#tornanti
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31/12/2023 Terminillo
#anche quest’anno ho preferito passare l’ultimo dell’anno in compagnia di sconosciuti#con gli amici che sanno tutto di te puoi non fingere che vada tutto bene ma rovineresti la festa a tutti#con gli estranei non devo fingere un cazzo#a mezzanotte ero in macchina giù per i tornanti#nebbia fitta e podcast true crime
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Guess who just was in a car crash upsi, everyone’s fine obv we were both going super slow but i had two friends in my car and my first reaction was to start crying asking them if they were okay and then (everyone was okay obv) i kept crying for half an hour saying sorry
Also my car is fucked and i had to call the tow truck anyway worst day ever slay
AND NO SWIMMING IN THIS PRETTY LAKE IN THE MOUNTAINS
#vi yapping#if anyone has cute funny not sad tv series or movies to recommend pls do thanku#amici che giornata de merda pendavvero#tra l’altro chissa quando riavro la macchina#tornanti infami
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I GIAPPONESI, MEDIAMENTE, STANNO MALE MA LA SANNO LUNGA (cit.)
Ieri, oltre ad aver sistemato il problema al motore del mio fuoristrada appiccicando dello scotch davanti alla spia del guasto (si chiama Metodo Vorace Bestia Bugblatta di Traal), un tamblero ungherese mi ha suggerito di fare un upgrade e coprire i gemiti del motore ascoltando la musica a tutto volume (il mio motore emetteva gemiti? Non lo so... avevo la musica a tutto volume!)
Fatto sta che in un impeto di autolesionismo estremo, su youtube scelgo un collage della durata di 60 minuti - il tempo del viaggio di ritorno a casa senza fare i tornanti in derapata, sia mai che i gemiti del motore coprissero la musica - dicevo, un collage di tutte le sigle dei cartoni animati anni '70-'80, quindi Cristina D'Avena esclusa.
Ora, può darsi che i miei gusti musicali siano pessimi (lo sono) e che io abbia la sindrome di Munchausen a Stoccolma (mi avveleno da solo con cose che mi hanno reso psicodipendente da bambino) però è stato un viaggio davvero molto... istruttivo (che fatica non aver messo la D) perché mi sono reso conto che oggi i bambini non possono avere ciò di cui è stato fatto dono a chi guardava i cartoni animati sulle tv regionali.
Il trauma psicofisico di una violenza televisiva gratuita e improvvisa senza la minima censura o il minimo controllo della società.
E non sto parlando di Goku che frugava nelle mutande di Bulma chiedendosi cosa fosse quella cosa ma robe tipo Ninja Kamui, Kyashan o Judo Boy che AMMAZZAVANO DI BRUTTO LA GENTE CON TANTO DI TORTURA E SCHIZZI DI SANGUE.
Voglio dire, l'Uomo Tigre crepava di mazzate i suoi avversari ma non modello Goku Super Sayan AAAAAAAAHHHHHH!!!!... una roba più tipo il poliziotto preso a rasoiate in Pulp Fiction
E cosa dire di Bem il Mostro Umano?
Cioè, non lo so... 'umano' perché lui dava solo bastonate, mentre i cattivi cavavano occhi, evisceravano pance e torturavano bambini. Letteralmente.
Ho in mente questa scena in cui Ninja Kamui sta meditando su un albero (?!) e a poca distanza da lui un brigante cattura una donna e le taglia la gola con un coltello... uno schizzo di sangue della vittima imbratta il volto del protagonista ma il narratore afferma subito che lo stato di meditazione del ninja era così profondo che lui non poteva accorgersene.
Avevo 9 anni.
In genere, però, anche nelle serie più kid-friendly c'era questo sottile filo di sado-masochismo per cui ok che il/la protagonista trionfava ma per riuscirci dovevano SOFFRIRE VISTOSAMENTE, preferibilmente assistendo alla morte atroce di parenti o amici di infanzia e subendo torture da Guantanamo (spesso autoinflitte, per quella storia di Nietzsche temo un po' sfuggita di mano al mangaka).
