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INDIAN Official Government Immigration Visa Application Online FOR ITALIAN CITIZENS
Ufficio centrale ufficiale dell'immigrazione del visto indiano
Address : Vale dell Terme Di Caracella, 11, Roma, Italy
Phone : +39 06 887841
Email : [email protected]
Website : https://www.india-visa-online.org/it/visa/
Business Hours : 24/7/365
Owner / Official Contact Name :Pietro Thomas Findango
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Gli aborti selettivi in India Secondo i risultati di una nuova ricerca pubblicata dalla rivista scientifica Plos One, entro il 2030 in India ci saranno 6,8 milioni di nascite in meno a causa della pratica molto diffusa degli aborti selettivi in base al sesso: gli aborti – consentiti fino alla ventesima settimana di gravidanza, a meno che la vita della donna incinta non sia a rischio o in caso di malformazione del feto – riguardano cioè i feti femmina, mentre i maschi sono preferiti per motivi culturali ed economici. Nei prossimi dieci anni questo fenomeno potrebbe influire negativamente sul rapporto uomo-donna a livello di popolazione globale, visto il numero di abitanti del paese che diventerà presto il più popoloso al mondo. (...) In natura la maggior parte delle popolazioni animali è caratterizzata da un rapporto unitario tra i sessi, e cioè da una sostanziale parità tra il numero di individui di sesso maschile e il numero di individui di sesso femminile. Per quanto riguarda gli esseri umani, i dati sulla popolazione mondiale, comprese le divisioni di genere, sono stati raccolti fin dal 1950 dalla Banca Mondiale sulla base del World Population Prospects, rapporto annuale della divisione Popolazione del dipartimento delle Nazioni Unite per gli Affari economici e Sociali: in quell’anno la distribuzione sul pianeta tra uomini e donne era sostanzialmente alla pari (con uno scarto dello 0,3 per cento a favore delle donne). Da allora il divario si è invertito e nel 2019 gli uomini sono l’1,7 per cento in più, superando le donne di 64 milioni. Il fatto che ci siano più maschi che femmine è il risultato di vari fattori, ma il principale è la discriminazione contro le donne. (...) In Cina una delle cause che hanno contribuito agli aborti selettivi è la cosiddetta politica del figlio unico, imposta dal Partito Comunista per rallentare la crescita della popolazione e che, nel tempo, ha portato a sterilizzazioni forzate, abbandono di neonate e aborti dei feti femmina. (...) Secondo diversi studi, la legge avrebbe poi portato ad un aumento delle discriminazioni: nel paese esistono milioni di bambine “non volute” che, dopo la nascita, vengono sottoposte a varie forme di violenza. Tra le altre cose, viene riservata loro una diversa alimentazione e una minore assistenza medica. (...) Un ruolo nell’aborto selettivo è dovuto anche ai matrimoni forzati e precoci che, secondo l’organizzazione internazionale non governativa Girls Not Brides, riguardano in India circa il 27 per cento delle ragazze. Le giovani donne, spesso, non sono né ben informate né abbastanza adulte e consapevoli per mettere in discussione, nella famiglia del marito, la pratica dell’aborto selettivo. ... Il Post
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Situs Inversus.
Ecco cosa è avvenuto prima di questo.
Il panico attanagliò il cuore di Ermal ma egli si impose di non mostrare alcun sentimento, nessun segno di cedimento. Questo prevedeva il codice che seguiva alla lettera, senza sbavature, senza timori.
O così, o muori.
“Noto con piacere che il colpo in India è andato alla meraviglia.” parlò ancora l’uomo nell’ombra, una sagoma nera che avevano imparato a riconoscere alla perfezione. La cicatrice che percorreva lo zigomo destro spezzandolo a metà, l’occhio sinistro color del ghiaccio l’altro, invece, nero come la pece, le labbra sottili e il naso appuntito leggermente all'insù.
Il rumore metallico del carrello di una pistola che rientrava in asse lo scosse ed Ermal si trovò con la canna di una Beretta puntata alla tempia. “Facciamo un gioco Fabrizio.” propose l’uomo “Se sparerai a Ermal, sarai salvo. In caso contrario sarai tu a rimetterci la vita.”
“Non capisco io …” balbettò preso in contropiede.
“Non sei stupido Fabrizio, da questa casa uscirà vivo solo uno di voi due.” rise l’uomo.
“Le abbiamo portato i gioielli che lei ha richiesto.” Sbottò poi.
“No Moro.” rise l’uomo. “Ho solo una grande voglia di vedervi a pezzi.”
“Siamo liberi da ogni vincolo. Lei ha richiesto un lavoro e noi l’abbiamo eseguito.” sputò Ermal, percepì il metallo freddo dell’arma sulla tempia. L’indice destro del Capo sul il grilletto.
“Siamo ladri, lavoriamo da soli, mai in coppia.” rise l’uomo e spinse la canna verso la testa del riccio, egli non mostrò segni di cedimento, nulla che potesse svelare la sua debolezza.
“In voi c’è qualcosa di particolare: siete così maledettamente in sincronia, ogni colpo è perfetto e ben riuscito, mai un errore, mai un punto debole.” si fermò per captare comportamenti strani e: “Forse mi sbaglio.”
Fabrizio trattenne il fiato lanciando un occhiata a Ermal, sempre più confuso in volto. Nessuno ebbe il coraggio di parlare, capirono perfettamente che quei gioielli indiani non erano stati altro che un pretesto per poterli annientare una volta per tutte.
In quel momento Ermal capì che la sua strada e quella di Fabrizio non erano mai state destinate ad incontrarsi, tanto meno ad unirsi. Il Capo allungò una seconda pistola al moro che l’afferò con mano tremante, mosse un paio di passi all’indietro trattenendo il carrello tra le dita della mano sinistra. Caricò l’arma facendo entrare il primo proiettile nella canna, alzò le braccia mirando al petto del compagno.
Chiuse l’occhio sinistro. Ermal era così serio in viso, faceva male al cuore e non avrebbe mai potuto premere il grilletto con quegli occhi neri e profondi che lo guardavano. Fabrizio ci si perse un attimo in quei due pozzi neri che racchiudevano l’anima di Ermal, peccato fosse difficile intendere da che cosa fosse composta. Aveva visto ogni singola faccia di quel poliedro, sapeva distinguere spigoli e angoli ma non ancora del tutto. C’era sempre qualcosa di nascosto, misterioso che lo confondeva e attirava.
Se li ricordava quei gioielli imperiali indiani. Luccicavano sotto la luce della luna sulla pelle bollente e scossa di Ermal, i ricci scuri sparsi sul cuscino e gli occhi chiusi sfarfallavano leggeri ogni volta che Fabrizio toccava il punto giusto per farlo fremere di eccitazione e piacere.
Gli occhi chiusi, la bocca leggermente aperta, le gote rosse e accaldate e il petto bianco di Ermal che si alzava e abbassava seguendo un ritmo sempre più frenetico. Deglutì e si inumidì le labbra che tornarono rosse e turgide. Fabrizio gliele baciò mordendole appena sentendo il ragazzo sotto di sé sobbalzare per la sorpresa, ma si sciolse e approfondì il bacio portando le sue mani al viso del più grande.
Fabrizio lo guardò per secondi che parvero a tutti infiniti, spostò la pistola verso il Capo. “Non fare cazzate Moro.” lo redarguì il Capo, “Te o Ermal, scegli.”.
Un secondo uomo stava alle sue spalle, percepì la canna di una pistola premere sulla sua nuca. Lavorava da solo, era vero. Ermal era il suo compagno in affari, compivano colpi insieme e si davano una mano. Erano diventati confidenti e poi amanti in quel viaggio in Perù due anni prima.
Lo amava? Non lo sapeva, non sapeva nemmeno cosa volesse dire amare. Sì, si era mostrato nudo di fronte a lui, spogliato di ogni minima insicurezza e paura. Avevano accantonato i problemi e i vestiti in un angolo e avevano fatto l’amore, si erano rivestiti e poi ognuno per la sua strada. Come ogni fottuta volta.
