#vita sull'isola
Explore tagged Tumblr posts
lovesickdeadsims · 1 year ago
Text
Tumblr media Tumblr media
The Pancakes holiday is coming to an end. They spent three full days just relaxing, playing in the water and making sandcastles. Bob is melancholic as always, tho'.
2 notes · View notes
angelap3 · 4 months ago
Text
Tumblr media
Qualcuno ha pubblicato questa foto qualche giorno fa. Molti hanno voluto sapere la storia dietro la statua, quindi eccola qui...
Kópakonan: Una statua della Donna Foca si trova a Mikladagur, sull'isola di Kalsoy. È realizzata in bronzo e acciaio inossidabile, progettata per resistere a onde alte fino a 13 metri. All'inizio del 2015, un'onda di 11,5 metri si abbatté sulla statua, ma rimase ferma e non subì danni (vedi i commenti per le foto di questo evento).
La leggenda di Kópakonan (la Donna Foca) è una delle fiabe più conosciute nelle Isole Faroe. Si credeva che le foche fossero esseri umani che avevano scelto volontariamente di morire nell'oceano. Una volta all'anno, la tredicesima notte, erano autorizzate a tornare sulla terra, togliersi la pelle e divertirsi come esseri umani, ballando e godendosi la vita.
Un giovane contadino del villaggio di Mikladalur, sull'isola settentrionale di Kalsoy, curioso di sapere se questa storia fosse vera, si appostò sulla spiaggia una sera della tredicesima notte. Vide le foche arrivare in gran numero, nuotando verso la riva. Si arrampicarono sulla spiaggia, si tolsero la pelle e la posizionarono accuratamente sulle rocce. Senza la pelle, apparivano come normali esseri umani. Il giovane osservò una bella ragazza foca posare la sua pelle vicino al punto in cui era nascosto, e quando iniziò la danza, si avvicinò di nascosto e la rubò.
I balli e i giochi durarono tutta la notte, ma non appena il sole iniziò a spuntare all'orizzonte, tutte le foche si precipitarono a riprendere le loro pelli per tornare in mare. La ragazza foca era molto sconvolta quando non riuscì a trovare la sua pelle, anche se il suo odore era ancora nell'aria. Poi l'uomo di Mikladalur apparve tenendola in mano, ma non gliela restituì, nonostante le sue suppliche disperate, così fu costretta ad accompagnarlo alla sua fattoria.
L'uomo la tenne con sé per molti anni come sua moglie, e lei gli diede diversi figli; ma lui doveva sempre assicurarsi che lei non avesse accesso alla sua pelle. La teneva chiusa in un forziere di cui solo lui aveva la chiave, una chiave che portava sempre con sé, appesa a una catena alla cintura.
Un giorno, mentre era in mare a pescare con i suoi compagni, si rese conto di aver lasciato la chiave a casa. Annunciò ai compagni: "Oggi perderò mia moglie!" – e spiegò cosa era successo. Gli uomini ritirarono le reti e le lenze e remavano verso la riva il più velocemente possibile, ma quando arrivarono alla fattoria, trovarono i bambini tutti soli e la madre scomparsa. Il padre sapeva che non sarebbe tornata, poiché aveva spento il fuoco e messo via tutti i coltelli, in modo che i piccoli non si facessero male dopo la sua partenza.
Infatti, una volta raggiunta la riva, la donna aveva indossato la sua pelle di foca e si era tuffata in acqua, dove un grosso foca maschio, che l'aveva amata per tutti quegli anni e che la stava ancora aspettando, le si avvicinò. Quando i suoi figli, quelli avuti con l'uomo di Mikladalur, più tardi scesero in spiaggia, una foca emergeva dall'acqua e guardava verso la terra; la gente naturalmente credeva che fosse la loro madre. E così passarono gli anni.
Un giorno, gli uomini di Mikladalur pianificarono di andare a caccia di foche in una delle grotte lungo la costa. La notte prima della caccia, la moglie foca apparve in sogno al marito e gli disse che se fosse andato nella grotta a caccia di foche, avrebbe dovuto fare attenzione a non uccidere il grande foca maschio che avrebbe trovato all'ingresso, perché quello era suo marito. Non avrebbe dovuto neppure ferire i due piccoli cuccioli di foca nel fondo della grotta, perché erano i suoi due giovani figli, e gli descrisse le loro pelli in modo che li potesse riconoscere. Ma il contadino non prestò attenzione al messaggio del sogno. Si unì agli altri nella caccia e uccisero tutte le foche che trovarono. Quando tornarono a casa, il bottino fu diviso e il contadino ricevette come sua parte il grande foca maschio e le zampe anteriori e posteriori dei due cuccioli.
La sera, quando la testa del grande foca e le membra dei piccoli furono cucinate per cena, ci fu un grande boato nella stanza del fumo, e la donna foca apparve sotto forma di un terribile troll; annusò il cibo nelle ciotole e lanciò la maledizione: "Qui giace la testa di mio marito con le sue larghe narici, la mano di Hárek e il piede di Fredrik! Ora ci sarà vendetta, vendetta sugli uomini di Mikladalur, e alcuni moriranno in mare e altri cadranno dalle cime delle montagne, finché non ci saranno abbastanza morti da poter unire le mani tutto intorno all'isola di Kalsoy!"
Pronunciate queste parole, scomparve con un grande boato di tuono e non fu mai più vista. Ma ancora oggi, purtroppo, accade di tanto in tanto che gli uomini del villaggio di Mikladalur annegano in mare o cadono dalle scogliere; si teme quindi che il numero delle vittime non sia ancora sufficiente affinché tutti i morti possano unire le mani intorno all'intero perimetro dell'isola di Kalsoy.