Comunque - e qua so di citare un cosa praticamente irraggiungibile conoscitivamente dalla maggior parte di voi - la cosa che ancora adesso mi mette più angoscia è il ricordo di Madame Butterfly che durante gli allenamenti fa espodere con furia le palline da tennis contro al muro.
Poi sono arrivati il MOIGE e il CODACONS, quindi ora i bambini vivono in uno stato di dissociazione mentale dovuto ai buchi di trama per i tagli censori e alle cugine assolutamente non lesbiche di Sailor Moon.
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ritratto della villa in fiamme
Di quest’ira torrenziale che mi scatena morsi a vuoto, riesco a liberarmi solo scrivendo (mancando altra preda bendisposta allo squarcio), è un gioco in cui strazio solo me stesso, ed è bene così. Ciò che è male è che mi sfoghi sui ragazzi, quando non hanno colpa alcuna all’infuori di stupidera e malavoglia, che sia duro con amici e dipendenti, che non sappia più l’arresa tenerezza. C’è un’immagine che m’ossessiona ormai da tempo, un sogno nato dalle notti del buon Angelo: un viaggio notturno con una misteriosa ragazza salda alla guida su tornanti di montagna dissestati, scossoni, sobbalzi e morte certa, ma colmi di sorrisi d’animo sereno. Giunti vivi a destinazione, un rustico villino di campagna, la ragazza lo prende radiosa per mano, mentre la casa va malamente a fuoco. Un bacio dolce e vivo di fulgida passione li serra l'uno all'altra, la casa in fiamme. D’amor distesi, si ritirano allor gli sposi, lucendo occhi negli occhi, verso le macerie d'un incendio impietoso, cinereo ricordo d'una villa in fumo. Angelo vorrebbe farci un film, qualcosa alla Charlie Kaufman, e lo ammetto, sarebbe una bella scena. Non so se significhi per lui la stessa cosa. So che per me significa molto. E sogno del suo sogno giorno e notte.
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Croci
Tornando a casa
percorrevo la strada costiera.
Quella che da Positano
riconduce alla sommità
della penisola sorrentina.
E di tanto in tanto,
mi apparivano su in alto,
proprio in cima alla scogliera
le croci poste in vetta,
a scandire i punti più alti
della parete rocciosa.
Pure sulle isolette, appena al largo
altre croci.
Sotto... in basso, il mare
riverberante dei colori del tramonto.
Guidavo lungo i tanti tornanti
La radio al minimo.
E pensavo, a quanti rapporti persi
smarriti evaporati...
La Vita ha più croci di un cimitero
La Vita di tutti, cosi
piena di croci.
Le croci di tutti i rapporti finiti
nel silenzio.
Gli amori spezzati.
Gli amori soffocati nella polvere.
Le amicizie
apparentemente indissolubili
spentesi come sigarette.
Anche i rapporti familiari esausti.
Rapporti rassegnati, sfibrati
irrigiditi come fossili.
Persone perdute nel proprio orgoglio.
Persone allontanatesi per convenienza.
Conoscenze mai evolutesi.
Sintonie spezzate in un momento
o in pochi giorni o in mesi o in anni.
croci
c r o c i
c r o c i
T a n t e c r o c i
[ k ]
.
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Il passo internazionale “Los Libertadores”, conosciuto anche come Cristo Redentore, è una delle rotte più spettacolari che collegano l'Argentina e il Cile attraverso la Cordigliera delle Ande. Situato a oltre 3.200 metri sul livello del mare, questo corridoio è fondamentale per connettere la città di Mendoza, in Argentina, con la regione cilena di Valparaíso.
Rinomato per i suoi panorami mozzafiato di montagne innevate e per la strada tortuosa, il passo è particolarmente famoso sul lato cileno, dove si trovano 29 tornanti stretti, noti come “Los Caracoles”.
Durante l'inverno, le forti nevicate possono causare chiusure temporanee, mentre in estate la rotta è molto frequentata sia da turisti che da trasportatori. Inoltre, il tunnel di quasi 3 km rappresenta un capolavoro ingegneristico che consente di attraversare le imponenti cime andine.
