#vite lontane
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~ Passarono i giorni, le settimane e i mesi, e lei continuò per la sua strada. Non vide più lui in quel luogo dove tutto era cominciato, gli orari non si incastrarono più e lei fu diligente nel pensare a se stessa e prendersi cura di sé. Il suo equilibrio non venne scalfito, si era promessa che non sarebbe più tornata indietro e ad oggi questa promessa la mantenne.
Seguirono giornate di routine: lavoro, palestra, casa e serie tv. Lei adora quei momenti di intimità che si dedica, si prepara una tisana al tè verde, si posiziona sul divano davanti la tv e sceglie cosa guardare su Netflix.
Le luci soffuse della stanza creavano un'atmosfera avvolgente, e il profumo della tisana si mescolava al suono leggero della pioggia che batteva contro le finestre. In quei momenti, si sentiva al sicuro, lontana dai ricordi che avrebbero potuto turbarla. Ogni episodio che guardava la trasportava in mondi lontani, permettendole di evadere dalla realtà e di rifugiarsi in storie di personaggi che lottavano, amavano e crescevano.
La routine divenne un rituale sacro: ogni sera, dopo una lunga giornata di lavoro, si concedeva un'ora di puro relax, il sabato anche di più. Non c'era più spazio per i pensieri che la tormentavano; aveva imparato a mettere un freno a quelle emozioni che un tempo la travolgevano. Si era costruita una corazza, una protezione che la separava dal passato e le permetteva di guardare al futuro con speranza.
Un giorno, però, mentre sfogliava il catalogo di Netflix, si imbatté in una serie che parlava di una donna che, come lei, aveva dovuto fare i conti con una storia d'amore finita. La trama la colpì profondamente, portandola a riflettere su quanto fosse cambiata. Le lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso, ma questa volta non erano lacrime di dolore, bensì di liberazione. Era finalmente pronta ad affrontare le sue emozioni, senza paura di tornare indietro.
Quella sera, dopo aver visto il primo episodio, si sentì ispirata. Si alzò dal divano, si guardò allo specchio e sorrise. La donna che vedeva riflessa era forte, indipendente e felice. Aveva costruito una vita che la rappresentava e si sentiva in pace con se stessa.~ 💎
#scrittori#artists on tumblr#life#emozioni#connessioni#momenti speciali#momenti#non per tutti#passione#desiderio#benessere#promemoria di vita#crescere#coraggio#vite lontane#l’amicizia ha molte forme#dove tutto ha inizio#presente o futuro#decisioni#settembre#scelte#sentimenti#andare avanti#attimi#insieme#proseguire#vita di tutti i giorni#routine#relazioni#da un libro ancora da scrivere
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Ci sono i giorni della malinconia,
Giorni che piangono,
sinfonica agonia.
Soli scuri di pensieri cupi
Piegati al vento di ieri ormai distrutti
Ci sono ė forse l'unica realtà,
Tra l'età che corre e l'altra mia metà
A prendere a calci gli anni andati
Viandanti anche loro smarriti
Pensanti,
Ci sono sarà sempre il tempo che verrà
A traverso il vetro rotto del mio sguardo datato
Tra cocci e schegge lucenti
Ricordi e lumi spenti.
Attraverso il giorno, tra passi e pesi
Carchi di doveri, lordi di pensieri
Lascio impronte di vita,
orme ormai armeggiate al porto fermo della mia memoria...
Ci sono giorni di mari mossi che solo il vento del futuro può navigare.
Come le montagne erose...
Sanno che loro sono qui prima
prima ancora delle rose,
Prima delle pose di pietre migliare...
Ci sono, tali altari di culti pagani,
Di terre lontane
Di vite nostrane
Ci sono, contasto semplice
Geografia dell'essere
Storia in essere
Di un mondo che pensa...
Domani è solo una domanda.
J.D
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Oggi pomeriggio ho fatto basta in ufficio prima del solito, rientrato appena in tempo per schivare l'ennesimo temporale. Birretta fresca sul divano a finestre aperte. Un altro blog che seguivo ha chiuso i battenti, mi dispiace. Per adesso resto, con il mio pseudodiario in questo spazio, incrocio spesso casuale di vite anche molto lontane tra loro.
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C’è qualcosa che tutti possiamo fare un po' di più: è guardare, guardare con più attenzione il mondo intorno a noi. Guardare non è tanto un modo di informarsi, ma l’unico varco per arrivare a un possibile stupore, può essere un paesaggio lontano, può essere vicinissimo a casa nostra. Guardare è un modo per dire alle cose e agli animali di non andarsene, di rimanere ancora con noi. Guardare una lampadina, un imbuto, un albero, un cane, guardare e sentire un momento di vicinanza, mettere in crisi per qualche secondo la solitudine in cui siamo caduti.
