#tertius faulkner
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Main 4 of the USS locard crew :) i love my ocs so much
sorry for the inconsistent sizes my art is just like that
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Hello, perpetual English major here and I read the tags on all 3000 reblogs and added all the stories mentioned more than once:
the ones who walk away from omelas by ursula k leguin
The landlady by roald dahl
The man who knew belle star by richard bausch
All summer in a day by ray bradbury
Cold air by lovecraft
Tell the women we’re going by raymond carver
The metamorphasis by kafka
An occurrence at owl creek bridge by ambrose pierce
Bartleby the scrivner by herman melville
The feather pillow by horacio quiroga
Green patches by isaac asimov
Sredni Vashtar by saki
A rose for Emily by william faulkner
Miriam by truman capote
Bloodchild by octavia butler
the axolotol by julio cortazar
The necklace by guy de maupassant
A good man is hard to find by flannery o’connor
The most dangerous game by richard connell
The scarlet ibis by james hurst
Harrison bergeron by kurt vonnegut
Tlon uqbar orbius tertius by jorge luis borges
To build a fire by jack london
Don’t press charges and i won’t sue by charlie jane anders
All you zombies by robert a heinlein
The story of an hour by kate chopin
No is yes by paul jennings
2BR02B by kurt vonnegut
The monkey’s paw by w w jacobs
Paper cranes by ken liu
There will come soft rains by ray bradbury
#short stories#english literature short stories#english literature#i maybe added my favorite specific borges story but to be fair they’re all bangers. you all need borges#do i want to do a fanbinding of all these someday
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Essential Short Story Reading
Fuck it. I feel like sharing some non-sexy recommendations today.
Great inspiration for anyone writing nuanced erotica, mind control fiction or just fucked up short stories. Each taps into some underlying discomfort, be it disturbingly mundane horror or fantastical warping of the familiar.
These are all short stories that have shaped me and I aspire to someday evoke. Links to the full text when available; otherwise links to Kindle editions.
The Screwfly Solution by Alice Sheldon
The title refers to the sterile insect technique, a technique of eradicating the population of screwflies by the release of large amounts of sterilized males that would compete with fertile males, thus reducing the native population more with each generation this is done. This story concerns a similar distortion of human sexuality with disastrous results.
The Lottery by Shirley Jackson
The book does not contain any hints on how to win the lottery. It is, rather, a chilling tale of conformity gone mad.
The Life You Save May Be Your Own by Flannery O'Connor
An elderly woman and her daughter take in a traveler who brings hope back into their lives.
Araby by James Joyce
A boy falls in love with the sister of his friend, but fails in his quest to buy her a worthy gift from the Araby bazaar.
The Shadow at the Bottom of the World by Thomas Ligotti
Inhabitants of a small village who encounter a mysterious black mass which appears to emanate from the bowels of the Earth.
Barn Burning by William Faulkner
Tenant farmers try to find work.
Suffer the Little Children by Stephen King
A ghastly sick-joke with no redeeming social merit whatever.
Tlön, Uqbar, Orbis Tertius by Jorge Luis Borges
Detailing the discovery of the mysterious and apparently fictional world of Tlön, whose inhabitants believe a form of subjective idealism, denying the reality of the world.
In the Hills, the Cities by Clive Barker
A vacationing couple disturbs a sacred local tradition.
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“Amleto? Un dandy epigrammatico vestito a lutto”. Borges, l’inimitabile. Un ricordo di Félix della Paolera
La concatenazione di casualità diede all’invisibile una fattezza, un profilo. Arrivai a César Mermet per via di un suggerimento, credo, di un crollo. Borges lo giudicava “una specie di Emily Dickinson argentina”; preferii l’altro lato, polare, della frase, “fu pienamente poeta”. Come se quel pienamente riguardasse il sortilegio di una sparizione. Mermet scrisse nugoli di poesie, sommerso, sommessamente, senza pubblicare nulla. Nato nel 1923, giornalista, morì durante i Mondiali del 1978. Il suo confidente si chiamava Felix della Paolera: fu lui, nel 2006, a pubblicare tutte le poesie di Mermet – di particolare bellezza – ,“l’uomo invisibile”, come lo ha definito parte della stampa argentina. A quel punto, cercai Félix della Paolera: mi interessava un uomo impegnato a onorare i morti, con caino accanimento, a dare la parola all’invisibile. Arrivai in ritardo, come quasi sempre. Della Paolera era morto nel 2011. Amen.
*
Il libraio della Recoleta, a Buenos Aires, trafficava in tomi come Caronte in anime. Mi diceva che Borges, quando passava di lì, non proferiva parola. Lui gli prendeva un libro, a suo gusto, gli leggeva l’incipit. Quasi sempre Borges si fidava, chiedeva all’accompagnatore – uomo o donna che fosse – di pagare, andava via, ciondolando, cieco. Forse l’aneddoto era menzogna – è bello, perciò, per ciò che mi riguarda, vero. Chiesi al libraio di fare altrettanto, per me. Il libraio vendeva carcasse di libri, libri esauriti, fuori mercato, defunti. Questo è il libro più bello scritto su Borges, mi fa. Leggo. Borges: develaciones. Il libro non ha prezzo né marchio isbn, è stampato da una fondazione, le fotografie di Facundo de Zuviría sono meravigliose perché di ogni cosa intercetta il punto di sparizione, la nudità, l’istante in cui potrebbe sparire. Lo ha scritto Félix della Paolera. Chiedo fari su quella identità; il libraio scuote la mano, come se fare certe domande siginificasse interrompere la sequela di un segreto; la mia amica ride, si tace. Mi colpì, più tardi, che di Félix della Paolera, persona la cui importanza nella cultura argentina è esaltata dalla sua invisibilità, dal plastico pudore, non esistesse un ‘coccodrillo’, un pezzo che onorasse la sua dipartita. Come se, per espresso desiderio, non volesse essere ricordato.