Trattenne in respiro, lo sguardo e la pistola puntati sul compagno. La mente occupata da mille pensieri, mille tormenti. Portò l’indice destro al grilletto e lo percepì ghiacciato al tatto, prima che potesse premerlo abbassò lo sguardo strizzando gli occhi.
Un colpo rieccheggò nell’aria, il cuore che pulsava all’impazzata nel petto, la testa girava, represse un conato di vomito portandosi la mano alla gola. Si permise di riaprire gli occhi solo dopo attimi infiniti. Un rivolo di sangue colava dalla bocca di Ermal e sporcava quel volto bianco e bello, quello che desiderava ardentemente baciare.
“Ottimo lavoro Moro.” disse l’uomo raccogliendo i gioielli imperiali indiani da terra. “Sai sempre come sbrigare il tuo mestiere.”
Tratteneva ancora la pistola nelle mani tremanti, l’aria si faceva sempre più pesante e gli premeva sulle spalle e sul petto. Il capo e il secondo uomo abbandonarono la stanza chiudendo la porta alle loro spalle.
L’aveva tradito.
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1964, Paolo VI in India e l’inviato Antonello Trombadori: “Il Papa mi ha detto: abbiamo molti dialoghi da fare”
(Nel dicembre del 1964 Papa Paolo VI fece un viaggio in India, dove si svolgeva il Congresso Eucaristico. Mio padre Antonello lo seguì come inviato de l’Unità, allora diretto da Mario Alicata. Palmiro Togliatti era scomparso da qualche mese e nel PCI si apriva una stagione di lotta politica che ebbe tra le varie poste in gioco anche il rapporto con il mondo cattolico per le prospettive aperte dal Concilio Vaticano II. Accadde così che un breve ma eloquente accenno del Pontefice rivolto all’ inviato de l’Unità divenne sintomatico colpo giornalistico che occupò la prima pagina suscitando col titolo una notevole eco: “Il Papa mi ha detto: abbiamo molti dialoghi da fare”. Se la vita della Chiesa si rivolgeva alle ansie del mondo contemporaneo, l’ invito al dialogo segnava l’ attenzione a quanto maturava nel mondo comunista in termini di riforma e revisione. Ricordo bene che all’epoca –avevo diciannove anni- non seppi nemmeno cogliere l’ importanza politica e la portata morale di quanto accadeva. Chiuso nelle mie certezze marxiste ero un chierichetto dell’ ortodossia ideologica. Col tempo, grazie a Dio, ho rivisto completamente quell’ ottuso modo di pensare.Riproduco volentieri l’articolo di Antonello Trombadori e il titolo che vi appose de l’Unità.)
Primo servizio di Antonello Trombadori sul viaggio di Paolo VI
“IL PAPA MI HA DETTO: ABBIAMO MOLTI DIALOGHI DA FARE”
Una breve conversazione tra Paolo VI e l’inviato speciale dell’Unità si è svolta a bordo del ”Nanga Parbat” tra Beirut e Bombay
Bombay,2 dicembre 1964-Alle 21, 20 ora italiana, a diecimila metri di altezza, sulla parte settentrionale dell’Oceano Indiano, esattamente sul Mar d’Arabia nel punto dove finiscono le acque territoriali pakistane e cominciano quelle della Repubblica Indiana, Paolo VI è passato davanti al mio posto nella classe turistica del Boeing 707 che ci ha trasportati a Bombay. Mi sono levato in piedi e gli ho detto: ‘Antonello Trombadori del giornale l’Unità’. Il Papa ha avuto un attimo di sorpresa. Io ho subito soggiunto:’ Buon viaggio da parte dei nostri lettori’. Paolo VI ha immediatamente ribattuto: ’Auguri, auguri’. Poi, dopo un fugacissimo silenzio, ha proseguito: ‘Auguri, avremo tanti bei dialoghi da fare’ .Ha poi seguitato il suo cammino verso la coda dell’apparecchio soffermandosi a salutare altri passeggeri e in particolare due suore missionarie che fanno ritorno nell’Assam, dove la maggiore di esse risiede da 36 anni.
Un giornalista americano, non appena il Papa si è ritirato nella sua cabina, ha avuto un rapido colloquio con mons. Samorè, segretario per gli affari straordinari della Segreteria di Stato. Gli ha chiesto: “questo viaggio del Papa, vuole aprire un dialogo anche con altre religioni; anche con chi non crede, con i comunisti ?”. Monsignor Samorè ha risposto: “con tutti, purché vi sia buona volontà”. Poco prima tra il corrispondente della NBC Irving Levine e il Pontefice aveva avuto luogo questo scambio di frasi: ”Perché intraprendere questo viaggio ?”.Paolo VI:” Ci vorrebbe troppo tempo per rispondere. Spero di incontrare molti fedeli e altri uomini. Spero che il viaggio contribuisca alla pace e risulti una testimonianza di buona volontà”.
E certo più di una testimonianza di buona volontà ha richiesto la enorme folla venuta a salutarlo all’aeroporto di Bombay e lungo i circa trenta chilometri che lo separano dal luogo dove si svolge il Congresso Eucaristico. Cattolici, certo; ma anche induisti, buddisti, musulmani e uomini senza religione precisa, presumibilmente venuti a vedere che panni veste e che cosa promette il Capo della Chiesa Cattolica.
E non c’è dubbio che assieme al Pontefice quella folla che non ha mai smesso di gridare, di interrogare con gli occhi profondi e di ridere di cuore protendendo le mani verso le macchine del Pontefice e del seguito, ha anche inteso accomunare nello stesso saluto uomini di altro colore e di altre nazionalità in una spontanea testimonianza di amicizia e di pace. L’aereo che ha portato Paolo VI in India si è alzato da Fiumicino alle 4,30. Dal mio taccuino traggo questi appunti sul viaggio fra Roma e Beirut. Sono le 8,10 ora italiana. Da circa un’ ora l’aereo pontifico della Air India che tra sporta Paolo VI a una quota pari a quella di una della più alte vette dell’Himalaya, di cui porta il nome, “Nanga Parbat”, e sul cui muso, diciamo alla altezza della tempia sinistra, è stato dipinto lo stemma vaticano accanto alla bandiera indiana, ha lasciato Roma sotto una pioggia fitta e battente Stiamo ora sorvolando l’ultimo lembo di terra italiana si distinguono piccolissimi i lumi di qualche villaggio calabrese- Melissa, Stromboli, Isola Capo Rizzuto - l’ area della grande miseria è già cominciata. Il sole dell’alba ci viene incontro dalla Grecia sbucando di sotto lo strato spesso di nuvole che copre i monti del Peloponneso. Paolo VII, che nessuno finora è riuscito a vedere, riposa nella parte della cabina di prima classe che è stata compostamente trasformata in una piccola e comoda alcova. I due cardinali invece (si tratta di Cicognani e di Tisserant) posso indovinarli di spalle dal mio posto di classe turistica sonnecchianti e abbandonati con la testa all’indietro sulle poltrone; dall’altra parte della cabina di prima classe a loro riservata insieme a qualche altro importante prelato distinguo la chioma pepe e sale ben pettinata del prefetto delle cerimonie, mons. Dante, quello stesso che tante volte i telespettatori hanno potuto vedere accanto al Pontefice per suggerirgli questo o quel movimento del cerimoniale; un filo di fumo sale azzurrino da dietro la sua spalliera, monsignor Dante preferisce evidentemente tenersi desto per ogni evenienza.
