#gare invernali
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pier-carlo-universe · 29 days ago
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TUTTO PRONTO PER LA COPPA DELLE ALPI 2025
Brescia, 11 Marzo 2025 – La quinta edizione della Coppa delle Alpi segna un ritorno alle origini: dopo che, nel 2024, l’evento venne affiancato dal progetto del Grande Viaggio Alpino a sostegno delle comunità dell’omonima macroregione, quest’anno la gara torna alla classica collocazione invernale, inaugurando il Campionato Italiano Grandi Eventi di Aci Sport. 42 gli equipaggi (provenienti da 10…
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vintagebiker43 · 2 years ago
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Si sta per costruire una pista da bob per le olimpiadi invernali che costerà 124 milioni. Costerà 694.000 € all'anno per la refrigerazione, avrà la necessità di un prelievo idrico di 3000 metri cubi di acqua e per far spazio al tracciato si sacrificheranno 25.000mq di lariceto con l'abbattimento di 500 grandi larici. E se vi dicessi che la pista realizzata a CesanaTorinese costruita per le olimpiadi di Torino del 2006 è stata abbandonata subito dopo per gli alti costi? Impianto costato 110 milioni di euro. La domanda sorge spontanea: è indispensabile costruirne un'altra a Cortina? Ebbene il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ha detto no ma gli ottusangoli del Comitato promotore di MilanoCortina2026 hanno risposto che la pista da bob la fanno comunque. Non importa che ci sia già stato l'esempio di Cesana, non importa che in tutta Italia ci siano soltanto una trentina di atleti a praticare questo sport. E non importa neanche che i bandi sono andati deserti e si procederà per trattativa privata. Bisogna spendere per forza "ad cazzum" i soldi degli italiani e fare un altro disastro ambientale, come se non bastassero i cambiamenti climatici in atto e il consumo di suolo che avanza come se non ci fosse un domani. E se vi dicessi che a 160 km c'è già un'altra pista da bob a Innsbruck e che il sindaco ha dato la disponibilità ad ospitare le gare di bob? E se poi vi dicessi che il costo per l'adeguamento sarebbe di 27 milioni ma che il primo cittadino di Innsbruck george Willi chiede un contributo di soli 15 milioni? 0 alberi abbattuti, 0 impatto ambientale e 110 milioni risparmiati. Bisogna davvero essere ottusi, ciechi sordi, incapaci e con manie di grandezza, dei geni del male per perseverare in questo piano diabolico. Soldi degli italiani buttati dalla finestra per distruggere l'ambiente. Da denuncia. Se abitassimo in un paese civile, con un governo lungimirante, con una visione del futuro una tale opera non sarebbe neanche presa in considerazione..ma abitiamo in una repubblica delle banane. Rivotateli mi raccomando.
pier luigi pinna
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montagne-paesi-news · 1 month ago
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m2024a · 8 months ago
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Parigi, incontro tra Meloni, Malagò e Bach: sul tavolo il caso Khelif. Il Cio: è donna, faremo chiarezza Il presidente del Cio Thomas Bach torna sul caso della pugilatice algerina iperandrogina Imane Khelif dopo un incontro a Parigi con la premier Giorgia Meloni e il presidente del Coni Giovanni Malagò. «Siamo rimasti d’accordo di restare in contatto per condividere lo stesso background scientifico e rendere la situazione più comprensibile perché Khelif è una donna e ha fatto competizioni per sei anni al livello internazionale» ha detto Bach che ha parlato di un incontro «positivo» dopo le critiche rivolte ieri al Comitato olimpico dal capo del governo italiano. «Condividiamo punti di vista e siamo d’accordo sul chiarire e migliorare il background scientifico di cui abbiamo parlato», ha aggiunto. In una nota di Palazzo Chigi si legge che al centro del colloquio c’è stato «uno scambio di vedute sull’andamento dei Giochi e sullo stato di preparazione delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026». Nel corso del faccia a faccia, affrontato anche il caso dell’atleta Imane Khelif e il tema delle regole per garantire equità nelle gare. Meloni e il numero uno del Cio hanno concordato che Governo e Comitato olimpico internazionale rimarranno in contatto per valutare come affrontare la questione per il futuro.
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personal-reporter · 1 year ago
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Le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026: cosa aspettarci?
Le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. Le gare si svolgeranno in 18 sedi in Lombardia e Veneto, tra cui Milano, Cortina d’Ampezzo, Livigno, Bormio, Anterselva e Verona. Continue reading Untitled
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Gare ed educazione, Cus Torino e Regione investono sullo sci
La Regione Piemonte investe sempre di più sullo sci giovanile. Oggi sono stati presentati al Cus Torino i 63/imi Campionati Nazionali Universitari Invernali Fis/Fisu “Open” in programma dal 15 al 17 gennaio 2024 a Bardonecchia.e il Pes, Progetto Educativo Sci ‘Regione Piemonte’ 2024.     “Ancora una volta – spiega una nota del Cus – la Regione e il Cus puntano su un progetto invernale a forte…
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ultravita · 2 years ago
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Portone
Avete mai desiderato i Ray-Ban di Tom Cruise in Top Gun? C’è chi mente e chi risponde “certo che sì”.
Be anche io li ho voluti e la prima volta che ho visto quel film cult per la mia generazione è stato mentre “attaccavo” scuola in una sala giochi interrata nei pressi della questura di Sondrio.
Questo particolare non è indifferente… infatti fui beccato proprio grazie alla “soffiata” di un amico poliziotto a mia mamma.
Io pensavo di farla franca, come sempre andavamo a rubare i libretti delle giustificazioni ai primini (gli studenti al primo anno di superiori) così da averne uno ufficiale per i genitori ed uno abilmente falsificato per i professori.
Ti senti furbo, astuto, un piccolo truffatore inafferrabile, ed invece tua madre sa già tutto da un pezzo e ti aspetta a casa dopo l’ennesima mattinata passata a vedere film o a giocare a Tetris.