*
Tutti gli uomini che entrano in amicizia con Borges, diventano borgesiani, icone prima che volti, simboli, l’accesso a un altro mondo – pensiamo a Macedonio Fernández. Borges, in fondo, fa degli amici delle vittime, degli esercizi verbali, l’eremo di una metafora, un incipit, l’estro retorico; d’altronde, il ‘realismo’ è enigma triplicato. “Borges mi parlava spesso di Félix della Paolera, ‘el Grillo’. Era, a suo dire, una specie di eminenza grigia, un uomo discreto, che discretamente aiutava gli amici, non molti, era riservato ed esigente. ‘El Grillo’ conosceva come nessuno la letteratura inglese e si produceva in raffinati e analitici giudizi sull’opera di Henry James; sapeva inoltrarsi con invidiabile facilità tra i romanzi di William Faulkner. I suoi interessi letterari si estendevano alla Cina, al Giappone, era soprattutto esperto di haiku, di cui dialogava spesso con Borges. Queste coincidenze fecero sì che dagli anni Quaranta, tra Borges e Félix della Paolera si instaurasse una amicizia autentica, basata sulla comune passione verso la letteratura”, ricorda María Kodama. Fu Della Paolera, ‘il Grillo’, a inoltrare Borges all’estetica dell’haiku, mostrandogli arcane fratellanze tra mito norreno e divinità nipponiche. Era nato a Buenos Aires nel 1923, la figura alta, aristocratica e aristotelica era l’esito di una remota nobiltà, selvaggia; a diciassette anni frequentava Olga Orozco e Juan Rodolfo Wilcock. Entusiasti del gergo poetico, orfici dell’altro mondo, condividevano versi in una bettola che in onore di Rimbaud avevano chiamato “Il battello ebbro”. Per un paio di decenni, tutti i giorni, accompagnò Borges a pranzo – amavano i tavoli lontani, inviolabili, cambiare spesso ristorante e parlare, ogni giorno, di un autore, di un libro, di un verso diversi.
*
Borges lo conobbe nel marzo del 1948, alle 10.15 di mattina, alla stazione di Adrogué. Quando vide Borges, non osò avvicinarsi: credeva, forse, che bastasse rivolgergli la parola per mandarlo in frantumi. Trovò il coraggio più tardi, in treno, mentre i finestrini ricapitolavano l’Argentina in una idea, fugace. “Lei è Borges?”. “Non ho scelta”, rispose lui, borgesianamente. “Era in vacanza da sua sorella Norah, quella mattina doveva andare dall’oculista. Lo accompagnai. Siamo tornati insieme ad Adrogué, la sera ci siamo fermati all’Hotel La Delicia, menzionato nei suoi libri, abbiamo bevuto e parlato fino all’alba. Accennai a un uomo, un inglese, solitario, che abitava in quel luogo: gli chiesi se non fosse lui l’Herbert Ashe di Tlön Uqbar Orbis Tertius. Fece cenno di sì, abbassò il viso. Gli dissi, invitiamolo con noi, allora. Borges mi rimproverò, ‘Ma se l’immagina… sarei terrorizzato a parlare con uno dei miei personaggi’”, così ricorda Felix della Paolera con Facundo García su Pagina 12.
*
Dicono che abbia portato William Faulkner a bere, durante un ciclo di presentazioni, a Buenos Aires (lui lo guardava, pronto a spulciare alcoliche riservatezze); negli anni Sessanta era a Friburgo, davanti alla porta di casa di Martin Heidegger. “Era deliziato dalla bellezza della ragazza che mi faceva da interprete, cominciammo a parlare davanti a due bottiglie di vino”, ricorda Della Paolera. “Disse che trovava significativo il modo in cui la morte viene descritta nella poesia spagnola. Sparì per qualche minuto. Tornò con un volume delle opere complete di García Lorca, che gli era stato regalato da Ortega y Gasset. Pubblicai la nostra chiacchierata su ‘La Nación’… non so se la gradì. Ci scrivemmo qualche lettera. A suo avviso, ciascuna lingua significava una particolare predisposizione verso la morte, un rapporto con i morti. Si parla, d’altronde, parlando ai morti, non è vero?”. Fu ‘il Grillo’ a presentare Astor Piazzolla a Borges: lavorarono insieme, nel 1965, per comporre un disco di milonghe. L’accoppiata pareva micidiale, ma il disco fu un fiasco.
*
“La letteratura appartiene all’ambito del segreto”, diceva Della Paolera. Quando, leggi, in effetti, non stai svelando nulla, il libro si apre per poterlo chiudere – è trasmesso, proprio a te, tra i veli del giorno, un messaggio, una testimonianza, una parola ultima, certamente intima. Come una confidenza pronunciata tra i portici, Felix della Paolera è scomparso, all’angolo di una leggenda; il rilievo di un’ombra è la rivelazione. (d.b.)
***
Felix della Paolera, Borges: rivelazioni
Gabriel García Márquez una volta ha dichiarato che a partire da Borges lo spagnolo viene scritto diversamente. Questo cambiamento è causato principalmente dai suoi apporti alla depurazione del linguaggio, a una evidente esibizione delle strutture narrative, al pudore espressivo, al restringimento del divario tra parole e idee o, volendo, all’appropriazione immediata del significato da parte del significante, a quella economia di elementi descrittivi che Roland Barthes racchiude nel termine “catalisi”. Questi e altri suoi procedimenti formano il corpus di una precettistica che ha rinnovato lo stile di molti autori ispano-americani e persino di quanti scrivono in altre lingue. Ciò non implica che possano assomigliargli.
