#vita futura e altri trip
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thetuesdaytapes · 4 years ago
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“You’ve come a long way, Norman” Da dove cominciare? Cominciamo dal fatto che c’è –– da un paio di giorni –– uno di quei gruppi di Facebook, quelli diciamo così “chiusi”, dove però non ci si scambiano dritte sugli sconti da Esselunga o sul fantacalcio, perché è un gruppo messo in piedi da gente che negli anni ’90 e 2000 “faceva” il –– o andava al –– Maffia di Reggio Emilia. Prima digressione: se siete giovani (ce n’è qualcuno anche tra gli ascoltatori di TTT, incredibile), il Maffia era “il” club elettronico di quegli anni. Prima che a C2C, prima che ad Agatha a Roma, prima che nei club milanesi (forse persino prima che al Link di Bologna) i “nuovi suoni elettronici” di quegli anni, cioè quelli che piacevano anche a chi ascoltava rock, sbarcarono al Maffia: trip-hop, “jungle”, big-beat (ma pure certe cose Warp). Sbarcarono insieme ai dj inglesi (della Skint Records, della Wall of Sound, della Metalheadz…) che per la prima volta in vita loro il sabato pomeriggio iniziarono a imbarcarsi su aerei con destinazione Bologna, e poi da lì, esatto, viale Ramazzini a Reggio Emilia. Un giorno del Maffia se ne parlerà come oggi si parla della Baia degli Angeli, perché segnò davvero un’epoca. Era un posto in cui si prendeva la macchina da Torino, da Genova, dall’Umbria, per andarci. Niente che già non si fosse visto, pochi anni prima, con la grande movida innescata dalla seconda ondata house, quella dei cosiddetti “afterhours”, ma stavolta a prendere la macchina era gente che ascoltava gli Afterhours quelli con la “A” maiuscola, che ascoltava i Pavement, i Kyuss, i Soundgarden, i Voivod, e che incredibilmente aveva trovato la “sua” musica dance. (Questa, ahinoi, è anche la ragione per cui non si ricorda –– e probabilmente mai si ricorderà –– il Maffia come la Baia degli Angeli: perché fu una rivoluzione per qualche migliaio di persone che leggevano “Rumore”. Ma per quel paio di migliaia fu una rivoluzione paragonabile alle radio libere, al maggio francese, una rivoluzione come mai più ce ne sarebbe stata una). Insomma: ieri sera nel gruppo Facebook “chiuso” di cui sopra, è venuto fuori che erano, ieri appunto, vent’anni esatti dal dj set di Fatboy Slim al Maffia di Reggio Emilia. Se la digressione in apertura è durata venti righe, per la digressione che ci vuole adesso di righe ne serviranno almeno un centinaio. “Fatboy Slim al Maffia” fu l’evento che per certi versi concluse quella stagione incredibile, ma che al tempo stesso ne rappresentò il coronamento. Nei cinque anni precedenti al Maffia avevano suonato praticamente *tutti* i dj della nuova scena inglese: mancava solo Fatboy Slim, che nel frattempo era diventato una star troppo grossa per le dimensioni (ma pure per le finanze) del Maffia. Non bastasse aver avuto un album in tutte le classifiche del mondo, era appena stato –– dicevano quelli bravi a far di conto –– uno dei tre dj più pagati nel capodanno che scavallò il Millennio (gli altri due, riportavano sempre quelli bravi a far di conto, erano Pete Tong e Paul Oakenfold). Insomma, forse complice il fatto di avere un disco uscito otto giorni prima da promuovere in Italia (“Halfway Between the Gutter and the Stars”), ma pure un onesto debito di riconscenza per quel che il Maffia aveva fatto nei cinque anni precedenti per far conoscere da Trieste in giù la Skint Records e i suoi dj, Fatboy Slim acconsentì a fare il suo primo dj set in Italia, al Maffia di Reggio Emilia. Digressione nella digressione: all’epoca DJ De Luca era un dj ricco e famoso che ogni venerdì e sabato notte conduceva –– insieme al sodale Luca De Gennaro –– un programma chiamato “Weekendance” su Rai Radio Due. Un programma che nei cinque anni precedenti (in una forma differente, come “Suoni e Ultrasuoni”) aveva spessisimo trasmesso, in diretta, il sabato notte, i dj set dal Maffia. Quindi –– con l’entusiastico benestare di dirigenti e capistruttura Rai –– si spostarono armi e bagagli, tecnici specializzati e valigette ISDN, e quella sera si trasmise il primo dj set italiano di Fatboy Slim in diretta alla radio italiana. Ed eccoci (rieccoci) a ieri sera. Quando è venuto fuori che ricorreva ’sto anniversario, non calcolato praticamente da nessuno; quando qualcuno ha tirato fuori che su una pagina Mixcloud con quattrocento follower c’era la registrazione (quasi) integrale di quel set; quando nel gruppo Facebook “segreto” si sono aperte le cateratte dei ricordi, che sono poi inevitabilmente tracimati anche fuori, nei profili personali di un sacco di gente che era lì quella notte. E chi rievocava la macchinata fatta per arrivare a Reggio Emilia, chi la futura moglie conosciuta quella sera in coda all’ingresso, chi si rammaricava d’aver sentito il set solo alla radio perché la serata andò sold out mezza giornata dopo l’annuncio. Ovviamente, a un certo punto è saltata fuori pure la tracklist “unofficial” del set (perché “You can take the music nerd out of the Maffia, but you can’t take the nerdness out of the Maffia