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ADE 17 FCE a ADRANO (Sicilia - Catania) 12 novembre 2019 por Frank Andiver Por Flickr: Siamo in Sicilia e durante una piovosa giornata di novembre 2019, mentre vediamo scendere da Bronte verso Catania , questa automotrice Ade 17 della FCE (Ferrovia Circumetnea), tra i tornanti ferroviari, tipici di questa zona, regno della pietra lavica e delle piante di pistacchio.
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Settembre, per sua stessa natura, incarna il mese in cui ogni progetto di procastinazione viene sottoposto a un rigoroso scrutinio. È il tempo della ripresa, in cui si rimettono in moto tutte le attività e, soprattutto, si concepiscono nuovi progetti, destinati tuttavia, nell'arco di pochi mesi, a subire ancora una volta la sorte inevitabile della suddetta procrastinazione.
Nel variegato universo dei social, questa prima settimana del nono mese è stata costellata da un fiume di meme che ironizzano sui buoni propositi, puntualmente traditi. Li ho trovati estremamente piacevoli, autoironici e assolutamente pertinenti. Tuttavia, e sottolineo con fermezza, nessuno, nessuno potrà mai eguagliare l’esempio supremo di procrastinazione rappresentato dai celebri cartelli stradali che adornano, da decenni ormai, le strade statali di montagna disseminate su tutto il territorio italico.
Durante una recente escursione estiva, prima ancora di giungere al punto di partenza, ci siamo sobbarcati una sequenza interminabile di tornanti, circondati da una selva di faggi. Tuttavia, la presenza imponente di questi alberi non era nulla in confronto alla proliferazione dei cartelli stradali recanti la scritta:
ATTENZIONE BUCHE PERICOLOSE
Quei cartelli, vecchi di almeno un decennio – posso affermarlo con certezza, poiché percorro quelle strade di tanto in tanto, d'estate – sono l'emblema dell'arte suprema della procastinazione. Ora, mi si spieghi come sia possibile superare, in questa nobile disciplina, il Governo Italiano.
Lo immagino, in una stanza ovattata, mentre si dibatte:
"Abbiamo un problema: la statale del comune di Asinello Superiore, in provincia di Feltrello, è disseminata di buche. Quest'estate la gente rischia la pelle!"
"Ehm, sì, ma non c' abbiamo il BAGGIET. Prima dobbiamo organizzare la Giornata per la Sicurezza Stradale visto che abbiamo già ingaggiato l’ingegner Furbacchioli per una masterclass intitolata 'Come gestire il desiderio di crivellare la tua assicurazione'".
"Bene, allora mettiamoci dei cartelli. Così, se qualcuno rovina gli ammortizzatori, almeno non potrà farci causa."
"Perfetto, deciso."
Prendete esempio dai migliori, prendete esempio dal Governo.
#reflection#me#september#procrastination#im procastinating#lo faccio dopo#settemb#riflessione personale#riflessioni
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Il tuo profilo è una scogliera: curve, tornanti, precipizi l’angolo che si affaccia sul tuo sorriso ha le sembianze di un paesaggio inedito primavera che fiorisce a gennaio tra le insenature di questo incontro sono perso nei fondali dei tuoi occhi in questo slargo creato dal primo bacio: nostra vigilia, attesa assoluta, tempo che verrà.
Andrea Cati
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"Ecco, questo è il rumore dell'orologio dentro. Questo misura un tempo che non va dritto, ma avanti e indietro, fa curve e tornanti, si arrotola, inventa, rimette in scena. È un tempo che non puoi misurare né coi cronometri né col più sofisticato astro-macchinario. È il tempo tuo, misura la tua vita che è unica"
Stefano Benni
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Giorno 5.
Tornare.
“Allora come è andata?”
“Benissimo, abbiamo praticamente visto tutta l’isola.
A girare con la Pillow si fanno mille chilometri a piedi e in macchina. Sta cazzo di montanara guida sui tornanti come un pilota di rally, si butta in acqua a temperature insensate, si mangia poco e si beve tanto.”
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Leadville Trail 100 Run
Nel reportage che scriverò sul viaggio negli Stati Uniti di quest'anno non dirò nulla della mia gara, ma siccome volevo scrivere comunque qualcosa lo faccio qui, almeno per ricordarmi cosa è successo.
