#ti lascio il tempo
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Io non trattengo nessuno, ti lascio libera di scegliere cosa veramente vuoi
“Give people time. Give people space. Don’t beg anyone to stay. Let them roam. What’s meant for you will always be yours.”
— Reyna Biddy
#reyna biddy#time#space#ti lascio il tempo#ti lascio lo spazio#sei libera#venire#andare#io non trattengo nessuno#ultimi romantici#romanticismo#romantic crew#romanticrew#disperato amore#figli di un disperato amore#mi manchi#tu mi manchi#i miss you#miss you
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Certo che oh assurdo quanto le consegne da rispettare siano solo degli studenti invece i professori possono fare il cazzo che vogliono
#allora se mi dici che avresti organizzato gli orali lunedì fai in modo di correggere gli scritti entro lunedì#e fare sta cazzo di videochiamata (perché sia mai che mandi un forms come le persone normali) lunedì#perché io non posso starti dietro tutto il cazzo di tempo#non sto manco studiando per gli altri esami per te non so se ti rendi conto#giuro se non lo passo me lo lascio per ultimo#e vaffanculo
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Solstizio
Si dice che oggi si debba lasciare andare e esprimere intenti. E così sia. Voglio lasciare andare la morte dei miei genitori, la mia cara amica Rita, di mio cuginone Claudio della mia figlia di cuore (in affido mi sa di brutto) Debora. Tutte morti precoci o precocissime per malattie lunghe e devastanti o improvvise e brutali che li hanno strappati a me uno dopo l'altro. Lascio andare non certo il loro ricordo, ma il dolore sordo e profondo che ti lascia vuota, esausta e soprattutto che ti toglie anche solo la capacità di immaginare che possa esserci ancora un futuro. Lascio andare la paura costante e feroce che ancora la malattia possa portarmi via i miei cari. Una paura che mi porta a pensare che ammalarmi io e morire prima possa essere l'unico modo per sfuggire a questo incubo. L'unico sollievo immaginabile.
Voglio andare e stare in un tempo di possibilità. Riuscire a guardare la luce che c'è. Un tempo lento e di qualità. Voglio essere assertiva nei miei sì e soprattutto nei miei no e nei vaffa.
Se riesco a scriverlo e se riuscirò a farlo, in tutta sincerità penso non possa essere certo grazie al Solstizio che nel mistero dell'Universo e nelle sue leggi spero abbia cose più importanti da governare...ma nei pensieri nelle lacrime e nel duro lavoro con la psicologa che mi ha acceso un lumino in fondo al tunnel, che mi ha aiutato a dire l'indicibile e che tuttora mi da una mano a gestire i miei pericolosi sguardi rivolti indietro.
#ah lascio andare pure la tinta ai capelli
#consiglio non richiesto: in certe situazioni quando la m. in cui siete supera un certo limite e assume certi connotati lasciate andare famigliari e soprattutto amici che pur animati dalle migliori intenzioni non capendo un caxxo di certe implicazioni vi possono inconsapevolmente (non con la vicinanza che è sempre oro ma soprattutto con certe affermazioni e considerazioni) spingere ancora più giù. A volte ci vuole uno bravo.
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Mi spiace, ma non ti amo più
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Trasciniamo da tempo e ormai inutilmente la nostra logora storia. Un’unione che muore, un matrimonio che naufraga sullo scoglio di un’inaspettata, nuova passione di uno dei due non è mai un affare semplice da affrontare. Perché se con un uomo ci stai, se gli hai concesso tutta te stessa, evidentemente lui t’ha dato emozioni forti. Ma la fedeltà, la mia devozione di moglie, il bisogno di sentirti nel mio corpo, di saperti solo mio e la relativa gelosia sono evaporati. Insieme alla voglia di costruire e rinsaldare insieme. Non saprei dirti quando il mio amore coniugale, un tempo inscalfibile, abbia iniziato a riempire il trolley per andare a morire lontano. Fatto sta che non provo più un sentimento forte, per te. Non c’è più nulla, nel mio cuore, che ti riguardi veramente. Stima, rispetto certamente. I figli. Amicizia? Forse col tempo.
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A fornelli spenti e raffreddati. Probabilmente. Perciò, ti lascio ancora giocare stanotte un’ultima volta col mio corpo. Ti farò fare tutto. Te lo devo, in fondo. Però capisco benissimo che devo smetterla di illuderti, di alimentare l’esile fiammella della tua speranza, il filo di cotone a cui la persona che sta per essere lasciata s’aggrappa con tutte e due le mani. Ben sapendo che da un momento all’altro si spezzerà e la farà precipitare nel baratro della solitudine. Dell’umiliazione che deriva dal non essere più oggetto di amore e di brama sessuale. Di non essere più al centro dei pensieri dell’essere umano amato. Lacrime amarissime. Succo d’amore sprecato. Ancora non te lo dico chiaramente, per stanotte. Ma lo sospetti. Lo sai, ormai. Non hai il coraggio di scoperchiare la pentola.
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Mi ami troppo, per voler sapere subito la verità. Soffri come un cane e lo vedo, lo sento chiaramente. Ti conosco benissimo. Lo percepisco dalla rabbia con cui mi scopi, con un impegno per te insolito. Quasi volessi così superarti nella performance, per farmi ricredere sul tuo “valore” di amante. Ma io lo so che sei un tesoro d’uomo. Un compagno leale, generoso, sano, forte. Un essere umano solido, colto, intelligente e di buon gusto. Ma mi sono innamorata di lui. E passata questa ultima notte rovente di disperata passione, domani mattina ti lascerò. Devo farlo. Perché è con lui che torno scolaretta, è per lui che mi faccio rossa e mi si azzera la salivazione mentre tutta tremante mi spoglio; pensando forse di non essere sufficientemente bella, attraente per le sue esigenze sessuali.
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Di non riuscire a dargli ciò che vuole da una donna. Si: ti confesserò ciò che forse già sai. Che è già da due settimane che con lui ci scopo. Gli consento tutto. Cose impensabili e mai provate, tra me e te! Con un’emozione e un trasporto del tutto nuovi per me: perché è da tempo che il mio cuore non batteva impazzito al solo vedere un uomo. Perché non posso stare senza scrivergli, senza sentire venti volte di seguito un suo messaggio vocale anche banale. E tu ormai te ne sei accorto. Devo vederlo: ogni giorno. Mi devo far scopare da lui. Glielo devo succhiare. Fino a lasciarlo completamente soddisfatto. Divento la sua cagna. Per lui cammino a quattro zampe. E la cosa mi piace da impazzire. Devo sapere che non vuole un’altra: che per le sue urgenze lui cerca proprio me.