Non siamo soltanto giornalisti sul “Nanga Parbat”. C’è anche il sindaco di Venezia, Favaretto Fisca, che corregge tra uno sbalzo e l’altro dell’aereo il testo del saluto che porterà al Congresso Eucaristico di Bombay; ci sono le due suore missionarie che fanno ritorno nell’Assam dopo aver partecipato in Italia alla elezione della madre badessa del loro ordine; vi sono altri sacerdoti cattolici e vi è un agricoltore trevigiano dalla faccia angelica e non nemica del buon vino, che accompagna in una sorta di viaggio turistico religioso la giovane figlia al Congresso eucaristico. Le hostess abbigliate in elegantissimi e alquanto plastici sari a strisce marrone, verde marcio e argento, hanno un gran daffare. Non si sono fermate un momento dal decollo in poi. Il primo faticoso lavoro è stato quello di restituire ai rispettivi proprietari macchine fotografiche. Cineprese, macchine da scrivere, borse e valigette che erano state ritirate prima di varcare il posto di polizia; poi è cominciata la distribuzione delle cartelle messe a disposizione dei giornalisti da parte della compagnia di navigazione. In una di queste cartelle vi è un testo inglese nel quale i dirigenti dell’ Air India fanno un personale apprezzamento dello storico significato del viaggio del Pontefice nel loro paese e a bordo di un loro aereo. Gli stessi concetti sono stati in parte ripetuti all’altoparlante dalla hostess Ursula Stocker, una gentile svizzera cattolica di ventitré anni che ha detto in italiano lentamente ma senza emozione: “L’Air India oltre che il suo benvenuto porge a Sua Santità l’augurio di un comodo e piacevole viaggio. Grazie”.
Se è vero che questo viaggio è destinato a passare alla storia, non c’è dubbio che le prie eroine della sua cronaca sono queste quattro hostess. Della prima vi ho già detto il nome. Vi presento ora le altre tre: Cintya Kyte, smilza dai capelli scuri, nata a Bombay ventisei anni fa, diplomata in economia all’università di Karnatak; ama Roma e Londra, suona il piano ed è campionessa di ping pong. Collleen Biladzava, nata in un villaggio presso Bombay, ventun anni, prima di entrare nella Air India ha frequentato il convento di Gesù e Maria. Shirley Kennedy, ventotto anni, mannequin, buona atleta, vittoriosa in numerose gare. Infine Kalini Shahani, ventun anni, snella e elegante, nata a Karachi, protestante. Ho tratto queste notizie dal registro di bordo.
Alle sette in punto Paolo VI, interamente vestito di bianco, ha fatto la sua apparizione sulla soglia della porta che divide la sua alcova dalla zona riservata ai prelati del seguito, e si è spinto, tra lampi di flash e mani protese a toccare le sue, fino alla soglia della classe turistica, sbarbato, risposato, sorridente. Ha fatto i suoi complimenti al sindaco di Venezia ricordando che dalla Serenissima mosse a suo tempo verso l’Oriente Marco Polo; ha anche inaugurato il carnet di un industriale milanese invitato al suo seguito con la seguente frase latina:” Ambulate in dilectione”. Voleva poi percorrere tutto il lungo corridoio del “Nanga Parbat” , ma monsignor cerimoniere visto l’affollamento lo ha dolcemente spinto all’indietro. Le due madri missionarie che erano rimaste disciplinatamente al loro posto hanno perduto l’occasione di baciargli la mano e di raccontargli dei morti di fame, dei lebbrosi e degli appestati dell’ Assam. Sono le sette e un quarto (sempre ora italiana) e il Libano è sotto di noi. Dopo un quarto d’ora il Boeing 707 ha toccato con delicato e autorevole colpo di cloche del comandante Shirudkar la pista di Beirut; gli ultimi minuti di volo a bassa quota li abbiamo fatti quasi in riva al mare, tra cespugli fitti di tamerici dai quali sbucavano come formiche soldati armati di ogni tipo. Alcuni di essi hanno salutato agitando le braccia.
Paolo VI è apparso sulla vetta della scala di prima classe con un gran mantello rosso scarlatto, è sceso agilmente a terra e subito è stato circondato da sacerdoti vestiti di rosso e di nero con grandi barbe e volti bruni di libanesi e di siriani. Si è fatto incontro il cardinale Taupouni, piccolo e segaligno, con due occhi vivi e neri come il carbone che si sono appuntati in quelli grigi del Pontefice, prima che questi si avviasse a passo rapido e con il braccio alzato in segno di saluto verso il picchetto d’onore schierato in armi.
A fianco di Paolo VI si è posto il presidente della repubblica libanese. Tutto lo spazio disponibile per il pubblico sugli spalti dell’aeroporto era gremito di suore e di preti cattolici di rito maronita e di rito melchita. Il Papa ha riscosso i loro fervidissimi battimani ogni vota che fermandosi a benedire le bandiere issate sulla baionetta dei capi plotone, alzava il braccio e l o spingeva oltre i soldati. Tra i prelati libanesi ho osservato attentamente Massimo IV, il patriarca cattolico di rito melchita. E’ un uomo duro, fermo, tarchiato, fiero sotto la sua piccola cappa nera che gli cala fin quasi sui mustacchi. E’ nota la sua funzione di punta nel Concilio in rivendicazione della priorità dei riti e delle comunità cattoliche orientali da lui considerate originarie. E’ nota anche la sua ferma posizione in difesa dell’uso delle lingue nazionali, soprattutto il greco, l’aramaico, e nel suo caso il francese, per lo svolgimento dei riti sacri. Ma è ancora più nota la sua rivendicazione della funzione dei patriarchi in rapporto a quella dei cardinali. Il Papa, nel suo saluto di risposta alla allocuzione del Presidente della Repubblica libanese ha ricordato per nome soltanto il cardinale Taupoumi.+Mentre Paolo Vi parlava ho avuto la sorpresa di vedermi accanto un giornalista svizzero della nostra comitiva improvvisamente trasformatosi in Cavaliere del Santo Sepolcro. Un gran mantello bianco con la croce greca rossa, un berrettone di velluto nero alla Raffaello, impettito e militarmente corretto egli testimoniava così la presenza del suo Ordine al seguito del Pontefice. Gli si è avvicinato un giovane sacerdote, di quelli che hanno posto in prima classe, e mi pare proprio che gli abbia fatto un cicchettone.
Paolo VI ha donato quarantamila dollari per i poveri del Libano: ventimila nelle mani del Presidente della Repubblica, ventimila nelle mani del Nunzio apostolico a Beirut. Poi abbiamo ripreso il volo e alle dieci e trenta (ora italiana) ci è stata servita la colazione. Sul frontespizio del menù figura una incisione della chiesa indiana di Nostra Signora Pullaparame, forse uno dei più antichi templi della cristianità. Si narra che sia stato fondato dall’incredulo apostata Tommaso, evangelizzatore dell’India nel 52 d.C.
Antonello Trombadori
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Dialogo di Dante e di Marco Polo
Si racconta che Dante e Marco Polo si incontrarono una sera del 1313, ad un banchetto che si tenne a Verona.
Il poeta si trovava lì in esilio, mentre il viaggiatore vi si era recato per curare alcuni affari di famiglia nelle campagne venete.
Quando Cangrande della Scala, signore della città, aveva annunciato che avrebbe dato quel banchetto, e si era sparsa la voce che ci sarebbe stato Marco Polo, gli abitanti erano stati presi da un autentico delirio, e per giorni avevano fatto a gara per farsi invitare.
"Avete sentito? Verrà Marco Polo!" "Il viaggiatore, quello che è stato in Cina!" "E nelle Indie, e nel regno dei Tartari!" "L'unico cristiano che abbia mai visitato quei luoghi..." "Si dice che sia diventato persino un dignitario del Gran Khan!" "Chissà quante cose ha da raccontare..." "Non me lo perderò per nulla al mondo!!"
Così, quando le carni di fagiano speziate stavano ancora finendo di cuocere, e le botti di vino erano ancora mezze piene, e i violoni e le tiorbe avevano suonato appena la metà delle loro danze, intorno a Marco Polo si era già formato un capannello di curiosi, che pendevano dalle sue labbra, accalcandosi e sgomitando per vederlo meglio, mentre lui li affabulava con i suoi racconti.
"Capito, quindi, come vengono incantati i pesci per dare ai tuffatori il tempo di pescare le perle al largo di Baccalàr? Pensate invece che poco più a nord, nel reame di Basma, le scimmie vengono depilate, truccate e vestite da damigelle...e il cammello, in Madagascar, viene arrostito così...davvero, i Bregomanni vanno in giro con i genitali all'aria, perché ragionano così: se non li usi per molestare fanciulle innocenti, che motivo hai di coprirli? Chi li copre, secondo loro, ha qualche cosa da nascondere..."
