento esatto in cui i fidanzati si scambiano gli anelli, si sente provenire da fuori un grido penetrante, che fa gelare il sangue a tutti i presenti; è l'imbrunire, il buio comincia ad avanzare, ma si riesce ancora a distinguere ogni cosa; fuori dalla villa, però, non c'è nessuno. Il giovane scoprirà in seguito che proprio a quell'ora la ragazza da lui un tempo amata esalava l'ultimo respiro.
Bella storia, commenta Marino dissimulando il suo nervosismo: ma l'ho già sentita. Si trova nelle Memorie di Mademoiselle de Clairon, che racconta di come un amante sfortunato trovò quel modo originale di perseguitarla dopo la morte; in quel caso, il grido era stato seguito da un battito di mani. Immagino, aggiunge beffardo, che anche voi lo inserirete nella vostra storia.
Al di là della trama, l'accenno alle Memorie segnala che ci troviamo davanti a una fonte nota e condivisa. Ma di che si tratta?
Uscito nel 1799 col titolo di Mémoires d'Hyppolite Clairon et réflexions sur l'art dramatique, il libro era l'autobiografia - largamente romanzata - che Claire-Josèphe Léris, detta Mademoiselle Clairon, dava alle stampe ormai quasi ottantenne. La Clairon era stata una delle più grandi attrici del suo tempo, passando dal teatro italiano di Parigi (dove aveva debuttato a nemmeno tredici anni) all'Opéra, e ottenendo nel 1743 un successo senza precedenti nei panni della Fedra di Racine alla Comédie Française. La Rivoluzione l'aveva colta ormai anziana e dimenticata, e aveva vissuto gli ultimi anni in miseria (sarebbe morta nel 1803, sotto il Consolato); nella Germania del primo Ottocento conservava forse, ancora, un poco di celebrità, avendovi vissuto per diciassette anni in quanto amante del margravio Karl-Alexander von Brandenburg-Ansbach.
La Clairon (riferiscono le Mémoires) era appena ventenne, reduce dai primi successi alla Comédie Française: molti s'erano innamorati di lei, giovani, vecchi, ma più degli altri tale M. de S., un giovane di trent'anni, figlio di un commerciante bretone. Dapprincipio le era piaciuto, per la bellezza, le maniere timide, i modi gentili; ma poi, conoscendolo meglio, le erano venuti a noia il suo vergognarsi di essere d'estrazione borghese (lei che s'era cambiata il nome in Claire-Hyppolite Léris de La Tude), il suo disprezzo per gli uomini e la sua possessività. Aveva dunque deciso di distruggere le sue speranze, e si era comportata con lui senza nessuna pietà: e quando il giovane s'era ammalato, e sentendosi in punto di morte l'aveva fatta pregare di assisterlo, gli obblighi sociali le avevano impedito di andare.
Morì, con vicino nessun altro che i suoi domestici e una vecchia, le sole amicizie che da tempo gli restavano... Io avevo a cena mia madre, e molti amici... Avevo appena cantato dei canti pastorali molto allegri, di cui i miei amici erano estasiati, quando, al tocco delle undici, si udì un grido acutissimo... Discutemmo a lungo sulla natura di quel grido, e stabilimmo di tenere qualcuno di guardia in strada per sapere, nel caso si fosse fatto udire ancora, chi ne fosse l'autore e quale la causa. Tutti - servitori, amici, i vicini, e anche la polizia - avevano udito lo stesso grido, sempre alla stessa ora e sempre da sotto le mie finestre, e che pareva materializzarsi nell'aria. Non mi fu permesso di dubitare che fosse per nessun altro che per me... Una sera il presidente di B., dal quale avevo cenato, volle riportarmi a casa, per assicurarsi che non mi capitasse niente lungo la strada. Mentre mi augurava la buona notte davanti al portone, il grido si levò fra lui e me. Come tutta Parigi, anche lui conosceva la storia: e tuttavia lo rimisero in carrozza più morto che vivo. Un'altra volta pregai il mio amico Rosely di accompagnarmi in Rue St Honoré per scegliere delle stoffe e fare poi una visita alla signorina di Saint-P**, che abitava presso la porte Saint-Denis. L'unico soggetto di conversazione, nei due viaggi, fu il mio fantasma (così lo chiamavamo). Quel giovane, pieno di spirito, non credeva a niente, eppure fu colpito dalla mia storia: mi esortò a evocare lo spettro, e promise di crederci se mi avesse risposto. Per debolezza o per audacia che fosse, lo feci: il grido partì per tre volte, terribili per clamore e rapidità. Arrivati alla porta del mio amico, ci fu bisogno del soccorso di tutti i domestici per tirarci fuori dalla carrozza, dove eravamo entrambi privi di sensi.
Dopo questo episodio, passarono dei mesi senza che udissi niente. Credevo di essermene liberata per sempre, ma mi sbagliavo.
Tutti gli spettacoli erano stati trasferiti a Versailles per le nozze del Delfino. Dovevamo passarvi tre giorni... Mentre la mia compagna di stanza si spogliava per venire a dormire al mio fianco, le dissi: Siamo lontanissimi, e fa un tempo terribile: il grido avrà dei problemi a venirci a cercare qui... e quello partì! Madame Grandval credette che in camera si fosse scatenato l'inferno: e corse in camicia da notte su e giù per la casa, dove nessuno riuscì a chiudere occhio per tutta la notte; ma almeno fu l'ultima volta che si fece sentire.
