#tornanti
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crosmataditele · 1 year ago
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31/12/2023 Terminillo
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kon-igi · 10 months ago
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I GIAPPONESI, MEDIAMENTE, STANNO MALE MA LA SANNO LUNGA (cit.)
Ieri, oltre ad aver sistemato il problema al motore del mio fuoristrada appiccicando dello scotch davanti alla spia del guasto (si chiama Metodo Vorace Bestia Bugblatta di Traal), un tamblero ungherese mi ha suggerito di fare un upgrade e coprire i gemiti del motore ascoltando la musica a tutto volume (il mio motore emetteva gemiti? Non lo so... avevo la musica a tutto volume!)
Fatto sta che in un impeto di autolesionismo estremo, su youtube scelgo un collage della durata di 60 minuti - il tempo del viaggio di ritorno a casa senza fare i tornanti in derapata, sia mai che i gemiti del motore coprissero la musica - dicevo, un collage di tutte le sigle dei cartoni animati anni '70-'80, quindi Cristina D'Avena esclusa.
Ora, può darsi che i miei gusti musicali siano pessimi (lo sono) e che io abbia la sindrome di Munchausen a Stoccolma (mi avveleno da solo con cose che mi hanno reso psicodipendente da bambino) però è stato un viaggio davvero molto... istruttivo (che fatica non aver messo la D) perché mi sono reso conto che oggi i bambini non possono avere ciò di cui è stato fatto dono a chi guardava i cartoni animati sulle tv regionali.
Il trauma psicofisico di una violenza televisiva gratuita e improvvisa senza la minima censura o il minimo controllo della società.
E non sto parlando di Goku che frugava nelle mutande di Bulma chiedendosi cosa fosse quella cosa ma robe tipo Ninja Kamui, Kyashan o Judo Boy che AMMAZZAVANO DI BRUTTO LA GENTE CON TANTO DI TORTURA E SCHIZZI DI SANGUE.
Voglio dire, l'Uomo Tigre crepava di mazzate i suoi avversari ma non modello Goku Super Sayan AAAAAAAAHHHHHH!!!!... una roba più tipo il poliziotto preso a rasoiate in Pulp Fiction
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E cosa dire di Bem il Mostro Umano?
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Cioè, non lo so... 'umano' perché lui dava solo bastonate, mentre i cattivi cavavano occhi, evisceravano pance e torturavano bambini. Letteralmente.
Ho in mente questa scena in cui Ninja Kamui sta meditando su un albero (?!) e a poca distanza da lui un brigante cattura una donna e le taglia la gola con un coltello... uno schizzo di sangue della vittima imbratta il volto del protagonista ma il narratore afferma subito che lo stato di meditazione del ninja era così profondo che lui non poteva accorgersene.
Avevo 9 anni.
In genere, però, anche nelle serie più kid-friendly c'era questo sottile filo di sado-masochismo per cui ok che il/la protagonista trionfava ma per riuscirci dovevano SOFFRIRE VISTOSAMENTE, preferibilmente assistendo alla morte atroce di parenti o amici di infanzia e subendo torture da Guantanamo (spesso autoinflitte, per quella storia di Nietzsche temo un po' sfuggita di mano al mangaka).
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Comunque - e qua so di citare un cosa praticamente irraggiungibile conoscitivamente dalla maggior parte di voi - la cosa che ancora adesso mi mette più angoscia è il ricordo di Madame Butterfly che durante gli allenamenti fa espodere con furia le palline da tennis contro al muro.
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Poi sono arrivati il MOIGE e il CODACONS, quindi ora i bambini vivono in uno stato di dissociazione mentale dovuto ai buchi di trama per i tagli censori e alle cugine assolutamente non lesbiche di Sailor Moon.