Dante ascoltava da lontano. Seduto in un angolo buio, ignorato da chiunque, se ne stava tutto solo con le sue fantasie, e in particolare rimuginava su un verso dell'Inferno che proprio non riusciva a completare. "Non ti curar di lor...ha la sonorità di un cane che mastica...Non ragioniam di lor, ma guarda e passa: ecco! Mi pare che fili molto meglio..."
E intanto la voce di Marco Polo cresceva sempre più di tono. "A quel punto l'aquila scende in picchiata e afferra il pezzo di carne a cui il diamante è rimasto incollato" gesticolava, mimando con le mani il volo dell'uccello. "Lo lascia cadere nel suo nido, in cima a un picco altissimo, ed è là, care signore, che gli abitanti di Maabàr, arrampicandosi, vanno a raccogliere il tesoro!"
Dante vuotò l'ennesima coppa di vino, e riprese a strizzarsi le tempie. "Ma non sarà troppo arrischiato condannare Celestino tra gli ignavi? Tutti credono che sia stato un santo a non sporcarsi le mani con la corruzione della Curia. Ma per me è stato solo un vile...giuro! Sarà un mio limite, ma..."
"Ehi" lo interruppe una voce. "Va tutto bene?"
Dante alzò lo sguardo da terra. Era proprio lui, Marco Polo, l'anima della festa, che gli stava rivolgendo la parola.
"Tu sei Dante Alighieri, giusto?"
"Sì" si alzò il poeta, ciondolante. "Mi sembra di sì".
"Ma è vero quello che si dice?" bisbigliò Marco Polo. "Che stai componendo un poema su un viaggio nell'aldilà?"
"In teoria sì" arrossì Dante. "Ma perché dovresti perderci il tuo tempo? Non ho voglia di distrarti con le mie sciocchezze. Hai così tanti impegni...dovunque tu vada, c'è una folla di persone ad aspettarti, ansiosa di ascoltare i tuoi racconti su quei paesi esotici...
Se solo sapessi quanto ti invidio, Marco! Lasciare l'Italia con le sue miserie, e girare per il mondo, andare in Cina, nelle Indie, nel regno dei Tartari! Conoscere tante culture diverse, tante religioni diverse, tante lingue diverse! E chissà di quante e quali donne ti sei innamorato laggiù...insomma, nessun altro che io conosca ha l'esperienza che hai tu. Nessun altro può raccontare avventure come le tue. Sappi che ti invidierò per sempre!"
Marco Polo sospirò profondamente.
"Invidiarmi?" sorrise, malinconico.
"Tu credi davvero che io meriti di essere invidiato?"
Si riempì anche lui una coppa.
"Non sai quanto ti sbagli" riprese. "Riflettici. Quando sto seduto al centro della festa a sciorinare i miei racconti, che cosa ammira la gente di me? Che cosa trovano in me di interessante?
Nulla. Si interessano solo alle cose che ho visto nei miei viaggi, che esistono a prescindere da me. Fra quelli che mi rivolgono la parola, nessuno parla mai con Marco Polo: parlano tutti con le Indie. Togli da me le Indie, e non ci resterà più niente.
Tutta questa attrazione per i paesi lontani, poi, da cosa nasce? Pensi che se Kambalù fosse fatta come Verona, e il vino di linfa di Samarra avesse lo stesso sapore del rosso di Borgogna, la gente se ne interesserebbe?
No, ti dico, perché l'interesse scatta in automatico di fronte a ciò che è diverso da quello a cui siamo abituati. Così come i nani, i pazzi o le barzellette ci fanno subito ridere, i popoli lontani ci fanno subito incuriosire. Non serve nessuno sforzo. Non occorre nessun contributo personale.
E lo stesso valeva quando ero in Oriente. Un uomo rosa maiale, col nasone e un accento bislacco: già solo questo bastava a far girare tutti per strada, a farli accorrere intorno a me con mille domande. Che merito ne avevo io? Qualunque italiano ci fosse andato, quelli avrebbero avuto la stessa reazione.
E veniamo agli amori che ho vissuto in Oriente. Di cosa credi che fossero fatti?
Quante di quelle ragazze amavano Marco Polo, e quante invece amavano lo Straniero Misterioso? O peggio, quante amavano il puro brivido di poter raccontare alle amiche di aver avuto una tresca con lo Straniero Misterioso?
E io stesso, di quante ragazze ho amato solo gli occhi a mandorla! O la pelle scura! O il brivido di baciarle pur sapendo che nella loro cultura gli adulteri finiscono scuoiati vivi!
Quante volte mi sono innamorato di una situazione, e non di una persona!
Insomma Dante, io sono stato solo un tramite, solo un vetro in cui due civiltà si sono specchiate, una dopo l'altra, senza che io potessi fare niente per cambiarle. Lascia passare qualche secolo, e vedrai che questi miei racconti, che oggi vanno così di moda, saranno ignorati da tutti".
Mandò giù il vino fino all'ultima goccia e poi se ne versò dell'altro.
"E adesso esaminiamo la tua vita.
Per cominciare ti sei sempre dedicato alla politica. Non hai smesso un attimo di lottare per il bene di Firenze, dell'Italia e dell'Impero, neanche quando farlo metteva in pericolo la tua incolumità. Hai perso ore e ore appresso alle piccole beghe di partito, dei Bianchi e dei Neri, dei Ghibellini o dei Guelfi.
Ebbene: quando io sono scappato dall'Italia come un coniglio, e sono andato ad arricchirmi nelle Indie, pensi che avrei mai potuto farlo, se a loro volta le Indie non avessero avuto qualcuno che aveva deciso di restare lì a lottare per renderle un Paese accogliente? Ci avrei trovato solo macerie, se anche l'India non avesse avuto i suoi tanti piccoli Dante, i suoi tanti piccoli partiti bianchi o neri. Ricordalo: dietro le avventure di quelli come me, c'è sempre la fatica di quelli come te.
E poi hai coltivato la poesia. Lo sai? Anche la lingua poetica ci stupisce perché è diversa da quella a cui siamo abituati. Ma per ottenere questo effetto ci vogliono anni di sforzi, di cure, di intuizioni, di ragionamenti, di colpi di genio. Ci vuole una lenta e costante educazione del gusto, che solo in pochissimi eletti si compie pienamente. Una bella poesia non la trovi camminando verso Est per mille miglia, e neanche per diecimila. Devi rendere la tua anima in grado di crearla, e non ci sono scorciatoie: che tu ci riesca dipende soltanto da te.
Così, al poeta accade l'opposto di quello che accade al viaggiatore. Quando chiama in causa nei suoi versi un elemento del mondo reale, quell'elemento acquista valore solo grazie alla sua mente e al significato che gli ha attribuito.
In India ho sentito più volte la storiella degli scacchi e dei chicchi di riso, ma che ne diresti se come il doppiar degli scacchi s'immilla fosse associato all'apparizione di una schiera infinita di angeli?
Ho visto tante barche filare così veloci che sembravano volare, ma se dei remi facemmo ali al folle volo fosse detto da un gruppo di compagni che si è lanciato verso l'ignoto, travalicando ogni limite umano? Quell'espressione non diventerebbe molto più possente e più sublime?
È per questo che i costumi delle indiane del Duecento, quelle con cui ho avuto le mie storie, presto non interesseranno più a nessuno, mentre della donna che hai amato tu...beh...chiunque ricorderà già solo la maniera di salutare. È il senso che tu hai dato a quel saluto a renderlo immortale.
E a proposito di immortalità...se davvero hai deciso di descrivere un viaggio ultraterreno, la tua è la vita più preziosa e più invidiabile che esista.
Affiancare altri mondi al mondo che noi conosciamo! Mondi eterni, incorruttibili, che parleranno all'uomo del Seicento come a quello del Trecento e all'uomo del Duemila come a quello del Seicento...mi vengono le vertigini solo a pensarci!
Fra molti anni, quando gli uomini leggeranno il mio resoconto della grande battaglia tra Kublai e Najan, a cui presero parte 400.000 soldati e dove l'urto delle cavallerie fu udito in tutta l'Asia, lo troveranno piuttosto indifferente per la loro vita.