In me la ricerca di quello che chiamo Sacro minore è andata crescendo man mano che aumentava l’invadenza della vita digitale. Si può stare in Rete anche molto tempo, ma non bisogna accodarsi all’esodo verso l’irrealtà, bisogna rimanere fedeli al reale, è l’unico bene, è il bene comune, il bene più comune di tutti e non dobbiamo perderlo.
Questo guardare di cui parlo non è un partito, non è un’ideologia, non è andare a rintanarsi in un rifugio, come se altrove fosse tutto deserto e miseria spirituale. Direi che è semplicemente il coltivare una saltuaria abitudine percettiva. Io non so fare di più. Dopo questi brevi slanci verso l’esterno la mia vita rifluisce verso l’interno, si riduce alla continua manutenzione dell’inquietudine. E qui mi pare che si incroci con quella di tanti in questo tempo di vite spaiate, lontane da ogni fuoco collettivo. Ecco il bivio: da una parte l’attenzione al mondo che ci circonda, dall’altra la deriva opinionistica in cui tutti cinguettano su tutto in una babele di parole che girano a vuoto.
La poesia è come un vigile che sta davanti a questo bivio e indirizza chi la legge verso l’attitudine percettiva piuttosto che verso le astrazioni dell’opinionismo. La poesia è la scienza del dettaglio, è il sogno tagliato dalla ragione o la ragione tagliata dal sogno, comunque non è mai nel dominio di una sola logica, è sempre intreccio, sconfinamento, purissima impurezza.
Io credo di essermi educato allo sguardo proprio grazie alla poesia, al suo rendere l’anima più agile, capace di oscillare dall’infimo all’immenso, dal dentro al fuori. E sull’attenzione al mondo esterno posso citare i miei due grandi maestri, Peter Handke e Gianni Celati. Il primo conosciuto e frequentato nei suoi libri, l’altro frequentato anche di persona. Celati mi ha insegnato le meraviglie dei luoghi ordinari, delle giornate qualsiasi. In fondo il mio lavoro di paesologo ha una sola regola che si può riassumere con questo mio aforisma: “Io guardo ogni cosa come se fosse bella e se non lo è vuol dire che devo guardare meglio.” All’inizio la mia attenzione ai luoghi marginali era più in chiave politica, ero infiammato dalle disattenzioni della politica. Il margine era indagato come luogo dell’abbandono, ero protesto a cogliere il passaggio dalla miseria contadina alla desolazione della modernità incivile. Sono rimasto a indagare il margine, ma con uno sguardo diverso, direi più ricco. Non ho abbandonato la lotta contro lo spopolamento delle aree interne, ci ho aggiunto l’attenzione al sacro che ancora resiste in quelle aree, come se Dio amasse i luoghi dove non c’è partita Iva. Da qui è arrivato un libro come Sacro minore o un film come Nuovo cinema paralitico, realizzato con Davide Ferrario. Guardare il mondo quasi come un’attività nostalgica, considerando che stiamo tutti diventando senza mondo, considerando che non bisogna dare per scontata l’esistenza del mondo, come se la fuga nel digitale potesse trafugarlo e lasciarci come ombre vaganti in una terra di nessuno. Una volta si indagava il mistero della vita dopo la morte, adesso è da indagare il mistero della morte che dilaga dentro la vita, dilaga quanto più la morte viene rimossa, occultata dal fervore masochistico del consumare e produrre. Ecco che dal guardare, dalla semplice postura contemplativa, la questione diventa più complessa, diventa politica: non è in gioco solo il nostro modo di abitare la giornata, ma il modo in cui l’umanità abita il pianeta. Si tratta di prendere atto che il modello imperante produce solitudine e depressione negli individui, produce ingiustizie sociali e danni enormi al pianeta. Qualcuno ha detto che la bellezza salverà il mondo. Forse ora si potrebbe dire che il mondo lo salveranno i percettivi. FRANCO ARMINIO
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E’ autunno.
Ancora una volta torna il tempo che amo, fatto di emozioni più che di sensazioni. Emozioni che si scrivono con i colori, con i profumi, con le luci svanite in ore sempre più piccole, con l’abbraccio dei panni più caldi frettolosamente ripresi dagli armadi nei quali s’erano rifugiati dal soffocante ruggito estivo.