Ovviamente c’è che mi batteva a “balzare” scuola. Daniele, il mio migliore amico, si era sparato tutte le Olimpiadi Invernali di Albertville del 1992, dall’8 al 23 febbraio non stop, compresa la mitica medaglia d’oro di Tomba in slalom gigante.
Ma prima o poi mi toccava la resa dei conti con mamma Anna, ed, inesorabilmente, arrivò.
Quindi per un po’ di tempo smisi di frequentare la sala giochi a ripresi a frequentare l’ITIS Enea Mattei.
Ma il punto certo non è questo.
Vedete le prime foto?
Ecco, lei è l’Anna alla 15km della DoppiaW.
Ha appena tagliato il traguardo, la fettuccia rossa che le avevo messo come i vincitori delle gare “grandi” sta cadendo in terra.
Perché non molla mai, perché va ancora in montagna, si mette in gioco, non si ferma mai, sia per una passeggiata con le amiche, oppure per aiutarmi a balisare il percorso o partecipare alla gara.
Nonostante qualche anno all’anagrafe, nonostante le ginocchia messe male, nonostante le amiche inizino a non seguirla più.
Lei c’è.
Una certezza. Una delle certezze delle mie DoppiaW.
C’era al Rifugio Malghera quando mi aspettò sul sentiero durante la mia gara da 60km nella prima edizione.
C’era a Tirano all’arrivo della seconda edizione, quando ci abbracciamo e scese anche qualche lacrima per lo stress accumulato.
Una delle certezze di questa mia DoppiaW, insieme al Guido, mio papà, sempre pronto a darmi una mano, a forare cartelli con il trapano, ad appendere fettucce a Biancadino, a cercare percorsi sulle mappe.
Una certezza come la Vale, che quest’anno si è fatta in quattro per seguirmi e supportarmi sempre (più che altro sopportare), ma di lei parlerò in un altro racconto (anche perché mi ha esplicitamente chiesto un ringraziamento particolare).
Sono ormai sveglio da 30 ore (ora più, ora meno) e dopo una notte di tensione dovuta alle condizioni meteo che imperversavano sulla 100k, le prime luci dell’alba hanno portato un po’ di tregua sia alle mie preoccupazioni sia al tempo per 70k, 30k e 15k.
Le tre partenza sono andate via lisce e tutto sembra procedere per il meglio anche sul percorso della gara lunga.
Ora gli occhi tesi lasciano spazio ad un po’ di sereno, come in cielo ormai e ci si può scogliere in un lungo abbraccio con il vincitore della 100k, Daniele.
Come dico sempre, è molto più facile correre una gara che organizzarla.
Quando partecipi, non ti rendi conto realmente di ciò che c’è dietro.
Arrivi in albergo, lasci la valigia, ti fai un giro, passi veloce al ritiro pettorale, scatti qualche foto e poi non ti resta che pensare alla gara e a portare il tuo culo all’arrivo.
10, 20, 30 o forse 40 ore a seconda della distanza.
Poi birra, doccia e dritto a letto.
Quando sei dall’altra parte, quando il pettorale non lo metti ma lo fai stampare, quando le fettucce non le segui ma le metti, quando la birra non la bevi ma la ordini al fornitore, le cose cambiano, e anche di parecchio.
Inizi dall’anno prima, quando le luci si sono appena spente al passaggio dell’ultimo concorrente e le casse hanno appena smesso di far sentire We are the Champions.
Inizi a postare le foto, i video, perché sai che il ferro va battuto finché è caldo, fino a quando le persone parlano della gara, dei ricordi e dell’esperienza vissuta.
Da lì si costruiscono le basi per la nuova edizione, l’effetto “palla di neve” come mi ha detto pochi giorni fa il mio amico Nico, il poco che diventa tanto con il tamtam dei social e il passaparola.
E da qui i mesi che diventano via via più frenetici fino ai giorni dell’evento vero e proprio.
Evento che ti sballotta e ti sbatte come una montagna russa, con il telefono che non smette mai di suonare e la gente che si aspetta delle risposte a domande che ti bombardano a 360 gradi.
Poi, ovviamente, le preoccupazioni per i 600 atleti che si stanno muovendo sui sentieri delle varie gare con un occhio sempre alla Centrale di controllo dove Marco si destreggia tra radio, telefoni ed una buona dose di imprecazioni.
Ma alla fine ,vi chiederete, ma chi te lo fa fare?
La passione, quella fa muovere tutto, quella è alla base di tutto.
Passione per la montagna, per un territorio meraviglioso, per la condivisione di quello che provo io quando vado sui miei sentieri, per quello che vedo e per quello che sento.
I complimenti, quelli veri, detti a voce o scritti sotto ad un post.
Le facce stanche ma felici sotto quel pannello con la scritta finisher.
Conosco quasi ogni metro, quasi ogni pianta o sasso del percorso, a volte mi diverto ad indovinare il posto esatto da una foto che vedo in giro, in questi giorni sto togliendo le fettucce e riesco a ricordare il posto dove le ho posate un mese fa, accorgendomi anche che qualcuno ne ha presa una per ricordo.
Tutto questo contribuisce al successo di una manifestazione come DoppiaW, essere se stessi, metterci il cuore, il lavoro, il tempo.
Certamente non ci muove lo spirito avido di chi vuole guadagnare, siamo volontari, come le oltre 200 persone che ci aiutano ogni anno.
Ovviamente non siamo noi a dover parlare bene di noi stessi, lo devono fare i fatti e lo faranno i fatti.
Anno dopo anno.
Edizione dopo edizione.
Per questi 10 giorni ci siamo goduti le good vibes, ora tocca ancora rimboccarsi le maniche, DoppiaW non finisce il giorno della gara, comincia il giorno della gara.
Poi, come dice la scritta dei miei pantaloncini che ormai indosso scaramanticamente da tre anni, tutti i santi aiutano.
