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Partigiano
“La guerra di parte, dice un uffiziale che si è distinto nelle guerre di Spagna, è la più antica, la più naturale, e la sola che sia sempre giusta. Essa è quella del debole contra il forte: essa non può farsi senza il concorso e l'approvazione di tutta una nazione: essa dipende dalla opinione generale, non dalla volontà di un tiranno, o d'un conquistatore. Questa guerra non può avere altro scopo che di respingere un'invasione, e di sottrarre lo stato, la nazione, il principe da un giogo straniero. Quando anche fosse menata innanzi con barbarie, alcuno non avrebbe il dritto di dolersene, poiché l'inimico potrebbe sempre ritirarsi con la sicurezza di non esser perseguitato nel proprio paese.”
- Cit. La Minerva Napolitana
Un partigiano è un combattente armato, ma non è un soldato. Infatti non appartiene ad un esercito regolare ma ad un movimento di resistenza che solitamente si organizza in bande o gruppi, per fronteggiare uno o più eserciti regolari, con l’aiuto determinante della popolazione civile, ingaggiando quella che viene definita una guerra asimmetrica. Così la «lotta partigiana» si intende una guerra di difesa di natura civile contro un’occupazione militare.
Il termine partigiano in Italia viene usato per identificare quella parte della popolazione che durante la seconda guerra mondiale si oppose al nazifascismo. Sono riusciti ad alzare la testa contro il regime fascista, attraverso azioni di guerriglia, salvando vite di persone innocenti. La paura non è riuscita a fermarli, permettendo allo spirito umano di trionfare durante una guerra marcata dalla brutalità.
La seconda guerra mondiale ha visto orrori che hanno portato alla morte di 15 milioni di persone (delle quali 5-6 milioni di ebrei). I nazisti sono stati però contrastati, nel piccolo della realtà italiana, dalla bontà di cuore di queste persone che hanno rischiato la pelle, attraverso stratagemmi che hanno salvato la vita di molti innocenti.
Mia nonna mi racconta delle imprese dei partigiani, in particolare le avventure vissute da suo padre e dalle zie durante la seconda guerra mondiale.
Il mio bisnonno, Livio, faceva parte del gruppo di azione patriottica dell’ospedale civile (GAP) dei partigiani di Ancona capitanata dai due primari ospedalieri, il professor Bombi e professor Patrignani. Livio lavorava all’ospedale come manutentore, e come il famoso ciclista Bartali, è celebre il racconto di lui che passava i messaggi nascondendoli dentro il telaio della bici. Essendo dipendente dell’ospedale, portava sul braccio sinistro una fascia con una croce o con una H e così facendo passava tutti i controlli. La sua giustificazione era portare medicinali nell’entroterra, in quanto Ancona era stata sfollata a causa dei bombardamenti. Invece il suo compito era di portare messaggi ai partigiani nascosti in montagna, fornendo segnalazioni sulla dislocazione dei reparti nemici, sui campi e le strutture minate e altre notizie utili allo svolgimento delle operazioni militari.
Tutti questi ricordi e queste storie vengono racchiuse nella tessera dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) di Livio, che ancora mantiene la sua postazione nel cassetto del comodino di nonna.
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One had better die fight against injustice than to die like a dog or rat in trap.
Ida B. Wells
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Il diritto di contare (2016)
1961, Stati Uniti d’America, stato della Virginia.
In questi anni nonostante le lotte di Martin Luther King, in Virginia vigono ancora leggi della segregazione razziale: bagni separati per bianchi e “colored (colorati)”, posti a sedere del bus separati, separati settori di lettura in biblioteca.
Anche gli uffici sono separati, anche alla Nasa, dove nella West Area Computing lavorano come calcolatrici tre donne: la matematica Katherine Jackson, l’ingegnera Dorothy Vaughan e Mary Jackson.
Queste tre figure hanno avuto un ruolo fondamentale nell’inviare il primo uomo americano nell’orbita terrestre. Loro sono tre donne afro americane, nullità per la mentalità del tempo, e nonostante la loro importanza ci vengono presentate solo cinquant’anni dopo, attraverso il film Hidden Figures (figure nascoste).
Questo film racconta tre storie, vere, di come tre donne di colore abbiano cambiato il futuro della Nasa dimostrando ancora di più che il colore della pelle non determina l’intelligenza o l’etica di una persona.
