#valerio moro
Explore tagged Tumblr posts
Text
[...]
Nei giorni in cui sono state scritte tante parole su Toni Negri, deceduto nella sua casa di Parigi lo scorso 16 dicembre, appare davvero una grande occasione questo docu – film per ripercorrere, partendo proprio dalle vicende dell’Autonomia Operaia di cui lui è stato uno dei protagonisti, cosa sono stati quei giorni, quegli anni. Seppure siano passati oramai diversi decenni da quel 7 aprile del 1979, quando decine di persone, appartenenti o simpatizzanti o considerate vicine alla formazione di sinistra extraparlamentare Autonomia Operaia, furono arrestate in un’operazione che diede inizio a uno dei capitoli più discussi e controversi della storia giudiziaria italiana degli scorsi decenni. Una vicenda che coinvolse centinaia di persone ma che ebbe come protagonisti da una parte proprio il professor Toni Negri, dall’altra il magistrato Pietro Calogero. Siamo nei cosiddetti “anni di piombo” e delle stragi fasciste. Un anno prima c'è stato il rapimento di Aldo Moro e la sua uccisione. Vennero così adottate “leggi speciali” tra cui quella che permetteva di applicare il reato di associazione a delinquere alle organizzazioni politiche, e non solo a quelle mafiose. Negri fu accusato di aver partecipato direttamente al rapimento Moro, e addirittura di essere stato il telefonista delle Brigate Rosse che condusse le trattative. In realtà si dimostrò dopo che la voce brigatista era di Valerio Morucci. A denunciarlo fu un docente dell'Università, iscritto al Pci, che dichiarò di aver riconosciuto la voce di colui che teneva i contatti tra le Br e la famiglia del dirigente democristiano, come quella del collega.
Il processo si svolse con tempi lunghissimi e, secondo Amnesty International, in violazione dello stato di diritto. Gli imputati furono detenuti preventivamente in carcere per anni. Il processo cominciò soltanto nel 1983. A difendere ben 54 imputati di quel processo denominato 7 aprile e che fu diviso in due tronconi tra Padova e Roma, emerge la grande abilità di un giovane "compagno" avvocato: Enrico Vandelli. E proprio attraverso la sua esperienza che nella prima delle tre puntate si affronta la questione degli Autonomi padovani. E per la prima volta sono i diretti protagonisti a raccontare quegli anni. E sono davvero tanti visto quanto popolare era il movimento ai tempi, in pieni anni Settanta, è raro che ne parlino o concedano interviste. C'è una sorta di patto non scritto che da un lato obbedisce a un principio di lealtà, che non può comunque essere tradito anche se la storia si può dire ormai chiusa, un po' perché non la si vuole svendere, svilire, o rappresentare con una sola immagine consapevoli che nessuno ne è il solo custode visto che quanto vissuto è generato da una esperienza collettiva. Hanno sempre lasciato farlo ad altri ed è inevitabile poi che passi una sola fotografia della storia, in cui inevitabilmente c'è per forza una molotov.
Dal punto di vista giudiziario il processo si chiude quasi quattro anni dopo con la sentenza della Cassazione che elargisce pene miti e assolve imputati come Toni Negri perché crollano le accuse più gravi insieme al teorema Calogero. Nel film lo scontro tra due magistrati, Calogero appunto e Palombarini, viene ben illustrato.
La docu serie mette bene a fuoco il fatto che come ogni vicenda è fatta di persone e di vite. E il film, soprattutto nel primo episodio che è completamente dedicato alla vicenda degli Autonomi, rende bene l'idea di cosa fossero quegli anni. Affronta il tema della repressione, della carcerazione e pure della latitanza, che è tutto fuorché una vacanza. Racconta di giovani donne costrette a lasciare i figli per sfuggire a una nuova detenzione, come il caso della docente di scienze politica, Alisa Del Re. Se il racconto della sua fuga e come evita l'arresto ricorda la trama di un film di spionaggio, poi c'è la vita non vissuta, sospesa, che forse colpisce ancora di più. Nel film si sceglie di non parlare dei decessi dopo la carcerazione, come il caso del Professor Ferrari Bravo, ma si sente nelle parole di coloro che vengono coinvolti in questo racconto che le scelte convintamente fatte e portate avanti sono state tutte pagate. Anche alla giustizia.
L'avvocato Enrico Vandelli negli anni di quel processo accresce la sua fama, il suo volto finisce sui giornali e telegiornali nazionali di continuo. E come è ovvio che sia attira le attenzioni soprattutto di chi è malavitoso o detenuto. Tutti quelli che hanno bisogno di un buon avvocato. E lui ha dimostrato di esserlo. Così quando molti anni dopo arriva la chiamata la vede solo come una grande occasione, l'avvocato Enrico Vandelli. Anche economica visto che dal processo 7 aprile non ha certo guadagnato nulla. A rivolgersi a lui è infatti il boss della mala del Brenta, "faccia d'angelo", Felice Maniero. Sono anni completamente diversi in cui l'eroina insieme a un certo diffuso benessere prendono il posto delle contestazioni. E qui comincia una storia, soprattutto umana, completamente diversa. A tenere insieme la banda Maniero sono i soldi, la violenza, i ricatti. Non c'è una figura a lui vicina, madre esclusa, a cui non abbia fatto o procurato del male. Ha tradito chiunque lo ha servito, fino ad arrivare proprio al suo avvocato che di certo errori ne ha commessi ma non quanti gliene sono stati imputati. Eppure ha pagato più di Maniero. La condanna per mafia, l'addio forzato alla toga ma anche la latitanza e la detenzione. Straordinaria la testimonianza del figlio Michele, che racconta con la consapevolezza dell'adulto che è oggi come il passaggio da avvocato dei "rossi" a quello di un mafioso ha cambiato per sempre la sua vita. Nel docu-film il contributo dello scrittore Massimo Carlotto che rende omogeneo tutto il racconto e poi i protagonisti delle due vicende giudiziarie, non solo avvocati ma anche magistrati e procuratori. Una delle contraddizioni che emergono da quella fetta di storia italiana, è che lo Stato che ha trattato centinaia di giovani come criminali solo perché non volevano pentirsi né di ciò che non avevano commesso ma neppure di ciò che praticavano con convinzione, si è invece fidato di uno, Felice Maniero, che non si è fatto problema alcuno nel tradire tutti. Centinaia di persone. Se non fosse che si può comunque scappare da tutto ma non da quel che si è, Maniero in questi anni non l'avrebbe mai vista una cella e si sarebbe potuto godere tutti i giorni in libertà, perfino con una nuova identità.
[...]