Sette o otto giorni dopo, mentre me ne stavo coi miei soliti amici, lo scoccare delle undici fu seguito da un colpo di fucile, sparato contro una delle mie finestre. Tutti udimmo il colpo, tutti vedemmo la fiammata, ma la finestra non riportava segni di danni... per tre mesi interi si vide e si udì il colpo sempre alla stessa ora, contro lo stesso riquadro della finestra, e senza che nessuno potesse mai vedere da dove era partito. Questo fatto è stato confermato nei registri della polizia.
Abituata al mio fantasma, che mi pareva abbastanza un buon diavolo... aprii la famosa finestra, e assieme all'intendente ci sporgemmo al balcone. Suonano le undici, il colpo parte, e ci scaglia tutti e due in mezzo alla stanza, dove cadiamo come morti. Ritornati in noi, e sentendo che non ci eravamo fatti niente, guardandoci scoprimmo di aver ricevuto, lui sulla guancia sinistra e io sulla destra, lo schiaffo più tremendo che si sia mai ricevuto: e ci mettemmo a ridere come pazzi. La sera dopo... c'era un bellissimo chiaro di luna, ed eravamo in carrozza sui boulevard che cominciavano allora a contornarsi di case: diamo un'occhiata ai lavori che si facevano lì quando la mia dama di compagnia mi fa: "Non è qui che è morto M. de S.?" "Da quanto mi è stato detto", le dissi indicandola col dito, "dev'essere una di quelle due case là". E da una partì quello stesso colpo di fucile che mi perseguitava: attraversò la carrozza e il cocchiere raddoppiò la velocità, credendo di essere attaccato dai ladri; noi arrivammo all'appuntamento che avevamo da poco ripreso i sensi, e, per parte mia, in preda a un terrore che - lo ammetto - ho conservato a lungo; ma questa manifestazione fu l'ultima delle armi da fuoco.
Alle esplosioni fecero seguito dei battiti di mani, abbastanza prolungati e ripetuti: poiché la bontà del pubblico mi aveva abituata a quel rumore, per molto tempo non ci feci caso. Lo fecero i miei amici per me: abbiamo seguito la cosa, mi dissero, è alle undici, all'incirca sotto il tuo portone; lo sentiamo, ma non vediamo nessuno; può darsi che sia il seguito di quanto hai già sperimentato. Poiché quei rumori non avevano niente di terribile, non ricordo quanto durarono, e non feci neppure attenzione ai suoni melodiosi che si udirono dopo; sembrava che una voce celeste abbozzasse un'aria nobile e toccante... questa voce cominciava al carrefour de Bussy e finiva davanti al mio portone, e come per tutti i suoni precedenti si poteva seguire e sentire, ma non si vedeva niente. Infine, dopo circa due anni e mezzo, tutto cessò.
Una storia leggera, come lo stile squisitamente Ancien Régime di Mademoiselle de Clairon; un fantasma che non fa nulla di male, e che se ne va gentilmente come è venuto, con una politesse che nella Parigi di metà Settecento, evidentemente, doveva contagiare anche gli spettri. Passata oltre Reno, la storia del grido udito nell'aria prenderà ben altri, e più funesti, toni.
Mémoires d'Hyppolite Clairon et réflexions sur l'art dramatique publiées par elle-même, Parigi, Buisson, 1799, pp. 1-12 download
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Lipsia 1811
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Il primo volume del Gespensterbuch esce nel 1811 in occasione della fiera di Lipsia, una delle più antiche d'Europa (la prima edizione s'era tenuta nel 1190). Nel 1811 la Sassonia era parte della Confederazione del Reno, costituitasi dopo la battaglia di Austerlitz e posta sotto il controllo di Napoleone; due anni dopo, a seguito della campagna di Russia e all'indebolirsi dell'Impero francese, proprio la battaglia di Lipsia avrebbe posto fine al dominio napoleonico sulla Germania. Definita 'la piccola Parigi' per la sua architettura rococò e la vivacità culturale, fin dal '700 Lipsia era una piccola metropoli in cui si leggevano i romanzi francesi e si andava a teatro; il giovane Goethe ne era rimasto prima affascinato e poi disgustato, e I dolori del giovane Werther - col protagonista che si ritira in campagna lontano dalle lusinghe della città, e che vede nella semplice e onesta Lotte un contraltare e un antidoto alle seduzioni delle damigelle incipriate e alla moda - era (anche) un atto di accusa a Lipsia e alla sua 'pariginità', alla quale Goethe contrapponeva una Germania nordica e pietista, discreta e modesta nei costumi.
Apel e Schulze - che si presentava sotto lo pseudonimo di Friedrich Laun - licenziano un volume di quasi trecento pagine, in cui sono raccolte cinque storie; due sole di queste, entrambe di Schulze, sarebbero confluite nella Fantasmagoriana, la già menzionata 'Die Verwandtschaft mit der Geisterwelt' e 'Der Geist des Verstorbenen', tradotta - quest'ultima - come 'Le Revenant'. Il titolo Gespensterbuch è un capolavoro di sintesi e - diremmo oggi - di marketing; il frontespizio riprende un episodio del primo racconto, Der Freischutz di Apel (tradotto qualche anno dopo da Thomas De Quincey), ed è un gioiellino di iconografia gotica: nel bosco, di notte, alla luce della luna piena, il cacciatore evoca spettri in mezzo a un cerchio magico fatto di teschi umani.