*
In una nota pubblicata nel 1952, Enrique Pezzoni evidenziava che Borges aveva intrapreso una scrittura di cui non esistevano precedenti e che difficilmente avrebbe potuto essere replicata dai posteri. Tale valutazione si è rivelata premonitrice, dato che, pur essendo stato lo scrittore che ha maggiormente influenzato la letteratura spagnola, e forse quello che più ne ha segnato il rinnovamento, non ha lasciato – al pari di Alejo Carpentier, Juan Rulfo o García Marquez – un retaggio di autori aderenti alla sua modalità narrativa. Le sue innovazioni risultano intrasferibili, dato che poggiano su una vita tesa a indagare le possibilità e i limiti della parola e, pertanto, richiederebbero a un qualsiasi seguace una vocazione e una passione analoghe alle sue; vale a dire, qualcuno che, con pari intensità, si interessasse contemporaneamente di linguistica, etimologia, metafisica, teologia, miti, letteratura comparata, logica, enciclopedie, lingue arcaiche. Non è facile trovare siffatti discepoli.
*
Anche se un certo intuito artistico potrebbe bastare per ricalcare, con esiti modesti e senza estro, uno stile metaforico come quello di Neruda, la sensibilità più estrema sarebbe insufficiente per imitare quello di Borges; un plagio passabile richiederebbe la sua riproduzione testuale. “Nessuno può paragonarsi a Borges o imitarlo”, ha scritto Douglas Davis, in un articolo pubblicato su The New York Press il 18 novembre 1998. Solo i profani della sua letteratura hanno creduto di riconoscerlo in una deplorevole poesia intitolata Instantes, o hanno potuto attribuirgli un romanzo dalla stesura indegna. Se Borges rigettò – al punto da escluderle dal suo Obras Completas – molte poesie del suo periodo ultraista e due libri di critica e saggi fu perché, nella maturità, trovava artefatta l’esteriorità delle metafore e delle costruzioni barocche. Per questo il suo linguaggio è diventato inimitabile e qualsiasi copia del modello originale si riduce a una parodia. Escluso il ricorso puerile al suo lessico, come intessere una riproduzione di Borges? Mediante una sintassi nella quale abbondino le litoti? Attraverso la prevalenza della metonimia sulla metafora? Un’analisi dei motivi che inducono a optare per una o per l’altra di queste figure retoriche aiuta a chiarire l’enigma di una letteratura inimitabile. Come i sinonimi (a cui di solito assomigliano), le metafore possiedono un certo carattere arbitrario che richiede la cooperazione del lettore affinché vengano accettate nella loro rappresentazione significativa. Sanno di trovata, di subitanea ispirazione, di intromissione delle muse. Ecco perché il loro uso risulta predominante nei poeti giovani, adepti del patetismo lirico, di una emotività che ostacola l’espressione oggettiva e sono inclini all’uso di metafore quasi sempre oscure – quando non indecifrabili – perché oscillano tra la manifestazione esplicita e l’occultamento. Fatta eccezione per qualche fugace entusiasmo, difficilmente si potrebbe etichettare la prima poesia di Borges come giovanile. Certamente contiene molte più metafore rispetto alle poesie scritte a partire dal 1955 (vale a dire, dal momento in cui la perdita della vista diventò quasi totale), ma tali metafore sono diverse da quelle tipiche dei poeti recenti. Sono intenzionali, vicine al dialogo e alla riflessione che all’enfasi sentimentale, favoriscono una lettura cauta e attenta, sopperiscono con l’intelligenza all’estasi e alla vertigine.
*
Già nella sua prima versificazione si può notare una tendenza all’utilizzo della metonimia che andrà accentuandosi fino alle ultime poesie. Si tratta in questo caso di una figura più intellettuale, dato che presuppone una discriminazione, un criterio selettivo. Nominare un soggetto o un oggetto mediante un segno, qualcuna delle sue parti, un qualsiasi attributo, un rapporto causale o una specie che implichi il genere (non si fa distinzione in questa sede tra metonimia e sineddoche) è un’operazione che chiama in causa il raziocinio nel momento in cui si deve discernere quale tra gli elementi particolari potrà rappresentare alla perfezione un’entità più grande, un concetto più ampio. Vale a dire, la scelta di una metonimia esprime contemporaneamente cultura e esperienza, ed è improbabile che, come la metafora, sopravvenga in virtù della sola ispirazione.
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Per quanto riguarda l’utilizzo della litote da parte di Borges, anch’esso denota una capacità letteraria inscindibile da un processo di maturazione. Attenuare un’asserzione mediante l’espediente di negarne l’antitesi, mitigare il tono dogmatico di un giudizio, rifuggire la dissertazione altezzosa e stroncante rivelano una prudente diffidenza verso “la sicurezza di quanti ignorano il dubbio”. Questo scetticismo, lungi dal rappresentare meramente una peculiarità del suo stile, discende da una concezione agnostica della realtà (e perfino della irrealtà) che – paradosso istruttivo – andò accentuandosi man mano che aumentava il suo sapere.
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Se, come asseriva Pezzoni, quello di Borges è un percorso difficilissimo da seguire per quanti vengono dopo di lui, ciò è dovuto al fatto che la sua genesi parte da una struttura così personale che il riprodurla risulta quasi impossibile. Basterebbe riguardare alcune delle domande che gli rivolgevano di solito i giornalisti, e che ovviamente non poteva prevedere, per notare la piega imprevedibile delle sue risposte immediate e spontanee. Quando gli chiedevano un’opinione sul Papa, poteva rispondere immediatamente “è un funzionario di cui non mi interesso”, riuscendo così non solo a sventare il tentativo di strappargli un giudizio etico ma anche a sottolineare il carattere burocratico dell’istituzione ecclesiastica (nomine, promozioni, trasferimenti, grado gerarchico), tanto distante dalla discussione metafisica e teologica che lo interessava. Una volta cercarono di fargli esprimere la sua opinione, senza dubbio ben nota, sulla figura di Perón. Prima che il cronista avesse finito di parlare, Borges dichiarò: “Non mi sono mai curato dei milionari”, mandando così all’aria il piano ideologico della domanda, oltre a conferire al personaggio una connotazione di disinvolta corruzione.