E la Gilda guarda giù dal Portone.
Sempre.
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diceriadelluntore · 3 years ago
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Rolling Stones
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Questa in foto è Ailsa Craig, una piccolissima isola ad ovest della Scozia, a poche miglia dal Firth of Clyde, una profonda insenatura provocata dalla foce del fiume Clyde.
Questa piccola isola è famosa nel mondo sportivo perchè è dalle sue cave di granito che per tradizione si estrae il granito ricco di riebeckite per le stones del curling, fabbricate dalla Kays Of Scotland, l’unica azienda che fornisce le stones ai giochi olimpici (c’è un’altra azienda gallese che usa del granito della penisola di Llŷn, contea di Gwynedd che fa stones eccellenti).
Il curling, sport di origini scozzesi, è uno sport sul ghiaccio dove i giocatori, suddivisi in due squadre, fanno scivolare queste pietre, le stones, che pesano 20 kg, su un pavimento di ghiaccio verso un'area di destinazione, detta casa, contrassegnata da tre anelli concentrici. Ogni squadra ha a disposizione otto lanci per ogni intervallo di gioco, detto end. Lo scopo del gioco è di accumulare, nel corso della partita, un punteggio maggiore dell'avversario. I punti si calcolano in base al numero di stone più vicine al centro della casa alla conclusione di ogni mano. Una mano si completa quando entrambe le squadre hanno lanciato tutte le proprie pietre. La traiettoria curvilinea, il curl che dà nome allo sport, può essere ulteriormente influenzata dall'azione delle scope da curling, che vengono usate per abradere la superficie del ghiaccio di fronte al sasso alterandone le caratteristiche. Per il mix avvincente di precisione tipica del biliardo (angolazioni, rimpalli, traiettorie) e per la strategia sul come posizionare le stones, e con quali conseguenze sull’azione avversaria deciderle, è uno sport appassionante.
Ai XXIV Giochi olimpici invernali che si stanno svolgendo a Pechino, L’8 Febbraio 2022 questi due meravigliosi atleti italiani
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Stefania Costantini e Amos Mosaner, hanno compiuto un’impresa che davvero si può definire leggendaria:
nella disciplina del duo misto, hanno vinto tutte e 9 le gare del Round Robin (un girone all’italiana dove ogni squadra incontra tutte le altre), battendo tra gli altri la coppia Campione Olimpica in carica, la Gran Bretagna, i Campioni del Mondo in carica, il Canada, la Svezia del giocatore Eriksson, 5 volte campione del mondo, la Norvegia, vice-campione del mondo e Bronzo alle Olimpiadi del 2018. In semifinale, nuova vittoria contro la Svezia, addirittura per inferiorità (il distacco di punteggio all’ultimo end era incolmabile e quindi non disputato) e con una finale emozionante battuta ancora la Norvegia. 11 vittorie su 11 gare. Medaglia d’oro!
Il tutto per un movimento, il curling italiano, che ha 400 tesserati in tutto (contro i milioni in Canada, dove è con l'hockey su ghiaccio sport nazionale). Per me rimane una delle imprese sportive più incredibili della storia dello sport italiano!
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pier-carlo-universe · 26 days ago
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Brignone prima, Goggia seconda: l'Italia domina il SuperG di La Thuile.
La neve di La Thuile si tinge di azzurro con un’impresa straordinaria dello sci alpino femminile: Federica Brignoneconquista la vittoria nel SuperG di Coppa del Mondo, mentre Sofia Goggia si piazza seconda a un solo centesimo di secondo, regalando all’Italia una doppietta che entra nella storia dello sport. Decimo capolavoro di Brignone. Nella sua Valle d’Aosta, Brignone realizza la sua decima…
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fotopadova · 4 years ago
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La fotografia di Jacques-Henri Lartigue
di Terry Peterle
-- Il lavoro fotografico di Jacques-Henri Lartigue è senza dubbio un pilastro nella storia della fotografia del XX secolo. La visione inconsapevole che agli albori della sua produzione lo portano a codificare l’immagine come ricordo privato, compongono un autentico diario autobiografico, narrazione delle sue inquadrature in quello che oggi, nella teoretica della fotografia, definiamo album fotografico. Lartigue nasce a Courbevoie, vicino a Parigi in Francia nel 1894. A soli sei anni il padre, che di professione era bancario gli regala una macchina fotografica di grandi dimensioni 13x18 che azionava stando su di uno sgabello, riconoscendo la singolarità del figlio. È nel 1902 che Lartigue scatta la sua primissima immagine a mano libera in autonomia, affermando che: “Era un’ invenzione sovrumana. Ho preso tutto! I colori! I suoni! La vera misura delle cose...”2.
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     ©Jacques-Henri Lartigue, Dani Lartigue, Aix-les-Bains agosto 1925
Fin da subito, sensibile alla vita e curioso, inizia a riprendere il suo ambiente domestico. Le immagini sono la memoria di un ambiente famigliare affettuoso e felice. I genitori, il fratello Zissou, il nonno Alfred detto ‘Delacour’ che fu una dei inventori del sistema monorotaia e anche drammaturgo, una moltitudine di zii, vivaci cugini tutti di bella presenza e ben vestiti. Dalle immagini sappiamo che il quadro sociale di Lartigue era benestante, grazie anche al fatto che nelle scene si scoprono tate, chaffeurs, animali domestici ben tenuti.
Poi, i soggetti e le inquadrature di Lartigue mutano, intercettando una capacità naturale di cogliere la circostanza: i suoi soggetti sono “le gare automobilistiche ad Auvergne, le bagnanti a Deauville e Biarritz, gli entusiasmanti aeroplani a Issy-les-Moulineaux e Buc, i passatempi invernali in Svizzera e le gare di resistenza ad Auteuil”3.