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papesatan · 1 year ago
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ritratto della villa in fiamme
Di quest’ira torrenziale che mi scatena morsi a vuoto, riesco a liberarmi solo scrivendo (mancando altra preda bendisposta allo squarcio), è un gioco in cui strazio solo me stesso, ed è bene così. Ciò che è male è che mi sfoghi sui ragazzi, quando non hanno colpa alcuna all’infuori di stupidera e malavoglia, che sia duro con amici e dipendenti, che non sappia più l’arresa tenerezza. C’è un’immagine che m’ossessiona ormai da tempo, un sogno nato dalle notti del buon Angelo: un viaggio notturno con una misteriosa ragazza salda alla guida su tornanti di montagna dissestati, scossoni, sobbalzi e morte certa, ma colmi di sorrisi d’animo sereno. Giunti vivi a destinazione, un rustico villino di campagna, la ragazza lo prende radiosa per mano, mentre la casa va malamente a fuoco. Un bacio dolce e vivo di fulgida passione li serra l'uno all'altra, la casa in fiamme. D’amor distesi, si ritirano allor gli sposi, lucendo occhi negli occhi, verso le macerie d'un incendio impietoso, cinereo ricordo d'una villa in fumo. Angelo vorrebbe farci un film, qualcosa alla Charlie Kaufman, e lo ammetto, sarebbe una bella scena. Non so se significhi per lui la stessa cosa. So che per me significa molto. E sogno del suo sogno giorno e notte.  
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klimt7 · 2 years ago
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Croci
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Tornando a casa
percorrevo la strada costiera.
Quella che da Positano 
riconduce alla sommità
della penisola sorrentina.
E di tanto in tanto, 
mi apparivano su in alto,
proprio in cima alla scogliera
le croci  poste in vetta, 
a scandire i punti più alti 
della parete rocciosa.
 
 Pure sulle isolette, appena al largo
 altre croci.
 
Sotto... in basso, il mare
riverberante dei colori del tramonto.
Guidavo lungo i tanti tornanti
La radio al minimo.
E pensavo, a quanti rapporti persi
smarriti evaporati...
La Vita ha più croci di un cimitero
La Vita  di tutti, cosi
piena di croci.
Le  croci  di tutti i rapporti  finiti
nel silenzio.
Gli amori spezzati.
Gli amori soffocati nella polvere.
Le amicizie
apparentemente  indissolubili
spentesi come sigarette.
Anche i rapporti familiari esausti.
Rapporti rassegnati, sfibrati
irrigiditi come fossili.
Persone perdute nel proprio orgoglio.
Persone allontanatesi per convenienza.
Conoscenze mai evolutesi.
Sintonie spezzate in un momento
o in pochi giorni o in mesi o  in anni.
croci
c r o c i
 
c r o c i 
T a n t e   c r o c i 
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[ k ]
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vecchiorovere · 3 months ago
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Il passo internazionale “Los Libertadores”, conosciuto anche come Cristo Redentore, è una delle rotte più spettacolari che collegano l'Argentina e il Cile attraverso la Cordigliera delle Ande. Situato a oltre 3.200 metri sul livello del mare, questo corridoio è fondamentale per connettere la città di Mendoza, in Argentina, con la regione cilena di Valparaíso.
Rinomato per i suoi panorami mozzafiato di montagne innevate e per la strada tortuosa, il passo è particolarmente famoso sul lato cileno, dove si trovano 29 tornanti stretti, noti come “Los Caracoles”.
Durante l'inverno, le forti nevicate possono causare chiusure temporanee, mentre in estate la rotta è molto frequentata sia da turisti che da trasportatori. Inoltre, il tunnel di quasi 3 km rappresenta un capolavoro ingegneristico che consente di attraversare le imponenti cime andine.
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guerrerense · 4 months ago
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ADE 17 FCE a ADRANO  (Sicilia - Catania)  12 novembre 2019
flickr
ADE 17 FCE a ADRANO (Sicilia - Catania) 12 novembre 2019 por Frank Andiver Por Flickr: Siamo in Sicilia e durante una piovosa giornata di novembre 2019, mentre vediamo scendere da Bronte verso Catania , questa automotrice Ade 17 della FCE (Ferrovia Circumetnea), tra i tornanti ferroviari, tipici di questa zona, regno della pietra lavica e delle piante di pistacchio.