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Interpellato in merito alla censura, rispose rapidamente che “spesso ha contribuito a stimolare la metafora” e aggiunse l’esempio di libri che riuscirono a eludere la sorveglianza dei censori mediante il cambio dei nomi o l’appello al simbolismo.
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Si potrebbe argomentare che, per quanto le risposte di Borges fossero istantanee, poggiavano su convincimenti originari e, pertanto, non rappresentavano una battuta improvvisa. Ad ogni modo, resta notevole la definizione del papato come una burocrazia; quella di Perón, tramutato da politico a magnate; e quella della censura, a suo avviso efficace promotrice della metafora e dell’impiego dei simboli. Tutto ciò sottolinea oltre la prontezza e l’opportunismo con cui individuava quei “convincimenti originari”, la sferzante ironia davanti a uditori abituati a uomini pubblici la cui opinione di solito oscillava tra la solennità e il patetismo.
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L’oratoria sintetica e il taglio inatteso delle sue risposte non sono diversi quando caratterizza Amleto come “…il dandy epigrammatico e vestito a lutto della corte di Danimarca…”; definisce (con fini ossimori) Martínez Estrada “uno scrittore dalle splendide amarezze” e Ray Bradbury autore “dai dilettevoli terrori”; ci avvisa che, con il trascorrere del tempo, qualsiasi ricordo diventa “circoscritto e sbiadito…”; o si insospettisce di fronte a “una poesia che sembrava estendere all’infinito le possibilità della cacofonia e del caos…”.
*
A casa sua, di ritorno da un pranzo, mi chiese di leggere, in un foglio piegato sopra la tavola della sala, una nota a matita che senz’altro si era fatto trascrivere. Diceva: “Non ero tanto illetterato da non poter scrivere un sonetto, né tanto incauto da scriverne due”. Quando terminai la mia lettura a voce alta, mi disse: “Sa di chi é? Di Baltasar Gracián. Non lo trova straordinario? Potrebbe essere benissimo di Bernard Shaw o di Wilde”. In quel momento pensai che, se non fosse stata scritta nello spagnolo del XVII secolo, quell’ironia, quella forte litote, sarebbe stata degna della paternità di Borges, il quale, non a caso, la ricordava e chiedeva che gliela ripetessero nonostante il suo noto disdegno per la prosa di Gracián.
*
Rigore etimologico, intertestualità, erudizione, chiarezza strutturale, metonimia, litote, precisione del lessico, polivalenza verbale e magia urbana sono alcune delle cifre che contraddistinguono la scrittura di Borges e, per il fatto di essere intrinseche alla sua personalità, non si possono riprodurre in assenza di un analogo vissuto esperienziale. Per emulare Borges bisognerebbe cercare di assomigliargli in tutto. Qualcosa di simile pensò (e poi escluse) Pierre Menard quando voleva scrivere come Cervantes.
Félix della Paolera
*Il testo è tratto da “Borges: develaciones” (Fundación E. Costantini, 1999), da cui si è scelto il capitolo “Alcances de su influencia”; la traduzione italiana è di Marianna Marchi
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Top Books 1930-1940
Brave New World (1932) by Aldous Huxley
The Grapes of Wrath (1939) by John Steinbeck
Gone with the Wind (1936) by Margaret Mitchell
The Hobbit (1937) by J.R.R. Tolkien
Native Son (1940) by Richard Wright
For Whom the Bell Tolls (1940) by Ernest Hemingway
And Then There Were None (1939) by Agatha Christie
Rebecca (1938) by Daphne du Maurier
Journey to the End of the Night (1932) by Louis-Ferdinand Celine
Of Mice and Men (1937) by John Steinbeck
Absalom, Absalom! (1936) by William Faulkner
As I Lay Dying (1930) by William Faulkner
Heart Is a Lonely Hunter (1940) by Carson McCullers
Tropic of Cancer (1934) by Henry Miller
Their Eyes Were Watching God (1937) by Zora Neale Hurston
Tender Is the Night (1934) by F. Scott Fitzgerald
Finnegans Wake (1939) by James Joyce
I, Claudius (1934) by Robert Graves
The Maltese Falcon (1930) by Dashiell Hammett
Light in August (1932) by William Faulkner
The Day of the Locust (1939) by Nathanael West
How to Win Friends and Influence People (1936) by Dale Carnegie
Darkness at Noon (1940) by Arthur Koestler
Story of Ferdinand (1936) by Munro Leaf
The Big Sleep (1939) by Raymond Chandler
Little House in the Big Woods (1932) by Laura Ingalls Wilder
Good Earth (1931) by Pearl S. Buck
Power and the Glory (1940) by Graham Greene
The Postman Always Rings Twice (1934) by James M Cain
Joy of Cooking (1931) by Irma Rombauer
At-Swim-Two-Birds (1939) by Flann O'Brien
Cold Comfort Farm (1932) by Stella Gibbons
Think and Grow Rich (1937) by Napoleon Hill
On the Banks of Plum Creek (1937) by Laura Ingalls Wilder
A Handful of Dust (1934) by Evelyn Waugh
Narziss and Goldmund (1930) by Hermann Hesse
Little House on the Prairie (1935) by Laura Ingalls Wilder
The Code of the Woosters (1938) by PG Wodehouse
Scoop (1938) by Evelyn Waugh
La Condition Humaine (1934) by Andre Malraux
Nightwood (1936) by Djuna Barnes
Down and Out in Paris and London (1933) by George Orwell
Out of Africa (1937) by Isak Dinesen
The Death of the Heart (1938) by Elizabeth Bowen
Sanctuary (1931) by William Faulkner
The Cost of Discipleship (1937) by Dietrich Bonhoeffer
Murder on the Orient Express (1934) by Agatha Christie
How Green was My Valley (1939) by Richard Llewellyn