youtube
2 notes
·
View notes
Text
Venezia: Fugu Project presenta “Stato d’imprevisto”
Giovedì 29 agosto 2024 inaugura alle ore 18:00 la mostra STATO D’IMPREVISTO con le opere di Valerio D’Angelo, Antonio Della Guardia, Daniele Di Girolamo, Greta Maria Gerosa, Mozzarella Light e Wang Yuxiang nei tre piani della Scoletta di San Giovanni Battista in Bragora nel Campo Bandiera e Moro a Venezia.Durante l’inaugurazione si terrà la performance Lime di Di Girolamo alle ore 19:30.La mostra…
0 notes
Link
0 notes
Text
Modena, capodanno festa per tutti all'aperto con luci e suoni
Modena, capodanno festa per tutti all'aperto con luci e suoni Modena saluta l'anno "vecchio" ed entra in quello "nuovo" con uno spettacolo unico, in anteprima mondiale, che combina musica e arte elettronica trasformando piazzale Sant'Agostino in un palcoscenico a cielo aperto: nella serata di domenica 31 dicembre, a partire dalle ore 23, dieci laser ad altissima precisione creano forme, oggetti e texture sul telo che copre la facciata dell'ex ospedale Sant'Agostino, unendola idealmente al Palazzo dei Musei e generando una proiezione monumentale di oltre 80 metri. Si intitola "20232024" la performance audiovisiva dell'artista tedesco Robert Henke: un'opera multimediale commissionata da Node Festival in cui ogni nota è al tempo stesso luce e suono e dà vita a un percorso raffinato, immersivo, in dialogo col luogo in cui si svolge e, per questo, unico. Lo spettacolo gratuito, che dura circa un'ora, è promosso dal Comune di Modena e curato da Node col sostegno di Fondazione di Modena e in collaborazione con Ago Modena Fabbriche culturali. A seguire è in programma l'aftershow di Electric Indigo. L'iniziativa è stata presentata in una conferenza stampa a Palazzo comunale a cui hanno partecipato Gian Carlo Muzzarelli, sindaco di Modena; Andrea Bortolamasi, assessore alla Cultura; Donatella Pieri, presidente di Fondazione Ago - Modena Fabbriche Culturali; Valerio Zanni, consigliere di amministrazione di Fondazione di Modena; Filippo Aldovini, direttore artistico di Node; l'artista Henke. Tra musica laser e proiezioni digitali piazzale Sant'Agostino, con gli edifici che vi si affacciano, non è solo lo spazio in cui si svolge lo spettacolo, bensì diventa parte stessa della scenografia, mostrando la sua vocazione di spazio a uso pubblico atto a ospitare eventi culturali. La scelta di riportare l'evento del 31 dicembre nel piazzale va letta anche in quest'ottica e alla luce degli importanti interventi di rigenerazione urbana che si stanno realizzando nell'area destinata a diventare un unico polo culturale, il principale della città. Piazzale Sant'Agostino costituisce, infatti, il naturale collegamento tra Palazzo dei Musei (sede di Gallerie Estensi, Museo Civico, Archivio Storico) ed ex ospedale Sant'Agostino con Ago e i nuovi spazi espositivi. La piazza è destinata a diventare essa stessa un luogo culturale aperto attraverso un percorso di riqualificazione e pedonalizzazione condiviso da Comune, Ago e Fondazione di Modena, oltre che allargato agli altri soggetti a partire dalle Gallerie Estensi. L'evento di Capodanno fonde i nuovi linguaggi della tecnologia con l'arte e la creatività nell'ambito di Modena città creativa Unesco per le Media arts; come hanno spiegato gli organizzatori, l'opera rappresenta l'ultimo stadio di ricerca nel percorso di esplorazione del laser come strumento di espressione artistica, sfruttando le proprietà del medium e spingendolo oltre le sue potenzialità più estreme. Dalla purezza del bianco assoluto all'oscurità quasi totale, da colori impossibili da ottenere mediante tecnologie video tradizionali a forme e fenomeni cinetici eleganti ed elaborati, tutti in profonda connessione con l'elemento sonoro a realizzare un'esperienza multimediale coinvolgente ed emozionante. Henke, conosciuto anche come Monolake e considerato tra i maggiori innovatori nell'ambito della produzione musicale contemporanea, fin dall'inizio della carriera ha intrecciato sperimentazione sonora e programmazione informatica, il lavoro di artista con quello di ingegnere del suono che costruisce i propri "strumenti". Lo spettacolo di Capodanno costituisce, infatti, la prosecuzione ideale di uno dei suoi show più popolari, "Lumiere", che ha debuttato al Centre Pompidou di Parigi nel 2015 e che ha portato anche in città nel 2016, ospite di Node, al Teatro Storchi. All'area dello spettacolo si accede da largo Moro e da via Emilia centro; all'entrata dello spazio adibito all'esibizione sono previste procedure di sicurezza con controllo a campione. Come previsto da un'ordinanza del sindaco, inoltre, in centro storico è vietata la vendita, cessione e somministrazione per asporto di ogni genere di bevanda in contenitori di vetro o lattine. L'obiettivo è evitare che le persone circolino con recipienti che possono risultare pericolosi ed è il motivo per cui si vieta anche di circolare con cosiddetti offendicula, facendo l'esempio specifico dello spray al peperoncino. La performance in piazzale Sant'Agostino è affiancata da altre proposte culturali in città. Il Teatro Storchi chiude, infatti, l'anno all'insegna della comicità con lo spettacolo "La macchina comica": dalle ore 22 il graffiante Natalino Balasso, l'attrice Marta Cortellazzo Wiel e gli allievi del corso di Alta formazione della Scuola di teatro Gazzerro diventano i protagonisti di una serata speciale di risate. Al Michelangelo, invece, spazio al musical "Footloose" sia domenica 31 dicembre (alle 21.30) sia lunedì 1 gennaio (alle 18): la Compagnia delle Mo.Re. mette in scena un adattamento teatrale dell'omonimo film, accompagnando la rappresentazione con un'orchestra dal vivo. E il primo giorno del 2024 appuntamento anche al Teatro Comunale Pavarotti-Freni: ritorna infatti, dopo l'esordio della scorsa stagione, il concerto di Capodanno eseguito dalla Filarmonica del Teatro Comunale guidata dal suo direttore principale Hirofumi Yoshida (ore 17.30). Approfondimenti online sul sito... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
Text
In Consiglio regionale nasce il gruppo “Grande Centro”
Cagliari. Si chiama Grande Centro, è il nuovo gruppo consiliare costituito da ottoconsiglieri provenienti da diverse formazioni che compongono l’attuale maggioranza di governo. Ne fanno parte Antonello Peru, Pietro Moro e Valerio De Giorgi (Udc – Sardegna al Centro) i tre ormai ex consiglieri del Psd’Az Franco Mula, Giovanni Satta e Stefano Schirru, Franco Stara (Azione), Dino Cocco (Sardegna…
View On WordPress
0 notes
Photo
New Post has been published on https://www.tempi-dispari.it/2023/07/10/fil-di-ferro-torino-fucina-metallica/
Fil di Ferro: Torino fucina metallica
Contesto
Il 1979 è un anno denso di avvenimenti come lo sono pochi altri. Avvenimenti quasi tutti di pesante impatto globale e gravidi di conseguenze per il periodo a venire. Già il 1° gennaio, il riconoscimento della Cina comunista da parte degli Stati Uniti, lo scambio di ambasciatori tra Whashington e Pechino.
Cambia tutto tra le due sponde del Pacifico. Il 7 gennaio cade in Cambogia il regime di Pol Pot, uno dei più sanguinari della storia recente. Un poco più a Ovest, in Iran, il giorno 17 prende invece il potere un leader religioso rientrato da un lungo esilio a Parigi, Ruhollah Khomeini.
In Italia
In Italia il 1979 avviene l’assassinio del giornalista Mino Pecorelli, che ha voluto mettere il naso nei segreti di certe banche e della massoneria. L’incriminazione del governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi e l’arresto del direttore generale Mario Sarcinelli per interesse privato in atti d’ufficio (accusa che poi cadrà).
Il delitto dell’avvocato Giorgio Ambrosoli liquidatore della banca di Michele Sindona. Arresto dei brigatisti Valerio Morucci e Adriana Faranda coinvolti nel caso Moro. Morte in un incidente aereo a Forlì del re dei cereali Serafino Ferruzzi. La fine del sequestro di Fabrizio De André e Dori Ghezzi, rapiti in Sardegna quattro mesi prima.
Per ricordare un fatto che ha tenuto a lungo le prime pagine dei giornali e che avrà echi negli anni successivi si deve tornare al 7 aprile. Un magistrato di Padova, Pietro Calogero, lancia una grande offensiva giudiziaria contro Autonomia operaia.
Tra gli arrestati figurano docenti universitari, intellettuali, giornalisti. Spicca il nome del professor Antonio Negri, Toni Negri. Gli inquisiti sono centinaia.
Nel 13 marzo nasce lo Sme, Sistema monetario europeo, antenato della valuta unica di oggi. Margareth Thatcher si prepara alla elezione del suo primo parlamento.
In questo contesto nascono i Fil di ferro
Storia del gruppo
I Fil di ferro sono un gruppo heavy metal italiano, formatosi a Torino nel 1979 per iniziativa del bassista Bruno Gallo Balma e del batterista Michele De Rosa.
La band è considerata, insieme a Vanadium, Strana Officina, Death SS e Bulldozer, una delle prime ad aver portato la musica metal in Italia, nonché una delle più importanti dello stesso.
Michele De Rosa e Bruno Gallo hanno formato il gruppo con il chitarrista Danilo Ghiglieri e il cantante Leonardo Fiore. Nel 1986 (dopo un demo tape del 1984 e numerosi concerti che danno una certa notorietà al gruppo) esce il primo album, Hurricanes, pubblicato da Il Discotto Records. Questo album viene registrato con il nuovo cantante Sergio Zara e il nuovo chitarrista Claudio De Vecchi.
Il titolo Hurricanes proviene dal nome del gruppo biker di cui facevano parte sia Michele De Rosa sia Bruno Gallo. Il disco è stato registrato da Beppe Crovella (tastierista degli Arti e Mestieri).
Nel 1987 per l’etichetta dischi Noi, con la produzione esecutiva di Mariano Schiavolini (ex membro del gruppo rock progressivo Celeste), i Fil di ferro registrano il loro secondo album, omonimo, che vede l’entrata del nuovo chitarrista Miky Fiorito, autore di tutti i brani del disco, arrangiati con il resto del gruppo.
Le registrazioni vengono effettuate in Cornovaglia con Guy Bidmead, ingegnere del suono di Rod Stewart e Motörhead. I Fil di ferro tengono anche un concerto presso l’Hammersmith Apollo di Londra, trasmesso dalla televisione italiana su Italia 1 nel programma Rock a mezzanotte.
La performance viene registrata e inclusa nella compilation Italian rock invasion.
Nel 1991 Sergio Zara è uscito dai Fil di ferro, lasciando il posto alla voce femminile di Giordy (Elisabetta Di Giorgio), con la quale la band ha registrato la ballata Give me your hand e girato un video clip per il mercato russo.
Nel 1992 per l’etichetta Axis Records è uscito il terzo album, Rock Rock Rock che vede la partecipazione del chitarrista russo Victor Zinchuk e di Roberta Bacciolo delle Funky Lips in veste di ospiti. In esso è stato ripreso Give me your hand registrata precedentemente da Giordy come singolo.
