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San Francesco di Sales, la sua missione in terra protestante
San Francesco di Sales, la sua missione in terra protestante
Oggi, nel giorno della traslazione della sua salma ad Annecy, ricorre la memoria liturgica di san Francesco di Sales (1567-1622). Il suo impegno a difesa dell’ortodossia cattolica accompagnò tutta la sua vita da consacrato, che dedicò a far ritornare alla Chiesa il maggior numero possibile di fratelli convertiti al calvinismo. (more…)
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3. Padre Petrus. Giochi di potere.
Padre Petrus non aveva più una bella voce, ma si unì volentieri al coro dei fedeli che sanciva la fine della funzione. Dopo che i fedeli si furono ritirati al di fuori della chiesa di San Lucio, attese in un angolo con le braccia conserte mentre gli sgabelli da preghiera venivano riordinati dagli inservienti, dopo di che si diresse verso la canonica immaginando che padre Amadeo fosse pronto a riceverlo. Bussò con le nocche alla porta ma si fece strada senza attendere risposta. L’uomo lo osservò inizialmente distratto, poi focalizzò su di lui ogni sua attenzione. Invitò il vescovo a prendere posto ad un piccolo tavolo al centro della stanza a pianta rettangolare. Nonostante non si trattasse di uno spazio ridotto, la quantità di mobilio e l’assenza di finestre rendeva l’ambiente soffocante.
Padre Amadeo recuperò una bottiglia ed un paio di bicchieri, e si apprestò a servire entrambi.
<Per essere la prima funzione sull’isola, direi che è andata molto bene, non siete d’accordo padre?> la voce del vescovo gracchiò quasi.
<Eccellenza! Sono ancora emozionato! Non mi aspettavo una raccomandazione per questa mia missione, dal Cardinale di Thélème! Come avete fatto a... io...>
Petrus sollevò una mano, mostrando il palmo per arrestare il fiume di parole del giovane sacerdote <sua eccellenza è un uomo che sa essere riconoscente e capisce quando concedere un piccolo favore ad un vecchio amico. È un bene che il suo potere venga riconosciuto anche così lontano da casa.>
Padre Amadeo non sembrò cogliere l'allusione, o semplicemente lasciò correre. Petrus si riteneva soddisfatto di aver appena guadagnato un nuovo contatto, per anni si era mosso così, guadagnando e riscattando un favore alla volta verso la vetta nel vecchio mondo, nel nuovo non avrebbe fatto differenza.
Petrus lasciò che Amadeo gli servisse il vino e perse con lui in chiacchiere che, sebbene non riscattassero per nulla il suo interesse, avevano il pregio di consolidare il suo rapporto con il sacerdote.
Una volta all'esterno il vescovo si diresse verso la taverna. Sebbene San Matheus non fosse grande quanto Hikmet, poteva vantare strade lastricate, una pianta regolare, alte mura protettive ed un enorme porto organizzato in maniera impeccabile, tutti segni che secondo lui dimostravano un maggiore livello di civilizzazione.
In fondo alla via principale vide le guardie in attesa, e quasi annoiate, intente a cercare un riparo dal sole battente del mezzodì. Una giornata come molte altre insomma, che scorreva pigramente inconsapevole delle macchinazioni del vescovo.
Raggiunta la piazza principale, recuperò dalla tasca della cappa un taccuino, e scorse le pagine alla ricerca del prossimo punto della sua agenda <Sua eccellenza Tadeusz ed il ministro Giustino...>
Fece sparire il blocchetto con gesto soddisfatto, che si trasformò in breve in una nota di rimprovero verso sè stesso <Il fatto che abbia dovuto appuntarmelo probabilmente significa che sto diventando troppo vecchio per questo genere di vita.> Con le mani sui fianchi rimase fermo qualche altro istante ad osservare la piazza circondata da negozi ed alimentata da un continuo via vai di coloni o inquisitori dell'Ordo Luminus. Riprese a camminare, accantonando l'idea di concepire un possibile cambio di attitudine, ma decise di trovare il tempo per un piccolo fuori programma, si avvicinò infatti agli uffici destinati all’Inquisizione e si addentrò all’interno, salutando con cenni educati i confratelli che incrociava.
Lì incontrò il neo-eletto inquisitore Aloysius, nel pieno dei suoi studi, almeno a giudicare da come risultava impegnato a leggere alcune liste insieme ad i suoi confratelli.
<Inquisitore> Petrus cercò con un cenno di attirare la sua attenzione <permettete due parole?>
L’uomo lo osservò torvo per qualche istante, non si trattava di un ragazzino, questo era evidente, ma riusciva a risultare ben più vecchio a causa dei tratti tirati e del reticolo di rughe ed imperfezioni che caratterizzavano il suo volto. Probabilmente aveva militato i primi anni da missionario all’interno di qualche lazzaretto, in fondo la Malicore non era certo l’unica piaga ad ammorbare il Vecchio Continente e per molti fedeli era ritenuto un esordio comune per dimostrare la propria fede in San Matheus, un esordio che, tuttavia, lasciava diversi segni e spesso era considerato un pretesto per sentirsi dei “miracolati”.
Aloysius aveva piccoli occhi castani ed un naso aquilino, dettagli che alimentavano la sua aria da rapace. Petrus sorrise con calore e serenità, ben conscio di non avere nulla da temere, data la sua condotta impeccabile.
<Eminenza> concesse quello, con un cenno liquidò i confratelli ma si premurò di nascondere le liste alla vista di Petrus <...la luce rischiari la vostra Via. Come posso esservi utile?>
<A dire il vero passavo di qui, ed ho pensato di cogliere l’occasione di complimentarmi con voi per la vostra nuova nomina. Inoltre speravo di trovare sua Eccellenza Tadeusz.>
Aloysius lo scrutò a lungo prima di rispondere, formalità a parte, il vescovo non gli andava certo a genio, e Petrus non poteva dire che non fosse reciproco.
La risposta scivolò dall’alto, letteralmente, insieme all’attenzione dell’inquisitore <Credo… che sua Eccellenza si trovi nei suoi appartamenti. Il dottore si è caldamente raccomandato affinché riposasse.>
Petrus dovesse fare un grosso sforzo per non compiacersi di questa notizia <Spero che le sue condizioni non siano peggiorate.>
<A dire il vero temo che la sua ulcera sia degenerata a tal punto da impedirgli di camminare a lungo.>
<Oh, ne sono molto dispiaciuto.>
<Sono certo che troverà conforto nella preghiera.> L’inquisitore riprese in mano le sue carte ed aggirò il proprio scrittoio, esaurito l’argomento non si fece troppi problemi a cercare di mettere il vescovo alla porta <Sarei lieto di restare a chiacchierare con voi Eccellenza, ma temo di aver molto lavoro da sbrigare. Immagino possiate comprendere...>
In effetti Petrus aveva ottenuto le informazioni che cercava, non aveva senso restare oltre e rischiare di irritare gli inquisitori per nulla. Colse invece l’occasione di congedarsi esaudendo la richiesta di Aloysius, tra saluti formali ed auguri di repertorio.
Se l’Ordo Luminus avesse riversato in politica una parte del suo zelo religioso avrebbe avuto degli avversari temibili lungo la sua scalata sociale. Per sua fortuna gli inquisitori avevano ben altre mire.
Non gli restò che l’ultimo nome della sua lista, l’ultimo che avrebbe potuto risultare di intralcio quando avrebbe avanzato la sua nomina ad Ambasciatore nei confronti della Madre Cardinale, un posto che aveva deciso di rendere vacante non appena aveva saputo che il Principe d’Orsay aveva inviato il giovane Costantin ed il suo seguito sull’isola per assumere il ruolo di Governatore. Si chiese se avrebbe avuto modo di rivedere anche la figlia dell’isolana, un pensiero che fece dilagare nella sua mente una sequela di dubbi ed emozioni differenti.
Tirò un lungo sospiro e si rimproverò mentalmente per la sua mancanza di concentrazione, certo che se avesse esultato prima del tempo, o fatto un solo passo falso, i suoi obiettivi non sarebbero stati di più che castelli costruiti in aria da una mente troppo creativa.
Un pensiero che dovette mantenere bene a mente, come se si tappasse il naso, quando raggiunta la taverna si fece largo verso il livello inferiore, un postribolo di allibratori e giocatori d’azzardo, che lasciò il posto ad un covo di meretrici quando fece il suo ingresso nella stanza successiva. Anche Thélème aveva le sue luci e le sue ombre, tuttavia Petrus non era certo lieto di mostrarsi in un posto simile.
Un paio di prostitute si fecero avanti per accoglierlo, ma il tenutario le allontanò mandandole verso altri clienti. Lo accolse con discrezione, una dote che Petrus apprezzò sinceramente, così come la scelta di risalire al piano principale e spostarsi verso il retro della taverna.
<Spero che il ministro Giustino abbia apprezzato questa piccola festicciola…>
<Assolutamente padre. Il ragazzo che si è occupato di lui è stato particolarmente zelante nell’accontetare ogni sua richiesta...> rispose l’uomo <...non avrei mai detto che un uomo integerrimo come il ministro preferisce la compagnia maschile a quella femminile.>
Petrus non ne fu affatto sconvolto: aveva già avuto modo di fare le sue ricerche quando aveva pianificato come liberarsi dei possibili candidati più fastidiosi.
<Il messaggio gli è stato riferito?>
<Si è unito giusto questa mattina alla missione diretta verso Wenshaganaw.> il tenutario si grattò il mento, insinuando le unghie sporche sotto la barba scura, un modo come un altro per cercare di dissimulare la cupidigia nel suo sguardo mentre seguiva la mano di Petrus diretta alla cintola, da cui recuperò una scarsella che abbandonò al centro del tavolo, con un tintinnio eloquente proveniente dal suo interno.
Il tenutario non perse tempo, raccolse la scarsella e si accomodò meglio per mettersi a contare le monete.
<Ma ditemi, come facevate a saperlo?>
<Immaginavo soltanto che l’idea che la Madre Cardinale ricevesse le prove della sua perversione lo avrebbe aiutato a ritrovare la sua vocazione.> Fu la risposta del vescovo, innocente e… distratta, come se l’argomento non avesse importanza.
Concesse all’uomo il tempo necessario a contare tutte le monete, Petrus non potè fare a meno di provare un certo disgusto: il ministro si era rovinato con le sue stesse mani, ma erano stati sufficienti sei pezzi d’oro e dieci d’argento per convincere il tenutario a vendere a chiunque un uomo che per lungo tempo era stato un’autorità a San Matheus.