Ho passato il giorno prima della gara steso nel bagagliaio della GMC che avevamo noleggiato, ho dormito qualche ora e verso il tramonto abbiamo lasciato il paese e siamo andati a dormire a Turquoise Lake, sul percorso. La mattina la sveglia era dannatamente presto, alle 2:30am perché la gara partiva alle 4:00, il classico orario del cazzo delle gare americane. Abbiamo parcheggiato al liceo, in fondo alla 6th St. e siamo arrivati alla linea di partenza quando era ancora deserta. Un tipo aveva acceso un fuoco sul marciapiede appena fuori casa e se ne stava lì a bere il caffè con un plaid sulle gambe guardando i corridori infreddoliti cercare di scaldarsi. Ho bevuto un caffè nell'unico locale aperto, una gelateria messicana che quel giorno ha chiuso il bilancio di un anno. Nella caffetteria c'era anche Dean Karnazes, che dal vivo sembra anche più scemo che in foto. La partenza è figa, si respira tensione e si sente già puzza di morti ancora prima di partire, ma come col sudore non capisci mai se sei tu o è quello a fianco.
Da Leadville a Hope Pass
È la mia terza 100 miglia ma la cosa non mi dà nessuna fiducia: ho sentito tanto la quota nei giorni precedenti e non sono affatto sicuro di essermi acclimatato. Sono nervoso. Cerco Brent e Natalie ma non li vedo, ascolto l'inno. Poi vedo una nuvola di polvere da sparo, e solo dopo sento il colpo. La prima salita è a un quarto di miglio dalla partenza ma non la sento, ho già fatto 400 metri e mi restano solo 159,6 chilometri di gara. In fondo alla Sesta si volta a sinistra sul Boulevard, poi il gruppo si allunga e si costeggia il lago. Davvero una bomba, cazzo mi sento Anton Krupicka. Sarò in centocinquantesima posizione e va bene così. La aid station di May Queen è una bomba e non sono preparato al volume del tifo. Trovo un gruppetto col mio ritmo e arrivo in controllo ad Outward Bound, con la prima salita della gara alle spalle. Outward Bound è in mezzo alla prateria ed è pieno di gente, non trovo Elisa e perdo un po' di tempo ma sono al 38esimo chilometro in meno di quattro ore di gara quindi cerco di restare tranquillo. Uscito dalla aid station, che è lunghissima, cerco le cuffiette e metto un po' di fottuto country. Inizio ad avere le gambe stanche verso Halfpipe, circa al 45esimo chilometro a memoria. Mi fermo a fare pipì e riparto. C'è un gruppetto di gente che corre bene, due tipi un po’ swag corrono insieme e si danno i cambi: penso che prima o poi salterò ma intanto provo a stargli dietro. In salita camminano lentissimi, poi fanno degli scatti improvvisi, sul tecnico si piantano, ammesso che ce ne sia, sulle discese corribili si lanciano in picchiata: corrono tutti in modo insensato. Passo a Twin Lakes (62km) in meno di sette ore, dopo aver visto i due specchi d'acqua turchesi dominati dalle montagne del Sawatch Range. La aid station è indescrivibile, ricorda Les Contamines a UTMB ma piena di gazebo e di gente che griglia come il giorno del Super Bowl. Mi rifornisco, prendo i bastoncini e lascio le borracce a mano e parto col mio amico francese di cui ho dimenticato il nome verso Hope Pass. Lui è un fottuto francese ma in salita non va molto forte. Il sentiero è più duro di quanto mi aspettassi ma la valle è bellissima e sembrano le Alpi. Sopra alla Timberline ci sono dei Lama e un accampamento di tende su cui rifornirsi. Gli ultimi tornanti fino al passo, che ho visto mille volte nei video, sono massacranti ma arrivo in cima un'ora e mezza dopo aver lasciato Twin Lakes. Ho una fitta sotto alle costole e non riesco a correre in discesa: è un pezzo tecnico, a tutti gli effetti e fanculo a chi dice il contrario. Il versante di Winfield è molto ripido e sebbene siano solo 850 metri di dislivello te li fa maledire tutti. In fondo alla discesa c'è un tratto molto lungo e poco corribile in leggera salita fino al giro di boa e solo qua inizio a incontrare i primi che iniziano a tornare indietro.