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     ©Jacques Henri Lartigue, Grand Prix de l’ACF, automobile Delage, Circuito di Dieppe 26 giugno 1912
La visione del mondo secondo Lartigue era questa, poco prima dello scoppio della prima guerra mondiale, un’epoca che caratterizza le scene degli impressionisti che camminano in parallelo all’innovazione del mezzo fotografico: la Belle Époque, beatitudine della felicità. Un’estetica dell’immagine che denota una sorprendente creatività, testimonianza storica nelle abitudini della borghesia e dell’aristocrazia in Francia agli inizi del 1900.
Il bambino prodigio viene sostenuto nella sua capacità di catturare la vita e tradurla in arte, tanto che dal 1915 frequenta l’Académie Jullian, agganciando la sua professione alla pittura che lo accompagnerà per tutta la vita.
L’immagine e il mito che si crea attorno alla figura di Lartigue, riconosciuto solo in tarda età come maestro della fotografia è quella di “un genio precoce che ritrae la Belle Époque, non influenzata da tendenze e dibattiti estetici”4. Le conoscenze espressive apprese con la pittura ma anche le intuizioni che ricava dall’uso delle varie macchine fotografiche susseguitesi negli anni, in particolare i loro limiti tecnici, sono di fatto gli strumenti visivi utili a costruire quel dinamismo d’immagine che caratterizzano lo stile fotografico di Lartigue.                              
Nel panorama visivo acquisisce notorietà con i ritratti scattati a Pablo Picasso e Jean Cocteau (1955), tuttavia la strada verso la consacrazione inizia a partire solo dagli anni ’60 e fa conoscere al grande pubblico parte del suo vasto archivio fotografico.
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                  ©Jacques-Henri Lartigue, Picasso,- Cannes agosto 1955
Gli eventi che portano a questo slancio sono innanzitutto la mostra tenutasi al Museum of Modern Art di New York del 1963 (luglio-novembre) dal titolo “The photographs of Jacque Henri Lartigue”5 curata da John Szarkowski direttore del Dipartimento della Fotografia del Museo. Lartigue decide di aggiungere al suo nome quello del padre, ha 69 anni ed è un periodo in cui sulla scena globale domina la fotografia documentaristica dai tratti molto personali.
Nel novembre dello stesso anno, il giornale Life pubblica un articolo di dieci pagine della produzione fotografica di Lartigue che è lo stesso numero che narra dello sconvolgente omicidio di John Fitzgerald Kennedy. Lartigue e Kennedy si erano conosciuti una decina di anni prima: una triste coincidenza che permette, tuttavia, a Lartigue di acquisire una certa notorietà data l’impressionante tiratura del giornale. Se Life sceglie di descrivere l’opera infantile di Lartigue “proustiana, anti-moderna e nostalgica”6, il curatore della mostra Szarkowski la definisce “moderna, ottimista e tecnologica”7 volendo far scoprire al pubblico un Lartigue in una naturale cornice da fotografo. Una prima personale di una fotografia moderna, soggettiva, allegoria di un’infanzia, Lartigue è per Szarkowski “il precursore di ogni creazione interessante e viva realizzata nel corso del XX secolo”8.  
È del settembre 1976 la pubblicazione della prima opera monografica de ‘Les photographies de J.-H. Lartigue. Un album de famille de la Belle Epoque’. Il libro è significativo e accoglie il plauso del pubblico, venduto con un design elegante, è ispirato agli album di famiglia e contribuisce alla diffusione internazionale del suo lavoro. Un mese dopo Harper’s Bazaar gli commissiona il suo primo lavoro di fotografia di moda. Dagli inizi a partire dal 1963 alla consacrazione vera e propria avvenuta nel 1970, Lartigue ora è ufficialmente un fotografo riconosciuto nella moda e saranno nomi come Hiro e Avedon a rimanere affascinati dalla sua fotografia.
Sarà proprio Richard Avedon, che dopo la mostra al MoMA del 1963 in una lettera a Lartigue scrive: “È stata una delle esperienze più commoventi e potenti della mia vita. Sono fotografie che riecheggiano. Non le dimenticherò mai. Vederle è stato per me come leggere Proust per la prima volta”9. Avedon decide così che la produzione di Lartigue deve essere divulgata per intero tanto che diviene l’editore di una delle più amate monografie pubblicate di Jacques-Henri Lartigue dal titolo ‘Diary of a Century’ pubblicata da Viking nel 1970. Il libro è la pubblicazione inedita di fotografie prima del 1930.
Gli anni ’70 vedranno Lartigue come fotografo di moda ma le collaborazioni arrivano anche dal cinema, come fotografo di scena.
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  Alain Delon fotografato da Jacques-Henri Lartigue durante le riprese di «Zorro»                                               il 16 settembre 1974 in Spagna (Photo by Jean-Pierre BONNOTTE/Gamma-Rapho © Getty Images)
È nel 1975 che la Francia per la prima volta, sua terra natia, espone al Muséè des arts décoratifs di Parigi, una grande retrospettiva, ‘Lartigue 8 x 80’. L’anno prima il presidente francese Valéry Giscard d'Estaing gli aveva commissionato il suo ritratto ufficiale, fino a quel tempo riservato a fotografi anonimi.
Nel 1979 Jacques-Henri Lartigue dona la sua intera opera - dai negativi, agli album originali, ai diari a tutte le macchine fotografiche - al governo francese che istituisce l'Association des Amis de Jacques Henri Lartigue, oggi denominata Donation Jacques Henri Lartigue, con la supervisione del Ministero della Cultura. La funzione della Donation è quella di promuovere il suo lavoro e dal 1979 organizza mostre in tutto il mondo. Una di queste è del 1980 dal titolo ‘Bonjour Monsieur Lartigue’ che viene esposta al Grand Palais di Parigi.
Jacques-Henri Lartigue continuerà a scattare, a dipingere e a scrivere fino alla sua morte che sopravviene il 12 settembre 1986, all’età di 92 anni.
Lartigue ci ha lasciato oltre 100.000 fotografie, 7000 pagine di diario e 1.500 dipinti.