Apel e Schulze si mostrano attenti a giostrarsi fra i diversi tipi di pubblico che il loro volume potrà attrarre, senza respingerne nessuno e mantenendo una singolare ambiguità: di fatto, niente è dato sapere sulla natura del libro, se sia una raccolta di fiabe o leggende, di eventi realmente avvenuti, o di racconti d'autore. Ugualmente, il Gespensterbuch non prende posizione sulla questione dell'esistenza o meno degli spettri: la prefazione, a firma di Schulze/Laun, dichiara il libro equidistante sia dagli 'amici dell'illuminismo' [die Freunde der Aufklärung] - che si aspetterebbero probabilmente prese in giro feroci contro la credulità e la superstizione [Glauben und Überglauben] - e i conoscitori del 'mondo degli spiriti' [des Geisterreichs], che vorrebbero che il libro supportasse le loro volatili e incerte [schwankenden] teorie. Altri, aggiunge Schulze, potrebbero addirittura spingersi oltre, e vedere nel Gespensterbuch qualcosa di simile all'Höllenzwang - un grimorio medievale attribuito al Dottor Faust e assai popolare fra Seicento e Settecento, di cui anche Goethe possedeva una copia.
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Al di là di tutto, la distinzione di Schulze ci restituisce l'immagine di un momento storico incerto, in cui le definizioni che oggi siamo adusi ad adoperare - letteratura fantastica, gothic fiction, fiaba, leggenda, resoconto soprannaturale - si trovano ancora in uno stadio di peculiare indistizione, e di fronte a un libro come il Gespensterbuch un lettore potrà aspettarsi ugualmente una demolizione delle superstizioni popolari, un trattato di occultismo, o finanche un libro di magia nera. Allo stesso tempo, la prefazione di Schulze ci da' l'idea di un mondo che vede la coesistenza, ancora, di più modelli interpretativi per comprendere l'universo - la scienza dell'illuminismo, la fede nel Geisterreich (o spiritual world, o monde des esprits, una nozione in cui si sussumono, fra fine Settecento e primo Ottocento, varie forme di conciliazione fra scienza e soprannaturale, dal mesmerismo alle visioni di Swedenborg) e la sfera della credulità popolare, quella espressa nei fogli volanti e nei grimori per fattucchiere di provincia.
La postfazione di Apel (che si firma solo A.) si muove sullo stesso crinale. L'esistenza dei fantasmi [Gespenster], dice Apel, è cosa molto incerta e controversa: ma è certo che racconti di fantasmi [Gespenstergeschichten] esistono, e che molti li leggono e ascoltano volentieri. Dunque (Apel si indirizza qui a un ipotetico 'lettore in vena di critiche'), da un libro del genere ci si debbono aspettare argomenti pro o contro la credenza nei fantasmi [Gespensterglauben] quanti uno potrebbe attendersi, in difesa del paganesimo, da un libro di mitologia - cioè zero. Ovidio, del resto, racconta che Apollo, acceso d'amore per Dafne, se la ritrovò mutata in alloro; non per questo il lettore delle Metamorfosi, nel chiedere il 'guiderdone d'amore' [das Minnesolde] alla propria bella, dovrà aspettarsi di finire con un pugno di foglie di lauro in mano. Insomma, si tratta di finzione letteraria - anche se non troppo: perché, suggerisce Apel con una strizzatina d'occhio, mentre Ovidio l'abbiamo solo letto al ginnasio, le storie di 'antichi castelli, pittori di tombe, dipinti portentosi, tesori nascosti, campane a morto, prodigi, Dame Bianche, uomini oscuri, gnomi grigi, sudari', le conosciamo già, dai racconti delle nostre balie. Oggi sappiamo che non sono vere, ma ci causano comunque un fremito di terrore, proprio perché le abbiamo già incontrate in un tempo remoto - qualcosa di simile a ciò che Freud chiamava 'il perturbante' [das Unheimliche], il ritorno di qualcosa noto in passato e poi, apparentemente, svanito alla coscienza. Ed è eloquente che proprio etwas unheimliches - 'qualcosa di perturbante' - sia l'espressione adoperata da Apel per definire questo terrore infantile, che infrange i bordi fra realtà e finzione, possibile e impossibile.
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Così, le leggende sui fantasmi - qui Apel non adopera più il termine Gespenstergeschichte, più adatto a racconti in forma letteraria, ma Gespenstersagen, storie della tradizione orale - rappresentano la sopravvivenza, nel cuore del moderno, di qualcosa di antico: e come il mito antico è l'alba che precede il sorgere del sole della fede, le storie di spettri sono la luce incerta, tra la notte e il giorno, che precede la potenza chiarificatrice dei Lumi. Solo in un tempo pienamente illuminato [erleuchteren Zeit] si potrà dare una piena storia della credenza nel meraviglioso [Geschichte des Wunderglaubens]; situati, come siamo, ancora al di qua di una vera e totale conoscenza della natura [Naturerkenntnis], possiamo solo produrre - scrive Apel - libri che, come questo, diano testimonianza di quanto la fede nel meraviglioso ha saputo produrre: 'leggende di fantasmi, storie di vendetta, narrazioni di maghi, misteri, fiabe di fate, leggende e simili, a volte genuinamente riprese dalla tradizione popolare [Volkstradition], a volte inventate o rifatte in modo avventuroso e fantastico [abenteuerlich und fantastisch erfunden oder umgebildet]'.
Il secondo volume, conclude Apel, sarà pubblicato per la prossima fiera; e pur nella consueta varietà di temi, sarà ancor di più incentrato sulle storie di fantasmi e di apparizioni [Gespenstersagen und Erscheinungsgeschichten].