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Ho bisogno della rassicurazione che deriva dal sentirlo sborrare dentro di me. Anche se è una sensazione che dura mezz’ora al massimo. Perché sono gelosa marcia. Poi torno immediatamente a soffrire dubitando. Potessi dirtelo adesso, sapresti che ormai è solo per lui che mi faccio bella, che mi curo. Al mattino, dopo essermi lavata, m’accarezzo da sola il corpo e soprattutto il mio culo, che lui letteralmente adora. Me lo massaggia, me lo vezzeggia, me lo odora e lecca ovunque. A lungo. Poi si decide, appoggia il suo cazzo sull'ano e me lo sfonda. In un colpo solo. Me lo spacca e io godo come la vecchia puttana che sono. Quando appoggia il suo glande tra le mie natiche e so cosa sta per accadere, chiudo gli occhi e ringrazio Dio. Poi, non appena preme, io controspingo aprendomi per lui e provo un enorme dolore misto a un godimento supremo.
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Faccio squat; davanti allo specchio mi spalmo con la crema e massaggio a lungo ovunque, pensando che fra qualche ora finalmente lo vedrò e che le sue mani percorreranno chilometri, sul mio corpo. Me le affonderà ovunque. E io lo lascerò fare: è una cosa che adoro. Quanto lo desidero. Devo avere il suo corpo sopra al mio. Dentro al mio. Non dirmi che è peccato, che non si fa. I complessi di colpa me li sono già pianti a lungo. Ormai è tempo di agire. E di farti soffrire, purtroppo. Quando siamo insieme, divento pazza totalmente. Non ragiono più. Me lo mangerei. Ripeto: di lui sono gelosa fradicia. Gli faccio il terzo grado. Se poi sento un refolo “omeopatico” di un qualche profumo femminile sui suoi vestiti, improvvisamente piango, urlo, lo prendo a pugni, a schiaffi. Ma poi subito mi inginocchio chiedendogli scusa.
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E inizio a sbottonargli i pantaloni, per dimostrargli che una come me non la trova da nessuna parte. Ed è in questa maniera che è venuta a galla la nostra storia: mentre iniziavo a farlo godere con la mia bocca. La sua ormai ex compagna ci ha sorpresi così, in questa posa teatrale plastica, tornando a casa loro in anticipo da un viaggio di lavoro. Non ha fatto scenate: io già ero pronta a lottare fisicamente con lei, per lui. L’avrei distrutta e massacrata di botte. Perché l’amore ti dà una forza incredibile. Ma certo non ti fa ragionare lucidamente. Lei invece ha solo pianto due minuti. Lui era muto e immobile. Io con uno sguardo l’ho fulminato: non avrei tollerato che l’abbracciasse. Poi, con composta dignità, la ragazza ha girato i tacchi ed è andata via. La valigia già ce l’aveva. Il cellulare e il laptop pure.
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Se n’è tornata direttamente dai suoi. Poverina: i suoi sogni di sposarlo, di farci dei figli sono stati infranti grazie a una come me, egoista, più anziana ed evidentemente immorale, molto bagascia. Ancora non torna a prendere tutte le sue cose. Al mio nuovo uomo ho detto che se vengo a sapere che l’ha chiamata lui, gli cavo gli occhi. Se volesse venire a prendere ciò che le serve per vivere, io ci dovrò essere. A qualsiasi ora. Da domani comunque io ti lascerò e andrò a stare con lui. Molto probabilmente le farò recapitare con un furgone degli scatoloni con dentro ogni cosa che parli di lei. Purché ci lasci in pace. Purché io possa continuare a godermi il mio nuovo uomo. Dormi tranquillo, stanotte: domani ti dirò che puoi tenerti la casa, la macchina, i regali. Porterò con me solo l’indispensabile: dei vestiti, alcuni libri e il mio laptop.
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Cose così. Si, lo so: sono più anziana di lui di ben dodici anni; poi, sferzante, mi dirai anche che avevamo un’unione ben rodata e forte, io e te. Che ho sfasciato la nostra famiglia e un altro potenziale nuovo nucleo per puro egoismo, per un mio capriccio. Per soddisfare la mia passera, il mio culo e la mia bocca di vecchia puttana con un nuovo giocattolo. Che lui, trentacinquenne e prestante, potrebbe stufarsi presto di una... 'vecchia vacca' come me. Ma l’amore non conosce età o calcoli. Vuole ciò che vuole e io ci sono cascata dentro come una scema. Lo voglio. Lo voglio solo per me, tutto per me. Lo desidero con tutta me stessa, dalla testa ai piedi. E tu non sei più nel mio cuore. Fattene una ragione. Passerà anche questa, fidati. Per fortuna i nostri ragazzi sono già abbastanza grandi e capiranno. Ma si vive per vivere ciascuno la propria storia, non per soddisfare le aspettative degli altri. E la mia vicenda intima è questa. Piaccia o no, a tutti voi. Domani ti lascerò. Nuova aria al mio corpo: nuovo sole che mi baci tutta la pelle. Che me la renda dorata. Per lui. Solo perché possa sentire la sua bocca baciarmi con gusto ovunque.
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RDA
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HO UN LINFOMA E FARÒ DEL MIO PEGGIO
Fra un mese compio 51 anni e pochi giorni fa ho scoperto di avere un Linfoma Non Hodgkin. È una patologia abbastanza aggressiva ma è stata presa in tempo. Ed è ben curabile, perché la scienza sta facendo passi da gigante nella cura dei linfomi.
Vivo a pochi passi di distanza da un ospedale all'avanguardia che mi ha preso in carico. Sotto molti aspetti, sono davvero fortunato e privilegiato rispetto a molte persone.
Quale sarà il mio atteggiamento di fronte alla malattia? Mi conosco bene e posso prevederlo, perché c'è una parola che lo definisce con precisione. È una parola significativa, addirittura emblematica, che riguarda il mio tasso di maschitudine alfa. Come potete intuire, non mi riferisco a "guerriero", quindi le metafore belliche possiamo tranquillamente metterle da parte.