At the top of Hope Pass, 3800m above sea level
Da Winfield ad Half Pipe: scavando nel profondo, quasi
Non vedo Rob Krar, che trovo alla aid station seduto su una roccia a guardare chi passa. Si è ritirato e mi dispiace, glielo dico e lui mi incoraggia. Alla aid station ci sono dei ragazzi e delle ragazze super gentili che portano ai corridori quello di cui hanno bisogno senza farli alzare da dove si trovano. Mi propongono diverse cose ma non ho voglia di niente, così mi alzo, vado in bagno, prendo l'ultima benedizione da Rob Krar e me ne vado. Mi giro per tornare a Leadville dopo 10 ore e mezza. Mi scende una lacrima, ma devo correre ancora 80 chilometri, sono appena a metà, non è finita. Riparto da Wienfield comunque meglio di come ci sono arrivato. Fa caldissimo e il sole dei tremila metri è caldo. Ritorno per la seconda volta alla quota più alta in cui sia mai stato in vita mia nemmeno tre ore dopo averla lasciata: Hope Pass, 3800 dannati metri sul livello del mare. La salita è massacrante, vado lentissimo ma supero tutti e nessuno mi supera. Sono un fottuto europeo dopo tutto, camminare in salita è l'unica cosa che so davvero fare. Su tira vento e sono stanco e c'è Leadville sul fondo, e sembra vicina ma la strada è ancora lunga. Alla fine di questa discesa mi mancheranno soltanto 60 chilometri di strade bianche corribili, e finalmente troverò Lapo, il mio dannato pacer.
In discesa ho i quadricipiti andati e le fitte continuano a torturarmi ma riesco a correre a un ritmo decente. Quando entro a Twin Lakes, in 13 ore e 4 minuti, sono passato in 40esima posizione, ho 12 ore per fare 60 chilometri per avere la fibbia grande, potrei anche camminare fino all'arrivo e probabilmente ce la farei comunque: la gara sta andando dannatamente meglio del previsto, la parte tosta è alle spalle, ma manca sempre una maratona e mezza, e la dannata notte. Elisa è all'inizio della aid station ad aspettarmi e Lapo è pronto a petto nudo, esattamente come l'ultima volta che ci siamo visti, in mezzo al deserto, un anno prima. "Tu non preoccuparti per come mi vesto io, preoccupati di cosa ti devo portare". Gli smollo tutto: zaino, borracce, frontali, bastoncini. Ripartiamo e sulla salita di Mt Elbert riprendiamo quattro persone: in salita vado più di chiunque altro ma restano solo 1000 metri di dislivello, non molti per fare la differenza, insomma, devo correre. Quando inizia la discesa mi ritrovo piantato, non riesco a correre continuativamente e lentamente diventa un'agonia. Lapo mi impone di alternare corsa a camminata e così in qualche modo arriviamo ad Half Pipe. C'è un signore con un cappellino da camionista che va su e giù per il percorso con una bici elettrica. Dice qualcosa, non ricordo cosa ma mi fa sorridere. Poi Lapo mi porta un bicchiere di caffè che mi rimette al mondo. Cristo mi ero dimenticato di quanto è buono. Capisco che il caffè è la chiave per arrivare in fondo, riparto confortato verso Outward Bound, so che è vicino.