L’album ha presentato caratteristiche più hard rock/blues rispetto ai primi due lavori e vede Miky Fiorito anche nel ruolo di cantante. Nello stesso anno si è verificata la fine della collaborazione, durata quasi un anno, con Giordy.
Nel 1997 è entrato nel gruppo Piero Leporale alla voce, mentre il 1998 è tempo dell’ingresso di Francesco Barbierato al basso.
Nel 2004 esce a distanza di dodici anni dal lavoro precedente il quarto album, It Will Be Passion. Il disco è un rifacimento di vecchi brani e nuovi inediti.
Nel 2008 il gruppo cambia ancora formazione: escono dalla formazione Fiorito, Leporale e Barbierato, sostituiti da Gianni Castellino al basso, Alex Verando alla chitarra e Phil Arancio alla voce. Nel 2009 entrano in formazione Gianluca “Yes” Uccheddu alla chitarra al posto di Alex e Elvis Taberna al posto di Phil Arancio.
Con questa nuova formazione il gruppo ha abbandonato l’hard rock blues del terzo e quarto album ritornando ad un più duro heavy metal di stampo Saxon/Judas Priest che ha caratterizzato la band nei primi due album.
Nel settembre del 2012 è uscito It’s Always time, album contenente il rifacimento di Hurricanes con la nuova formazione, tre inediti e dodici brani tratti dai dischi più significativi.
In occasione del festival Acciaio italiano 2015, tenutosi a Modena il 31 gennaio 2015, si è verificato il ritorno alla voce di Phil in sostituzione di Elvis Taberna, che ha dovuto abbandonare il gruppo per motivi di salute. Elvis è rimasto nel giro Fil di ferro con mansioni amministrative.
Dopo pochi mesi nuovo cambio di formazione riguardante la voce: entra Paola Goitre al posto di Phil, con la quale sono in programma vari lavori live e in studio.
A inizio 2017 ritorna in formazione il chitarrista Miky Fiorito, il quale si mette subito al lavoro per comporre le canzoni che faranno parte del sesto album del gruppo. I riff di chitarra questa volta hanno un piglio epico ed è a seguito di queste nuove sonorità che nasce l’idea del concept album intitolato Wolfblood, che narra della mitologia nordica del RagnaRock, anche per via dei testi a tema ideati da Paola Goitre. Il nuovo lavoro viene pubblicato a ottobre del 2019.
Discografia Hurricanes (1986) Fil di Ferro (1988) Rock Rock Rock (1992) It Will Be Passion (2004) It’s Always Time (2012)
youtube
0 notes
Text
Chissà perché certi bei film italiani escono, girano poco, non lasciano ricordi e scompaiono dalle memorie cinematografiche. Forse perché sono “troppo italiani” - come il critico Morandini ha definito proprio questa pellicola - per essere apprezzati. Non avevo mai sentito parlare di “Qui non è il Paradiso”, anno di uscita 2000, e tantomeno del suo regista e sceneggiatore Gianluca Maria Tavarelli (nome che mi sono già segnato per recuperare le altre sue opere dirette fra il 1994 e il 2014). E' un nome che anche a molti di voi non dirà nulla, anche se, però, citando i telefilm nazionali su Paolo Borsellino, Maria Montessori, Aldo Moro e "Maltese – Il Romanzo del Commissario", sicuramente qualche lampadina si accende. "Questo non è il Paradiso" è una pellicola completamente inedita per me, che vedo per la prima volta a distanza di 23 anni dalla sua uscita, della quale conosco poco e nulla, anche se nel cast ci sono tutti quegli attori italiani che forse hanno avuto una vita poco “carrierata” per colpa di un cinepanettonismo italico di maniera (laddove se non fai operette demenziali natalizie e robe simili non fai tanta strada) e che qui recitano in ruoli di spessore e tanto di cappello. Hollywood spostati, ma proprio: Fabrizio Gifuni ("Il Capitale Umano", "Esterno Notte"), Antonio Catania ("Mediterraneo", "Camerieri"), e due maschere tradizionalmente comiche come Ugo Conti e Adriano Pappalardo, impiegati in ruoli così drammatici e cattivi da lasciare lo spettatore a bocca aperta per cotanta bravura tragico-drammatica. Trama. Torino, anni ‘90. Renato fa l'autista alle Poste Italiane, incaricato di trasportare e consegnare ingenti somme di denaro. Separato, è appassionato di Poesia e da tempo sogna di dare una svolta alla propria vita. Comincia quindi a pensare di fuggire con i miliardi di lire che trasporta nel furgone di lavoro. Per fare questo convince il suo amico e collega Walter, all'inizio riluttante. I due, però, non possono fare tutto da soli: vengono così coinvolti anche Enzo, proprietario di un locale, e Michele, anche lui impiegato alle Poste. Dopo un primo tentativo andato male, la seconda volta il colpo riesce. I quattro si riuniscono per dividersi il bottino di otto miliardi. Sul caso indaga il commissario Lucidi, incaricato delle indagini, il quale riesce a portare a galla la verità... Ottima pellicola del sottovalutato e misconosciuto Tavarelli, che pare già si fosse segnalato in precedenza per il brillante "Un amore" (1999). Una storia tutta narrata con un perfetto incastro di flashback e flashforward, che è un notevole saggio di noir contemporaneo. Il ritmo non perde quota neanche per un secondo e incalza la sceneggiatura a ricostruire a posteriori la vicenda di una rapina di due impiegati postali che volevano svoltare vita, sognando di scappare ai Tropici, ma che invece finiscono molto male. Una pellicola girata molto bene e altrettanto molto ben recitata, e realizzata con una professionalità sapiente. La migliore qualità del film resta quella di saper cogliere, cristallizzare e raccontare uno scoraggiante clima culturale e ideale caratteristico dell’Italia degli anni ‘90. Un piccolo cherubino del Cinema Italiano che deve essere assolutamente (ri)conosciuto e (ri)valorizzato, alla faccia delle commercialissime americanate che il mondo occidentale, ahimé, non smette di propinarci come "cinema". Quello vero, quello dai titoli come “Qui non è il Paradiso”, bisogna cercarlo e scovarlo nelle opere d'arti dimenticate del nostro controverso Belpaese. Musiche del compianto maestro Ezio Bosso. QUI NON E' IL PARADISO (Italia, 2000). Regia: Gianluca Maria Tavarelli. Cast: Fabrizio Gifuni, Erika Bernardi, Valerio Binasco, Antonio Catania, Ugo Conti, Adriano Pappalardo, Roberta Lena, Riccardo Montanaro, Riccardo Zinna, Cesare Apolito, Franco Neri.
0 notes
Photo
[INTERVIEW CINÉ] MARCO BELLOCCHIO
L'illustre cinéaste italien Marco Bellocchio se lance pour la première fois dans le format mini-série avec ‘Esterno Notte’ qu’il a présenté dans la section Cannes Première du dernier Festival de Cannes. La série, désormais disponible sur arte.tv et en DVD et diffusée la semaine prochaine sur Arte, revient sur l’enlèvement du Président italien Aldo Moro en 1978 dans le contexte des “années de plomb”. Le réalisateur nous a parlé du traitement de ces événements historiques qui ont fortement marqué le peuple italien et la politique jusqu’à aujourd’hui. Vous aviez réalisé en 2003 le film ‘Buongiorno, Notte’ qui traitait déjà de l’enlèvement et l’assassinat d’Aldo Moro en 1978. Pourquoi ce choix de retourner à ce même événement dans votre série ‘Esterno Notte’ ? Marco : Je pensais que cette histoire d’Aldo Moro était finie. Quarante ans après sa mort [donc en 2018], il y a eu en Italie de grandes commémorations et plusieurs choses on ressurgi : livres, journaux, films, documentaires... Le fait de redécouvrir ces images, notamment la vie privée d’Aldo Moro avec sa famille et sa femme, a fait ressurgir en moi une vision plus large de cet événement. A travers ce côté privé, j’ai pensé découvrir des personnages qui n’existaient pas dans le film, comme Francesco Cossiga (1927-2010) qui est un personnage shakespearien hermétique [ministre de l’intérieur pendant le gouvernement Moro, il sera plus tard en 1985 élu Président de la République italienne], le pape Paul VI (1897-1978), la famille d’Aldo Moro et sa femme Eleonora Moro (1915-2010) qui est une personne assez méconnue. Notamment, la volonté d’Eleonora de sauver à tout prix son mari contre la Démocratie chrétienne et ses amis qui semblent l’abandonner m’a beaucoup intéressée. Il y a aussi les terroristes, en particulier le couple Valerio Morucci (né en 1949) et Adriana Faranda (née en 1950) qui a participé à l’assassinat mais qui n’était pas là dans la rue Montalcini à Rome où était maintenu en détention Aldo Moro.