La parola misteriosa è "mammoletta". Sì, sarò una mammoletta. Questo vuol dire che non vi darò lezioni filosofiche. Non diventerò un maestro di vita pronto a snocciolare grandi verità come "quello che non ci uccide ci rende più forti", "le sofferenze fanno parte dell'esistenza", "l'importante è apprezzare le piccole cose".
Sarò una mammoletta perché lo sono sempre stato, per esempio quando ho scoperto di avere una massa all'inguine. Era un rigonfiamento, duro come un sasso, grande come una pallina oblunga. La mia reazione? Due settimane senza far nulla. Mi sono detto: "Magari passa. Vuoi vedere che fra qualche giorno non ci sarà più? Non ho voglia di affrontare visite ed esami per un falso allarme. Odio gli ospedali".
Questo mio atteggiamento nasce anche da un'idea completamente sbagliata e irrazionale: la paura che gli esami possano creare malattie dal nulla. In pratica una zona oscura del mio cervello ragiona (si fa per dire) più o meno così: sei perfettamente sano, fai l'esame e ti trovano qualcosa. Lo so, non c'è niente di logico in questa convinzione, ma la mia mente non è mai stata fatta di pura logica.
Per quasi due settimane ho cercato di non pensarci anche perché ero in preda all'imbarazzo. Tra tutti i posti, proprio all'inguine doveva capitarmi? Ma la massa non ha dato cenni di sparizione e alla fine mi sono attivato.
Ho riscritto cinquanta volte il messaggio su WhatsApp prima di inviarlo alla mia dottoressa per fissare una visita, perché ogni volta il testo mi sembrava una molestia sessuale: "Buona sera, dottoressa, ho questa massa dura all'inguine e vorrei chiederle un appuntamento per mostrargliela". "Buona sera, dottoressa, ho un rigonfiamento...". Dopo un numero incalcolabile di tentativi, ho trovato le parole giuste e ho scritto un messaggio asettico, inequivocabilmente sanitario, con un perfetto stile burocratico ospedaliero.
Sono stato una mammoletta nei tre mesi e mezzo necessari per giungere alla diagnosi.
Sono stato una mammoletta nel giorno della TAC con mezzo di contrasto. Quella mattina sono giunto all'ospedale in autobus, dopo una notte insonne. Alla fermata ho controllato la cartella che conteneva i documenti. C'erano referti di ecografie, pareri medici e soprattutto l'impegnativa da presentare per svolgere l'esame. Ho controllato perché sono una persona molto precisa, di quelle che tornano indietro mille volte per verificare di aver chiuso il gas. "Non manca nulla", mi sono detto. Ho rimesso i documenti nella borsa. Ho raccolto le forze, mi sono alzato dalla panchina e ho raggiunto l'accettazione dell'ospedale. Senza la borsa. Vi lascio immaginare questa sequenza di eventi: imprecazione, insulti molto pesanti rivolti contro me stesso, corsa a perdifiato verso la fermata. La borsa era ancora lì. Nessuno me l'aveva fregata.
Per fortuna scelgo solo borse brutte.
Sono stato una mammoletta in occasione della PET, che ha rispettato un copione simile a quello della TAC. Venivo da una notte insonne e non ero in grado di comprendere istruzioni elementari, perché la mia intelligenza svanisce quando affronto esami medici. Mi chiedevano di porgere il braccio sinistro e porgevo il destro. Mi chiedevano il nome e recitavo il codice fiscale.
Sono stato una mammoletta quando mi hanno comunicato il risultato della biopsia. Per un considerevole lasso di tempo non ci ho capito nulla. La mia coscienza era come una trasmittente che passava una musica di pianoforte triste sentita mille volte in TV: quella che certi telegiornali usano per le notizie strappalacrime.
Ora guardo al futuro e la mia ambizione non ha limiti: raggiungerò nuove vette nel campo del mammolettismo. So di essere fortunato per molti motivi: l'ematologo, un tipo simpatico, mi ha rassicurato. Le terapie esistono e sono molto efficaci.
Ma mi lamenterò tantissimo, perché non voglio correre il rischio di essere considerato una persona ammirevole da qualcuno. Non lo ero, non lo sono e non lo sarò mai. Rivendico il diritto di essere fragile e fifone. Lasciatemi libero di essere una mammoletta. Per citare un motto di Anarchik, il mio piano è questo: farò del mio peggio.
[L'Ideota]
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Dicono che tutti i giorni dobbiamo mangiare una mela per il ferro e una banana per il potassio. Anche un'arancia per la vitamina C e una tazza di Tè verde senza zucchero, per prevenire il diabete.
Tutti i giorni dobbiamo bere due litri d'acqua anche se poi espellerli richiede il doppio del tempo che hai messo per berli.
Tutti i giorni bisogna bere un Actimel o mangiare uno yogurt per avere i "L. Cassei Defensis", che nessuno sa bene che cosa cavolo siano, però sembra che se non ti ingoi per lo meno un milione e mezzo di questi bacilli tutti i giorni, inizi a vedere sfocato.
Ogni giorno un'aspirina, per prevenire l'ictus, e un bicchiere di vino rosso, per prevenire contro l'infarto. E un altro di bianco, per il sistema nervoso. E uno di birra, che già non mi ricordo a che cosa serva. Se li bevi tutti insieme, ti può provocare un'emorragia cerebrale, ma non ti preoccupare perché non te ne renderai neppure conto...
Tutti i giorni bisogna mangiare fibra. Molta, moltissima fibra, finché riesci a evacuare un maglione.
Si devono fare tra i 4 e 6 pasti quotidiani, leggeri, senza dimenticare di masticare 100 volte ogni boccone. Facendo i calcoli, solo per mangiare se ne vanno 5 ore. Ah, e dopo ogni pranzo bisogna lavarsi i denti, ossia che dopo l'Actimel e la fibra lavati i denti, dopo la mela i denti, dopo la banana i denti... e così via finché ti rimangono tre denti in bocca, senza dimenticarti di usare il filo interdentale, massaggiare le gengive, il risciacquo col colluttorio... Meglio ampliare il bagno e metterci il lettore di CD, perché tra l'acqua, le fibre e i denti, ci passerai varie ore.