Quando invece leggeranno i tuoi versi sui dannati e sui beati e sulle loro sofferenze, non potranno rimanere indifferenti.
Sarà a te che intitoleranno scuole in tutta Italia, non a me, e sarà il tuo viso, non il mio, a finire sbalzato su una moneta come il viso di un re.
Va' avanti per la tua strada, allora, e lascia ad altri la seccatura di attirare l'attenzione nelle feste.
Per viaggiare in questo mondo basta essere ricchi...per viaggiare in altri mondi si deve essere geni".
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Volano gli affari di Autogrill In tre anni ricavi per 5,3 miliardi
Cinque miliardi di euro di ricavi in tre anni, per una crescita tra il 4,5% e il 5% annua. È ambizioso il Piano strategico di Autogrill, presentato oggi dall’ad Gianmario Tondato Da Ruos. Secondo il manager, grazie alla "posizione di leader globale" e alle "capacità di innovazione" unite alle e "migliori competenze operative del settore", Autogrill potrà "accelerare la propria crescita ed espandere ulteriormente il proprio business", approfittando di un contesto di mercato "caratterizzato da prospettive favorevoli".Nei prossimi tre anni l’azienda prevede di “poter contare su risorse fino a 1,5 miliardi di euro da investire nella crescita”. Nello specifico, Autogrill vuole proseguire con "la crescita dei ricavi nei canali strategici", ovvero aeroporti e stazioni ferroviarie, «sia per linee interne, che attraverso operazioni straordinarie, espandendo al contempo la presenza in segmenti di mercato contigui», ha detto Gianmario Tondato Da Ruos. La strategia messa a punto dall’azienda fa leva su un "miglioramento della redditività grazie a nuovi concept", sull'innovazione e su "azioni mirate su tutte le componenti del conto economico. Operiamo - ha detto l’ad - in un ambiente favorevole perché 'eating is the new shopping' (mangiare è il nuovo modo di fare shopping)». Secondo le stime indicate dall’amministratore delegato di Autogrill, «il traffico aereo e i servizi di ristorazione a livello globale cresceranno di oltre il 25% nei prossimi 5 anni». Perno della strategia di Autogrill è la diversificazione geografica a livello mondiale e l'allocazione dei capitali, con il 70% degli investimenti nel settore aeroportuale nel Nord America, il settore autostradale con una durata media delle concessioni di 9 anni, poi ci sono le che stazioni consentono una strategia differenziata di crescita. Quanto alle aree geografiche, in Europa l'Olanda ha visto raddoppiare i ricavi dai 115 milioni del 2014 ai 224 del 2018, il Vietnam li ha visti quintuplicare da 10 a 48 milioni e la Cina triplicare in soli due anni, dai 4 milioni agli 11 del 2018, mentre in India si sono decuplicati dai 3 milioni del 2008 ai 33 del 2018.
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Americani e iraniani uniti da amore per un tappeto
Il tappeto persiano avvicina sempre più iraniani e americani, che soprattutto dopo la fine del mandato di Barack Obama, hanno due governi decisamente ostili, ma che si stimano sempre più per questa arte e per il piacere degli affari. Con l'importazione di 196 milioni di dollari di tappeti di valore, gli Stati Uniti nel 2016 sono diventati il primo importatore del rinomato prodotto persiano, ha assicurato il direttore del Centro nazionale iraniano per il tappeto, Hamid Kargar. Hamid Kargar ha spiegato che nei primi 4 mesi, successivi al 20 marzo (l'inizio dell'anno persiano), l'esportazione complessiva di tappeti dell'Iran e' stata di 89 milioni di dollari, mostrando un incremento del 7% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente; in esso, la vendita complessiva e' stata di 360 milioni di dollari, un buon risultato che pero' e' ancora modesto rispetto ai 635 milioni di dollari annui del periodo pre-sanzioni. I tappeti dell'Iran andavano molto forte negli Stati Uniti fino al 2010, quando le sanzioni internazionali hanno costretto i clienti dei capolavori artistici delle donne persiane ad accontentarsi di manufatti meno pregiati ed anche meno costosi provenienti da nazioni come Pakistan, India, Turchia e Cina. La stessa Cina, ora, ha ripreso a importare i tappeti. Dal gennaio 2016, dal famoso implementation day, il giorno in cui l'accordo nucleare tra l'Iran e le sei potenze (JCPOA), è entrato in vigore, i tappeti sono ritornati negli States con la gioia e l'euforia dei venditori e degli appassionati. La rete satellitare iraniana Press TV, ha pubblicato le immagini dei primi carichi di tappeti che venivano aperti nelle gallerie e nei negozi delle citta' americane, con i proprietari addirittura commossi dalla gioia. E il 23 agosto alla Fiera internazionale del tappeto di Teheran, il supremo tempio dell'arte del tappeto a livello mondiale, ha visto partecipare per la prima volta anche 14 società statunitensi, riferisce l'agenzia di stampa Tasnim. Nel mercato degli Stati Uniti, i tappeti persiani sono amati e richiesti, ed hanno un prezzo che varia dai 10 mila ai 200 mila dollari. Insomma l'amore per l'arte e la bellezza, sembra proporsi come parziale antidoto alle politiche anti-iraniane di Trump. Anche perchè, secondo gli ultimi dati, stanno crescendo nettamente anche le esportazioni di pistacchio, zafferano e caviale iraniano negli Usa. D'altro canto, anche l'Iran ha firmato l'accordo con la Boeing per un acquisto storico di aerei. Insomma, la qualità mette tutto al secondo posto e sta mostrando sempre più che i due popoli si apprezzano e si rispettano. Iraniani e americani tra l'altro sono stati vicini nella tristezza per la morte precoce del genio della matematica mondiale, l'irano-statunitense Maryam Mirzakhani, venuta a mancare all'età di 40 anni per un tumore al seno. Ad avvicinare i due popoli e' anche il turismo, con sempre maggiori gruppi americani che scelgono di visitare le bellezze archeologiche dell'antica Persia. Ad ogni modo, la speranza di riavvicinamento tra i due paesi, fattasi molto forte nel periodo Obama e poi indebolita con l'avvento di Trump, ora sta nelle mani di imprenditori, turisti e scienziati, che hanno assunto il ruolo di emissari di pace. L'Iran intanto spera di riprendersi la sua quota di mercato anche nel mondo del tappeto (dopo il petrolio), e secondo Kargar, punta come sempre sulla qualità, il design ed i colori. Anche il tappeto è un qualcosa di vitale per Teheran, visto che si aggira sul milione di persone, il numero di artisti, soprattutto di sesso femminile, che in Iran lavora in questo settore dell'artigianato, che vanta una storia di 2500 anni. L'arte del tappeto e' per lo più un'arte famigliare, e molte donne nei villaggi, iniziano ad imparare per amore; infatti vogliono realizzare con le proprie mani, il tappeto che porteranno come parte della dote a casa del marito. Tabriz, Qom, Isfahan e Kerman sono le quattro località cittadine con i tappeti più famosi, tra 205 località riconosciute e certificate dall'Organizzazione iraniana per il Patrimonio Culturale, il Turismo e l'Artigianato. E' degno di nota che oltre ai tappeti cittadini vi sono anche quelli nomadi, con disegni solitamente geometrici, i cui più famosi sono i Qashqai, i Bakhtiari, i Beluci ed i Turkmeni. di Davood Abbasi Click to Post
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Mi potete dire che Oxford street e Regent’s street siano in assoluto le due vie più importanti di Londra, per lo shopping, i negozi, le luci di Natale o per i turisti. Poco importa, per me la via più importante e più bella di Londra rimane una e una sola: Camden High street. Il gergo popolare ormai ha fuso la strada con il noto quartiere di Camden Town, e spesso viene chiamata semplicemente Camden.
Si può dire che la via inizi dalla fermata di Camden Town station e si estenda verso nord fino a Camden Lock, un luogo che mi ha sorpreso e che non avevo visitato nella mia precedente visita londinese.