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zero0virgola0 · 5 months ago
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Settembre, per sua stessa natura, incarna il mese in cui ogni progetto di procastinazione viene sottoposto a un rigoroso scrutinio. È il tempo della ripresa, in cui si rimettono in moto tutte le attività e, soprattutto, si concepiscono nuovi progetti, destinati tuttavia, nell'arco di pochi mesi, a subire ancora una volta la sorte inevitabile della suddetta procrastinazione.
Nel variegato universo dei social, questa prima settimana del nono mese è stata costellata da un fiume di meme che ironizzano sui buoni propositi, puntualmente traditi. Li ho trovati estremamente piacevoli, autoironici e assolutamente pertinenti. Tuttavia, e sottolineo con fermezza, nessuno, nessuno potrà mai eguagliare l’esempio supremo di procrastinazione rappresentato dai celebri cartelli stradali che adornano, da decenni ormai, le strade statali di montagna disseminate su tutto il territorio italico.
Durante una recente escursione estiva, prima ancora di giungere al punto di partenza, ci siamo sobbarcati una sequenza interminabile di tornanti, circondati da una selva di faggi. Tuttavia, la presenza imponente di questi alberi non era nulla in confronto alla proliferazione dei cartelli stradali recanti la scritta:
ATTENZIONE BUCHE PERICOLOSE
Quei cartelli, vecchi di almeno un decennio – posso affermarlo con certezza, poiché percorro quelle strade di tanto in tanto, d'estate – sono l'emblema dell'arte suprema della procastinazione. Ora, mi si spieghi come sia possibile superare, in questa nobile disciplina, il Governo Italiano.
Lo immagino, in una stanza ovattata, mentre si dibatte:
"Abbiamo un problema: la statale del comune di Asinello Superiore, in provincia di Feltrello, è disseminata di buche. Quest'estate la gente rischia la pelle!"
"Ehm, sì, ma non c' abbiamo il BAGGIET. Prima dobbiamo organizzare la Giornata per la Sicurezza Stradale visto che abbiamo già ingaggiato l’ingegner Furbacchioli per una masterclass intitolata 'Come gestire il desiderio di crivellare la tua assicurazione'".
"Bene, allora mettiamoci dei cartelli. Così, se qualcuno rovina gli ammortizzatori, almeno non potrà farci causa."
"Perfetto, deciso."
Prendete esempio dai migliori, prendete esempio dal Governo.
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perpassareiltempo · 1 year ago
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Il tuo profilo è una scogliera: curve, tornanti, precipizi l’angolo che si affaccia sul tuo sorriso ha le sembianze di un paesaggio inedito primavera che fiorisce a gennaio tra le insenature di questo incontro sono perso nei fondali dei tuoi occhi in questo slargo creato dal primo bacio: nostra vigilia, attesa assoluta, tempo che verrà.
Andrea Cati
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iviaggisulcomo · 2 years ago
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"Ecco, questo è il rumore dell'orologio dentro. Questo misura un tempo che non va dritto, ma avanti e indietro, fa curve e tornanti, si arrotola, inventa, rimette in scena. È un tempo che non puoi misurare né coi cronometri né col più sofisticato astro-macchinario. È il tempo tuo, misura la tua vita che è unica"
Stefano Benni
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pillowbook76 · 2 years ago
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Giorno 5.
Tornare.
“Allora come è andata?”
“Benissimo, abbiamo praticamente visto tutta l’isola.
A girare con la Pillow si fanno mille chilometri a piedi e in macchina. Sta cazzo di montanara guida sui tornanti come un pilota di rally, si butta in acqua a temperature insensate, si mangia poco e si beve tanto.”
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be-appy-71 · 10 months ago
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Ho sempre amato i viaggi
e quelli più belli li ho percorsi sulle tue labbra,
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conosco l’angolo erotico della tua lingua
e amo quei tornanti morbidi che mordo deliziosi,
in ogni bacio adagiato sulla tua bocca
sentirò sempre il sussulto del mio ritorno a casa... ♠️🔥
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Nuccio Coriale
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kastenofguck · 11 months ago
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King of Mountains now also King of the Seas
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Source : Tornanti on Instagram
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canesenzafissadimora · 1 year ago
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Succede questo: ci si ritrova a dover uscire, una lista di commissioni da sbrigare e appuntamenti urgenti di vario genere.