Est-ce que votre série ‘Esterno Notte’ est plus proche d’une fiction que ‘Buongiorno, Notte’ ? Marco : Dans ‘Buongiorno, Notte’ il y avait beaucoup de documents qui étaient montrés, beaucoup d’images d’archives, parce que le film montrait la vie des brigadistes dans leur repère de la rue Montalcini. Tout ce qui était à l’extérieur passait par la télévision. On a mis toutes les images d’archives qu’on avait dans cette télévision. Alors que dans la série, il y en a beaucoup moins, on en voit seulement vers la fin. Dans ‘Buongiorno, Notte’ on a mis des images d’archives dans la fiction, alors que dans ‘Esterno Notte’ on a utilisé la fiction pour nous rapprocher de ce qui pouvait être des images d’archives. La série va des enjeux de l’Etat, presque de l’ordre mondial, et descend au plus intime de chaque personnage. Marco : Le cinéma, à travers des petits détails et des petites choses, peut communiquer des choses plus fortes. Autrement, on aurait pu écrire un traité politique ou un livre, mais cela est la tâche des historiens. J’ai fait cette série que j’ai réalisée comme un long film divisé en six épisodes.
Qu’est-ce qui vous a motivé dans le choix du format série ? Marco : On a constaté qu'on n’avait pas le temps de synthétiser dans un film toute l’histoire. On avait besoin de plus de temps et d’épisodes. La direction a accepté de produire cela en série mais je dois reconnaître qu'on a été assez libres. Chaque épisode, hormis le dernier, se concentre sur un des personnages que avez cités : Aldo Moro, Francesco Cossiga, le pape Paul VI, les terroristes et Eleonora Moro. Comment avez-vous construit l’ordre de ces épisodes ? Marco : J’ai travaillé avec d’autres scénaristes. Tout le monde connaît l’histoire. On a pensé rester au présent dans les deux premiers épisodes. Puis du troisième au cinquième épisode, on a voulu faire un retour en arrière. Le dernier épisode revient au présent. C’est comme si l’histoire recommence via les personnages : le pape, les terroristes et la famille. C’est un choix de dramaturgie cinématographique plutôt qu’une marche linéaire chronologiquement. Cela appuie la tragédie ou la fatalité. Marco : Peut-être, oui !
Il y a un personnage qui a peut-être vos faveurs ou tout du moins un traitement spécial, c’est Giulio Andreotti [Président du Conseil pendant le gouvernement Moro]. On voit le pape faire pénitence en portant une ceinture d’acier qui le fait saigner, alors que pour Giulio Andreotti la pénitence passe par le fait de ne pas manger de glace tant qu’Aldo Moro n’est pas libéré ! Marco : Cela est vrai, il l’a effectivement dit ! (Rires) Naturellement, dans une tragédie comme celle-là, le poids des mots du Président du conseil devient symbolique et métaphorique. En fait derrière cela, il dit à tous les partisans de la Démocratie chrétienne de faire des petits sacrifices. C’est un petit peu dérisoire, cela ne fait pas le poids, mais en quelque sorte ça nous parle de sa personnalité et c’est une anecdote tout de même importante dans l’histoire. En France aussi, vous avez eu affaire au catholicisme, moins que nous Italiens parce que vous avez eu la Révolution (1789). Ce qu’on nous apprenait, c’était qu’il fallait faire une petite bonne action chaque jour pour les autres pour conserver son propre état de grâce. Du moins, c’était ce qu’on nous apprenait à l’époque, maintenant je ne sais pas comment cela se passe, parce que l’Église a changé aussi. Pourquoi n’avez vous pas consacré d’épisode à Giulio Andreotti alors que vous en avez consacré un à Francesco Cossiga ? Marco : J’étais plus attiré par la popularité de Francesco Cossiga dans ce temps marqué pour lui par une extrême pression et de la folie. Cela est dit dans la confession de Francesco Cossiga dans la série : « Le pauvre, laissez-le tomber. Il est bipolaire, on ne peut rien lui reprocher. » Alors que Giulio Andreotti est plus lucide, il « veut faire le mal. » Et le mal, encore une fois, est un concept très religieux. Giulio Andreotti est très présent dans la série, mais il est très linéaire, donc moins intéressant. Francesco Cossiga présentait en quelque sorte une dramaturgie interne plus variable. On a pu lire que Giulio Andreotti aurait pu avoir pris part à l’enlèvement. Cela n’est pas montré dans la série. On voit Giulio Andreotti aller vomir dans les toilettes quand il apprend la nouvelle de l’enlèvement d’Aldo Moro. Qu’est-ce que vous en pensez ? Marco : Vous avez raison. C’est le seul moment où on voit Giulio Andreotti un peu différent. Cela fait référence à un événement qui n’est pas prouvé, mais certains journaux ont indiqué que Giulio Andreotti a été malade lorsqu’il a reçu la nouvelle de l’enlèvement d’Aldo Moro. On dit qu’il est parti aux toilettes et qu’il aurait vomi. Effectivement c’est son seul moment de contradiction par rapport à cette linéarité. Toute personne, même la plus méchante, a des moments de bonté. C’est quelque chose qui m’avait frappé, on a donc essayé de le représenter discrètement.
Les personnages sont globalement très angoissés. Il y a d’un côté les hallucinations : Aldo Moro qui porte la croix, Eleonora Moro qui s’enchaîne devant le siège du parti, Francesco Cossiga qui voit la carte de l’Italie ensanglantée. De l’autre côté des manifestations plus physiques : Giulio Andreotti qui va vomir aux toilettes comme évoqué, Francesco Cossiga qui a des plaques sur les mains, le brigadiste Valerio Morucci qui fait du somnambulisme. Comment avez-vous appréhendé ce traitement de l’angoisse des personnages ? Est-ce que pour vous c’est à cet endroit qu’il y a le plus de fiction dans la série ? Marco : Il y a des représentations différentes. Francesco Cossiga souffrait réellement de son angoisse. Les sévices du pape dont on parlait, c’était quelque chose de vrai mais il n’était sûrement pas plein de sang, cela on l’a exagéré. Puis quand il voit Aldo Moro porter la croix, c’est son imagination propre qui parle, celle du personnage. Il regarde le reportage à la télévision et sa pensée s’évade. Le rêve d’Adriana Faranda où elle voit un fleuve avec tous ces morts, elle en parle dans son livre ‘L’Année du tigre’ (1994). Elle dit qu’elle a rêvé cette descente tragique de tous les corps des hommes qui ont été tués. Disons qu’on a utilisé d’une manière pas systématique mais très libre tous les passages non réalistes qui répondaient sûrement à une angoisse générale. En Italie on avait vraiment créé cette centrale d’écoute auprès du site de la préfecture de police de Rome où arrivaient tous genres d’appels. Les gens disaient parfois des choses absurdes. Certains appelaient simplement pour parler de leurs problèmes personnels, comme pour une ligne d’écoute. Tout cela est normal parce que c’est l’imagination qui sort de la réalité, qui prend ses libertés. C’est vraiment un aperçu de l’Italie durant cette période. Il y a une stupeur de toute la société face à la violence et la noirceur de la crise, avec des petits hommes politiques écrasés dans des grandes pièces très sombres. Est-ce que cette violence est pour vous réaliste ou dramatisée pour la série ? Marco : On a commencé à travailler comme une enquête pour découvrir les différents éléments. Comme évoqué, on savait déjà pas mal de choses car j’avais fait le film ‘Buongiorno, Notte’ (2003) sur cette même histoire puis il y a eu plus récemment des livres, des films de fiction et des documentaires qui ont été faits. On est partis du réalisme mais après on s’est aperçu qu’il fallait pouvoir prendre des libertés. La base était ce qui s’est vraiment passé dans ces années-là. En complément, on a travaillé sur un peu de fiction parce que dans la réalité il y a des espaces non explorés et documentés et dans lesquels personne ne sait ce qui s’est vraiment passé ou ce que se sont dit les personnages. Alors il faut inventer.