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1) Vicki Goldberg, Jacques Henri Lartigue: Photographer. Little, Brown & Co.      Boston, 1998
2,5) The photographs of Jacques Henri Lartigue, The Museum of Modern Art, 1963. https://assets.moma.org/documents/moma_catalogue_2563_300147066.pdf. Pg. 3
3) Jacques-Henri Lartigue (1894-1986). Invention of an Artist. Volume One. Kevin D. Moore. A Dissertation presented to the Faculty of PRINCETON UNIVERSITY in candidacy for the degree of Doctor of Philosophy. Giugno, 2002 UMI Microform. Pg. 1
4,9) In the spirit of the edge. The photographic work of Jacques-Henri Lartigue, from creation to consecration (1966-1967). Marianna Le Galliard. Études photographiques 32, Société française de photographie, 2015. Pg.2
6,7) Jacques-Henri Lartigue (1894-1986). Invention of an Artist. Volume One. Kevin D. Moore. A Dissertation presented to the Faculty of PRINCETON UNIVERSITY in candidacy for the degree of Doctor of Philosophy. Giugno, 2002 UMI Microform. Pg. 4
8) Jacques Henri Lartigue e la Belle Époque, mediastudies.it http://www.mediastudies.it/IMG/pdf/Jacques_Henri_Lartigue.pdf pg.2
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Vedasi anche  l’articolo precedentemente qui pubblicato (link) di recensione sulla mostra  che doveva svolgersi sino al 10 gennaio 2021 presso Tre Oci di Venezia “Jacques Henri Lartigue. L’invenzione della Felicità. Fotografie” (a cura di Marion Perceval e Charles-Antoine Revol della Donation Jacques Henri Lartigue e di Denis Curti) ora interrotta in ottemperanza delle disposizioni emanate per l’epidemia in corso ma che ci auguriamo possa quindi riprendere.
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corallorosso · 6 years ago
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AVETE VOLUTO I GIOCHI? ORA PREPARATEVI A PAGARE: L'EVENTO COSTERÀ 1,3 MILIARDI E L'ANALISI COSTI-BENEFICI ASSICURA UN SALDO POSITIVO DI 185 MILIONI. di Lorenzo Vendemiale Giovanni Malagò esulta in prima fila a braccia alzate, Beppe Sala urla sguaiatamente, Giancarlo Giorgetti applaude, Luca Zaia fa partire il coro, Matteo Salvini twitta a tempo di record da casa. L' Italia ce l' ha fatta, loro ce l' hanno fatta: Milano-Cortina avrà le Olimpiadi invernali 2026. Il grande evento che volevano e che porterà al Nord tanto caro alla Lega 400 milioni di investimenti, oltre un miliardo di euro da spendere per organizzare due settimane di gare, non tutte propriamente esaltanti. ...Il precedente italiano non è incoraggiante. Torino 2006 viene ricordata come un' edizione di successo, ben organizzata, emozionante, ma la sua eredità è controversa: il Comune ancora oggi ne paga i debiti e svariati impianti (dal Villaggio olimpico occupato dagli immigrati alla pista da bob abbandonata) si sono rivelati vere e proprie cattedrali nel deserto.... Qui lo spirito olimpico c'entra poco. Molti accademici promettono un mirabolante indotto da tre miliardi (tutti ovviamente al Nord), l'analisi costi-benefici assicura un saldo positivo di 185 milioni. Di sicuro secondo il dossier l'evento costerà 1,3 miliardi, di cui 390 milioni per gli impianti. Non è una cifra esorbitante, ma la storia è piena di budget sforati e spese pazze. Uno studio di due economisti dell' Università di Oxford ha ricostruito la spesa storica di 11 edizioni dal 1968 al 2012, riscontrando un aumento medio del 185% rispetto alle previsioni. Come a dire: la manifestazione costerà più del doppio di quanto dichiarato in partenza. Certo, i Giochi invernali sono in scala ridotta rispetto a quelli estivi: comportano meno spese, ma generano anche meno interesse. Non a caso tante candidate autorevoli, da Sion a Calgary, da Innsbruck a Graz, si sono tirate indietro da sole prima dell'assegnazione, quasi tutte per l' esito negativo di un referendum o spaventate dai costi. Era rimasta solo l'Italia, oltre alla povera Svezia. Milano-Cortina vincono, il Paese chissà: i Giochi varranno la candela a patto di rispettare il budget e contenere i costi. Messa su questo piano si può dire che la sfida è persa in partenza: per placare le proteste del M5S e dare il via libera alla candidatura, in autunno la Lega aveva giurato e spergiurato che l'evento sarebbe stato a costo zero per lo Stato. In primavera, al momento di firmare la lettera di garanzia governativa, il premier Conte si è impegnato a pagare gli oneri per la sicurezza. Così rispetto al costo zero iniziale siamo già a quota 400 milioni, mentre il sottosegretario Giorgetti ha aperto a finanziare "progetti specifici sul territorio". E alle Olimpiadi mancano ancora sette anni.
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livornopress · 2 years ago
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Nuoto paraolimpico, TDS: 4 gare disputate, 3 record italiani e uno mancato per 6 centesimi
4 gare disputate, 3 record italiani e uno mancato per 6 centesimi. Passerini e Gagliardo Gurrieri “on fire”! 1 oro, 2 argenti, 1 bronzo.   Livorno 28 novembre 2022 Non finiscono di stupire i campioni paralimpici della Toscana Disabili Sport. Impegnati in 2 gare ciascuno nei Campionati assoluti invernali FINP che si stanno svolgendo a Fabriano; Pietro Passerini e Sofia Gagliardo Gurrieri…
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montagne-paesi-news · 1 month ago
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levysoft · 6 years ago
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[...] Da anni si allena sulla velocità insieme all’amico John Carlos, duecentista e newyorkese come lui, che insiste: il segreto è la rincorsa. «Lo sai come fanno gli aeroplani a volare, Bob? Prendono velocità». Lo sa bene Bob Beamon, che è tranquillamente in grado di correre i 100 metri in 10 secondi. Ma la potenza è nulla senza controllo, dirà una famosa pubblicità di qualche decennio dopo, e allo stesso modo Beamon finisce spesso per andare lungo oppure regalare 20-30 centimetri alla pedana. Ciononostante, anche senza allenatore, rimane il lunghista più forte del Paese, capace di vincere quasi tutte le gare del 1968 e arrivare da favorito ai Trials, previsti dal 6 al 16 settembre.