E’ il tempo della memoria, rievocazione di eccessi ed avventure d’estate, di vibranti occasionali amori e dei tuffi in sentimenti audaci e spericolati, obbligatoriamente vincolati ad un tempo specifico oltre il quale porterebbero solo scompiglio e disordine.
E’ il tempo del tramonto, che mai come ora si tinge di echi lontani. Di epoche selvagge ed innocenti, quando l’amore materno cullava e nutriva, garantendo un nido accogliente ma lasciando spazio ai primi ruzzolanti voli. Ci si sentiva liberi, aquile sprezzanti ed orgogliose… quando si era soltanto pulcini mai lontani dallo sguardo che custodisce con amore infinito.
Lo ricordo bene, quel tempo. A Sorrento l’aria si tingeva di profumi squillanti. Mentre il mare, con i suoi primi sussulti, si scagliava su spiagge e scogliere lasciando ovunque pulviscoli di spuma salmastra, ben percepiti dalle narici dei pescatori. Nell’entroterra, l’odore aspro di vinaccia raccontava invece la storia millenaria del succo dei filari scoscesi, di un novello presto in arrivo, festeggiato con brindisi ed amori ridenti.
Le terre scoscese sul mare, poi, si coloravano dei teli distesi sotto agli ulivi affinchè nessun frutto prezioso, in terra abbandonato, potesse rovinarsi. Tutto sembrava dipinto con colori orchestrati per donare stupore, catturare lo sguardo per trattenerlo sull’armonico danzare dei verdi argentei del denso fogliame, dei rossi e dei neri degli umani tendaggi, e dell’azzurro squillante del cielo e del mare, biancheggiati entrambi da nuvole e spume!
Ricordo… ricordo lo strapiombo della Torre di Minerva, talmente proteso sul mare che il suo silenzio poteva essere rotto solo dalle morbide eco di vite lontane. Un grido d’uccello, la voce d’un navigante, si percepiva a chilometri come fossero giusto dietro di te. Era un incanto, una magia che ti avvolgeva annodandoti i sensi, mentre il suono diventava colore, il profumo canzone, il leggero sfiorare del vento, sapore… Eri solo… ma sentivi tutti i pensieri del mondo, tutte le anime dell’universo e affogavi nel turbine della meraviglia incantandoti man mano di più.
La sera, poi, quando la luce scendeva più in fretta, le luci inondavano il borgo dei pescatori, tessendo un reticolo fitto di quello che sarebbe diventato a breve Presepe, nascita di un Dio d’amore che sa solo donare bellezza.
In quelle stradine, ricordo il brusio dei passanti, ancora tantissimi e ben decisi a godersi ogni piacere possibile, e i millecolori delle merci degli artigiani, ben esposte al di fuori delle rispettive botteghe. Rispetto all’estate, si percepiva una nuova e sopravveniente lentezza, un desiderio di assaporare, e non divorare. Anche i passi si facevano più lunghi, come più meditati, e si contavano i selci sporgenti e gli inciampi quasi fossero analoghi a quelli di ogni nostra vita.
Si, quell’autunno era la vita, ora che sono io stesso diventato autunno. Era tutto ciò che durante l’estate esonda e si perde, tutto quello che l’ansia del divorare non consente di assaporare. Era la gioia di tornare, dopo essere andati, sapendo di ritrovare. Che fortuna che era!!!
Ho sempre amato, l’autunno.
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Sono antichi appuntamenti,
quelli delle anime affini
che esistono fuori dal tempo
e dalle distanze,
che sanno aspettarsi
e prendersi reciprocamente cura.
Che navigano da sempre
fuori dal tempo e dallo spazio,
in una dimensione a noi vicina
ma inaccessibile.
Le anime affini
non smettono mai di gioire
per gli improvvisi e fugaci ritorni nel mondo,
l’eterno incontrarsi, abbracciarsi,
prendersi reciprocamente cura,
ricordarsi istanti di lontane vite
vissute insieme.
E poi tornare con gioia,
a immergersi nella luce,
respirando il reciproco
profumo dell’anima.
Agostino Degas
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Sono strana, lo so.Me lo dicono in tanti, da tanto tempo.Forse è vero. E va bene così.Tengo lontane le illusioni, ascolto il mio sesto senso prima delle parole,osservo i comportamenti, esploro tra le righe.So amare senza confessarlo e so andarmene senza fare rumore.Chiudo porte per sempre senza odiare.Lascio spiragli per chi vuol sedersi accanto a me ad ascoltare il mare senza aver timore del vento e della sabbia negli occhi.Non mi soffermo in vite nelle quali non riconosco i miei stessi orizzonti, ma le rispetto fino al regalo di una carezza.Ormai essere strana mi piace: in fondo, significa non essere come le persone che non vorrò mai diventare.