Il y a un jeu sur ce qui est réel et inventé. Vous ouvrez la série avec Aldo Moro dans son lit d’hôpital et vous y revenez vers la fin de la série. On l’entend évoquer son renoncement à la vie politique. C’est très fort, mais c’est inventé car Aldo Moro est en réalité déjà assassiné à ce moment-là. Est-ce que cela se repose sur un texte historique réel qu’il a écrit ? Marco : La vérité est qu’Aldo Moro a écrit ‘Mémorial’ (1978) pendant ses 55 jours de prison. Ce texte a été caché par les Brigades rouges. On l’a trouvé par hasard deux ou trois mois après sa mort. Dans ce texte, il écrit des choses qu’on a utilisées pour faire certains dialogues. La confession finale utilise aussi beaucoup d’expressions et de jugements faits envers cet homme politique mort. On a combiné tout cela. Mais il a réellement écrit la phrase suivante qu’il dit dans la série : « Je remercie les Brigades rouges de m’avoir épargné la vie. » Il y a sûrement eu un moment dans son emprisonnement où il a espéré être sauvé, c’est pourquoi il a écrit cette phrase. Les Brigades rouges lui avaient avaient probablement communiqué l’éventualité d’une mise en liberté ou d’une sorte de grâce. Après, l’espoir s’est envolé et il s’est résigné à mourir. Naturellement, on l’a utilisé dans l’architecture de la série, afin de partir d’une idée qui était complètement contraire à la vérité pour créer une attente. C’est une idée de cinéma, qui revient à la fin encore pour conclure avec la vraie fin qui est l’assassinat d’Aldo Moro. C’est un peu comme si vous faisiez venir le fantôme d’Aldo Moro qui vient condamner la Démocratie chrétienne. Marco : Certainement que les hommes de la Démocratie chrétienne, dont il fut l’un des fondateurs, n’ont pas eu le courage d’accepter les conditions des Brigades rouges parce que cela était inacceptable pour eux. Ils ont alors préféré choisir la folie. Ils se disaient : « Ce que dit Aldo Moro n’est pas ce qu’il pense. Il est fou, drogué, conditionné. Il n’a plus la liberté de reconnaître la vie et ses principes. Alors on ne peut pas accepter ce qu’il dit. » Vous ne condamnez pas la Démocratie chrétienne ni aucun mouvement. C’est une conjonction de différents intérêts moraux et politiques qui viennent vers ce piège fatal pour Aldo Moro. Marco : Les historiens les plus importants ont parlé d'une chose que tout le monde connaît : la raison de l’Etat. Ils invoquent que c’est cela qui empêcha la libération d’Aldo Moro. Les Italiens n’auraient pu l’accepter. Ils n’auraient pas compris, surtout parce qu’au cours de l’attentat cinq policiers ont été tués de façon barbare. D’ailleurs c’était cet argument que Giulio Andreotti portait. Il disait : « Les gens ne comprendraient pas. Nous portons une responsabilité vis-à-vis des familles de ces hommes-là tués par les Brigades rouges. »
Nous spectateurs français, non imprégnés de cette histoire italienne, sommes tout le temps aux côtés d’Aldo Moro. On le voit comme celui qui pourrait être le sauveur de l’Italie, capable de sortir la société de la crise, et qui va être tué et échouer. Aldo Moro est montré comme quelqu’un de très bienveillant et sacrifié par les autres. Il est presque une figure de Christ. Marco : Le pape le voit comme cela. Il faut dire aussi que Giulio Andreotti, tout le parti de la Démocratie chrétienne mais aussi le Parti communiste, sentaient qu’il avait une responsabilité vers la nation entière. Aldo Moro avait la délicatesse de sauver un équilibre très fragile entre les Américains et les Russes qui ne voulaient pas aller dans sa direction. Ce n’est pas un révolutionnaire mais un vrai réformiste qui voulait vraiment dédouaner le Parti communiste et ses nombreux électeurs. En Italie, le Parti communiste était le deuxième parti le plus important et ne pas le faire entrer dans la majorité, le laisser à l’extérieur du gouvernement, n’était pas concevable dans le cadre d’une Italie jusque là marquée par l’alternance. C’était une voix très démocratique parce qu’il avait compris que les communistes n’étaient absolument pas un risque pour l’ordre, tandis que les Américains pensaient encore qu'ils allaient faire une révolution. C’était un parti-pris noblement révisionniste et il le dit : « Les communistes ont un sens du respect de l’ordre, plus que le nôtre. Le Parti communiste respecte la discipline, plus que la Démocratie chrétienne. » En fait, la responsabilité qu’il portait ne concernait pas que le peuple italien. La Démocratie chrétienne voulait également défendre un certain ordre international. C’est cela qui a condamné Aldo Moro, considéré comme trop réformiste et novateur. Ce qui est assez étrange car Aldo Moro avait jusque là toujours été vu non pas comme un réactionnaire, mais plutôt au contraire comme un conservateur. Au fil du temps, il s’est révélé plutôt visionnaire et pour un vrai renouveau à gauche. Aldo Moro est un homme très cérébral qui attribuait un poids très fort à ses mots. Il a écrit une phrase terrible : « Mon sang retombera sur vous. » Quand on regarde l’histoire italienne après la mort d’Aldo Moro, les partis traditionnels vont petit à petit disparaître pour plusieurs raisons dans les années à venir. Est-ce que vous pensez que d’une certaine façon la prophétie d’Aldo Moro s’est réalisée ? Marco : Aldo Moro reste littéralement sans péché, impeccable même pendant la captivité, jusqu’à la fin. C’est une phrase très forte. Il a une attitude encore diplomatique envers les Brigades rouges. Il essaie de sauver l’Etat et lui-même. Tandis que quand il comprend que ses amis l’ont abandonné, il sent alors en lui une espèce de rage qui se démontre dans ce qu’il écrit comme cette phrase. Pour moi, c’est intéressant parce que c’est comme s’il découvre quelque chose qu’il ne pensait pas avoir en lui-même ou que personne ne connaissait de lui. Il dit dans sa confession finale : « Mais pourquoi dois-je mourir ? Pourquoi mes grands amis n’essaient pas de me sauver la vie ? Ce n’est pas un crime d’aimer la vie. » Chez un homme comme lui, c’est quelque chose qui étonne parce qu’on pensait qu’il aurait eu une position de martyr. Il meurt en serviteur de l’Etat. Il accepte de mourir, mais pour lui ce n’est pas quelque chose qu’il accepte tranquillement jusqu’à la fin. Ce qu’on a qualifié de faiblesse ou qu’on a dit être de la folie, c’est en fait son humanité. La femme d’Aldo Moro dit à Benigno Zaccagnini (1912-1989) [secrétaire du parti pendant le gouvernement Moro] : « Mais pourquoi vous dites qu’il est fou ? La Démocratie chrétienne c’est ça. C’est le compromis, le fait de trouver une solution. » Dans ce sens, la faiblesse du personnage d’Aldo Moro s’est révélée être une humanité, peut-être pas de proportion gigantesque, mais pour moi très appréciable. Est-ce que d’une certaine manière vous tendez avec cette série un miroir à l’Italie actuelle ? Marco : Ma seule expérience est que la série a été montrée en Italie il y a quelques mois [au cinéma en deux parties les 18 mai et 9 juin 2022, puis sur la Rai 1 du 14 au 17 novembre 2022 et même depuis le 17 décembre 2022 sur Netflix en Italie] et il y a eu un grand intérêt, que je ne suis néanmoins pas capable d’interpréter. La participation des uns et des autres est très différente. Les plus vieux ont vécu ces événements [en 1978, soit il y a environ quarante-cinq ans] dans leur jeunesse. Cette série leur apparaissait probablement comme un moyen de régler des comptes avec eux-mêmes et avec la politique. Pour les plus jeunes, on ne peut pas comprendre que la politique à ce moment-là avait un poids si lourd. On parlait de changement, de révolution, de haine des classes. Des choses qui sont assez incompréhensibles aujourd’hui. Les jeunes ont accueilli la série presque avec stupéfaction. Cette représentation a éveillé leur intérêt. Ils demandaient à leurs parents : « C’était vraiment ça l’Italie ? Vous étiez vraiment comme ça ? » Ils ne savent quasiment plus ce que sont la Démocratie chrétienne ou le Parti communiste, ça n’existe plus. Dans ce sens-là, les réactions ont été plutôt vives vis-à-vis de la série.