Camden Town, anche a distanza di tredici anni dalla prima volta, emana sempre quell’aura di anticonformismo e a volte indifferenza verso tutto ciò che è normale per noi comuni mortali, mentre sei normale se sei fuori dagli schemi. Questo almeno è quello che mi pare di vedere.
Uscire dalla metro e come prima cosa incontrare due ragazzi in camicia che sostengono un cartello con scritto “Tatoo” è il biglietto da visita di questa strada. Forse Camden non è poi così cambiata, penso. E allora, camminando piano piano scruto per prima cosa i vari negozi se ci sono ancora due cose che avevo visto tempo indietro. Si vendono dai più classici souvenir, alle cover per cellulare in legno alle mitiche, e ormai sorpassate in Italia, scarpe Buffalo – ve le ricordate? Scarpe nere con la zeppa alta di circa dieci centimetri – qui ancora in voga. Ogni tanto sfreccia qualche double decker rosso e qualche taxi nero, a ricordarmi che Londra, quella dei giorni nostri, è ancora viva e poco distante.
La visita prosegue. Non ci entriamo, ma mi metto proprio all’ingresso del Camden Market, dove continuo a cercare tra le magliette da calcio delle squadre e tra i pantaloni in pelle. Niente, neanche qui non ci sono. Che cosa cerco? Per anni Camden Town è stata simbolo della trasgressione e del proibito, anche quello per legge. Ed è proprio quello che cerco, ma solo per curiosità. Ricordo che durante la mia prima visita, c’erano delle bancarelle che vendevano, oltre alle solite cose, anche dei chupa chupa alla marijuana e dei funghetti allucinogeni, bellamente indicati da un cartellino con tanto di prezzo per quantità. Oggi non vedo niente di tutto ciò. La cosa magari viene fatta passare sotto banco, ma fino a una decade prima tutto veniva fatto alla luce del sole. Forse è stata data una stretta. Ok la trasgressione, ma entro certi limiti.
Mentre continuo a cercare tra i venditori, mi passano a fianco gli edifici colorati e decorati con scarpe giganti e draghi. Ragazzi di circa vent’anni in camicia a quadri, con pantaloni in pelle e capelli colorati di fucsia, verde o blu si aggirano con bottiglie di birra per la strada. Non mi accorgo che siamo arrivati a Camden Lock, una zona che prende il suo nome dalle chiuse situate nel Regent’s Canal.
Tra le perplessità di andare a vedere cosa ci sia e proseguire oltre, ci accorgiamo che dal punto dove ci troviamo sembra di vedere delle casette di legno dove fanno un po’ di tutto. Il fumo che esce ci stimola l’appetito e allora decidiamo di scendere. L’area sorge ai piedi di quella che una volta doveva essere una vecchia fabbrica abbandonata.
In questa enorme piazza, si danno appuntamento ogni giorno le cucine provenienti da tutto il mondo: Arabia, Messico, Etiopia, Italia, Colombia, Cina, Giappone, India e molti altri. Se volete mangiare qualcosa di particolare, siete nel posto giusto. Basta semplicemente trovare la bancarella che fa per voi, ordinare e gustare i cibi cucinati secondo le tradizioni locali.
La South Bank
Oltre alla visita a Camden Town, c’è un’ulteriore zona che vi consiglio di visitare. Accompagnati da una nostra amica che vive a Londra da circa una decina d’anni, partiamo dalla Cattedrale di San Paolo, famosa per aver unito in Matrimonio Lady Diana e il Principe Carlo nel 1981. Si trova nella zona della City, una zona che reputo bruttina, in quanto dedita agli affari e per lo più popolata da uomini perennemente di fretta vestiti in giacca e cravatta.
La cattedrale è a dir poco immensa, e mi ha colpito molto più di Westminster. Lasciandoci alle spalle la Cattedrale e scendendo verso il Tamigi, si arriva fino al Millennium Bridge, un ponte pedonale terminato nel 2000 ma che fu oggetto di aspre critiche e ribattezzato “ponte instabile” per le forti vibrazioni dovute al passaggio della gente. Oggi di tali vibrazioni non c’è traccia, ma la vista che si gode dalla fine del ponte crea l’illusione di finire dentro la cupola della cattedrale al termine della passeggiata.
Scesi dal ponte si percorre la South Bank, la riva sud del Tamigi una bellissima zona panoramica con vista sulla city. Da qui a piedi si raggiunge il Tower bridge e deve il suo nome all’antistante Torre di Londra. La passeggiata dal Millennium al Tower si snoda in circa un’ora, molto di più se fate tappa in qualcuno dei molti bar che si trovano lungo il percorso. La strada che costeggia il Tamigi non è sempre lungo la riva, a volte rientra e regala alcuni scorci che mi ricordano le atmosfere di Jack lo Squartatore. L’orario migliore è dopo il tramonto, quando si accendono le luci che illuminano, la city, il Tower e la South Bank.
La zona è molto popolata da persone di tutte le età che per varie ragioni si recano qui. Inutile parlarvi del Tower bridge o della city, quello che salta all’occhio, una volta attraversato il ponte apribile, è che dalla South Bank si alza imperioso The Shard, l’edificio costruito da Renzo Piano, una grattacielo di vetro alto 310 metri che sembra arrampicarsi nel cielo londinese.
Una cosa invidio: il municipio del comune di Londra si trova proprio qui con vista sul Tamigi, Tower bridge e torre di Londra. Con una vista del genere, chiunque andrebbe al lavoro col sorriso.
Weekend a Londra, cosa vedere tra Camden Town e South Bank Mi potete dire che Oxford street e Regent's street siano in assoluto le due vie più importanti di…
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INDIAN EVISA Official Government Immigration Visa Application Online FOR ITALIAN CITIZENS
Domanda di immigrazione online ufficiale per il visto indiano
Address : Vale dell Terme Di Caracella, 11, Roma, Italy
Phone : +39 06 887841
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Owner / Official Contact Name :Pietro Thomas Caitlin
Description :Il visto elettronico online consente ai viaggiatori idonei di ottenere facilmente il visto elettronico o il visto per visitare il paese per turismo, affari o transito in un altro paese. L'applicazione online per il visto indiano è il metodo di ingresso raccomandato dal governo in India. È un meccanismo elettronico che ti permette di entrare in India nel modo più semplice e veloce. Non è necessario visitare l'ambasciata indiana o il consolato indiano o presentare il passaporto. Inoltre non è necessario un timbro fisico sul passaporto. Puoi ottenere il visto elettronico via e-mail. Ci vogliono solo 2 minuti per compilare il modulo online e ottenere il visto elettronico via e-mail. Questo è un meccanismo online affidabile, sicuro, sicuro, semplice e affidabile. Ottieni il visto indiano via e-mail invece di visitare l'ambasciata indiana. Il modulo di domanda online per il visto indiano è disponibile per tutti i cittadini statunitensi, europei, britannici, australiani, neozelandesi e canadesi. domanda online di visto indiano, domanda online di visto indiano, domanda online di visto indiano, domanda di visto indiano online, evisa india, india evisa, visto d'affari india, visto medico india, visto turistico india, visto indiano, visto indiano, visto indiano online, visto indiano online, visto per l'india, visto per l'india, evisa indiana, evisa india, visto per affari indiano, visto turistico indiano, visto medico indiano, centro di richiesta visto per l'india, visto indiano per cittadini coreani, visto indiano dalla corea. visto urgente per l'india, emergenza visto per l'india. visto indiano per cittadini tedeschi, visto indiano per noi cittadini, visto indiano per cittadini canada, visto indiano per cittadini neozelandesi, visto indiano per cittadini australiani. Visto indiano per cittadini di Andorra , Visto indiano per cittadini di Anguilla , Visto indiano per cittadini australiani , Visto indiano per cittadini austriaci , Visto indiano per cittadini delle Bahamas , Visto indiano per cittadini delle Barbados , Visto indiano per cittadini belgi , Visto indiano per fr. La Vergine è. The online electronic visa allows eligible travellers can easily obtain their eVisa or Visa to visit the country for tourism, business purposes, or transit to another country. Indian Visa Online Application is the government recommended method of entry into India. It is an electronic mechanism which allows you to enter India in the quickest and easiest way. You do not need to visit Indian Embassy or Indian Consulate or submit your passport. Also you do not require a physical stamp on the passport. You can get the eVisa by email. It takes only 2 minutes to fill the form online and get the electronic Visa by email. This is reliable, secure, safe, simple and trusted online mechanism. Get Indian Visa by email instead of visiting Indian embassy. Indian visa online application form is available for all usa citizens, european, uk, australia, new zealand and canadian residents. india visa online application, indian visa online application, india visa application online, indian visa application online, evisa india, india evisa, india business visa, india medical visa, india tourist visa, india visa, indian visa, india visa online, indian visa online, visa to india, visa for india, indian evisa, evisa india, indian business visa, indian tourist visa, indian medical visa, india visa application centre, indian visa for korean citizens, indian visa from korea. urgent india visa, india visa emergency.