Lapo and me at the Halfpipe aid station, km 115
Da Halfpipe a Leadville: inizia la gara
Siamo immersi nell'oscurità, intuisco la distanza dalla aidstation di Outward Bound, sperduta in mezzo alla prateria. Da qualche miglio corriamo sempre con le solite persone: la seconda donna, il numero 267 e il mio tipo francese. Tutti con relativi pacer, francese escluso. Non stiamo bene ma nessuno ci supera e non superiamo nessuno, ho l'impressione che siamo rimasti soltanto noi in gara. Arriviamo ad Outward Bound e io sembro essermi ripreso. "Ti do tempo fino alla cima di Sugarloaf Pass per convincerti che stai bene" mi ordina Lapo, "da là cambiamo marcia e ti tiro fino all'arrivo". Signorsì, io d'altronde sono lucido ma ho smesso di pensare lasciando a lui anche questo ingrato compito. Non ho mai avuto un pacer e lui non l'ha mai fatto, ma mi trovo bene e insieme formiamo una bella squadra: lui mi parla per tenermi cosciente, io non rispondo ma sono contento di ascoltarlo. Alla aidstation c'è la Eli, chiacchieriamo un po', mi cambio, bevo un altro caffè. Ripartiamo correndo e raggiungiamo in fretta Fish Hatchery e poi l'attacco della salita di Powerline: è dannatamente dritta, una fila di frontali fa intuire dove finisce. Mancano 34 chilometri all'arrivo e inizio ad averne i coglioni pieni, così faccio quello che so fare meglio, finalmente: abbasso la testa e mi metto a sbacchettare. Cristo se sbacchetto: passo uno, due, tre, cinque, dieci atleti. Stacco di qualche metro persino Lapo che resta a una ventina di metri da me. Non avendo nulla da ascoltare inizio a imbambolarmi e gli occhi iniziano a chiudermi, se rallentassi mi arenerei così continuo a spingere: mancano ancora tanti chilometri ma non c'è più nulla per cui salvare le gambe, insomma, è il momento di andare, e al diavolo tutto il resto.
Alla aid station di Sugarolaf c'è un rave party in miniatura: la aid station è avvolta da una nuvola di erba e ci sono musica e luci stroboscopiche. Un tale fa delle bolle di sapone giganti, sarà mezzanotte. Bevo l'ultimo caffè e ripartiamo per l'ultima discesa verso Mayqueen. In discesa ho ancora male ai quadricipiti ma Lapo mi costringe a correre. Quando il sentiero diventa più tecnico ritrovo la gioia di correre in discesa e supero qualche altro atleta incartato tra le radici: sono davvero degli incapaci. Entriamo alla aid station di May Queen e Lapo mi precede di un po'. Quando arrivo al ristoro non mi siedo, ho voglia di ripartire. C'è una lavagnetta bianca appoggiata per terra con sopra scritti dei nomi. Chiedo alla ragazza cosa siano e lei mi dice che sono i passaggi. Solo quelli? Faccio un rapido conto e sono in 26esima posizione: non sono mai stato così davanti in una 100 miglia. Vedo la lavagnetta e mi ricordo che sono in gara, che per una volta potrei anche provare a fare qualcosa di meglio che correre contro me stesso e cercare di superare attivamente qualcuno. Ringrazio e riparto, Lapo mi sta dietro, io imposto un ritmo attorno ai 5' al chilometro, dopo 120 chilometri di corsa per me è un ritmo incredibile. Non ho più male, sono caldo, se mi fermo muoio. Corro. Il sentiero di Turquoise Lake è al buio come la prima volta che ci sono passato, non c'è niente da guardare, tanto vale correre e correre ancora. Corro e a un certo punto mi accorgo che dietro di me Lapo è scomparso. Cazzo. Non ho acqua, la frontale si sta scaricando e mi mancano 15 chilometri. Nel frattempo supero due persone, chiedo una borraccia a una, una frontale all'altra. Continuo a correre. I chilometri passano, il tempo vola. 14, 13, 12. Passo il campground in cui ho dormito la notte precedente, imbocco il Boulevard, trovo il mio amico francese che cammina a bordo strada, gli dico di seguirmi ma mi dice di andare. Continuo a correre. Quando imbocco il Boulevard, a 5 chilometri dall'arrivo, c'è una fila di cartelli a bordo strada, a una distanza precisa uno dall'altro, che riportano i nomi dei vincitori della gara dal 1983 ad oggi: sei stanco sai ancora fare i conti e sai anche che prima di arrivare di quei dannati cartelli dovrai superarne 39. Così inizio a contarli, trovo davanti a me un ultimo corridore, lo supero accelerando: corro in salita, corro sul Boulevard, tre chilometri prima di finire Leadville Trail 100 Run. Sono sulla 6th, vedo l'arco d'arrivo, delle persone che applaudono. Gli ultimi metri sono in salita, fanno male, ma io sto bene: sono sempre stato bene. Spengo l'orologio. Marilee mi abbraccia, mi dà una medaglia, Ken appoggia il fucile, mi abbraccia anche lui. Mi siedo sotto all'arco di arrivo, insieme a loro, resto lì per un po'. Poi arriva Lapo, arriva Elisa. Bevo una cioccolata, prendo la dannata fibbia, poi andiamo a dormire, è stata una lunga giornata, ma, in fondo, non è poi stata così lunga.