F. Laun [Friedrich August Schulze], prefazione, in Gespensterbuch, a cura di A. Apel e F. Laun, 5 volumi, Lipsia, Göschen, 1811-15, vol. I download
A. [Johann August Apel], postfazione, in ibid., pp. 281-88 download
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La visione di Lord Lyttelton
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Un opuscolo sulla vicenda uscito nel 1804
Nel giugno del 1815, sul londinese Gentleman's Magazine, apparve una miscellanea, inviata da tale 'Gulielmus', di casi soprannaturali presi da varie riviste del presente o del recente passato. Il primo raccoglieva la testimonianza del commediografo e industriale Miles Peter Andrews, morto giusto l'anno prima, e relativa alla cosiddetta 'visione di Lord Lyttelton':
Circa una settimana prima di morire, disse [Lord Lyttelton], era andato a dormire [...] appena il suo servitore se ne fu andato, udì un rumore di passi ai piedi del letto; si levò per vedere chi potesse essere, e una figura femminile, più angelica di quanto ogni fantasia umana potrebbe dipingere, gli si parò dinnanzi, e con voce e gesti autoritari gli ordinò di prepararsi, perché in una notte come quella, alle dodici in punto, sarebbe morto! Egli tentò di parlare alla visione, ma non ci riuscì; e il Fantasma disparve, e lo lasciò in uno stato che è più facile immaginare che descrivere [...] Tutti quelli a cui Lord Lyttelton raccontò la storia la buttarono, com'è ovvio, sul ridere, dato che lo conoscevano per uomo assai malato di nervi e superstizioso, e cercarono di convincerlo che era solo un sogno; e certo loro lo tenevano per tale. Lord Lyttelton si riempì la casa di gente [...] Il signor M.P. Andrews aveva degli affari che lo chiamavano a Dartford, e quindi se ne andò presto, pensando che Lord Lyttleton si fosse abbastanza calmato riguardo a quella faccenda; il sogno del suo amico aveva così poco impressionato la sua fantasia che non ricordava nemmeno l'ora in cui l'evento era stato predetto. Una notte, dopo aver lasciato Pitt-Place, la residenza di Lord Lyttelton - era a letto, pensava, da circa mezz'ora, e stava cercando di prender sonno - d'un tratto le tende si aprirono, e Lord Lyttelton apparve a fianco del letto, in piedi, con la veste da camera e la berretta da notte. Il signor Andrews lo scrutò per un poco, pensando a uno stupido scherzo del suo amico, che cominciò a rimproverare per la sua mattana [...] Si girò dall'altro lato del letto per suonare il campanello, ma Lord Lyttelton era sparito. [....] Il signor Andrews si vestì, e cercò per ogni dove, assieme ai suoi servi, in casa e in giardino; ma Lord Lyttelton non si poté trovare. [...] circa alle quattro di quello stesso giorno, venne un corriere a informarlo della morte di Lord Lyttelton [...], fornendone il seguente resoconto: - Che il mattino prima che Lord Lyttelton morisse, un amico era entrato nella sala della colazione a un certo punto fra le dieci e le undici; e quello pareva abbastanza pensieroso, e non aveva risposto alle domande dell'amico sulla sua salute e altro. A cena pareva star meglio [....] ma quando giunse la notte subentrò di nuovo la tetraggine del mattino. E tuttavia, poiché quella era la notte predetta, i suoi amici furono d'accordo sul manipolare gli orologi e le pendole della casa. [...] Alle undici e mezza (così credeva lui, ma in realtà erano solo le undici) disse che era stanco e che sarebbe andato a letto [....] A mezzanotte la porta si aprì con foga, ed entrò il paggio di Lord Lyttelton, mortalmente pallido, che gridò: 'Sua Signoria sta morendo!' Gli amici corsero al capezzale, ma quegli morì prima che potessero radunarvisi! Così disse loro il paggio: 'Lord Lyttelton si stava preparando come al solito per andare a letto, e continuava a guardare l'orologio; [...] Secondo quello, erano passati solo un minuto o due dalla mezzanotte; chiese di vedere il mio, e fu contento di vedere che era più o meno sincronizzato col suo [...] Verso mezzanotte e un quarto, secondo i nostri orologi, disse: "Quella signora misteriosa non è certo un buon profeta, mi pare". Quando si avvicinò la vera mezzanotte disse: "Vieni, non intendo aspettare oltre; portami la medicina, la prenderò e cercherò di dormire!" Ero appena entrato nella saletta per preparare la medicina, e l'avevo appena mescolata, quando credetti di sentire il respiro, assai affannoso, di Sua Signoria. Corsi da lui, e lo trovai agonizzante a morte'.
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Lord Thomas Lyttleton
Thomas Lyttleton, barone e noto libertino, era morto all'improvviso il 27 novembre 1779, all'età di trentacinque anni, nella sua casa di Epsom, nel Surrey. (2) La voce che la sua morte gli fosse stata predetta in modo soprannaturale s'era sparsa subito, tant'è che appena cinque anni dopo, il 12 giugno 1784, il Dr Johnson (riferisce Boswell, il suo biografo), parlandone al thè, la definiva 'la cosa più straordinaria accaduta ai miei tempi [the most extraordinary thing that has happened in my day]. L'ho udita con le mie orecchie da suo zio, Lord Westcote. Sono così lieto di avere così tante prove dell'esistenza del mondo degli spiriti [of the spiritual world] che sono incline a crederci'. (1) Un supposto resoconto steso 'a caldo', il 13 febbraio 1780, dalla mano di Lord Westcote, sarebbe apparso molti anni dopo, nel 1874, sulle pagine del periodico Notes & Queries:
giovedì 15 novembre 1779, Thomas Lord Lyttelton [...] disse di aver avuto un Sogno straordinario la notte avanti: era in una Stanza quando vi era entrato un Uccello, la cui sembianza s'era improvvisamente mutata in quella di una Donna vestita di bianco, che gli aveva intimato di prepararsi a Morire: e lui aveva risposto 'Spero non subito, o fra due Mesi'; e lei aveva risposto: 'Sì, in tre Giorni'.