<Ci sono tutti.> confermò il tenutario con un sorriso soddisfatto, Petrus rispose con un cenno soddisfatto, mentre quello continuò <Posso dire, padre, che fare affari con voi è stato molto... piacevole.>
Petrus si alzò dalla seduta che aveva occupato, senza fretta, ma si sentì in dovere di mettere un freno all’avarizia dell’uomo, per dissuaderlo dall’idea di mettere un prezzo anche sulla sua testa.
<Sarà pure proficuo, se continuerete a fare affari con me, e non su di me.>
L’uomo ridacchiò, il messaggio era arrivato dove doveva arrivare, questo Petrus lo comprese grazie al silenzio che lo scortò sino alla porta.
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VENERDÌ 09 SETTEMBRE 2022 - ♦️ SAN PIETRO CLAVER ♦️ Pietro Claver (Verdú, 25 giugno 1581 – Cartagena, 8 settembre 1654) è stato un gesuita, missionario e santo spagnolo; beatificato nel 1850, è stato canonizzato da papa Leone XIII nel 1888. Nacque a Verdú, in Catalogna, il 25 giugno 1581 da Pietro Claver ed Anna Sabocana[1][2], entrambi di nobile famiglia spagnola, e si laureò nell'Università di Barcellona. A vent'anni incominciò il noviziato nei gesuiti a Tarragona. Mentre studiava a Maiorca nel 1605, il portinaio del collegio, fra' Alfonso Rodriguez, pensando di essere ispirato da Dio, ritenne di conoscere quale dovesse essere la missione futura del suo giovane confratello e da quel momento in poi non smise mai di esortarlo a partire per evangelizzare i possedimenti spagnoli in America Latina. Pietro obbedì e nel 1610 sbarcò a Cartagena, in Colombia, dove per 44 anni fu missionario tra gli schiavi afroamericani in un periodo in cui ferveva la tratta degli schiavi. Educato alla scuola del missionario Alfonso de Sandoval, Pietro si dichiarò "æthiopum semper servus" ovvero "schiavo degli africani per sempre"; da persona timida e insicura delle proprie capacità, diventò un organizzatore caritatevole, ardito e ingegnoso. Ogni mese, quando veniva segnalato l'arrivo di nuovi schiavi, stipati nelle stive delle navi, Pietro usciva in mare con il suo battello per incontrarli, portando loro cibo, soccorso e conforto, guadagnandosi così la loro fiducia. Per insegnare a così tante persone che parlavano dialetti diversi, Pietro riunì a Cartagena un gruppo di interpreti di varie nazionalità e li fece diventare dei catechisti. Mentre gli schiavi stavano rinchiusi a Cartagena, aspettando di essere acquistati e destinati a differenti località, Pietro li istruiva e li battezzava. Nelle domeniche di Quaresima li riuniva, li interrogava riguardo alle loro necessità e li difendeva contro i loro oppressori. Questo lavoro causò a Pietro difficili prove e i mercanti di schiavi non erano i suoi soli nemici. Fu accusato di incauto zelo e di aver profanato i sacramenti, dandoli a creature che «a malapena possedevano un'anima». Le donne della buona società di Cartagena... (presso Barcellona-Pozzo Di Gotto, Sicilia, Italy) https://www.instagram.com/p/CiSy1tLsrKZ/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Gesuiti salentini in America (II parte)
di Francesco Frisullo e Paolo Vincenti
Le vicende risorgimentali costrinsero a più riprese i gesuiti alla fuga dall’Italia. In particolare, i gesuiti salentini, che interessano da vicino la nostra disamina, dopo aver vagato tra i collegi di Malta, Spagna, Francia, presero la via dell’America.
Occorre dire che l’ordine dei gesuiti risulta ab imis vocato ai viaggi e alle esplorazioni delle terre lontane. I figli di Ignazio più degli altri confratelli si rivelano cittadini del mondo, essi fin dal Cinquecento si disperdono per i cinque continenti e si spingono verso le terre selvagge con l’obiettivo di evangelizzare i popoli.
Tra i primi gesuiti italiani che dovettero lasciare l’Italia alla volta degli Stati Uniti troviamo Giuseppe Bixio (1819-1889) fratello del più noto Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi. Nel 1844 giunse negli Stati Uniti, nei territori delle Montagne Rocciose, il gesuita Michele Gil Accolti (1807-1878) che molte voci dicono erroneamente nato a Copertino, Lecce, ma che è in realtà originario di Conversano[1]. Gil Accolti nel 1851 a Santa Clara (California) fonda l’omonima Università che oggi si presenta come “The Jesuit University in Silicon Valley”, nel cui cimitero riposano anche i resti di Vito Carrozzini, missionario originario di Soleto. Una storia lunga e proficua, dunque, quella delle missioni gesuitiche italiane nel Nuovo Continente[2].
Vito Carrozzini
Nasce a Soleto (Lecce), il 15 agosto 1838. Entra nel collegio dei Gesuiti a Napoli il 22 dicembre 1857[3], all’età di 20 anni. Il suo esempio viene seguito un anno dopo da uno dei suoi fratelli, Vincenzo. Quando scoppiò la rivoluzione nel regno di Napoli, le case e i collegi dei gesuiti furono chiusi ed i frati dispersi in altre Province della Società. Carrozzini fu inviato a Balaguer, in Spagna, insieme al fratello, per seguire il corso di filosofia[4]. Nell’autunno del 1863, per ordine dei Superiori, partirono in missione[5]. Tra il 1854 e il 1868, a più riprese i gesuiti vennero cacciati dalla Spagna e a parziale compensazione il governo iberico consentì l’insediamento della Compagnia nelle Antille. Nel 1852, per volere della regina Isabella II, era stato fondato il Colegio de Belén, a L’Avana. Vito e Vincenzo Carrozzini partirono dunque da Balaguer per Porto Rico. Arrivati a L’Avana, furono costretti a sbarcare, poiché Vincenzo era gravemente ammalato e prossimo alla morte. A malincuore, Padre Vito riprese il viaggio alla volta di Porto Rico, lasciando il fratello, che morì tre o quattro giorni dopo. A Porto Rico, Carrozzini insegnò un anno grammatica e quattro anni scienze naturali. Fu molto ligio al dovere di insegnante pur non trascurando la missione apostolica. A causa dei pochi mezzi per ventilare la stanza nella quale viveva, inalò una grande quantità di gas nocivo che gli procurò la malattia cardiaca che, qualche anno dopo, lo portò alla morte. Nel 1868 fu richiamato in Spagna per avviare lo studio di teologia, nella città di Leon. Si trasferì però subito a Laval, dove passò quattro anni nello studio di teologia.
Ripartì per l’America nel 1873[6]. Dopo una breve permanenza a Porto Rico, venne inviato nel Nuovo Messico e nel Colorado. Tra estremi sacrifici, portò avanti con zelo la sua attività, pur afflitto da difficoltà respiratorie. Per visitare la vasta comunità cattolica presente in quel territorio doveva percorrere molte miglia nella sconfinata e selvaggia distesa che si estendeva da Las Animas a Trinidad, costretto spesso a passare la notte all’aria aperta, senza bere né mangiare. Carrozzini lavorò molto anche a San Miguel, a Las Vegas, nelle città di La Junta e Pueblo, senza risparmiare energie. Di lui ci parla, unica fonte italiana, Padre Barrella[7]. Quando le sue condizioni di salute peggiorarono, venne mandato nel clima più mite della California, per potersi ritemprare. Giunse nel mese di giugno 1876 a Santa Clara, California, sede dell’omonima università fondata nel 1851 dai gesuiti. Qui morì per complicazioni polmonari a 39 anni, dopo 19 trascorsi nella Compagnia di Gesù[8]. Oltre alle scienze naturali, egli aveva un talento particolare per la pittura. Il ritratto di Sant’Ignazio, custodito nella sala ricreativa dei Padri del Woodstock College[9], è opera sua, così come molte altre pitture presenti nelle missioni che aveva frequentato. Il profilo di Padre Carrozzini è tratto da una importante fonte gesuitica americana, le Woodstock Letters[10].
Giovanni Guida
Nasce a Nola nel 1828, si trasferisce con tutta la famiglia a Lecce. Qui fu influenzato dalla presenza del collegio /convitto gesuitico lupiense, retto da Carlo Maria Turri dal 1839, e infatti ben presto maturò la vocazione di entrare nella Compagnia di Gesù e prendere i voti[11]. Il 15 giugno 1843, a quindici anni, fu ricevuto nel noviziato di Sorrento[12]. Studia teologia e filosofia a Napoli e viaggia in Italia, in Francia e in Belgio. Inizia l’insegnamento a Benevento, ma soffre problemi di salute, infatti è colpito da una infermità polmonare che lo costringe ad abbandonare la cattedra. Viene ordinato sacerdote nel settembre 1854. La professione dei voti ebbe luogo il 15 agosto 1862. Ristabilitosi in salute, ben presto si trasferisce negli Stati Uniti, a Georgetown, Washington, dove tiene lezioni di teologia presso la Georgetown University, fondata nel 1789 e diretta dalla Compagnia di Gesù dal 1851 fino ad oggi, e poi a Boston, presso il Boston College, fondato nel 1863 dai gesuiti. Quando era a Georgetown, Padre Guida fu protagonista di un episodio davvero singolare che portò il suo nome agli onori delle cronache. Per un fortuito quanto rocambolesco scambio di persona, egli venne infatti ritenuto l’assassino del Presidente degli Stati Uniti Abramo Lincoln. Venne così arrestato, prima che l’equivoco fosse risolto. Le cronache locali si impadronirono di quell’episodio e intorno ad esso fiorirono delle leggende, dovute alle diverse versioni che la vulgata attribuiva all’accaduto. In particolare, l’episodio alimentò la nota leggenda nera per la quale più volte nella storia la Compagnia è stata accusata di regicidio, accusa che viene dai sentimenti anticattolici all’epoca largamente presenti nella società europea. Sta di fatto che Padre Guida passò dagli altari alla galera per una caso che oggi definiremmo di malagiustizia. Probabilmente, a determinare la sua incriminazione fu la notevolissima somiglianza con John Wilkes Booth, un famoso attore di teatro che era a capo di una larga cospirazione contro il Presidente Lincoln e che fu l’esecutore materiale dell’omicidio. Lincoln venne colpito il 14 aprile, mentre assisteva ad uno spettacolo al Ford’s Theatre di Washington durante le fasi conclusive della guerra di secessione americana, e morì la mattina successiva, 15 aprile. Guida, interrogato ed esaminato da un ufficiale non fu in grado di scagionarsi e venne quindi detenuto fino a quando non fu rintracciato il vero criminale.