Qualcosa immancabilmente si mette nel mezzo: quel piccolo imprevisto, o un’aggiunta dell’ultimo momento. Fatto sta che non si riesce ad uscire puntuali.
Ed ecco che, dopo i primi tornanti affrontati con speditezza, te la ritrovi davanti. Lei sì, puntuale. L’Apecar. Ancora ce ne sono tante qui in circolazione, pure in tempi di auto elettriche, SUV e IA. Allegra, sbarazzina, a ingombrare l’intera corsia, con la sua andatura tutta personale e il pezzetto di mondo che reca con sé. Impossibile superarla. Tocca stare dietro e scalare le marce.
Ti costringe a distoglierti dai tuoi programmi onnipervasivi e a prenderla in considerazione: chissà da dove viene, forse da qualche contrada dell’altopiano silano, chissà dove è diretta, quale servizio la attende.
Perché le Apecar sono per antonomasia i mezzi di trasporto da lavoro. Una volta ce la ritrovammo davanti, con legato un cavallo che le trotterellava al fianco: e non capivi se fosse lei a condurre lui o viceversa.
Apecar. Ce ne vorrebbe una al giorno. A ricordarci che c’è sempre altro, oltre a noi stessi e alle nostre cose. E quel ritmo più lento a cui ci costringe, a ben considerare è una salvaguardia, forse anche un salvavita.
Sono Apecar i bambini, che elaborano pensieri e cose in maniera lenta, perché esplorare richiede non solo tempo, ma pure lentezza.
Sono Apecar quelle persone che ci si parano davanti con le loro richieste fuori tempo o fuori luogo: si interpongono fra noi e le nostre impellenze in maniera salutare, esercitandoci nell’accoglienza di una prospettiva diversa e fuori programma.
Sono Apecar gli anziani, ricchi di anni e di esperienza: hanno appreso che non c’è bisogno di correre sempre, e che andando più lenti il viaggio è più gustoso.
Le persone-Apecar: benediciamole, quando le incontriamo, e rallentiamo il passo, per camminare con loro.
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#monacheagostinianerossano
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giuliogreen · 2 years ago
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La solitudine della Val Pruche
Ci sono dei posti che esercitano un attrattiva a volte difficilmente spiegabile, uno di questi è il versante est del gruppo del Pasubio, ovvero quell’insieme di sentieri antichissimi che una volta (ma non solo una volta) venivano usati dai pastori per salire verso i pascoli di Malga Pasubio. Avevo già percorso in discesa la Val Pruche in estate e tentato di risalirla in inverno, senza riuscirci a causa della neve, così quando mi sono messo in macchina con un pomeriggio intero a disposizione quasi senza accorgermene mi sono trovato a superare l’abitato di Posina per poi lasciare la macchina nel piccolo parcheggio di Doppio. Basta percorrere un centinaio di metri di asfalto e sulla sinistra, non visibilissimo, c’è l’imbocco del sentiero 380 che attraversa la Val Pruche. Fin dall’inizio ci si trova immersi in un fitto bosco e il sentiero inizia a salire con una serie di tornanti piuttosto ripidi che velocemente portano in quota. Bisogna fare molta attenzione a quelle che io chiamo “le trappole”, ovvero dei cavi di acciaio di qualche vecchia teleferica abbandonata che in tre quattro punti attraversano il sentiero ad altezza uomo.
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Si continua a salire per circa un ora, ogni tanto la salita lascia posto a qualche brevissimo traverso, ma si riesce a correre veramente poco, finché il sentiero termina dentro un grosso canalone che sembra essere il letto di un torrente in secca cosparso di grossi macigni.
