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Sono sicura che andrà meglio,
ma quando?
È questo il succo:
il cambiamento avverrà
prima del termine ultimo
della vita,
oppure si concretizzerà nella cenere?
Wattpad: unagocciadipioggia
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Ti sei dimenticato di me
e il brutto è che me l'aspettavo,
ci credevo,
quasi ci speravo che mi dimenticassi,
così potevo dirti che avevo ragione,
che è come dico sempre:
mai fidarsi,
mai affidarsi,
si è sempre soli.
- @unagocciadipioggia
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Non idealizzarmi;
non sono la stessa che conoscevi,
non sono i tuoi ricordi distorti,
le pennellate che mi hai dipinto in viso
mentre parlavo,
le parole che mi hai scritto sulle palpebre
per dominarmi.
Non idealizzarmi,
te ne prego,
non voglio vivere come una bambola
pietrificata nella stessa espressione,
no, ti prego,
non farmi diventare un pupazzo nelle tue mani,
fammi scegliere,
fammi sbagliare,
facci litigare,
non sono un peluche
soffoco se mi schiacci,
e se mi lanci
muoio.
@unagocciadipioggia
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Non scordarti di me,
che se anche per te io fossi come acqua
che bevi e poi sputi quando ti lavi i denti la mattina,
non so se lo sopporterei;
scivolare in quei reconditi bui,
fra le tubature,
lontano dai tuoi occhi e dalla tua mente,
uno scarto che hai masticato
e poi ucciso,
lasciato scivolare sulla lingua,
fra lo spazzolino,
fra le incrintaure dei denti,
non so se lo sopporterei;
e se così fosse
- e se così è stato -
spero che quel filo di acqua
che ti è scivolato in gola
evapori,
esca dalle tue cellule,
voli libero altrove,
non sopporterei altrimenti.
-unagocciadipioggia
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Mi hai spezzato il cuore
e forse anch'io l'ho un po' spezzato a te,
eppure mi sento l'unica
piena d'acqua fra le costole,
i polmoni che affogano,
gli occhi che bruciano,
alghe e pesci che rantolano
in cerca di luce e di vita,
dov'è il mio sole?
Perché tu ne hai uno,
decine, centinaia
ed io invece
ho solo eclissi di sole e di luna,
pozze d'acqua che mi inghiottono,
che mi tengono lontana;
lasciatemi immobile
a rantolare,
chi l'ha detto che gli amici non possono
sfondarti il cuore?
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Che lavoro fai?
Domanda sussurrata fra i denti,
sibilata da labbra soddisfatte,
pronte a coglierti in fallo,
a sminuirti,
a farti a pezzi
come carne sotto ai denti.
Che lavoro fai?
Nessuno?
O uno troppo umile?
Su, che lavoro fai?
Incalza.
Che lavoro fai?
Che interessa a tutti,
sai benissimo che tu sei solo tre cose:
il tuo nome, la tua età e la tua professione.
Il tuo nome lo so,
la tua età me la comunicano gli occhi,
ma su entrambe non puoi fare nulla,
non te ne farò una colpa,
non troppo,
ma il lavoro...
Sorride.
Quello sarà la tua condanna.
Quello è nelle tue mani,
quella è la tua grande colpa.
Si passa la lingua sui denti.
Prima o poi dovrai rispondere,
te lo chiederemo in molti,
anzi te lo chiederemo tutti:
zii, cugini, vicini di casa,
all'ospedale, durante una visita,
in posta quando crei una carta,
nelle interviste per strada,
se vuoi partecipare a un programma tv
o cercare l'amore,
la domanda sarà sempre la stessa:
Che lavoro fai?
O la variante più finto garbata,
di cosa ti occupi?
Tu sei la tua professione,
o l'assenza di tale,
vivrai sempre nel gelo,
nell'angoscia di quella domanda,
e se non la porranno a te,
la porranno ad altri,
così l'umiliazione sarà doppia,
tripla, infinita,
la vergogna che affossa
te,
chi ha risposto per te,
vergogna.
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Devo scendere a patti con la mia età,
col fatto che come mi percepisco
non è come appaio,
che tutti gli anni perduti,
mangiati dalla solitudine, dal dolore
o dalla non esistenza
non torneranno più,
accettare che certe esperienze
non saranno mai mie,
anche se comuni,
anche se le anelo
con tutta me stessa,
anche se avrei tanto voluto
anch'io
quella piccola parentesi di felicità,
quella pace interiore,
gioia, energia, incomprensione,
quell'infanzia che si annida fra i capelli
e che ti sussurra all'orecchio
quando l'odore dei biscotti
che mangiavi assieme alla nonna
ti sfiora,
il sapore del cloro della piscina,
la bambola, il parco, le grida;
no, le grida non dovrebbero esserci,
dimenticale,
pensa ai biscotti,
solo che non sono reali,
inventati come la nonna;
almeno la bambola esisteva?