Il regista Theodore Melfi decide di evidenziare la diversità di queste tre donne attraverso particolari inquadrature, che grazie al colore di un vestito o ad una particolare posa, riescono a emergere dalla massa e colpiscono l’occhio, ricordandoci che questa è la loro storia e che sono loro ad avere il merito di grandi missioni spaziali.
Le avvincenti storie delle tre donne ci vengono raccontate parallelamente, permettendoci di capire che la fine della segregazione razziale stava pian piano arrivando da tutti i fronti.
Katherine Jackson è una donna altamente abile con i numeri, la migliore matematica della Nasa e mentre prima viene emarginata, ha poi la fortuna di incontrare un capo che riconosce le sue abilità e che fa di tutto per permetterle di lavorare ai pari livelli di un uomo bianco. Le sue abilità riescono ad impressionare anche Jhon Glenn, che deciderà di partire per la missione in orbita solo dopo che Katherine in persona gli avrà confermato i calcoli. Katherine Jackson è l’esempio di potere dei senza potere, i suoi calcoli manderanno per la prima volta un uomo americano in orbita e riusciranno poi a portare anche un uomo sulla Luna. Nonostante la sua storia non sia trapelata fino a recente data, la Nasa le riconosce il merito della riuscita dell’Apollo 11, e nel 2016 le è stato dedicato un edificio in onore del suo contributo al progresso del volo spaziale.
Mary Jackson è la prima donna afroamericana a diventare ingegnere aeronautico della Nasa e d’America e per tutta la sua vita ha lottato per portare all’abbattimento di discriminazioni razziali.
Dorothy Vaughan è diventata il primo Supervisore afroamericano della Nasa. Grazie alla sua lungimiranza, è riuscita a capire del rischio che la sua posizione correva a causa dell’installazione dei nuovi elaboratori elettronici dell’IBM, ed è stata la prima a studiarne il funzionamento diventando indispensabile come specialista Fortran (il codice di programmazione dei compilatori). Entra poi nel campo dell’elaborazione elettronica ed è considerata una delle menti più brillanti della Nasa.
Queste tre donne hanno portato grandi cambiamenti tecnologici e sociali, la loro storia viene raccontata per ricordarci che in un mondo di bianchi e colorati, il cervello non ha colori, e che le menti brillanti possono nascere da ogni situazione.
“il genio non ha razza. la forza non ha sesso. ll coraggio non ha limiti.”
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Freeda
freedom al femminile
Freeda è una rivista social, ovvero un progetto editoriale che pubblica i suoi articoli solo sui social, attiva su Facebook e Instagram. Indirizzata ad un pubblico che va dai 18 ai 34 anni, racconta e spiega il femminismo nel mondo e nel tempo, anche se personalmente preferisco definirla come una pagina social che attraverso frasi e testimonianze, sprona le donne ad amarsi per le loro caratteristiche. I social hanno accentuato ancora di più dei canoni di bellezza ai quali le ragazze adolescenti guardano con esagerata ammirazione, ritengo quindi fondamentale la caratteristica di Freeda che in mezzo ad un mare di foto di bambole riesce a emergere parlando dell’accettazione e valorizzazione del proprio corpo.
Freeda pubblica foto, meme e video; in particolare i video sono testimonianze o storie di persone che dal nulla sono riuscite a cambiare la storia e creare qualcosa di importante -> appunto il potere dei senza potere.
Le grandi donne che Freeda racconta spaziano in tutti i settori – scienza, arte, letteratura, ingegneria, musica, cinema… – e in tutte le epoche: Maryam Mirzakhani che ha messo una pietra sopra agli stereotipi sulle donne e le materie scientifiche vincendo la Medaglia Fields nel 2014, il più prestigioso premio mondiale per la matematica; Margaret Bulkey, che si finse un uomo per 56 anni pur di fare il medico nell’esercito inglese nel 1865, quando alle donne non era concesso; Rupi Kaur, giovane e brillante Instapoet di origini indiana, o Ildegarda di Bingen, la santa che per prima parlò di sessualità femminile nel Medioevo.
È ovvio che in quanto pagina social pubblichi anche contenuti di più basso spessore, in quanto vuole informare ma comunque intrattenere. Ritengo però questa realtà attinente al questo blog perché raccontando il potere di persone (principalmente donne) che di potere effettivo non ne avevano, anche gli editori e i giornalisti che pubblicano su quest’account social hanno un’influenza - e quindi un potere - su generazioni di donne che, attraverso articoli e gif, imparano il potere di amarsi e rispettarsi.