Bisogna dormire otto ore e lavorare altre otto, più le 5 necessarie per mangiare, 21. Te ne rimangono 3, sempre che non ci sia traffico. Secondo le statistiche, vediamo la televisione per tre ore al giorno. Ma no! Non si può, perché tutti i giorni bisogna camminare almeno mezz'ora.
Bisogna mantenere le amicizie perché sono come le piante: bisogna innaffiarle tutti i giorni per mantenerle in vita.
Inoltre, bisogna tenersi informati, e leggere per lo meno due giornali e un paio di articoli di rivista, per una lettura critica.
Ah!, si deve fare sesso tutti i giorni, però senza cadere nella routine: bisogna essere innovatori, creativi, e rinnovare la seduzione.
Tutto questo ha bisogno di tempo. E senza parlare del sesso tantrico.
Bisogna anche avere il tempo di scopare per terra, spolverare, lavare i piatti, i panni, stirare e non parliamo se hai dei figli o un cane.
Insomma, per farla breve, i conti danno 29 ore al giorno. Non c’è niente da fare: devi fare varie cose insieme. Si chiama multitasking, non c’è altra soluzione! Per esempio, ti fai la doccia con acqua fredda e con la bocca aperta, così almeno ti bevi i due litri canonici. Mentre esci dal bagno con lo spazzolino in bocca e fai l’amore (tantrico) con il compagno/a che nel frattempo guarda la TV e ti racconta, mentre tu lavi il pavimento. Ti rimane una mano libera? Chiama i genitori o qualche amico. Dopo aver chiamato i genitori, avrai senz’altro bisogno di un goccio di vino per tirarti su. Il Bio Puritas con la mela te lo può dare il partner, mentre si mangia la banana con l’Actimel, e domani fate il cambio.
Mi è venuta la confusione mentale.
Adesso ti lascio, perché tra lo yogurt, la mela, la birra, il primo litro d’acqua e il terzo pasto con fibra della giornata, già non so più cosa sto facendo. So che devo andare urgentemente in bagno. E ne approfitto per lavarmi i denti. Però, se ti rimangono due minuti liberi, invia una copia ai tuoi amici, che devono essere annaffiati come una pianta.
Se ti avessi già mandato questo messaggio, perdonami. È l’Alzheimer che, nonostante tutte le cure, non sono ancora riuscita a debellare.
web - Autore sconosciuto
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STORIA LUNGA E TRISTE
Un po' di tempo fa mi telefona un signore del mio paese che faceva il fabbro, mi dice che gli affari gli sono andati male per svariati motivi e che sia l'oliveto di sua proprietà che il capannone andranno presto all'asta, mi dice "ho pensato che magari ti poteva interessare visto che ci confini" e così io li per li spiazzato e lusingato per aver pensato a me gli dico SI! di getto, senza pensarci troppo. L'accordo consisteva in questo: visto che avevamo pochi soldi entrambi e che a lui interessava riprendersi il capannone e a me l'oliveto (che lui aveva già abbandonato da tempo) mettevamo un po' di soldi per uno e così non lasciavamo che gli sciacalli si aggiudicassero l'asta. Bene, inizia una trafila burocratica abbastanza lunga che non sto a raccontarvi dove come al solito metto tutto me stesso, arriviamo quindi a una ventina di giorni dall'asta, è tutto pronto ma il signore inizia a gohstarmi, non mi risponde al telefono, fa finta di non vedermi quando passo in mezzo al paese, si nega al citofono; non riesco proprio a comprendere questo comportamento e intanto passano i giorni, quando a 3 giorni dall' asta mi telefona e mi dice che non se ne fa più niente, che vuole riprendere tutto la moglie (da cui è separato) che è la prima creditrice e così è tutto più semplice. Mi assicura che però il nostro accordo non si cambia, appena acquisito tutto poi per la stessa cifra mi venderà l'oliveto senza nemmeno pagare le spese notarili. La cosa mi puzza ma lascio perdere, avete presente quando proprio non avete energie per lottare? E poi lottare per cosa? Per un oliveto abbandonato? Bene, passano i mesi e il silenzio è tombale, do quest'affare per perso ormai fino a che oggi, porto l'olio a un mio nuovo cliente, iniziamo a chiacchierare e mi racconta che nella zona dove opero voleva prendere un oliveto molto bello, me lo descrive e somiglia proprio tanto a quello del fabbro, mi racconta che il proprietario se lo voleva riprendere insieme a un ragazzo agricoltore ma alla fine la moglie si è fatta prestare i soldi da due tizi e si è presa tutto lei e adesso ha messo in vendita il tutto per il quadruplo del prezzo.
Chi sono i due tizi? I miei zii.
#tutto questo per non farmi allargare troppo#io veramente boh#lo schifo#sopportatemi#scrivere mi aiuta a sfogarmi#ve vojo bene
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
Mi è piaciuta molto e la condivido con grande rispetto.
Ti consiglio di leggerlo quando hai tempo, con calma, per apprezzarlo appieno. ♥️♥️♥️
È una vera perla... Di Jorge Luis Borges, scrittore e poeta.
Oltre il fascino...
“VALGO”
Ho imparato a vincere dopo tante sconfitte; ho disegnato il sorriso che porto dopo tanto piangere.
Conosco così bene il pavimento che ora guardo solo il cielo. Ho toccato così tante volte il fondo che, ogni volta che cado, so che domani risalirò.
Mi stupisce così tanto l’essere umano che ho imparato a essere me stesso.
Ho dovuto sentire la solitudine per capire come stare con me stesso e scoprire che sono una buona compagnia.
Ho cercato tante volte di aiutare gli altri che ho imparato ad aspettare che siano loro a chiedermi aiuto.
Ho sempre cercato la perfezione e ho capito che tutto è imperfetto quanto deve esserlo (me compreso).
Faccio solo ciò che devo, nel miglior modo possibile, e lascio agli altri la libertà di fare ciò che vogliono.
Ho visto tanti cani correre senza meta che ho imparato a essere tartaruga e a godermi il viaggio.
Ho imparato che in questa vita nulla è certo, tranne la morte… ed è per questo che mi godo ogni momento e tutto ciò che ho.