Nemmeno quella,
solo il cloro,
o meglio la piscina,
credo,
o meglio la paura
dell'acqua, dell'istruttore, delle persone,
in quel luogo così grande
e così piccolo,
così pieno di vapore
e di rumore,
solo paura.
-unagocciadipioggia
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In effetti non so come passi le giornate,
le immagino vuote di persone
-un po' come le mie-
ma forse esci, forse spolveri,
forse passi le notti fra giochi da tavolo e alcol,
le mattine a dormire,
forse ridi e scherzi con il ragazzo (o la ragazza),
forse mentivi quando dicevi di non avere amici
o ti sbagliavi
o avevi definizioni diverse dalle mie.
-unagocciadipioggia
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Io tremo
mentre tu ridi chissà dove,
accoccolata sul divano
o seduta al tavolo della cucina,
dimentica di me,
forse ti fischiano le orecchie
o la mente
mentre ti penso,
o forse trattieni il fiato
mentre le mie onde cerebrali
viaggiano,
ma lo attribuirai al freddo invernale,
ad un abbraccio mancato;
quel pensiero rimarrà un incubo
solo mio,
uno spettro che tormenta
me
e me soltanto.
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A volte sento proprio che la vita non è fatta per me,
tu non lo capisci cosa si prova
ad avere continui pensieri di morte,
ma oggi è diverso,
la disperazione è più logorante del solito,
più articolata, complessa, confusa;
un lungo filo che parte dalla mia mente
e arriva alle dita,
e io lo ripercorro, afferro quel filo,
districo i nodi, lascio che la lana graffi la pelle,
i polpastrelli scivolano,
raggiungono finalmente la testa,
ed è tutto così chiaro, così disperato,
così fatale,
drammatico.
Quel lungo filo che mi legava i polsi,
che si attorcigliava alla gola,
ora è sciolto,
penzola libero dalla testa alle dita,
potrei fare qualsiasi cosa:
un salto, un coltello, una pastiglia,
qualsiasi cosa,
ma perché sto ferma?
Perché non agisco?
Ora posso, il filo è sciolto,
devo scappare da questo mondo
inadatto.
Devo
devo
devo
D E V O
urlo,
ma sono immobile,
l'ennesima battaglia,
l'ennesimo desiderio di morte
nascosto,
vorrei solo non avere sempre
paura.
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Odio essermi persa nel cercarti,
non faccio altro che trascinarmi nella tua scia,
muovermi come un burattino fra le tue braccia,
piegare la mia bocca di legno in su
per non essere pesante,
sbattere le mie ciglia dipinte
per intrattenerti con problemi leggeri
(io ho solo quelli, sai),
però sai, io tengo gli occhi sempre aperti
(o sempre chiusi)
troppo spaventata dal buio e dalla luce,
con la cera che mi cola sulla faccia
bollente
mentre la mia bocca sorride,
osservo tutto,
cancello tutto,
ma tu mi vedi frivola,
dipingi i miei pensieri,
scrivi le mie battute,
crei il mio personaggio:
la ragazza che è triste per il nulla,
quella che usa parole enormi
come vuoto cosmico,
buco nel petto,
disperazione,
morte
morte
morte,
a caso,
con esagerazione.
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Ormai hai cominciato la tua nuova vita,
hai buttato i bagagli vecchi,
cambiato scarpe,
taglio di capelli;
cancellato ogni traccia di me
(e anche di te),
stai disegnando il tuo nuovo personaggio,
giocando nel tuo nuovo ruolo,
sarebbe piaciuto anche a me
vestire i panni di un altro,
cambiare scenario,
ma fra le due
io sono sempre stata quella immobile,
costante,
sempre presente,
tu quella sfuggente
che si ridisegna
ad ogni sguardo.
Conosco troppe versioni di te
purtroppo
per crederti
o per pensare
a un abbandono casuale,
è tutto studiato:
chi mente ha bisogno di tele
nuove, bianche, immacolate,
da dipingere di tragedie,
di torti immaginari subiti,
di lacrime di coccodrillo;
chi mente ha bisogno di un pubblico,
di dita da stringere,
di occhi da guardare,
come si fa d'altronde a dipingersi vittime
senza spettatori?
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In ospedale mi mangio sempre le parole,
incespico, balbetto,
sparo frasi
perdo fiato;
in ospedale piango giallo,
chiudo gli occhi li riapro:
ancora giallo
luminoso,
bianco quasi;
comunico
ma non comunico;
dico cielo,
capiscono giallo,
trasudo paura
vedono stranezza;
urlo piano
dentro la testa:
voglio uscire;
e per scappare mento,
lascio perdere,
mi pento di domande,
esami sbagliati,
mento,
mi fraintendono
e fra le mie bugie
e il mio comunicare
(non parlano la lingua
dei pensieri, né la lingua
della mia lingua)
ci perdiamo tutti,
solo che a rimetterci
chi c'è?
Io.
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