Chiamato dal vescovo Machebeuf, di Denver, giunse in Colorado nell’agosto 1879, quando iniziò la sua missione. Fra mille difficoltà e ostacoli, fondò la Parrocchia del Sacro Cuore e, durante i diciannove anni del suo missionariato, eresse molte altre chiese nella diocesi. Nel 1890, costruì una scuola e una residenza per le suore. Insegnò filosofia e teologia alla Georgetown University. Cultore dei classici antichi, parlava fluentemente inglese, francese e spagnolo, oltre alla sua lingua madre. Pur ammalatosi, nel luglio del 1896, Padre Guida fu nominato Rettore del Sacred Heart College di Denver. Nell’ottobre 1898, venne richiamato a Napoli per diventare rettore del nuovo scolasticato a Posillipo. Nel 1902, tornò a Denver, dove rimase fino alla sua morte. Il 15 giugno 1918, festeggiò il settantacinquesimo anniversario del suo ingresso nella Compagnia e il 23 maggio 1919 passò a miglior vita. La Messa funebre venne celebrata nella sua adorata Chiesa del Sacro Cuore[14].
Alessandro Leone
Su Padre Alessandro Leone sappiamo che nasce a Scorrano, Lecce, il 28 dicembre 1838. Entra nella Compagnia di Gesù il 26 ottobre 1855[15] e nel 1870 viene inviato nella Missione del New Mexico e del Colorado. Durante gli anni del suo missionariato, fu indefesso nell’opera apostolica e spese tutto sé stesso nell’evangelizzare e convertire i messicani al Cristianesimo. Le fonti americane lo descrivono come uno di più zelanti gesuiti nell’instancabile opera a difesa della fede. Appena giunto in America, viene mandato nelle parrocchie di Albuquerque, La Junta, Trinidad e Isleta. Percorre lunghe distanze a cavallo per visitare i suoi parrocchiani, accontentandosi di pasti frugali e ricoveri di fortuna. Muore ad Albuquerque, la sera del 26 luglio 1913[16]. Di lui ci ha lasciato un ritratto Rosa Maria Segale, ovvero Suor Blandina (1850-1894), proveniente da Cincinnati (Ohio) ma originaria di Genova, appartenente all’ordine delle Suore di Carità, missionaria a Trinidad, tra il Colorado e il Nuovo Messico, che riportò i suoi ricordi in un prezioso diario più volte ripubblicato[17].
Salvatore Personè
Su Padre Salvatore Personè, uno dei pionieri della missione nel New Mexico-Colorado, disponiamo di molte informazioni. Nacque ad Ostuni, nel 1833, ultimo di una famiglia di otto figli, sette ragazzi e una ragazza. Dei ragazzi, tre divennero religiosi: Raffaello, teatino; Carlo e Salvatore, gesuiti. Frequentò il Regio Liceo San Giuseppe a Lecce e poi entrò nel Collegio Argento sempre a Lecce. A vent’anni decise di accompagnare suo fratello Carlo (di due anni più grande[18]) a Napoli, dove entrò nel noviziato, il 14 novembre 1853. A Napoli, Padre Personè, oltre al suo insegnamento, iniziò a predicare nelle diverse chiese, inclusa la Cattedrale. La sua naturale eloquenza attirava grandi folle di fedeli. Quando nel 1860 i gesuiti vennero espulsi dal regno, la maggior parte dei membri dispersi raggiunse la Francia e gli scolastici continuarono i loro studi a Vais, il collegio della provincia di Tolosa. Salvatore in breve tempo padroneggiò facilmente il francese; così, anche da studente, accompagnava l’eminente moralista padre Gury a svolgere le missioni nelle città circostanti. Dopo la sua ordinazione, il 14 giugno 1865, ritornò in Italia e frequentò molte residenze della Campania e della Basilicata. Intenzionato a prendere i voti, quand’era al terzo anno di prova, venne raggiunto dall’ordine di imbarcarsi per l’America in compagnia di altri fratelli. Lungo la costa occidentale della Francia (la guerra franco-prussiana imperversava), procedendo con cautela da una città all’altra, la nave raggiunse Brest, da dove salpò per gli Stati Uniti. Giunto a Frederick, nel Maryland, dopo molto tempo e con grande fatica poté riprendere il viaggio che lo portò ad Albuquerque, nel New Mexico, allora quartier generale della missione. Fu lì, il 26 novembre 1871, che prese i suoi ultimi voti. Si recò a Conejos, in Colorado, e fu il primo gesuita a giungere in quella città. Richiamato a Las Vegas, nel New Mexico, dove era stata avviata la Revista Catolica, divenne superiore della residenza. Da quel momento, coprì la maggior parte del Nuovo Messico nelle sue escursioni apostoliche, predicando in quasi tutti gli insediamenti del territorio. Fu spesso anche in Messico. Quando venne aperto il Collegio di Las Vegas, divenne il suo primo rettore, il 4 novembre 1878. Poiché i mezzi di comunicazione e di trasporto erano scarsi, doveva abbastanza frequentemente prendere il posto degli insegnanti assenti e impossibilitati a raggiungere la missione, per permettere agli studenti di non perdere le lezioni. Nonostante queste difficoltà, il Collegio si sviluppò e prosperò, i ragazzi erano numerosi, si mantenevano elevati standard di studio e la città era orgogliosa della sua sede di apprendimento.
Nel 1883 Padre Personè lasciò la presidenza a Padre Pantanella mentre tornava ad Albuquerque come superiore. Questa disposizione, tuttavia, non durò a lungo. Verso la fine del 1884 a Padre Pantanella fu affidato il compito di aprire un nuovo collegio a Morrison, vicino Denver, e Padre Personè tornò a Las Vegas e vi rimase fino a quando i collegi di Las Vegas e Morrison furono fusi nel Sacred Heart College (ora Regis College) di Denver. Dal 1892 al 1902, fu superiore a Trinidad, in Colorado. Nel 1902 venne richiamato in Italia e nominato rettore del Collegio di Lecce. Fu nel Salento che subì il primo attacco di reumatismi infiammatori, un disturbo dal quale non si riprese mai più. Su consiglio dei medici tornò in America, la terra che amava. Del resto, come riferisce Barrella, a Lecce non era molto apprezzato[19] e questo fatto rafforzò il suo proposito di abbandonare l’Italia. Per qualche tempo governò a Las Vegas, fino a quando nel 1908 assunse ancora una volta la direzione della residenza di Trinidad. Qui si adoperò per la costruzione di una nuova e più grande casa della missione, benedetta dal vescovo di Denver l’11 febbraio 1912[20].
Padre Personè, soprannominato dai nativi americani “il Nemico della tristezza”[21], era costretto a lunghi soggiorni in ospedale. La sua memoria divenne compromessa e i suoi occhi si indebolirono; aveva ormai ottant’anni. Il 20 dicembre 1922, entrò per l’ultima volta in ospedale. Morì il 30 dicembre dello stesso anno. Al suo funerale, presieduto dal reverendo vicario generale della diocesi di Denver, parteciparono non solo i cattolici, ma anche i protestanti e gli ebrei e vi fu un grandissimo concorso di popolo[22].
Note
[1] Su Accolti si veda Voce, a cura di G. McKevitt, in Diccionario histórico de la Compañía de Jesús (4 volúmenes) biográfico-temático, a cura di Charles E.O’Neill e Joaquín María Domínguez, Universidad Pontificia Comillas, Madrid, Insititutum Historicum Societatis Iesu, Roma, 2001, p. 63 (del pdf); Voce, a cura di Pietro Pirri, in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 1, 1960 (on line).
[2] Per la precisione storica, i primi gesuiti arrivarono in America nel 1566. Per la storia della Compagnia di Gesù nel Nord America si rinvia a Raymond A. Schroth, S.J., The American Jesuits A History, New York, University Press, 2007. Un’opera monumentale sulla presenza dei gesuiti italiani in America con molti riferimenti anche ai missionari citati in questo contributo è: Gerard McKevitt, Brokers of Culture Italian jesuits in the American West 1848-1919, Stanford University Press, Stanford, California, 2007, passim.
[3] Catalogo Provinciae Neapolitanae, 1859, p.53.
[4] Catalogus Provinciae Hispanie, 1861, p. 36.
[5] Antonio López de Santa Anna, Los Jesuítas en Puerto Rico de 1858-1886 contribución a la historia general de la educación en Puerto Rico Santander, España : [Sal Terrae], 1958, p.161: “P. Carrozzini Vicente-Scol. . . . 1863-1865 e P. Carrozzini Vito-Scol 1863- 1868”.
[6] Catalogus Provinciae Merylandiae 1873, p.8. Precisamente, nel noviziato di Frederick Maryland risulta: “Patres Tertiae Probationis Vitus Carrozzini”.
[7] Giovanni Barrella, La Compagnia di Gesù nelle Puglie 1574-1767. 1835-1940, a cura dell’Istituto Argento, Lecce, Tip. Editrice Salentina, 1941, p.133.
[8] Jack Mitchell, S.J., Necrology of the California province of the Society of Jesus 1845-2008, p. 80.
[9] Il Woodstock College venne inaugurato nel 1869 e primo rettore fu il gesuita napoletano Angelo Paresce (1817-1879). Ha operato fino al 1975.
[10] Woodstock Letters, Volume VI, Number 2, 1 May 1877, pp. 124-129.
[11] Catalogus Provinciae Neapolitanae 1839, p. 18.
[12] Catalogus Provinciae Neapolitanae 1844, p. 23.
[13] https://www.jesuit.ie/news/the-assassins-lookalike/
[14] Preziosa fonte per la conoscenza di questa figura sono le Woodstock Letters, Volume XLIX, Number 1, 1 February 1920, pp. 122-126. Le pubblicazioni delle Woodstock Letters vanno dal 1872 al 1969, per un totale di 98 volumi.
[15] Catalogus Provinciae Neapolitanae 1856, p.17.
[16] Woodstock Letters, Volume XLIII, Number 1, 1 February 1914, p.99.