Ho imparato che nessuno mi appartiene, e che le persone staranno con me per il tempo che vorranno e dovranno esserci. Chi davvero tiene a me me lo dimostrerà sempre, in ogni momento e contro ogni ostacolo.
La vera amicizia esiste, ma non è facile trovarla.
Chi ti ama te lo dimostrerà sempre, senza bisogno che tu glielo chieda.
Essere fedeli non è un obbligo, ma un autentico piacere quando l’amore domina il tuo cuore.
Questa è la vita… la vita è bella con i suoi alti e bassi, con i suoi sapori e i suoi retrogusti amari.
Ho imparato a vivere e a godere di ogni dettaglio. Ho imparato dagli errori, ma non vivo rimuginando su di essi, perché spesso sono solo ricordi amari che ti impediscono di andare avanti. Ci sono errori irreparabili.
Le ferite profonde non si cancellano mai dal cuore, ma c’è sempre qualcuno davvero disposto a guarirle, con l’aiuto di Dio.
Cammina mano nella mano con Dio: tutto migliora, sempre.
E non sforzarti troppo: le cose migliori della vita accadono quando meno te lo aspetti. Non cercarle, saranno loro a trovare te.
Il meglio deve ancora venire... 💕
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Non soffriamo per amore, soffriamo perché non ci amiamo. Soffriamo perché cerchiamo nell’altro quelle attenzioni che aspettavamo dal padre, quella cura che richiedevamo alla madre.
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Siamo diventati adulti senza essere bambini. E ora nella relazione portiamo quei bambini negati, quei bambini che non hanno potuto piangere ed essere consolati. Portiamo quei bambini che volevano arrabbiarsi ma venivano sgridati. Quei bambini che volevano correre liberi e venivano puniti. Quei bambini che volevano essere accolti ma non c’era il tempo.
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E all’altro chiediamo di essere quella madre e quel padre. Chiediamo a lui di asciugare le nostre lacrime o ancora meglio di fare in modo di non arrecarci mai quel dolore che ci provochi le lacrime. Chiediamo a lui di consolarci e accogliere tutte le nostre sofferenze.
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Ci arrabbiamo con l’altro perché finalmente possiamo dare sfogo a quella rabbia che abbiamo trattenuto per paura e su di lui riversiamo tutto ciò che avremmo voluto dire alla madre e al padre. Senza accorgerci che non stiamo guardando lui, la sua essenza, ma lo stiamo caricando di un’immagine che non gli appartiene. Non possiamo chiedere a lui di essere quel genitore a cui avremmo voluto urlare tutte le sue mancanze. A cui avremmo voluto rimproverare l’abbandono, chiedere una carezza, sentirne la presenza.
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All’altro chiediamo di lasciarci liberi e allo stesso tempo di tenerci legati a sé. Vogliamo quella libertà che abbiamo sempre sentito essere necessaria e ci è stata negata in nome dei “non si può”, “ non sta bene”.
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Vogliamo che l’altro ci permetta di essere noi stessi quando non sappiamo nemmeno noi chi siamo e anzi a volte l’altro vede quegli aspetti di noi che a noi sono ancora sconosciuti.
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Chiediamo libertà, la pretendiamo a gran voce e poi ne abbiamo paura. Perché la libertà ci rende insicuri. E chiediamo inconsciamente all’altro di trattenerci, di non farci scappare. Perché in quella corda che ci tiene uniti a noi sembra di vedere amore. Che amore non è.
E’ paura …e l’amore non sta dove c’è paura.
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Io ti lascio libera/o di essere ciò che sei, di esprimere la tua essenza qualunque essa sia, di volare nei cieli della vita e di compiere il tuo percorso. Io faccio altrettanto e ti osservo con amore. Questo sarà il filo dorato che ci tiene uniti.
Questo è amore
Essere Indaco
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"Vi siete mai chiesti perché oggi si insegna
sempre meno ai ragazzi
a scrivere in corsivo?
E no, non è un caso che si tenda ad usarlo sempre meno. Scrivere in corsivo vuol dire tradurre il pensiero in parole, ti obbliga a non staccare la mano dal foglio. Uno sforzo che stimola il pensiero, che ti permette di associare le idee, di legarle e metterle in relazione. Non a caso la parola corsivo deriva dal latino «currere», che corre, che scorre, perché il pensiero è alato, corre, s’invola. Naturale che il corsivo non abbia più posto nel mondo di oggi, un mondo che fa di tutto per rallentare lo sviluppo del pensiero, per azzopparlo. Pensate che il corsivo nacque proprio in Italia e poi si diffuse in tutto il mondo. Perché? Perché era una scrittura compatta, elegante, chiara. Ma la nostra è una società che non ha più tempo per l’eleganza, per la bellezza, per la complessità. Abbiamo sinteticità ma non chiarezza, rapidità ma non efficienza, informazioni ma non conoscenza!!! Sappiamo troppo e troppo poco perché non siamo più in grado di mettere in relazione le cose.
La gente non sa più PENSARE.
Per questo bisognerebbe tornare a scrivere in corsivo, soprattutto a scuola. Perché qua non si tratta soltanto di recuperare uno stile di scrittura ma di tornare a dare respiro ai nostri pensieri.
Tutto ciò che ci fa vivere, che nutre l'anima, che sostiene lo spirito è legato al respiro.
Senza respiro, dicevano gli antichi greci, non c’è pensiero. E senza pensieri non c’è vita. Se sia importante o no, lo lascio decidere a Voi...
Guendalina Middei - scrittrice
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Te lo consiglio, leggilo quando hai tempo, con calma.
È una gemma… di Jorge Luis Borges, scrittore e poeta.
A forza di perdere, ho imparato a vincere; a forza di piangere, si è disegnata la mia attuale risata.
Conosco così bene il suolo che guardo solo il cielo. Ho toccato il fondo così tante volte che, ogni volta che scendo, so già che domani risalirò.
Mi meraviglio tanto di ciò che è l’essere umano, che ho imparato a essere me stesso.
Ho dovuto provare la solitudine per imparare a stare con me stesso e capire che sono una buona compagnia.
Ho cercato tante volte di aiutare gli altri che ho imparato a lasciare che siano loro a chiedermelo.
Ho sempre voluto che tutto fosse perfetto e ho capito che in realtà tutto è così imperfetto come deve essere (me compreso).
