#toglie spazio ai miei pensieri brutti
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idettaglihere · 2 months ago
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chissà come sarà il nostro primo bacio
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ginevra-malcolm · 8 years ago
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Chapter 54 - St. Charles Avenue Presbyterian Church, Audubon Park
Malcolm
L’indirizzo che Malcolm ha mandato via messaggio a Ginevra è quello della St. Charles Avenue Presbyterian Church, situata vicino all’Audubon Park, struttura imponente risalente ai primi decenni del secolo scorso. All’interno, seduto ad uno dei banchi di legno più o meno al centro della fila a destra, c’è appunto il nostro giornalista, la compostezza fatta persona come sempre. Indossa un completo grigio scuro – giacca, panciotto e pantaloni – una camicia bianca e una cravatta rosso cupo di cui si vede solo la metà superiore. Sta ovviamente aspettando la donna e nell’attesa legge un passo della Bibbia, motivo per cui indossa gli occhiali e sta col capo leggermente chino, rivolto alle pagine. Ha con sé anche la borsa da lavoro, poggiata al suo fianco, dalla parte opposta all’accesso centrale al banco, quindi alla sua destra. All’anulare della mano sinistra c’è la fede ed anche un cerotto sulla parte più larga del dito, dove si era fatto male strappando via l’anello violentemente. In chiesa non c’è quasi nessuno, giusto qualche visitatore occasionale, forse fedeli o semplicemente gente attratta dall’architettura niente male.  
Ginevra
Ha raggiunto a piedi il luogo, camminando con calma, ci è èassata davanti tantissime volte. Stava ancora dormendo quando ha ricevuto l'sms con solo un indirizzo e avrebbe continuato a dormire per altre dodici ore almeno, convinta di averlo sognato, se non fosse salita Korinne per liberare il gatto che miagolava, furiosamente, dietro la porta chiusa della casa. E' rientrata tardissimo, davvero ubriaca, tanto che è dovuta scendere Maman per farle infilare la chiave nella toppa della libreria, rimproverandola, dicendole di diavoli dell'inferno e facendola piangere terrorizzata, mettendosi a nominare il Barone Samedi. Indossa un abito vintage azzurro chiaro, a pois bianchi piccolissimi, La gonna ampia che ricade in morbide pieghe, le maniche corte leggermente a palloncino e il collo simile a quello di una camicia, aperto. Ai piedi ha delle scarpe da tennis bianche e anche la borsa, di pelle morbida, è bianca e la porta a tracolla. I capelli sono raccolti dietro la nuca in una mezza coda, le ciocche davanti sono portate indietro e legate, lasciando gli altri capelli ricadere liberi dietro la schiena. Ha l'espressione accigliata, perché ritiene che sia un dispetto personale, quello del sole, di puntarle sugli occhi... con il mal di testa che ha! E poi i bambini che non sono mai stati tanto urlanti nei loro giochi... Insomma la città ha deciso di essere più rumorosa e più luminosa del solito. Quando arriva all'esterno della chiesa si guarda intorno, nemmeno l'ombra di Malcolm e così guarda verso la porta «e che cazzo, prenderò fuoco» borbotta rendendosi conto che deve entrare. Resta così qualche minuto all'esterno con aria ancora più imbronciata di prima, litigando silenziosamente con una folla di gente immaginaria che le dice di pentirsi. Sbuffa infine e va verso l'ingresso, cautamente, rivolge lo sguardo intorno come se si aspettasse che qualcuno la riconosca (?) e le dica che no, lei no, non può mica entrare. Ma chi si vuole che la riconosca? Per fortuna non abbiamo il cartello dei peccati appeso al collo e quindi... fa in suo ingresso in chiesa. Osserva i pochi, pochissimi, presenti ed individuato Malcolm va nella sua direzione. Si ferma di fianco al banco in cui siede, in difficoltà, per via del luogo, osserva la bibbia che il giornalista sta leggendo e istintivamente scuote il capo, un movimento appena accennato, frutto di un pensiero legato ai testi antichi. Resta in silenzio, è certa che se anche bisbigliasse si girerebbero tutti a guardarla.