So che posso essere mare.
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~ E poi arriva quel giorno e quella dannata ora in cui ci si deve salutare, e lo si fa con il nodo in gola, dentro un forte abbraccio e con gli occhi piene di lacrime che non fai scendere… Ti resta a dosso il profumo, resti sveglia ad aspettare di ricevere quel messaggio che dice di essere già sulla nave che ti riporta a casa. Ti fumi quante più sigarette che puoi e durante l’attesa, all’improvviso ricevi: “Grazie ❤️”~ 💎
#partenza#emozioni#momenti speciali#insieme#ci sarò sempre#connessioni#fratello e sorella#life#vite lontane#scrittori#commozione#nodo in gola#abbraccio#buon viaggio#buon ritorno a casa
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Vivoamo in un mondo in cui siamo al tempo stesso troppo vicini e troppo lontani gli uni dagli altri.
Siamo troppo vicini perché le forze della globalizzazione, della guerra, della spartizione e dei media producono quegli “effetti-farfalla” grazie ai quali ritroviamo ogni giorno, davanti agli occhi e davanti alla porta di casa, anche le cose più lontane.
Per esempio, riceviamo notizie di guerre in Paesi stranieri, di attentati suicidi in luoghi remoti; da regioni lontane del pianeta ci giungono immagini di sofferenze e di emergenze e, con minor frequenza, di speranze e di conquiste realizzate.
Siamo troppo vicini anche perché spesso, a causa delle migrazioni per motivi di lavoro, dello sradicamento, del traffico di esseri umani e di un turismo disinvolto, quelli che un tempo per noi erano forestieri oggi abitano alla porta accanto.
Siamo troppo vicini, infine, perché con l’espansione delle nostre città viviamo gomito a gomito con lingue, abiti, cibi e stili corporei stranieri: la geografia della nostra vita quotidiana si è trasformata.
Al tempo stesso, tuttavia, siamo troppo lontani gli uni dagli altri, perché in gran parte delle regioni urbane, delle regioni di confine e dei luoghi di passaggio del mondo odierno abbiamo perso il senso della familiarità sociale.
Diamo cioè per scontata la presenza di “altri” fra noi, ma non siamo abbastanza curiosi, non vogliamo sapere chi sono e perché sono finiti a vivere così vicino.
Ascoltiamo troppe storie di rifugiati, migranti e viaggiatori involontari per aver voglia di guardare a fondo nelle loro vite e di porre domande.
Arjun Appadurai
Così Vicini, Eppure Così Lontani
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That's what it's all about
Dovremmo parlare di corsa e invece parliamo di regole di mercato, di influencer, di brand. Parliamo di regolamenti, di organizzazioni, di federazioni, di squadre, di gare, di risultati, di allenamento, di atleti, di fotografi, di prezzi e non parliamo mai delle persone. La comunità acquista un senso soltanto come bussola per leggere le tendenze di mercato, e per capire cosa funziona, cosa non funziona, cosa funzionerà domani. Parliamo di queste cose e non facciamo realmente niente di significativo e per cui valga la pena vivere. Misuriamo il valore di una persona per le ore che passa dietro a una scrivania e per gli assegni che stacca e non per il reale impatto emotivo che ha sugli altri. Quando parlo di aprire una cooperativa e di prendere uno stipendio di 1000 euro al mese o anche meno, la gente mi guarda come se vivessi tra le nuvole, perché con 900 euro al mese non si sopravvive: non ci sopravviveranno loro, dimenticandosi di tutti quelli che campano con molto meno facendo lavori massacranti e usuranti. Non è vita? Non è vita arrivare a fine mese con 3000 euro in tasca se il modo in cui lo fai è svilente, farlocco o semplicemente mediocre e privo di slancio vitale. Lavorano tutti tantissimo ma non combinano nulla, nulla che valga davvero la pena ricordare anche solo per un paio d'ore. Parlano, e parlano solo di parole cioè di cazzate. Gordon Ainsleigh non è diventato ricco per aver inventato Western States, Gary Cantrell non ha guadagnato qualcosa per avere inventato Barkley: tutti ne parlano e ci scrivono libri e ci girano film e ci guadagnano, ma non loro che le hanno create. E non le hanno create per business, ma perché avevano voglia di farlo e basta. Paco ha guadagnato qualcosa per aver creato una comunità in cui delle persone hanno creduto e per cui hanno vissuto? No, e ci è morto. Quelli là fuori non moriranno mai per qualcosa di significativo, moriranno e basta lasciandosi alle spalle qualche fattura in un cassetto fiscale. Guardo questa foto del Tarlo scattata dalla Eli: Andrea è una persona che non potrò mai capire del tutto perché dovrei aver vissuto le vite che ha vissuto lui, e sono vite molto lontane dal mio ideale e hanno avuto un impatto fortissimo sui suoi rapporti interpersonali e sulla sua capacità di comprendere il sistema che regola i rapporti sociali; ma lo rispetto, perché quello che fa è difficile. Pur non avendo apparenti responsabilità, pur non avendo apparenti impegni, pur non dovendo apparentemente affrontare le ansie e le preoccupazioni della quotidianità delle persone, vivere come