39 notes · View notes
ilblogdellestorie · 11 months ago
Text
Tumblr media
Se ne è andato con la velocità di una folgore, con la velocità con cui annichiliva gli avversari. Il calcio italiano dice addio a Gigi Riva, l'eroe eponimo più autorevole del suo pantheon: lo chiamavano Rombo di Tuono, metteva l'onore sopra ogni cosa. E per raccontarlo davvero ci vorrebbero la poesia del suo amico De Andrè e l'inventiva del suo cantore Gianni Brera. Perchè se c'è stato in Italia un calciatore che pur essendo mito è riuscito a restare un uomo, quello è stato Giggirriva, come lo chiamavano i suoi 'corregionalì sardi. Che lo hanno venerato da quando, nel 1963, arrivò sull'Isola: doveva rimanere al massimo un paio di stagioni, per sfruttarla quale trampolino di lancio, e invece non se n'è più andato, fino all'ultimo giorno della sua vita, oggi. «Perchè qui - spiegò a chi gli chiedeva il motivo di una scelta controcorrente - io che in pratica non avevo famiglia, ne ho trovate tante».
56 notes · View notes
figlidiroma · 4 months ago
Text
Tumblr media
Conte Giuseppe Primoli 1890, neve sullo sterrato della zona dove sarebbe sorto il Tempio Maggiore di Roma (1904) e la zona dei cosiddetti "quattro villini" tra piazza delle Cinque Scole, via del Portico d'Ottavia, Lungotevere Cenci.
Sotto questa terra smossa su cui bruca il cavallo dovevano stendersi resti di magazzini romani, della zona indicata nella Forma Urbis Severiana come Navalia e, forse, del Tempio di Castore e Polluce, collocato sotto l'area di Monte Cenci dove furono rinvenute, tra Quattro e Cinquecento, le statue dei Dioscuri, già allora traslate al Campidoglio.
In lontananza nella foto, il campanile di San Giovanni Calibita sull'isola Tiberina e, di fronte, la Torre della Pulzella.
Risalente al 1200, essa era parte delle torri medievali di Roma, legate a famiglie della nobilità e del ceto mercantile cittadino di cui erano insieme strumento e concreta traccia sul territorio.
Questa torre, collocata sull'isola, guado fluviale tanto essenziale alla vita cittadina da aver facilitato e forse cagionato la nascita dei primi insiediamenti destinati ad evolversi nella Roma romulea, apparteneva alla famiglia dei Pierleoni.
Probabilmente ebrei e opportunamente convertiti per poter sfruttare al meglio le proprie ricchezze in una Roma medievale pur non ancora dotata di Ghetto, e forse meno ostile alla Comunità di quanto non si sarebbe più tardi dimostrata, i Pierleoni controllavano anche il tratto alla base del Campidoglio.
L'edificio medievale presso il vico Jugario è a loro intitolato, e anche loro era la torre che si nota a destra, addossata al corpo della Basilica di San Nicola in Carcere, riusata come torre campanariae contenente un'antica campana di fine Duecento, commissionata dai Savelli.
Ma, soprattutto, oltre a case medievali al vicino Velabro, ai Pierleoni apparteneva il forte costruito sulle rovine del Teatro di Marcello, e di cui ancora si vede l'affollarsi di strutture alte e strette su via del Foro Olitorio.
Passato ai Savelli e, tramite loro, agli Orsini, quel forte oggi lo conosciamo come palazzo Savelli Orsini, opera di Baldassarre Peruzzi, la malinconica e splendida residenza costruita nella cavea del Teatro.
Tumblr media Tumblr media
La torre della Pulzella, dall'enigmatica testolina che vi appare inquadrata da una finestrella cieca e che guarda intenta dalla parte del Portico d'Ottavia, passò come tutto il resto dei Pierleoni nelle mani dei Savelli, incastellati così tra l'isola e l'omonimo Monte, e i cui domini si estendevano già verso Campo de' Fiori e all'Aventino, come attestato dagli odonimi vicolo de' Savelli e Clivo di Rocca Sabella.
La pulzella, comunque, è una testa romana, ma la leggenda popolare la vuole l'impietrirsi di una bella giovane aristocratica che, murata per vincere la sua resistenza a un matrimonio di convenienza, morì lassù spiando all'orizzonte il ritorno del suo vero amore dalla guerra.
Fonti: studi di F. Coarelli e P. L. Tucci sulla topografia del Circo Flaminio e dell'area dei Calderari.
A. Carandini, Roma. Il primo giorno, Laterza 2007.
8 notes · View notes
donaruz · 3 months ago
Text
Lucio Corsi - Cosa faremo da grandi?
youtube
C'è un mistero in ogni giorno che comincia
Dopo una notte che finisce
Io non ho mai capito
Di che cosa sono fatte le conchiglie
E come fanno ad arrivare
Lungo le spiagge affollate
Se dal cielo non scendono scale
Se dal mare non arrivano strade
Probabilmente sono state fatte a mano
Da un uomo sull'Isola d'Elba
C'ha lavorato una vita e poi
S'è stufato e le ha tirate per terra
Buttando nel vento il lavoro di anni
Perché nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi
Buttando nel vento il lavoro di anni
Perché nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi
C'è un mistero in ogni giorno che comincia
Dopo una notte che finisce
Io non ho mai capito
Chi ha colorato le conchiglie
E come fanno a viaggiare
Per queste grandi distanze
Se vado al porto lo chiedo alle barche
Che prendono il sole, ma restano bianche
Probabilmente le ha dipinte una donna
Sull'Isola del Giglio
Senza nemmeno festeggiare la fine
Ha deciso di tornare all'inizio
Buttando nel vento il lavoro di anni
Perché nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi
Buttando nel vento il lavoro di anni
Perché nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi
Batti il cinque e ripartono le mani trasparenti delle onde
Che ci lasciano conchiglie e si prendono le orme
Buttando nel vento il lavoro di anni
Perché nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi
Buttando nel vento il lavoro di anni
Perché nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi
2 notes · View notes
ilsoleesistepertutti · 2 years ago
Text
- Dove vai?