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Ho sempre amato i viaggi
e quelli più belli li ho percorsi sulle tue labbra,
conosco l’angolo erotico della tua lingua
e amo quei tornanti morbidi che mordo deliziosi,
in ogni bacio adagiato sulla tua bocca
sentirò sempre il sussulto del mio ritorno a casa... ♠️🔥
Nuccio Coriale
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King of Mountains now also King of the Seas
Source : Tornanti on Instagram
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Succede questo: ci si ritrova a dover uscire, una lista di commissioni da sbrigare e appuntamenti urgenti di vario genere.
Qualcosa immancabilmente si mette nel mezzo: quel piccolo imprevisto, o un’aggiunta dell’ultimo momento. Fatto sta che non si riesce ad uscire puntuali.
Ed ecco che, dopo i primi tornanti affrontati con speditezza, te la ritrovi davanti. Lei sì, puntuale. L’Apecar. Ancora ce ne sono tante qui in circolazione, pure in tempi di auto elettriche, SUV e IA. Allegra, sbarazzina, a ingombrare l’intera corsia, con la sua andatura tutta personale e il pezzetto di mondo che reca con sé. Impossibile superarla. Tocca stare dietro e scalare le marce.
Ti costringe a distoglierti dai tuoi programmi onnipervasivi e a prenderla in considerazione: chissà da dove viene, forse da qualche contrada dell’altopiano silano, chissà dove è diretta, quale servizio la attende.
Perché le Apecar sono per antonomasia i mezzi di trasporto da lavoro. Una volta ce la ritrovammo davanti, con legato un cavallo che le trotterellava al fianco: e non capivi se fosse lei a condurre lui o viceversa.
Apecar. Ce ne vorrebbe una al giorno. A ricordarci che c’è sempre altro, oltre a noi stessi e alle nostre cose. E quel ritmo più lento a cui ci costringe, a ben considerare è una salvaguardia, forse anche un salvavita.
Sono Apecar i bambini, che elaborano pensieri e cose in maniera lenta, perché esplorare richiede non solo tempo, ma pure lentezza.
Sono Apecar quelle persone che ci si parano davanti con le loro richieste fuori tempo o fuori luogo: si interpongono fra noi e le nostre impellenze in maniera salutare, esercitandoci nell’accoglienza di una prospettiva diversa e fuori programma.
Sono Apecar gli anziani, ricchi di anni e di esperienza: hanno appreso che non c’è bisogno di correre sempre, e che andando più lenti il viaggio è più gustoso.
Le persone-Apecar: benediciamole, quando le incontriamo, e rallentiamo il passo, per camminare con loro.
#monacheagostinianerossano
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Riassunto della giornata:
Prendi con largo anticipo il giorno di ferie. Guarisci dal covid giusto in tempo. Fatti 4 ore di autostrada con caselli e carburante aumentati dal primo gennaio. Raggiungi Torino per la mostra a Venaria. Fermati a mangiare un lauto pranzo in Osteria. Il pupo dorme, Google dice Sacra di San Michele a mezz'ora. Fai un'altra mezz'ora di tangenziale, pedaggi e tornanti di montagna. Raggiungi il parcheggio con indicazione 800m a piedi in salita verso l'abbazia. Paga mentre tutti gli altri non lo fanno con la colonnina che si beve pure due euro. Arrivati al portone trovare chiuso. Bestemmiare in compagnia di tutti gli altri che sono arrivati lì e sentire un misto di giacobinismo misto a soviet che sale contro Chiesa ed edifici religiosi. Rifarsi il pezzo a piedi e in macchina rimandando a domani la mostra che ormai l'ultimo ingresso è andato.
Porco.dio.&Porco.il.clero
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