Faccio solo ciò che devo, nel miglior modo possibile, e lascio che gli altri facciano ciò che vogliono.
Ho visto tanti cani correre senza meta che ho imparato a essere tartaruga e ad apprezzare il cammino.
Ho imparato che in questa vita nulla è certo, tranne la morte... e per questo godo del momento e di ciò che ho.
Ho imparato che nessuno mi appartiene e che resteranno con me finché vorranno e dovranno restare. E chi è veramente interessato a me lo dimostrerà in ogni momento e contro qualsiasi cosa.
Che la vera amicizia esiste, ma non è facile trovarla.
Che chi ti ama te lo dimostrerà sempre senza bisogno che tu glielo chieda.
Che essere fedele non è un obbligo, ma un vero piacere quando l’amore è il padrone di te.
Questo è vivere... La vita è bella con i suoi alti e bassi, con i suoi sapori e i suoi retrogusti...
Ho imparato a vivere e a godere di ogni dettaglio, ho imparato dagli errori ma non vivo pensando a loro, poiché di solito sono un ricordo amaro che ti impedisce di andare avanti, dato che ci sono errori irrimediabili.
Le ferite profonde non si cancellano mai dal cuore, ma c’è sempre qualcuno davvero disposto a curarle con l’aiuto di Dio.
Cammina mano nella mano con Dio, tutto migliora sempre.
E non sforzarti troppo, perché le cose migliori della vita accadono quando meno te le aspetti. Non cercarle, saranno loro a trovare te.
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Obbligo o verità (Arcane one shot)
Il bancone del bar era sporco di gusci di pistacchi vuoti e appiccicoso per il liquore che a volte scivolava via dai bicchieri. A Jayce non importò, mentre appoggiava un braccio sul legno viscido: era già brillo e non ci faceva nemmeno caso, la sua attenzione era attirata completamente dal ragazzo che gli stava seduto accanto.
"Allora, hai scelto?" biascicò. "Obbligo o verità?"
"Mmh" mugugnò Viktor, scuotendo il suo drink con aria distratta. Non aveva nemmeno finito il primo, a differenza di Jayce, che era al terzo. Era chiaro che non avesse la minima voglia di giocare, ma assecondò Jayce con un sorriso. "Verità."
"Sei mai" si fermò per soffocare un rigurgito "sei mai stato innamorato?"
Viktor lo fissò in tralice per un momento, indeciso se rispondere o no, ma al suo amico poteva dire almeno una mezza verità. "Credevo di sì. Ma è stato tanto tempo fa e in ogni caso non ero ricambiato."
"Di chi?"
"Non sono queste le regole del gioco" lo corresse Viktor. "Ora tocca a te scegliere."
"Obbligo" mormorò Jayce, curioso di sapere cosa l'avrebbe obbligato a fare il suo amico.
"Paga il conto, voglio andare a casa."
"Ma non hai nemmeno finito di bere..."
"Lo vuoi tu?"
Jayce ci pensò su, poi allungò la mano e trangugiò tutto d'un fiato il whiskey rimasto. "Va bene, andiamocene."
Traballante, si alzò in piedi e pagò tutto quello che avevano preso. Fece per tastarsi le tasche per cercare le chiavi della macchina ma si ricordò che Viktor gli aveva suggerito di lasciarle a casa: saggia scelta, era troppo ubriaco per guidare.
Chiamarono un taxi e gli diedero l'indirizzo del laboratorio. Jayce avrebbe dormito sul pavimento, non aveva voglia di passare la serata da solo.
"Obbligo o verità?" chiese Jayce quando si furono accomodati sui sedili posteriori.
"Hai ancora tutta questa voglia di giocare?" ridacchiò Viktor.
"Oh non hai idea... ho ancora un sacco di domande da farti."
"Verità, allora."
"A chi hai dato il primo bacio?"
"Giusto per sapere, tutte le tue domande sono a sfondo sessuale?"
"Non tutte."
"Non tutte?" Viktor si accigliò.
"La maggior parte" ammise Jayce ridacchiando.
"Ho provato a darlo a una mia collega di laboratorio, all'università. Non ho mai avuto il coraggio di concludere niente."
"Non ti facevo così codardo."
"Non era questione di codardia. Non era la persona giusta, credo. Scegli."
"Verità."
"Come vanno le cose tra te e Mel?"
"Ci siamo presi una pausa... sono successe troppe cose ultimamente, facevamo fatica a vederci e quando ci vedevamo, spesso litigavamo. Credo che fosse gelosa di te."
Viktor sgranò gli occhi, si sentì il cuore stretto. Sperò che Jayce fosse troppo sbronzo per notarlo.
"Obbligo" mormorò, per spostare l'attenzione su un altro argomento.
"Apri la porta, siamo arrivati e io mi sto gelando qua fuori."
Viktor pagò il tassista e aprì il portone del laboratorio, facendo strada fino alla sala che aveva adibito a camera da letto.
Vedere un luogo così familiare a un'ora così tarda stranì Jayce, che si ritrovò a fissare il laboratorio col naso per aria come se lo vedesse per la prima volta. Lo stanzino era stipato di fogli appesi a ogni muro e impilati per terra, e improvvisamente le occhiaie di Viktor ebbero senso.
"Purtroppo ho un letto solo, ma c'è abbastanza spazio per tutti e due."
Jayce strabuzzò gli occhi a quella proposta. "Cosa?"
"Non ti lascio dormire per terra con questo freddo, Jayce. Vieni a letto."
"Ehm..." temporeggiò.
"Obbligo o verità?" lo interruppe.
"Obbligo" disse Jayce senza pensare.
"Vieni a letto."
Jayce si ritrovò a ridacchiare. Quando si fu sdraiato sgranò gli occhi.
"Ehi, hai barato! Era il tuo turno di scegliere obbligo o verità!"
"Speravo non te ne accorgessi" sospirò Vik, ma la sua voce suonava divertita. "Ti concedo di farmi due domande, e scelgo sempre verità."
"Allora ti chiedo se andresti mai a letto con un uomo."
Viktor sbuffò, così Jayce aggiunse: "Non sei obbligato a rispondermi, ovviamente. Ma se non lo fai dovrò farmi venire in mente una penitenza, e al momento sono troppo ubriaco per farmene venire in mente una."