- A fare un tuffo in acqua.
- Tu? Ma se non sai nuotare...
- Infatti non ho alcuna intenzione di nuotare.
- E allora...
- Allora entro in acqua per restare a galla.
- Per restare a galla?
- Esatto, arriva sempre il momento in cui smetti di nuotare per restare a galla.
Resti a galla quando il mondo là fuori fa un gran casino e tu hai solo voglia di farti cullare dalla mano del niente, fingendo per un po' che quel niente sia la tua esclusiva realtà.
Resti a galla quando hai nuotato per troppo tempo nel mare della tristezza e la stanchezza prende il sopravvento perché sentirsi stanco è un diritto, una necessità, e mai una debolezza.
Resti a galla quando pensi che sia tutto finito ma a volte quella che crediamo una fine è solo un nuovo inizio.
Resti a galla mentre il sole tramonta ma sai che domani quello stesso sole sorgerà di nuovo.
- S�� ma spesso è più facile annegare che restare a galla.
- Vero, restare a galla non è facile, bisogna imparere a lasciar andare e a lasciarsi andare per poter tornare poi sani e salvi sull'isola della vita.
Tumblr media
34 notes · View notes
istanbulperitaliani · 11 months ago
Text
L'eroe dell'assedio di Costantinopoli del 1453
Tumblr media
Il condottiero genovese Giovanni Giustiniani Longo (1418-1453) fu uno dei principali comandanti cristiani che si mosse per la difesa di Costantinopoli contro l'esercito ottomano guidato dal sultano Mehmet II.
Giustiniani disponeva di una forza di circa 700 soldati, principalmente arcieri e fanti armati con balestre e armi da taglio. La loro presenza rafforzò significativamente le difese della città. Le abilità tattiche di Giustiniani e la disciplina dei suoi uomini furono evidenti durante l'assedio. Riuscirono a resistere all'assalto ottomano in diverse occasioni, infliggendo pesanti perdite all'esercito nemico e dimostrando grande coraggio e determinazione.
Tuttavia, nonostante gli sforzi eroici le soverchianti forze ottomane riuscirono a superare le mura della città il 29 maggio 1453. Durante l'ultima fase dell'assedio, Giustiniani fu gravemente ferito e costretto a ritirarsi dalle linee difensive, il che indebolì ulteriormente la resistenza dei difensori. Il condottiero morì qualche giorno dopo sull'isola di Chio. La sua figura rimane un simbolo di coraggio e resistenza nell'ambito di uno degli eventi più significativi del Medioevo.
Foto: Autoproduzione digitale in AI realizzata il 25/01/2024 by Istanbulperitaliani.
Istanbul per italiani é la tua guida turistica per Istanbul!
Organizziamo ESCURSIONI con GUIDE TURISTICHE UFFICIALI per chi vuole vivere e comprendere Istanbul. Percorsi speciali. Prezzi speciali. Adatti a tutti e con qualsiasi condizione meteo. Istanbul é una metropoli caotica e affollatissima ma é bellissima! Immergiti nella vita quotidiana di Istanbul e scoprila come non potresti mai fare da solo. Affidati a chi vive qui e conosce, respira e vive la metropoli sul Bosforo.
L’unica città al mondo che é su 2 continenti.
Realizziamo anche escursioni sul bellissimo lato asiatico di Istanbul! Ci sono tante cose da vedere!Ingressi ai musei senza file e senza problemi.Una esperienza diversa dal solito. Non per il turismo di massa e mercificato. Dal 2013 portiamo italiani in giro per Istanbul e li abbiamo resi felici.
Scopri la nostra offerta e scopri la differenza.
La mia Vita a Istanbul: consigli e informazioni turistiche. Disponibile come GUIDA per delle ESCURSIONI in città. Scrivi una e-mail a: istanbulperitaliani@gmail Seguici anche su www.facebook.com/istanbulperitaliani
4 notes · View notes
leggolibriovunque · 1 year ago
Text
L'isola di Arturo - Elsa Morante
Salve a tutti cari amici lettori, dopo una lettura intensa di questo meraviglioso romanzo, oggi voglio dirvi quelle che sono le mie personali impressioni.
Parto dal concetto che questo è un romanzo di una bellezza unica. La scrittura di essa, è molto descrittiva e al tempo stesso si presenta molto molto scorrevole lasciandosi leggere senza riscontrare alcun tipo di blocco e di noia da parte del lettore.
Leggendo questo romanzo, le mie considerazioni non possono essere che positive. Gia dalle prime pagine vediamo un Arturo Gerace protagonista assoluto di questo romanzo, innamorato di suo padre Willem che viene visto dal figlio come un'idolo, una leggenda, da voler imitare al più presto. Nella lettura ci scontriamo con la sofferenza di Arturo nato senza madre, e con un padre che e sempre fuori nei suoi lunghi viaggi. 
Arturo oltre all'amore incondizionato verso il padre, non riesce a staccarsi dal suo castello, nominato il castello dei Guaglioni, e dalla sua amata isola di Procida.
Durante la lettura, vediamo che entra a far parte nella vita del protagonista una nuova entità, quella della matrigna chiamata Nunziata. Nei primi momenti, Arturo la tratta con estrema indifferenza, ma poi pian piano scopre che egli si innamora di lei.