Com’è noto, a Città del Messico si gareggerà in condizioni atmosferiche eccezionali, dettate dall’altitudine di 2.248 metri che minaccia di incidere molto nell’atletica e nel nuoto. Gli americani ritengono che le Olimpiadi si preparino meglio se le selezioni avvengono a Echo Summit, località ignota al confine tra Nevada e California, sulle sponde del Lago Tahoe, là dove l’altitudine è quasi identica alla capitale messicana, in una coreografia naturale irripetibile, in cui l’anello dei 400 metri di pista gira letteralmente intorno a un bosco di pini. I saltatori in lungo gareggiano in condizioni che rendono le misure del tutto irrilevanti: Beamon vince arrivando fino a 8 metri e 39, che sarebbe record del mondo, ma non con 3,2 metri di vento a favore… Ma il Messico è realtà, per lui e per i suoi compagni Boston e Charles Mays.
L’altitudine è un altro degli aspetti che rendono i Giochi di Città del Messico unici nel loro genere. Col senno di poi si tratta di una follia, peraltro ripetuta due anni dopo con i Mondiali di calcio che anche per questo daranno vita a partite indimenticabili (su tutte la massacrante semifinale che ben conosciamo). L’ossigeno è inferiore del 20% rispetto a una città pianeggiante; la stessa quantità di aria respirata satura l’emoglobina del 7% in meno e il battito cardiaco accelera con esiti nefasti per le gare di lunga distanza. A domanda precisa, «quanto ci metterà un atleta medio ad abituarsi ai 2.200 metri?», il dottor Roger Bannister (mezzofondista britannico anni Cinquanta e poi affermato neurologo) risponde lapidario: «Venticinque anni».
Breve compendio medico di Città del Messico 1968: la nigeriana Olajiunmoke Bodunrin finisce in ospedale dopo la batteria dei 400 metri; la nuotatrice australiana Karen Moras, 14 anni, si sente male in acqua e viene prontamente ricoverata; l’americano Mike Burton, oro nei 400 e 1500 stile libero, sviene in ascensore; l’australiano Ron Clarke, tra i favoriti nei 10mila metri, letteralmente si pianta a tre giri dalla fine, arrivando al traguardo solo per onor di firma.
Bob Beamon
Il mistero Beamon tiene banco tra i professori statunitensi già da qualche anno. È un totale autodidatta, salta di puro istinto, ha doti naturali prodigiose ma nessunissimo autocontrollo, diametralmente opposto allo stile raffinato di Boston o ai salti del marpione ucraino Ter-Ovanesyan, progettati in laboratorio. La sua vita ne giustifica la tecnica artigianale: [...] Il dubbio che la vita l’abbia condannato a essere un buono a nulla serpeggia minaccioso fino al 1962, in quello che deve sembrargli il giorno più bello dell’esistenza passata e futura: a 15 anni salta 7 metri e 34, vince la gara del salto in lungo alle Junior Olympics di New York e scopre di poter combinare qualcosa di utile. È un buon proposito che mantiene regolare negli anni successivi, quando arriva al metro e 89 di altezza e diventa il portento della natura ammirato in tutti gli States
[...] Alle 15:49 Bob Beamon ripassa meccanicamente il protocollo di ogni buon salto della sua vita. Chiude gli occhi per un istante, un bel respiro e si parte. Prima di staccare sono necessari diciannove passi ben calibrati, lunghi, a velocità crescente – l’aereo di John Carlos, no? – ma trentotto chilometri all’ora sono una punta mai raggiunta da nessun saltatore in lungo della storia, neanche da Jesse Owens. Beamon – l’ha ripetuto più volte lui stesso – non pensava a nulla durante la corsa: se ci fosse riuscito, si sarebbe spaventato lui per primo. 
Userà un giro di parole efficace: «Mi sentivo come in un episodio di Twilight Zone», la famosa serie televisiva di storie verosimili che sconfinano nel fantascientifico, un Black Mirror degli anni Sessanta (in Italia è nota con il titolo “Ai confini della realtà”). Arrivato a diciannove passi Beamon stacca e decolla, senza avere il tempo di capire se il salto sia valido o no. Ora bisogna salire, camminare nell’aria, viaggiare quasi, arrivare fino a 178 centimetri d’elevazione in meno di mezzo secondo, ma cosa succede?, quanto lontano sto andando?, e sempre di più, con le gambe lunghissime che quasi escono dai vestiti, un ultimo slancio con il bacino, il braccio destro proteso in avanti, il braccio sinistro ad attivare le procedure di atterraggio. E poi giù, come un palazzo che implode: il corpo si rannicchia su sé stesso, le Adidas bianche affondano nella sabbia, anche se il fondoschiena non resiste alla gravità e dà una veloce spazzolata alla sabbia, lasciando il segno. Dannazione, ci avrò lasciato almeno dieci centimetri. Un occhio verso i giudici: bandiera bianca, il salto è buono. È molto buono.
I litri di adrenalina che attraversano le viscere di Bob Beamon gli consentono persino un altro paio di saltelli da canguro mentre si tira su, soddisfatto innanzitutto per aver evitato il nullo. Non è affatto pratico col sistema metrico decimale ed è rassegnato a chiedere la traduzione in piedi e pollici della misura – speriamo almeno 27 piedi! – che comparirà tra qualche secondo sul tabellone.