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The powerful have always preyed on the powerless, that's how they became powerful in the first place.
Tyrion Lannister (Game of Thrones S5.Ep1)
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Un giullare da premio nobel
È il 9 ottobre del 1997 quando l’accademia di Svezia conferisce il Nobel per la letteratura a Dario Fo, giustificandolo con: “seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo dignità agli oppressi”.
Wikipedia ci racconta Fo come un “drammaturgo, attore, scrittore, paroliere e scenografo italiano”, tutti ruoli che lui ha interpretato nel suo lavoro più famoso: “Mistero Buffo”. Nel suo programma, accompagnato dalla moglie Franca Rame, egli racconta e rappresenta storie con l’obbiettivo di far ridere e allo stesso tempo smontare figure o istituzioni potenti.
Uno degli video che mi ha particolarmente colpito di Dario Fo è la storia del giullare. Fo ci racconta (prima in Italiano e poi in Gremmelot) la storia della nascita del giullare; un racconto popolare che attribuisce la nascita di questa figura ad un volere divino, è infatti Gesù a dare il potere di dileggiare il potere affinché il giullare, non potendosi fisicamente ribellare, può raccontare e rendere coscienti gli altri della propria situazione di oppressione.
La forza del giullare sta nello smontare la figura del potente; il levare credibilità ai potenti fa si che la comunità non li veda più come qualcosa di superiore, ma come qualcuno di comune, simile, se non addirittura inferiore a loro. Solo così si prende coscienza di un possibile ribaltamento della situazione, non vedendo più il padrone come qualcuno di superiore, si perde il rispetto nei suoi confronti. Senza il rispetto le persone sono più propense a ribellarsi in situazioni di disagio, malcontento o ingiustizia.
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Madres de Plaza de Mayo
On the afternoon of 30 April 1977, 14 courageous women set aside fear (and their families’ warnings) and left their homes to confront the dictatorship that had stolen their children. These women started a movement called Mothers of Plaza de Mayo; which is the embodiment of the theme of this blog, the Power of the Powerless.
During the period called “Dirty War” in Argentina (from 1976 to 1983), about 30,000 people went missing because of their opinion against the government. The dictatorship was trying to build a new generation of people, removing the ones who were supposed to think differently, killing them or imprisoning them inside concentration camps.
But the love of a mother for her children cannot be stoped by fear. Thanks to this feeling, thousand of women found strength in each other by marching in public, making the world aware of a problem hidden by the dictatorship. With their white head scarves, embroidered with their offsprings’ names and date of birth, the mothers have become a symbol of courage and relentless battle for justice.
They stood up against the power, they set aside fear and thanks to them in 2016 more than 1,000 tortures or killer had been tried and around 700 sentenced.
During this period almost 500 of the desaparecidos (disappeared) were children who were born from pregnant desaparecidos women kept in concentration camps or prisons. Then these children were token away from their mothers and adopted by military families, due to avoid a new generation of subversives.
As the mother fight for their children so the grandmothers fight for they grandchildren. The Grandmothers of Plaza de Mayo (Abuelas of Plaza de Mayo) is an association founded in 1977 with the aim to return the children to their surviving biological families. By June 2019 the grandmothers have found 130 grandchildren.
With their marches the Madres and Abuelas of Plaza the Mayo have stood against the power, fighting all the violence and the horror that have split their families, bringing justice to their offsprings memories.
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Joker (2019 film)
Film del 2019 diretto da Todd Philips, questo film ci presenta il più famoso villain della storia dei fumetti sotto un altro aspetto, totalmente diverso da quello che siamo abituati vedere.
Nemesi di Batman, anche Joker vive all’interno di Gotham City ed è sempre pronto con nuove creazioni o nuovi attentati ad uccidere il nostro eroe mascherato. Ma chi è veramente Joker? Esistono tante versioni della sua storia e nessuna di queste viene utilizzata nel film. Il film utilizza la figura del Joker, conosciuta globalmente da quasi tutte le fasce di età, per parlare di un argomento più ampio: la malattia mentale e di come questa venga ignorata dalla società.