L' isola di Arturo, e un romanzo che mette in primo pianto tre punti fondamentali, che solo leggendo il libro il lettore riesce a percepire che sono: La libertà, l'amicizia, l'amore, la disperazione e il dolore.
- La libertà, la possiamo percepire nella vita che il protagonista conduce nella sua quotidianità sull'isola di Procida.
- L'amicizia, la possiamo percepire dai racconti del protagonista, dove i suoi unici amici, erano la sua fedele cagnolina " Immacolatella " e il suo fedele " Silvestro "
- L'amore, lo possiamo percepire nel modo in cui Arturo parla del padre Willem, e di tutte le difese che lui prende nei suoi confronti, quando essi viene insultato con nomignoli di disprezzo. 
- La disperazione e il dolore, li percepiamo quando il protagonista Arturo lascia la sua amata isola di Procida, e con esso, lascia alle sue spalle anche il dolce ricordo di suo padre.
Trama: L'isola di Arturo racconta le vicende di un ragazzo di nome Arturo, orfano di madre e molto attaccato al padre, il quale però si disinteressa di lui lungo tutto il corso della sua vita. Arturo vive in una triste solitudine senza famiglia né amici.
3 notes · View notes
thegretchenimages · 2 years ago
Note
Sei la persona che è stata ufficialmente designata per scrivere il "MESSAGGIO nella bottiglia", non quello classico del naufrago sull'isola deserta, bensì quello concepito dall'essere umano e diretto agli altri abitanti del sistema solare.
Devi spiegare cos'è la Terra e com'è l'uomo, ciò che veramente noi siamo, perché dovrebbero venire a trovarci o non piuttosto evitarci come la peste.
Un discorso fiume, o anche poche, significative parole. Come ritieni più opportuno. Grazie a nome del pianeta.
Sterminateci. Fateci fuori il prima possibile, non per forza indolore. Salvate i bambini che sorridono con dolcezza, gli anziani che ballano, le persone che hanno amore vero nelle loro vite, salvate i puri. Poi uccideteci tutti. La Terra no, lasciatela vivere, lasciatela respirare e riprendersi tutto. Così come gli animali. Lasciate che vivano.
Sedetevi a vedere un tramonto e aspettate l'alba su un prato, annusate l'erba impregnata di rugiada e respirate. Abbattete ogni struttura moderna creata dall'uomo trovate il modo di smaltirla. Lasciate solo le meraviglie antiche, le 7 meraviglie del mondo e le altre create dalla natura stessa.
Osservate ogni animale creato giocare con i propri cuccioli, sentite i loro versi. Il rumore che fa il vento tra gli alberi. Sentite ed odorate la pioggia, fatevela scorrere sul corpo. Buttatevi in mare e galleggiate.
Venite a trovarci perché ne vale la pena, venite sulla Terra perché è pura meraviglia ma venite soprattutto per distruggere noi e le nostre creazioni. Ridate vita alla Terra.
P.S. Se volete invece distruggerla così tipo gioco intergalattico, vi prego no. Ne avremmo anche abbastanza delle catastrofi e comunque se ci date tempo, qualche anno, ci sterminiamo da soli.
7 notes · View notes
turuin · 2 years ago
Note
Sei la persona che è stata ufficialmente designata per scrivere il "MESSAGGIO nella bottiglia", non quello classico del naufrago sull'isola deserta, bensì quello concepito dall'essere umano e diretto agli altri abitanti del sistema solare.
Devi spiegare cos'è la Terra e com'è l'uomo, ciò che veramente noi siamo, perché dovrebbero venire a trovarci o non piuttosto evitarci come la peste.
Un discorso fiume, o anche poche, significative parole. Come ritieni più opportuno. Grazie a nome del pianeta.
Cari abitanti del sistema solare, visto che condividiamo lo stesso sistema non ci dovrebbe essere un gran bisogno di spiegarvi cosa sia la Terra. Magari la chiamate in un altro modo, che so io: "evitare come la peste", "pianeta velenoso a causa dell'ossigeno", "fogna umana", oppure le avete dato il nome di una pretestuosa divinità venerata nei vostri tempi antichi, un po' come abbiamo fatto noi con Giove, Venere etc. A proposito: da quale di questi pianeti venite? Sono genuinamente curioso di sapere quali costrutti organici supportino la vita in ambienti così inospitali - ma, naturalmente, "inospitale" è solo un punto di vista squisitamente umano. Noi abbiamo questo vizio, vedete, di considerare tutto dal nostro punto di vista; ci manca del tutto la capacità di assumerne degli altri e, a volte, persino di riconoscere la legittimità della loro esistenza. Questo pianeta non ci ha "accolti": ci siamo sviluppati in esso, come diretta conseguenza delle forme di vita che lo hanno popolato. A un certo punto, per uno scherzo del destino o per una bizzarra ricombinazione di geni, abbiamo inziato a parlare e ad esprimerci, e da lì in poi è avvenuto il declino del pianeta. Si, perché noi siamo stati in effetti la sua condanna: abbiamo iniziato a lasciare vagare i nostri pensieri, dopo averli espressi, e abbiamo codificato dei concetti che, per loro stessa natura, sono astratti e sfuggenti come l'aria: giustizia, Dio, amore, libertà - ed i loro contrari. Abbiamo inventato la morale traendola letteralmente dal vuoto - naturalmente, una morale secondo il personale punto di vista delle classi dominanti. Anche il concetto di classe l'abbiamo fatto uscire come un coniglio dal cilindro (ma capirete, poi, tutte queste metafore? Sospetto che anche le metafore siano un vezzo del tutto umano). Insomma: siamo da buttare? No.