Farner Boy (1933) by Laura Ingalls Wilder
Homage to Catalonia (1938) by George Orwell
Swallows and Amazons (1930) by Arthur Ransome
Good-bye Mr. Chips (1934) by James Hilton
The Sword in the Stone (1938) by T.H. White
Ask the Dust (1939) by John Fante
Tortilla Flat (1935) by John Steinbeck
Malice Aforethought (1931) by Francis Iles
Nausea (1938) by Jean-Paul Sartre
We the Living (1936) by Ayn Rand
The Murder at the Vicarage (1930) by Agatha Christie
Appointment in Samarra (1934) by John O'Hara
Sunset Song (1932) by Lewis Grassic Gibbon
Arrowsmith (1931) by Sinclair Lewis
The Problem of Pain (1940) by C.S. Lewis
Ballet Shoes (1936) by Noel Streatfield
Star Maker (1937) by Olaf Stapledon
Goodbye to Berlin (1939) by Christopher Isherwood
Vile Bodies (1930) by Evelyn Waugh
Musashi (1935) by Eiji Yoshikawa
Yearling (1938) by Marjorie Rawlings
Gadsby (1939) by Ernest Vincent Wright
The Waves (1931) by Virginia Woolf
Lost Horizon (1933) by James Hilton
Untouchable (1935) by Mulk Raj Anand
The Glass Key (1931) by Dashiell Hammett
Cakes and Ale - Or, the Skeleton in the Cupboard (1930) by W Somerset Maugham
Red Pony (1937) by John Steinbeck
Independent People (1935) by Halldor Laxness
The Radetzky March (1932) by Joseph Roth
The General Theory of Employment, Interest and Money (1936) by John Maynard Keynes
Alamut (1938) by Vladimir Bartol
Mr. Popper's Penguins (1938) by Richard
The Hollow Man (1935) by John Dickson Carr
Civilization and Its Discontents (1930) by Sigmund Freud
Burmese Days (1934) by George Orwell
Death on the Nile (1937) by Agatha Christie
Call It Courage (1940) by Armstrong Sperry
The Shadow Over Innsmouth (1936) by H.P. Lovecraft
Who Goes There? (1938) by John W. Campbell
Out of the Silent Planet (1938) by C.S. Lewis
Thank You Jeeves (1934) by PG Wodehouse
Love on the Dole (1933) by Walter Greenwood
Roller Skates (1936) by Ruth Sawyer
A Gun for Sale (1936) by Graham Greene
Murder Must Advertise (1933) by Dorothy Le Sayers
War Is a Racket (1935) by Smedley Butler
The Man Who Loved Children (1940) by Christina Stead
Black Mischief (1932) by Evelyn Waugh
Madhushala (1935) by Harivansh Rai Bachchan
Mr Norris Changes Trains (1935) by Christopher Isherwood
Tlon, Uqbar, Orbis Tertius (1940) by Jorge Luis Borges
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making a list of the locard-verse characters that exist so far and who i need to design/finish designing for myself here
Cmdr Tertius Faulkner - captain, illyrian (ent) - colors
Lt Tahihr Zivv - officer, tellarite - colors
Dr Sovua M'Triss - officer, caitian - finished
Ichiro Kobayashi - Sovua's ex-husband (civilian), human - design + colors
Lt. Ell Rook/Seven of Eleven - officer, xB/human - finished
Ochre - civilian, caitian - finished
Dusty - civilian, caitian - finished
Lt. Cmdr. Thraak - first officer, gorn - redesign
Sambal - pet, tribble - design + colors
Ens. Evor - officer, vulcan - design + colors
Nabul Kitzul - officer, joined trill - design + colors
Ras Th'ozitral - enlisted, andorian - design + colors
Ewa-Holaan - enlisted, aurelian - design + colors
Elar Tyler - enlisted, romulan/klingon - redesign
i need to draw more art of my star trek ocs. maybe i should finish designing the locard crew. only four of them have designs
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“Vorrei distruggere tutto ciò che ho scritto e ritirarmi sull’isola deserta con un’enciclopedia”: Borges compie 120 anni! Auguri con inedito
Vorrei dire: bye bye Borges. Vorrei dire, per dare altro gas al fausto anniversario, chiudiamo Borges nel mausoleo dei grandi, releghiamolo tra le mummie, possiamo farne a meno. Imitato, criticato, adorato, pubblicato fino all’infima filastrocca cucita sul calzino sinistro, salutiamo Borges come qualcosa di passato, di spassionatamente vecchio. Invece. Borges ha inventato una formula narrativa semplice & perfetta, cristallina, come un proiettile di diamante – direbbe Marlon Brando/Kurtz – che perfora il cranio del Novecento ma pure quello del nuovo millennio. Comunque sia, non ne puoi fare a meno: Borges ti frega sempre, i suoi racconti sono sciarade circolari, sono rebus salutari, e a me capita di rileggerli per ritrovare una postura letteraria adatta, per ricongiungermi a una disciplina, come si entra in monastero e il silenzio, grato, ci fa camminare più eretti, cuce le labbra, rende avidi gli occhi.
*
Scrittura limpida, lucida, da moralista francese, ed erudizione, enigmistica trascendentale. Machiavelli nel corpo di un bramino, Montagne nella sfera di un sufi, Hemingway con un cervello da talmudista, Kafka incrociato a Fozio. Borges è talmente originale che quando si tratta di parlare di sé, rimanda sempre ad altri, i suoi santi – un gesto che non ha nulla dell’umile protervia, ma è gratitudine. Così, grazie a Borges, sono sinceramente andato a Henry James e all’Edda, a Ray Bradbury e a Stevenson e a Plotino, a Marcel Schwob e a Beowulf, a Dante, al Corano, a Walt Whitman, a Kafka e a Thomas Carlyle, a Melville e a Mark Twain, e anche se ciascuno di questi, in fondo, non ha alcuna parentela letteraria con Borges, che li evoca per sovranismo enciclopedico, poco importa, perché il verbo è tutto e tutti, dice il grande cieco di Buenos Aires, stiamo scrivendo lo stesso poema, a cui siamo avvinti e di cui non siamo padroni.