Questo film ci presenta il protagonista, Arthur Fleck, che vive in una Gotham City spaccata in due dalla crisi. Nella prima parte del film vediamo tutta la situazione del povero Arthur, che indossa due maschere: la prima è quella di un clown che si dipinge per lavorare, la seconda è un futile tentativo di essere accettato dalla società. La società nella quale Arthur cerca di inserirsi è una Gotham troppo impegnata nelle elezioni di un degno rappresentante della classe dirigente per occuparsi di coloro che soffrono la povertà, hanno delle situazioni di disagio e soffrono di malattie mentali; caratteristiche rappresentate da Arthur. Con l’avanzare del film notiamo come questo personaggio sia sempre più schiacciato da figure che hanno un potere su di lui (la madre, il datore di lavoro, un presentatore tv da lui idolatrato che lo canzona in diretta) e di come venga pian piano abbandonato da uno stato non curante del suo bisogno di assistenza.
Abbiamo qui la rivelazione del Joker, una figura che per caso riesce a prendere in mano la sua vita e di ribellarsi, attraverso un gesto molto violento: l’uccisione di tre ragazzi della finanza che stavano per violentarlo. Solo lui sa la verità, grazie a questo gesto la divisione di Gotham diventa ancora più critica: la parte economicamente più ricca si adopera per trovare un assassino, la parte più povera della città rende questo “clown assassino” un simbolo. Il Joker diventa un simbolo di ribellione verso coloro che con i propri soldi controllano le sorti della città, non curanti delle condizioni di vita dei cittadini.
L’aspetto di questo film che vorrei evidenziare è nel suo finale, di come basti un gesto, un simbolo, una persona per far partire le ribellioni contro gli oppressori. Joker non vuole creare rivolte, Joker non ha intento nel far prendere fuoco la città. A Joker interessa vendicare la sua vita di oppressione e come lui intendono farlo tutte le persone che soffrono. Si genera così una rivolta dentro l’instabile Gotham, una rivolta di persone mascherate da clown che sono portate all’esasperazione dalla povertà e dalle tremende condizioni in cui vivono. La scena finale ricorda molto una foto della primavera di Praga, ma mentre se guardiamo la Primavera del’68 ci sentiamo sollevati e felici per una libertà che trionfa; guardando le ultime scene del Joker danzante su una macchina della polizia, ci sentiamo inquieti e inutili; in quanto le possibilità che accada una cosa simile sono molto elevate in un mondo controllato dal capitalismo, che mette da parte gli uomini deboli affinché quelli “più forti” possano lottare per un lingotto dorato.
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L’impronta della comunità ebraica nella storia di Praga
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Durante il nostro viaggio di istruzione a Praga, io e mie alcune compagne abbiamo notato come la presenza di una comunità ebraica, oltre che a essere ricordata per via dell’Olocausto, è ancora molto sentita e ci siamo volute fermare a riflettere su questo argomento, presentandolo poi grazie ad un video.
Una delle cose che più mi ha colpito della nostra gita a Praga è stata la Sinagoga Pinkas, infatti all’interno di questa sinagoga possiamo trovare intere pareti scritte a mano con i nomi di uomini, donne e bambini ebrei cechi che sono stati vittime del genocidio nazista della seconda guerra mondiale. All’entrata della sinagoga c’è una didascalia scritta sul muro che dice: “il luogo dove per secoli gli ebrei di Praga sono venuti a pregare è ora il memoriale di 80.000 uomini, donne e bambini che non hanno una tomba e che altrimenti sarebbero stati dimenticati.”
Questa frase mi ha fatto pensare al potere che ha la memoria, il motivo per il quale è importante ricordare: continuare a far vivere, anche solo per un secondo, tutta la storia passata. È importante che le persone ricordino, che capiscano la sofferenza che è stata portata dalle guerre del ventesimo secolo, che guardino i nomi di tutte quelle persone che, solo per via di un’appartenenza religiosa o culturale, hanno perso la vita. È importante che si comprenda a fondo il motivo banale che ha portato a tutto ciò: l’odio insensato verso ciò che è, o almeno sembra, diverso dal comune e dalla nostra quotidianità che viene emarginato solo perché non siamo abituati a vederlo. La strage della seconda guerra mondiale è nata dalla paura dei tedeschi di essere piccoli e deboli a seguito della prima guerra mondiale, una paura irrazionale che è stata utilizzata per trasformare una nazione in una macchina da guerra, che ha ucciso e sterminato milioni di persone innocenti per la semplice paura di essere una nazione debole.
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