Fra il 1815 e il 1816, la storia era tornata di moda, per via della pubblicazione della miscellanea di 'Gulielmus' sul Gentleman's Magazine; un anno dopo, di fronte a un lettore che aveva messo in dubbio la veridicità della storia, colui che era diventato il nuovo proprietario di Pitt Place dopo la fine della linea ereditaria dei Lyttelton, Thomas Jewdwine, scriveva al giornale di aver trovato in casa un memoriale manoscritto, steso dall''ammiraglio Wolseley', in cui si narrava l'episodio come assolutamente autentico.
Mentre era a casa sua a Hill-Street, Berkeley-square, [Lord Lyttelton] sognò, tre giorni prima della sua morte, "di vedere un Uccello svolazzare, e subito dopo una Donna in abito bianco gli apparve e disse: 'Preparati a morire, non vivrai tre giorni'. Allarmato chiamò il suo servitore, che lo trovò assai agitato e zuppo di sudore. [...] Al terzo giorno, a colazione, [...] disse: 'Ho beffato lo spettro, questo è il terzo giorno'. [...] Alle cinque cenò. Andò a letto alle undici. Il servitore, per dargli rabarbaro e acqua alla menta, girò il preparato con uno stuzzicadenti; al vederlo Lord Lyttelton lo chiamò 'sciatto cagnaccio', e gli ordinò di portargli un cucchiaio. Al ritorno del servo stava male. [...] Invece di farlo riprendere, questi corse a chiedere aiuto; al suo ritorno lo trovò morto.
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Pitt Place nel 1817, da John Hassells, Picturesque Rides and Walks with Excursions by water, Thirty Miles round the British Metropolis. La casa sarebbe stata demolita nel 1960.
E' sulla scia di questi racconti, credo, che - in visita a Villa Diodati nell'estate del 1816 - Matthew Gregory Lewis racconta agli ospiti due storie riguardanti Lord Lyttelton; una sulla sua apparizione in punto di morte a Andrews, più o meno come viene riferita da 'Gulielmus' nel Gentleman's Magazine del 1815; un'altra su un misterioso personaggio incontrato da Lyttelton e altri suoi amici durante una battuta di caccia.
Due considerazioni, a questo punto si impongono. La prima è che la storia di Lord Lyttelton presenta, in embrione, tutti i caratteri della moderna leggenda urbana. I particolari cambiano di resoconto in resoconto: in un caso Lyttelton vede un pettirosso entrare dalla finestra, poi sogna di un uccello che si muta in una donna vestita di bianco; ma in un altro la donna appare - senza menzione di uccelli - ai piedi del letto, ed è di aspetto angelico oltre ogni immaginazione. I due hanno un dialogo, oppure no; a volte gli amici regolano gli orologi mezz'ora avanti, a volte è Lyttelton stesso (per ragioni ignote) a pensare di aver beffato la predizione; talvolta essa parla esplicitamente di mezzanotte, talvolta no. in una versione, Lyttelton stesso appare come fantasma ad Andrews, in un'altra la donna è la madre di due fanciulle da lui sedotte. Appare, insomma, come se Lord Lyttelton - le cui perversioni erano ben note nella buona società britannica - incarni, per i tempi moderni, il 'vizioso' della tradizione, punito da un evento soprannaturale che cambia di volta in volta come nelle narrazioni miracolistiche medievali: l'altro racconto riferito da Lewis testimonia come Lyttelton s'avviasse a divenire un personaggio da leggenda, intorno a cui addensare archetipi di natura soprannaturale e quasi fiabesca.
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Illustrazione per una delle riedizioni inglesi di L'Heure fatale
La seconda considerazione è che la storia di Lyttelton, nella sua versione più pura, è di fatto una variante di uno degli archetipi più elementari nelle storie di fantasmi - il tema dell'apparizione che annuncia a un vivente il giorno e l'ora esatti della propria morte. Uno dei racconti più riusciti della Fantasmagoriana, opera di Friedrich August Schulze, rielabora precisamente questo motivo: apparso come 'Die Verwandtschaft mit der Geisterwelt' [La parentela col mondo degli spiriti] nel primo volume del Gespensterbuch, esso viene tradotto da Eyriès come 'L'Heure fatale', e conseguentemente da Utterson come 'The Fated Hour'. Nel racconto, una ragazza caratterizzata fin dall'infanzia da un'inclinazione marcata alla fantasticheria e da una certa propensione all'occulto, riceve da un fantasma luminoso la profezia della propria morte, di quella di suo padre e della propria sorella; ed è quest'ultima a raccontare la storia alle amiche, attendendo - come Lyttelton a Pitt Place - che suoni il fatale rintocco della mezzanotte.
(1) James Boswell, The Life of Samuel Johnson, Londra, J. Davis, 1820, vol. II, p. 879.
(2) Per un resoconto delle varie versioni della vicenda (con qualche imprecisione) si veda Jennifer Westwood e Jacqueline Simpson, The Penguin Book of Ghosts, a cura di Sophia Kingshill, Londra, Penguin Books, 2008, pp. 355-56.