fa lui è dannatamente duro. In questi giorni sentivo parlare di contratti da 60-70 mila euro l'anno come fossero noccioline: non lo sono, sono un sacco di soldi per non fare nulla, mettetevelo in testa. Guadagnare certe cifre è fin troppo facile, fin troppo mediocre, e con un minimo di impegno potrebbe farlo chiunque. È pieno di aziende che guadagnano milioni facendo cose mediocri, non è tanto difficile. Ma non è nemmeno importante, anzi non conta davvero niente. Andrea mi ricorda questo, mi ricorda che non è importante, che molto poco è davvero importante. Correre 100 miglia serve a ridimensionarsi, a capire che tutte queste cose non ti servono granché quando hai corso 100 chilometri e hai ancora un'intera notte davanti. Le uniche cose che contano sono un'aquila che vola, il cielo che brucia sopra alle montagne, l'azzurro di un lago, una canzone, una frase a metà, corta, smorzata. Questo genere di cose. Il resto è davvero poca cosa.
I climbed cathedral mountains, I saw silver clouds below, I saw everything as far as you can see. And they say that I got crazy once and I tried to touch the sun. And I lost a friend but kept the memory. John Denver, Rocky Mountain High
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Tu forse adesso non lo ricordi, ma in così tante vite passate nelle più dense e pesanti dimensioni terrene, sei stata perseguitata, giudicata, umiliata, emarginata, torturata e uccisa per aver mostrato al mondo ciò che eri. Per aver scelto di esprimere te stessa e i tuoi tanti talenti. Pertanto questa maschera da masochista che hai scelto di indossare in questa vita, questo bisogno di mimetizzarti, di avere sempre conferme nei tuoi passi, questa necessità di nascondere al mondo e a te stessa la tua vera natura e le tue vere emozioni, è comprensibile. Ti ha consentito di sopravvivere, Ti ha consentito di muoverti nella vita senza esporti, senza rischiare ancora una volta così gravi e ingiuste punizioni. Ma questo era necessario prima, quando ancora credevi a questa recita, a questo film, a questo gioco al quale hai deciso di partecipare. E credevi che fosse reale, credevi che ciò che ti succedeva accadesse veramente, che avesse potere su di te. E nonostante il magnifico percorso che hai fatto fino ad oggi, per disidentificarti dall’ipnosi umana e renderti libera, quelle lontane paure, quelle inconsce memorie che parlano di torture, umiliazione e morte, sono così spaventose da non volerle sfidare, da non volerle guardare. Ma amata anima, nemmeno quelle storie erano reali. Eri sempre tu. Tu le avevi scelte, tu avevi scelto quali parti dare agli attori che ti hanno accompagnata, quali ruoli e quali battute dare a tutti coloro che tanto duramente e ingiustamente ti hanno trattata. Non è mai esistito nessuno fuori di te che veramente pensasse che non andavi bene, che veramente ti abbia giudicata sbagliata, o cattiva, o inadeguata. Nessuno ti ha mai veramente punita con così gravi e pesanti persecuzioni. Nessuno. Oggi, anche questa recita è giunta alla fine. Anche questo nodo è pronto per essere rilasciato. Georgia Briata by SYLVIAsArt ********************* You may not remember it now, but in so many past lives in the densest and heaviest earthly dimensions, you have been persecuted, judged, humiliated, marginalized, tortured and killed for showing the world what you were. For choosing to express yourself and your many talents. Therefore this masochistic mask that you have chosen to wear in this life, this need to blend in, to always have confirmations in your steps, this need to hide your true nature and your true emotions from the world and from yourself, is understandable. It allowed you to survive, It allowed you to move through life without exposing yourself, without once again risking such serious and unjust punishments. But this was necessary before, when you still believed in this play, this film, this game you decided to play. And you believed it was real, you believed that what happened to you really happened, that it had power over you. And despite the magnificent journey you have made up to now, to disidentify yourself from human hypnosis and set yourself free, those distant fears, those unconscious memories that speak of torture, humiliation and death, are so frightening that you don't want to challenge them, that you don't want to look at them. . But dear soul, those stories weren't real either. It was always you. You had chosen them, you had chosen which parts to give to the actors who accompanied you, which roles and which jokes to give to all those who treated you so harshly and unjustly. There has never been anyone outside of you who really thought you weren't right, who really judged you wrong, or bad, or inadequate. No one has ever really punished you with such severe and heavy persecutions. Nobody. Today, this play too has come to an end. This node is also ready to be released. Georgia Briata by SYLVIAsArt
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Il solo amore, è quello impossibile.