Non siamo da buttare, noi siamo necessari. Noi siamo un elemento di una storia che va avanti da molto prima di noi e che andrà avanti molto dopo di noi; il pianeta, in qualche modo, ci ha permesso di esistere per fare esattamente quello che stiamo facendo. Esaurito il nostro compito, ci estingueremo.
Qual è il nostro compito? Generare la prossima forma di vita che possa soppiantarci garantendo al pianeta di continuare ad esistere. E l'abbiamo già fatto: i semi sono già stati buttati.
Probabilmente non vi interessiamo abbastanza, se non come curiosità museale: siamo le piccole api operaie che stanno costruendo un alveare per la regina madre. Moriremo, al passare delle stagioni, e tutta questa arte, tutta questa musica, tutta questa patria, tutto questo amore non saranno serviti a niente. O forse, a tutto: saranno serviti a farci compiere il nostro destino: vivere qui, amare, costruire, distruggere, odiare, voler bene, allevare, sopprimere, cibarsi, cibare.
Il più grande degli inganni che il nostro linguaggio ci ha donato è l'illusione di essere liberi e di avere una scelta: a lungo termine, nulla di ciò che facciamo ha un senso o uno scopo.
Ma noi, che siamo dei furbetti, abbiamo inventato il breve termine, ed abbiamo risolto il problema. E per chi vuol disperarsi, ci siamo inventati anche un aldilà, che non esiste.
Non interferirete nel progetto del pianeta, di questo sono sicuro: lo avreste già fatto, altrimenti. Voi state aspettando la prossima forma di vita, con cui potrete comunicare - finalmente - in maniera logica, razionale, pulita.
Con noi, sarebbe solo un gran casino.
Scusatemi per il discorso poco accogliente. Mi faccio perdonare: ecco come ha immaginato vi sareste comportati uno di noi, uno che era un tipo veramente a posto e che sapeva bene che questo pianeta, in fondo, è solo la terza roccia a partire dal sole.
youtube
7 notes · View notes
chez-mimich · 2 years ago
Text
GLI SPIRITI DELL'ISOLA
Rompere un'amicizia è sempre una cosa spiacevole, a volte anche molto spiacevole, ma qualche volta può addirittura sfociare in un vero e proprio dramma, specie se si vive su una sperduta isola di un arcipelago irlandese. Ci troviamo nel 1923 (non è fatto da poco che nemmeno esistessero né i social, né il web ad alleviare la pesantezza del vivere) e, come si è già detto, sulla remota isola irlandese (immaginaria) di Inisherin, accade che Colm (intepretato da Brendan Glee) decida all'improvviso di interrompere la frequentazione di Pàdriac (Colin Farrell) il suo più caro amico, senza nessun plausibile motivo, almeno all'apparenza, mentre Pàdriac non sopporta il rapporto danneggiato e il mutismo dell'ormai ex amico. La vita sull'isola continua prevedibilmente a scorrere monotona, tra il pub sulla scogliera, la chiesa e il porto dalle acque grige e tempestose di quelle latitudini. Ma Pàdriac non si rassegna e, come il più molesto degli stalker, non molla la presa di Colm che, uomo burbero e scontroso, decide di tagliarsi un dito di una mano ogni qual volta Pàdriac gli rivolgerà la parola. Detto fatto, il (povero) Colm si ritrova senza tutte le dita della mano destra. Colm è un violinista-compositore e il suo gesto appare ancora più masochistico, ma darà anche luogo successivamente alla rappresaglia contro Pàdriac, con l'uccisione della asinella di quest'ultimo. Pàdriac, a sua volta, brucerà la casa di Colm che tuttavia casualmente resterà incolume. Naturalmente il focus di tutto il film è centrato sulle motivazioni che spingono Colm, parrebbe insensatamente, a rompere l'amicizia con Pàdriac. Perché Colm si chiude in una sorta di autismo nei confronti dell'amico? In realtà è lo stesso Colm a spiegarlo anche piuttosto esplicitamente: l'amicizia di Pàdriac, ormai, non è più in grado di offrirgli nulla e quindi preferisce di gran lunga la composizione musicale e il violino alla compagnia di Pàdriac, uomo gentile, ma di quella gentilezza un po' asfittica ed appiccicosa di cui si può benissimo fare a meno, anche se con una certa dose di cinismo. Quanto c'è in noi di Pàdriac e quanto c'è di Colm? Al di là delle piccole storie dell’isola irlandese e delle sue inquietanti presenze, è proprio questa domanda che rende interessante la pellicola di un regista disincantato e crudo come Martin McDonagh (suo era il magnifico "Tre manifesti a Ebbing Missouri"). Ognuno potrà rispondere secondo una propria tavola di valori : Pàdriac reclama di essere un uomo gentile, Colm risponde che la gentilezza non trapasserà nei ricordi dei posteri, mentre certamente arriverà la musica, nella fattispecie quella da lui composta. E allora la domanda investe noi tutti: vale la pena dedicare il proprio tempo coltivando una affettuosa, ma asfittica, amicizia o meglio spenderlo coltivando i propri interessi anche a scapito dei rapporti interpersonali?
Tumblr media
10 notes · View notes
curiositasmundi · 1 year ago
Text
[...]
Sabato un centinaio di persone guidate dal vicesindaco Attilio Lucia, della Lega, ha bloccato per protesta un camion della Croce Rossa, l’ente che da giugno gestisce l’hotspot dell’isola. Più tardi circa 600 persone, quasi un abitante su dieci dell’isola, hanno partecipato a una manifestazione sul molo commerciale per protestare contro la presunta apertura di un nuovo hotspot, nonostante la notizia fosse stata smentita più volte nei giorni scorsi da varie autorità.