L’acteur Fabrizio Gifuni interprète Aldo Moro de façon saisissante dans son attitude et ses paroles. Sa ressemblance physique est d’ailleurs également frappante. Marco : Fabrizio Gifuni est en effet vraiment Moro. Il le connaît très bien, de manière beaucoup plus approfondie que moi, parce qu’il a aussi monté un spectacle sur les mémoires de prison ‘Mémorial’ (1978) d’Aldo Moro et sur ses lettres. [La pièce est titrée ‘Con il vostro irridente silenzio. Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro’ qui se traduirait par : ‘Avec votre silence moqueur. Étude sur les lettres d'emprisonnement et sur le mémorial d'Aldo Moro’, plus d’infos par ici] On s’est approché de ce personnage via ces ressemblances qu’on a utilisées après dans la fiction. On connaît votre engagement aux côtés des communistes italiens dans les années 70. Comment avez-vous personnellement traversé cette période-là ? Marco : J’étais dans un parti maoïste qui était contre le terrorisme, mais on parle de 1968 [son premier film ‘Les Poings dans les poches’ sorti en 1965 était très politiquement engagé]. Mon expérience directement politique s’est finie peu après. Je suis sorti de cela. Je suis resté à gauche, j’ai suivi la politique d’un peu plus loin à travers d’autres expériences. En 1978, j’ai suivi l’enlèvement et l’assassinat comme tout autre citoyen. J’avais du mal à croire qu’un petit groupe de terroristes ait eu la capacité de faire une action de tuer ces policiers et enlever Aldo Moro qui était le Président de la Démocratie chrétienne. Voir la faiblesse de l’Etat italien qui n’était pas capable de défendre le Président, qui sous-évaluait la force de ce groupe terroriste. Pendant les 55 jours de détention, il s’est créé un mouvement toujours plus nombreux à travers tous les partis indépendamment de leurs différences pour sauver la vie d’Aldo Moro. Je pensais franchement qu'il serait libéré, peut-être pour une tradition italienne qui serait moins cruelle. Je ne trouvais pas possible qu’ils ne soient pas capables de trouver une solution. Yasser Arafat (1929-2004) était passé par là aussi. [Les Brigades rouges visaient à atteindre une reconnaissance similaire à celle obtenue en 1974 par l'Organisation de Libération de la Palestine (OLP) de Yasser Arafat comme mouvement insurrectionnel.] Oui j’ai ressenti une douleur, mais qui n’était pas immédiate. C’est un peu comme les tragédies familiales. On les élabore et c’est au fil du temps qu’on comprend la profondeur de la blessure. La tragédie de l’affaire Moro, c’est avec le temps qu’on l’a comprise. Cette phrase que vous avez citée tout à l’heure est très importante : « Mon sang retombera sur vous. » C’est à partir de ce moment là qu’on pourrait dire que commence une lente destruction du système politique italien de l’époque. Les partis de l’époque ont disparu. La mort d'Aldo Moro a laissé en Italie une trace très profonde. Après on peut utiliser différentes expressions, comme “une blessure qui ne s’est pas cicatrisée”. Il me vient à l’esprit une phrase que dit Aldo Moro à Francesco Cossiga en latin : « Gutta cavat lapidem. » C’est-à-dire : « Une goutte peut briser une pierre. » C’est cette pierre qui s’est brisée avec la mort d’Aldo Moro. Je ne fais ce lien que maintenant. Dans la série on a du mettre une légende parce que personne ne connaît plus le latin. Bien sûr, pour qu’une goutte brise une pierre, il faut plus de temps mais petit à petit il y a beaucoup de traumatismes qui ont fait surface et qui prennent origine dans la mort d’Aldo Moro. Crédits photo de couverture : Anna Carmelingo ‘Esterno Notte’, mini-série de 6 épisodes, est maintenant disponible sur arte.tv et en DVD et sera diffusée sur Arte les 15 et 16 mars. Elle est hautement recommandée ! A&B
0 notes
Photo
Valerio Moro - Teatro dell'Opera di Roma
#valerio moro#teatro dell'opera di roma#dance#ballet#ballerino#bailarín#dancer#danseur#ballet men#male dancers
161 notes
·
View notes
Video
tumblr
The guy Fabrizio was hugging is Valerio Soave from Mescal, right? (source)
5 notes
·
View notes
Quote
C’è una convergenza di interessi tra mafiosi ed estremisti di destra su alcuni delitti eccellenti e stragi, manovrata da una regia ancora occulta che mette in collegamento Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e terroristi neri. Storie macchiate dal sangue di vittime innocenti su cui si attende ancora una verità, non solo giudiziaria ma anche politica. Il tema centrale, come scrivono i giudici della Corte d’assise di Bologna nell’ultima sentenza sulla strage del 2 agosto, “è il collegamento tra Cosa Nostra, l’eversione terroristica di destra e i collegamenti con il gruppo di potere coagulatosi intorno alla P2 e a Licio Gelli“. Ci sono una serie di legami che dimostrano che tra i “neri” dei Nuclei armati rivoluzionari, di cui faceva parte anche Massimo Carminati, e Cosa Nostra, vi fossero scambi operativi, “mediati da altri soggetti”. Le inchieste giudiziarie documentano come in diverse vicende i boss calabresi sono andati a braccetto con i neri. E comprendere lo sviluppo di questo intreccio è compito pure della Commissione parlamentare antimafia. Lo scorso aprile sono state rese pubbliche le motivazioni della sentenza della Corte d’assise di Bologna, da cui si legge che è stato un attentato, quello del 2 agosto 1980 alla stazione, eseguito da neofascisti. I giudici mettono in collegamento la strage con l’omicidio a Palermo del presidente della Regione, Piersanti Mattarella, fratello del Capo dello Stato. Per quel delitto sono stati assolti i neri Fioravanti e Cavallini. Nel processo di Bologna sono stati recuperati elementi che hanno indotto i giudici a ritenere che “l’eliminazione di Mattarella dopo quella di Aldo Moro, al quale si apprestava a succedere, secondo ragionevoli interpretazioni della fase storica, era indispensabile per eliminare un irriducibile ostacolo ai piani della P2 e al contempo a quelli di Cosa nostra, convergenti sull’obiettivo data l’azione che Mattarella aveva avviato in Sicilia per sottrarre il suo partito all’alleanza con la mafia”. I sicari di Mattarella non hanno ancora un nome, ma sono stati condannati come mandanti i componenti della cupola. I neri rivendicarono il delitto: “Qui Nuclei Fascisti Rivoluzionari, rivendichiamo l’uccisione dell’onorevole Mattarella in onore ai caduti di Acca Larentia”. Seguita da comunicati di rivendicazione di Br e Prima linea ritenuti depistanti, quasi a correggere quella prima incauta rivendicazione. L’assoluzione in primo grado nel 1995 scaturisce dalle dichiarazioni di Buscetta e Marino Mannoia, i quali assicuravano che i killer erano uomini di Cosa Nostra, senza tuttavia saperli identificare. Fioravanti e Cavallini erano stati processati in base alle accuse rivolte da Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio, che li indicava come autori dell’agguato; la testimonianza della moglie di Piersanti Mattarella che vide in faccia il killer e ne descrisse l’andatura ballonzolante di Fioravanti; e infine la presenza di Valerio Fioravanti a Palermo nei giorni in cui Mattarella fu ucciso. Su questo delitto la procura della Repubblica di Palermo sta ancora indagando. E poi c’è lo stesso modello di pistola che uccide Mattarella e il giudice Mario Amato, organizzato e portato a termine dai terroristi dei Nar. In questo caso spara Gilberto Cavallini. La perizia sulla pistola risulta “coincidente” con quella utilizzata per uccidere Mattarella. Ci sono “punti di collimazione” e poi la Colt utilizzata dai “neri” per uccidere Amato aveva “un difetto di funzionamento”, come quella che i testimoni oculari hanno detto per l’arma utilizzata nell’agguato al presidente della regione siciliana. Gli specialisti del Racis dei carabinieri sono riusciti a comparare i proiettili dell’omicidio Mattarella con la Cobra usata dai Nar a Roma. Il risultato è “coincidente”: significa che c’è una probabilità molto alta che l’arma sia la stessa. Sulla saldatura tra mafia e Nar indagava pure Giovanni Falcone, lui non era il solo a credere nella pista “fascio-mafiosa”. La commissione antimafia presieduta da Bindi ha tolto il segreto alla relazione sul delitto Mattarella del 1989 firmata Loris D’Ambrosio, allora in servizio all’Alto commissariato, in cui spiega che “l’inesistenza di piste mafiose per gli autori materiali non implica, sia ben chiaro, l’esclusione della matrice mafiosa dell’omicidio”. Per D’Ambrosio non era solo mafia. Mattarella viene ucciso come “nemico dell’anti-Stato”. E proprio la scelta di affidare l’esecuzione a terroristi neri permette ai capi di Cosa Nostra di “disorientare l’opinione pubblica e l’apparato investigativo” e dimostrare “alla stessa organizzazione quanto devastante ed estesa sia la capacità di espansione e controllo che l’anti-Stato è in grado di esercitare”. Una storia fascio-mafiosa che è materia per un’attenta inchiesta di una commissione parlamentare. Magari quella dell’Antimafia.