Gulielmus, 'Case I. Miles Peter Andrews, Esq., and Lord Lyttelton (From a London Paper)', The Gentleman's Magazine (giugno 1815), 597-98 download
T[homas] J[ewdwine], 'Lord Lyttelton's Death', The Gentleman's Magazine (novembre 1816), 421-22 download
[Anonimo], 'The Dream and Death of Thomas, Lord Lyttelton', Notes & Queries V, 2 (21 novembre 1874), 401-405 download
Friedrich August Schulze, 'Die Verwandtschaft mit der Geisterwelt', in Gespensterbuch, a cura di A. Apel e F. Laun, 5 volumi, Lipsia, Göschen, 1811-15, vol. I, pp. 239-80 download
---, 'L'Heure fatale', trad. francese di 'un Amateur' [Jean-Baptiste Benoît Eyriès], in Fantasmagoriana, 2 tomi, Parigi, Schoell, 1812, t. II, pp. 105-160 download
----, 'The Fated Hour', trad. inglese di anonimo [Sarah Elizabeth Utterson], in Tales of the Dead, Londra, White, Cochrane & Co, 1813, pp. 64-93 download
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Credere nei fantasmi in un secolo illuminato: Mary Shelley, 'On Ghosts' (1824)
Che ne è dei fantasmi, in un secolo illuminato dalla conoscenza del vero? Non ci credo, ma ne ho paura, diceva Madame du Deffand; ne ho visti troppi per prestare la minima fede nella loro esistenza, ribatteva Coleridge. Nei primi decenni dell'Ottocento la domanda rimbalza dall'uno all'altro lato della Manica, tra la patria di Newton e il paese che, durante il Terrore, aveva innalzato altari alla dea Ragione; si spande oltre le Alpi, in Italia, nel Mediterraneo; e raggiunge le coste americane. Se lo chiede Eyriès, nella sua introduzione alla Fantasmagoriana: se la scienza ha spodestato il soprannaturale, sarà forse la letteratura l'ultimo rifugio di chi vuole ancora sperimentare il brivido dell'ignoto. E negli stessi anni, dal Saggio sopra gli errori popolari degli antichi ai Pensieri, il giovane Leopardi interroga i motivi per cui, nei paesi qui marchent à la tête de la civilisation - e in città cosmopolite e disincantate come Parigi, Londra, Firenze - si continui a credere a spettri e chimere che non dovrebbero più incantare nessuno.
Nel numero di marzo 1824 del London Magazine, Mary Shelley pubblica un articolo dal titolo 'On Ghosts'. L'immaginazione degli antichi, scrive Shelley, era tanto più robusta e vivida quanto l'universo era loro ignoto; oggi che l'unica terra ancora incognita è la sorgente del Niger (quello stesso interiore dell'Affrica in cui si svolge il Dialogo della Natura e di un islandese, scritto in quello stesso anno), e l'unico enigma ancora da risolvere è quello del presunto 'passaggio a nord-ovest', il meraviglioso parrebbe a noi inaccessibile. Le 'classiche' storie di spettri che si raccontavano, un tempo, a voce non sono più credute; il caso della 'visione di Lord Lyttleton' (una delle storie di fantasmi più popolari dell'epoca, alla quale a breve dedicheremo un post) viene definita un inganno; i fantasmi che vediamo in teatro - il sogno di Bruto dal Giulio Cesare di Shakespeare, l'ombra del padre di Amleto - non ci causano più che un 'brivido lieve'.
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Dunque, si chiede Shelley, davvero non crediamo più ai fantasmi? Di giorno, di certo. Ma di notte? La notte è un caso un po' diverso, se si è soli, se le tende svolazzano al soffio del vento, se il corridoio è lungo e buio e c'è una porta socchiusa; allora, 'a mezzanotte in una casa solitaria', è facile che ci colga il dubbio che le vecchie storie possano essere vere. Shelley non ha un nome per 'questa sensazione', il Freud del saggio su Il perturbante è lontano più di un secolo: ma la nube semantica dell'Unheimliche è già definita, racchiusa in quei luoghi e in quelle situazioni topiche - la mezzanotte, una casa isolata, il vento che fa sbattere le imposte - già descritte da Hoffmann, pochi anni prima, ne Il maggiorasco (1816).
Ciascuno sa quanto un soggiorno inconsueto e un po' avventuroso sia in grado di intrigare la mente con forza misteriosa; persino la più pigra fantasia riesce a destarsi in una valle racchiusa da strane pareti di roccia - fra le tetre mura di una chiesa o altrove e presagisce cose mai viste. [...] Si pensi al silenzio di una notte in cui si sente il mugghiare del mare, lo strano sibilare del vento notturno, quasi fossero le note di un potente organo toccato dagli spettri - le nubi passeggere che, chiare e scintillanti, sembrano guardare fra le finestre ad arco tintinnanti come se passassero dei giganti, insomma, il leggero brivido che mi pervase facendomi tremare mi fece capire che stava per dischiudersi, ora visibile e percepibile, un regno ignoto. Questa sensazione somigliava al brivido di gelo che si sente ascoltando una storia di fantasmi raccontata a tinte forti e che tanto ci piace. MI venne in mente in quella circostanza che non c'era atmosfera migliore per leggere il libro che, al pari di chiunque allora fosse devoto al mondo romantico, io tenevo in tasca. Era Il visionario di Schiller. (trad. di Matteo Galli)
E' interessante vedere quali storie Shelley prende ad esempio. C'è quella della Monaca insanguinata (Bleeding Nun), di cui poteva leggere una rielaborazione in The Monk (1796) di Matthew Gregory Lewis, ma che era stata riscritta anche da Nodier in Infernaliana (oltre ad essere una delle sotterranee, insospettabili fonti di Manzoni: cos'è la reclusa e assassina Gertrude se non una bleeding nun dalla quale è stata rimossa ogni ombra di soprannaturale?). C'è la Statua al dito della quale un incauto mette il proprio anello di matrimonio, e che, la prima notte di nozze, torna a reclamare il proprio diritto di sposa: una leggenda medievale (nelle varie versioni sopravvissute, curiosamente, la statua può essere alternativamente quella di Venere o della Vergine Maria (1)), che ispirerà il celeberrimo La Vénus d'Ille di Prosper Mérimée (1837) o, in tempi recentissimi, La sposa cadavere di Tim Burton. E c'è Portraits de famille (Die Bilder der Ahnen) di Apel, uno dei racconti della Fantasmagoriana che doveva più aver colpito l'immaginazione di Shelley, tanto da citare lo stesso episodio nell'introduzione a Frankenstein, quindici anni dopo aver letto il racconto:
[...] ripensate alla storia del Nonno il quale, sotto forma di spettro, stava presso il letto dei nipotini addormentati e baciava loro la fronte con labbra ormai prive di respiro, condannandoli così a quella morte cui erano predestinati [...] ('On Ghosts')
C'era la storia del peccatore, capostipite della propria famiglia, tristemente condannato a dover dare il bacio della morte a tutti i figli più giovani della sua casata maledetta, proprio quando questi raggiungevano l'età delle speranze. La sua figura, un'ombra gigantesca, completamente rivestita dall'armatura, come il fantasma di Amleto, ma con la visiera alzata, la si vedeva avanzare lentamente a mezzanotte, alla luce incerta della luna, lungo un fosco viale. La figura si perdeva poi sotto l'ombra delle mura del castello, ma subito dopo un cancello si apriva, si udiva un passo, la porta della camera si schiudeva e il fantasma avanzava verso il giaciglio delle giovinezze in boccio, abbandonate a un sonno profondo. Un dolore eterno opprimeva il suo volto mentre si chinava a baciare la fronte dei ragazzi, che da quell'attimo appassivano come fiori dallo stelo reciso. (Introduzione a Frankenstein, 1831)
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A queste storie di fantasmi, deliziosamente situate sul crinale tra fiaba, folklore e letteratura, e fra oralità e letteratura, Shelley aggiunge le sue: una capitata a lei stessa, altre riferitele da Thomas Jefferson Hogg (1792-1862) - amico e futuro biografo di Percy Bysshe Shelley - Antonio Mengaldo, un ex combattente dell'Armée napoleonica incontrato da Shelley nel 1818 a Venezia, e M.G. Lewis. Storie, come si è usi dire, capitate a gente fededegna, distinta per coraggio, intelligenza, o entrambe; a dimostrazione, come aveva scritto Leopardi nello Zibaldone appena un anno prima, che nessuno può dirsi immune dal sentimento del terrore:
Altro è il timore altro il terrore. Questa è passione molto più forte e viva di quella, e molto più avvilitiva dell’animo e sospensiva dell’uso della ragione, anzi quasi di tutte le facoltà dell’animo, ed anche de’ sensi del corpo. Nondimeno la prima di queste passioni non cade nell’uomo perfettamente coraggioso e savio, la seconda sì. Egli non teme mai, ma può sempre essere atterrito. Nessuno può debitamente vantarsi di non poter essere spaventato. (Zib. 2803-04, 21 giugno 1823)
(1) Eugenio Burgio, Racconti di immagini.
[Mary Shelley], 'On Ghosts', The London Magazine, XI (Marzo 1824), 253-56 download
Mary Woolstonecraft Shelley, Frankenstein ovvero il Prometeo moderno, a cura di Malcolm Skey, trad. di Stefania Censi, Napoli, Theoria, 1991
#mary shelley#giacomo leopardi#Fantasmagoriana#fantasmi#e. t. a. hoffmann#je sais bien mais quand meme
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Stephen Mackey. Lo spirito della Fantasmagoriana, in un'immagine.
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È da poco uscito il mio ultimo libro, Leopardi's Nymphs: Grace, Melancholy, and the Uncanny. Dal link in alto si accede alla pagina sul sito web della casa editrice; qui la pagina del libro su Amazon, e qui gli altri miei libri.
How can one make poetry in a disenchanted age? For Giacomo Leopardi (1798-1837) this was the modern subject’s most insolvable deadlock, after the Enlightenment’s pitiless unveiling of truth. Still, in the poems written in 1828-29 between Pisa and the Marches, Leopardi manages to turn disillusion into a powerful source of inspiration, through an unprecedented balance between poetic lightness and philosophical density. The addressees of these cantos are two prematurely dead maidens bearing names of nymphs, and thus obliquely metamorphosed into the charmingly disquieting deities that in Greek lore brought knowledge and poetic speech through possession. The nymph, Camilletti argues, can be seen as the inspirational power allowing the utterance of a new kind of poetry, bridging antiquity and modernity, illusion and disenchantment, life and death. By reading Leopardi’s poems in the light of Freudian psychoanalysis and of Aby Warburg’s and Walter Benjamin’s thought, Camilletti gives a ground-breaking interpretation of the way Leopardi negotiates the original fracture between poetry and philosophy that characterizes Western culture.
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Storie di fantasmi, tradotte dal tedesco
Si rivelò un’estate piovosa e fredda e la pioggia incessante spesso ci costringeva a stare a casa per giorni interi. Ci capitarono tra le mani dei volumi di storie di fantasmi tradotti dal tedesco al francese. C’era la Storia dell’amante infedele, il quale, convinto di abbracciare la sposa a cui si era votato, si ritrovò tra le braccia il pallido fantasma di colei che aveva abbandonato. C’era la storia dell’immorale capostipite di una stirpe, il cui infelice destino consisteva nel dare il bacio della morte a tutti i figli della sua malaugurata casata [...] Non ho più rivisto queste storie da allora, ma gli avvenimenti in esse contenuti sono tanto vividi nella mia memoria come se le avessi lette ieri.