Breve sunto di una lezione scolastica
Classe: 12-14 anni
' Il solo vero grande amore, è quello impossibile.'
Mormorio e risatine...
'Prof , spieghi? Le nostre storie non valgono nulla?
' Al contrario. Le vostre storie d'amore, oggi ( e qua di coppie ne vedo tante) sono tali perchè portano dentro il resto di qualcosa di non realizzato, inappagato. Se così non fosse, vi sareste già mollati'
Meta classe si mette piu in attenti e segue, l'altra invece accende i telefoni..'
Si va avanti
'l'amore assoluto, vero, è quello impossibile. E proprio perchè è tale, permette di avere relazioni diciamo 'normali'
' Non capisco' ( ragazza molto sveglia, e sul pezzo)
'L'amore è per caso, e unisce ed interseca vite che si sfiorano, apparetemente inconciliabili. Essi si innamorano, e si agganciano per sempre, ma non stanno assieme'
'Perchè?
Proprio perchè appartengono a mondi oppostiti, per certi versi incompatibili. L'amore lascia qualcosa di aperto, di erotizzato si dice in termini clinici.
Una tensione amorosa legata all'oggetto perduto, che fa in modo tal da rendere quel varco mai aperto, mai chiuso, ma sempre erotizzato
' In senso sessuale??
'No . il sesso non c'entra. Tu puoi fare sesso anche con un ebete, se fisicamante attraente. ( risate fragorose...)
Ma dopo, lui non sarà mai in grado di saziare quel desiderio innescato dal primo incontro, magari andato in fumo'
' Comincio a capire'
' Ok. Allora , dunque. Proprio perchè e' impossibile resterà il Grande Amore, . Perchè non consumato, non toccato, Non immerso nella quotidianità, non usurato dal tempo e dal decadimento del corpo L'altro è sempre quello che avete incontrato, ma non avete potuto avere.'
'Sapete secondo Lacan, quale è la lettera d'amore piu' importante? Quella non spedita. Trattenuta da voi, non in taccata.
Vi faccio un esempio
C'è un film, chiamato i ponti di Madison County che forse voi no, ma il vostro pro qua alle mie spalle ha di certo visto ( prof ingnavo colto di sorpresa mentre scrive al telefono, risate dei ragazzi)
Ecco, chiedete in casa di vederlo, lo trovate su molte piattaforme
Racconta un amore, un amore impossibile.
Che dura solo pochi giorni.
Ma eterno
cito:
Il film è ambientato nello stato dello Iowa. Attraverso i tre diari personali di Francesca Johnson (Meryl Streep), lasciati in eredità ai suoi due figli, avviene il racconto dell’estate 1965. Mentre marito e figli sono in viaggio, Francesca, casalinga, vive una fugace ma intensa storia d’amore con il fotografo Robert Kincaid (Clint Eastwood).
Giunto per fare un reportage fotografico dei sei ponti coperti di Madison County, Robert entra come un uragano nella vita di Francesca, fino a farla innamorare. Lei, però, vive la lotta interiore tra la morale famigliare e la nuova passione sopraggiunta, fino al momento in cui compie una scelta dolorosa.
Nelle pagine del diario, Francesca, nome quanto mai simbolico per la tradizione letteraria, racconta le sue scelte. Non cerca giudizio favorevole, non argomenta con ragioni e motivazioni. Lascia solo dispiegare gli eventi che, nella loro forza poetica, creano ponti empatici. I ponti di Madison County sono ponti reali che collegano i due amanti, ad inizio film, e sono ponti immaginari, che collegano due anime lontane.
L’Iowa, con i suoi spazi sterminati, diventa foglio bianco per scrivere dell’amore tra due individui soli e diversi. Un luogo dove, per pochi giorni, reale e immaginario collassano in corpi avvinghiati, sorrisi e abbracci. Capelli al vento, picnic, bagni caldi e luci soffuse. Canzoni blues, balli e cene come Dio comanda.