Per questi Giochi hanno installato un sistema di rilevazione elettronica, posizionato su un accrocchio che corre parallelo alla pista, fino a circa 8 metri e 60: ma c’è un intoppo. Beamon è andato troppo lungo. I giudici in giacca rossa si danno un gran daffare per procurarsi uno strumento manuale, una bindella, magari anche un metro da sartoria. Appena atterrato dalla Luna con dieci mesi d’anticipo sulla concorrenza, Beamon incrocia gli sguardi sbalorditi degli altri terrestri. Guarda avvicinarsi Boston, Davies, Ter-Ovanesyan, e non capisce se vogliono congratularsi oppure ammazzarlo. È il monolite nero di 2001: Odissea nello spazio fattosi uomo. Insieme passano venti lunghi minuti a guardare gli ufficiali di gara tentare la traduzione in cifre di quel volo impossibile. Il tempo si è fermato, si sentono appena le prime gocce di pioggia.
Poi arrivano i numeri, e quei numeri urlano: otto punto nove zero. Gli europei in gara hanno già capito. Beamon non ancora, deve pensarci Boston. «Hai saltato più di ventinove piedi, non è possibile. Ci hai uccisi tutti». Le foto e i filmati lo ritraggono come fulminato da questa notizia: si accascia su sé stesso, sembra urlare di dolore. Forse sta pagando solo adesso il conto dello sforzo appena effettuato, come un ubriaco che si sveglia in botta il mattino dopo. Forse per saltare otto metri e novanta serve una forza di quelle che strappano i muscoli e rompono le ossa. Qualche mese prima, ai Giochi Invernali di Grenoble, il sovietico Vladimir Belusov aveva conquistato l’oro nello ski jumping con un ultimo salto prodigioso. Mentre stava esultando, era stato colto dalla stessa crisi, che la scienza chiama “attacco cataplettico”: chi ne soffre perde il controllo dei muscoli e cade a terra, ma rimane sempre cosciente e vigile. Un deliquio passeggero, che dura meno di un minuto, strettamente legato a un momento di immane stress psico-fisico.
La performance di Beamon non ha precedenti nella storia dell’atletica leggera. C’erano voluti 38 anni per passare lentamente dall’8.08 all’8.35 del vecchio record; in cinque secondi Beamon ha piazzato l’asticella oltre mezzo metro più avanti. Non esiste. È come se domani sui 100 metri un alieno abbassasse il record di Bolt da 9”58 a 9”10. Il matematico Donald Potts quantificò in un 4% abbondante l’aiuto di altura e vento a favore e giunse a stabilire che, a vento nullo e al livello del mare, Beamon avrebbe saltato 8.56, comunque record. Qualcun altro eccepì sull’anemometro che segnava esattamente due metri a favore, asserendo che bisognava ricalibrarlo alla luce degli oltre duemila metri d’altitudine: un centimetro di più e il record non sarebbe stato omologato.
La finale perde ogni motivo d’interesse, e le cronache si riempiono soprattutto delle parole di sconforto degli avversari. «Io non posso continuare», argomenta il campione uscente Davies, «faremmo tutti la figura degli scemi» – finirà mestamente nono. «In confronto sembriamo tutti dei bambini», dice amaramente Ter-Ovanesyan. Come se ci fosse bisogno di sottolineare la dimensione ultraterrena di ciò che è appena successo, riprende a diluviare. Ripresosi a fatica, Beamon si concede lo sforzo a quel punto sovrumano di un secondo inutile salto, poco più che normale (8,04), prima di diventare un semplice spettatore del proprio capolavoro.
E adesso?
Gli ronza già nella testa quel pensiero che sarà l’urlo silenzioso che gli farà compagnia per i mesi a venire: e adesso, come si fa a continuare? Come si può volare ancora, anche se volare è tutto ciò che sa fare? [...] Ma non finirà in malora come tanti altri atleti maledetti. [...] Beamon si laureerà in sociologia nel 1972 all’Adelphi University di Long Island, diventerà tecnico, consulente, conferenziere, uomo immagine, membro di infinite Hall Of Fame.
[...] Inconsapevole del tesoro che aveva nella Nikon, Duffy si comportò come un turista qualsiasi. Aspettò due giorni per sviluppare il rullino, portandolo in un negozietto accanto all’hotel; quando tornò in camera e aprì la busta, iniziò una lenta disamina, immagine per immagine. Per riconoscere gli atleti, si aiutò con i numeri dei pettorali indicati sul programma ufficiale. La foto di Ralph Boston era venuta mossa, ma quella di Beamon – pettorale 254 – era perfetta. Nel giro di un paio di mesi era sulle copertine delle riviste sportive di mezzo mondo, sui poster, per impreziosire un libro. Qualche invidioso gli contestò l’autenticità dello scatto, ma Duffy aveva una controprova formidabile: Beamon aveva saltato solo due volte, e la seconda volta aveva indossato un paio di calzini di cui nella foto non c’era alcuna traccia. Grazie allo “scatto più fortunato della mia vita” mise da parte un piccolo tesoro che gli servì per prendere lezioni intensive di fotografia e aprire una piccola agenzia, la Allsport, che con gli anni divenne sempre più importante (sarà acquisita da Gettyimages nel 1998, compreso l’archivio che contiene la foto del Salto).
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È dunque questa la storia di un volo senza precedenti, e mai più ripetuto. Si potrà obiettare che ai Mondiali di Tokyo 1991 Mike Powell ha fatto ancora meglio, 8,95 e medaglia d’oro dopo un duello epocale con Carl Lewis (“solo” 8,91 ventoso, in una finale da cinque salti a 8,82 di media: il fatto di non aver mai superato ufficialmente Beamon sarà il più grande rimpianto della carriera). Ma altri tempi, altri allenamenti, altra preparazione fisica, altre tecnologie, lo sport ai livelli più certosini di professionismo; soprattutto, nessuna magia. In un Sessantotto colmo di proteste, di sparatorie, di bengala, di elicotteri che intervenivano dal cielo per stroncare il presente, Beamon rispose volando lontano a immaginare il futuro. Vi sembra un’esagerazione? Interpellato sull’argomento, il dottor Ernst Jokl, luminare tedesco della neurologia sportiva, fu costretto ad allargare le braccia e ad annunciare la sconfitta dei numeri e della scienza: secondo i dati in suo possesso, un salto del genere non avrebbe dovuto verificarsi prima del 2052.