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Volano gli affari di Autogrill In tre anni ricavi per 5,3 miliardi
Cinque miliardi di euro di ricavi in tre anni, per una crescita tra il 4,5% e il 5% annua. È ambizioso il Piano strategico di Autogrill, presentato oggi dall’ad Gianmario Tondato Da Ruos. Secondo il manager, grazie alla "posizione di leader globale" e alle "capacità di innovazione" unite alle e "migliori competenze operative del settore", Autogrill potrà "accelerare la propria crescita ed espandere ulteriormente il proprio business", approfittando di un contesto di mercato "caratterizzato da prospettive favorevoli".Nei prossimi tre anni l’azienda prevede di “poter contare su risorse fino a 1,5 miliardi di euro da investire nella crescita”. Nello specifico, Autogrill vuole proseguire con "la crescita dei ricavi nei canali strategici", ovvero aeroporti e stazioni ferroviarie, «sia per linee interne, che attraverso operazioni straordinarie, espandendo al contempo la presenza in segmenti di mercato contigui», ha detto Gianmario Tondato Da Ruos. La strategia messa a punto dall’azienda fa leva su un "miglioramento della redditività grazie a nuovi concept", sull'innovazione e su "azioni mirate su tutte le componenti del conto economico. Operiamo - ha detto l’ad - in un ambiente favorevole perché 'eating is the new shopping' (mangiare è il nuovo modo di fare shopping)». Secondo le stime indicate dall’amministratore delegato di Autogrill, «il traffico aereo e i servizi di ristorazione a livello globale cresceranno di oltre il 25% nei prossimi 5 anni». Perno della strategia di Autogrill è la diversificazione geografica a livello mondiale e l'allocazione dei capitali, con il 70% degli investimenti nel settore aeroportuale nel Nord America, il settore autostradale con una durata media delle concessioni di 9 anni, poi ci sono le che stazioni consentono una strategia differenziata di crescita. Quanto alle aree geografiche, in Europa l'Olanda ha visto raddoppiare i ricavi dai 115 milioni del 2014 ai 224 del 2018, il Vietnam li ha visti quintuplicare da 10 a 48 milioni e la Cina triplicare in soli due anni, dai 4 milioni agli 11 del 2018, mentre in India si sono decuplicati dai 3 milioni del 2008 ai 33 del 2018.
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Migranti. Zitti tutti, facciamo chiarezza. Dall’Africa non vengono i delinquenti, ma i più dotati: l’Europa, che sta vertiginosamente invecchiando, ha un gran bisogno di loro
L’uomo che si cela dietro lo pseudonimo Roberto Morel è uno stronzo.
Se si degnasse di rispondere alle chiamate potrei darvi dati più precisi. Potrei fornire le date della sua formazione accademica incentrata sullo sviluppo dell’Africa. Potrei registrare con precisione la miriade di viaggi e soggiorni da volontario prima e da cooperante dopo. Potrei indicare con precisione i progetti cui ha partecipato e che ha diretto, mosso da umanità iconica e da una prospettiva profonda come l’amore di una madre. Invece a braccio e a memoria, con affetto e non senza una buona dose di sincerità, dal momento che siamo amici da oltre un decennio, posso dire appunto che è stronzo… senza mistificazione o tema di smentita, nel modo più obiettivo e sulla base della verifica di molte fonti attendibili.
Ci siamo incontrati per il piacere di stare uno in fronte all’altro, in un momento in cui è costretto a malincuore all’esilio temporaneo dalla Nigeria a causa della necessità di cure mediche. Come accade ogni rara volta che riusciamo a incontrarci di persona, in virtù di una sua breve vacanza, l’ho spremuto avidamente di informazioni e di chiarimenti su alcune delle dinamiche geopolitiche di cui è professionalmente esperto.
Nella miseria culturale di questo angolo di universo, intrappolato nella realtà virtuale adulterata e ipnotica, languivano le anelate informazioni e i dati necessari al formarsi d’una prospettiva critica il più possibile prossima all’obiettività, in merito al tema della grande migrazione in corso.
Negli ultimi tempi l’obbligo contrattuale alla presenza social, mi costringeva a prendere atto dell’estrema forza della propaganda antiafricana leghista e dell’enorme presa della sua comunicazione sulla propria base in espansione. Avvertivo la necessità di approfondire e travalicare i limiti del buonsenso, edificato sulla base di una formazione storica lacunosa e farraginosa ma piuttosto estesa. Non ritengo sia il caso di ammorbare il lettore con riflessioni in merito alle politiche coloniali europee, o di porre l’accento sul fatto innegabile che dopo millenni di schiavitù la predisposizione d’animo dell’africano nei confronti del proprio oppressore potrebbe essere ragionevolmente più aspra. Si pensi per antitesi a come reagirono Osso, Mastrosso e Carcagnosso quando, al sole torrido della Toledo del XV secolo, scoprirono che la propria sorella non era più una bambina. Si pensi a quel delitto d’onore e a sei secoli d’ammazzamenti utili a possedere campi di pomodori raccolti per sedici ore al giorno senza diritti, in cambio di due caffè l’ora. Chicchi tostati e raffinati poi che abilmente predati dalla terra che per l’africano schiavo fu casa.
Il lavoro del politico consiste in buona parte nello sciorinare numeri e dati, manipolati secondo il proprio tornaconto professionale per dimostrare urgenza e necessità di interventi e investimenti. Se non si giunge sempre a falsificare i numeri non è escluso che ciò accada, ma in ogni caso la prassi prevede che i ragionamenti si svolgano a partire da considerazioni su statistiche elette ad arte a strumento retorico, in un gioco di chiaroscuri. Sofismi e demagogia.
Alla stregua d’un politico, fornirò nei prossimi periodi una serie di numeri e dati, che sebbene non siano manipolati nella maniera più assoluta, potrebbero risultare un poco approssimati perché citati a memoria o non aggiornati alla data odierna. Una lieve imprecisione delle cifre sarebbe comunque irrilevante ai fini della comprensione delle conclusioni che si trarranno dall’analisi delle stesse. I dati sono reperibili tramite la navigazione dei siti istituzionali dei ministeri dell’Interno e degli Affari Esteri.
La vocazione di Roberto Morel per il proprio lavoro deriva da enorme senso morale di giustizia. Sicuramente da una buona dose di solidarietà di specie, forse da un pizzico di senso di colpa per la propria fortuna d’essere nato in angolo ricco di mondo, comunque risolto nell’azione e nel rimediare.
La prima cosa di cui mi dice quando lo interrogo in merito alla migrazione è che è incazzato come una biscia a causa delle mistificazioni e delle omissioni di ogni media, in merito alla realtà di ciò che quotidianamente accade a centinaia di migliaia di esseri umani. Mi dice che nessuno o quasi si degna di comunicare all’opinione pubblica ciò che realmente costituisce il crogiuolo dei motivi del fenomeno in corso.
Comincia sfatando il primo dei falsi miti: i migranti sono delinquenti e scarti umani. No, nella maniera più assoluta. Quando un nucleo familiare investe in una partenza, nella speranza di migliorare la propria condizione economica, quando spende fino a 5.000 dollari per mandare un membro della propria famiglia in Europa, sceglie il più sveglio, il più dotato, colui che ha maggiormente studiato e che possiede un mestiere. Mi racconta brevemente di un amico senegalese, ora sposato con una donna italiana e felicemente integrato, che giunse in Italia dopo aver conseguito due lauree in lingue (ne parla quattro), una a Dakar e una in India, e lavorò come ambulante abusivo in spiaggia per due anni.