Il principio di realtà poi ritorna prepotente, e come lama squarcia i fogli ora pieni di parole. Ma l’immaginazione e il ricordo restano intatti come un diamante, eterno. Prendono spazio e forma non più nel caldo Iowa, ma nella mente dei protagonisti, dove il tempo, così rapido nell’estate 1965, diventa invariato, fisso.
' Avete capito, adesso?
Un amore fugace, impossibile, e per questo eterno'
'Prof, io non credo di aver capito molto, ma qualcosa si.
Quello che so, è che oggi mollo il mio ragazzo..'
Risate generali che durano mezz'ora.
E mi fanno capire, se mai ce ne fosse bisogno che due ore passate qua, con questi studenti che mi hanno pure preso per i fondelli, valgono mille congressi in giro per il mondo.
Maurizio Montanari
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Momento romantico
Da quando ci siamo sentiti ho questa cosa bella vicino al cuore quando ti penso. Risentire la tua voce il tono e avvertire il profumo del tuo sigaro e il vento che dispettoso ci disturbava mi ha lasciato una bella sensazione e la consapevolezza che è rinata un'amicizia bellissima ancora più di prima. E, non fraintendermi
Posso dire con certezza che io ti amo sempre anche in questo modo nuovo . Pur sapendo che le nostre vite sono così vicine ma lontane come quel sottile filo che non si spezzerà mai
❤️
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"Personalmente credo che la regola da adottare verso circenses lobotomici come il cosiddetto “festival della canzone italiana” sia tacerne. Anche parlarne male, nel meccanismo mediatico odierno, significa farlo diventare qualcosa di significativo.
Ma posto che il fuoco di artiglieria su questa grande operazione di distrazione e indottrinamento è comunque massivo, forse ci possiamo permettere una considerazione di cornice, che non nobiliti nessuno dei penosi dettagli della kermesse citandoli.
La prima osservazione da fare riguarda un meccanismo mentale, invalso a partire dagli anni ’80 con l’ingresso nelle vite degli italiani della televisione commerciale. Chiamiamolo l’argomento del “populismo delle élite”. Questo argomento scatta in presenza di critiche e contumelie espresse verso questi circenses, denunciandole come manifestazioni di elitarismo, lontane dal sentire del popolo.
È da quando ho memoria che sento usare questo argomento a molla, per cui se auspichi che qualcuno legga un classico della letteratura piuttosto che la finta autobiografia di un calciatore di successo, che ascolti buona musica invece di spazzatura commerciale, che apprezzi la differenza tra cinematografia di qualità (o, dio non voglia, buon teatro di prosa) rispetto all’ultimo video autopromozionale dell’influencer di turno, se fai questo gesto ti vedi rinfacciare di essere elitista, di non essere in sintonia con il gusto popolare, ecc.
Ed è così che, anno dopo anno, iterazione dopo iterazione di questa scemenza, si è arrivati al fondo del barile, iniziando gaiamente a scavare. Per rendere l’idea, nel mio anno di nascita (1967) il film per ragazzi campione di incassi era “Il libro della giungla” (Disney), oggi è “Me contro Te”.
Il problema dell’argomento del “populismo delle élite” è che è una falsità esiziale che si nutre di un fraintendimento.
Il fraintendimento è che si fa credere che tenere alti i criteri di qualità significhi prediligere dei generi “alti” rispetto ad altri generi. Ma questo è un modo di calciare la palla in tribuna. Non ha senso contrapporre, chessoio, la musica classica al rock, il teatro al cinema, la letteratura entrata nelle antologie a quella contemporanea, ecc. È del tutto ovvio che si trova alta e bassa qualità trasversalmente ad ogni genere, (oddio, per la Trap rimane un’ipotesi da dimostrare, ma diciamo in generale.)
C’è della “musica seria” contemporanea che è solo boriosa trasposizione in pubblico di un’officina di sperimentazione autoreferenziale che ha bisogno dei sottotitoli per significare alcunché, e c’è musica pop che ha prodotto capolavori.
La falsità (e nocività) in questo argomento sta nel fatto che il “gusto popolare” non è una realtà fissa e intrinsecamente scadente. La letteratura popolare ha creato miti profondi e leggende eterne, la musica popolare ha prodotto danze, canti e cori straordinari, una miniera tutt’oggi saccheggiata per estrarre cellule armoniche, melodiche e ritmiche. Il gusto popolare non è una realtà stabile: cresce o decresce, matura o degenera. E la prima forma per qualificare, educare, far maturare le qualità cognitive e la sensibilità pubblica è esporre le persone ad opere di qualità. (Ed ora, per piacere, risparmiatemi gli zebedei dai colpi di “e-chi-lo-dice-che-quella-è-qualità-è-qualità-per-te-non-per-me-il mio-idolo-è-bombolo”).