[17] Suor Blandina una suora italiana nel West, a cura di Valentina Fortichiari, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1996, pp.200-201.
[18] Carlo Pesonè è stato missionario in America dal 1831 al 1916: Voce Salvatore Personè, a cura di T. Steele, in Diccionario, cit., p. 6404.
[19] Giovanni Barrella, La Compagnia di Gesù, cit., pp. 34-35.
[20] Father Persone 50 Years Priest to Sing Jubilee Mass at Trinidad; Founder of Sacred Heart College, in «Denver Catholic Register», Vol. IX, n.45, June 11, 1914, pp.1, 4.
[21] Suor Blandina una suora italiana nel West, cit., p.198.
[22] Woodstock Letters, Volume LIII, Number 3, 1 October 1924, pp.387-390. Inoltre si veda J. Manuel Espinosa, The Neapolitan Jesuits on the Colorado Frontier, 1868-1919, in «The Colorado Magazine», Vol. XV, Denver, Colo., March, 1938, n.2, p. 68 (l’articolo cita anche Alessandro Leone); Voce, a cura di T. Steele, in Diccionario, cit. Questa fonte indica che Salvatore fu addirittura ad Albuquerque (1883-1884) presidente della prima compagnia petrolifera del New Mexico.
Per la prima parte vedi:
Gesuiti salentini in America – Fondazione Terra D’Otranto
#Alessandro Leone#Carlo Maria Turri#Francesco Frisullo#gesuiti salentini#Giovanni Guida#Michele Gil Accolti#Paolo Vincenti#Salvatore Personè#Vincenzo Carrozzini#Vito Carrozzini#Pagine della nostra Storia#Spigolature Salentine
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Sulle tracce di Kim. Il grande gioco nell'India di Kipling – PETER HOPKIRK - Edizioni Settecolori - in uscita il 28 gennaio
Sulle tracce di Kim. Il grande gioco nell’India di Kipling – PETER HOPKIRK – Edizioni Settecolori – in uscita il 28 gennaio
SULLE TRACCE DI KIM. IL GRANDE GIOCO NELL’INDIA DI KIPLING – PETER HOPKIRK Edizioni Settecolori In uscita il 28 gennaio 2021 […] Il mio obiettivo, sorto da un forte zelo missionario, è quello di persuadere gli altri a riscoprire il capolavoro indiano di Kipling, ma nella sua interezza, non in una qualche forma sintetizzata. Gettando nuova luce sulla storia narrata – specie per quanto riguarda…
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#books#il grande gioco nell&039;India di Kipling#Peter Hopkirk#Sulle tracce di Kim#Traduzione di Giuseppe Bernardi
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Sant' Ignazio di Loyola Sacerdote
31 luglio
l primo scritto che racconta la vita, la vocazione e la missione di s. Ignazio, è stato redatto proprio da lui, in Italia è conosciuto come “Autobiografia”, ed egli racconta la sua chiamata e la sua missione, presentandosi in terza persona, per lo più designato con il nome di “pellegrino”; apparentemente è la descrizione di lunghi viaggi o di esperienze curiose e aneddotiche, ma in realtà è la descrizione di un pellegrinaggio spirituale ed interiore.
Il grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia un paese basco, nell’estate del 1491, il suo nome era Iñigo Lopez de Loyola, settimo ed ultimo figlio maschio di Beltran Ibañez de Oñaz e di Marina Sanchez de Licona, genitori appartenenti al casato dei Loyola, uno dei più potenti della provincia di Guipúzcoa, che possedevano una fortezza padronale con vasti campi, prati e ferriere.
Iñigo perse la madre subito dopo la nascita, ed era destinato alla carriera sacerdotale secondo il modo di pensare dell’epoca, nell’infanzia ricevé per questo anche la tonsura.
Ma egli ben presto dimostrò di preferire la vita del cavaliere come già per due suoi fratelli; il padre prima di morire, nel 1506 lo mandò ad Arévalo in Castiglia, da don Juan Velázquez de Cuellar, ministro dei Beni del re Ferdinando il Cattolico, affinché ricevesse un’educazione adeguata; accompagnò don Juan come paggio, nelle cittadine dove si trasferiva la corte allora itinerante, acquisendo buone maniere che tanto influiranno sulla sua futura opera.
Nel 1515 Iñigo venne accusato di eccessi d’esuberanza e di misfatti accaduti durante il carnevale ad Azpeitia e insieme al fratello don Piero, subì un processo che non sfociò in sentenza, forse per l’intervento di alti personaggi; questo per comprendere che era di temperamento focoso, corteggiava le dame, si divertiva come i cavalieri dell’epoca.
Morto nel 1517 don Velázquez, il giovane Iñigo si trasferì presso don Antonio Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra, al cui servizio si trovò a combattere varie volte, fra cui nell’assedio del castello di Pamplona ad opera dei francesi; era il 20 maggio 1521, quando una palla di cannone degli assedianti lo ferì ad una gamba.
Trasportato nella sua casa di Loyola, subì due dolorose operazioni alla gamba, che comunque rimase più corta dell’altra, costringendolo a zoppicare per tutta la vita.
Ma il Signore stava operando nel plasmare l’anima di quell’irrequieto giovane; durante la lunga convalescenza, non trovando in casa libri cavallereschi e poemi a lui graditi, prese a leggere, prima svogliatamente e poi con attenzione, due libri ingialliti fornitagli dalla cognata.
Si trattava della “Vita di Cristo” di Lodolfo Cartusiano e la “Leggenda Aurea” (vita di santi) di Jacopo da Varagine (1230-1298), dalla meditazione di queste letture, si convinse che l’unico vero Signore al quale si poteva dedicare la fedeltà di cavaliere era Gesù stesso.
Per iniziare questa sua conversione di vita, decise appena ristabilito, di andare pellegrino a Gerusalemme dove era certo, sarebbe stato illuminato sul suo futuro; partì nel febbraio 1522 da Loyola diretto a Barcellona, fermandosi all’abbazia benedettina di Monserrat dove fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi vestendo quelli di un povero e fece il primo passo verso una vita religiosa con il voto di castità perpetua.
Un’epidemia di peste, cosa ricorrente in quei tempi, gl’impedì di raggiungere Barcellona che ne era colpita, per cui si fermò nella cittadina di Manresa e per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo poveramente presso il fiume Cardoner “ricevé una grande illuminazione”, sulla possibilità di fondare una Compagnia di consacrati e che lo trasformò completamente.
In una grotta dei dintorni, in piena solitudine prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri “Esercizi Spirituali”, i quali costituiscono ancora oggi, la vera fonte di energia dei Gesuiti e dei loro allievi.
Arrivato nel 1523 a Barcellona, Iñigo di Loyola, invece di imbarcarsi per Gerusalemme s’imbarcò per Gaeta e da qui arrivò a Roma la Domenica delle Palme, fu ricevuto e benedetto dall’olandese Adriano VI, ultimo papa non italiano fino a Giovanni Paolo II.
Imbarcatosi a Venezia arrivò in Terrasanta visitando tutti i luoghi santificati dalla presenza di Gesù; avrebbe voluto rimanere lì ma il Superiore dei Francescani, responsabile apostolico dei Luoghi Santi, glielo proibì e quindi ritornò nel 1524 in Spagna.
Intuì che per svolgere adeguatamente l’apostolato, occorreva approfondire le sue scarse conoscenze teologiche, cominciando dalla base e a 33 anni prese a studiare grammatica latina a Barcellona e poi gli studi universitari ad Alcalà e a Salamanca.
Per delle incomprensioni ed equivoci, non poté completare gli studi in Spagna, per cui nel 1528 si trasferì a Parigi rimanendovi fino al 1535, ottenendo il dottorato in filosofia.
Ma già nel 1534 con i primi compagni, i giovani maestri Pietro Favre, Francesco Xavier, Lainez, Salmerón, Rodrigues, Bobadilla, fecero voto nella Cappella di Montmartre di vivere in povertà e castità, era il 15 agosto, inoltre promisero di recarsi a Gerusalemme e se ciò non fosse stato possibile, si sarebbero messi a disposizione del papa, che avrebbe deciso il loro genere di vita apostolica e il luogo dove esercitarla; nel contempo Iñigo latinizzò il suo nome in Ignazio, ricordando il santo vescovo martire s. Ignazio d’Antiochia.
A causa della guerra fra Venezia e i Turchi, il viaggio in Terrasanta sfumò, per cui si presentarono dal papa Paolo III (1534-1549), il quale disse: “Perché desiderate tanto andare a Gerusalemme? Per portare frutto nella Chiesa di Dio l’Italia è una buona Gerusalemme”; e tre anni dopo si cominciò ad inviare in tutta Europa e poi in Asia e altri Continenti, quelli che inizialmente furono chiamati “Preti Pellegrini” o “Preti Riformati” in seguito chiamati Gesuiti.
Ignazio di Loyola nel 1537 si trasferì in Italia prima a Bologna e poi a Venezia, dove fu ordinato sacerdote; insieme a due compagni si avvicinò a Roma e a 14 km a nord della città, in località ‘La Storta’ ebbe una visione che lo confermò nell’idea di fondare una “Compagnia” che portasse il nome di Gesù.
Il 27 settembre 1540 papa Polo III approvò la Compagnia di Gesù con la bolla “Regimini militantis Ecclesiae”.
L’8 aprile 1541 Ignazio fu eletto all’unanimità Preposito Generale e il 22 aprile fece con i suoi sei compagni, la professione nella Basilica di S. Paolo; nel 1544 padre Ignazio, divenuto l’apostolo di Roma, prese a redigere le “Costituzioni” del suo Ordine, completate nel 1550, mentre i suoi figli si sparpagliavano per il mondo.
Rimasto a Roma per volere del papa, coordinava l’attività dell’Ordine, nonostante soffrisse dolori lancinanti allo stomaco, dovuti ad una calcolosi biliare e a una cirrosi epatica mal curate, limitava a quattro ore il sonno per adempiere a tutti i suoi impegni e per dedicarsi alla preghiera e alla celebrazione della Messa.
Il male fu progressivo limitandolo man mano nelle attività, finché il 31 luglio 1556, il soldato di Cristo, morì in una modestissima camera della Casa situata vicina alla Cappella di Santa Maria della Strada a Roma.
Fu proclamato beato il 27 luglio 1609 da papa Paolo V e proclamato santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV.