*
Poi, bisogna andare a Buenos Aires per capire che dietro ogni vicolo puoi trovare il solido platonico e nel frinire delle lame, nel tubare delle automobili, si cela la cifra che svela il cosmo e lo fa diventare un granello di sabbia sotto l’unghia del pollice. Penso sia anche una questione di spazi: l’ossessione dell’infinito, degli specchi, dell’implacabilità eterna, del libro sconfinato, è coltivata dal figlio di una austera arpia che traduce la Mansfield e Faulkner, in una città ‘parigina’ cresciuta sulla melmosa foce del Rio della Plata, in una terra sconfinata, patagonica, tra tango e florilegio di ghiacciai, nella feconda nostalgia di un passato europeo.
*
Ciascuno ha i suoi. Certamente L’Aleph (uscito 70 anni fa) è la quintessenza dell’opera di Borges, per alcuni lo è Finzioni: qualcuno preferisce La biblioteca di Babele, altri Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, c’è chi ama alla follia La casa di Asterione e chi L’immortale. Borges da un incendio purificatore avrebbe salvato Il libro di sabbia. Io ammetto la mia passione per un racconto che si intitola Tigri azzurre, anche se, alternativamente, Borges mi piace da ogni lato, anche quel libro che si chiama Atlante. Le sue poesie non vanno lette come poesie – altrimenti modeste – ma come peculiari appendici ai suoi racconti, chiose, chiodi lirici, nodi che fanno dei libri di Borges un’unica grande opera.
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Sylvia Iparraguirre, maestra della letteratura argentina, già allieva di Borges all’Università, amica, lo ricorda nel suo libro autobiografico, La vida invisible, “la genuina, esemplare modestia di Borges posso testimoniarla in prima persona e riguarda uno degli argomenti borghesiani per antonomasia: lo scrittore che vuole scomparire, che vuole essere inghiottito nell’oblio. Quando suo padre gli diede da leggere The Invisible Man di H.G. Wells, Borges gli disse che voleva diventare così, l’uomo invisibile; quell’invisibilità si connette al desiderio di occultarsi nel nulla, di ‘smettere di essere Borges’. Il tema lo portava a raccontare la storia, che ho ascoltato direttamente da lui, di quell’andaluso che quando gli chiesero il nome rispose: ‘Sempre lo stesso, il problema è il tempo che passa’, risposta che, secondo Borges, contrastava tutti gli affanni della fama”. Mi sembra interessante, e in qualche modo analogo, ciò che Borges rivelò intervistato da Liliana Heker: “Quando ero giovane ero incline alla tristezza, a teatralizzare me stesso; volevo essere Amleto o Raskol’nikov, e ora non più”.
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Lego la nada a nadie: è l’ultimo verso di una poesia, Il suicida, raccolta in La rosa profonda. “Lascio il nulla a nessuno”, traduce Domenico Porzio, inevitabilmente perdendo l’assonanza mistica tra nada e nadie – dove il nulla ha sempre un nitore mistico (gola-caverna di Dio), e nessuno l’esito di una nitidezza (lo è Ulisse, dopo la verifica del mostro). Quando scavi nell’opera di Borges ne trovi molteplici, un Borges per ogni giorno, per ogni comodino. Condannato a non sparire, ci ha consegnato un’opera, però, alla fine della quale non scopriamo altro che il nostro smarrimento, un enigma in scroscio. (d.b.)
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Susan Sontag amava Jorge Luis Borges, lo riteneva lo scrittore più influente del secondo Novecento, un rivoluzionario. “Mi manchi. Continui a fare la differenza. Alcuni di noi non abbandoneranno la Grande Biblioteca. Continuerai a essere il nostro eroe”, gli scrive, nel 1996, in una lettera oltremondana, che celebra i dieci anni dalla morte del grande scrittore. Nel 1985 i due si incontrarono, dialogando pubblicamente nel contesto della “Feria del Libro di Buenos Aires”. La trascrizione del dialogo, inedita in Italia, è stata pubblicata su El Clarin per festeggiare i 120 anni dalla nascita di Borges (tra le tante manifestazioni in atto in Argentina, segnalo il ciclo di convegni organizzato dalla Fundación Internacional Jorge Luis Borges). Eccone alcuni stralci.
Forse sono solo un impostore. Involontario. “Non sono modesto, sono semplicemente lucido. Mi stupisce essere conosciuto. Sono trascorsi cinquant’anni, la gente mi nota, ho smesso di essere un uomo invisibile. Eppure, questo è per me uno sforzo terribile. A volte penso di essere una specie di superstizione, ora piuttosto diffusa. In ogni momento puoi scoprire che sono un impostore, in ogni caso, un impostore involontario”.
Se non ci fossero Emerson, Melville, James, non esisterei. “Se penso alle personalità che il New England ha dato al mondo – forse gli astrologi possono aiutarmi – e comincio ad elencare, Emerson, Melville, Thoreau, Henry James, Emily Dickinson, penso che se non ci fossero non esisteremmo, penso che siamo una proiezione di quella costellazione nata in New England”.
Elogio del rileggere. “Penso che uno scrittore sia influenzato da tutto il passato, non solo di quello di un paese e di una lingua, ma anche da scrittori che non ha letto, che non appartengono alla sua lingua… Ho perso la vista nel 1955 e da allora mi dedico alla rilettura più che alla lettura. La rilettura è una attività importante, perché rinnova un testo: il libro è uno, ma noi non siamo mai gli stessi nel momento della rilettura. ‘Non ci si bagna due volte nello stesso fiume’, dice Eraclito. Il fiume scorre, Eraclito scorre, e io sono quel vecchio Eraclito che fa il bagno non nello stesso fiume, ma in un altro, e ringrazio la frescura di quelle acque”.