La scelta di cercare e proporre il livello più basso possibile ponendolo come “naturalmente popolare” è una scelta specifica, una scelta di politica culturale che produce una sistematica degenerazione delle anime. L’abbrutimento del mondo è in effetti la prima condizione per far accettare alla gente tutto il resto: l���arte e la letteratura di qualità consentono alle persone di esplorare modi di sentire e di vedere più perspicui, di percepire la possibilità di forme di vita superiori. Ma guai a lasciar vedere agli schiavi che lavorano nelle viscere della terra la luce del sole, perché potrebbero non voler più rientrare nel fango e nelle tenebre.
La cosiddetta “cultura popolare” odierna non è affatto popolare, non ha niente di spontaneo e non ha nulla a che vedere con una produzione “dal basso”. Si tratta di produzione industriale seriale, fatta cadere dall’alto da multinazionali dell’intrattenimento, che simultaneamente costruiscono personaggetti spendibili nelle proprie “pubblicità progresso”, personaggi su cui gli schiavi possono proiettarsi e trovare conferma che sono “nel posto giusto” e, soprattutto, che “non vi sono alternative”.
Le linee direttive di fondo che guidano l’intrattenimento per il bestiame di riferimento sono tre: bisogna comunicare che “è tutto a posto così com’è”, bisogna garantire che “ci stiamo già prendendo cura dei più alti ideali”, e bisogna far balenare l’idea che “c’è spazio per la spontaneità e per la massima libertà”.
Per fare qualche esempio con riferimenti puramente casuali a cose e persone. Monologhi piacioni da parte di qualche giullare di regime che spiegano la bellezza di una costituzione che viene straziata tre volte al dì nelle forme più spudorate servono a comunicare l’idea che “è tutto a posto” e che “abbiamo a cuore i più alti ideali”. In un paese che ha massacrato senza ritegno il diritto al lavoro, il diritto alla salute, la libertà di insegnamento, la libertà di parola, la libertà di stampa, la libertà terapeutica e che chiama le guerre cui partecipa incostituzionalmente da decenni “azioni di pace”, è necessario che qualcuno metta in campo di quando in quando una sviolinata falsa come Giuda sulla “Costituzione più bella del mondo”.
Similmente il florilegio di libertà in scatola, di trasgressioncelle a cottimo in cui si esibiscono “artisti” fatti a macchina è il modo in cui si rassicura il gregge intorno all’esistenza di spazi di spontaneità e di tolleranza. C’è quello che per l’ennesima volta, stancamente, spacca una chitarra, quello che si presenta in reggicalze, quella che recita in finto nudo, ecc. ecc. infinite spossate ripetizioni di simulacri di libertà, conformismo dell’anticonformismo.
L’intrattenimento è da almeno mezzo secolo - lo notava già Günther Anders – la forma primaria di indottrinamento e conformazione. Da tempo si sa che l’indottrinamento attraverso l’asserzione diretta produce resistenza. Invece l’intrattenimento produce i suoi effetti scivolando negli interstizi dell’attenzione, nella forma dell’implicito, dello sfondo, del collaterale.
L’odierno intrattenimento è un’operazione non semplicemente di rincoglionimento (è anche questo naturalmente), ma soprattutto è un’operazione sistematica di castrazione mentale. L’intero spettro dei luoghi dove si può e si deve “lottare” viene spostato in aree protette, innocue per chi detiene il potere, dove la plebe dedica gli ultimi ritagli di mente, tra una corvè e l’altra, alla rivendicazione di diritti sott’olio e libertà sponsorizzate."
Andrea Zhok
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Sono antichi appuntamenti,
quelli delle anime affini
che esistono fuori dal tempo
e dalle distanze,
che sanno aspettarsi
e prendersi reciprocamente cura.
Che navigano da sempre
fuori dal tempo e dallo spazio,
in una dimensione a noi vicina
ma inaccessibile.
Le anime affini
non smettono mai di gioire
per gli improvvisi e fugaci ritorni nel mondo,
l’eterno incontrarsi, abbracciarsi,
prendersi reciprocamente cura,
ricordarsi istanti di lontane vite
vissute insieme.
E poi tornare con gioia,
a immergersi nella luce,
respirando il reciproco
profumo dell’anima.
Agostino Degas
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