[...]
Nella vita quotidiana dei lampedusani, in realtà, i disagi che comporta l’accoglienza dei migranti sono piuttosto contenuti. Le imbarcazioni dei migranti vengono scortate dalle navi della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza nel molo militare, piuttosto lontano dal centro abitato. Da lì i migranti vengono sistemati a bordo dei pullman messi a disposizione della Croce Rossa e portati nell’hotspot, situato dietro una collina. Quando arriva il loro turno di essere trasferiti sulla terraferma, vengono portati dalla Croce Rossa direttamente all’imbarco della nave o del traghetto messo a disposizione dal ministero dell’Interno. Tutta la trafila viene gestita dallo stato, in maniera quasi parallela rispetto alla vita dell’isola.
[...]
Ma i lampedusani sembrano insofferenti soprattutto per un presunto danno di immagine causato dall’arrivo di migliaia di migranti sull’isola, che secondo alcuni di loro “rovinerebbe” il modo in cui si presenta e quindi i potenziali introiti derivanti dal turismo. Il sindaco Mannino ripete spesso che una presenza troppo visibile di migranti sia negativa per il turismo. «L’obiettivo del governo e di questa amministrazione deve essere quello di ridurre al minimo l’impatto dell’accoglienza su questo territorio, perché di fatto noi viviamo di turismo e di quello vogliamo continuare a vivere», ha detto di recente al TgLa7.
Non ci sono prove tangibili del fatto che l’arrivo di migranti scoraggi l’arrivo di turisti sull’isola. Anzi: alcuni, come l’ex sindaca Nicolini, hanno detto più volte che il turismo sull’isola è ulteriormente aumentato dopo il naufragio di una enorme barca di migranti avvenuto il 6 ottobre 2013 a poca distanza dall’isola. Nel naufragio morirono almeno 368 persone, la vicenda fu seguita per giorni da tutti i quotidiani e i telegiornali e secondo alcuni paradossalmente fece conoscere Lampedusa a tutta Italia.
Fino a quarant’anni fa l’isola viveva prevalentemente di pesca. Oggi invece ruota in gran parte intorno al turismo. Molti lampedusani hanno aperto bar, ristoranti, bed & breakfast, società di noleggio di auto o scooter. Gli ex pescatori oggi organizzano gite nei dintorni dell’isola. La stagione turistica dura dalla primavera fino all’autunno inoltrato, grazie al clima quasi sempre mite.
[...]
2 notes · View notes
Text
Storie vere di inquisitori e streghe in Sardegna
Nel 1492, quando Tomás de Torquemada nominò Sancho Marin come primo Inquisitore del regno di Sardegna, le oscure mani dell'Inquisizione spagnola si posarono sull'isola. 
Tumblr media
La sede del tribunale locale, inizialmente allestita presso la Chiesa di San Domenico a Cagliari, fu trasferita in un'altra struttura nota come "La Stellada", situata in via dei Giudicati. Il suo scopo era giudicare i cittadini accusati di stregoneria o di altri atti sacrileghi verso la religione ufficiale e costringerli ad abiurare. L'abiura, la rinuncia al proprio credo, era divisa in tre gradi, con il primo, l'abiura De levi, obbligatorio per chiunque fosse sospettato di eresia. Ma anche l'abiura De Vehementi o l'eresia formale, quando l'accusato confessava la propria colpa, erano quasi sempre la conclusione dei processi, con l'avvocato difensore che convinceva l'assistito a confessare sotto la minaccia della tortura o dell'accusa di eresia. Le macabre tecniche di tortura, come il legare i prigionieri ai tiranti, costringerli a bere litri d'acqua, marchiarli a fuoco, o strappare loro le unghie, estorcevano a malcapitato la confessione e la condanna per eresia formale. 
Queste crudeli esecuzioni erano un monito della sinistra influenza dell'Inquisizione sulla popolazione dell'isola.
Nelle tenebre ancestrali del '500 sardo, quando la Chiesa aveva il potere supremo e la minaccia dell'Inquisizione aleggiava come un'ombra sinistra, le abiure erano rituali temuti da coloro che avevano deviato dalla fede. Nelle situazioni più leggere, i sospettati potevano presentarsi dall'inquisitore o dal vescovo per espiare i loro peccati. Ma nei casi più oscuri e macabri, l'abiura veniva preceduta dall'autodafé, una cerimonia nota come "dei penitenziati", in cui il condannato, dopo aver ascoltato una messa solenne, veniva esposto all'umiliazione pubblica.
In questa processione funesta, il reo confesso veniva costretto a camminare vestito con un saio e a piedi scalzi, accompagnato da una folla di soldati, membri del clero e rappresentanti della confraternita della Misericordia, nota anche come "della buona morte". Alla fine del percorso, il condannato veniva fatto salire su un palco dove l'inquisitore pronunciava un sermone e si procedeva con l'abiura.
Chi accettava di rinnegare il proprio credo, a patto di non essere un recidivo, poteva essere perdonato dalla scomunica e salvare la propria vita. Di solito l'imputato era sottoposto a pene severe, che andavano dalle preghiere e digiuni, alle multe e confisca dei beni, all'obbligo di indossare il sambenito, fino ai lavori forzati e all'ergastolo. 
Ma per coloro che rifiutavano l'abiura, non c'era speranza: erano affidati al boia e se non si pentivano, venivano strangolati, impiccati e bruciati. Se rifiutavano anche di pentirsi, venivano arsi vivi, una fine terribile e infernale.