Mary Shelley, Introduzione a Frankenstein (1818)
Quella notte del 1816, a Villa Diodati, nasce l'horror in senso contemporaneo: sono le tensioni sotterranee fra coloro che si incontrano, in quell'estate senza estate, sul Lago Lemano - come ha scritto in un saggio fondamentale Danilo Arona - a gettare le premesse, con Frankenstein e The Vampyre, a ciò che ancora, a distanza di quasi due secoli, terrorizza il cuore stesso del moderno.
Ce n'è abbastanza per riprendere in mano il volume da cui tutto nacque, e che dà anche il titolo a questo blog: meglio, i volumi, perché la memoria di Mary Shelley è difettosa (sbaglia il titolo della prima storia, e anche l'intreccio; della seconda tralascia la maggior parte), ma la Fantasmagoriana compilata (anonimamente) dal poligrafo Jean-Baptiste Benoît Eyriès - qui una bibliografia parziale delle sue opere - è davvero divisa in due tomi, a giustificare il plurale adoperato da Shelley. Ed entrambi sono ora disponibili su Google Books, completamente digitalizzati: qui il primo, e qui il secondo volume.
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Eyriès aveva tradotto e raccolto racconti apparsi in Germania ai primi dell'Ottocento, di autori oggi dimenticati ma allora molto popolari come Johann August Apel, Friedrich August Schulze, Johann Karl August Musäus e Heinrich Clauren; la maggior parte provenivano dai primi due volumi dell'antologia Gespensterbuch, curata per l'editore Göschen di Lipsia da Apel e Schulze, quest'ultimo con lo pseudonimo di F. Laun (anche questi disponibili online: qui il primo e qui il secondo volume).
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Precedeva il tutto un'introduzione di Eyriès, a mio avviso fondamentale per la ricezione e la fortuna dell'opera: dove l'antologia di Apel e Schulze non aveva altra pretesa che di presentare racconti uniti da un tema comune - i fantasmi (Gespenster) - nella Francia post-rivoluzionaria Eyriès sceglieva di incentrare l'introduzione sull'illuminismo e sulla fine di ogni credenza nel soprannaturale nel mondo moderno; e tuttavia, aggiungeva, benché non crediamo più in queste cose, abbiamo paura a trascorrere la notte nei cimiteri, e questa è la ragione per cui possiamo apprezzare racconti come questi. In altre parole, Eyriès arrivava vicino alla definizione freudiana del perturbante come cono d'ombra del razionalismo illuminista, senso di meraviglia e spaesamento prodotto da qualcosa che un tempo era familiare e che oggi è divenuto estraneo per via di rimozione (vedi anche l'utile post di N.K. Petersen su Magia Posthuma).
Nel 1813 Sarah Elizabeth Utterson - moglie del collezionista e antiquario Edward Vernon Utterson - pubblica una traduzione inglese, col titolo Tales of the Dead, che dichiara essere frutto del "divertimento di un'ora oziosa". Sopprime tre racconti, ne aggiunge uno di suo, sforbicia allegramente L'amour muet (originale Stumme Liebe, da lei tradotto come The Spectre-Barber); e aggiunge ad ogni racconto epigrafi dalla tradizione letteraria inglese, specie da Shakespeare. Nell'introduzione, a differenza di Eyriès, si dilunga sulla tradizione letteraria di simili racconti, e sull'impatto che potranno avere in un'Inghilterra estenuata dai molti e mediocri imitatori di Ann Radcliffe e Horace Walpole. Il volume di Utterson si può leggere qui, e la corrispondenza fra le tre opere - gli originali tedeschi, la raccolta di Eyriès e quella di Utterson - è ricostruita alla pagina wikipedia di Tales of the Dead.
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Curiosamente, questi testi così cruciali - e all'origine di molteplici imitazioni, come l'Infernaliana di Charles Nodier (1822) - sono stati irreperibili per quasi due secoli. Nel 1994 Terry Hale ha editato l'edizione di Utterson, poi tradotta in greco nel 2003; nel 2005 A.J. Day ha pubblicato una traduzione inglese dei due volumi di Eyriès. Nessuna traduzione italiana è mai apparsa, benché l'antologia francese appaia ben nota nell'Italia della Restaurazione (la si trova citata nelle riviste letterarie).
Nelle prossime settimane questo blog ospiterà un'analisi approfondita di questi testi: riflessioni, indagini, esperimenti di traduzione. Nell'Europa delle guerre napoleoniche, l'opera di Apel/Laun-Eyriès-Utterson è un testo mobile che attraversa barriere linguistiche e culturali, interrogando snodi cruciali della cultura occidentale come la sopravvivenza del soprannaturale in età post-illuministica, il transito dal gotico di fine Settecento alla ghost-story ottocentesca, la geografia e le traiettorie culturali fra Germania post-romantica, Francia napoleonica e Inghilterra georgiana. Il fine è di arrivare, prima o poi, a un'edizione italiana, corredata dal primo apparato critico che tenga conto degli originali tedeschi e delle loro traduzioni in francese e in inglese.
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Ogni epoca, scriveva Walter Benjamin, sogna la successiva. È una "prefigurazione fantastica" che solo uno sguardo postumo può realmente cogliere, come una "lastra fotosensibile" le cui immagini impresse saranno rivelate solo dagli acidi, più potenti, del futuro. Il numero 5 di Horror, dell'aprile 1970, è una di quelle lastre, sorta di monade tesa tra quel che è stato e l'adesso, e che oggi possiamo guardare con nostalgia, curiosità, tenerezza: ma soprattutto come un esempio di che straordinario laboratorio di idee fu quella rivista, e di come essa abbia gettato i semi di molte esperienze germinate in seguito. (continua su Mattatoio n. 5)
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