Forse non scriviamo altro che la stessa storia. “L’originalità è impossibile. Si può variare leggermente il passato, uno scrittore può avere una nuova intonazione, una sfumatura, nient’altro. Forse ogni generazione non scrive che lo stesso poema, non racconta che la stessa storia, ma con una piccola, preziosa differenza: l’intonazione, la voce, ed è sufficiente”.
Per l’isola deserta voglio un’enciclopedia. “Amo la letteratura scandinava, le saghe, l’Edda islandese… ma tutta la letteratura è stupefacente. Immaginare il mondo senza Verlaine, senza Hugo, sarebbe molto triste, sarebbe impossibile. Ma perché astenersi da qualcosa? Perché essere un asceta delle biblioteche? Le biblioteche ci danno una felicità continua, una felicità accessibile. Forse, se fossi Robinson Crusoe, il libro che mi porterei sull’isola sarebbe la Storia della filosofia occidentale di Bertrand Russell. Certo, se potessi trasportare una enciclopedia sarebbe meglio, dato che per un uomo curioso e ozioso come me la lettura dell’enciclopedia è quella migliore”.
Tutto è finzione. “La filosofia è una finzione, il mondo intero è una finzione, senza alcun dubbio, è una finzione”.
Voglio imparare il giapponese. “Sto cercando di studiare il giapponese, ma è una lingua così complessa che gli idiomi occidentali paragonati al giapponese sono come il guaraní rispetto allo spagnolo. È una lingua piena di sfumature, gli haiku sono saggiamente ambigui, come i libri di Henry James. Nell’haiku si vuole cogliere il momento. La totale assenza di metafore significa che ogni cosa è unica, che nulla può essere paragonato ad altro. Eppure, i contrasti abbondano. Un bellissimo haiku recita, ‘Sopra la grande campana di bronzo si è posata una farfalla’. La campana imperturbabile, duratura, e la farfalla soave, effimera: creano un contrasto senza confronto”.
Per dare autenticità, aggiungo un errore. “Tutto ciò che pubblico, per quanto appaia imperfetto, presuppone almeno dieci o quindici bozze. Non riesco a scrivere senza bozze, ma nell’ultima versione aggiungo un errore evidente, per rendere tutto spontaneo. Per me sarebbe impossibile non scrivere. So da sempre che il mio destino, come lettore o come scrittore, è connesso alla letteratura”.
Non mi importa vendere, voglio sognare. “Ammetto di essere stato conquistato dall’esempio di Emily Dickinson: scrivere senza pubblicare. Però ho commesso qualche imprudenza. In un’occasione ho chiesto ad Alfonso Reyes che senso avesse pubblicare: mi ha risposto, ‘Pubblichiamo per non passare la vita a correggere le bozze’. Penso che avesse ragione. Ogni volta che viene pubblicato un mio libro, non so cosa gli succede, non leggo nulla di ciò che è scritto intorno a lui. Non so se vende o meno. Cerco semplicemente di sognare altre cose, di scrivere un libro diverso, anche se di solito è molto simile al precedente”.
Vorrei distruggere tutto quello che ho scritto. “Come si può parlare di ‘edizione definitiva’? Come può un autore non lamentarsi di un aggettivo, di una virgola? Assurdo. Vorrei distruggere tutto ciò che ho scritto. Salverei soltanto un libro, Il libro di sabbia, e forse La cifra… il resto può essere dimenticato”.
Voglio fondare la Setta dei Lettori. “Scrittori ce ne sono molti, ma di lettori pochi, quasi nessuno. Dobbiamo fondare una Setta dei Lettori, una società segreta dei lettori”.
*In copertina: Jorge Luis Borges fotografato da Ferdinando Scianna, a Palermo, nel 1984
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Reportage da Buenos Aires, ovvero: quando Mick Jagger si inchinò davanti a Borges (che ascoltava i Pink Floyd)
A Buenos Aires sembrano tutti in fuga, tutti stranieri. Questo, forse, è affascinante. Una città impossibile costruita con genio europeo sulle sponde livide del rio de la Plata. Come addomesticare una anaconda. Come insegnare a un giaguaro a mangiare con forchetta, coltello e fazzoletto al collo. Tutti, a Buenos Aires, sono eredi di migranti. Sono di questa terra, ma hanno il cuore sepolto in un’altra, solo sognata, immaginaria. Per questo, c’è una specie di devozione ai lari della malinconia e quando cade, la sera, disintegra viali eleganti, palazzi, uomini. Il giaguaro si sveglia e divora ogni cosa. Anacleto viene dal Portogallo, abita a Zárate, 90 chilometri da Buenos Aires, sulle sponde del Paraná. Non gli piace Zárate. In assoluto, non gli piace questo mondo né questo tempo. “La gente ha perso il senso dell’identità, tutto corre, tutto si distrugge”, dice. Poi mi indica una tizia. “Tipica argentina”. Anni 45, labbra gonfie come Zeppelin, pelle tirata, tette in esposizione. Anacleto la piglia in giro, “questa è una donna?”