Tumblr media
Nelle prime epoche dell'Inquisizione in Sardegna, dal tempo di Sancho Marin a Giovanni Sanna, la repressione non fu estrema. Tuttavia, quando l'ultimo, sesto Inquisitore dell'Isola, passò l'incarico a suo fratello Andrea Sanna, vescovo di Ales e Terralba, nel 1522, le catture per stregoneria cominciarono a salire.
Tumblr media
Durante l'autodafé tra il 1526 e il 1527, una quantità spaventosa di presunte streghe provenienti da diverse località dell'isola venne condannata al rogo.
Ma nessuno può essere paragonato all'inquisitore Diego Calvo, il più temuto della Sardegna. Secondo documenti antichi, nel 1565, durante l'autodafé in cui Giuliana Trogu, la strega di Baradili, venne giudicata per apostasia, altre ottanta persone furono processate, tra streghe e indagati per superstizioni varie. Alcuni furono graziati con abiura e pene leggere, altri furono torturati e tredici furono arsi vivi in un terribile spettacolo che durò due giorni interi.
Tumblr media
Il successore di Diego Calvo, Alonso De Lorca, che si insediò nel 1568, non fu così crudele come il suo predecessore, ma comunque fu uno dei più temuti inquisitori dell'isola.
Tumblr media
Nel misterioso anno del 1577, l'oscuro caso di Caterina Curcas, abitante di Castel Aragonès, fu uno dei più notevoli esempi della gestione di De Lorca. Caterina fu processata con l'accusa di essere l'amante delle forze tenebrose che regnano nell'oscurità. Durante gli interrogatori, come spesso accadeva, la povera donna confessò, raccontando di aver incontrato un demone chiamato Furfureddo e di essere stata sua concubina per un periodo di tre anni e tre mesi.
La creatura appariva con l'aspetto di un uomo nobile, avvolto in abiti eleganti e di colori sempre vari, e i loro incontri si svolgevano nella "Valle dell'Inferno", un bosco maledetto situato tra Sedini e Castelsardo, dove centinaia di uomini, donne e demoni si riunivano per dare vita a balli selvaggi e orge sacrileghe. Dopo aver confessato e abiurato, Caterina fu condannata a una pena relativamente mite: un anno di prigionia nell'ospedale di Sassari e l'esilio perpetuo dalla sua diocesi. Ma chi può sapere cosa avvenne realmente in quell'oscuro bosco, o quale oscuro destino attendeva Caterina al termine del suo esilio?
Ancora nel misterioso paese di Sedini i documenti ci parlano di una strega di nome Angela Calvia, che fu processata dall'oscuro inquisitore Giovanni Corita, successore di Alonso De Lorca. Giovanni Corita
La Calvia confessò di aver intrattenuto contatti orribili con un demone di nome Corbareddu, il più grande e antico tra quelli che presiedevano alle danze infernali nella "Valle dell'Inferno". Con capelli candidi e apparizioni alternanti di nudo e abbigliamento nobile di verde o nero, la Calvia fu condannata all'autodafé il 14 dicembre 1578, con la pena di tre anni di prigionia, confisca dei suoi beni e l'esilio perpetuo dal suo luogo d'origine. La medesima sorte toccò a Caterina Mafulla di Castelsardo, che confessò di aver partecipato al terribile sabba nella Valle dell'Inferno e di aver incontrato anime conosciute tra i morti.
Nel medesimo anno, sotto l'inquisizione di Giovanni Corita, furono processati Sebastiano Zucca di Ortueri, che confessò di aver venduto la propria anima al diavolo e di aver visitato l'inferno, e Anna Collu di Oristano, accusata insieme al frate francescano Martino de Tori, di aver cercato tesori con l'aiuto di Satana.
Nelle tenebre dei tempi, un'ombra malvagia si levò nella figura dell'inquisitore Antonio de Raya, che insediò il suo potere nel 1581, erede della malvagità del suo predecessore. 
Tumblr media
Egli si confrontò con una strega di Sedini, che aveva preso parte a riti oscuri nella "Valle dell'Inferno", ovvero Giovanna Porcu, la quale fu condannata nel 1583 dopo aver confessato orrori simili a quelli delle sue compagne. Il 14 agosto dello stesso anno, Antonio de Raya emise una serie di condanne all'autodafé, quasi tutte contro streghe. La tragica sorte toccò a Sebastiana Porru di Gemussi, a Caterina Escofera di Cuglieri, accusata di praticare spiritismo e torturata per aver negato di aver fatto un patto con il diavolo; e a Caterina Pira, di Tertenia, levatrice di professione che confessò di trasformarsi in mosca durante la notte per succhiare il sangue dei neonati. Questa trasformazione in strega era possibile grazie all'uso di un unguento magico che veniva spalmato sotto i piedi e sulla fronte. Anche Antonio Orrù, di Escolca, confessò di aver commesso orrori simili, trasformandosi in coga e mordendo i piedi di due innocenti bambini per succhiare loro il sangue mentre dormivano accanto alle loro madri. 
Queste sono le terribili storie degli inquisitori, un'epoca in cui il Male regnava sovrano.
5 notes · View notes
nosferatummarzia-v · 1 month ago
Text
.{Biografia}.
Diana, Principessa delle Amazzoni di Terra-Due nacque sulla mistica Isola Paradiso numerosi secoli prima che fosse conosciuta come Wonder Woman. Isolata dalla crudeltà e dalla corruzione degli uomini e dei loro modi, le Amazzoni vissero in pace e lavorando apertamente solo e con l'obbedienza alla volontà degli dei dell'Olimpo. Desiderando un figlio, Ippolita la Regina delle Amazzoni, chiese agli dei di esaudire il suo desiderio e di tramutare la sua perfetta statua di creta in una bambina vera. Disposti ad esaudire la richiesta di Ippolita, gli dei cedettero e animarono la statua con vita vera che, trasformatasi in una ragazzina, subito saltò giù dal piedistallo e corse verso le braccia della madre. Ippolita la chiamò Diana, come la dea della Luna, che divenne sua nonna.