Dal delitto Mattarella alla strage di Bologna: la trama oscura che lega mafia e terrorismo nero - Lirio Abbate �� repubblica.it
5 notes
·
View notes
Link
0 notes
Text
Il Fondo Asilo Migrazione e Integrazione alla 53esima edizione del Giffoni Film Festival
Il Fondo Asilo Migrazione e Integrazione alla 53esima edizione del Giffoni Film Festival. Il 27 luglio il Fondo Asilo Migrazione e Integrazione (FAMI) 2021-2027 si presenta al Giffoni Film Festival 2023. Nella cornice unica e multiculturale della kermesse, il Capo Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno Valerio Valenti e l'Autorità di gestione del Fondo Maria Forte illustreranno le linee attuative per il settennato 2021-2027. La conferenza stampa si terrà a partire dalle ore 11:30, nella Sala Conferenze della Multimedia Valley. La presenza del FAMI accompagnerà tutto l'evento, con uno stand dedicato in via Aldo Moro, dove al suo interno il pubblico potrà prendere parte ad attività interattive con i laboratori per ragazzi (Scrittura Creativa, Recitazione, Musica), provare in anteprima Destination Europe, il gioco da tavolo di simulazione delle decisioni in materia di politica migratoria, e ricevere informazioni sull'operato del Fondo. Punto di forza del FAMI è da sempre il lavoro con e per i giovani. Proprio a loro sarà dedicata la sessione Giffoni Impact: uno spazio di confronto libero in cui raccontare le finalità e azioni del FAMI, e insieme permettere alle nuove generazioni condividere le proprie storie. La sessione si terrà a partire dalle 12:10 presso la Sala Blu – Impatto Giovani della Giffoni Multimedia Valley.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
Photo
LE STRAGI IM-PUNITE Ricorre tra pochi giorni, il 43° Anniversario della morte di ALDO MORO, ucciso dalle BR ed il cui corpo fu fatto ritrovare in una macchina parcheggiata in Via Caetani a Roma. Due mesi prima era stato catturato dai Brigatisti che, a sangue freddo, sterminarono la sua scorta : ORESTE LEONARDI DOMENICO RICCI RAFFAELE IOZZINO GIULIO RIVERA FRANCESCO ZIZZI Nel corso degli anni, furono arrestati e processati, quasi tutti i Brigatisti responsabili della strage. Condannati e Liberati......Come vivono oggi ? Nei confronti dei brigatisti coinvolti direttamente nella vicenda furono emessi i seguenti giudizi: Rita Algranati: ultima a essere catturata fra i terroristi coinvolti nel caso Moro, a Il Cairo nel 2004, sta scontando l'ergastolo. Fu la «staffetta» del commando brigatista in via Fani. Maurizio Iannelli: catturato nel 1980 e condannato a due ergastoli. In libertà vigilata dal 2003 è attualmente il regista di vari programmi Rai (Amore criminale, Sopravvissute) Barbara Balzerani: catturata nel 1985 e condannata all'ergastolo. In libertà vigilata dal 2006. In via Fani presidiava mitra alla mano a bordo di un'auto l'incrocio con via Stresa e durante il sequestro occupava la base di via Gradoli 96 nella quale conviveva con Mario Moretti. Franco Bonisoli: catturato nella base di via Monte Nevoso 8 a Milano il 1º ottobre 1978, è stato condannato all'ergastolo e oggi è in semilibertà. In via Fani sparò sulla scorta di Moro e alla conclusione del sequestro portò nel covo di Milano il memoriale e le lettere dello statista ritrovate in una prima tranche contestualmente al suo arresto e in una seconda tranche l'8 ottobre 1990. Anna Laura Braghetti: arrestata nel 1980, condannata all'ergastolo, è in libertà condizionale dal 2002. Durante il sequestro non era ancora in clandestinità: era l'intestataria e l'inquilina «ufficiale», insieme con Germano Maccari, dell'appartamento di via Montalcini a Roma, tuttora l'unica prigione accertata di Moro. Alessio Casimirri: fuggito in Nicaragua, dove gestisce un ristorante, è l'unico a non essere mai stato arrestato né per il caso Moro né per altri reati. In via Fani presidiava con Alvaro Lojacono la parte alta della strada. Raimondo Etro: catturato solo nel 1996, è stato condannato a 24 anni e 6 mesi, poi ridotti a 20 e 6 mesi. Non era presente in via Fani, ma fu il custode delle armi usate nella strage. Adriana Faranda: arrestata nel 1979, è tornata in libertà nel 1994 dopo essersi dissociata dalla lotta armata. Non è stata accertata in sede giudiziaria la sua presenza in via Fani. Fu, assieme a Valerio Morucci, la «postina» del sequestro Moro. Raffaele Fiore: catturato nel 1979 e condannato all'ergastolo, è in libertà condizionale dal 1997. In via Fani ha sparato sulla scorta di Moro, anche se il suo mitra si è inceppato quasi subito. Prospero Gallinari: già latitante (durante il sequestro Moro) per il sequestro del giudice Mario Sossi, è successivamente catturato nel 1979. Dal 1994 al 2007 ha ottenuto la sospensione della pena per motivi di salute, ottenendo gli arresti domiciliari. È deceduto il 14 gennaio 2013. In via Fani ha sparato sulla scorta di Moro e durante il sequestro era rifugiato nel covo brigatista di via Montalcini, unica prigione di Moro accertata in sede giudiziaria. Alvaro Lojacono: fuggito in Svizzera non ha mai scontato un solo giorno di prigione né per il caso Moro né per l'omicidio dello studente Miki Mantakas ma soltanto per reati legati a traffici d'armi da e per la Svizzera, che non ha mai concesso la sua estradizione in Italia. In via Fani presidiava con Alessio Casimirri la parte alta della strada e con lui era sull'auto che bloccò da dietro la colonna di auto con a bordo Moro e la sua scorta, subito prima della strage. Germano Maccari: arrestato solo nel 1993, rimesso in libertà per decorrenza dei termini e poi riarrestato dopo aver ammesso il suo coinvolgimento nel sequestro, viene condannato a 30 anni, poi ridotti a 23, nell'ultimo processo celebrato sul caso Moro. È morto per aneurisma cerebrale nel carcere di Rebibbia il 25 agosto 2001. Insieme con Anna Laura Braghetti era l'inquilino «ufficiale» dell'appartamento di via Montalcini, unica prigione di Moro finora accertata, sotto il falso nome di «ingegner Luigi Altobelli». Mario Moretti: catturato nel 1981 e condannato a 6 ergastoli. Dal 1994 è in semilibertà e lavora da oltre 14 anni per la Regione Lombardia. Capo della colonna romana delle Brigate Rosse, Oltre a dirigere l'intera operazione e a effettuare sopralluoghi poco prima dell'agguato, in via Fani era alla guida dell'auto che bloccò il convoglio di Moro e della scorta avviando l'imboscata. Nonostante alcune testimonianze oculari, non è stato accertato in sede giudiziaria che abbia sparato. Durante il sequestro occupava con Barbara Balzerani il covo di via Gradoli 96 e si recava quotidianamente a interrogare Moro nel luogo della sua detenzione e periodicamente a Firenze e Rapallo per riunioni con il comitato esecutivo dell'organizzazione terroristica. Tempo dopo il processo, confessò anche di essere stato l'esecutore materiale dell'omicidio di Moro. Valerio Morucci: arrestato nel 1979 venne condannato a 30 anni dopo essersi dissociato dalla lotta armata. Rilasciato nel 1994, si occupa di informatica. In via Fani sparò sulla scorta di Moro e durante il sequestro fu il "postino" delle Brigate Rosse insieme con la sua compagna Adriana Faranda, oltre a effettuare quasi tutte le telefonate legate al sequestro, compresa l'ultima in cui comunicò a Franco Tritto l'ubicazione del corpo di Aldo Moro. Bruno Seghetti: catturato nel 1980 e condannato all'ergastolo, è ammesso al lavoro esterno nell'aprile del 1995. Ottiene la semilibertà nel 1999 che però gli viene revocata in seguito ad alcune irregolarità. È tuttora detenuto, e lavora per la cooperativa 32 dicembre di Prospero Gallinari. In via Fani era alla guida dell'auto con la quale Moro venne portato via dopo l'agguato. Sottolineo solo che per molti di loro, seppur condannati all'ergastolo, le porte del carcere si sono spalancate qualche anno dopo il massacro in virtù della loro "dissociazione" postuma. Penso che la "redenzione" (fine ultimo della pena inflitta) NON dovrebbe mai cancellare il crimine e la conseguente responsabilità. Appartiene eventualmente ad un presunto dio il perdono. Io sono solo un Uomo. Che non dimentica e non perdona. Claudio Khaled Ser
4 notes
·
View notes
Text
Il Festival delle Polemiche, Resoconto ed Epilogo
Tra le tante cose, la 69° edizione del Sanremo verrà ricordata per le sue tante polemiche, prima dopo e durante il festival; polemiche ovunque, specie nei social, anche qui su tumblr stesso, l’ho visto io personalmente con i blog che seguo o con i blog che hanno ricondiviso i miei stessi post.
Fino a quando si rimane in tema (più o meno) musicale, ci sta tutto; ci sono i gusti, le impressioni personali, i propri punti di vista. Quando dalla musica si passa a complotti e discriminazione ecco che le cose cominciano a un tantino a sfuggire di mano.
Partendo da Mahmood, perchè ha vinto? Per la globalizzazione, i rapporti con il mondo arabo, per far rosicare Salvini; bah mi sembrano tutte grandi cazzate, l’italia è un paese man mano fatto da sempre meno “italiani” (di origini), ma fino a quando canta italiano, parla in italiano e non fa nulla di male, non gli si può dire nulla; la canzone è discutibile ma de gustibus.