Si completa la scheda sul Santo Fondatore, colonna della Chiesa e iniziatore di quella riforma coronata dal Concilio di Trento, con una panoramica di notizie sul suo Ordine, la “Compagnia di Gesù”.
Le “Costituzioni” redatte da s. Ignazio fissano lo spirito della Compagnia, essa è un Ordine di “chierici regolari” analogo a quelli sorti nello stesso periodo, ma accentuante anche nella denominazione scelta dal suo Fondatore, l’aspetto dell’azione militante al servizio della Chiesa.
La Compagnia adattò lo spirito del monachesimo, al necessario dinamismo di un apostolato da svolgersi in un mondo in rapida trasformazione spirituale e sociale, com’era quello del XVI secolo; alla stabilità della vita monastica sostituì una grande mobilità dei suoi membri, legati però a particolari obblighi di obbedienza ai superiori e al papa; alle preghiere del coro sostituì l’orazione mentale.
Considerò inoltre essenziale la preparazione e l’aggiornamento culturale dei suoi membri. È governata da un “Preposito generale”.
I gradi della formazione dei sacerdoti gesuiti, comprendono due anni di noviziato, gli aspiranti sono detti ‘scolastici’, gli studi approfonditi sono inframezzati dall’ordinazione sacerdotale (solitamente dopo il terzo anno di filosofia), il giovane gesuita verso i 30 anni diventa professo ed emette i tre voti solenni di povertà, castità e obbedienza, più in quarto voto di obbedienza speciale al papa; accanto ai ‘professi’ vi sono i “coadiutori spirituali” che emettono soltanto i tre voti semplici.
Non c’è un ramo femminile né un Terz’Ordine. La spiritualità della Compagnia si basa sugli ‘Esercizi Spirituali’ di s. Ignazio e si contraddistingue per l’abbandono alla volontà di Dio espresso nell’assoluta obbedienza ai superiori; in una profonda vita interiore alimentata da costanti pratiche spirituali, nella mortificazione dell’egoismo e dell’orgoglio; nello zelo apostolico; nella totale fedeltà alla Santa Sede.
I Gesuiti non possono possedere personalmente rendite fisse, consentite solo ai Collegi e alle Case di formazione; i professi fanno anche il voto speciale di non aspirare a cariche e dignità ecclesiastiche.
Come attività, in origine la Compagnia si presentava come un gruppo missionario a disposizione del pontefice e pronto a svolgere qualsiasi compito questi volesse affidargli per la “maggior gloria di Dio”.
Quindi svolsero attività prevalentemente itinerante, facendo fronte alle più urgenti necessità di predicazione, di catechesi, di cura di anime, di missioni speciali, di riforma del clero, operante nella Controriforma e nell’evangelizzazione dei nuovi Paesi (Oriente, Africa, America).
Nel 1547, s. Ignazio affidò alla sua Compagnia, un ministero inizialmente non previsto, quello dell’insegnamento, che diventò una delle attività principali dell’Ordine e uno dei principali strumenti della sua diffusione e della sua forza, lo testimoniano i prestigiosi Collegi sparsi per il mondo.
Alla morte di s. Ignazio, avvenuta come già detto nel 1556, la Compagnia contava già mille membri e nel 1615, con la guida dei vari Generali succedutisi era a 13.000 membri, diffondendosi in tutta Europa, subendo anche i primi martiri (Campion, Ogilvie, in Inghilterra).
Ma soprattutto ebbe un’attività missionaria di rilievo iniziata nel 1541 con s. Francesco Xavier, inviato in India e nel Giappone, dove i successivi gesuiti subirono come gli altri missionari, sanguinose persecuzioni.
Più duratura fu la loro opera in Cina con padre Matteo Ricci (1552-1610) e in America Meridionale, specie in Brasile, con le famose ‘riduzioni’. Più sfortunata fu l’opera dei Gesuiti in America Settentrionale, in cui furono martiri i santi Giovanni de Brebeuf, Isacco Jogues, Carlo Garnier e altri cinque missionari.
Col passare del tempo, nei secoli XVII e XVIII i Gesuiti con la loro accresciuta potenza furono al centro di dispute dottrinarie e di violenti conflitti politico-ecclesiatici, troppo lunghi e numerosi da descrivere in questa sede; che alimentarono l’odio di tanti movimenti antireligiosi e l’astio dei Domenicani, dei sovrani dell’epoca e dei parlamentari e governi di vari Stati.
Si arrivò così allo scioglimento prima negli Stati di Portogallo, Spagna, Napoli, Parma e Piacenza e infine sotto la pressione dei sovrani europei, anche allo scioglimento totale della Compagnia di Gesù nel 1773, da parte di papa Clemente XIV.
I Gesuiti però sopravvissero in Russia sotto la protezione dell’imperatrice Caterina II; nel 1814 papa Pio VII diede il via alla restaurazione della Compagnia.
Da allora i suoi membri sono stati sempre presenti nelle dispute morali, dottrinarie, filosofiche, teologiche e ideologiche, che hanno interessato la vita morale e istituzionale della società non solo cattolica.
Nel 1850 sorse la prestigiosa e diffusa rivista “La Civiltà Cattolica”, voce autorevole del pensiero della Compagnia; altre espulsioni si ebbero nel 1880 e 1901 interessanti molti Stati europei e sud americani.
Nell’annuario del 1966 i Gesuiti erano 36.000, divisi in 79 province nel mondo e 77 territori di missione. In una statistica aggiornata al 2002, la Compagnia di Gesù annovera tra i suoi figli 49 Santi di cui 34 martiri e 147 Beati di cui 139 martiri; a loro si aggiungono centinaia di Servi di Dio e Venerabili, avviati sulla strada di un riconoscimento ufficiale della loro santità o del loro martirio.
L’alto numero di martiri, testimonia la vocazione missionaria dei Gesuiti, votati all’affermazione della ‘maggior gloria di Dio’, nonostante i pericoli e le persecuzioni a cui sono andati incontro, sin dalla loro fondazione.
Autore: Antonio Borrelli
http://www.santiebeati.it/dettaglio/23800
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Lectio Divina
2ª Domenica di Pasqua (A)
Domenica, 19 Aprile, 2020
L’apparizione di Gesù e
il dono dello Spirito Santo ai discepoli
Giovanni 20,19-31
1. Orazione iniziale
O Padre, che nel giorno del Signore raduni il tuo popolo per celebrare colui che è il Primo e l’Ultimo, il Vivente che ha sconfitto la morte, donaci la forza del tuo Spirito, perché, spezzati i vincoli del male, allontanate le nostre paure e le nostre indecisioni, ti rendiamo il libero servizio della nostra obbedienza e del nostro amore, per regnare con Cristo nella gloria.
2. LECTIO
a) Chiave di lettura:
Siamo nel cosiddetto “libro della risurrezione” ove sono narrati, senza una continuità logica, diversi episodi che riguardano il Cristo risorto e i fatti che lo provano. Questi fatti sono collocati, nel IV vangelo, nella mattina (20,1-18) e nella sera del primo giorno dopo il sabato e otto giorni dopo, nello stesso luogo e giorno della settimana. Ci troviamo di fronte all’evento più importante della storia dell’umanità, un evento che ci interpella personalmente. “Se Cristo non è risorto è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede… e voi siete ancora nei vostri peccati” (1Cor 15,14.17) dice l’apostolo Paolo che non aveva conosciuto Gesù prima della sua Risurrezione, ma che lo predicava con tutta la sua vita, pieno di zelo. Gesù è l’inviato del Padre. Egli invia anche noi. La disponibilità ad “andare” proviene dalla profondità della fede che abbiamo nel Risorto. Siamo pronti ad accettare il Suo “mandato” e a dare la vita per il suo Regno? Questo brano non riguarda solo la fede di coloro che non hanno visto (testimonianza di Tommaso), ma anche la missione affidata da Cristo alla Chiesa.
b) Una possibile divisione del testo per facilitare la lettura:
20,19-20: apparizione ai discepoli e ostensione delle ferite
20,21-23: dono dello Spirito per la missione
20,24-26: apparizione particolare per Tommaso, otto giorni dopo
20,27-29: dialogo con Tommaso
20,30-31: lo scopo del Vangelo secondo Giovanni
c) Il testo:
Giovanni 20,19-31
19 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21 Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». 22 Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; 23 a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».
24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 27 Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». 28 Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29 Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».
30 Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. 31 Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
3. Un momento di silenzio
per far depositare la Parola nel nostro cuore.
4. MEDITATIO
a) Alcune domande per aiutare la meditazione:
Chi o cosa ha suscitato il mio interesse e la mia meraviglia nella lettura che ho fatto?
E’ possibile che ci siano alcuni che si professano cristiani, ma non credano nella Risurrezione di Gesù? E’ così importante crederci? Cosa cambia se noi ci fermiamo solo al suo insegnamento e alla sua testimonianza di vita? Che significato ha per me il dono dello Spirito per la missione? Come continua, dopo la Risurrezione, la missione di Gesù nel mondo? Qual è il contenuto dell’annuncio missionario? Che valore ha per me la testimonianza di Tommaso? Quali sono, se ne ho, i dubbi della mia fede? Come li affronto e progredisco? So esprimere le ragioni della mia fede?
b) Commento:
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato: i discepoli stanno vivendo un giorno straordinario. Il giorno dopo il sabato, nel momento in cui viene scritto il IV vangelo, è già per la comunità “il giorno del Signore” (Ap 1,10), Dies Domini (domenica) e ha più importanza della tradizione del sabato per i Giudei.
Mentre erano chiuse le porte: un particolare per indicare che il corpo di Gesù risorto, pur essendo riconoscibile, non è soggetto alle leggi ordinarie della vita umana.
Pace a voi: non è un augurio, ma la pace che aveva promesso quando erano afflitti per la sua dipartita (Gv14,27; 2Tes3,16; Rom5,3), la pace messianica, il compimento delle promesse di Dio, la liberazione da ogni paura, la vittoria sul peccato e sulla morte, la riconciliazione con Dio, frutto della sua passione, dono gratuito di Dio. Viene ripetuto tre volte in questo brano, come anche l’introduzione (20,19) viene ripetuta più avanti (20,26) in modo identico.
Mostrò loro le mani e il costato: Gesù fornisce le prove evidenti e tangibili che è colui che è stato crocifisso. Solo Giovanni ricorda il particolare della ferita al costato inferta dalla lancia di un soldato romano, mentre Luca evidenzia la ferita ai piedi (Lc 24,39). Nel mostrare le ferite Gesù vuole anche evidenziare che la pace che lui dà viene dalla croce (2Tim2,1-13). Fanno parte della sua identità di risorto (Ap 5,6).