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Un pò saltando e un pò arrampicando inizia la risalita, spesso bisogna aiutarsi con le mani per superare i punti più difficili, il canalone è abbastanza lungo, fa una curva e poi diventa ancora più ripido fino ad arrivare a quello che appare come un rebus, a sinistra sembrerebbe proseguire restringendosi ma porta in un vicolo cieco dal quale ridiscendo non senza qualche difficoltà, davanti parrebbe ostruito da una grossa frana, provo a risalirlo ma mi rendo subito conto di essere fuori strada.
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Proprio ritornando indietro scorgo un pallino rosso mezzo scolorito su una roccetta ricoperta di vegetazione, infatti il sentiero prosegue a destra mascherandosi subito in una debolissima traccia quasi invisibile che si arrampica tra l’erba alta. Più volte mi accorgo di essere fuori strada, torno indietro e mi rimetto sulla retta via grazie ai pochissimi segnali e a qualche pila di sassi.
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Si va avanti così sempre a salire finché la visuale non si apre e in cima ad una ripida salita appare il passo degli Alberghetti. Ci metto ancora una mezzora buona a raggiungerlo ma una volta arrivati su la visuale è magnifica da entrambi i versanti (mica per niente durante la prima guerra mondiale ci avevano piazzato dei pezzi di artiglieria). 
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Il pezzo che segue da qui in poi oltre ad essere una liberazione al termine di una salita infinita è un momento di pura poesia trail, un single track nell’erba leggermente in discesa che taglia in due tutta la vallata.
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Bastano un paio di km per raggiungere uno dei monumenti più discutibili che si possano trovare nelle piccole dolomiti, un “vero” arco romano costruito negli anni 30 per commemorare i caduti della prima guerra mondiale.
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Questa è una metà abbastanza ricorrente nei giri degli appassionati delle Piccole Dolomiti che in genere si raggiunge arrivando dalla parte opposta, quella che arriva dal rifugio Papa. Gran dispiego di targhe, tombe, cippi, bandiere dedicati ai caduti della prima guerra mondiale che mi puzza sempre di retorica militaresca, così salgo su alla Selletta Comando dove c’è l’unica targa a cui porto un fiore.
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Ridiscendo e proseguo verso il rifugio Papa, sono senz’acqua da un paio d’ore ed essendo anche senza soldi confido nella generosità dei gestori che riempiendomi la borraccia mi rispondono “Siamo pur sempre un rifugio di montagna”. Da qui ci sarebbero diverse soluzioni per ridiscendere a valle, ma inizia ad essere un pò tardi e ho il tel scarico quindi cerco l’imbocco del 377 che scende per la Val Sorapache. Percorro il primo tratto senza grossi problemi, finché non incrocio sul sentiero il più grosso gregge di pecore che abbia mai visto, ma non sono solo pecore (due/trecento?) ci sono anche muli, cavalli e.. cani soprattutto diversi cani, tra cui alcuni maremmani dalle dimensioni piuttosto ragguardevoli.  Uno in particolare è forse più grosso di Cjiorven e mi sta già tenendo d’occhio a distanza. A questo punto la scelta è tra farmi sbranare da “Orso” (così lo sento chiamare  dai pastori) oppure circumnavigare il gregge attraversando dei prati dove sicuramente prenderò un miliardo di zecche. Scelgo per le zecche inizio la manovra di accerchiamento sotto gli occhi vigili dei pastori e dei cani, finché arrivato in cima ad una roccia e immerso nell'erba alta sento il pastore chiamarmi “Vien giù da li, guarda che mica ti morde Orso” mezzo imbarazzato inizio a scendere verso di loro fin quando Orso fa un accenno di abbaio per poi prontamente tornare a fare il suo dovere di cane pastore, a questo punto siamo quasi migliori amici io e Orso, scambio due parole con il pastore che mi indica la strada e riparto camminando, perché correre mi sembra quasi irrispettoso in quel frangente, o forse solo ridicolo. Dopo una serie di curve però il sentiero scompare nella vegetazione, bisogna farsi largo con le mani per aprisi un varco e scoprire la traccia sul terreno, non sempre visibile, infatti mi perdo almeno un paio di volte in questa specie di amazzonia. Un pò alla volta mi metto qualche km alle spalle, tornante dopo tornante scendo sempre più a valle, scaviglio, riparto, mi confondo sul letto di un torrente che inizio a scendere inutilmente, lo risalgo per accorgermi che il sentiero lo attraversava soltanto per poi proseguire nel bosco. L’ultimo tratto è una discesa ripida nascosta sotto uno spesso strato di foglie che porta fino ad incrociare il torrente Posina, qui ci sono delle cascatelle e un paio di pozze dove ci si può rinfrescare e accucciandosi quasi immergersi del tutto nell’acqua.  Ancora un paio di curve e si arriva al ponte e quindi alla strada asfaltata, da qui svoltando a sinistra risalgo fino al parcheggio dove recupero la macchina. Sono stato in giro circa quattro ore e mezza, non ho incontrato nessuno ne a salire ne a scendere, escluse le persone al rifugio. Una borraccia da 1/2 lt è decisamente insufficiente.