Sia nei social che in tv, le reazioni a lui e alla sua canzone erano molto positive quindi se ha vinto lo hanno voluto in tanti; non cominciamo a dire le solite cazzate “sanremo truccato”, non penso sia pulito pulito al 100% ma ogni anno chi ha vinto aveva un bel successo sociale in quel momento tanto da poter permettersi di vincere, poi beh “la gente non sa quello che vuole” e la moda spesso fa abbastanza schifo, ma tanto si è visto per molti vincitori che fine hanno fatto dopo il festival e in che fama nuotano ora: vedi Marco Carta, vedi Valerio Scanu
Invece altri vincitori recenti pure contestati seppure secondo me più che meritati: cosa c’è da ridire sulla ship Meta-Moro?, Gabbani “il tizio con la scimmia” che per ovvi motivi ha avuto un maggiore impatto visivo ma in fondo la canzone aveva un suo stile particolare e un suo significato profondo(certo Fiorella Mannoia avrebbe pure potuto meritare il suo posto come anche Ermal Meta, è stato un bel podio quell’anno), ma anche quando vinse Vecchioni molti si lamentarono, la sua canzone era un inno alla vita e all’amore...
Perchè di inni alla vita oppure semplicemente canzoni di protesta anche in questa edizione ce ne sono stati e a quanto pare il pubblico non è riuscito a capirlo ma questo è un altro discorso, meglio per molti fare la classica canzonetta d’amore perchè almeno quella è nello stile sanremese.......
Comunque, io do “ragione” a Salvini perchè avrei preferito vincesse Ultimo in quel momento(tra i tre finalisti, perchè in generale per me nessuno dei tre avrebbe dovuto raggiungere il podio, c’era di meglio, specie se poi vinceva Il Volo come se avesse portato quasi la stessa canzone e avesse vinto di nuovo...); Non do ragione a Salvini se doveva vincere Ultimo “perchè mahmood è un egiziano, forse pure gay”, che di egiziano ha il padre ma sta in italia, parla e canta italiano quindi il problema non sussiste; motivo per cui non ho apprezzato Nino d’Angelo, una canzone tutta o quasi in napoletano(poi sono gusti anche qui), è il festival della canzone italiana non napoletana (creiamo altre polemiche yeee).
Penso sia abbastanza palese che occorre una bella modifica alle legge elettorale sanremese e non solo a quella, così non va, le percentuali vanno cambiate, ma anche la giuria va cambiata: una giuria d’onore composta da 8 persone di cui 1 solo musicista, che devono votare la musica, mh... (già solo pensare che tra quei 7, uno è Joe Bastianich...) Senza contare il fatto che le band(vedi Negrita) a sanremo non arrivano mai veramente in buona posizione salvo rari casi (Elio è un genio, lui può tutto), ed è un peccato...
Poi beh, 6 premi divisi tra Ultimo, Cristicchi e Silvestri(1, 2 e 3); nessuno di loro ha vinto, due di loro non sono nemmeno nel podio, beh anche questo fa comunque pensare, perchè sì che ognuno ha i suoi gusti diversi da chiunque altro e ci sono tanti premi e “tante” giurie però così fa strano...
Una cosa sicuramente buona di questa edizione è la varietà (non poi così tanta ma comunque maggiore degli anni scorsi) dei generi musicali, trap, rock, pop, pop opera, rap... Si spera che la cosa continui anche nei prossimi festival perchè non c’è scritto specificatamente “festival della musica popolare italiana”, piuttosto invece diventa spesso sinonimo di “...musica commerciale italiana”, però resta il fatto che sia il festival musicale italiano più importante di tutti e va sfruttato al meglio e meglio, dovrebbe essere il trampolino di lancio ma anche il momento da aggiungere alla propria carriera, coloro che lo hanno già vinto e partecipano all’ennesima volta, perchè? Ne hanno veramente bisogno? No, per quanto rispetti Nek e Renga per dirne due; certo probabilmente non vedrò mai i Lacuna Coil a Sanremo ma la speranza è sempre l’ultima a morire...
Così è finito, tante polemiche, tante banalità, poco di veramente buono da prendere, si spera sempre in qualcosa di più decente per l’anno prossimo e nel mentre chissà quanto in basso ci classificheremo all’ESC 2019, poi beh se Mahmood arriva tra i primi, buon per lui e buono per l’italia, non ho nulla contro di lui, semplicemente non era nella mia top 10 dei concorrenti di quest’anno
Quindi in fin dei conti: se avete polemiche, prima pensateci bene, poi vedete se è il caso di aprire bocca. (se gioite per Mahmood come “arma” contro Salvini, avete non pochi problemi e a me Salvini sta sul cazzo)
Pace e Amore, speriamo in un prossimo Festival (specie nel 2020 che sarà il 70°, numero importante quindi) organizzato e presentato e arricchito MOLTO meglio e magari con ospiti decenti, è il festival della musica italiana ma se inviti stranieri purchè musicisti e ti risparmi certi “comici” non azzeccati per quello che è l’evento, forse non sarebbe poi tanto male. E con Baglioni due anni sono stati sufficienti, mo cambiamo per favore, sia lui che i coconduttori che presi singolarmente sono simpaticissimi ma insieme anche no, con sketch molto penosi salvo pochi; insomma o più intrattenimento ma fatto bene o più musica ma di livello, non un po’ e un po’ entrambi scarsi e MOLTO prevedibili, o comunque inferiori rispetto a ciò che potrebbero permettersi, con tutto il rispetto per tutti i vari ospiti musicisti che ci sono stati che sicuramente hanno lasciato la loro grande impronta nella musica italiana però, c’è di meglio...
#sanremo#sanremo 2019#festival sanremo#festival di sanremo#vincitore sanremo#classifica sanremo#mahmood#ultimo#il volo#negrita#nino d'angelo#giuria#giuria d'onore#finale sanremo#salvini#sanremo truccato#musica#musica italiana#elio#elio e le storie tese#pop#rock#rap#hip hop#amore#vita#esc 2019#eurovision song contest#eurofestival#eurofestival 2019
6 notes
·
View notes
Video
The Age of Terror: A Survey of Modern Terrorism (Part 2) In the Name of Revolution: Gun-Barrel Politics [BBC - 2002] from Thermal Detonator TV on Vimeo.
Cuba is the Birthplace of Revolution
Cuba is the birthplace for far-left revolution. In January 1959 in Havana, Fidel Castro and Che Guevara overthrow right-wing dictatorships. Both leaders become immortalized in their own right.
Germany's Baader-Meinhof Gang The flame of revolution is lit by different sparks in different countries around the globe. For Germany, it is guilt about their Nazi past. The Baader-Meinhof Gang goes on a spree of kidnapping and murder.
Reign of Terror in Germany In September 1977 in Germany the Baader-Meinhof Gang kidnaps a former Nazi and member of the establishment, however the plot goes bad. Terror continues until they disband.
The Red Brigade in Italy In Italy in the 1970s The Red Brigade hopes to trigger revolution in the face of turmoil between Fascists and Communists. Former gunman Valerio Morrucci talks about his guilt over the violence.
Red Brigade Kidnaps Aldo Moro By the mid 1970s, over 100 members of the Red Brigade turn to kidnapping and murdering members of the establishment. In 1978 they kidnap Aldo Moro to make the state collapse.
Aldo Moro Tried and Shot Moro is held in the “people's prison” in an apartment building in Rome while the largest manhunt ever in Italy is undertaken. He is tried for crimes against the Italian people and shot.
Aldo Moro's Body is Found Moro's body is left in central Rome as a symbol of his failed attempts at political union. Morrucci and his comrades are sent to prison, and this episode marks the beginning of the end for Red Terror.
The Shining Path in Peru In Peru, the Shining Path is responsible for 6,000 murders. The brain child of philosophy professor Abimael Guzman, the "people's war" is going to stamp out poverty.
Terror Escalates in Peru The Peruvian Army meets terror with terror by fighting the Shining Path resulting in high human rights violations. The Shining Path turns on the very poor people they vowed to help.
The End of the Shining Path The Shining Path terrorizes Lima with bombing. When anti-terrorists capture Guzman in September 1992, the entire infrastructure of the Path crashes down with his betrayal.
FARC in Colombia Colombia is one of the most dangerous and unpredictable places in the world today due to FARC. They call themselves guerillas fighting the government, but have no interest in peace.
FARC Produces Cocaine FARC produces 75 percent of world's cocaine without government controls. They make over 500 million dollars from drugs a year. The U.S. war on drugs in Colombia is a war on FARC.
The War with FARC In 2001 four IRA bomb experts smuggle explosives to FARC. FARC high jacks a plane. The Colombian army retakes FARC land. No revolutionary terror group achieves its mission.
For modern revolutionaries the world over, Cuba’s Che Guevara literally wrote the book. This program examines radical political movements in Germany, Italy, Peru, and Colombia to see how Che’s theories have fared in practice. Former gunman Peter Jürgen Boock, of the Baader-Meinhof Gang; former gunman Valerio Morucci, of the Red Brigades; a former Shining Path insurgent; and Raul Reyes, second-in-command of FARC, talk about their roles in their factions’ ideological wars. Giovanni Moro, son of the murdered Italian statesman Aldo Moro; Peruvian Truth Commission member Carlos Tapia, former leader of the United Left Front; and Peru’s Minister of Justice Fernando Olivera Vega provide additional insights. (47 minutes)
bbc.co.uk/worldservice/documentaries/2008/05/080610_age_of_terror_two.shtml
0 notes