Malcolm
Si avvede dell’arrivo di Ginevra solo quando lei compare al banco: pur non voltandosi completamente verso di lei col viso, interrompe la lettura, chiude la Bibbia, la posa fra sé e la borsa, si toglie gli occhiali e li rimette nella tasca interna della giacca dove li tiene solitamente. L’espressione dell’uomo è come sempre compassata, statuaria, eppure si vede benissimo che non chiude occhio da almeno due notti, si vede benissimo che si sente triste e perso. Anche per questo non mostra del tutto il volto a Ginevra, non lo alza completamente per guardarla. «Vuoi sederti?» le domanda a voce bassa e piatta, non come domanda retorica. E’ proprio quello che significa: sapere se vuole sedersi o meno, c’è ovviamente un invito di fondo, manifestato indicandole l’abbondante spazio fra lui e la fine del banco dove sta Ginevra. Non un sorriso sul suo volto, solo un silenzioso dolore chiuso in quel guscio di freddezza e distacco emotivo, benché le parole siano in qualche modo confidenziali e affettuose. Aspetta che lei prenda una decisione, sta con lo sguardo e il capo basso, anche se voltato in sua direzione.
Ginevra
Segue con lo sguardo ogni movimento di Malcolm, in silenzio ancora. Alla sua richiesta sposta lo sguardo intorno, ad osservare i pochi presenti, ruberà il posto di qualcuno? Ci sono poi i posti assegnati come a scuola? Non ne è sicura, ricorda che da bambina, quando sua nonna la portava in chiesa le persone sedevano sempre negli stessi posti. Arriccia le labbra verso destra, afferrando l'interno della guancia sinistra tra i denti. Espira poi dal naso, lentamente e silenziosamente e si infila nel banco, si siede a metà tra Malcolm e la fine del banco, appoggia i piedi sull'inginocchiatoio del banco davanti e guarda verso la vetrata centrale, quanto meno si sono risparmiati il cattivo gusto dell'esposizione millenaria del cadavere di un uomo crocifisso. Nessuna croce con un uomo seminudo appeso in bella vista al centro. Sospira quasi sollevata da questa cosa. Resta ancora in silenzio, non solo perché è certissima che, se anche bisbigliano, tutti sentano, ma anche perché non ha nulla da dire o forse avrebbe molte cose da dire e non sa come farlo o, meglio, non vuole nemmeno impegnarsi a trovare il modo di farlo. Non è cattiva volontà, ma ha mal di testa ed è seduta in una chiesa e non sa perché.
Malcolm
Attende e la vede sedersi . Sta in silenzio, tiene lo sguardo basso, sulle proprie mani che tiene congiunte, con le dita incrociate alla metà superiore, posate sulle gambe. Stringe un po’ i denti e le labbra fra loro, per poi andare a sfilare la fede dall’anulare. Lo fa lentamente e con autentica sofferenza, con dei pensieri concreti e tangibili, anche se non si possono indovinare, che gli incupiscono il volto. La toglie e la tiene sul palmo della mano sinistra, quella più vicina a Ginevra, la avvicina un po’ a lei. «Non riesco a stare lontano da te.» dice lentamente «Perché ti amo, anche se tu non riesci a capire quanto e come. Ti amo da quel poco, quel mai abbastanza che sono, ti amo dall’anima in pezzi che cerco di darti sperando che tu la guarisca, senza disgustarla.» continua, senza poter controllare delle lacrime che scendono su queste parole, terribilmente reali. «Ti amo dai miei limiti che cerco di superare solo per vederti contenta. Ho paura e sarebbe così facile starmene al sicuro, senza vivere col timore costante di essere disprezzato per i miei limiti,  e nonostante ciò ti amo. E non sono capace di passare oltre a nessuna delle persone che amo.» inspira in modo frammentato e morde il labbro inferiore, tirando su col naso, senza asciugare le lacrime che scorrono. «Per alcune persone, essere accettati è la cosa più bella che si possa desiderare.» visto che lei ha menzionato che la ama solo per la necessità di essere accettato. «Ho provato molti tipi di dolore, ma mai come ora quello di gridare e non essere sentito.» inspira di nuovo, profondamente, per frenare la sensazione di pianto che nasce dietro agli occhi. Per tutto il tempo ha tenuto sospesa la mano che tiene la fede sul palmo, e lo fa ancora. «Non ti amo in sostituzione, ti amo in aggiunta, per provare ad andare avanti, nonostante sia difficile, nonostante io fallisca tante volte. Ti trovo attraente, ho solo un rapporto difficile con la fisicità, e sto cercando di superarlo per te.» dice ancora, mordendosi di nuovo il labbro inferiore, per poi tacere.