E i discepoli gioirono al vedere il Signore: E’ la stessa gioia che esprime il profeta Isaia nel descrivere il banchetto divino (Is 25,8-9), la gioia escatologica, che aveva preannunciata nei discorsi di addio, che nessuno potrà mai togliere (Gv 16,22; 20,27). Cfr. anche Lc 24,39-40; Mt 28,8; Lc 24,41.
Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi: Gesù è il primo missionario, “l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo” (Ap 3,1). Dopo l’esperienza della croce e della resurrezione si attualizza la preghiera di Gesù al Padre (Gv 13,20; 17,18; 21,15,17).Non si tratta di una nuova missione, ma della stessa missione di Gesù che si estende a coloro che sono suoi discepoli, legati a lui come il tralcio alla vite (15,9), così anche alla sua chiesa (Mt 28,18-20; Mc 16,15-18; Lc 24,47-49). Il Figlio eterno di Dio è stato inviato perché “il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,17) e tutta la sua esistenza terrena, di piena identificazione con la volontà salvifica del Padre, è una costante manifestazione di quella volontà divina che tutti si salvino. Questo progetto storico lo lascia in consegna ed eredità a tutta la Chiesa e, in maniera particolare, all’interno di essa, ai ministri ordinati.
Alitò su di loro: il gesto ricorda il soffio di Dio che da la vita all’uomo (Gn 2,7), non si incontra altrove nel Nuovo Testamento. Segna l’inizio di una creazione nuova.
Ricevete lo Spirito Santo: dopo che Gesù è stato glorificato viene dato lo Spirito Santo (Gv 7,39). Qui si tratta della trasmissione dello Spirito per una missione particolare, mentre la Pentecoste (At 2) è la discesa dello Spirito su tutto il popolo di Dio.
A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi: il potere di perdonare o non perdonare (rimettere) i peccati si trova anche in Matteo in forma più giuridica (Mt 16,19; 18,18). E’ Dio che ha il potere di rimettere i peccati, secondo gli Scribi e i Farisei (Mc 2,7), come da tradizione (Is 43,25). Gesù ha questo potere (Lc 5,24) e lo trasmette alla sua Chiesa. Conviene non proiettare su questo testo, nella meditazione, lo sviluppo teologico della tradizione ecclesiale e le controversie teologiche che ne seguono. Nel IV Vangelo l’espressione si può considerare in modo ampio. Si indica il potere di rimettere i peccati nella Chiesa, come comunità di salvezza, di cui sono particolarmente muniti coloro che partecipano per successione e missione al carisma apostolico. In questo potere generale è incluso anche il potere di rimettere i peccati dopo il battesimo, quello che noi chiamiamo “sacramento della riconciliazione” espresso in diverse forme nel corso della storia della Chiesa.
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo: Tommaso è uno dei protagonisti del IV vangelo, si mette in evidenza il suo carattere dubbioso e facile allo scoraggiamento (11,16; 14,5). “uno dei dodici” è ormai una frase stereotipa (6,71), perché in realtà erano unidici. “Didimo” vuol dire “gemello”, noi potremmo essere “gemelli” suoi per la difficoltà a credere in Gesù, Figlio di Dio, morto e risorto.
Abbiamo visto il Signore! Già Andrea, Giovanni e Filippo, trovato il Messia, erano corsi ad annunciarlo ad altri (Gv 1,41-45). Ora è l’annuncio ufficiale da parte dei testimoni oculari (Gv 20.18).
Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò: Tommaso non riesce a credere attraverso i testimoni oculari. Vuole fare lui l’esperienza. Il IV vangelo è conscio della difficoltà di chiunque a credere nella Risurrezione (Lc 24, 34-40; Mc 16,11; 1Cor 15,5-8), specialmente poi di coloro che non hanno visto il Risorto. Tommaso è il loro (e nostro) interprete. Egli è disposto a credere, ma vuole risolvere di persona ogni dubbio, per il timore di uno sbaglio. Gesù non vede in Tommaso uno scettico indifferente, ma un uomo in cerca della verità e lo accontenta pienamente. E’ comunque l’occasione per lanciare l’apprezzamento verso i credenti futuri (versetto 29).
Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente! Gesù ripete le parole di Tommaso, entra in dialogo con lui, capisce i suoi dubbi e vuole aiutarlo. Gesù sa che Tommaso lo ama e ne ha compassione perché ancora non gode della pace che viene dalla fede. Lo aiuta a progredire nella fede. Per approfondire si possono confrontare i paralleli: 1Gv1-2; Sal 78,38; 103,13-14; Rom 5,20; 1Tim 1,14-16.
Mio Signore e mio Dio! È la professione di fede nel Risorto e nella sua divinità come è proclamato anche all’inizio del vangelo di Giovanni (1,1). Nell’Antico Testamento “Signore” e “Dio” corrispondono rispettivamente a “Jahvé” e ad “Elohim” (Sal 35,23-24;Ap 4,11). E’ la professione di fede pasquale nella divinità di Gesù più esplicita e diretta. In ambiente giudaico acquistava ancora più valore in quanto si applicavano a Gesù i testi che riguardavano Dio. Gesù non corregge le parole di Tommaso come corresse quelle dei Giudei che lo accusavano di volersi fare “uguale a Dio” (Gv 5,18ss) approvando così il riconoscimento della sua divinità.
Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno! Gesù mal sopporta coloro che sono alla ricerca di segni e prodigi per credere (Gv 4,48) e sembra rimproverare Tommaso. Scorgiamo qui anche un passaggio verso una fede più autentica, un “cammino di perfezione” verso una fede cui si deve arrivare anche senza le pretese di Tommaso, la fede accolta come dono e atto di fiducia. Come quella esemplare degli antenati (Ap 11) e come quella di Maria (Lc 1,45). A noi che siamo più di duemila anni distanti dalla venuta di Gesù, vien detto che, benchè non lo abbiamo veduto, lo possiamo amare e credendo in lui possiamo esultare “di gioia indicibile e gloriosa” (1Pt 1,8).
Questi (segni) sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome Il IV vangelo, come gli altri, non ha lo scopo di scrivere la vita completa di Gesù, ma quello di dimostrare che Gesù era il Cristo, il Messia atteso, il Liberatore e che era Figlio di Dio. Credendo in Lui abbiamo la vita eterna. Se Gesù non è Dio vana è la nostra fede!
5. ORATIO
Salmo 118 (117)
Alleluia.
Celebrate il Signore, perché è buono;
perché eterna è la sua misericordia.
Dica Israele che egli è buono:
eterna è la sua misericordia.
Lo dica la casa di Aronne:
eterna è la sua misericordia.
Lo dica chi teme Dio:
eterna è la sua misericordia.
Mi avevano spinto con forza per farmi cadere,
ma il Signore è stato mio aiuto.
Mia forza e mio canto è il Signore,
egli è stato la mia salvezza.
Grida di giubilo e di vittoria,
nelle tende dei giusti.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta testata d'angolo;
ecco l'opera del Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno fatto dal Signore:
rallegriamoci ed esultiamo in esso.
Dona, Signore, la tua salvezza,
dona, Signore, la vittoria!
6. CONTEMPLATIO
Orazione finale
Ti ringrazio Gesù, mio Signore e mio Dio, che mi hai amato e chiamato, reso degno di essere tuo discepolo, che mi hai dato lo Spirito, il mandato di annunciare e testimoniare la tua risurrezione, la misericordia del Padre, la salvezza e il perdono per tutti gli uomini e tutte le donne del mondo. Tu veramente sei la via, la verità e la vita, aurora senza tramonto, sole di giustizia e di pace. Fammi rimanere nel tuo amore, legato come tralcio alla vite, dammi la tua pace, così che possa superare le mie debolezze, affrontare i miei dubbi, rispondere alla tua chiamata e vivere pienamente la missione che mi hai affidato, lodandoti in eterno. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.