"No, non sono mai stato a letto con un uomo. Nemmeno con una donna, per quello che può valere."
"Okay. Posso baciarti?"
La domanda scivolò fuori dalle labbra di Jayce con naturalezza, prima che lui potesse trattenersi. Non si rese conto della domanda che aveva fatto finché il silenzio tra loro due si fece pesante.
"N-non sei obbligato a..."
"Va bene."
Jayce si voltò, stupito.
"S-sei sicuro?" chiese.
"To ho detto che va bene."
Alla fioca luce che filtrava dalla finestra, Jayce intravide i contorni del volto di VIktor. I suoi occhi erano semichiusi, i muscoli rilassati, mentre si tirava a sedere. Jayce lo imitò, e quando furono seduti uno davanti all'altro, tirò il suo amico verso di sé. Al primo contatto delle loro labbra, Viktor si irrigidì. Fu poco più di uno sfioramento e quando Jayce si staccò, guardandolo interrogativo come a chiedergli il permesso di continuare, lui capì che non gli sarebbe dispiaciuto averne ancora. Annuì, quindi Jayce prese il suo volto tra le mani e lo tirò a sé, tracciando con una serie di piccoli baci delicati il contorno delle sue labbra: quando fu arrivato al centro, gli coprì la bocca con la sua, e in quel momento furono consapevoli solo di quello, delle loro lingue che si sfioravano dapprima con timidezza, poi con più audacia. Viktor si sentì rabbrividire quando Jayce gli passò una mano tra i capelli, tirandoglieli leggermente; un gemito basso gli sfuggì nel momento in cui Jayce baciò l'angolo in cui il collo e la mascella si incrociano.
"Ti piace?" si informò Jayce, riprendendo da dove si era interrotto nel momento in cui ebbe ottenuto una risposta affermativa. Un altro gemito si strappò alle labbra di Victor nel momento in cui Jayce osò di più, pizzicandogli la pelle sensibile del collo in un lieve morso. Quello gli diede il coraggio per andare oltre, sollevando la sua maglia e sfiorandogli la pelle nuda con le dita. Viktor rispose reclinando la testa indietro, non disse niente, quindi Jayce si sentì legittimato a proseguire. Gli sollevò ulteriormente la maglia, tracciandogli una serie di baci sull'addome.
"Posso?" chiese conferma, osservando Viktor negli occhi, e quando quello annuì gli sfilò i pantaloni e gli baciò l'interno coscia. Viktor allungò una mano, sfiorando i capelli di Jayce, che lo fissò incredulo, poi riprese da dove aveva interrotto. Nel momento in cui si avvicinò all'inguine, Viktor inarcò la schiena, inspirando bruscamente.
Jayce si sentì vibrare dentro a quella reazione: non avrebbe mai creduto di trovarsi in una situazione del genere, almeno non con Viktor.
Risalì fino all'intersezione delle gambe, dove l'erezione di Viktor lo fece gemere nel momento in cui Jayce la sfiorò con la punta della lingua. Viktor inarcò la schiena ancora, stringendo le coperte sotto di sé con uno spasmo. Jayce ripeté il gesto ancora e ancora, poi prese il membro eretto in bocca. Viktor gemette piano, mordendosi il labbro inferiore, poi venne tra le labbra di Jayce, in un orgasmo che lo fece tremare. Jayce si sdraiò accanto a lui, che si accoccolò contro al suo fianco.
"Ti è piaciuto?" chiese Jayce.
"Molto" Viktor deglutì. Iniziò a tracciare dei disegni sul petto di Jayce, poi gli sollevò la maglia, sfiorandogli gli addominali. Quando arrivò all'elastico dei pantaloni, Jayce inspirò bruscamente. "Devo fermarmi?" chiese Viktor, tirandosi indietro.
"No, vai avanti."
Viktor eseguì, stringendo l'erezione di Jayce in mano. Spero solo che non se ne pentirà quando sarà sobrio, pensò, continuando a dargli piacere con movimenti lenti e misurati. Jayce si lasciò cullare dal tocco lieve di Viktor, respirando sempre più profondamente man mano che si avvicinava al limite.
Quando venne invocò il nome di Viktor, una dolce supplica che fece torcere le budella del giovane.
"Dovremmo giocare a obbligo o verità più spesso" ridacchiò, tornando ad accoccolarsi contro Jayce, che si unì alla risata.
"Domani possiamo rifarlo" propose.
"Domani lo rifaremo, allora."
#attack on titan#shingeki no kyojin#arcane#jayvik#jayce talis#arcane jayce#jayce x viktor#jayce league of legends
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Caro anno, è tempo di andare.
Non ti preoccupare: dirò a quello venturo di essere meno arrogante.
Di lasciare, per esempio, il posto a sedere a quella signora con i segni della vita che le incorniciano gli occhi creando una ragnatela di ricordi, con sempre più passato e sempre meno futuro.
Gli dirò di non spingere, di dire grazie, prego e sorridere.
Non temere: proverò a fargli capire che continuare ad erigere muri, costruendo difese e fossati rischia solo di far perdere la bellezza di un'emozione.
Potrà abbassare la guardia, sì, lasciare respirare il cuore.
Gli dirò poi che ci ha provato a crescere col dolore, non lo nego. Non voglio togliere il ricordo di esso. Proverò, però, a dirgli di vedere che succede con l'amore.
Di trovare il tempo per lui, per sé stesso e per le cose preziose.
Di costruire e non demolire.
Di lasciare andare anziché stringere.
Di ascoltare invece di parlare.
E se proprio vogliamo fare uscire la voce, che sia per una parola che scalda o che abbraccia, per una risata o per difendere un nostro pensiero senza calpestare il giardino dell'altro.
Insomma, caro anno, dirò a quello venturo cosa ho imparato da te e cosa vorrei cambiare.
Ti lascio scivolare nelle pagine dell'esperienza cercando di rendere il domani un posto migliore di oggi.