Ginevra
Tiene lo sguardo basso, il movimento delle mani di Malcolm lo attira. Osserva il gesto che lui compie pressoché immobile, in silenzio. Lo ascolta senza mai staccare gli occhi dalla fede che lui tiene sul palmo della mano, quel semplice cerchietto d'oro che di semplice non ha nulla, caricato di significati da chiunque, assunto a una sacralità che lei non comprende, né è in grado di accettare. Anche lei ha paura adesso, perché ha scoperto, suo malgrado, che le cose non possono essere dette tutte, che c'è sempre qualcosa da tacere ed è per lei un modo disallineato dal giusto. Quante altre volte scoprirà, troppo tardi, che la vasca è stata svuotata? Non ne ha idea, la fronte si corruga appena mentre ogni parola detta da Malcolm fa breccia e si sedimenta. Solleva la mano destra e la posa sul palmo del giornalista, la chiude a pugno poi andando così a stringere la sua fede, ma non allontana la mano, la lascia posata lì sulla sua «Ti fidi di me?» glielo domanda in un bisbiglio, senza ancora alzare lo sguardo, restando ad osservare la propria mano chiusa che stringe un anello di promesse scambiate con un'altra donna.
Malcolm
Quando Ginevra mette la mano sul suo palmo stringendo la fede ha un brivido, perché è così difficile per lui rompere quella promessa di fedeltà eterna, sebbene il “tradimento” ci sia già stato, sebbene non sia stato lui ad interrompere il matrimonio. Il punto a cui non vuole mai guardare, nel suo modo di proteggersi dal dolore e dal senso di colpa, è che quell’anello è ormai privo di significati, è solo un non riuscire a staccarsi – volontariamente o involontariamente – dai ricordi, quelli troppo belli da non amare e quelli troppo brutti da non esserne torturati. Prende un respiro alla sua domanda, il respiro che si potrebbe prendere quando si è terrorizzati e persi, perché bisogna saltare nel vuoto e nel buio per sperare in qualcosa di meglio, una salvezza. “Come un perdono” scriveva Pessoa. Annuisce, ricacciando indietro le lacrime che comunque continuano a scendere sul viso vecchio, dagli occhi stanchi, sull’espressione spezzata e pur sempre dignitosa, altera. «Voglio fidarmi.» aggiunge, dopo aver annuito. Ed ecco, resta sospeso a vedere cosa succede. Se morirà o vivrà.
Ginevra
La sua risposta sembra essere sufficiente, allontana la mano dal palmo di Malcolm, chiusa a pugno, l'anello al suo interno, chiuso come in uno scrigno. Non per la sacralità dell'anello in sé che lei non conosce e non riconosce come possibile, ma per la sacralità che lui, Malcolm, assegna a quell'oggetto. E' qualcosa che ha valore perché lui gliene dà, lei non ravvede valori assoluti, ma non ha nessuna importanza ora. Non dice nulla solo porta la mano verso la borsa con lentezza, Malcolm può strapparle via l'anello in qualsiasi momento, e con l'altra che va ad aggiungersi, manovra all'interno, probabile stia riponendo l'anello in una pochette o qualcosa di simile. Sicuramente riposto meglio di come ripone i suoi soldi, accartocciati e sparsi nella borsa, anche quelli privi di alcun valore assoluto per lei. Alza lo sguardo su di lui, finalmente, per posare gli occhi sul suo viso, cercando i suoi occhi «perché siamo qui?» non loro due insieme in un posto, perché sono proprio lì, in quel posto, seduti ai banchi di una chiesa.