https://ocarm.org/it/content/lectio/lectio-divina-2-domenica-pasqua
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IL GRANELLINO🌱 (Lc 10,1-12) Alcuni decenni fa, tra i fedeli cattolici si pensava che gli operai del Vangelo fossero solo i sacerdoti e i consacrati. Grazie al Concilio Vaticano ll la mentalità è cambiata. Ogni battezzato nella Chiesa cattolica è chiamato ad evangelizzare. Cos'è l'evangelizzazione? È far conoscere non una buona notizia, ma LA BUONA NOTIZIA. C'è una sola buona notizia che bisogna annunciare ed è questa: GESÙ È IL SALVATORE e non un salvatore. La gente cerca la salvezza nella medicina, psicologia, nella politica, nella religione fatta dall'uomo e, soprattutto, nel danaro. Gesù Cristo non deve essere annunciato con parola e sapienza umana, ma con potenza dello Spirito Santo. La gente è delusa e angosciata. La gente ha fame e sete di verità e di amore. Purtroppo, ci sono pastori ciechi ed evangelizzatori ipocriti e mercenari. Questi pastori ciechi e questi evangelizzatori ipocriti non annunciano Gesù Cristo, ma se stessi come salvatori dell'umanità. I primi cristiani annunciavano con la parola e con la vita che: GESÙ È IL SIGNORE. È bello vedere che, nella Chiesa di oggi, ci sono uomini e donne che, nonostante gli impegni familiari e lavorativi, sono divorati dallo zelo di annunciare Gesù Cristo e solo Gesù Cristo. È triste vedere, invece, alcuni sacerdoti e religiosi senza lo zelo dell'evangelizzazione e che sono addirittura di ostacolo a molti laici con la passione dell'evangelizzazione. Ottobre è il mese missionario. La missione inizia nell'ambiente dove si vive e si lavora. Preghiamo perché lo Spirito Santo susciti nella Chiesa un diluvio di operai evangelici perché la messe è abbondante. Amen. Alleluia. (P. Lorenzo Montecalvo dei Padri Vocazionisti) PS. SEMI DI AMORE e IL MATRIMONIO È A VITA, sono due nuovi libri di P. Lorenzo che ti fanno fare un cammino di amore. Per richiederli, telefonare ai seguenti numeri: 3313347521 - 3493165354. (presso Apricena) https://www.instagram.com/p/B3JSCPVCgvm/?igshid=50a3f6qmvl82
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“Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura”. Il Vangelo di oggi ci ricorda che la fede non è mai un fatto intimistico. Anzi la fede ha sempre in sé nella sua radice più profonda una radicale energia missionaria. La stessa Messa non si conclude con un invito a “restare nella pace”, ma nell’andare in pace. La vita spirituale non è una vita introversa ma estroversa. Conduce l’uomo dalla solitudine del proprio io all’incontro profondo con il tu dell’altro e di Dio stesso. Per questo bisogna sempre diffidare da un vissuto di fede che non senta anche l’esigenza dell’incontro con l’altro e che senta magari gli altri, il mondo e la realtà come un fastidio. Persino l’ultimo eremita nascosto sul monte più alto e recondito del mondo non è lì perché odia gli altri e considera il mondo e la vita un fastidio, ma è lì per essere più intimamente unito a tutto e a tutti. Se così non fosse non sarebbe un eremita ma solo uno dei tanti infelici in fuga. In questo senso una monaca di clausura o un missionario in Patagonia hanno la stessa radice missionaria, lo stesso zelo di propagare il Vangelo. Ma ognuno lo fa secondo la propria vocazione specifica. Infatti non deve meravigliarci che i due protettori della vita missionaria siano San Francesco Saverio, l’instancabile apostolo delle Indie, e Santa Teresa di Gesù Bambino che ha passato tutta la sua giovane vita in un monastero carmelitano di clausura in Francia. Entrambi hanno vissuto la loro missionarietà secondo la specificità della loro vocazione. L’uno con i viaggi e la predicazione, e l’altra con la preghiera e l’offerta. Un albero infatti non vive solo di frondosi rami, ma anche di nascoste e profonde radici. Anzi dovremmo dire che il verde dei rami dipende proprio dalla bontà delle radici. Mai l’uno senza l’altro. In questo senso nessuno è escluso dall’annuncio del vangelo anche se non partirà mai per terre lontane, e non compirà azioni eroiche. Tutti, nel nostro piccolo, siamo chiamati a non far soffocare la fede nel nostro intimo ma a farla diventare annuncio per tutti. (Mc 16,15-18) (Don Luigi Maria Epicoco - Dal Vangelo del giorno) #vangelodelgiorno https://www.instagram.com/p/BtDLQ88HQTK/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=zdf3xrnu2n3b
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..Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita..Sono venuto ad incoraggiarvi sulla via del Vangelo, una via certo stretta, eppure la via regale, sicura, provata da generazioni di cristiani, insegnata dai santi. È la via sulla quale, come voi, i vostri fratelli nella Chiesa universale si sforzano di camminare. Questa via non passa dalla rassegnazione, dalle rinuncie o dagli abbandoni. Non si rassegna all'insulsaggine del senso morale, ed auspicherebbe che la legge civile stessa aiutasse ad innalzare l'uomo. Non cerca di sottrarsi, di rimanere inosservata; richiede invece l'audacia gioiosa degli apostoli. Bandisce quindi la pusillanimità, pur mostrandosi perfettamente rispettosa verso coloro che non condividono lo stesso ideale...Riconosci, o cristiano, la tua dignità!...diceva il grande papa S. Leone. Ed io, suo indegno successore, dico a voi, fratelli miei e sorelle mie: Riconoscete la vostra dignità! Siate fieri della vostra fede, del dono dello Spirito che il Padre vi ha fatto. Vengo da voi come un povero, con l'unica ricchezza della fede, pellegrino del Vangelo. Date alla Chiesa e al mondo l'esempio della vostra fedeltà senza difetto e del vostro zelo missionario. La mia visita da voi vuol essere...una chiamata ad uno slancio nuovo davanti ai numerosi compiti che vi attendono..(San Giovanni Paolo II, papa, Discorso a Parigi)..
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9 Settembre ♦️ SAN PIETRO CLAVER ♦️ Nacque a Verdú (Spagna) il 25 giugno 1581, da una famiglia di un contadino della Catalogna. Si laureò all’Università di Barcellona e a 25 anni incominciò il noviziato nella Compagnia di Gesù a Tarragona. Mentre studiava filosofia a Maiorca nel 1605, il padre, Alfonso Rodriguez, portinaio del collegio, pensando di essere ispirato da Dio, ritenne di conoscere quale dovesse essere la missione futura del suo giovane confratello e da quel momento in poi non smise mai di esortarlo a partire per evangelizzare i territori spagnoli in America. Inizia gli studi di teologia a Barcellona e li completa a Cartagena dove diventa sacerdote nel 1616. Pietro obbedì e nel 1610 sbarcò a Cartagena (Nueva Granada detta poi Colombia) dove per 44 anni fu missionario tra gli schiavi afroamericani in un periodo in cui ferveva la tratta degli schiavi. Qui sbarcano migliaia di schiavi neri, quasi tutti giovani: ma invecchiano, muoiono presto per la fatica e i maltrattamenti e per l’abbandono quando sono invalidi. Educato alla scuola del missionario Alfonso de Sandoval, Pietro si dichiarò Aethiopum semper servus ovvero “schiavo degli africani per sempre”; da persona timida e insicura delle proprie capacità, diventò un organizzatore caritatevole, ardito e ingegnoso. Ogni mese, quando veniva segnalato l’arrivo di nuovi schiavi, stipati nelle stive delle navi, Pietro usciva in mare con il suo battello per incontrarli; portando loro cibo, soccorso e conforto, guadagnandosi così la loro fiducia. Impara la lingua dell’Angola, parlata da molti di loro, e crea un’équipe di interpreti per le altre lingue e li fece diventare dei catechisti. Mentre gli schiavi stavano rinchiusi a Cartagena, aspettando di essere acquistati e destinati a differenti località, Pietro li istruiva e li battezzava. Questo lavoro causò a Pietro difficili prove e i mercanti di schiavi non erano i suoi soli nemici. Fu accusato di incauto zelo e di avere profanato i sacramenti, dandoli a creature che “a malapena possedevano un’anima”. Le donne della buona società di Cartagena si rifiutavano di entrare nelle chiese dove Claver aveva riunito i suoi “negri”. Tradizioni Barcellona Pozzo di Gotto (presso Spain) https://www.instagram.com/p/CTma3n4s_Pc/?utm_medium=tumblr
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Martedì 27 Giugno 2017 : Commento San Giovanni Paolo II
Sono venuto ad incoraggiarvi sulla via del Vangelo, una via certo stretta, eppure la via regale, sicura, provata da generazioni di cristiani, insegnata dai santi. È la via sulla quale, come voi, i vostri fratelli nella Chiesa universale si sforzano di camminare. Questa via non passa dalla rassegnazione, dalle rinuncie o dagli abbandoni. Non si rassegna all'insulsaggine del senso morale, ed auspicherebbe che la legge civile stessa aiutasse ad innalzare l'uomo. Non cerca di sottrarsi, di rimanere inosservata; richiede invece l'audacia gioiosa degli apostoli. Bandisce quindi la pusillanimità, pur mostrandosi perfettamente rispettosa verso coloro che non condividono lo stesso ideale... « Riconosci, o cristiano, la tua dignità! » diceva il grande papa S. Leone. Ed io, suo indegno successore, dico a voi, fratelli miei e sorelle mie: Riconoscete la vostra dignità! Siate fieri della vostra fede, del dono dello Spirito che il Padre vi ha fatto. Vengo da voi come un povero, con l'unica ricchezza della fede, pellegrino del Vangelo. Date alla Chiesa e al mondo l'esempio della vostra fedeltà senza difetto e del vostro zelo missionario. La mia visita da voi vuol essere ... una chiamata ad uno slancio nuovo davanti ai numerosi compiti che vi attendono.
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Il santo del 14 agosto: san Massimiliano Maria Kolbe
San Massimiliano Maria Kolbe Nacque in Polonia nel 1894. si consacrò al Signore nella Famiglia francescana dei Minori Conventuali, Innamorato della Vergine, fondò la Milizia dell'Immacolata e svolse, con la parola e con la stampa, un intyenso apostolato missionario in Europa e in Asia. Questi sentimenti di fede e propositi di zelo, Massimiliano li sintetizzò nel motto: "Rinnovare ogni cosa in cristo attraverso l'Immacolata." Il 17 febbraio del 1941 padre Kolbe fu arrestato dalla Gestapo e rinchiuso nel carcere di Pawiak dove subì le prime torture delle guardie naziste. il 28 maggio dello stesso anno fu trasferito nel campo di concentramento di Auschwitz. Alla fine di luglio avvenne l'evasione di un prigioniero. Come rappresaglia il comandante decise di scegliere dieci compagni dello stesso blocco, condannandoli a morire di fame e di sete. con lo stupore di tutti i prigionieri e degli stessi nazisti, padre Massimiliano uscì dalle file e si offrì in sostituzione di uno dei condannati. scese con i nove nel sotterraneo della morte, dove uno dopo l'altro, i prigionieri morirono consolati, assistiti e benedetti da un santo. Morì il 14 agosto del 1941, vigilia della festa dell'Assunzione di Maria. L'Immacolata, che gli aveva offerto in vita la corona della santità, lo attendeva in cielo per offrirgli quella della gloria. Ed ecco un' estratto dei suoi scritti: ".... #chiesacattolica Read the full article
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Nicodemo – Carmelitano nella formazione
O.Carm
Questa omelia è stata pronunciata da P. Raymond Maher, O.Carm. il 30 aprile 2019 nella cappella del convento “Stella Maris” sul Monte Carmelo ad un gruppo di pellegrini durante la visita in Terra Santa. Il Vangelo del giorno era Giovanni 3,7b-15.
Nella foto sopra: P. Raymond Maher, O.Carm. (SEL) con il direttore del pellegrinaggio P. James Wallace, C.Ss.R. alla “Grotta di Elia” sul Monte Carmelo.