In pochi secondi Bob Beamon si era inventato e aveva messo in pratica il suo incommensurabile gesto di ribellione, la ribellione all’idea che tutto si può classificare, incasellare, imprigionare. Si era elevato al di sopra dei suoi problemi personali come avrebbe fatto due anni dopo il gabbiano Jonathan Livingston, in un romanzo di Richard Bach che avrebbe ispirato milioni di giovani in tutto il mondo: aveva scoperto la velocità perfetta. «Che non vuol dire volare a mille miglia all’ora, o a un milione, o alla velocità della luce. Perché qualunque numero è un limite, mentre la perfezione non ha limiti. La velocità perfetta, figliolo, vuol dire solo esserci».
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personal-reporter · 1 year ago
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Storie delle Olimpiadi: Quando gli Usa non andarono a Mosca
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Una storia che intreccia le Olimpiadi alle vicende della Guerra Fredda… Era il 21 marzo 1980 quando il presidente statunitense Jimmy Carter annunciò a una delegazione di atleti alla Casa Bianca che gli Stati Uniti non avrebbero partecipato ai Giochi Olimpici, previsti dal 19 luglio al 3 agosto a Mosca. La decisione di Carter era arrivata in seguito all’invasione da parte dei sovietici dell’Afghanistan, iniziata il 25 dicembre 1979 per ottenere il controllo della produzione di petrolio in Afghanistan. Il 20 gennaio 1980 il presidente diede un ultimatum al governo sovietico,  se entro un mese non avesse ritirato le truppe dall’Afghanistan, gli Stati Uniti avrebbero boicottato le Olimpiadi. Carter chiese al Comitato Olimpico Internazionale di cancellare le Olimpiadi o di spostarle in un altro paese, se i sovietici non avessero accolto le sue richieste. Un mese dopo, poiché non c’era stato il ritiro da parte dell’Unione Sovietica dall’Afghanistan, Carter annunciò che gli atleti statunitensi non avrebbero partecipato alle Olimpiadi di Mosca. Nonostante l’annuncio di Carter la decisione di partecipare o meno alle Olimpiadi non spettava al governo, ma al Comitato Olimpico statunitense, che sosteneva l’idea di partecipare e battere i sovietici nelle gare come una soluzione migliore al boicottaggio,  frutto della recente storica vittoria della squadra di hockey degli Stati Uniti contro i sovietici ai Giochi olimpici invernali di Lake Placid, conosciuta come Miracolo sul ghiaccio. Alla fine il 12 aprile anche il Comitato Olimpico statunitense approvò la decisione del presidente Carter, ufficializzando il boicottaggio, ma non fu facile convincere altri paesi ad aderire, e nel caso di quelli africani gli Stati Uniti chiesero all’ex pugile Muhammad Ali di visitare Tanzania, Nigeria, Senegal e Kenya per parlare con i leader locali, data la sua popolarità nel continente. Tuttavia il grande sportivo riuscì a convincere solo il Kenya. La decisione degli Stati Uniti venne infine seguita da 64 paesi tra cui Canada, Germania Ovest, Norvegia, Giappone, Corea del Sud, Cile, Argentina, Israele e Cina, oltre alle nazioni arabe,  tra cui l’Iran, dopo la condanna dell’invasione sovietica da parte dell’Organizzazione della cooperazione islamica e delle Nazioni Unite. Si aggiunse all’ultimo anche la Liberia, che decise per il boicottaggio dopo aver partecipato alla cerimonia di apertura. I Comitati Olimpici di 15 paesi decisero di partecipare, ma lo fecero sotto la bandiera olimpica e  furono Andorra, Australia, Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Porto Rico, San Marino, Spagna e Svizzera. In tutto parteciparono alle Olimpiadi di Mosca 80 paesi, il numero più basso dalle Olimpiadi di Melbourne del 1956. Gli Stati Uniti organizzarono dei giochi olimpici alternativi, chiamati Liberty Bell Classic, dove parteciparono i paesi che boicottarono Mosca e alcuni di quelli che parteciparono sotto la bandiera olimpica, si svolse tra il 16 e il 17 luglio 1980 presso l’università della Pennsylvania, negli Stati Uniti, con solo gare di atletica. Alle Olimpiadi di Mosca gli atleti sovietici ottennero il maggior numero di medaglie, 195 in totale, di cui 80 d’oro,  data l’assenza di gran parte degli atleti più forti del resto dei paesi. L’Italia, anche se con l’assenza degli atleti militari, ottenne il quinto posto nel medagliere, e fu la prima tra i paesi del blocco occidentale, con la vittoria nei 200 metri di Pietro Mennea, e quella nel salto in alto di Sara Simeoni. Alla cerimonia di chiusura al posto di quella statunitense fu issata quella di Los Angeles, città dove si sarebbero svolti i giochi nel 1984 e che l’Unione Sovietica e 13 paesi alleati decisero poi di boicottare in risposta al gesto statunitense. Read the full article
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Milano-Cortina: Abodi 'su pista bob al lavoro, nessuna resa'
“Non c’è nessuna resa, si sta lavorando. La decisione finale verrà presa dalla fondazione, il Governo dovrà eventualmente fare degli atti propedeutici, ma mi riferivo alla scelta finale di dove verranno organizzate le gare di bob, slittino e skeleton”. Così Andrea Abodi, ministro per lo sport e i giovani, torna a parlare della pista da bob per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina a margine…
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