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Entra poi nel vivo di quello che mi segnala come l’argomento principe del dibattito. La popolazione europea corrisponde a circa 700 milioni di individui, per un’età media di circa cinquant’anni. Gli africani sono 1 miliardo e 200 milioni, per un’età media fra i venti e i venticinque anni circa. La Nigeria, stato più popoloso d’Africa, ha una media di 5,1 figli per coppia; l’Italia si attesta intorno all’1,1. Nel 2050 gli africani avranno superato abbondantemente il miliardo di individui. Dai dati sopracitati, si evince che la popolazione giovane africana corrisponde approssimativamente alla totalità della popolazione europea. Roberto mi dice …di conseguenza questo è l’antipastino. Mi parla poi di Salvini e della sua malafede nel sostenere che gli africani ci cacceranno dall’Italia e cancelleranno la nostra cultura. “Mente sapendo di mentire”, così dice lui. Il 2017 è stato l’anno della significativa riduzione degli sbarchi. Sono giunti in Italia 120 mila migranti. La domanda che interessa porsi è la seguente: quanti si sono fermati? Le stime dicono che circa la metà di coloro che giungono in Italia si spostano verso gli altri paesi europei e questo comporta, per il 2017, la permanenza di circa 60.000 africani. Nel 2017 la popolazione africana sbarcata in Italia e tuttora presente sul territorio corrisponde dunque allo 0,1% circa (60 mila : 60 milioni = x : 100; 60 mila x 100 diviso 60 milioni). Sarebbe esemplificativo un tour degli accampamenti di Ventimiglia, per prendere visione del continuo ricambio della loro popolazione.
E allora dove sta l’invasione? Dove sono questi qui che non se ne stanno a casa loro e che vengono a rubarci il lavoro e fare la pacchia? Fantasmi, spettri, mostri, l’uomo nero sotto il letto o dentro l’armadio.
Un altro luogo comune, un mito da sfatare, è il discorso delinquenziale. L’avversione al rischio influisce molto quale deterrente al crimine per gli immigrati. Sono un essere umano che sta conseguendo un sogno, sono in un paese ricco, provengo da uno povero, ho la possibilità di aiutare il mio nucleo familiare, di dare un futuro alla mia prole. Per quale motivo, dopo aver affrontato il viaggio, i sacrifici e la spesa, dovrei rischiare di compromettere tutto ed essere rimpatriato? Sarebbero riflessioni intuitive e semplici, se fosse concesso di pensare e utilizzare un cervello meno inquinato dal bombardamento mediatico e ripeto propagandistico.
Al momento i principali teatri di guerra e scempio sono Sudan (regione del Darfur), Repubblica Centrafricana e Congo belga. La maggior parte dei rifugiati del Sudan sono accolti in Uganda e si calcola l’esodo di 500 mila abitanti del Darfur verso il Chad. La Repubblica Centrafricana ha rifugiati sparsi ovunque e una moltitudine di sfollati interni. I congolesi sono accolti in una dozzina di paesi africani, fino al Sudafrica, che si trova a circa 3.000 chilometri di distanza.
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La polveriera libica rappresenta per i migranti il peggiore degli incubi. In seguito alla guerra civile del 2011 e all’intervento militare dell’Onu, si è visto l’instaurarsi di due distinti governi su linee tribali. Tripoli e Cirenaica si contendono risorse e dominio in uno stato di costante guerra civile. “Macron si fa bello, col presunto ruolo di mediatore, ma di fatto non fa che organizzare armistizi della durata di un giorno”. Chi approfitta della situazione sono i capi tribù e i piccoli signori della guerra che vantano una forte influenza sulle popolazioni. Non esiste più il controllo, le forze dell’ordine: tutto è affidato al caso, alla prepotenza e alla violenza. Non ci sono frontiere.
I migranti che giungono in Libia vengono arrestati e condannati a sei mesi di prigione. In funzione della convenienza, le donne vengono poi vendute a trafficanti d’esseri umani, schiavisti, che costringono alla strada nel ruolo di prostitute. Gli uomini, oggetto di compravendita, vengono sfruttati per le peggiori mansioni immaginabili. Esistono pochi casi in cui il migrante possiede denaro sufficiente ad acquistare la propria vita e viene quindi liberato.
L’Italia si è macchiata dell’infamia di stringere accordi con la criminalità libica: evidentemente il Governo, aduso ai compromessi e ai traffici con la mafia, non ha voluto mancare l’occasione di sfruttare una competenza consolidata. I protagonisti dell’aberrazione sono molteplici e le fonti riguardanti l’argomento di facile reperibilità. La sostanza degli accordi prevede aiuto economico e finanziamento in cambio del sequestro dei migranti sul territorio libico.
L’unico motivo per cui, nel 2018, si registra un calo del flusso degli sbarchi dei gommoni (non delle migrazioni), pari all’80%, è che le tribù libiche ricevono finanziamenti per non far partire i migranti. Sicuramente gli accordi prevedono il trasferimento di liquidi oltre alla costruzione e ricostruzione di infrastrutture quali aeroporti e pozzi petroliferi (o la donazione di dodici motovedette alla Guardia Costiera libica).
Esiste un rapporto dell’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che utilizza esplicitamente il termine lager per definire i campi in cui vengono custoditi i migranti, in condizioni disumane. Le celle non sono areate. Vengono malmenati, torturati, mal nutriti. Sono privi di qualsiasi diritto.
Ciò che rende il fenomeno della migrazione dall’Africa necessario e inarrestabile è l’aspetto demografico di cui si ragionava in apertura. Non si può pensare di mettere un tappo disumano in Libia, o di finanziare il Marocco per la costruzione di muri a Ceuta e Melilla ed evitare così che uomini e donne giungano a piedi passando da Egitto e Turchia o in altro modo.
Secondo Roberto Morel, le strade percorribili sono solo due: bollare i migranti come nemici e intraprendere una lotta senza quartiere, cioè proseguire con le politiche correnti, oppure integrare. Integrare considerando una benedizione lo svecchiamento del continente. Ragionare di bilanci in considerazione del fatto che, per pagare le pensioni ai vecchi europei, ci devono essere giovani lavoratori. Beneficiare delle migrazioni strappando le risorse economiche versate ai trafficanti e destinandole invece ad ambasciate e consolati, che svolgano un ruolo di filtro per migrazioni concertate e pianificate. Finalizzare le migrazioni alla correzione delle lacune economiche: soddisfare, attraverso la richiesta di manodopera, la domanda specifica del mercato del lavoro. Opporre al traffico di esseri umani la diffusione della scolarizzazione e della cultura.
L’ipotesi di ospitare in Europa 2 milioni di Africani, in rapporto ai 720 milioni di abitanti indigeni, non è affatto sconsiderata. Non sposterebbe affatto gli equilibri sociali e antropologici, eviterebbe la radicalizzazione figlia dei maltrattamenti e delle violenze attualmente all’ordine del giorno.
Per quanto la politica tenti di distogliere l’attenzione dei popoli dalla realtà, essa prevede che la sfida dell’Europa sia attualmente quella di capire come distribuire i flussi secondo necessità e creare reale integrazione. Per comprenderlo, la domanda da porsi non è come posso tenerli lì? Ma: come posso integrarli qui? La sola Nigeria, nel 2050, avrà 400.000.000 di abitanti.
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Il fatto che il sindacalista malese Soumaila Sacko, recentemente assassinato a San Calogero, in Calabria, da un mafioso, non sia stato nominato fino a questo momento, non esclude che l’articolo sia dedicato alla sua memoria. Tutt’altro.
Luca Perrone
L'articolo Migranti. Zitti tutti, facciamo chiarezza. Dall’Africa non vengono i delinquenti, ma i più dotati: l’Europa, che sta vertiginosamente invecchiando, ha un gran bisogno di loro proviene da Pangea.
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