Sorelle e fratelli, dunque siamo sul Monte Carmelo, prima tappa del nostro pellegrinaggio e per tutti noi significativo per il ruolo che ha nei Libri dei Re come il luogo in cui il profeta Elia vinse la sfida dei sacrifici contro i quattrocentocinquanta profeti di Baal. Devo dire che è davvero emozionante per me essere qui, perché in questo luogo è iniziata la storia dei Carmelitani. Le origini dell’Ordine sono abbastanza oscure, ma sappiamo che nel Medioevo (e forse prima) degli eremiti si erano raccolti sul Monte Carmelo (che significa “Giardino di Dio” in ebraico), stabilendosi nelle caverne nel Wadi ‘ain es-Siah, vicino alla Fonte di Elia. Probabilmente erano europei venuti in Terra Santa in pellegrinaggio o per combattere nella crociata e avevano deciso di fermarsi e intraprendere una vita di preghiera nella terra in cui aveva camminato Gesù. È assai probabile che molti di loro fossero laici. Col tempo essi compresero di aver bisogno di una certa struttura di vita, così chiesero al patriarca locale, in seguito conosciuto come Sant’Alberto di Gerusalemme (il patriarca latino di Gerusalemme), di dar loro alcune linee guida per la loro comune vita solitaria. In un momento tra gli anni 1206 e 1214, Alberto compose una Formula di Vita per gli eremiti. Questa Formula Vitae era abbastanza semplice, li esortava a “vivere in ossequio di Gesù Cristo (in obsequio Jesu Christi), servendolo con zelo con cuore puro e buona coscienza”. Egli diede loro anche altre indicazioni pratiche. Questo documento divenne la Regola di Sant’Alberto dopo che divenimmo ufficialmente un ordine religioso, circa quarant’anni più tardi. I Carmelitani inoltre vantano Elia come fondatore dell’Ordine! Come e perché questo avvenne è una storia lunga, ma lo spirito profetico di Elia, insieme al modello di discepolato della Vergine Maria, sono stati un’ispirazione per i Carmelitani per più di ottocento anni.
Le prime parole che sentiamo uscire dalla bocca di Elia nel Primo Libro dei Re (17,1) sono rivolte al malvagio re Acab, che ha abbandonato l’Unico vero Dio per servire i falsi dei Baal: “Per la vita del Signore, Dio d'Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo comanderò io”. Prendendo spunto dall’autopresentazione di Elia, i Carmelitani vedono la nostra spiritualità come un modo di stare alla presenza del Dio vivente con cuore aperto, attenti ai suggerimenti dello Spirito Santo, con buona coscienza. Questa, se volete, è in nuce la vita carmelitana e certamente essa è incarnata in molte maniere diverse. I primi Carmelitani consideravano carmelitano Giovanni Battista (almeno in spirito), e un testo carmelitano del quattordicesimo secolo intitolato Il Libro dei Primi Monaci racconta che Giuseppe e Maria portavano Gesù bambino al Monte Carmelo per dei picnic!
Mi chiedo allora se non possiamo considerare anche Nicodemo, ricordato nel Vangelo di oggi, come un carmelitano in cammino. In quanto “capo dei Giudei”, egli sta alla presenza del vivente Figlio di Dio cercando con cuore sincero un’illuminazione. Egli non comprende che cosa dice Gesù riguardo all’essere “nati dallo Spirito”, così chiede chiarimenti. Ha un atteggiamento di umiltà e apertura. Va da Gesù di notte. Questo viene interpretato di solito come una prudenza da parte di Nicodemo, per non essere visto da nessuno, specialmente dagli altri Farisei, mentre incontra Gesù. Ma la frase “di notte” può anche connotare un’inquietudine spirituale e un desiderio della “luce di tutti gli uomini”, come Giovanni dice di Gesù nel prologo del suo Vangelo (1,4). Si dice che i Carmelitani hanno una speciale affinità con la notte. Conoscete la battuta: “Quanti Carmelitani ci vogliono per cambiare una lampadina?” La risposta: “Oh, i Carmelitani, non si preoccupano di cambiare lampadine, loro amano la notte oscura”. Nella notte oscura dei mistici Carmelitani, il Signore invita l’anima ad una relazione più profonda con Lui. Forse qualcosa di simile si può dire di Nicodemo nel Vangelo di oggi. Alla fine, non sappiamo con quanto zelo Nicodemo ha servito Gesù Cristo nei giorni seguenti a questa visita notturna, ma più tardi lo troviamo che porta la mirra e l’aloe per preparare il corpo di Gesù per la sepoltura (Gv 19,39). Il suo ultimo gesto nel Vangelo di Giovanni è di riverenza per il corpo di Cristo.
Gesù parla a Nicodemo di “essere nati dall’acqua e dallo Spirito”, un chiaro riferimento al Battesimo. Indubbiamente, ognuno di noi è “nato dall’alto” nel sacramento del Battesimo. Ma sappiamo che nel cammino spirituale il Battesimo è un passo facile. (Molti di noi sono stati letteralmente portati al fonte battesimale da neonati!). Sono i giorni e gli anni dopo il Battesimo che richiedono attenzione, impegno e pentimento continuo, affinché sottoponiamo sempre di nuovo i nostri cuori testardi e le nostre volontà al controllo dello Spirito di Dio. All’inizio di questo pellegrinaggio, senza dubbio, cerchiamo molte benedizioni per noi e per altri. Forse, ognuno di noi può chiedere oggi nella preghiera la grazia del pentimento – il cambiamento del cuore, una fresca ripartenza – proprio come Nicodemo andò da Gesù per cercare un cambiamento dal suo modo farisaico di pensare e di comportarsi, e i primi eremiti Carmelitani si pentirono di qualsiasi stile di vita che avevano lasciato dietro di sé per la solitudine di questa montagna.
Fatemi terminare con una storia. Nel Medioevo girava un racconto a proposito di una giovane donna che aveva fatto in modo di essere espulsa dal paradiso! Quando morì, le dissero che sarebbe stata riammessa, se avesse riportato il dono più stimato da Dio. Ella riconsegnò le gocce di sangue di un patriota morente. Ridiede alcune monete che una povera vedova aveva dato al povero. Riconsegnò una Bibbia che era stata usata da anni da un eminente predicatore. Ridiede un po’ di polvere delle scarpe di un missionario impegnato in un deserto remote. Riconsegnò molte altre simili cose, ma fu respinta ripetutamente.
Un giorno vide un piccolo bambino che giocava vicino a una fontana. Un uomo arrivò a cavallo e scese per bere. L’uomo vide il bambino e si ricordò immediatamente della sua innocenza infantile. Allora, guardando nella fontana e vedendo il riflesso del suo volto indurito, si rese conto di che cosa aveva fatto della sua vita. Lacrime di pentimento gli sgorgarono dagli occhi iniziando a scendere sulle sue guance. La giovane donna prese una di quelle lacrime e la portò in cielo e fu accolta con gioia e amore!
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IL GRANELLINO🌱 (Mt 23,13-22) Il Vangelo di oggi mi spinge a fare una domanda che, secondo me, è molto importante. Ecco la domanda: Qual è la differenza tra il fare proseliti e la passione del vero evangelizzatore cristiano? Anzitutto il fare proseliti è un impegno che non dà gioia perché è odioso. Lo zelo di chi fa proselitismo è caratterizzato anzitutto dal portare le persone ad abbracciare la propria dottrina e a vivere il proprio culto. Quindi chi fa proselitismo non è cattolico, cioè universale e aperto a nuovi e sconfinati orizzonti della vita. Per questo motivo, la persona che è al di fuori di quella dottrina umana e culto non può sedersi alla mensa di colui che fa proselitismo. La seconda caratteristica di chi fa proselitismo ha come fine non la gloria di Dio o il bene del proseliti, ma il promuovere il prestigio di quella dottrina e culto a cui si appartiene. Il proselitismo è condotto da maestri che presumono di essere giusti e perfetti. A questi falsi maestri interessa non la promozione della dignità umana, ma la crescita e la promozione della loro dottrina e culto che sono frutto della mente umana. Il tuo parroco è intento a fare proseliti o è un missionario con lo zelo di far conoscere la salvezza di Cristo? Chi è davvero un missionario cristiano? È colui che è divorato dallo zelo per il Padre celeste in Cristo. Lo zelo del missionario non è far conoscere una dottrina o un culto, ma la salvezza di Gesù Cristo. Conoscendo che l'uomo ha ricevuto dal Padre celeste il grande dono della libertà, il missionario non usa né violenza psicologica né fisica. Dove c'è violenza psicologica o fisica, lì si fa proselitismo. Il missionario cristiano attira le persone alla Chiesa più con il sorriso sulle labbra, che è la manifestazione del Signore che abita nel suo cuore che con la parola. La gioia del missionario è il mezzo più efficace per attirare nuovi pesci nella rete del regno di Dio. Amen. Alleluia. (P. Lorenzo Montecalvo dei Padri Vocazionisti) P.S. Per imparare a vivere in Comunità richiedi COMUNITÀ o COMODITÀ di padre Lorenzo ai seguenti numeri 331 3347521 - 349 316 53 54. (presso Termoli)
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..DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI MEMBRI DELLA..PAPAL FOUNDATION..Sala Clementina..Signor Cardinale, Gentili Signori e Signore, sono lieto di salutare voi, membri della Papal Foundation, nel corso della vostra visita annuale a Roma. Il nostro incontro odierno è pervaso dalla gioia del tempo pasquale, nel quale la Chiesa celebra la vittoria del Signore sulla morte e il dono della nuova vita nello Spirito Santo. Auspico che il vostro pellegrinaggio alla Città Eterna vi rafforzi nella fede e nella speranza, come pure nel vostro impegno di promuovere la missione della Chiesa sostenendo molte iniziative di natura religiosa e caritativa che stanno a cuore al Papa..Il mondo odierno, spesso segnato dalla violenza, dall’avidità e dall’indifferenza, ha grande bisogno della nostra testimonianza del messaggio di speranza nella forza redentiva e di riconciliazione dell’amore di Dio, che promana dal Vangelo. Sono grato per il vostro proposito di aiutare gli sforzi della Chiesa nel proclamare tale messaggio di speranza fino ai confini della terra e di lavorare per il progresso spirituale e materiale dei nostri fratelli e delle nostre sorelle nel mondo, specialmente nei Paesi in via di sviluppo. Ciascuno di noi, come membro vivo del Corpo di Cristo, è chiamato a promuovere l’unità e la pace della famiglia umana e di tutti coloro che la compongono, secondo la volontà del Padre, in Cristo. Vi chiedo, quale parte essenziale del vostro impegno nell’opera della Papal Foundation, di pregare per le necessità dei poveri, per la conversione dei cuori, la diffusione del Vangelo e per la crescita della Chiesa nella santità e nello zelo missionario. E vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me..Cari amici, con queste parole di incoraggiamento, e con grande affetto, raccomando voi e le vostre famiglie all’amorevole intercessione di Maria, Madre della Chiesa. A tutti voi imparto la mia Benedizione Apostolica come pegno di gioia e di pace nel Signore. Grazie..
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