Buon anno nuovo ♥️
dal web
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Sofferenza pura
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L'ha fatta godere: moltissimo. La donna non se lo spiegava, ma comunque era felice. Non succedeva da tempo. Quindi, grata, per finire in bellezza la serata gli ha succhiato e ingoiato anche l'anima. Poi lui a bruciapelo le ha detto: “È finita. Me ne vado, ti lascio.” E lei ora fatica a respirare. Gli ha dato l'anima, gli anni migliori. Ha sofferto e costruito il loro amore mattone su mattone. Ogni giorno l'ha difeso, con le unghie e con i denti. Contro tutto e tutti. Però è finita. Non è servito a nulla. Del mare d'amore che c'era, adesso non resta che una pozza di lacrime. Si risolleverà: si, lei è una donna fortissima. Ricucirà i lembi del suo cuore. Da domani. Oggi c'è solo un dolore sordo, a farle compagnia.
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RDA
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Ciao, scusa il disturbo. Non ti seguo da tanto quindi ho molto rimuginato sull'eventualità di mandare questo messaggino, tuttavia ho deciso di farlo, per ringraziarti, perché il tuo blog mi sta facendo davvero compagnia. Ora che mi trovo in un periodo nero come non mi succedeva da fin troppo, e mi trovo a spendere su questo sito assai più tempo del dovuto, poter leggere i tuoi pensieri, non importa quanto profondi o limati, mi aiuta davvero a sentire meno gravosa la solitudine; e ora che il solo sentire parlare d'università mi fa mancare i sensi, e ci perdo appresso il sonno e le lacrime, leggere della quotidianità di qualcun altro, pur distante, tra relatori, magistrali e dottorati, mi spinge a dire che ce la devo fare anch'io, e fiorisce in me un po' di conforto. Anche se mi sembra estremamente invadente, ti mando un abbraccio virtuale e ti auguro tutto il meglio per il futuro, credo fermamente che la tua tenacia e la tua passione saranno fruttuose :)
mi sento quasi in colpa dopo aver scritto un post così “incazzoso” dei miei (se non perdi la pazienza prima imparerai a conoscermi anche in queste vesti) a ricevere un messaggio così carico di calore umano. Non credo di essere un modello di riferimento da alcun punto di vista – anche perché mi arrangio per sopravvivere e già questo è sufficiente a squalificarmi dal ruolo – ma credo invece che in qualunque momento della vita le fonti di conforto possano avere le provenienze più insospettabili, naturalmente anche quando non sono intenzionali. Per cui ti ringrazio di esserti manifestata. Non ti lascio con una bella perla di ipocrisia alla “tutto si risolve per il meglio”; sono la prima a non crederci più. Però ti posso dire per esperienza personale che se ti piace studiare, indipendentemente da voti, figure competenti cui tocca valutarti e istituzioni, puoi farne uno strumento per mantenerti a galla. Te lo dico da persona che non ha sfiorato la morte ma quasi e in quasi tutte queste terribili circostanze, quando ne ho avuto le forze, mi sono ancorata o all’atto di studiare (anche solo venti minuti al giorno nella peggiore delle ipotesi) o a quanto già appreso e alla seconda pelle di cui averlo fatto mi ha corazzato. Più nozioni (ma, mi sento di dire, soprattutto metodo) riesci a incamerare e più, anche nei momenti nerissimi, ti ci puoi aggrappare. Se è qualcosa che ti piace e che stuzzica le tue attitudini francamente è anche meglio. Grazie per questo bellissimo messaggio che considero a pieno titolo un regalo di Natale e, a mia volta, un appiglio, una forma di compagnia per nulla immateriale da ripetere in mente come una nenia rincuorante di altri tempi, cantata da una voce femminile e materna. Per cui l’abbraccio virtuale è ampiamente ricambiato. E grazie non da meno per gli auspici, che terrò nel cuore.
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Ma sul serio, quale sadomasochistico desiderio ci spinge ancora a voler essere membri attivi di questa società? E con membri attivi intendo cazzi tesi che si agitano a voler essere per forza qualcosa, a far parte di qualcosa, a rientrare in una qualche categoria. Essere un membro della società è faticoso. Prima lo ammettiamo, prima ce ne rendiamo conto e prima ci liberiamo dalla necessità di dover essere un cazzo teso perché no, non siamo all'altezza: il cazzo non si tende manco per sbaglio. Abbiamo voglia poi di prendere antidepressivi e affidarci a psicoterapie a volte anche abbastanza dubbie. Non siamo all'altezza degli standard che ci siamo prefissati: siamo dei cazzetti mosci tristi e piagnucoloni. Basta, amen. Ma tornando alla fatica e soprattutto tornando alla società: francamente viene l'ansia solo a guardarla. Se sei una donna devi essere fragile ma con le palle, emancipata a forza che mi chiedo dove inizia l'emancipazione e finisce la sottomissione perché a me pare solo che cambia il padrone ma sempre a novanta stiamo messe; se sei un maschio devi essere maschio, femmina, etero, bi, con i muscoli ma che ti piacciono i gattini, spolverare e cucinare, però devi essere pure stronzo, uno stronzo dal cuore d'oro che ti fai curare perché io sono la tua crocerossina però ehi non ti ci abituare! Sbracciati e curami pure tu, diventa dottore. E in tutto questo non ho parlato delle dinamiche che si attivano nei social: fai delle foto e devi essere un content creator; pubblichi cibo e devi essere un food influencer; pubblichi foto di tette e devi farti onlyfans; ti trucchi e devi essere una di quelle che sponsorizza ecc ecc ecc. E questo solo nei rapporti tra comune gente mortale, tra cazzetti mosci insomma! Nel mondo del lavoro le cose forse vanno pure peggio: lauree, master, dottorati, attestati, diplomi di vario tipo alternando cucina, scrittura di codici, filosofia. Ok, il mondo è bello perché vario ma sembra solo un accumulo di escrementi cacati dal capitalismo il cui obiettivo è solo rendersi sempre più impossibile. Ma come tutti i belli e dannati, più è impossibile più ci piace perché ci piace soffrire, e poi ci lamentiamo perché siamo dei depressi malati ansia. Qual è la soluzione a tutto questo? E che ne so. Lascio ai filosofi contemporanei l'arduo compito di trovarci una via d'uscita. Per quel che mi riguarda ho le energie talmente contate che non ho voglia né tempo di entrare in questo circolo vizioso. Se l'uomo è stato pensato fino ad ora come un essere sociale, che ha bisogno della società bene, ha talmente esasperato questo bisogno che adesso la società è diventata solo un sinonimo di sofferenza.
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