goer”). E poi storie meravigliose: Norman che a cena mangia per la prima volta i tartufi; Norman che sorride tantissimo; Norman che dieci secondi prima di salire in consolle chiede una T-shirt col logo del Maffia, la infila sopra la sua inevitabile camicia hawaiiana, tenendola su per i primi tre o quattro pezzi, e poi –– solo poi –– avremmo capito che fu un incredibile gesto di amicizia nei confronti del Maffia, perché *lui* sapeva che i giornali fanno le foto solo durante i primi tre pezzi di un concerto e le tivù riprendono solo i primi tre pezzi del concerto. (E questo la dice lunga anche su quanto noialtri, ancorchè parecchio più ricchi e famosi di oggi, eravamo comunque degli allegri turisti del saper stare al mondo, laddove lui in quello stesso mondo aveva avuto un disco in classifica). La registrazione, per finire. Che è un rip a 128kb (forse pure meno) preso paro paro dalla radio, tagliando fuori quel paio di brevi interventi parlati nostri (a un certo punto c’è un nanosecondo di De Gennaro che dice: “È l’una e quarant…”). Non è nemmeno tutto il set, probabilmente perché la diretta finiva alle 02.00 mentre Fatboy andò avanti almeno fino alle 02.30 (manca il pezzo con il campionamento di “Abracadabra” della Steve Miller Band, che ascoltammo quella sera per la prima volta), ma ce n’è abbastanza per ricordarsi cosa caspita siano stati quegli anni tra il 1995 e il 2000. Anni di musiche mai sotto i 130 che adesso ti fan dire: “Ma davvero sentivo E SUONAVO quella roba?!?” (adesso che se in una serata vai dieci minuti sopra i 120 ti trilla l’iPhone tipo sblocco di un livello di Candy Crush e viene il gestore del locale a complimentarsi per la temerarietà); anni di bùtlegoni che tritavano Beatles, Eminem e “Plastic Dreams” di Jaydee, e che oggi ci sembran sobri come le ciavatte del Lidl. E, naturalmente, (ri)sentire quell’ora e venti di Fatboy Slim, ieri notte, è stato un po’ come rivedere in un film velocissimo questi vent’anni passati: mucca pazza; il Millennium Bug; le telefonate con gli amici genovesi in piazza –– il giorno tranquillo, non quello dei casini –– mentre io ero a mettere i dischi a Napoli; gli stessi amici, a un tavolo di un bar che nemmeno esiste più, la sera del dodici settembre 2001; l’acceleratore di particelle del Cern; Internet veloce in casa e alcuni tera di mash-up di cui 10Mb scarsi salvabili; la sonda spaziale Spirit e le foto di Marte; l’aviaria; l’articolo di Wired su “il mondo non finirà per una guerra o un asteroide, ma per una pandemia”; i blog che diventano Tumblr, i Tumblr che diventano Facebook pages; Google Wave; il ritorno dei My Bloody Valentine; Skrillex vestito come un emo londinese che alla fine usava lo stesso repertorio di trucchi del mestiere e ta-ta-ta-ta-tatatata-tttttaaatttatta di Fatboy quindici anni prima –– solo che li chiamava “drop”, con nostro sommo sbigottimento (cit.); Lou, David (Mancuso e Bowie), Andrew, tutti i morti pubblici e privati, che iniziano a essere un po’ tanti, ma sarà l’età. E poi, certo, questi ultimi otto mesi delle nostre vite. mesi in cui pure Fatboy Slim, insieme a mille altr* artist* e diggei, ci ha aiutato a guardare un po’ più in là del disastro, facendoci sperare che, forse, non eravamo proprio nella merda-merda, forse eravamo a metà strada tra la merda e le stelle. «You’ve come a long way, Norman!», come lo apostrofai quella notte ai microfoni della radio nazionale. You’ve come a long way. Ma pure noi: pure noi, we’ve come a long way. FATBOY SLIM @MAFFIA, 18/11/2000
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le-ombre-di-pemberley · 10 years ago
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Vita futura e altri trip.
Stavo riordinando il portagioie dove tengo collane collanine braccialetti anelli e orecchini. Era un caos. 
Li in mezzo ho ritrovato un piccolo ciondolo di corallo rosso a forma di cuore. Era il mio preferito da bambina, penso di averlo indossato costantemente dai 6 ai 12 anni. Non volevo mai toglierlo.
Ancora oggi mi piace tantissimo, anche se forse sono diventata un po grande per metterlo. E li in quel momento mentre sorridevo pensando a questa cosa spunta fuori da qualche remota area della mia mente questo pensiero. "Questo è il ciondolo che vorrei dare a mia figlia"
Io non ho una figlia.  Non mi sono mai considerata un tipo materno (a parte col mio cane ma quello è un'altro discorso). Non ho mai realmente pensato di avere dei figli. E se devo essere sincera, quando ho immaginato il mio futuro - tipo quando vai all'Ikea e ti immagini di vivere in quelle magnifiche stanze arredate ad arte- non ho mai incluso dei bambini nel quadretto.
Però se guardo quel ciondolo ancora sorrido, perchè si, mi immagino mia figlia. Mi immagino mentre le metto la collanina al collo e lei ride e batte le mani perchè le piace tanto. Forse anche lei non se lo vorrà più togliere. E magari lo mostrerà alle amichette dicendo "questo era della mia mamma!"
E' strano come una cosa da niente, un piccolo ciondolo per molti senza significato, possa cambiarti la visione della vita in una calda mattina estiva.
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