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letteredalucca · 11 days ago
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Ultimi e primi colori
Camminando per la collina si trovano i colori dell’inverno che è e della primavera che sarà. I frutti della rosa canina spiccano contro il cielo terso e salutano il gelsomino d’inverno, appena arrivato, e le avanguardie dei primi  anemoni e la calendula che invece arriveranno fra qualche mese ma che già si fanno avanti negli angoli meglio esposti. Nei tornanti ombrosi ancora è abbondante il…
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h1rosh1m4 · 24 days ago
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non sono brava coi bilanci (e mi stanno anche sul cazzo, sinceramente) ma questo lo scrivo e lascio qui dove non dovrebbe andare perso. quest’anno è stato decisamente inaspettato; le situazioni dolorose che ho vissuto non riuscirei nemmeno ad elencarle tutte, purtroppo. non posso dire di aver imparato qualcosa di già, forse nemmeno di aver capito nel vero senso della parola, ma sicuramente ho avuto l’opportunità di vedere tanti aspetti di me che non conoscevo e di rivederne altri forse noti, ma non compresi.
dentro di me ci ho trovato un po’ di tutto, e di queste cose sto selezionando le cose belle e quelle che proprio non mi piacciono: con estrema fermezza lavorerò per cambiarle, nella speranza che non siano tanto il rimorso e il rimpianto a guidare questo cambiamento, quanto la mia onestà e la mia intelligenza. il passato non si cambia, ma camminerò a testa alta non perché priva di colpa, ma perché di questa colpa sono pronta a farmi carico per me stessa e per coloro che me ne chiedano conto. il lavoro, gravoso, è per me e per coloro che vorranno condividerne fatiche e risultati. questo principio di analisi, di critica ragionata del sé, ha gettato un po’ di luce anche su chi ho avuto e ho ancora accanto: anche qui nuovi spunti di estrema sofferenza, ma anche nuove gioie e ritrovato affetto per ciò che avevo dimenticato, sommerso da una vita che spesso mi scorre sopra. purtroppo ad ora non c’è spazio nella mia vita per alcune persone, alcune andate, altre andanti, tornate e tornanti, così come io non ho spazio nella vita loro e di altri. ciò non per un mero giudizio negativo e conseguente scarto, ma che cambiamento sarebbe se mettessi in atto e permettessi gli stessi comportamenti, alimentassi gli stessi meccanismi che hanno creato il danno in prima battuta? ci fosse la possibilità concreta di ricominciare nel senso più puro, non chiuderei la porta; tornare indietro a ciò che era? no grazie. io non voglio più essere la persona che ero là dentro, e non voglio le persone che stavano là con me. ho sempre professato la convinzione che la volontà e l’impegno siano necessari alla sopravvivenza di ogni rapporto e siano gli strumenti con cui aggiustare, migliorare, cambiare: continuo a crederlo, e nella speranza di vedere negli altri il cambiamento che desidero, imparerò io per prima ad usarli questi strumenti, a lavorare su di me, a migliorare. non auguro a nessuno il mio 2024 (e probabilmente il mio 2025, …, n), ma cercherò di portarmi via qualcosa di buono.
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