Soddisfatta della bambina, Ippolita cominciò a crescerla come un'Amazzone con tutte le regalità e i privilegi della regalità della madre. Diana sarebbe invecchiata lentamente e avrebbe smesso di invecchiare dopo aver raggiunto l'età adulta come per tutte le Amazzoni. Diana avrebbe continuato ad eccellere fino a sorpassare la maggior parte delle sue sorelle Amazzoni in intelligenza e abilità, poteva correre più veloce dei cervi all'età di cinque anni, e sradicare un albero all'età di tre anni.
Diana continuò con la sua vita fino al fatidico giorno in cui il Capitano Steve Trevor non si schiantò sull'Isola Paradiso. Non avendo mai visto un uomo vero prima, Diana fu immediatamente attratta dalla bellezza dell'uomo nonostante le sue numerose ferite. Violando le regole dell'Isola a proposito dell'interagire con gli esterni, Diana portò l'inconscio Capitano tra le Amazzoni nel tentativo di salvargli la vita. Pregando sua madre di salvarlo, Ippolita acconsentì e utilizzò il Raggio Viola guarente della vita su Trevor salvandogli la vita riportandolo indietro dai morti.
Scoprendo che il mondo esterno era ingaggiato in una guerra mondiale, Diana volle partecipare per fermare la guerra. Ippolita rifiutò affermando che lei e le altre non dovevano rimanere coinvolte nelle faccende esterne. Ma quando le dee Afrodite e Atena comparvero ad Ippolita le dichiararono che era ora per le Amazzoni di viaggiare nel "Mondo degli Uomini" e combattere il male dei Nazisti poiché Ares si sentiva padrone del mondo ora completamente in guerra, e Afrodite decise di aiutare l'America a vincere affermando che era l'"ultima cittadella della democrazia" (era naturalmente inaccurato, poiché la Gran Bretagna era ancora libera). Fu tenuto un torneo per determinare quale Amazzone sarebbe stata la vincitrice. Anche se Ippolita le proibì di partecipare al torneo, la Principessa Diana partecipò lo stesso, celando l'identità con una maschera. Dopo aver vinto tutte le gare, Diana rivelò la sua identità alla madre con il cuore spezzato che temeva di non rivedere mai più sua figlia.
Dopo aver vinto il torneo e aver rivelato la sua identità, la Regina Ippolita acconsentì e permise a sua figlia di indossare il costume di Wonder Woman e viaggiare nel mondo esterno. Diana riportò Steve Trevor negli Stati Uniti e adottò l'identità di un'infermiera della milizia degli Stati Uniti di nome Diana Prince così che sarebbe potuta restare vicino a Steve mentre si riprendeva dalle sue ferite. Lo fece contrapponendosi ad un agente giapponese[6].
Nel frattempo, la Principessa Diana cominciò ad operare pubblicamente come Wonder Woman. Nella sua identità di Diana Prince, si unì ai militari statunitensi con il rango di tenente e divenne la segretaria del colonnello Darnell, anche se occasionalmente riprendeva i suoi doveri infermieristici. Successivamente tornò la vera Diana e cercò di prendere il ruolo della sua controparte mentre suo marito inventore attraversava un periodo di guai finanziari vendendo la sua nuova arma ai militari. Wonder Woman salvò Diana quando la ragazza fu rapita da un agente giapponese che tentò di ottenere l'arma, e dopo che quest'arma si dimostrò funzionante Diana Prince cominciò ad utilizzare il suo nome da sposata, lasciando che Wonder Woman rimanesse nella sua identità.
Continuò ad agire in questa posizione combattendo il crimine al fianco della Justice Society of America (Terra-Due) come loro primo membro femminile anche se le sue mansioni furono regolate a doveri "sottomessi", agendo più che altro come segretaria del gruppo nonostante la sua forza e le sue abilità fossero ben oltre le possibilità umane, e in qualche modo la JSA venne a sapere della sua identità, cosa che Hawkman le rivelò. Fu mostrata mentre batteva a macchina i dettati della squadra con il costume di Wonder Woman. Diana si sarebbe aggiunta alla squadra quando si riformò la All-Star Squadron e si espanse.
Diana continuò a combattere il crimine anche dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e resistette al richiamo della sua Isola natia dopo la guerra, preferendo rinunciare all'immortalità che lasciare una vita indipendente e un'identità personale.
0 notes
susieporta · 1 month ago
Text
Ippocrate faceva venire i malati sull'isola di Kos e lì, lontano dalla loro normale vita quotidiana, li sottoponeva ad un trattamento, che oggi si direbbe "olistico", che includeva:
una dieta a base di erbe,
esercizi fisici,
meditazione e studio dei propri sogni.
Molto di ciò che oggi ci sembra di scoprire è acqua calda,
è qualcosa che l'umanità sapeva già.
L'abbiamo solo dimenticato perchè ogni nuova generazione, rifiuta l'esperienza di quelle precedenti.
E' così a fatica, riscopriamo che, la ruota gira, che il fuoco brucia, ect. ect.
Tiziano Terzani
1 note · View note
daniela--anna · 2 months ago
Text
La vita è... tutti i colori delle emozioni.💐
🎥Campi di ortensie selvatiche sull'isola di Florence, Portogallo.
0 notes