Malcolm
Vedere allontanarsi quell’anello che ha tenuto al dito per trent’anni, fa parecchio effetto, si sente nudo senza quella fede, si sente vuoto, sperduto e vulnerabile in mezzo al campo di battaglia che ha nell’anima, un campo desolato dove ora aspetti solo, a pezzi, che nasca o che venga qualcosa. D’altronde sua moglie è sempre stata tutto per lui, una fortezza incrollabile, una casa, una famiglia, tutto ciò che bastava a completarlo e a realizzarlo, come ha scritto nella lettera lasciata a Ginevra. Eppure la cura che lei riserva a quel cerchio d’oro lo rassicura un po’ in ciò che sta vedendo allontanarsi da sé, come se si convincesse che il fatto che non venga buttato via come fosse qualcosa da disprezzare, sia un segno positivo. Segue il viaggio di quell’anello fino al suo nuovo luogo, come si segue, con gli occhi lucidi, la dipartita di una persona cara che va via, e in questo rinnova il suo dolore di essere distaccato da sua moglie una seconda volta. Tutta la differenza sta in cosa si può trovare dopo.  E se la prima volta il mondo gli è crollato addosso riducendolo all’inimmaginabile, ora, al di là di una stoica resistenza al dolore, c’è solo una domanda ad attenderlo dietro l’angolo. Solo quando la sente, si accorge degli occhi che  lo stanno fissando e che lui invece non guardava, dato che fissava l’anello e poi il posto in cui era finito. Realizza la domanda con un certo ritardo, come se perdere l’anello lo avesse lasciato confuso, intontito. «Sono cresciuto qui, a questo banco, in questo punto.» dice lentamente, come se si svegliasse da una sorta di torpore. «I miei genitori erano presbiteriani.» spiega solo questo in un primo momento. Come se dovesse essere una giustificazione a tutto.
Ginevra
Si acciglia, è un accigliarsi appena accennato perché, dopotutto c'erano davvero i posti assegnati e nella sua mente sta passando l'immagine di una anziana signora con bastone che arriva a scacciarla accusandola a gran voce di averle rubato il posto. Scaccia via questo pensiero che non va bene, che non c'entra niente, prima che si infili nell'autostrada che va dal pensiero alla parola. Cerca la sua mano, per afferrarla, stringerla... stringerla come se non volesse lasciarla mai più «andiamo via» è quasi una supplica «non c'è niente qui, lo sai» le sembra scontato che lui lo sappia che non c'è niente in una qualsiasi chiesa, perché è uno che vive analizzando fatti; fa anche per alzarsi senza lasciare la sua mano se è riuscita a prenderla. Quella supplica espressa nel tono di voce è presente sul suo viso anche, negli occhi che fissano quelli di Malcolm quasi volesse perdersi in essi «ti porto a vedere una cosa...» aggiunge mormorando, non era in programma questo, si percepisce dalla leggera incertezza con cui lo dice, attende quindi il suo assenso per lasciare la chiesa e tutti i vincoli che riguardano un luogo come quello.
Malcolm
Si lascia prendere e stringere la mano, ricambia solo lievemente perché sono stati momenti molto duri e la mano è quella dove manca l’anello, la sente quasi intorpidita e ha bisogno di tempo per mettere arrischiarsi a mettere in  ordine dentro la sua anima. Sente quella supplica, la guarda con quella sua aria salda e granitica, col dolore represso nelle profondità, negli occhi lo smarrimento di chi non sa più bene la propria identità. «Volevo solo mostrarti dove sono cresciuto.» afferma, pur annuendo alla richiesta di andare. «Volevo mostrarti perché sono chi sono.» aggiunge piatto, forse rassegnato, andando a posare la Bibbia nella borsa – visto che era ancora fuori – e lo fa soltanto con la destra, in modo da lasciare l’altra a Ginevra. Quindi prende la borsa e si alza, dando uno sguardo ancora, lento, alla chiesa, all’altare. Stringe le labbra per poi seguire Ginevra, senza discutere o chiedere nulla a proposito di cosa intenda fargli vedere. «Non capisco mai cosa tu voglia o non voglia sapere di me. Forse nulla.» conclude, sentendosi confuso a riguardo, su come ogni volta Ginevra pare voler fuggire dal passato di Malcolm, come se fosse qualcosa da accantonare, il più possibile, da non guardare, da trattare con spavento. Resta in perfetto silenzio proprio facendo una serie di pensieri a riguardo, mentre la segue uscendo fuori dalla chiesa.
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