. Anacleto, la domenica, pranza al Cafe Tabac con la figlia, ‘Sole’, eccellente scrittrice di reportage. Quella domenica c’ero anch’io. Il Cafe Tabac è il bar più elegante della Recoleta, la zona di Buenos Aires eternata da Jorge Luis Borges in una delle sue prime poesie, La Recoleta. Il grande cieco amava il cimitero della Recoleta, “la comunione del marmo e del fiore”, dove “esaltiamo il sogno e l’indifferenza”. “Me lo ricordo, l’ho vissuto il tempo in cui andavi Cafe La Biela o al Tortoni e lo vedevi, Borges, appollaiato al suo bastone, e potevi fargli qualche domanda, e lui ti guardava, guardando nei gangli del tuo destino, forse, guardingo, e forse rispondeva”, mi dice, e con una mano cancella gli ultimi trent’anni, come se fossero una falange di piccioni. Anacleto ha una eleganza innata. Ha letto molti libri. Un po’ se ne vanta. “Ormai non ho nessuno con cui parlare, sa, gli amici sono quasi tutti morti”. La sua passione è Federico Fellini: cita brani di film, ricorda quando ha visto Amarcord, ha una passione viscerale per Otto e mezzo, è un florilegio di aneddoti. Mi racconta le malizie con cui Fellini rifiutò, per il suo Casanova, di affidare il ruolo del protagonista a Robert Redford, contravvenendo ai desideri del produttore. Che strano. All’altro capo del mondo un ‘fellinologo’. Che si offende quando non lo seguo, quando non gli do spago nel delirio filologico felliniano. Poi attacca con i libri. Adora William Faulkner. “Il suo libro più bello è Le palme selvagge: lo sa che lo ha tradotto anche Borges?”. Ovviamente non lo so. Poi mi parla di Cesare Pavese, di Pasolini (“mi piace Ragazzi di vita”), di Albert Camus e di André Malraux. Mi obbliga a comprare un libro di Isidoro Blaisten, “uno dei grandi scrittori argentini contemporanei. E poi, mi creda, se vuole conoscere l’Argentina lasci perdere Martin Fierro o Don Segundo Sombra”. E… cosa dovrei leggere? “Ovvio. Il Facundo di Domingo Faustino Sarmiento, quella è la quintessenza dell’argentinità… se esiste”. Mi informo. Sarmiento, che è stato anche Presidente dell’Argentina dal 1868 al 1874, ha pubblicato nel 1845 la storia di Facundo Quiroga, caudillo argentino vissuto nei primi dell’Ottocento, durante i turbini che seguirono la dichiarazione d’indipendenza, noto per il coraggio e l’avventatezza. Anacleto, figura eroica, a suo modo, fuori tempo, avrà 75 anni, fa il parrucchiere a Zárate, il peluquero. La sua barberia è una specie di antro filosofico, dove si discute di libri, di cinema, della vita e della morte. Ha fatto radio per decenni e ha portato il rock nei domini argentini. “Si informi, a Borges piaceva il rock… ed era adorato da Mick Jagger”. Poi Anacleto se ne va, con la sua aura leggendaria. Mi informo. Lì per lì penso che sia una battuta. Che cavolo c’entra lo scrittore de L’Aleph con il cantante di Satisfaction? In effetti, c’entra.
Jorge Luis Borges con la sua musa (e moglie) María Kodoma
L’aneddoto lo ha raccontato, un decennio fa, María Kodoma, la musa di Borges, la vedova – se l’è sposato due mesi prima della morte – presidente della ‘Fundación International Jorge Luis Borges’. Intanto, la Kodoma recensisce la discografia di Borges. “Non gli piaceva Beethoven. Ma ascoltava Brahms, Bach, la musica antica, medioevale, e il folclore, la milonga e il tango”. Fin qui, ci siamo. Il resto ci stupisce. “Gli piacevano alcuni pezzi dei Beatles, dei Rolling Stones, dei Pink Floyd. I Pink Floyd gli piacevano molto. L’inno del suo compleanno non era Happy Birthday ma The Wall”. Incredibile. Il cieco che coniuga la gnosi alla saga islandese, l’apocrifo antico e la leggenda coranica che ascolta i Pink Floyd per la festa di compleanno. Siamo ancora lontani da Mick Jagger, comunque. “Eravamo al Palace Hotel di Madrid”, attacca la Kodoma. “Aspettavamo che venissero a prenderci per la cena quando vedo Mick Jagger. La rockstar si inginocchia e afferra la mano di Borges, ‘Maestro, io la ammiro’, dice. Borges, un po’ stupito, fa, ‘E lei chi è?’. E lui, ‘Sono Mick Jagger’. ‘Ah, quello dei Rolling Stones’, risponde Borges. Mick Jagger quasi sviene dall’emozione, ‘E come fa a conoscermi?’”. Già. Come fa? Merito della Kodama. Che gli fa vedere un film. Il film si chiama Performance, in Italia è tradotto come Sadismo, �� girato nel 1968 ma mandato al cinema nel 1970, in un tripudio di critiche. Il film è un manifesto pulp della Swinging London, tra violenza gratuita a go-go, droghe, allucinazioni, deliri sessuali. Nel film, girato da Donald Cammell, Mick Jagger interpreta una rockstar torturata dalla vita. Nel film le labbra da carnefice di Jagger pronunciano frasi elusive, “And the Tetrarchs of Sodom, and Orbis Tertius”, che rimandano al più rappresentativo dei racconti di Borges, Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, raccolto in Finzioni. In un fotogramma del film, inoltre, si vede, rapidissima, una immagine di Borges dentro uno specchio, poi infranto. Già. Ma come fa Borges a essere finito in un film con Mick Jagger protagonista? Chiedo a Nicolás Helft, micidiale esperto di Borges. Il giro è questo. “Nel 1950 lo scrittore francese Roger Callois, che vive a Buenos Aires sotto la protezione di Victoria Ocampo, traduce Finzioni in Francia, per Gallimard. Segue una notevole recensione di Jean-Paul Sartre”. Segue, nel 1961, vittoria, insieme a Samuel Beckett, di un importante premio internazionale degli editori. Quell’anno, cominciano le traduzioni negli States e Borges, “nella decade degli hippie diventa lettura obbligata per i concetti che sa creare, la manipolazione del tempo e dell’identità, la civiltà umana che sparisce al cospetto della memoria artificiale, la biblioteca dove tutto è scritto e nulla si può creare, tutti temi che esaltano chi vuole sperimentare le droghe, gli eccessi dell’intelletto”. Ecco, questa è la storia di come Borges divenne l’autore preferito di Mick Jagger. (d.b.)
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